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Destino d’amore Barbara Cartland

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Barbara Cartland

Destino d’amore

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Immagine di copertina: Eduard Niczky - Reveries Romantiques

Per gentile concessione di Fine Art Photographic Library

Titoli originali delle edizioni in lingua inglese:

The Taming of Lady Lorinda The Disgraceful Duke A Halo For The Devil

© 1977 Cartland Promotions © 1976 Barbara Cartland © 1972 Barbara Cartland

Traduzione: Maria Grazia Bassissi

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prime edizioni Grandi Saghe maggio 2008

settembre 2008 novembre 2008

Questa edizione Harmony Special Saga

febbraio 2010

HARMONY SPECIAL SAGA ISSN 1825 - 5248

Periodico bimestrale n. 58 del 20/2/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 332 del 2/5/2005 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

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contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

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Matrimonio per scommessa

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1794 L'uomo con la maschera verde osservava dall'alto la sala da ballo, illuminata da una profusione di candelieri di cristallo che proiettavano tutto intorno un caleido-scopio di riflessi variopinti. Agli invitati era stato chiesto di presentarsi travestiti a seconda della propria ispirazione e così inevitabil-mente c'erano una dozzina di Cleopatre, parecchi giul-lari e una predominanza di acconciature e gorgiere eli-sabettiane. Mentre guardava le coppie che danzavano accompa-gnate dalla musica di un'orchestrina alloggiata nella Galleria dei Musicisti, l'uomo con la maschera verde si irrigidì all'improvviso. «Pensavo che mi avreste con-dotto a un ballo frequentato dal cosiddetto Beau Mon-de» disse sorpreso al suo accompagnatore. «Precisamente.» «Queste non sono dunque delle graziose cortigia-ne?» «Naturalmente no! Sono le dame più aristocratiche dell'alta società, gentildonne appartenenti alle più nobi-li famiglie d'Inghilterra.»

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«Non posso crederci!» Mentre parlava con il suo accompagnatore, il genti-luomo con la maschera verde non osservava gli occhi che scintillavano o le labbra di rubino che spiccavano sotto le maschere di velluto, e nemmeno le candide go-le ornate di gioielli. Fissava invece i seni dalle punte rosate che spuntavano maliziosi dalle audaci scollature o che trasparivano dalle stoffe impalpabili degli abiti, intesi a mostrare più che a nascondere fianchi torniti e gambe squisitamente modellate nonché spesso nude. «Siamo davvero in Inghilterra?» proruppe infine, scandalizzato. Il suo amico scoppiò a ridere. «Avete trascorso trop-po tempo lontano da casa. Negli ultimi anni sono cam-biate parecchie cose e, come scoprirete, non tutte per il meglio.» «Quando sono partito» osservò l'uomo con la ma-schera verde, «le donne erano virtuose e docili, gentili e sottomesse ai loro mariti.» «Ebbene, tutto ciò non è più di moda, oramai» repli-cò il suo accompagnatore. «Oggi le donne non sono più il sesso debole. Partecipano alle corse dei cavalli e delle carrozze, vanno a caccia, giocano a cricket contro altre squadre femminili e, nel caso delle principesse di sangue reale, perfino a calcio.» «Buon Dio!» «Si considerano uguali agli uomini, e questo è evi-dente anche nel loro aspetto.» «Ho notato, infatti, che la cipria è scomparsa.» «Sia per gli uomini che per le donne, grazie a Dio! Certo, dobbiamo ringraziare il Principe di Galles per la moda au naturel.»

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«Per quanto riguarda noi uomini, è senza dubbio un sollievo» commentò l'uomo con la maschera verde. «Ma per le donne è tutt'altra faccenda.» «Il nuovo ordine» replicò il suo amico in tono diver-tito, «impone la victime coiffure, un taglio di ovvia provenienza francese che si ispira alla rivoluzione.» Con un gesto della mano, continuò a spiegare: «Le ac-conciature alte ed elaborate del vecchio regime sono ormai del tutto scomparse. Adesso si preferiscono pic-coli riccioli scompigliati ad arte e, per completare l'ef-fetto, un sottile nastro di velluto rosso legato intorno al collo». «Pensando a tutti coloro che hanno perso la vita sot-to la ghigliottina, lo trovo di pessimo gusto» osservò l'uomo con la maschera verde. «Mio caro amico, molte delle cose che facciamo so-no di pessimo gusto, eppure tutti quanti continuiamo a farle.» Guardò il suo compagno con aria maliziosa, prima di proseguire: «A Carlton House, molte donne portano abiti che scoprono del tutto i seni, o li velano con tessuti talmente sottili che non lasciano nulla al-l'immaginazione». L'uomo con la maschera verde non replicò. Continuava a guardare le coppie che volteggiavano nella sala sottostante, notando che anche la danza stava diventando più selvaggia e i movimenti dei ballerini più scomposti. «Mi giudicherete all'antica...» iniziò a dire, ma la sua voce si spense all'improvviso. Era una calda serata di giugno e le alte portefinestre che si affacciavano sul giardino erano spalancate; in quel momento da una di esse, apparizione del tutto i-

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nattesa e sorprendente, era entrato uno splendido caval-lo nero. Lo montava una donna che, a una prima occhiata, sembrava vestita soltanto dei lunghi capelli d'oro rosso che le scendevano fino ai fianchi. A un esame più attento, tuttavia, l'osservatore sco-priva che la sella, di foggia messicana con decorazioni d'argento, era rialzata davanti e dietro e copriva almeno le parti intime. E anche i capelli erano acconciati in modo che solo le braccia e le gambe della donna fosse-ro visibili. L'audace apparizione, però, montava a cavalcioni, cosa di per sé scandalosa, e come se disdegnasse na-scondersi non portava alcuna maschera. I suoi grandi occhi verdi, che sembravano occupare quasi tutto il vi-so, scintillavano divertiti. L'uomo con la maschera verde ritrovò la voce solo dopo qualche istante. «Buon Dio! Chi è quella donna?» «Lady Lorinda Camborne» lo informò il suo compa-gno, «la più impertinente di tutte le gentildonne londi-nesi.» «Appartiene sul serio a una famiglia onorata?» «Suo padre è il Conte di Camborne e Cardis.» «Se avesse un po' di buonsenso, le darebbe una so-nora sculacciata e la riporterebbe a casa.» «È improbabile che la veda, dato che non alza mai gli occhi dal tavolo da gioco.» «Un giocatore d'azzardo?» «Incallito.» «E lei... quanti anni ha?» «Una ventina, immagino. Da due anni è la bellezza più acclamata di St. James.»

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«Sul serio?» «Che razza di censore siete! Sì, Lady Lorinda si comporta in modo riprovevole e non nego che le sue provocazioni siano oggetto di costanti pettegolezzi, ma almeno è di una bellezza a dir poco eccezionale.» L'uomo con la maschera verde non replicò. Osserva-va Lady Lorinda che, sul suo magnifico stallone nero, faceva il giro del salone. I ballerini si erano fermati per applaudirla; gli uomi-ni le gridavano incoraggiamenti e qualcuno le gettava dei fiori mentre passava. «Da White la scommessa era che lei non avrebbe o-sato apparire nuda» raccontò l'accompagnatore all'uo-mo con la maschera verde. «Ebbene, non solo lei ha vinto la scommessa, ma ingenti somme di denaro cam-bieranno mano, come sempre succede quando Lady Lorinda ne combina una delle sue.» Compiuti due giri completi della sala, inaspettata-mente come era arrivata Lady Lorinda uscì da una por-tafinestra e scomparve. «Non la rivedremo più?» si informò l'uomo con la maschera verde. «Santo cielo, no! Fra poco ricomparirà, indossando qualcosa di fantasioso e senza dubbio tutt'altro che a-nonimo. Sarà una delle ultime ad andarsene.» «Dunque le piacciono questi intrattenimenti?» do-mandò il gentiluomo con la maschera verde in tono vagamente sprezzante. «Naturalmente. Questa è la sua vita: balli ogni sera, feste sfrenate a Vauxhall e apparizioni nei ritrovi peg-gio frequentati di Londra. Ovunque vada, si lascia die-tro una scia di cuori infranti.» L'informatore fece una

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pausa prima di proseguire: «Si narrano molte storie su Lady Lorinda. Una delle ultime è quella del Marchese di Queensbury...». «Buon Dio, quel vecchio caprone è ancora in circo-lazione?» lo interruppe l'uomo con la maschera verde. «Solo la morte, suppongo, potrà fermare quel liber-tino! Come stavo dicendo, qualche tempo fa gli è ve-nuto il ghiribizzo di vestire i panni di Paride per asse-gnare la famosa mela con su scritto "alla più bella".» «Se la contendevano tre dee se ricordo bene...» «Esatto.» «Volete dire che le tre candidate erano nude?» «Completamente!» «E che una di loro era Lady Lorinda?» «Così mi è stato riferito.» «Ma davvero gli uomini si innamorano di una donna come quella?» «Ovvio! Lasciatemi spezzare una lancia in favore di Lady Lorinda: ha coraggio e personalità, qualità che spesso mancano alle sue coetanee. Nessuno potrebbe mai ignorarla.» «O meglio evitare di notarla!» osservò seccamente l'uomo con la maschera verde. «Credo che dovrei farvela conoscere» sorrise il suo compagno. «Le farebbe bene incontrare un uomo che non cade in ginocchio davanti alla sua bellezza e che non si lascia calpestare dai suoi graziosi piedini.» Do-po una breve esitazione soggiunse: «Oh, vedo che è ar-rivato il Principe di Galles. Venite, vi presento. Gli farà piacere apprendere da voi ciò che accade in un'altra parte del mondo». Più tardi, dopo aver cenato al tavolo reale, l'uomo

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con la maschera verde lasciò la sala da pranzo e, tro-vando sgradevolmente alta la temperatura nella sala da ballo, uscì in giardino. Il ricevimento si teneva a Hampstead e l'uomo con la maschera verde pensò che era come essere in campa-gna. Una lieve brezza faceva stormire le foglie dei grandi alberi, dalle aiuole saliva la fragranza dei fiori e le stelle brillavano come diamanti nel cielo. Fece un respiro profondo pensando a quanto era di-versa quell'aria dal calore soffocante dell'India. A un tratto, una voce maschile interruppe le sue soli-tarie meditazioni. «Per amor del cielo, Lorinda, ascoltatemi. Vi amo! Sposatemi o mi ucciderò, ve lo giuro!» L'uomo con la maschera verde si irrigidì. La voce dello sconosciuto tradiva un'angoscia inequivocabile. «Sposatemi, Lorinda, e farete di me l'uomo più felice tra i viventi.» «Che cos'è questa, la decima o l'undicesima volta che vi respingo, Edward?» L'uomo con la maschera verde comprese che il dia-logo si svolgeva dalla parte opposta dell'alta siepe di bosso di fianco alla quale si era fermato. Nell'oscurità gli era impossibile vedere attraverso il fitto fogliame, ma immaginò che i due dessero le spalle alla siepe, i-gnari della sua presenza a pochi passi di distanza. «Ve l'ho chiesto in passato e ve lo chiedo di nuovo... sposatemi, Lorinda!» «Vi ho sempre rifiutato, Edward, e non cambierò i-dea questa volta. Suvvia, amico mio, state diventando terribilmente noioso! Adesso vorrei tornare nella sala da ballo.»

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«Non andate via, Lorinda. Restate con me, vi prego. Non vi darò fastidio. Farò tutto quello che volete... qualsiasi cosa, purché mi dedichiate un po' di attenzio-ne.» «Perché dovrei? Se volessi un cane da salotto, me ne comprerei uno» replicò la fanciulla con voce sdegnosa, e subito dopo aggiunse: «Se mi toccate, Edward, giuro che non vi rivolgerò più la parola». «Lorinda! Lorinda!» gridò il giovane, disperato, e un attimo dopo l'uomo con la maschera verde udì un tic-chettio di tacchi femminili che si allontanavano sul via-letto lastricato e il gemito angosciato dell'uomo abban-donato. Resosi conto che la conversazione era terminata, l'uomo con la maschera verde si avviò verso la sala da ballo. Non gli fu difficile riconoscere Lady Lorinda, anche perché nell'istante in cui varcò la portafinestra udì ri-suonare la sua voce, allegra e del tutto incurante di ciò che era appena avvenuto. L'audace fanciulla indossava una redingote maschi-le, su calzoni di raso fermati da un nastro sulle calze di seta che sottolineavano oltraggiosamente le caviglie sottili. I capelli, di un rosso dorato, erano arricciati e acconciati a mo' di parrucca sotto il cappello piumato. Da sotto la maschera spuntavano il naso piccolo e diritto, le labbra dalla curva perfetta e il mento appunti-to sollevato in atteggiamento orgoglioso. Teneva in mano un bicchiere di vino e, quando l'uomo con la maschera verde entrò nella sala da ballo, lei e la sua cerchia di ammiratori stavano brindando al-legramente alla salute del loro ospite, un uomo di mez-

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za età coi capelli scuri e l'espressione beffarda. Il padrone di casa accettò il brindisi senza mai disto-gliere lo sguardo da Lady Lorinda, e quando tutti ebbe-ro bevuto le si avvicinò. «Venite con me in giardino. Voglio parlarvi» le disse. Si trovavano a poca distanza dall'uomo con la ma-schera verde, e le loro parole gli giungevano distinta-mente. «Sono appena rientrata dal giardino» obiettò Lady Lorinda corrucciando le morbide labbra. «Se avete in-tenzione di amoreggiare con me, Ulric, vi avviso che non sono dell'umore adatto.» «Che cosa vi fa pensare che siano queste le mie in-tenzioni?» «Perché gli uomini non parlano d'altro che d'amore» ribatté lei. «Non esiste un argomento di conversazione diverso?» «No, quando si parla con voi!» «L'amore mi annoia! È un argomento che non mi in-teressa, quindi, se volete divertirmi, dovrete parlare di qualcos'altro.» «Fingete ancora di non avere un cuore, dunque?» «Non fingo, è la mia fortuna! Venite, andiamo in sa-la da pranzo. Comincio ad avere fame.» Si avviarono, e l'uomo con la maschera verde li se-guì con lo sguardo. «Ve l'avevo detto che è bellissima ma imprevedibi-le» sussurrò, raggiungendolo, il suo accompagnatore. «Tutti gli uomini cadono ai suoi piedi e fanno ciò che lei dice?» domandò l'uomo con la maschera verde. «Naturalmente. Tutti obbediscono a Lady Lorinda.» «E se non lo fanno?»

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«Lei li bandisce dalla sua cerchia di amicizie. Tale ostracismo, ho sentito dire, è più infamante di una sco-munica!» L'uomo con la maschera verde scoppiò a ridere. «Ho l'impressione che durante gli anni che ho trascorso al-l'estero, abbiate completamente perduto il senso dei va-lori... o forse dovrei dire quello dell'umorismo?» Molto più tardi, quella stessa sera, quando gli ospiti erano notevolmente calati di numero e il primo chiaro-re dell'alba iniziava a far impallidire le stelle nel cielo, i due amici lasciarono il ricevimento e salirono in car-rozza. Viaggiavano su un altissimo phaeton trainato da ca-valli di eccezionale bellezza, con un solo lacchè appol-laiato sul predellino posteriore. «Vi siete divertito?» domandò l'uomo che teneva le redini. Il suo amico, che si era tolto la maschera, rise. «È stata senza dubbio una serata memorabile! Mi aspetta-vo di trovare dei cambiamenti, naturalmente, ma non fino a questo punto.» «Vi riferite agli uomini o alle donne?» «Devo ammettere che il principe mi ha molto stupi-to. È diventato grasso e i suoi amici non mi hanno fatto una buona impressione.» «Non piacciono a nessuno, in effetti» ammise l'altro. «Ma ditemi, piuttosto, che cosa pensate delle donne. Siete rimasto sconvolto?» L'uomo che fino a poco prima aveva indossato la maschera verde rise di nuovo. «Vi assicuro che niente mi sconvolge. Tuttavia, trovo raccapricciante il pensie-ro che queste creature indecenti e irresponsabili tra

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qualche anno saranno le madri della prossima genera-zione.» «Pensate di fare qualcosa al riguardo?» «Che cosa suggerite?» «Ebbene, potreste... raddrizzare Lady Lorinda. Che sfida sarebbe per qualsiasi uomo!» «Credo che in effetti sarebbe possibile.» «Suvvia, chi è mai riuscito a domare una tigre? Scommetto qualunque somma – la lascio decidere a voi – che non ci riuscirete.» L'uomo che aveva portato la maschera verde rimase in silenzio per un poco prima di dire lentamente: «Mil-le ghinee!». «State scherzando?» domandò incredulo il suo com-pagno. Poi scoppiò a ridere. «Accetto! Non mi perderei l'esito di questa fatica di Ercole per nessuna cifra al mondo!» «A proposito di tigri... in abiti femminili! Eccola là, proprio davanti a noi» esclamò il proprietario del phae-ton dopo poco, indicando una carrozza nera con il bla-sone dei Camborne che stava risalendo la collina. Il veicolo non aveva niente di particolare, ma la li-vrea dei lacchè e del cocchiere non passava certo inos-servata: al posto dei colori preferiti dall'aristocrazia, come l'azzurro, il verde o il porpora, i domestici di Lady Lorinda portavano infatti una livrea bianca con bordi d'argento. Sotto lo sguardo esterrefatto del gentiluomo con la maschera verde, una volta raggiunta la sommità della collina e oltrepassato lo stretto passaggio tra la Spa-niards Inn e il cancello del gabelliere, la carrozza dei Camborne si arrestò bruscamente.

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«Che cosa succede?» domandò ad alta voce il con-ducente del phaeton. «Buon Dio, i briganti! Lady Lo-rinda è stata assalita!» esclamò subito dopo, frustando i cavalli per correre in aiuto della gentildonna. All'improvviso si udì un colpo di pistola e l'uomo che aveva aperto la portiera della carrozza cadde all'in-dietro sul ciglio della strada, mentre il suo complice se la dava a gambe. Prima che il phaeton potesse raggiungere la carroz-za, il lacchè in piedi sul predellino posteriore, che te-neva le mani in alto, fu proiettato bruscamente in avan-ti da uno scossone mentre il veicolo ripartiva e si af-frettò a balzare a terra. I due gentiluomini si fermarono accanto al bandito, riverso per terra con le braccia allargate e la pistola an-cora stretta nella mano. Era mascherato e aveva l'aria di essere stato un delinquente della peggior risma. La macchia rossa che si allargava sul suo petto era inequi-vocabile. «È morto, milord» annunciò il lacchè che era balzato giù dalla carrozza in corsa. Il conducente del phaeton sfiorò con la frusta i caval-li. «Quand'è così, non sono affari nostri» replicò, allon-tanandosi. Per un poco i due gentiluomini rimasero in silenzio, poi quello che aveva indossato la maschera verde chie-se: «C'era qualcuno con la fanciulla, o è stata lei stessa a sparargli?». «Oh, suppongo sia stata lei!» replicò il suo amico. «Non sarebbe la prima volta.» E con una nota divertita nella voce, proseguì: «Avete appena avuto una dimo-strazione di come le giovani donne al giorno d'oggi

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siano in grado di badare a loro stesse. Avevo sentito parlare del trattamento che Lady Lorinda riserva ai bri-ganti. Adesso ho potuto vederla in azione». Con una risata, spiegò: «A quanto pare, non appena un bandito apre la portiera, lei gli spara con l'intento di ucciderlo. I suoi domestici non devono nemmeno prendersi la bri-ga di proteggerla». «Sono sbalordito!» commentò il suo amico. «Ai miei tempi, le donne scoppiavano in singhiozzi e invo-cavano la protezione degli uomini.» «Di donne così appiccicose ne esistono ancora, se sono quelle che preferite, e con il patrimonio di cui di-sponete di certo non vi lasceranno tregua!» Quel commento rimase senza risposta e il viaggio verso Hampstead Heath proseguì in silenzio. Lady Lorinda era appoggiata allo schienale imbottito della carrozza, con gli occhi chiusi. Prima di rilassarsi, aveva avuto l'accortezza di ricaricare la pistola che te-neva in grembo. Hampstead Heath era una zona notoriamente infesta-ta dai briganti, razza che lei detestava al pari dei cor-teggiatori che la infastidivano nonostante lei scorag-giasse brutalmente le loro suppliche lamentose. Lord Edward Hinton era solo uno dei tanti ammiratori che non accettavano di essere respinti da lei. Ripensando a come quel gentiluomo l'avesse infasti-dita per tutta la serata, Lorinda stabilì che in futuro a-vrebbe messo bene in chiaro che non avrebbe parteci-pato a nessun ricevimento al quale fosse presente an-che lui. Niente di ciò che lei poteva dirgli gli impediva di

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implorarla di diventare sua moglie e di diventare, come lo definiva tra sé Lorinda, un maledetto seccatore. Il loro ospite, Lord Wroxford, non era molto meglio, ma almeno la corteggiava senza poterle proporre le nozze. Era già sposato, infatti, e di conseguenza le sue proposte sempre disdicevoli erano più facili da respin-gere. Anche se si prendeva gioco di Ulric ed entrambi sa-pevano che le probabilità che lei accettasse il suo cor-teggiamento erano pari alla possibilità di fare un salto sulla luna, lui non si perdeva d'animo e continuava a insistere, ma almeno, a differenza di Edward, era argu-to, spiritoso e persino un po' cinico. Lord Hinton aveva minacciato talmente tante volte di suicidarsi se lei l'avesse respinto, che ormai Lorinda si sentiva sopraffatta dalla noia ancor prima che lui a-prisse bocca. Eppure Edward offriva delle prospettive eccellenti come marito, pensò, e c'era sempre la possi-bilità che, se suo fratello non fosse riuscito a generare un erede, un giorno sarebbe diventato duca. «Se fossi assennata, lo sposerei» disse tra sé Lorin-da, «ma come potrei sopportare i suoi piagnistei per il resto dei miei giorni?» Era quello che pensava di molti altri gentiluomini, parecchi dei quali non le offrivano soltanto immense ricchezze, ma anche una posizione prestigiosa in socie-tà. Lorinda si rendeva perfettamente conto di quanto fosse effimera la sua stella, che brillava su una società pronta a esaltare o condannare una persona a seconda del capriccio del momento. «Che cosa voglio dalla vita?» si domandò mentre la

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carrozza scendeva da Hampstead Heath, lasciandosi alle spalle il pericolo. Di colpo si vide davanti una teoria infinita di balli e ricevimenti, in compagnia della stessa gente scapestra-ta che si spostava insieme a lei da Londra a Brighton, a Newmarket per le corse dei cavalli, a Bath per la cura delle acque, per poi tornare nella capitale per un altro frenetico giro di allegri intrattenimenti. Davvero non desiderava altro dalla vita? Sapeva che l'indomani le matrone che tanto la disap-provavano avrebbero spettegolato della sua apparizio-ne al ballo nei panni di Lady Godiva, ma non era riu-scita a resistere alla provocazione di Lord Barrymore, un dissoluto gentiluomo che aveva scommesso con lei che non avrebbe avuto il coraggio di farlo. Rise, pensando a quando il resoconto del suo com-portamento, che non avrebbe perso niente della sua spudoratezza passando di bocca in bocca, sarebbe giunto all'orecchio del re e della regina al Castello di Windsor. I sovrani avrebbero senza dubbio attribuito quell'oltraggiosa esibizione all'esempio nocivo e disso-luto del Principe di Galles. «Vecchi ipocriti!» esclamò, constatando con sollievo che il viaggio era terminato e la carrozza si stava fer-mando davanti a Camborne House, in Hanover Square, un edificio enorme, scomodo e decisamente brutto che era stato costruito dal settimo Conte di Camborne, nonno di Lorinda. Mentre il lacchè con la livrea bianca e argento che lei stessa aveva disegnato apriva la portiera, Lorinda pensò che era comunque meno cupo di quanto fosse stato quando lei era bambina.

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«Sua Signoria è in casa, Thomas?» si informò. «Sì, milady. Sua Signoria è rientrata mezzora fa e adesso è in biblioteca.» «Grazie, Thomas.» Lorinda gettò il mantello su una sedia, incurante del-l'espressione inorridita del valletto di fronte al suo ab-bigliamento maschile. Attraversò il vestibolo dal pa-vimento di marmo e si diresse verso la biblioteca. Seduto allo scrittoio, al centro della stanza, suo pa-dre stava caricando una pistola. Il Conte di Camborne e Cardis alzò gli occhi, sorpre-so dall'ingresso della figlia. Era un bell'uomo con i capelli brizzolati e la carna-gione smorta di chi passava poco tempo all'aperto. Nel-le sale da gioco, l'aria era notoriamente viziata. Il conte depose la pistola con un gesto troppo fretto-loso per essere spontaneo, esclamando: «Non vi aspet-tavo di ritorno così presto, Lorinda!». «Che cos'è accaduto, papà? Non ditemi che dovete battervi a duello.» Suo padre non rispose e Lorinda an-dò verso la scrivania, abbassando lo sguardo su di lui. «Ditemelo, papà.» Per un istante il conte parve sul punto di rifiutare, poi si adagiò contro lo schienale della sedia dicendo in tono di sfida: «Volevo spararmi!». «State scherzando, vero?» «Ho perso tutto, Lorinda. Siamo rovinati.» Per un istante la fanciulla rimase in silenzio. Poi si lasciò cadere su una sedia di fronte a lui. «Raccontate-mi esattamente cos'è accaduto.» «Stavo giocando a carte con Charles Fox» iniziò a dire il conte.

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Lorinda strinse le labbra. Sapeva fin troppo bene che Charles Fox era l'avversario più pericoloso che suo pa-dre avrebbe potuto scegliere. Esponente di spicco dei liberali in Parlamento, orato-re avvincente, Charles Fox era dotato di un fascino straordinario nonostante fosse grasso, trasandato, roz-zo, con il doppio mento e ispide sopracciglia nere. Il re lo detestava, e proprio per questo lui era diven-tato intimo amico del Principe di Galles. Per un perio-do, il principe l'aveva addirittura idolatrato. Erede di un padre favolosamente ricco, Charles Fox aveva sviluppato una passione insaziabile per il gioco d'azzardo a Eton dove, appena sedicenne, aveva perdu-to insieme al fratello ben trentaduemila sterline in una sola sera! Che ironia, pensò Lorinda, che in una delle rare oc-casioni in cui la sorte aveva arriso a Charles Fox, fosse stato proprio suo padre a farne le spese. Le parole successive di Lord Camborne conferma-rono i suoi timori. «Stavo vincendo, Lorinda» raccontò il conte con voce stanca. «Vincevo una somma consi-derevole, poi d'un tratto la fortuna ha girato dalla parte di Fox. Pensavo che non sarebbe durata, e invece quando mi sono alzato dal tavolo non avevo più nien-te.» Per qualche minuto nella biblioteca non si sentì altro suono che lo scoppiettare del fuoco nel caminetto, poi Lorinda chiese con voce abbastanza ferma: «Quanto avete perduto?». «Centomila sterline!» Per molti gentiluomini che giocavano da White quel-la non era una cifra astronomica, ma Lorinda sapeva

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bene quanto suo padre che per loro significava la rovi-na. Possedevano ancora la casa di Londra e la residenza di famiglia in Cornovaglia, ma la rendita che ricavava-no da tale proprietà era modesta e se lei e il padre con-ducevano una vita lussuosa e stravagante, era solo per-ché avevano sempre pensato, con una buona dose di ottimismo, che "in qualche modo i soldi sarebbero sal-tati fuori". In sostanza, quando il conte aveva una serata felice al tavolo da gioco, Lorinda gli toglieva dalle tasche il denaro vinto prima che lui potesse giocarselo di nuovo. Prima di allora, tuttavia, suo padre non aveva mai perso una somma così esorbitante. «Mi resta una cosa sola da fare» annunciò il conte con voce roca. «Spararmi. Fox non potrà aspettarsi che saldi il mio debito se sarò morto.» «Sapete bene quanto me, papà» replicò Lorinda, «che essendo un debito d'onore, avrei il dovere morale di saldarlo io.» «Sul serio?» «Naturalmente. E se avete intenzione di lasciarmi da sola a rimettere insieme i cocci della mia vita, sappiate che lo considererei un gran brutto tiro da parte vostra.» Pronunciate quelle parole in tono sprezzante, si alzò in piedi e andò ad aprire le tende di pesante velluto. Fuori, le prime deboli strisce rosate dell'alba comincia-vano ad apparire sopra i tetti. «Pensavo» disse alle sue spalle il conte con voce in-certa, «che se morissi, Fox potrebbe cancellare il debi-to. Una soluzione facile, non credete?» «Facile per voi, ma non per me» osservò Lorinda

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sottovoce. «E i Camborne non sono mai stati dei vi-gliacchi.» «Maledizione, non vorrete darmi del codardo!» ri-batté suo padre in tono brusco. «Non riesco a immaginare niente di più vile che piantarmi qui così» replicò Lorinda. Suo padre spinse da parte la pistola con impazienza. «Se la mettete su questo piano, allora potreste cercare voi una soluzione.» «È ovvio, no?» Lorinda si voltò, tornando verso lo scrittoio. «Ebbene, non ci vedo niente di così ovvio.» «Non ci resta altro che vendere questa casa con tutto ciò che contiene. Dovrebbe fruttarci una cifra conside-revole. Dopodiché ci ritireremo in Cornovaglia.» «In Cornovaglia?» «Perché no? Finché non avremo venduto anche The Priory... sempre che qualcuno sia disposto a offrirci qualcosa per quel rudere.» Il conte calò il pugno sullo scrittoio con tanta forza da far rimbalzare il calamaio. «Non venderò quella che è stata la dimora della mia famiglia fin dall'epoca della conquista normanna!» gridò. «Anche se non è vincola-ta al titolo, nessun Camborne è mai caduto tanto in basso da vendere la casa natale dei suoi predecessori.» Lorinda si strinse nelle spalle. «Può darsi che sarete costretto a farlo, papà. Dubito che questa casa, con tut-to ciò che contiene, compresi i gioielli della mamma, possa fruttare più di cinquantamila sterline.» Il conte si nascose il viso tra le mani. «Oh... Dio!» proruppe. «Come ho fatto a essere tanto idiota?» «Le recriminazioni non ci porteranno da nessuna

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parte» replicò freddamente Lorinda. «Dobbiamo essere concreti, papà. Vale a dire che sarò io a occuparmi di tutto. Voi chiederete a Charles Fox una dilazione del pagamento. Non sarete certo in grado di versargli cen-tomila sterline entro il termine consueto di due setti-mane.» «Dovrò mettermi in ginocchio davanti a lui, oltre a tutte le altre umiliazioni che ho dovuto subire?» chiese il conte, contrariato. «Si tratta del vostro debito» gli ricordò Lorinda. Suo padre la guardò e l'espressione che lesse negli occhi verdi di Lorinda lo spinse a esclamare con furia: «Dio onnipotente! Potreste anche mostrarvi un po' più comprensiva! Non avete un briciolo di pietà per nessu-no». «Se proprio volete sapere la verità» rispose Lorinda, «vi disprezzo.» Fece una pausa e, vedendo che il padre non replicava, proseguì: «Vi disprezzo al pari di tutti gli altri uomini. Siete tutti uguali, tutti deboli quando si tratta del vostro piacere. Vi aspettate che le donne vi consolino quando vi comportate da stupidi e che pian-gano per i vostri misfatti. Ebbene, lasciatemi mettere bene in chiaro che io non intendo fare nessuna delle due cose». Raccolse la pistola dallo scrittoio e aggiun-se con sarcasmo: «Questa la porto con me; non mi fido di voi. Domani mi occuperò della vendita della nostra casa e cercherò di capire se posso ottenere un prezzo accettabile per i tesori raccolti dai nostri antenati e per i gioielli che davano tanto piacere a mia madre». Fece per uscire, poi si girò a guardare il padre, con la luce delle candele che faceva scintillare i suoi capelli rossi. «Se questa prospettiva vi è insopportabile» concluse

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con insolenza, «vi suggerisco di partire immediatamen-te per la Cornovaglia e di cominciare a mettere una parvenza di ordine nel rudere che ci è rimasto.» La mattina seguente Lorinda si svegliò dopo un son-no profondo e mentre la cameriera apriva le tende le tornò alla mente il compito che l'aspettava. Non si sentiva in preda al panico, come sarebbe suc-cesso a qualsiasi altra giovane donna, per le gravi diffi-coltà che avrebbe dovuto affrontare né per l'inadegua-tezza del padre davanti a un qualsiasi problema. Sua madre era morta quando lei aveva dodici anni. La ricordava con affetto, ma aveva sempre intuito di avere ben poco in comune con quella persona dolce e arrendevole che aveva posto il marito su un piedistallo ed era stata pronta ad accettare il suo precario stile di vita senza fare nulla per modificarlo. Lorinda doveva aver ereditato, seppure a distanza di tempo, le qualità dei suoi antenati Camborne che, in Cornovaglia, si erano battuti eroicamente contro innu-merevoli nemici. La Cornovaglia era stata l'ultima regione della Bri-tannia meridionale a sottomettersi agli invasori sassoni, e i Camborne avevano combattuto contro Re Egbert rifiutandosi di riconoscere la sua supremazia. Novant'anni dopo avevano aiutato Aethelred a cac-ciare i gallesi da Exeter, stabilendo il confine del loro territorio sul fiume Tamar. Nel corso dei secoli, i Camborne erano sempre stati fieri della loro indipendenza: avevano difeso la causa dei Lancaster e si erano distinti per il loro valore nell'e-sercito comandato da Sir Bevil Grenville, quando ave-

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va sconfitto i partigiani del Parlamento a Bradock. Nelle vene di Lorinda scorreva un fuoco che in suo padre sembrava del tutto estinto. Non si sottometteva ad alcuno e, fin dalla più tenera età, si era ribellata a ogni forma di autorità. «Lottate come una leonessa pur di non fare ciò che vi viene detto, come i guerrieri della Cornovaglia che combatterono ad Agincourt» era solita dirle la balia quando era bambina. E lottava ancora, in quel momento di avversità, non volendo accettare l'inevitabile come invece suo padre sembrava propenso a fare. Lorinda rimase in silenzio mentre la cameriera l'aiu-tava a vestirsi e le acconciava i capelli nella foggia vo-lutamente disordinata che sembrava creata per mettere in risalto il suo viso minuto, a forma di cuore. Lorinda non era bassa, anzi era più alta della media, eppure era così snella e aggraziata che gli uomini pro-vavano istintivamente il desiderio di proteggerla, per poi accorgersi che la sua volontà di ferro e il suo orgo-glio indomabile erano in netto contrasto con l'aspetto squisitamente femminile. Non si poteva negare che fosse bella, tuttavia, guar-dandosi allo specchio, Lorinda si chiese se la sua bel-lezza le avesse mai portato gioia. Era consapevole che, se avesse chiesto consiglio a una qualsiasi delle dame dell'alta società che tanto spesso l'avevano accompagnata ai ricevimenti su ri-chiesta di suo padre, da quando Lorinda aveva fatto il suo debutto, la risposta sarebbe stata invariabilmente la stessa: sposate un uomo ricco. Le sembrava quasi di sentire le loro voci pronunciare

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quelle parole, sapendo che per lei sarebbe stato fin troppo facile accettare Edward Hinton, Anthony Da-wlish, Christopher Conway o un altro qualunque dei giovani aristocratici che avevano deposto il loro cuore ai suoi piedi. Senza dubbio, pensò mentre finiva di abbigliarsi, le sarebbe bastato scrivere un biglietto per farli accorrere. Ma l'orgoglio, anche quello retaggio dei suoi antena-ti, la faceva inorridire alla prospettiva di sposare un uomo solo perché le faceva comodo. Scese le scale a testa alta, con in mente un vortice di idee e progetti, quasi fosse stata un comandante che andava in battaglia e non una donna che avrebbe dovu-to ignorare simili strategie. In biblioteca, scoprì che suo padre non era neppure andato a letto e dormiva nella poltrona dallo schienale alto presso il fuoco. Una caraffa vuota di fianco a lui la diceva lunga su come aveva trascorso la notte. Lorinda gli mise una mano sulla spalla, scuotendolo bruscamente. «Svegliatevi, papà!» Parlando con lui, poche ore prima, si era accorta che aveva bevuto parecchio, ma quello che aveva consu-mato dopo che lei era andata a dormire l'aveva lasciato con gli occhi iniettati di sangue e un inequivocabile o-lezzo di liquore addosso. «Svegliatevi, papà!» ripeté, e finalmente il conte aprì gli occhi. «Oh, siete voi, Lorinda! Che cosa volete?» «Che vi laviate e vi vestiate» rispose lei. «È mattina e, se volete, la colazione è pronta.» Il conte rabbrividì. «Datemi da bere.» Senza discutere, Lorinda gli versò del brandy dal

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vassoio pronto in un angolo della biblioteca e glielo portò con aria sdegnosa. Il conte lo prese, trangugiandolo d'un fiato. «Che ore sono?» «Le nove. Ebbene, andrete in Cornovaglia o rimarre-te qui con me? Vi avviso che dovrete comunque rinun-ciare alle comodità, perché intendo licenziare la servitù non appena avremo fatto colazione.» Rinfrancato dal liquore, il conte si alzò in piedi. Il sole entrava a fiotti dalle finestre, una delle quali si apriva sul piccolo giardino dietro la casa. Le aiuole e-rano un tripudio di fiori e Lorinda si scoprì a pensare a quanto era costato acquistarli e farli mettere a dimora dal giardiniere che veniva quattro volte alla settimana. «C'è... c'è qualcosa che non vi ho detto, stanotte» annunciò il conte dopo qualche istante. «Che cosa?» «Mi avete impedito di fare la cosa più onorevole, come avevo deciso» proseguì suo padre. «Quindi tanto vale che sappiate la verità.» «La verità?» chiese Lorinda in tono aspro. «Verso la fine della partita, mi hanno visto barare.» «Barare?» Quello di Lorinda era un grido più che un'esclama-zione. «Avevo bevuto molto ed ero disperato... non sono stato nemmeno troppo abile.» «In quanti vi hanno visto?» «Fox e altri tre membri di White che erano al tavolo. Sono tutti miei amici e credo che terranno la bocca chiusa, ma per qualche mese è meglio che non mi fac-cia vedere.»

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Quello era un colpo che Lorinda non si aspettava. Sapeva bene che un uomo scoperto a barare veniva e-scluso dai suoi pari e diventava un reietto. Esisteva la possibilità, molto remota, che essendo suo padre molto popolare, coloro che l'avevano visto barare l'avrebbero giudicato un incidente dovuto al troppo bere e non l'avrebbero reso pubblico. Ma il con-te aveva ragione dicendo che non avrebbe potuto ri-mettere piede da White per parecchio tempo. Per un istante si pentì quasi di non avergli permesso di togliersi la vita, visto che quella era la strada più o-norevole che un uomo sorpreso a barare potesse pren-dere. Poi però si disse che sarebbe stata una soluzione forse ancor più vile. «Non vi resta altro da fare, papà» dichiarò con voce sicura, quasi normale, «che partire immediatamente per la Cornovaglia. Prendete con voi un valletto, quello che preferite, e due cavalli dei migliori. Il resto sarà messo in vendita.» Poi, in tono più impersonale, con-cluse: «Vi porterò io il resto dei vostri effetti personali con la carrozza da viaggio». «E il mio phaeton?» «È il più nuovo dei veicoli che possediamo, e ci frut-terà una discreta sommetta. Mi dispiace, ma dovrà re-stare qui. Adesso vado a fare colazione, poi parlerò con il personale. Se avete bisogno di me, mi troverete in sa-lotto.» Andò alla porta e quando fu sulla soglia sentì suo padre sussurrare: «Mi dispiace, Lorinda».

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Lorinda guardò il tavolo del vestibolo con un sorriso ironico. Sembrava incredibile che fino a una settimana prima fosse stato coperto di biglietti da visita, inviti e mazzi di fiori lasciati da ardenti ammiratori, mentre ora era completamente spoglio. Se c'era qualcosa in grado di farle detestare gli uo-mini più di quanto già non fosse, era ciò che aveva spe-rimentato quando si era sparsa la voce che il Conte di Camborne e Cardis era rovinato. Lorinda si era aspettata una reazione del genere, ma era stato comunque un trauma. Il giorno successivo al ricevimento di Hampstead Heath, aveva ricevuto la consueta quantità di bigliettini adulatori e una profusione di fiori, mentre il batacchio della porta non si era fermato un istante. Suo padre non era in condizione di mettersi in viag-gio, ma lei l'aveva costretto a scrivere una lettera a Charles Fox per informarlo che il debito sarebbe stato pagato al più presto, e che il ricavato della vendita del-la casa sarebbe stato consegnato a lui direttamente dal-l'impresa incaricata di portare a termine la vendita dei loro beni.

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«Sarà fortunato se mai riuscirà a incassare il resto!» aveva brontolato tra sé il conte finendo di scrivere la lettera. «Non posso permettere che siate considerato insol-vente» aveva replicato Lorinda. «In qualche modo tro-veremo il denaro, a costo di metterci tutta la vita.» Il conte si era versato da bere imprecando sottovoce. Due giorni dopo era partito per la Cornovaglia, portan-dosi il valletto più affidabile e due ottimi cavalli. Lorinda riteneva che perfino quella piccola conces-sione costituisse una frode nei confronti dell'uomo al quale dovevano così tanto denaro, ma tenne quell'opi-nione per sé. Pensò soltanto, mentre suo padre si allon-tanava, che era proprio tipico da parte sua non chieder-le neppure come se la sarebbe cavata senza di lui. A dire il vero il conte sarebbe stato più d'impiccio che d'aiuto, ma l'impegno di vendere la casa e imballa-re tutto ciò che doveva essere trasportato in Cornova-glia era immane. Due domestici anziani, che erano con loro da molto tempo, avevano accettato di aiutare Lorinda fino a quando non fosse partita per raggiungere il padre. Il re-sto del personale era stato licenziato e lei aveva fornito a ciascuno delle referenze brillanti, perché potessero trovare facilmente un altro impiego. L'impresa a cui aveva affidato l'incarico di vendere la casa era convinta di poter spuntare una somma con-siderevole, e lei era stata felice di scoprirlo. Temeva che una casa così grande sarebbe stata diffi-cilmente collocabile, invece quasi subito le agenzie immobiliari cominciarono a mandare dei possibili ac-quirenti a visitarla. Lei aveva la sensazione che l'edifi-

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cio sarebbe stato trasformato in una casa da gioco, tut-tavia non pensava certo di opporsi. Diversi quadri preziosi e i mobili che non erano stati rovinati dal tempo sarebbero stati venduti a parte, ma lei e suo padre non avevano mai potuto permettersi di sostituire i tappeti logori o le tende consunte e quelli, dunque, non avrebbero fruttato neanche un penny. Se anche fosse stata incline a farsi prendere dalla malinconia per ciò che stava succedendo, avrebbe avu-to ben poco tempo per farlo. I domestici continuavano a sottoporre alla sua atten-zione degli oggetti per sapere se dovessero essere im-ballati o lasciati a Londra, e gli uomini che stavano fa-cendo l'inventario di ciò che sarebbe andato all'asta e numerando i lotti, sembravano sempre tra i piedi. Una cosa aveva profondamente ferito Lorinda, anche se non l'avrebbe ammesso neanche con se stessa: il comportamento di Lord Edward Hinton. Nonostante l'avesse sempre trattato con durezza, tro-vandosi in difficoltà aveva ricordato le sue profferte d'amore, immaginando che almeno lui le sarebbe rima-sto fedele, mentre tutti gli altri le avevano voltato le spalle. Invece, due giorni dopo la festa a Hampstead Heath, aveva ricevuto da lui un biglietto. Lorinda, a causa di circostanze indipendenti dalla mia volontà, sono costretto a lasciare Londra. Sapete bene quali siano stati i miei sentimenti per voi nell'ultimo anno e, anche se avete messo bene in chiaro che non significo nulla per voi, non potevo andarmene senza almeno un saluto.

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Questo volume è stato stampato nel gennaio 2010 presso la Mondadori Printing S.p.A.

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