Anteprima de "La memoria del destino"

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Prologo del thriller "La memoria del destino" di Pierpaolo Turitto

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Il silenzio era un sottile velo di polvere poggiato ovunque.Al piano sotterraneo era accesa solo la luce del suo ufficio.Tante stanze vuote, chiuse e disabitate, producevano un rumorebianco privo di vita, l’unico movimento, sebbene fremente, era neipensieri di Padre Kohler.L’uomo, molto anziano, aveva ancora una capigliatura folta mauniformemente bianca; la statura non era intaccata dalla curvaturadella schiena, camminava eretto e senza tentennamenti, dimostravaindubbiamente un’età minore di quella anagrafica, ormai ultraot-tantenne.Era chiuso nel suo studio dalle 18, ora in cui l’accesso all’archiviostorico e alla biblioteca veniva sospeso fino alla mattina seguente.Il suo stato d’animo si era increspato giorno dopo giorno, spinto dalvento dell’imminenza. L’uomo aveva sperato di veder apparire unasoluzione, che fosse divina, umana o casuale, per sentirsi sgravatodal peso che gli era stato affidato.L’ora della cena era ormai sopraggiunta, avrebbe dovuto unirsi aglialtri con la consapevolezza che nessuno dei presenti potesse aiutar-lo, nonostante i fratelli più vicini si rendessero ormai conto della suaassorta meditazione. Una crisi di coscienza abitava l’animo del religioso da circa sei me-si.Centottanta giorni erano trascorsi da quando Padre Kohler avevainiziato a contare all’inverso, avvicinandosi allo zero ogni mattinadi più. Le sue ore di sonno si erano ridotte proporzionalmente ai

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giorni mancanti e la prossima alba sarebbe sorta dopo una notte to-talmente insonne.La sua vita di sei mesi prima era totalmente diversa, risiedeva in unabellissima chiesa nel centro di Roma, poco conosciuta e poco fre-quentata, benché storicamente preziosa: Santo Stefano Rotondo alCelio.Era già consapevole che quel gradevole esilio dalla vita comunestava per essere revocato: la chiesa sarebbe stata chiusa pochi giornidopo per un restauro di cui nessuno conosceva la durata e di cui lui,per la veneranda età, molto probabilmente non avrebbe visto l’esi-to.Era una primaverile mattina di settembre, in cui il sole caldo ricor-dava maggio, ma le foglie degli alberi, che pavimentavano il vialedi accesso alla chiesa, imponevano l’autunno.I passi di un uomo, lenti ma decisi, schiacciarono a terra il fogliamee si avvicinarono al religioso. Era strano come quella persona non siguardasse intorno, non rimanesse affascinato da quell’angolo dimondo in cui con l’immaginazione si poteva cadere nel passato.Sembrava muoversi diretto verso una meta e non appena aprì boccarivolgendosi a Padre Kohler, quest’ultimo comprese di essere il suoobiettivo.«Padre, vorrei che lei mi confessasse», disse con un tono che nonpermetteva repliche: le parole ebbero un sapore d’implorazione conuno strano retrogusto imperativo.«Andiamo dentro, fratello», si limitò a replicare l’uomo in abiti ta-lari.La chiesa fu serrata alle loro spalle per il sopraggiungere dell’ora dichiusura, e i due uomini si trovarono soli tra le mura antiche: benpresto, trasportati dalle parole del confessato, avrebbero comincia-to un piccolo viaggio nel tempo, sarebbero tornati indietro ses-sant’anni e andati avanti di sei mesi.L’uomo parlò ininterrottamente per quasi un’ora; Padre Kohler ri-cordava di aver ascoltato senza pronunciare parola e, per quantofosse nelle sue possibilità di uomo prima che di religioso, di nonaver giudicato nei suoi pensieri la storia che sentiva.

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Al termine del racconto, il confessore comprese come l’uomo noncercasse l’assoluzione ma solo la condivisione di una storia terribi-le, di cui era protagonista nel bene e nel male.Padre Kohler capì, inoltre, che l’essere stato scelto non era casualee, pur non conoscendo l’uomo di fronte a sé, nella lucidità che con-traddistingueva le sue parole e il contenuto che esse narravano, eraevidente che nulla poteva essere occasionale. Il confessato era uncalcolatore impeccabile e molto probabilmente aveva designatochiesa, confessore, orario e giorno con motivazioni ben precise.Al termine del racconto il religioso interrogò l’uomo: «Fratello, sevuoi l’assoluzione di Nostro Signore, devi fare tutto ciò che è nelletue possibilità per impedire l’epilogo del tuo racconto».«Non voglio l’assoluzione, ma questo credo che lei l’abbia giàcompreso. Voglio che il suo Dio sia consapevole di cosa accadrà,come lo è stato quando nacqui».«Il mio Dio non potrà alterare gli eventi, lascia agli uomini il gover-no del proprio destino, non li ha fermati neppure quando si appre-stavano a uccidere il Figlio sceso in terra».«Bene, allora anche stavolta sarà complice di una tragedia. AddioPadre».L’uomo voltò le spalle e si diresse verso l’uscita.Chiusa la porta della chiesa, Padre Kohler non lo rivide mai più, maogni giorno quel volto gli ritornò alla mente come un fantasma; nel-la notte rubava la faccia ad altri per intromettersi negli incubi del re-ligioso che, per volere del fato, doveva condividere il carico deglieventi.Tre giorni prima dell’annunciato epilogo, l’uomo ricomparve sottoforma di un biglietto allegato a un pacco: Padre, comprendo soloora la presunzione con cui ho agito. Il suo Dio, che io chiamo Desti-no, mi ha dato un segno della sua forza. Ormai è tardi per fermaregli eventi, essi sono fuori del mio controllo, ma tenga con sé questoquadro, luogo del nostro incontro e possibile chiave di una soluzio-ne. Quando tutto sembrerà perduto, qualcuno dall’animo inconta-minato dalla sofferenza potrà bussare alla sua porta e lei potrà fi-nalmente liberarsi del peso di cui l’ho ingiustamente gravata.

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Il pacco conteneva una stampa antica in cornice di Santo StefanoRotondo, che il religioso appese alle spalle della sua scrivanianell’ufficio. Prima di quella data, Padre Kohler aveva ripercorso migliaia di vol-te quel dialogo: si era accusato di non aver scelto le giuste parole o iltono corretto per dissuadere il confessato, di non esser riuscito aspiegare che la vendetta è uno strumento inutile e che solo nel per-dono risiede la vera conquista.Pur sapendo nel profondo che l’uomo non avrebbe comunque cam-biato idea, il senso di colpa non lo lasciava libero, e si consideravaspesso complice, al pari del suo Dio.In quel giorno aveva provato un senso di riscatto: aveva toccato ilcuore dello sconosciuto che, in un barlume di redenzione, tornava alreligioso per farsi aiutare, benché non spiegasse né come né perché.Il segnale del pendolo lo riportò al presente, come spesso facevanole campane quando era in preghiera a Santo Stefano; il suono gli in-dicò che doveva salire a mangiare.Spense la luce nel suo ufficio e nei suoi ricordi. Lo stomaco erachiuso, ma la cena era un momento di unione e preghiera con gli al-tri fratelli cui non poteva mancare.

Non appena la chiesa di cui era responsabile e abitante venne chiusaper restauro, il religioso fu trasferito al Collegio Pontificio Germa-nico e Ungarico.L’istituzione con cinquecento anni di storia aveva deciso di asse-gnargli il prestigioso compito di responsabile della biblioteca e del-l’Archivio Storico, resosi disponibile dalla promozione a rettore delprecedente incaricato.I circa novantamila volumi, di cui cinquecento provenienti dal sedi-cesimo e diciassettesimo secolo, importante curriculum della bi-blioteca, non rappresentavano un lavoro oneroso per i suoi set-tant’anni abbondanti, ma erano in ogni modo una responsabilità dicui andava fiero.Tra gli scaffali a sostegno di tante pagine dedicate al suo Dio si sen-tiva a proprio agio. Ogni sera prendeva un libro diverso e ne leggeva

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un brano, se ne era affascinato procedeva sino a notte fonda per ter-minarlo.La vita continuava a scorrere sopra la sua testa. Spesso chiuso nelsuo ufficio o perso in inventari inutili, egli era sempre in quel pianosotterraneo, come in un bunker, da cui non poteva sentire le gridadel mondo che si disgregava.

Il vasto salone che ospitava il refettorio era colmo ma silenzioso, gliultimi arrivati si stavano sedendo per iniziare la preghiera tutti in-sieme.Non appena l’ultima delle sedie vuote si riempì, il Rettore diede ini-zio alla preghiera, che fu recitata all’unisono da tutti i presenti. Quando il salmo fu terminato, la sala finalmente si animò di vocidissonanti; il fratello che dirigeva la cucina portò via con sé quattroseminaristi che avrebbero servito ai tavoli quella sera.In breve Padre Kohler ebbe davanti a sé un piatto fumante ricolmodi zuppa di fagioli; un timido appetito si affacciò nel religioso che,dopo aver atteso la presenza di un piatto di fronte a ogni commensa-le, iniziò a mangiare.Il sapore e il calore gli riempirono i sensi, ma a metà del piatto lo sto-maco si richiuse inatteso, portando con sé un’altrettanta inaspettatapercezione di nausea.Scusandosi con i presenti Padre Kohler si alzò dalla tavola e decisedi andare nella sua stanza, ma prima di poterlo fare fu chiamato altelefono.Alzò la cornetta del ricevitore presente nell’enorme sala e dialogòper qualche minuto. Mentre il senso di spossatezza cresceva, il suosguardo s’illuminò: al termine della telefonata sarebbe tornato nelsuo ufficio.Nella sala uno sguardo attento più di altri lo vide uscire: il passo in-certo, con cui era andato dalla tavola al telefono e poi verso la porta,diede all’osservatore la certezza del raggiungimento dell’obiettivo.A quel punto l’uomo spostò la sua attenzione sul piatto che PadreKohler aveva lasciato sulla tavola, nessuno doveva compiere il ma-leducato e infausto gesto di mangiare il resto della sua zuppa. Per

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fugare questa possibilità, si alzò e annunciò a gran voce la possibi-lità di avere un’altra porzione di fagioli; con questo pretesto ritirò ipiatti dei pochi affamati da riempire nuovamente e quello del fratel-lo assente.Padre Kohler, sempre più sofferente, giunse nel suo ufficio, prese lasua penna stilografica e un foglio bianco:Signore, ti prego di ascoltarmi ancora una volta. Sono ormai mesiche ti chiedo un segno per comprendere la strada da percorrere,non so se quello che mi hai dato stasera lo sia, non so chi sia coluiche mi sta cercando, ma se fosse un tuo messaggero, fa che arriviqui e che mi dia un cenno di esserlo, gli aprirò il mio cuore senzaperò violare il sacramento della confessione.La nausea si trasformò in una sequela di piccole fitte allo stomaco,la sua scrittura divenne tremolante e la fronte s’imperlò di un sudorefreddo.Fa che io possa essere strumento di perdono e mezzo di salvezza.I pensieri erano lucidi ma la mano non riusciva a trascriverli, la vistasi stava annebbiando, le lettere sempre meno riconoscibili si univa-no in parole dalla difficile interpretazione.Padre Kohler comprese che stava perdendo i sensi e il dolore vio-lento nella bocca dello stomaco presagiva la possibilità di non riac-quisirli mai più.Abbandonò allora il tema della lettera per scrivere qualcosa di piùimportante: Santo Stefano, in una calligrafia incomprensibile e vo-lutamente distaccato dal resto.Con un sonoro tonfo il suo capo si appoggiò bruscamente alla scri-vania, la penna sfuggì alla presa della mano e lo spirito si allontanòdal corpo inerme.