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ANNO XXII NUMERO 104 - PAG 1 IL FOGLIO QUOTIDIANO GIOVEDÌ 4 MAGGIO 2017 L a dialettica ricœuriana, la sua esigenza e il suo rifiuto del pensiero semplice ispireranno il ragazzo di Amiens. Tuttavia, stando accanto al filosofo, prenderà an- che coscienza di non avere intenzione di sacrificare la pro- pria vita a un’attività esclusivamente intellettuale, astratta, senza un ancoraggio nella realtà, ma di voler agire, di anda- re in battaglia: “Avrei mai capito, senza di lui che non ero fatto per una vita speculativa? (…) Non ho mai amato i luo- ghi chiusi”. Tranne la casa della nonna materna, Germaine Noguès, detta Manette, dove amava trascorrere i suoi po- meriggi adolescenziali, leggendo ad alta voce André Gide, Jean Giono, Albert Camus, Jean Cocteau, Colette, e dove scoprì una passione per la letteratura che lo spinse, a 16 anni, a voler essere “scrittore”. Fino ai 18 anni, si sente più letterato che filosofo. “I nutrimenti terrestri” di Gide e “Nozze a Tipasa” di Camus sono i suoi breviari: il primo, per avergli mostrato il cam- mino che porta dalla dimensione cerebrale a una sensuali- tà debordante, come racconterà in un’intervista di confes- sioni letterarie al settimanale Obs, il secondo dalla sen- sualità a l’intelletto puro. Ma il destino, tre anni dopo, lo condurrà sulle tracce della filosofia, all’università di Nan- terre, dove si consacrerà all’opera di Hegel e Machiavelli. Tra i professori che hanno segnato il percorso universi- tario del fondatore di En Marche!, spicca su tutti Étienne Balibar, filosofo marxista allievo di Louis Althusser, che fu uno dei grandi strutturalisti degli anni Sessanta, accanto a Michel Foucault. “Ho seguito i suoi corsi, che erano degli esercizi filosofici assai unici. Vero e proprio pozzo di scienza, spiegava un concetto per due ore. Nel corso suc- cessivo, per riprendere il filo, si lanciava generalmente in un’introduzione che durava un’ora e mezza e che consiste- va nel rivisitare il corso precedente. Ho frequentato le sue lezioni per tre o quattro anni e redatto sotto la sua direzio- ne un lavoro su Machiavelli. E’ in quel momento che ho abbandonato la metafisica per la filosofia politica (…) Ciò mi permetteva di mettere in relazione lo spazio teorico filosofico e la realtà. La filosofia politica permette effetti- vamente di mettere in tensione la realtà con dei concetti, di illuminarla grazie alla loro luce”. Durante i suoi studi a Nanterre, sublimati dagli incontri quotidiani con Ricœur, si renderà conto, anzitutto, che la filosofia è necessaria all’azione politica: “Aiuta a costrui- re. Dà un senso a ciò che, altrimenti, è soltanto un magma di atti e di discorsi. E’ una disciplina che non vale nulla senza il confronto con la realtà. E la realtà non vale nulla senza la sua capacità di risalire al concetto. Bisogna dun- que accettare di vivere in una zona intermedia fatta di impurità nella quale non si è mai un pensatore sufficiente- mente brillante per il filosofo, e si è sempre percepiti come troppo astratti per affrontare la realtà. Bisogna essere in questa zona intermedia. Penso che questo sia lo spazio del- la politica”. Lo spessore filosofico del futuro ministro dell’Economia e il suo ruolo di assistente editoriale per “La memoria, la storia, l’oblio” sono stati messi in discussione da alcuni professori universitari e pensatori, tra cui Myriam Revault d’Allonnes, membro del consiglio scientifico del Fonds Ricœur, che hanno accusato il ragazzo di Amiens di aver impreziosito esageratamente il suo rapporto con il filoso- fo, che sarebbe stato, a loro detta, puramente tecnico. Ma Olivier Mongin, direttore di Esprit dal 1988 al 2012 e amico di lunga data di Ricœur, ha assicurato che la loro relazione intellettuale era assolutamente reale e la “solidità filosofi- ca” del fondatore di En Marche! è “incontestabile”. L’idea ricœuriana di una capacità propria agli individui di “libe- rare delle potenzialità”, lontano dai determinismi sociali, verrà ripresa da Macron per sviluppare il suo discorso sul- la “società della mobilità”, in opposizione alla società del- le rendite di posizione, degli status sociali troppo rigidi, degli insiders del mercato del lavoro iperprotetti. Accanto a questo, condividerà con il filosofo la convinzione che la deliberazione politica e la cultura del dissenso nello spa- zio democratico siano una virtù, concretizzando il suo ane- lito di dissidenza con En Marche!. “Credo all’ideologia po- litica. L’ideologia, è una costruzione intellettuale che illu- mina la realtà dandole un senso, e che dà una direzione alla vostra azione. E’ un lavoro di formalizzazione della realtà. L’animale politico ha bisogno di dare un senso alla sua azione. Questa ideologia deve essere presa in una tec- nica deliberativa, confrontarsi senza sosta con il reale, adattarsi, rivisitare permanentemente i suoi principi. Pen- so che la verità politica non possa costruirsi in una verità unica né in uno spazio di relativismo assoluto, che è una tendenza dell’epoca. Non è così. Ci sono delle verità, delle contro-verità, ci sono cose che possono essere messe in discussione. Tutte le idee non si equivalgono!”, dirà nel luglio 2015, quando il suo movimento politico non era anco- ra nato. La creazione di En Marche! partirà dalla constatazione che i partiti, oggi, non si fondano più su una base ideologi- ca, ma “vivono su una base di appartenenza e sulla rima- nenza retinica di qualche idea”: “Cosa significa esse- re...‘Repubblicani’ oggi – è strano da dire, no? Avere una carta e pagare la propria quota, e anche sostenere degli uomini. Essere d’accordo con un corpus ideologico composto da molti malintesi, in un momento in cui le idee sono state ampiamente abbandonate dai partiti politici. Fatto che spiega perché mobili- tano meno”. Già quando si iscrive al Partito socialista, a 24 anni, la situazio- ne “era così” – aggiunge –. E’ così da di- versi decenni. Ciò che è strano oggi, è che lo spazio del dibattito critico è mes- so da parte. Gli intellettuali si sono ri- piegati nel campo universitario e si so- no specializzati nella loro disciplina. I politici, invece, si sono riconcentrati sui valori, ossia su un rapporto molto più emotivo e acritico dell’opinione”. Per rialzare la politica al livello del pensiero, come voleva Ricœur, “c’è molto lavoro da fare”, dirà Macron. E una “scommessa fol- le”, En Marche!: “Sono un idealista, insieme determinato e pragmatico. Lo sono nella mia vita privata, nella vita politi- ca, nella mia vita sociale. E’ un idealismo romantico, che dà la forza del coraggio e dell’azione (…) L’idealismo non è una fantasticheria, è un’esigenza. E’ costringersi, darsi l’opportunità di agire. Anche se le missioni da compiere sono difficili o sembrano impossibili. La mia storia perso- nale è intrisa di questo”. Il ministro uberizzatore E’ già tutto pronto. I corsi sul tema del “riformismo in Europa” che dispenserà una volta alla settimana alla London School of Economics e alla Hertie School of Gover- nance di Berlino, il nome della società di consulenza finan- ziaria che ha messo in piedi in estate, Macron Partners, la start-up dedicata all’insegnamento che ha progettato con l’amico Ismaël Eme- lien, senza dimenticare i libri da finire e la famiglia con cui potrà trascorrere, finalmente, più tempo. Ma il 26 agosto 2014, mentre si trova sulla spiaggia del Touquet con la moglie Brigitte, arriva la chiamata che stravolgerà tutti i piani: dall’altro lato della cornetta c’è Fran- çois Hollande, che lo ha scelto come prossimo ministro dell’Economia. E pensare che soltanto pochi giorni prima, Macron e consorte erano ancora negli Stati Uniti, nella costa Ovest, per visitare la Silicon Valley e recuperare le energie lontano dal microcosmo pa- rigino. Scesi a Los Angeles avevano in- contrato Xavier Niel, presidente del gruppo delle telecomunicazioni Iliad e azionista di Le Monde, che con tono scherzoso aveva chiesto all’ex consi- gliere di Hollande: “Non ritornerai mica in politica vero?”. “Mai”, gli risponderà Macron. “Sì invece, ci ritornerà”, lo corregge Brigitte. Avrà ragione quest’ultima. Non ci sarà nessun corso di economia a Londra, nessuna start-up sul- l’insegnamento, nessuna società di consulenza finanziaria, bensì un inaspettato ritorno in politica, e non in un posto qualsiasi: a capo di Bercy, nel ministero faro del governo. Fino a quel giorno, il fondatore di En Marche! era stato soltanto un tecnocrate. Brillante, certo, ma relegato co- munque al semplice ruolo di consigliere, non di decisore. Da vice segretario generale dell’Eliseo, era rimasto pro- fondamente deluso dall’inerzia della macchina governati- va, dall’incapacità del presidente di prendere decisioni definitive e avviare le riforme strutturali di cui il Paese aveva bisogno. E frustrazione dopo frustrazione aveva de- ciso di fare i bagagli all’inizio dell’estate. Ma a fine agosto il telefono squilla. “Mi sarà concesso spazio per fare le riforme?”, chiede subito a Hollande. Si prende un’ora di riflessione. Poi, improvvisamente arriva anche la chiama- ta di Valls, allora primo ministro. Macron ripete la doman- da sulle “riforme”, l’inquilino di Matignon rassicura il gio- vane di Amiens che avrà libertà di manovra, e nel giro di poche ore è già a Parigi. Il giorno dopo, alle 9.30, c’è il passaggio delle consegne con Arnaud Montebourg, e alle 10 il primo consiglio dei ministri. Senza mai essere stato eletto, senza un partito alle spalle, senza nemmeno la mili- tanza che contraddistingue la carriera classica di un politi- co, il 36enne di Amiens si ritrova ai posti di comando per decidere la politica economica del Paese. “Sono sempre stato interessato all’azione politica. Ma non sono mai stato attirato, né a mio agio nel campo della rappresentazione politica classica. Non ci sono arrivato subito dopo essere uscito dall’ENA, per esempio. Ci ho pensato, certo, ma tro- vavo che fosse poco stimolante. Sono arrivato nel 2012 per le coincidenze della vita. Volevo fare politica più tardi!”, racconterà. La sua nomina al posto dello statalista Montebourg, por- tabandiera della “demondializzazione” e difensore della linea anti-austerity, è il simbolo della svolta social-libera- le che il duo Hollande-Valls vuole imprimere al Paese, ma che la sinistra di governo fatica a digerire. Per i giacobini, il neoeletto ministro è un concentrato di tutto ciò che odia- no e che secondo loro è contrario agli ideali storici della sinistra: è liberale, è un ex banchiere d’affari, dice che lo status dei funzionari “non è più adeguato”, che “essere eletti è un curriculum d’altri tempi”, difende la distruzio- ne creatrice di Uber et similia e pensa che la regola delle 35 ore lavorative, santuario inviolabile della gauche para- gonabile al nostro articolo 18, sia oramai superata. Ad aggravare la situazione, il giorno dopo la sua entrata a Bercy, appare un’intervista che aveva rilasciato al diret- tore del settimanale Le Point, Étienne Gernelle, prima del- la sua nomina. Gernelle voleva un punto di vista social- liberale per arricchire il numero che aveva in mente inti- tolato “Chi può salvare la Francia?”, e aveva pensato a Macron, il quale, libero dai vincoli politici e concentrato sui suoi progetti di professore e imprenditore, aveva detto tutto, ma proprio tutto quello che pensava, senza infingi- menti. Il socialismo? “Lì dove essere socialista consisteva nell’estendere sempre i diritti formali dei lavoratori, la realtà ci invita a riflettere sui diritti reali di tutti, compresi e soprattutto di quelli che non hanno un lavoro”. L’econo- mia francese? “Soffriamo di due problemi specifici ed en- demici: la nostra competitività, particolarmente degrada- ta, e il nostro deficit di bilancio (…) Per questo la chiave del rilancio sta nel liberare le energie per creare l’attivi- tà”. Le 35 ore? “Potremmo autorizzare le imprese e i setto- ri, nel quadro di accordi maggioritari, a derogare alle rego- le di durata dell’orario di lavoro e di remunerazione. E’ già possibile per le imprese in difficoltà. Perché non estender- lo a tutte le imprese, a condizione che ci sia un accordo maggioritario con i dipendenti? Bisogna uscire da questa trappola dove l’accumulo dei diritti dati ai lavoratori si trasforma in altrettanti handicap per coloro che non hanno un lavoro”. Ecco, in pillole, quello che in poco tempo verrà definito il “macronismo”: l’idea di sviluppare delle oppor- tunità a favore delle persone escluse dal sistema, partendo da un’analisi della società divisa in insiders e outsiders. “Esistono tre strati nel Paese. Anzitutto, ci sono le élite politico-economiche e giornalistiche in stato di nevrosi. Guardano il loro Paese attraverso un prisma negativo per- ché non sanno più vederlo così com’è. In seguito, la gioven- tù, polarizzata tra un’enorme attesa e una disperazione profonda. Voglio attivare questi giovani, permettendo loro di darsi un futuro. Infine c’è una Francia che pensa che la mondializzazione sia soltanto un rischio, una perdita. Sono le zone del declassamento che non riescono a proiettarsi in questi nuovi equilibri. E’ necessario proteggerle e spiegar- glielo. La situazione non migliorerà fino a quando non avremo riconciliato questi tre stati della Francia” , spie- gherà l’allora ministro dell’Economia. (segue nel retro) Macron. La rivoluzione liberale francese . Un libro a puntate MINISTRO DI RUPTURE Le lezioni di Balibar, il lavoro su Machiavelli. “Ho abbandonato allora la metafisica per la filosofia politica”. Il 26 agosto 2014 la chiamata di Hollande: all’Economia al posto dello statalista Montebourg di Mauro Zanon Il libro Quarta puntata di “Macron. La ri- voluzione liberale francese”, il libro di Mauro Zanon, collaboratore del Foglio da Parigi, che sarà a giorni in libreria, edito da Marsilio nella colla- na Ancora. In attesa del secondo turno delle presidenziali francesi, il libro spiega il fenomeno che ha cam- biato lo scenario politico a Parigi e in Europa. La storia di Emmanuel Ma- cron è accompagnata da un’intervi- sta esclusiva al candidato all’Eliseo. La prefazione è di Giuliano Ferrara. Dietro un vetro dell’Eliseo, il primo ministro Valls, di spalle, il presidente Hollande e Macron, ministro dell’Economia, nel dicembre 2014

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ANNO XXII NUMERO 104 - PAG 1 IL FOGLIO QUOTIDIANO GIOVEDÌ 4 MAGGIO 2017

La dialettica ricœuriana, la sua esigenza e il suo rifiutodel pensiero semplice ispireranno il ragazzo di

Amiens. Tuttavia, stando accanto al filosofo, prenderà an-che coscienza di non avere intenzione di sacrificare la pro-pria vita a un’attività esclusivamente intellettuale, astratta,senza un ancoraggio nella realtà, ma di voler agire, di anda-re in battaglia: “Avrei mai capito, senza di lui che non erofatto per una vita speculativa? (…) Non ho mai amato i luo-ghi chiusi”. Tranne la casa della nonna materna, GermaineNoguès, detta Manette, dove amava trascorrere i suoi po-meriggi adolescenziali, leggendo ad alta voce André Gide,Jean Giono, Albert Camus, Jean Cocteau, Colette, e dovescoprì una passione per la letteratura che lo spinse, a 16anni, a voler essere “scrittore”.

Fino ai 18 anni, si sente più letterato che filosofo. “Inutrimenti terrestri” di Gide e “Nozze a Tipasa” di Camussono i suoi breviari: il primo, per avergli mostrato il cam-mino che porta dalla dimensione cerebrale a una sensuali-tà debordante, come racconterà in un’intervista di confes-sioni letterarie al settimanale Obs, il secondo dalla sen-sualità a l’intelletto puro. Ma il destino, tre anni dopo, locondurrà sulle tracce della filosofia, all’università di Nan-terre, dove si consacrerà all’opera di Hegel e Machiavelli.

Tra i professori che hanno segnato il percorso universi-tario del fondatore di En Marche!, spicca su tutti ÉtienneBalibar, filosofo marxista allievo di Louis Althusser, che fuuno dei grandi strutturalisti degli anni Sessanta, accanto aMichel Foucault. “Ho seguito i suoi corsi, che erano degliesercizi filosofici assai unici. Vero e proprio pozzo discienza, spiegava un concetto per due ore. Nel corso suc-cessivo, per riprendere il filo, si lanciava generalmente inun’introduzione che durava un’ora e mezza e che consiste-va nel rivisitare il corso precedente. Ho frequentato le suelezioni per tre o quattro anni e redatto sotto la sua direzio-ne un lavoro su Machiavelli. E’ in quel momento che hoabbandonato la metafisica per la filosofia politica (…) Ciòmi permetteva di mettere in relazione lo spazio teoricofilosofico e la realtà. La filosofia politica permette effetti-vamente di mettere in tensione la realtà con dei concetti,di illuminarla grazie alla loro luce”.

Durante i suoi studi a Nanterre, sublimati dagli incontriquotidiani con Ricœur, si renderà conto, anzitutto, che lafilosofia è necessaria all’azione politica: “Aiuta a costrui-re. Dà un senso a ciò che, altrimenti, è soltanto un magmadi atti e di discorsi. E’ una disciplina che non vale nullasenza il confronto con la realtà. E la realtà non vale nullasenza la sua capacità di risalire al concetto. Bisogna dun-que accettare di vivere in una zona intermedia fatta diimpurità nella quale non si è mai un pensatore sufficiente-mente brillante per il filosofo, e si è sempre percepiti cometroppo astratti per affrontare la realtà. Bisogna essere inquesta zona intermedia. Penso che questo sia lo spazio del-la politica”.

Lo spessore filosofico del futuro ministro dell’Economiae il suo ruolo di assistente editoriale per “La memoria, lastoria, l’oblio” sono stati messi in discussione da alcuniprofessori universitari e pensatori, tra cui Myriam Revaultd’Allonnes, membro del consiglio scientifico del FondsRicœur, che hanno accusato il ragazzo di Amiens di averimpreziosito esageratamente il suo rapporto con il filoso-fo, che sarebbe stato, a loro detta, puramente tecnico. MaOlivier Mongin, direttore di Esprit dal 1988 al 2012 e amicodi lunga data di Ricœur, ha assicurato che la loro relazioneintellettuale era assolutamente reale e la “solidità filosofi-ca” del fondatore di En Marche! è “incontestabile”. L’idearicœuriana di una capacità propria agli individui di “libe -rare delle potenzialità”, lontano dai determinismi sociali,verrà ripresa da Macron per sviluppare il suo discorso sul-la “società della mobilità”, in opposizione alla società del-le rendite di posizione, degli status sociali troppo rigidi,degli insiders del mercato del lavoro iperprotetti. Accantoa questo, condividerà con il filosofo la convinzione che ladeliberazione politica e la cultura del dissenso nello spa-zio democratico siano una virtù, concretizzando il suo ane-lito di dissidenza con En Marche!. “Credo all’ideologia po-litica. L’ideologia, è una costruzione intellettuale che illu-mina la realtà dandole un senso, e che dà una direzionealla vostra azione. E’ un lavoro di formalizzazione dellarealtà. L’animale politico ha bisogno di dare un senso allasua azione. Questa ideologia deve essere presa in una tec-nica deliberativa, confrontarsi senza sosta con il reale,adattarsi, rivisitare permanentemente i suoi principi. Pen-so che la verità politica non possa costruirsi in una veritàunica né in uno spazio di relativismo assoluto, che è una

tendenza dell’epoca. Non è così. Ci sono delle verità, dellecontro-verità, ci sono cose che possono essere messe indiscussione. Tutte le idee non si equivalgono!”, dirà nelluglio 2015, quando il suo movimento politico non era anco-ra nato.

La creazione di En Marche! partirà dalla constatazioneche i partiti, oggi, non si fondano più su una base ideologi-ca, ma “vivono su una base di appartenenza e sulla rima-nenza retinica di qualche idea”: “Cosa significa esse-re...‘Repubblicani’ oggi – è strano da dire, no? Avere unacarta e pagare la propria quota, e anche sostenere degliuomini. Essere d’accordo con un corpusideologico composto da molti malintesi,in un momento in cui le idee sono stateampiamente abbandonate dai partitipolitici. Fatto che spiega perché mobili-tano meno”. Già quando si iscrive alPartito socialista, a 24 anni, la situazio-ne “era così” – aggiunge –. E’ così da di-versi decenni. Ciò che è strano oggi, èche lo spazio del dibattito critico è mes-so da parte. Gli intellettuali si sono ri-piegati nel campo universitario e si so-no specializzati nella loro disciplina. Ipolitici, invece, si sono riconcentrati suivalori, ossia su un rapporto molto piùemotivo e acritico dell’opinione”.

Per rialzare la politica al livello delpensiero, come voleva Ricœur, “c’èmolto lavoro da fare”, dirà Macron. E una “scommessa fol-le”, En Marche!: “Sono un idealista, insieme determinato epragmatico. Lo sono nella mia vita privata, nella vita politi-ca, nella mia vita sociale. E’ un idealismo romantico, chedà la forza del coraggio e dell’azione (…) L’idealismo non èuna fantasticheria, è un’esigenza. E’ costringersi, darsi

l’opportunità di agire. Anche se le missioni da compieresono difficili o sembrano impossibili. La mia storia perso-nale è intrisa di questo”.

Il ministro uberizzatore

E’già tutto pronto. I corsi sul tema del “riformismo inEuropa” che dispenserà una volta alla settimana alla

London School of Economics e alla Hertie School of Gover-nance di Berlino, il nome della società di consulenza finan-ziaria che ha messo in piedi in estate, Macron Partners, la

start-up dedicata all’insegnamento cheha progettato con l’amico Ismaël Eme-lien, senza dimenticare i libri da finiree la famiglia con cui potrà trascorrere,finalmente, più tempo. Ma il 26 agosto2014, mentre si trova sulla spiaggia delTouquet con la moglie Brigitte, arriva lachiamata che stravolgerà tutti i piani:dall’altro lato della cornetta c’è Fran-çois Hollande, che lo ha scelto comeprossimo ministro dell’Economia.

E pensare che soltanto pochi giorniprima, Macron e consorte erano ancoranegli Stati Uniti, nella costa Ovest, pervisitare la Silicon Valley e recuperarele energie lontano dal microcosmo pa-rigino. Scesi a Los Angeles avevano in-contrato Xavier Niel, presidente del

gruppo delle telecomunicazioni Iliad e azionista di LeMonde, che con tono scherzoso aveva chiesto all’ex consi-gliere di Hollande: “Non ritornerai mica in politica vero?”.“Mai”, gli risponderà Macron. “Sì invece, ci ritornerà”, locorregge Brigitte. Avrà ragione quest’ultima. Non ci sarànessun corso di economia a Londra, nessuna start-up sul-

l’insegnamento, nessuna società di consulenza finanziaria,bensì un inaspettato ritorno in politica, e non in un postoqualsiasi: a capo di Bercy, nel ministero faro del governo.

Fino a quel giorno, il fondatore di En Marche! era statosoltanto un tecnocrate. Brillante, certo, ma relegato co-munque al semplice ruolo di consigliere, non di decisore.Da vice segretario generale dell’Eliseo, era rimasto pro-fondamente deluso dall’inerzia della macchina governati-va, dall’incapacità del presidente di prendere decisionidefinitive e avviare le riforme strutturali di cui il Paeseaveva bisogno. E frustrazione dopo frustrazione aveva de-ciso di fare i bagagli all’inizio dell’estate. Ma a fine agostoil telefono squilla. “Mi sarà concesso spazio per fare leriforme?”, chiede subito a Hollande. Si prende un’ora diriflessione. Poi, improvvisamente arriva anche la chiama-ta di Valls, allora primo ministro. Macron ripete la doman-da sulle “riforme”, l’inquilino di Matignon rassicura il gio-vane di Amiens che avrà libertà di manovra, e nel giro dipoche ore è già a Parigi. Il giorno dopo, alle 9.30, c’è ilpassaggio delle consegne con Arnaud Montebourg, e alle10 il primo consiglio dei ministri. Senza mai essere statoeletto, senza un partito alle spalle, senza nemmeno la mili-tanza che contraddistingue la carriera classica di un politi-co, il 36enne di Amiens si ritrova ai posti di comando perdecidere la politica economica del Paese. “Sono semprestato interessato all’azione politica. Ma non sono mai statoattirato, né a mio agio nel campo della rappresentazionepolitica classica. Non ci sono arrivato subito dopo essereuscito dall’ENA, per esempio. Ci ho pensato, certo, ma tro-vavo che fosse poco stimolante. Sono arrivato nel 2012 perle coincidenze della vita. Volevo fare politica più tardi!”,racconterà.

La sua nomina al posto dello statalista Montebourg, por-tabandiera della “demondializzazione” e difensore dellalinea anti-austerity, è il simbolo della svolta social-libera-le che il duo Hollande-Valls vuole imprimere al Paese, mache la sinistra di governo fatica a digerire. Per i giacobini,il neoeletto ministro è un concentrato di tutto ciò che odia-no e che secondo loro è contrario agli ideali storici dellasinistra: è liberale, è un ex banchiere d’affari, dice che lostatus dei funzionari “non è più adeguato”, che “essereeletti è un curriculum d’altri tempi”, difende la distruzio-ne creatrice di Uber et similia e pensa che la regola delle35 ore lavorative, santuario inviolabile della gauche para-gonabile al nostro articolo 18, sia oramai superata.

Ad aggravare la situazione, il giorno dopo la sua entrataa Bercy, appare un’intervista che aveva rilasciato al diret-tore del settimanale Le Point, Étienne Gernelle, prima del-la sua nomina. Gernelle voleva un punto di vista social-liberale per arricchire il numero che aveva in mente inti-tolato “Chi può salvare la Francia?”, e aveva pensato aMacron, il quale, libero dai vincoli politici e concentratosui suoi progetti di professore e imprenditore, aveva dettotutto, ma proprio tutto quello che pensava, senza infingi-menti. Il socialismo? “Lì dove essere socialista consistevanell’estendere sempre i diritti formali dei lavoratori, larealtà ci invita a riflettere sui diritti reali di tutti, compresie soprattutto di quelli che non hanno un lavoro”. L’econo -mia francese? “Soffriamo di due problemi specifici ed en-demici: la nostra competitività, particolarmente degrada-ta, e il nostro deficit di bilancio (…) Per questo la chiavedel rilancio sta nel liberare le energie per creare l’attivi -tà”. Le 35 ore? “Potremmo autorizzare le imprese e i setto-ri, nel quadro di accordi maggioritari, a derogare alle rego-le di durata dell’orario di lavoro e di remunerazione. E’ giàpossibile per le imprese in difficoltà. Perché non estender-lo a tutte le imprese, a condizione che ci sia un accordomaggioritario con i dipendenti? Bisogna uscire da questatrappola dove l’accumulo dei diritti dati ai lavoratori sitrasforma in altrettanti handicap per coloro che non hannoun lavoro”. Ecco, in pillole, quello che in poco tempo verràdefinito il “macronismo”: l’idea di sviluppare delle oppor-tunità a favore delle persone escluse dal sistema, partendoda un’analisi della società divisa in insiders e outsiders.“Esistono tre strati nel Paese. Anzitutto, ci sono le élitepolitico-economiche e giornalistiche in stato di nevrosi.Guardano il loro Paese attraverso un prisma negativo per-ché non sanno più vederlo così com’è. In seguito, la gioven-tù, polarizzata tra un’enorme attesa e una disperazioneprofonda. Voglio attivare questi giovani, permettendo lorodi darsi un futuro. Infine c’è una Francia che pensa che lamondializzazione sia soltanto un rischio, una perdita. Sonole zone del declassamento che non riescono a proiettarsi inquesti nuovi equilibri. E’ necessario proteggerle e spiegar-glielo. La situazione non migliorerà fino a quando nonavremo riconciliato questi tre stati della Francia” , spie-gherà l’allora ministro dell’Economia. (segue nel retro)

Macron. La rivoluzione liberalefrancese. Un libro a puntate

MINISTRO DI RUPTURE

Le lezioni di Balibar, il lavoro su Machiavelli. “Hoabbandonato allora la metafisica per la filosofia

politica”. Il 26 agosto 2014 la chiamata di Hollande:all’Economia al posto dello statalista Montebourg

di Mauro Zanon

Il libroQuarta puntata di “Macron. La ri-

voluzione liberale francese”, il librodi Mauro Zanon, collaboratore delFoglio da Parigi, che sarà a giorni inlibreria, edito da Marsilio nella colla-na Ancora. In attesa del secondoturno delle presidenziali francesi, illibro spiega il fenomeno che ha cam-biato lo scenario politico a Parigi e inEuropa. La storia di Emmanuel Ma-cron è accompagnata da un’intervi -sta esclusiva al candidato all’Eliseo.La prefazione è di Giuliano Ferrara.

Dietro un vetro dell’Eliseo, il primoministro Valls, di spalle, ilpresidente Hollande e Macron,ministro dell’Economia, neldicembre 2014

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ANNO XXII NUMERO 104 - PAG 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO GIOVEDÌ 4 MAGGIO 2017

Mettere in discussione uno dopol’altro i feticci inattaccabili della sini-stra, significava inimicarsi a vita lacorrente ortodossa. Ma a Macron,questo fatto importava ben poco. “Ap -partengo a una generazione che non èprigioniera dei dogmi. Essere di sini-stra vuol dire essere efficaci persbloccare ciò che paralizza l’econo -mia. Stare sul fronte, lottare per di-fendere le aziende, l’artigianato, l’e-conomia sociale e solidale”, dirà alNouvel Observateur. E ancora: “Nonè vietato essere di sinistra e di buonsenso. Se non si produce, dice da sem-pre mia nonna, non c’è niente da di-stribuire”. Le affermazioni dell’allo -ra ministro dell’Economia troveran-no d’accordo il premier Valls, chesempre al Nouvel Observateur, diràche bisogna farla finita con la “sini -stra passatista, attaccata a un tempofinito e nostalgico, ossessionata dalsuper-io marxista e dal ricordo delleTrente Glorieuseus”: “La sola que-stione che valga è come orientare lamodernità per accelerare l’emancipazione degli individui(…) Quando la sinistra si ripiega sul suo passato, sui suoitotem, smette di essere fedele all’ideale del progresso, edunque a sé stessa (…) La sinistra che rinuncia a riformare,che sceglie di difendere le soluzioni di ieri piuttosto cherisolvere i problemi di oggi, ha sbagliato la battaglia dacombattere”.

Nel dicembre 2014, i due riformisti del governo si ritro-vano all’Assemblea nazionale per presentare un pacchettodi misure atte a rilanciare l’asfittica economia e renderepiù flessibile il mercato del lavoro: è la famosa loi Macron,l’unica lenzuolata di liberalizzazioni del quinquennio hol-landiano. Inizialmente era stata proposta come “la leggeper la crescita e il potere d’acquisto”, quando il ministrodell’Economia era ancora Montebourg, e avrebbe dovutorestituire 6 miliardi di euro di potere d’acquisto ai france-si. Ma con il nuovo titolare di Bercy e l’aria liberale che sirespira nel governo Valls II, cambia nome e prospettive: sichiama “legge per la crescita, l’attività e l’uguaglianza del-le opportunità economiche” e ha come obiettivo principalequello di sbloccare il rigido sistema francese, liberalizzan-

do gli orari di apertura dei negozi, le professioni regola-mentate, i trasporti, le autoscuole, aprendo alla concorren-za il settore degli autobus e facilitando la vita delle impre-se. Dopo otto mesi di iter legislativo e notti intere trascorsea fare pedagogia su ogni singola misura, Macron saluta lasua approvazione il 10 luglio 2015.

Nello stesso periodo, ospite dei Rencontres Économi-ques di Aix-en-Provence, forum annuale che riunisce im-

prenditori, accademici ed economisti, il futuro presidentedi En Marche! difende l’“uberizzazione” e l’“autoimpren -ditoria”, non due parolacce come pensa la sinistra radica-le, ma due “vie alternative” alla “rigidità del Cdi” (contrat -to a tempo indeterminato). “Funzioniamo ancora con ilvecchio dispositivo. Bisogna dunque interrogarci su comeandare più lontano” rispetto a fenomeni come Uber e larivoluzione digitale, spiega Macron davanti alla platea,

prima di aggiungere: “La nostra diffi-coltà è determinata dal fatto che ab-biamo gli strumenti della vecchia so-cietà e della vecchia politica – che si-gnifica essenzialmente fare leggi etrovare accordi che richiedono moltotempo – per regolare uno spazio eco-nomico-sociale che va sempre più ve-loce”. Quattro mesi dopo, si spinge an-cora più in là, dicendo di essere aper-tamente “contro l’interdizione diUber” in Francia, mentre i suoi com-pagni di governo gridavano contro la“concorrenza sleale” del disruptordei taxi, e anzi più che favorevole a unrapido sviluppo della società califor-niana sul suolo francese. Lo dirà an-che Travis Kalanick, capo di Uber,quando a gennaio vola Los Angeles,promettendogli di “normalizzare” ilmodello Uber nell’Esagono.

A inizio 2016, l’allora titolare diBercy deposita un altro progetto dilegge ambizioso, che va ancora piùlontano nel tentativo di modernizza-zione del Paese: “Noé” (Nouvelles op-portunités économiques). Il fulcro del

progetto è l’“uberizzazione” di diversi settori, ossia l’arrivodi attori che utilizzano le nuove tecnologie e sconquassanole imprese tradizionali creando più crescita e più posti dilavoro. In altre parole: la rupture digitale, l’adattamentodell’economia francese alla rivoluzione tecnologica in cor-so. Oltre a ciò, l’idea del pacchetto di legge, anche cono-sciuto come “loi Macron 2”, è quella di “aiutare i giovani ariuscire”, a “mettere fine ai corporativismi”, a “favorirel’affiorare delle start-up” e ad “incentivare la creazione dinuove attività individuali”. Tuttavia, rimarranno soltantodelle buone intenzioni. Il premier Valls, infastidito dall’e-suberanza e dal troppo spazio che il suo ministro dell’Eco -nomia sta prendendo nell’esecutivo, stoppa il progetto dilegge, diluendolo nella futura riforma del Lavoro, il “JobsAct francese”, difeso dalla ministra Myriam El Khomri. PerMacron è un declassamento inaccettabile, lo strappo conValls diventa definitivo, e nel giro di due mesi, con la crea-zione di En Marche!, si prepara a uberizzare la politica.

(4 - continua)Mauro Zanon, “Macron. La rivoluzione liberale francese”

Marsilio Editori

“Appartengo a una generazione che non èprigioniera dei dogmi”. La loi Macron, unica

lenzuolata di liberalizzazioni del quinquennio diHollande. La “rupture” digitale frenata da Valls

Dicembre 2014, Macron, alloraministro dell’Economia, con ilprimo ministro Manuel Valls.All’inizio del 2016 lo strappo trai due e, nel giro di due mesi, lacreazione di En Marche!(foto LaPresse)

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