Anno X - N° 1, gennaio/febbraio 2015 Periodico bimestrale di … · 2019. 1. 8. · Anno X - N°...

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Anno X - N° 1, gennaio/febbraio 2015 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal Circolo Cittadino “Athena” - Galatina Anno X - N° 1, gennaio/febbraio 2015 - Autoriz. Trib. di Lecce n.931 del 19 giugno 2006 - Distribuzione gratuita www.circoloathena.com

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  • Anno X - N° 1, gennaio/febbraio 2015

    Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal Circolo Cittadino “Athena” - Galatina

    Anno X - N° 1, gennaio/febbraio 2015 - Autoriz. Trib. di Lecce n.931 del 19 giugno 2006 - Distribuzione gratuita

    www.circoloathena.com

  • SOMMARIO

    Eccomi, ancora...nuova più del giornoche deve arrivaredell'imprevedibile attimodell'impossibiledivenuto realtàEccomi di nuovoin tutta la pienezza di un calice bevutodi una vita che si vestedi gioie e di doloridi una vita magnificache respira il tuo respiroche si chiude e si aprecome il più bel fioremai creatoil più bel sole maisvelato all'eternonostro divenire...

    Giusy TolomeoBusto Arsizio

    Redazione Il filo di Aracne

    Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina, edito dal Circolo Cittadino “Athena”Corso Porta Luce, 69 - Galatina (Le) - Tel. 0836.568220 info: www.circoloathena.com - e-mail: [email protected] - [email protected] del Tribunale di Lecce n. 931 del 19 giugno 2006. Distribuzione gratuitaDirettore responsabile: Ada DonnoDirettore: Rino Duma Collaborazione artistica: Melanton Redazione: Giorgio Liaci, Antonio Mele ‘Melanton’, Maurizio Nocera, Pippi Onesimo, Piero VinsperImpaginazione e grafica: Salvatore ChiffiPubblicità: Giuseppe De MatteisStampa: Editrice Salentina - Via Ippolito De Maria, 35 - 73013 Galatina

    ECCOMI ANCORA

    COPERTINA: “Bell’accoppiata” - immagine tratta da internet

    I quadernetti di AthenaLETTERA A SHARON, L’ISRAELITAdi Rino DUMA 4

    Historia NostraLA BASILICA DI SANTA CATERINAdi Augusto BENEMEGLIO 8

    La civetta nella letteraturaSULLA SIMBOLOGIA DELLA CIVETTA di Maurizio NOCERA 11

    Personaggi salentiniRICORDO DI LUIGI DISOdi Giuseppe MAGNOLO 14

    Galatinesi di un tempoRICCARDO PIGNATELLIdi Salvatore BECCARISI 18

    Terra nosciaIL SALENTO DELLE LEGGENDEdi Antonio MELE/MELANTON 20

    Scoperte iconograficheSCOPERTA LA CASA DEL PRETE...di Luigi GALANTE 22

    C’era una volta...SAN CRICORIU CU LA SARDA ‘N BOCCAdi Emilio RUBINO 26

    Artisti galatinesiANTONIO STANCAdi Franco MELISSANO 28

    Autori & editoriOLTREMAREdi Paolo VINCENTI 30

    Su e giù per il SalentoIL PARCO DELLA POESIAdi Luigi NUZZACI 32

    Favole, fiabe e... cuntiIL “LIBRO” DELLA MEMORIAdi Anna Teresa CARALLO 34

    Sul filo della memoriaÁZZATE SAN GIUVANNIdi Pippi ONESIMO 37

    Il dr. Rossano Marra, dopo nove anni di direzione, lasciala guida di questa rivista per motivi strettamente personali.La Redazione, accettando con grande rammarico l’improv-visa e definitiva decisione, esprime nei suoi confronti viviringraziamenti per il contributo sempre sicuro e illuminantedurante la difficile e faticosa esperienza editoriale e, nelcontempo, gli formula voti augurali perché continui a conse-guire successi e consensi nella direzione dello storico quin-dicinale locale “il galatino”.Al suo posto, subentra la prof.ssa Ada Donno, già bril-

    lante docente di Storia della Letteratura greca nei licei del-la provincia e responsabile di importanti testate giorna-listiche. I soci del Circolo e la Redazione, nell’accogliere la nuo-

    va direttrice con un cordiale benvenuto, le assicurano pie-na collaborazione perché “Il filo” possa continuare a“tessere”, con appassionante e sistematica ricerca, la mi-gliore informazione sull’arte, il pensiero, la tradizione e lastoria della gente salentina di sempre.

  • Premessa

    Questo scritto nasce in risposta alla lettera di una si-gnora israelita, di nome Sharon, pubblicata su ungiornale nazionale a grande tiratura, dopo gli or-rendi avvenimenti dello scorso anno nella tormentata ter-ra di Palestina, in cui furono uccisi tre giovani studentiebrei e, in conseguenza dell’immediata rappresaglia israe-liana, oltre duemila palestinesi, di cui molti bambini, in-trappolati senza scampo nella striscia di Gaza.

    La durezza e l’irriverenza del linguaggio usato nel de-scrivere i fatti e nell’osannare la reazione israeliana controla popolazione inerme, nonché l’arroganza con cui la si-gnora Sharon ha espresso il suo pensiero, mi hanno procu-rato un profondo turbamento interiore e fatto riflettere alungo sul perché episodi così cruenti e inumani continui-no ad accadere con una certa regolarità in quella terra mar-toriata tra il silenzio inquietante e compiacente dellegrandi potenze.

    L’elemento che mi ha maggiormente indignato è rappre-sentato dall’odio sviscerato dell’anzidetta signora contro

    la popolazione palestinese, colpevole, a suo dire, di essereospite sgradito e incomodo di un territorio che da sempreè “appartenuto” al popolo ebraico.

    Tutto ciò mi ha profondamente segnato e indignato. Nei suoi confronti userò il linguaggio fermo e incontro-

    vertibile che la Storia, quella vera, ci ha insegnato e che leio non ha mai conosciuto o, volutamente, ha dimenticato.

    La lettera

    Gentile sig.ra Sharon,sicuramente non basteranno le mie parole per farle cam-biare idea e farle vedere la realtà con occhi diversi dai suoi.

    Per arrivare a tanto sarebbe opportuno che lei andassea rileggere con molta attenzione la storia ebraico-palesti-nese degli ultimi cent’anni, che andasse ad indagare sul-le vere origini dello stato di Israele, sorto dal nulla, soloper il capriccio (ma anche per convenienza) degli Usa,della Russia e di altri stati occidentali (tra cui l’Italia) e,in parte, anche della Gran Bretagna, che intesero donarvila tanto amata "Terra Promessa", dopo l’infame e orrendoolocausto nazista.

    Tanto per svegliarle la memoria e fornire le opportunenotizie a coloro che, come lei, ancora hanno una certa con-fusione sull’argomento, mi permetto di fare un breve ex-cursus storico, partendo dal 1920, quando la Palestina eragovernata dalla Gran Bretagna, su mandato della Societàdelle Nazioni, per preparare i residenti ad un futuro auto-governo.

    In quegli anni avvenne un accadimento molto importan-te. Il segretario inglese per gli affari esteri, Arthur Balfour,fece un’epica dichiarazione, con la quale esprimeva il buonproposito britannico per l'istituzione in Palestina di unaCasa Nazionale per la gente ebraica, ed assicurava, nelcontempo, che nulla sarebbe stato fatto per pregiudicare idiritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche già esi-stenti in Palestina.

    Da quel momento, l'immigrazione degli ebrei dall'Euro-pa verso quella terra aumentò radicalmente.

    Gli arabi di Palestina accusarono un nervosismo semprepiù incontenibile di fronte a tale massiccio e preoccupan-te flusso migratorio, poiché lo ritenevano come una gros-sa minaccia alla loro identità e una pericolosa intrusionedi gente straniera, per giunta di religione diversa, nella lo-ro terra.

    4 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2015

    I QUADERNETTI DI ATHENA

    Palestina - Una bambina nascondealla vista della bambola gli orrori della guerra

  • Scontri sanguinari tra le due comunità iniziarono già averificarsi durante gli anni '20.

    Il risentimento arabo costrinse il governo britannico adabbandonare il piano per la suddivisione della Palestinain settori arabi ed ebraici, arrivando a limitare seriamentel’immigrazione ebraica.

    Alla luce di questi nuovi fatti, i britannici decisero di ab-bandonare il vecchio progetto e di istituire unicamente ungoverno arabo, come giusto premio a questa popolazione,per diversi anni assoggettata all’impero ottomano. All’in-terno dello stato arabo si sarebbe stabilita, poi, una limita-ta entità ebraica.

    Apriti cielo! Ora erano gli ebrei a sentirsi oltraggiati e adimpegnarsi con ogni energia per abbattere questo ‘infame’disegno. L’inaspettato voltafaccia inglese determinò diver-se scaramucce con i residenti, sino a sfociare in veri e pro-pri assalti da parte ebraica, a cui non mancarono durereazioni palestinesi.

    Con lo scoppio della 2^ guerra mondiale, un altro fattodi rilevante portata fece cambiare, ancora una volta, le car-te in gioco. Gli ebrei di tutto il mondo appoggiarono aper-tamente ed economicamente gli Usa e la Gran Bretagna,mentre i palestinesi l’asse Germania-Italia-Giappone.

    Da quel preciso istante le sorti palestinesi conobbero unrepentino declino, anche perché molti ebrei, avendo per-cepito che la loro presenza in Europa era osteggiata dal-la Germania, Italia, Spagna e Russia, preferironorifugiarsi in Usa e, clandestinamente, in Palestina, piut-tosto che finire nei campi-lager. Il flusso migratorio inquesti luoghi andò sempre più aumentando, nonostantei limiti imposti dagli inglesi, e, nel contempo, s’accrebbe-ro gli attriti e le lotte tra le due parti in causa.

    Il 29 novembre 1947, a guerra finita, venne approvatodall’Assemblea Generale dell’ONU, con Risoluzione n°181, il Piano di Partizione della Palestina, che prevedevala costituzione di due stati: uno ebraico e uno palestinese,con Gerusalemme sotto il controllo internazionale. Si cer-cò, insomma, di accontentare ambo le parti, ma, così facen-do, si scontentarono entrambe.

    Il 14 maggio 1948, cessato ormai il Protettorato britanni-co in Palestina, David BenGurion proclamò la nasci-ta dello stato d’Israele. Daallora, i confini di questanazione andarono semprepiù allargandosi, sino adoccupare quasi l’intero ter-ritorio palestinese.

    Il resto è storia recente.In quasi settanta anni di

    dominio israeliano centi-naia di migliaia di viteumane sono state sacrifica-te in nome di una “riven-dicazione unica” nel suogenere nella storia dell’umanità.

    Stavate molto meglio, gentile Sharon, sotto il protettora-to inglese con ebrei, palestinesi, arabi, cristiani e altre etniea vivere in pace, nonostante qualche malumore di fondoda parte delle diverse comunità presenti nel territorio. Conil trascorrere del tempo, sarebbe prevalso il buon senso. Lenuove generazioni si sarebbero accettate, rispettate e da-

    vrebbero avuto la possibilità di professare liberamente ilproprio credo religioso nei loro luoghi sacri.

    Ed invece, no. Volevate una terra tutta vostra, anche acosto di sottrarla ad altri. Vi sentivate molto stretti a vive-re accanto a gente che non accettava le vostre regole di vi-ta e non si adeguava alle vostre tradizioni religiose;insomma, vi sentivate obbligati a dividere con “intrusi” la

    vostra “Terra Promessa”. Per certi versi ve le siete volutecerte amare conseguenze. Invece di porgere la mano ed ac-cettare il fratello palestinese, lo avete soffocato, soggioga-to e sottomesso. Avete vinto molte battaglie, ma aveteperso la possibilità di vivere in pace. Nessuna vittoria puòessere piena, se ottenuta con la forza, può solo essere tem-poranea e può solo garantire una pace illusoria. Portandoavanti questa linea dura e intransigente, vi siete esposti adatti violenti di estremisti palestinesi (che rivendicano la lo-ro terra e il diritto di governarla), ma anche le vibranti con-testazioni di molti occidentali e di una grossa frangia di‘ebrei ortodossi’, vostri fratelli, che hanno condannato confermezza l’invasione di Gaza dello scorso anno.

    Non è poi da trascurare il fatto che ultimamente la Sve-zia, la Francia e la stessa Gran Bretagna hanno riconosciu-to lo stato palestinese. Probabilmente anche altri stati franon molto si uniranno ai tre. Perciò, questo nuovo scena-

    rio internazionale, mutato rispetto aqualche tempo fa, dovrebbe farvi ri-flettere… e non poco.

    La Palestina vivrà in pace soloquando sarà amministrata da un go-verno super partes voluto dall’Onu.

    Questa terra, gentile Sharon, se an-cora non l’ha capita, non è di esclusi-va proprietà israeliana, come leiprepotentemente ammette, ma è dipalestinesi, di cattolici, di cristianiortodossi, di arabi e perfino di ap-partenenti a religioni miste.

    La Palestina è una terra cosmopo-lita e composita, in cui da secoli inte-

    ragiscono diverse culture. È una terra che appartiene atutti, perché è una sintesi delle diversità umane.

    È una miscellanea di molti credi, tradizioni e saperi uma-ni. Insomma è, per buona parte, la sintesi del camminoevolutivo della stessa umanità. E, come tale, andrebbe am-ministrata da persone al di sopra di ogni cultura, interes-se, lingua, storia e religione.

    gennaio/febbraio 2015 Il filo di Aracne 5

    Palestina - Ribelli di Hamaslanciano missili Qassam verso Israele

  • Mi sento di darle un buon consiglio nell’interesse suo edi tutti. Ecco, non bisogna ostentare con fierezza e suppo-nenza di essere ebrea, oppure musulmana, induista, cri-stiana, ma ognuno accolga la propria fede dentro di sé efrequenti la sinagoga, la moschea, il tempio, la chiesaquando vuole e come vuole. Ognuno preghi ed invochi ilsuo Dio, ma mai, dico mai, imprechi contro il Dio degli al-tri, perché commetterebbe ungrande sacrilegio e determine-rebbe odio e violenza! I fattiaccaduti recentemente inFrancia lo stanno a testimonia-re largamente.

    Insomma, la sua apparte-nenza religiosa non la devemanifestare in maniera sfac-ciata e arrogante, contrappo-nendola a quella di altri credi.Purtroppo, questo modo di“fare religione”, di fatto osta-cola e rallenta il difficile pro-cesso di armonizzazione chelentamente si tenta di com-porre.

    Sia piuttosto fiera di sentirsicittadina del mondo e si battaperché il mondo arrivi ad as-sumere una conformazione euna struttura pacifica.

    Sono dell’avviso che chiun-que si schieri da una parte conforza e fermezza, imponendoad altri il proprio pensiero, èper sua natura un violento o sipredispone alla violenza, in quanto sceglie deliberatamen-te di contrapporsi ad altre persone, ad altri gruppi.

    Accetti, perciò, tutte le religioni del mondo, anche quel-le poco praticate, ma non sbandieri soltanto la sua in mo-do sfacciato, ma la segua e la professi con sobrietà e insilenzio, nel chiuso della sua intimità, come d’altra partesi comporta ogni buon credente.

    L’uomo del futuro, per essere veramente universale, nondovrà vantarsi di essere cristiano, musulmano, ebreo, in-duista, buddista, perché nel momento in cui ognuno esibi-rà la propria appartenenza, si starà separando dal resto

    dell’umanità. Allo stesso modo, se si vanterà di essere uninglese e non un tedesco, un liberista invece di un sociali-sta, uno iuventino piuttosto che un milanista, un setten-trionale e non un meridionale, pur avvertendo una certafierezza di appartenenza, sarà pur sempre un uomo chedeterminerà separazione, distacco, diversità, ingiustizia,disuguaglianza e quindi acredine e, finanche, odio.

    A giusta ragione sarà consi-derato un «generatore di vio-lenza».

    Come saggiamente sostieneJiddu Krishnamurti, “il fuoconon si elimina con altro fuoco, malo s’incrementa, l’acqua non siasciuga con altra acqua, ma ne faalzare il livello, la violenza non sirisolve con altra violenza, anzi lasi rinforza”. E di mio aggiungoche “la pace, tanto declamata dalsuo popolo, si raggiunge solo edesclusivamente se si è uomini dipace e non di guerra”.

    Ecco, bisogna ‘costruire’ uo-mini di pace, se vogliamo ri-solvere i tanti mali dell’uma-nità. Si incammini su questanuova strada e si troverà a vi-vere in un mondo diverso dalsuo, in un mondo stupefacen-te, dove nessuno mai attenteràalla vita di altre persone. Siprodighi a diffondere questiideali supremi, poiché rappre-sentano l’unico modo per aiu-

    tare l’uomo a ritrovare la sua vera identità. Le faccio infine presente che, se lei fosse nata a Teheran

    oppure a Roma, o a Nuova Delhi o a Tahiti, oggi credereb-be in Maometto, in Cristo, in Buddha oppure in Ta’aroa (ildio dei polinesiani), ma non certamente in Mosè, anzi locombatterebbe. Questo per farle capire che si abbracciauna religione per educazione ricevuta e non per convin-zione o per scelta ponderata.

    Perciò, gentile Sharon, si senta parte del mondo e trat-tenga in sé tutte le sue anime: ostenti questa ‘cittadinan-za’, predichi l’amore, cardine di ogni religione e unicostrumento divino in mezzo a noi, comune a tutte le reli-gioni; guardi la pelle di ogni persona come se fosse di ununico colore e nessuno mai la rifiuterà, in quanto noterà inlei un’universalità di pensiero e di intenti. Lei sarà accoltada chiunque a braccia aperte, perché portatrice di pace, digioia e di benessere, ma non di guerra.

    Un grande abbraccio in nome dell’amore, che si può con-quistare solo se si avrà il coraggio di stringere tutte le ma-ni del mondo, di ascoltare tutte le voci del mondo e diaprire il proprio cuore al mondo per sentirsi dentro i bat-titi del cuore di tutti.

    La saluto, nella speranza e con l’augurio che riveda lesue idee di parte.

    C'è un mondo incantato là fuori che ci aspetta: non la-sciamocelo sfuggire. •

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    Gaza durante un bombardamento israeliano

    Rino Duma

  • Damnatio memoriae

    Raimondello Orsini Del Balzo è stato uno dei per-sonaggi più importanti nella storia del Mezzo-giorno tra il XIV e il XV secolo, ma di lui non c’ètraccia nell’archivio del Regno di Napoli (sono scomparsitutti gli atti della sua amministrazione, non solo come feu-datario della contea di Soleto, che aveva occupato militar-mente, ma anche come Principe di Taranto), proba-bilmente perché cancellati ad arte da re Ladislao I, con ilquale ci furono molti dissapori. Una sorta di damnatio me-moriae.

    Ma - come sostiene Dinko Fabris - grazie alla Basilica diSanta Caterina d’Alessandria (unica in Italia e in Europaper la ricchezza degli strumenti musicali medievali neisuoi affreschi, una vera e propria Bibbia pauperum, unabbecedario di storie bibliche e agiografiche, adattato confine intuito alla capacità intellettiva di tutti), troviamo lasua immagine, la sua tomba e il suo nome, insieme a quel-lo della moglie, contessa di Lecce Maria D’Enghien e delfiglio, Giovanni Antonio, che completarono la cattedraleed ebbero la straordinaria intuizione di chiamare mae-stranze di scuola senese e un artista come Roberto d’Arez-zo, di scuola giottesca, che contribuì non poco a realizzareuna delle magnificenze dell’arte italiana, seconda solo alla

    Basilica di San Francesco d’Assisi. Il morso da sciacallo

    Si narra che Raimondello Orsini del Balzo (derivato dalfrancese De Baux, nome della madre e dello zio materno,che lo adottò), di ritorno dalla Terrasanta decise di far co-struire a Galatina la chiesa di Santa Caterina d’Alessan-dria, la martire orientale, condannata alla ruota al tempo diMassimino. Dal corpo della Santa, Raimondello aveva tra-fugato un dito, mentre le baciava la mano, addentandoloe staccandolo di netto con un morso formidabile, da scia-callo del deserto, e poi tenuto in bocca per paura che se neaccorgessero. La reliquia, che portò con sé a Galatina, fusuccesivamente incastonata in un reliquiario d'argento.Oggi fa parte del tesoro della chiesa.

    Il feudatario ammise di aver fatto tutto ciò per scioglie-re un voto solennemente pronunciato sulla sommità delSinai, ai piedi del Monastero della Santa (fatto erigere dal-l’imperatrice Elena nel IV sec). In realtà, leggenda a parte,le ragioni per l’edificazione di una terza chiesa in Galatinaerano diverse e molteplici. Sembra, infatti, che Raimondel-lo non sia mai stato in Terrasanta, perchè in quello stessoperiodo si trovava in Prussia a farsi le ossa e un curriculumcome “cavaliere”, secondo l’usanza del tempo.

    Forse Raimondello volle entrare, - come disse Benedetto

    8 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2015

    HISTORIA NOSTRA

  • Vetere, nella scia dei filosofi, degli umanisti, dei grandi me-cenati dell’arte e della cultura, ma soprattutto volle contra-stare l’imperante rito greco degli officianti nelle due altrechiese già esistenti in Galatina, la Matrice e quella dedica-ta a San Giovanni.

    Il greco era una lingua sconosciuta alla famiglia feudata-ria. Pertanto la Santa Messa doveva essere officiata in lati-no.

    Maria D’EnghienI lavori cominciarono sul finire del ‘300, ma Raimondel-

    lo non ne vide la fine, morì a Taranto nel 1406 mentre in-furiava la battaglia contro Ladislao I, che pretendeva larestituzione della città “spartana”.

    L'interno era stato già completamente affrescato verso lafine del Trecento da maestranze locali con pitture che nonfurono apprezzate dalla vedova, la quale decise di far com-pletamente riaffrescare l'edificio (siamo nei primi decennidel Quattrocento) e quindi giunsero artisti da varie zonedella penisola: maestranze di scuola giottesca e senese eun certo Franciscus De Arecio (Francesco d'Arezzo).

    Le influenze giottesche sono particolarmente visibili ne-gli affreschi delle vele della seconda campata nelle qualisono raffigurati i sette sacramenti. Gli elementi di scuola

    senese sono riscontrabili in alcuni affreschi dell'ambulacrosinistro: per esempio, nella scena raffigurante l'Annuncia-zione si possono notare i colli dei personaggi un po' allun-gati, elemento caratteristico delle pitture senesi di quelperiodo. La committente degli affreschi voleva trovare unmotivo risolutivo delle sue ansie terrene in una soluzionetrascendente le vicende umane e scelse l'Apocalisse gio-vannea, un libro misterioso, scritto in un linguaggio mi-sterioso, proprio della profezia; il suo situarsi all'ingressodella chiesa, è già un forte richiamo ad un legame origina-rio che unisce l'umanità di tutti i tempi nell'anelito di unacatarsi cosmica, nell'ultimo dei giorni, allorché il Cristo sirivelerà una seconda volta (apocalisse significa "rivelazio-ne"), e sarà l'ultima.

    E non a caso le scene dell'Apocalisse costituiscono il ci-clo pittorico più vasto di tutta la chiesa, occupano la primacampata ed evocano i temi più importanti e le principali al-legorie del grandioso libro di San Giovanni: la Caduta diBabilonia e il Trionfo dell’Agnello, il Giudizio della Meretrice equello Finale, l’Incoronazione del Vincitore e la Cavalcata Ce-leste. Le immagini della lotta tra il Bene ed il Male, fra Cri-sto e la Bestia, fra la Donna Apocalittica e la Meretrice,traducono in modo plastico e cromatico tutto il mondo tor-mentato dell’infelice regina Maria D’Enghien e della sua

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  • famiglia, forti passioni come l’amore, l’odio, la morte, vit-torie e sconfitte, trionfi e umiliazioni.

    Sulla volta sono rappresentate le virtù; la Genesi è sui muridella seconda, con il Trionfo della Chiesa e i Sacramenti sul-la volta. La vita di Gesù è sulle pareti della terza campata,con i Cori angelici sulle vele della volta; il martyrologium di

    Santa Caterina è sulle pareti del presbiterio,con i Quattro Evangelisti e i Dottori della Chie-sa sulla volta, Vita della Madonna, tratta daivangeli apocrifi e da quelli canonici, è sullepareti e sulla volta della navata destra.

    Galatina come Assisi Quasi nascosta in una piazzetta del cen-

    tro storico di Galatina, una modesta faccia-ta in stile gotico-romanico con un rosonecome tante chiese hanno, e poi dentro…l'inatteso: tre navate ricoperte di affreschidalla base alla volta... Tutta da guardare conla testa rivolta in alto, dalla pavimentazio-ne al soffitto, si srotola un universo di esi-stenze affrescate, di storie da raccontare,una rara meraviglia, una rara bellezza. Ri-cordo la prima volta che la visitai, nel lonta-nissimo 1978, la chiesa non era ancora statarestaurata e resa luminosa com’è ora. Tutta-via rimasi incantato, affascinato dalla vasti-tà e dalla qualità dei cicli pittorici, molti diessi di evidentissima scuola giottesca, esta-siato dalla bellezza dell’insieme, dall’oroche spargevano gli angeli musicanti, il suo-natore di flauto-cornamusa e il Coro. Comepuò un'opera d'arte di tale spessore esserequasi ignorata dai libri di storia dell’arte? -mi disse Emanuele Bari, funzionario di Nar-dò, che mi ci aveva portato. Abbiamo l'orotra le mani e non ce ne rendiamo conto. E’vero. Merita il viaggio, - dissi io -, qualsiasiviaggio, anche fosse l’ultimo dei viaggi. Edecco apparire dal fondo della navata, il “po-verello d’Assisi”, e con le sue braccia som-

    merse sembrava formare l’arcata d’un ponteimprovvisato, che lega le due città, che potrebbero essere– perché no? - gemellate nel grande segno di speranza e ditrascendenza che è l’arte religiosa, che accomuna tutti i po-poli del mondo. •

    10 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2015

    Galatina (Le) - Basilica di Santa Caterina d’AlessandriaIl martirio della Santa

    Augusto Benemeglio

  • gennaio/febbraio 2015 Il filo di Aracne 11

    Ho conosciuto Cosimo Giannuzzi a Trento all’Uni-versità di Sociologia alla fine degli anni ‘60. Finitoil corso di studi, e tornati in Salento, l’amicizia ècontinuata.

    All’inizio degli anni ’70, ci vedemmo un po’ meno, suc-cessivamente però nacquero tra dinoi interessi di studio che ci coin-volsero fino a firmare insieme al-cuni saggi pubblicati su diverseriviste.

    Da allora la nostra frequentazio-ne è divenuta più assidua. Impor-tanti sono i suoi contributi scien-tifici alla conoscenza della memo-ria storica del Salento e allo svilup-po delle umane lettere.

    Insieme, da anni, ci interessiamoall’approfondimento del simbolodella civetta, perché il prof. Gian-nuzzi è un grande collezionistacon migliaia e migliaia di immagi-ni. Personalmente conosco la suacollezione ma, per descriverla, la-scio dire a lui: «La mia collezioneè talmente vasta che per ognunadelle collezioni potrebbe nascereun libro. Accanto all’oggettisticaesiste una collezione di cartolineantiche, moderne, monete, franco-bolli, figurine, stampe, sottobic-chieri, segnalibri, ex-libris, spille, manifesti, giochi (inparticolare il gioco della civetta simile al gioco dell’oca),elementi decorativi dei frontespizi di libri, disegni e opered’arte, ecc. Per molte di queste tematiche possiedo nume-rosi esemplari».

    L’intervista

    Nocera: A che età hai iniziato a interessarti di civette? Qual èl'origine di questa tua passione di collezionista?

    Giannuzzi: Apparentemente la tua domanda è semplicema cercherò di mostrarti che è in realtà complessa ed im-plica il come nasce una collezione e cosa è una collezione.

    Provo a risponderti.Il mio ricordo sul primo oggetto incontrato nella forma

    di civetta risale a tanti anni fa, credo oltre trent’anni, du-rante la mia prima gita scolastica a Parigi nel ruolo di do-cente accompagnatore.

    Cercavo un souvenir di questastraordinaria città e fui subito at-tratto da un oggetto in legno mol-to colorato.

    Chiesi la provenienza ma mivenne risposto che era una civettamessicana.

    Ero perplesso se acquistarla omeno, perché avrei preferito unoggetto francese, ma non resistettiall’attrazione di quel piccolo ogget-to e lo acquistai.

    Poco tempo dopo, al mio primoviaggio in Grecia, costatai che l’im-magine della civetta era presentedappertutto in tante forme, mate-riali e colori.

    Qui acquistai alcune riproduzio-ni di civette e gufi appartenenti al-la produzione antica dellastatuaria della Grecia del periodoclassico e mi resi conto che stavaprendendo forma una raccolta chenascondeva un significato storicoed estetico oltre che raro e insolito.

    Molti miei amici e parenti cominciarono a regalarmi ci-vette e gufi al ritorno di un viaggio o in qualche mio anni-versario che mi generava compiacimento tanto da indurmia chiedermi sul perché questo fascino si rinnovava ognivolta che ero di fronte ad una rappresentazione di questouccello notturno.

    Una risposta l’avevo trovata in Grecia nel sapere che lacivetta, uccello lunare, era un attributo di Athena protettri-ce della città, la dea della sapienza, della saggezza, dellearti tessili e della belligeranza per difesa o per una causanobile. In particolare le monete effigiavano l’uccello not-turno ed erano per questo motivo denominate “civette”.

    Trovai poi questo simbolo a Galatina che mi suggerì ul-teriori riflessioni che dirò.

    LA CIVETTA NELLA LETTERATURA

    Ken Irby - Il bosco

  • Mi accorsi che questa immagine la incontravo ovunqueo meglio ritenevo che mi cercasse ovunque mi recassi e lasua acquisizione mi fece capire che stava nascendo unacollezione che non si limitava all’oggettisticama spaziava in altre direzioni come gli ex-libris, le cartoline antiche e mo-derne, le figurine, i francobolli, igiochi di percorso, le monete, i se-gnalibri, le etichette, le stampe ecc.,perché tutti questi materiali racchiu-dono una visione del mondo costruitadal messaggio in essi contenuto.

    Una visione del mondo che ri-manda alle capacità del rapace divedere al buio e di individuarnedi notte la preda. È perciò un uc-cello che permette di trovare laverità, di intuire la risoluzione diun problema e di ascoltare le paro-le che gli altri pensano ma che non leriferiscono.

    Ti confesso che nel tempo sono statotentato di limitare il mio percorso collezio-nistico a una sola tipologia (pensavo allecartoline antiche o agli ex-libris) ma il ca-priccio di acquisire anche gli oggetti mi ha fattodesistere da questo proposito.

    Temevo che questa dipenden-za sfociasse in un disturbo ossessivo-compulsivo, ma hocompreso che la progressiva conoscenza degli aspetti pre-senti nell’immagine simbolica collezionata m’induceva aguardare al mio attaccamento non motivato da accumuloma dal bisogno di ricercare i molteplici significati presentiin questo simbolo.

    È presente con significati spesso contrapposti in molteculture e in ogni parte del mondo.

    Le sue prime rappresentazioni sono preistoriche e ac-compagnano la Grande Madre. Essa stessa era una dea –Lilith – nella tradizione ebraica quale compagna di Ada-mo, prima di Eva sua rivale.

    Era dea anche nella tradizione greca e romana come LaNotte, nella tradizione Messicana col nome di Lechuza. Po-trei continuare nella elencazione delle culture che nel tem-po hanno adottato questo simbolo, ma non riuscirei acompletare l’elenco. Basti pensare alle molteplici interpre-tazioni artistiche che in ogni luogo e in ogni tempo sonostate date a questa immagine.

    Nocera: Parli della potenza dei simboli, e quello della civettasembra essere uno tra i più potenti.

    Tu sai che lo stemma della città di Atene è simile a quello del-la città di Galatina.

    Per la verità, in Italia, in Europa e nel resto del mondo, vi so-no non poche comunità umane che hanno come loro simbolo rap-presentativo la civetta.

    Ma qui, interessa sapere se tu hai mai fatto qualche riflessionesulla somiglianza degli stemmi di Atene e Galatina.

    Giannuzzi: I tempi di adozione del simbolo della civettanelle città di Atene e Galatina sono diversi.

    Mentre ad Atene è un attributo di Athena sin dalla nasci-

    ta del mito sulla sua nascita dalla testa di Zeus, nella cittàsalentina lo stemma della città ha sicuramente un’influen-za greca come del resto ce l’ha anche il toponimo, ma nel-

    lo stemma di Galatina, adottato molto tempo dopo lostemma di Atene, sono sintetizzate tre vicen-

    de importanti della sua storia: l’ori-gine greca rappresentata dallacivetta, la sua impronta cattolicarappresentata dalla presenza del-

    le chiavi incrociate di san Pietro, lacorona concessa dal re Alfonso II diNapoli per i meriti militari nell’oppo-

    sizione dei suoi abitanti ai nemicidel sovrano.

    Ad Atene la civetta non è temu-ta come lo è in tutto il Salento.Tutta la città è popolata dalle rap-presentazioni delle civette consi-derate come portafortuna.Solo a Galatina questa presenza

    non presagisce le sciagure ma la pro-tegge. Ad Atene ne sono consapevoli an-

    che gli abitanti, i quali le hanno dedicato unmonumento e i souvenir della città hannola civetta come ricordo del luogo.

    Nocera: Quali e dove, secondo te,sono i simboli della civetta più im-

    portanti al mondo?

    Giannuzzi: È difficile dire quali sono i più importanti.Provo a dirtene qualcuno che ho nella mia collezione.Innanzitutto il Tetradracma del I sec. a. C. in argento e

    una moneta di Kamarina, Trias, 440-313 a. C., in bronzo.Poi tutti gli ex-libris, le cartoline d’epoca e i giochi della ci-vetta.

    Mi chiedi cosa voglio comunicare agli altri con la miacollezione.

    Innanzitutto voglio mostrare a me stesso le modalità dirappresentazione di un’immagine, le forme che assumenelle varie località, in un certo senso possedere le formeinfinite che può assumere un simbolo.

    Ovviamente non sarà mai possibile afferrare completa-mente un simbolo, conoscerlo nella sua globalità, ma èquesta la sfida che il collezionista fa con se stesso.

    Agli altri voglio comunicare che la curiosità è la mollasenza la quale è impossibile capire il senso di un’immagi-ne simbolica.

    12 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2015

    Tetradracma ateniese

    Galatina (LE) - Stemma araldico della città

  • Nocera: Posso sapere quali sono i pezzi che ritieni più importan-ti della tua collezione?

    E poi, nelle tue risposte non citi mai i libri che hanno parlatodi questo simbolo. Perché?

    Mi interesserebbe conoscere una tua bibliografia sull'argomen-to perché, negli attributi di Athena, la civetta rappresenta la co-noscenza, il sapere e la preveggenza, cosa che, come ben sai, noimoderni possiamo solo acquisirle solo attraverso i libri.

    A ciò aggiungi che mi interessa sapere anche il tuo pensierosul rapporto civetta-Athena.

    Giannuzzi: Ho acquisito conoscenze su questo argomen-to senza bisogno di apprenderle dai libri.È chiaro che nei libri, che ho letto nel tempo, vi sono aspet-ti più articolati sul rapporto civetta-Athena, ma in un’inter-vista non è il caso di approfondire un tema così complesso.Il soggetto di questa intervista è la mia collezione, com’ènata, non altro.

    Fondamentalmente non mi sono servito di testi, semmaisono venuti dopo i testi.

    Qui mi interessa spiegare cos’è una collezione e come es-sa nasce, citando Baudrillard. Secondo il filosofo e sociolo-go francese la collezione, qualunque collezione, èespressione della personalità stessa del collezionista.

    Da quel che si colleziona è possibile comprendere gli in-teressi, l’immaginazione, la sensibilità, i desideri di unapersona.

    Per chi volesse approfondire i vari aspetti su questo sim-bolo rimando alla lettura de “Le civette” (Castelvecchi ed.)di Desmon Morris, nel quale il mito della civetta è affron-

    tato nei suoi molteplici aspetti.Anche il libro di Luciano Pelliccioni di Poli “Il mito del-

    la civetta”( Libreria Romana), offre numerosi stimoli nellariflessione.

    Nocera: In un recente articolo su questo stesso tema (in “CittàFutura” n.11, 2014, p.8 ) hai posto una relazione fra la civettadi Galatina e il ragno. Che senso ha questa relazione?

    Giannuzzi: Sono partito dalla constatazione che Galatinaè l’unica località del Salento immune dal ragno cioè nonsono mai esistiti in questa località casi di possessione daparte del ragno.

    La risposta a mio parere va ricercata nel mito greco del-la contesa fra Aracne (il ragno) e Athena (la civetta) la cuigara per chi avesse creato un ricamo più bello si conclusecon la vittoria di Athena.

    Queste due immagini (ragno e civetta) non convivono.Galatina diverrà nel tempo il luogo che consentirà al pos-

    seduto dal ragno di liberarsi da questa presenza ingom-brante (con l’intercessione di S. Paolo) ed interiorizzata.Ecco allora spiegata questa immunità.

    La civetta è l’immagine che non consente al ragno di abi-tare per un lungo tempo nei corpi delle persone che ne so-no possedute proteggendole.

    La civetta mostra alla posseduta o al posseduto la stradaper la catarsi. •

    gennaio/febbraio 2015 Il filo di Aracne 13

    Maurizio Nocera

  • Domenica 23 novembre 2014 l’amministrazione co-munale di Sogliano Cavour ha inaugurato ufficial-mente la “Casa del Turista”, una struttura poliva-lente di prima accoglienza nel centro storico del paese, ri-cavata da un precedente edificio, ormai dismesso, che inpassato per alcuni decenni era stato sede del mercato co-perto.

    L’operazione di recupero, riatta-mento e nuova destinazioneè statarealizzata con fondi europei, sullabase di un progetto avviato dallaprecedente amministrazione e fi-nalmente andato a compimento.

    La nuova struttura è stata intito-lata all’avvocato Luigi Diso, giàsindaco di Sogliano, e recentemen-te scomparso. La cerimonia diinaugurazione è stata quindi l’oc-casione per ricordarne la figura ele qualità, sia umane che politico-amministrative.

    Ne riportiamo una breve notanelle colonne del Filo di Aracne, tra-endone anche spunto per qualcheconfronto tra il nostro recente pas-sato e la realtà attuale.

    Luigi Diso era nato nel 1924 aGalatina, la città originaria dellasua famiglia, poi trasferitasi a So-gliano. Gli anni della sua forma-zione erano stati quelli del secondoconflitto mondiale e della ricostru-zione post-bellica. La relativa agia-tezza della sua famiglia gli aveva consentito il compimentodegli studi accademici nell’Università di Bari, dove si eralaureato in giurisprudenza nel 1949, annoverando AldoMoro tra i suoi docenti di diritto. Dopo la laurea esercitòininterrottamente la professione di avvocato civilista. Ade-rì ben presto alla Democrazia Cristiana, mantenendosisempre fedele alla originaria ispirazione di Don Sturzo, etrovando in Alcide De Gasperi la figura ispiratrice del suoimpegno politico. Fu dapprima consigliere in seno all’am-ministrazione comunale di Sogliano (1955-60), di cui fu poia capo per tre mandati consecutivi (1960-74), fino a quan-do decise di ritirarsi dalla vita pubblica per dedicarsi agli

    impegni professionali e alla sfera privata. Trascorse la fa-se più tardiva della propria esistenza a Galatina, dove si èspento il 2 novembre 2012.

    Alla cerimonia di inaugurazione insieme alle autorità cit-tadine era presente il senatore Giorgio De Giuseppe, lega-to a Luigi Diso da forti vincoli di amicizia personale oltre

    che dalla militanza nello stessopartito politico, mentre l’onorevo-le Giacinto Urso ha fatto pervenireuna lettera di sentita partecipazio-ne. Negli interventi commemora-tivi sono state messe in evidenzale doti di spontanea cordialità chedistinguevano la personalità di Gi-no (per gli amici) Diso, il suo altolivello di competenza nella cono-scenza e l’ap- plicazione delle nor-me amministrative,l’intraprendenza progettuale ten-dente a ricondurre le decisioni del-la prassi amministrativa verso unavisione generale rivolta a privile-giare il benessere comune. In effet-ti è stato universalmentericonosciuto che durante l’ammi-nistrazione Diso Soglia- no ha re-gistrato un decisivo impulso versola modernizzazione, non solo nel-la dotazione di strutture e servizidi pubblica utilità (edilizia scola-stica per diversi ordini, area mer-catale, ufficio postale, zonacimiteriale, rete idrica e fognante,

    pubblica illuminazione), ma anche nella manutenzione emiglioramento dell’esistente (zone pinetate, verde pubbli-co, rete viaria).

    Considerando a posteriori gli esiti dell’azione ammini-strativa nel periodo suindicato e le condizioni in cui essaebbe a dispiegarsi, giova comunque ricordare che il conse-guimento di questi molteplici traguardi realizzativi è dainquadrare nel più ampio contesto storico-sociale nazio-nale, caratterizzato da un forte desiderio di rilancio dopole durissime es-perienze del periodo bellico.

    Gli effetti di questa spinta propulsiva furono di grandeportata a partire dagli inizi degli anni sessanta, e videro

    14 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2015

    PERSONAGGI SALENTINI

    Avv. Luigi Diso

  • l’Italia repubblicana capace di grandi ri- sultati grazie allaritrovata fiducianelle proprie ri-sorse e capacità.

    Fu invece neisuccessivi annisettanta che que-sto sforzo di ri-c o s t r u z i o n eincardinato sullapace sociale si in-crinò, dapprimacon la contesta-zione giovanile,poi col ritorno aforme violente dilotta di classe, edinfine con il feno-meno del brigati-smo che mirava asconvolgere gliassetti dello statosin dalle fonda-menta.

    Anche la spinta ideale dei partiti politici venne meno,degenerando nel correntismo, nella faziosità, e nell’usostrumentale della politica, spesso asservita ad interessi in-dividuali, a lobbies, o a gruppi di pressione.

    È facile intuire come in quella fase di crisi profonda, chegli storici hanno poi definito “gli anni di piombo”, la stan-chezza si sia unita alla delusione, ed anche allo sgomento

    verso il nuovo che si profilava all’orizzonte, nell’indurreLuigi Diso a rite-nere concluso unciclo importantedella sua espe-rienza, per aprireun capitolo deltutto nuovo. Lasua decisione diabbandonare an-zitempo l’impe-gno pubblicorispetto alla sca-denza ordinariadel suo mandato,nonostante variinterventi dis-suasivi, talvoltaanche di notevo-le peso, ponechiaramente inluce il suo rifiutodi accomoda-menti compro-

    missori, che probabilmente gli avrebbero consentito dirimanere comunque sulla scena politica, seppur gratifica-to soltanto da qualche ruolo marginale di mera rappresen-tanza. Ma è evidente che le mezze misure non eranoconsone alla sua natura, che invece esigeva linearità e cor-rettezza.

    A distanza di quaranta anni la nostra valutazione di que-

    gennaio/febbraio 2015 Il filo di Aracne 15

    Sogliano Cavour (LE) - Il sindaco avv. Luigi Diso accoglie mons. Pollio

  • gli eventici induce ad alcune considerazioni. La più imme-diata è il riconoscimento che la decisione di Diso di inter-rompere la sua partecipazione alla politica attiva, a cui ave-va dato nel tempo contributi così importanti, scaturì uni-camente da valutazioni di ordine personale, e non dasfiducia da parte dell’elettorato, o da qualsivoglia motivo

    di contestazione o evidenza di scorrettezza nella gestionedella cosa pubblica. Ma riteniamo ancora più rilevanteuna riflessione di ordine valoriale, rivolta in senso lato adindividuare ed esplicitare i principi ispiratori che sonostati alla base sia della linea di condotta professionaleperseguita da Luigi Diso che dell’azione amministrativa-da lui diretta.

    Alcune impressioni e ricordi persona-li potranno riuscire illuminanti al ri-guardo.

    Il primo elemento che a tal fine si pre-senta alla nostra memoria è un’iscrizio-ne a grandi caratteri che campeggiavaal centro della parete di fondo dello stu-dio legale Diso, e che riportava un pen-siero di Piero Calamandrei1, di cuicitiamo le parti salienti: “Molte professio-ni possono farsi col cervello e non col cuore.Ma l’avvocato no. L’avvocato non può es-sere un puro logico, né un ironico scettico.

    L’avvocato deve essere prima di tutto uncuore: un altruista che sappia comprenderegli altri uomini e farli vivere in sé, assume-re su di sé i loro dolori e sentire come sue leloro ambasce.

    L’avvocatura è una professione di com-prensione, di dedizione e di carità.

    Troviamo in queste poche righe l’af-fermazione di un principio di moralità che deve essere po-sto come base fondante del proprio comportamento,un’esigenza avvertita con senso religioso di carità verso ilprossimo.

    È inevitabile dedurre che questi principi morali abbianoanche inciso profondamente sulla sua concezione della

    politica, trovando essenzialmente in motivazioni di natu-ra etica i criteri di partecipazione alla gestione della cosapubblica.

    Va anche detto che a questi elementi di ispirazione origi-naria si sono poi affiancati altri richiami importanti, tra cuiil valore della famiglia intesa nel suo tradizionale signifi-

    cato ampio ed inclusivo, che arrivavaad abbracciare l’intera comunità di rife-rimento.

    E così pure la sollecitudine verso le si-tuazioni di cittadini in evidente stato dibisogno, unita ad un atteggiamento diattenzione e rispetto verso chiunqueesprimesse opinioni politiche diversedalle proprie.

    Ma il dato più qualificante nella legit-timazione dell’esercizio della leadershipci sembra sia stata la capacità di LuigiDiso di orchestrare e condurre un sa-piente gioco di squadra, che da un latoriusciva a valorizzare l’apporto dichiunque vi fosse coinvolto generandoun senso di forte gratificazione, e dal-l’altro mirava ad orientare qualunquedecisione contingente verso una visio-ne lungimirante e di alto profilo ideale.

    Su questo versante è possibile consta-tare quanto diversa fosse a quel tempo

    la concezione degli aspetti relazionali, il modo di inten-dere e gestire la cosa pubblica, i criteri di conduzione delconfronto politico tra forze che si contrapponevano senzavenir meno al rispetto reciproco, tutti elementi caratteriz-zanti in stridente contrasto con le discutibili linee di com-portamento che generalmente contraddistinguono le

    figure pubbliche attualmente presenti sulla scena.Partendo dal parlamento per giungere via via alle picco-

    le realtà periferiche, risulta evidente come le primarie vir-tù civili di lealtà, dignità, corresponsabilità, desiderio dicondivisione, non sembrano attualmente avere parte pre-minente nel definire le regole del gioco politico.

    16 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2015

    Sogliano (LE) - Il sind. avv. L. Diso e i cittadini ascoltano mons. Pollio

    Sogliano (LE) - Discorso di benvenuto del sind. L. Diso a mons. Pollio

  • Con il tramonto delle grandi ideologie, che pur con tan-te devianze almeno avevano una capacità di richiamo aprincipi e valori di portata universale, assistiamo ora altrionfo della realpoli-tik, al machiavellico“fine che giustifica imezzi”, generandoquella visione egoisti-ca che poi è alla basedi tanti effetti degene-rativi e corruttivi chesi verificano in diversisettori della vita pub-blica come anche nel-la sfera privata.

    Riteniamo infineche, in tempi di gravecriticità come quelliche ora viviamo, con-notati da un forte de-grado morale, da unasempre maggiore di-varicazione nella di-stribuzione della ricchezza tra le diverse classi sociali, edall’abbandono di iniziative ispirate a criteri di autenticaed efficace solidarietà nazionale, riesca sempre più diffici-le arginare le spinte protestatarie e rivendicative di chicomprensibilmente si sente svantaggiato. E tuttavia dob-biamo ancora una volta constatare come risulti assai ar-duo trasformare la legittima protesta in concreta propostaoperativa.

    Perciò occorre ribadire l’idea che si può ancora utilmen-te imparare dal passato, dall’esempio di chi ci ha precedu-

    to e si è trovato ad affrontare problemi e situazioni analo-ghe, facendolo però con umiltà e autentico spirito di servi-zio verso la collettività, e soprattutto con un ben più alto

    senso del valore delleistituzioni, della di-gnità della persona,dell’importanza dellacoesione sociale.

    Quindi non si puòche esprimere con-senso verso l’iniziati-va dell’amministra-zione comunale diSogliano nel volerriaccendere un farodi avvistamento cheriporti alla luce vicen-de e figure che altri-menti rimarrebberodefilate nell’ombra.

    Forse ci sorprende-rà gradevolmenteconstatare come sia

    possibile trovare stimoli di ispirazione positiva senza il bi-sogno di andare a cercare molto lontano, ma semplicemen-te guardandosi intorno. •

    NOTE:1. Piero Calamandrei (1889-1956), giurista, scrittore e politico di fedeantifascista, fu tra i fondatori del Partito d’Azione, membro dell’As-semblea Costituente e componente del Comitato per la Riforma del Co-dice di Procedura Civile

    gennaio/febbraio 2015 Il filo di Aracne 17

    Giuseppe Magnolo

    Sogliano (LE) - Centro accoglienza turistica “Luigi Diso”

  • La Fotografia è documento scritto con la luce. Con ilsistema analogico, ieri… con le tecnologie digitali,oggi.Essa è memoria, storia. È un processo, come è noto, che

    riguarda più branche dello scibile: la fisica, la chimica, l’ot-tica, la meccanica.

    La fotografia nasce in Francia il 7 gennaio 1839 ad operadel pittore-scenografo Luis-Jacques Daguerre.

    In quell’anno Daguerre presentava all’Accademia delleScienze il dagherrotipo, un metodo che permetteva di ot-tenere una sola immagine in positivo su lastra argentata equindi non più per mano del disegnatore o dell’incisore(come avveniva prima), bensì per riflessione della luce.

    Spetterà successivamente all’inglese William Henri FoxTalbot l’invenzione del negativo su vetro, emblema dellariproduzione fotografica.

    Ma la massificazione della Fotografia alla portata ditutti, la si deve all’americano Estaman Kodak sul finiredel secolo XIX secolo, che mise sul mercato la prima ca-mera fotografica a cassetta del peso di 750 grammi e dal-le dimensioni 17x9x8 centimetri. Lo stesso Estamantrasferì, poi, l’emulsione fotosensibile dal vetro alla pelli-cola, da cui deriverà il celluloide per la fotografia in mo-vimento, che servirà nel 1895 ai fratelli Lumiere per ilcinematografo.

    In Italia, la fotografia arriva per “esportazione”, dovutaalla presenza dell’ingente patrimonio artistico-archeologi-co e alla necessità di catalogarlo per immagini fotografiche.

    Numerosi sono i fotografi, soprattutto francesi e inglesi,che allestiscono i loro studi lungo la nostra Penisola per fo-tografare i siti archeologici e le opere d’arte, oltre agli in-cantevoli panorami paesaggistici.

    Muniti di campagnola, una sorta di cassetta di legno, conobiettivo basculante e vetro smerigliato retrostante per lamessa a fuoco, dentro la quale veniva alloggiata la lastrafotosensibile per la ripresa, i fotografi si dispiegano lungoil paesaggio per immortalare castelli, cattedrali, edifici sto-

    rici, piazze e ponti su fiumi, campanili equant’altro di suggestivo possa scatenare for-ti emozioni nell’osservatore.

    Ben presto anche i fotografi italiani si fannoapprezzare. Nascono le dinastie che lasceran-no un’impronta storica nelle nuove genera-zioni. Tra queste si distinguono i fratelliAlinari, che con la loro arte fotografica riem-piono i libri di storia dell’arte e le enciclope-die.

    Nel nostro Salento si distingue su tutti uncerto Barbieri, di origini modenesi. A Lecceemergono Palumbo, Campagnoli, Guido,Carlino, Leone. A Nardò Mazzarella e Mau-ro, a Maglie Piccinno e Donno, a GalatinaMartines, Pignatelli, De Donno, Campanella,

    18 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2015

    GALATINESI DI UN TEMPO

    La “campagnola”

    É stato un fotografo galatinese che ha scritto la “storia” con la luce

    Riccardo Pignatelli1876 - 1944

    di Salvatore Beccarisi

  • Lagna, Martina, Notaro, sino ad arri-vare ai tanti fotografi attuali come Ca-saluci, Foto Reportage ed altri.

    RICCARDO PIGNATELLIRiccardo Pignatelli ha lasciato alla

    sua amata Galatina una larga fetta distoria visiva.

    Nasce nel 1876 e sin da giovaneguarda con simpatia all’arte fotografi-ca. Deve, però, adempiere agli obbli-ghi militari.

    A Barletta diviene ufficiale dell’Eser-cito. Fa rientro a Galatina, si sposa conFelicetta Murciano e coniuga l’amoreper la famiglia con l’arte fotografica.

    Si cimenta così, tra ripresa e magiadella camera oscura, in uno studioubicato nella Corte Taddeo, angolo ViaVittorio Emanuele.

    Così, con il mezzo della luce tracciaun pezzo di storia galatinese e salenti-na. Il suo estro lo porta a realizzare icone artistiche che su-scitano l’interesse di tutti.

    Il suo nome è conosciuto ad ogni li-vello sociale e diviene anche il fotogra-fo ufficiale del Comune. Nel campoecclesiastico realizza la foto-ritratto delcardinale Orsini.

    Sul negativo interviene con quellaperizia che, in gergo fotografico, sichiama ritocco.

    Riccardo Pignatelli corregge i difetti,sfuma i volti, soprattutto quelli femmi-nili, esaltando la bellezza in bianco enero, racchiudendo, poi, l’immagine inuna cornica ovale.

    Tutt’oggi le case delle nostre nonnefanno bella mostra di foto-ricordo. Macome avviene nello spirito di chi alber-ga nel proprio animo diverse iniziati-ve, Riccardo Pignatelli ebbe l’idea diaprire a Galatina il primo negozio digioielleria attorno agli anni ’30.

    Riccardo Pignatelli, dopo aver spesocreatività e lavoro nell’arte fotografica,

    si spegne a Galatina nel 1944. •

    gennaio/febbraio 2015 Il filo di Aracne 19

    Il card. Orsini - foto Pignatelli

  • Tutte le storie lasciano nella mente e nel cuore segniprofondi della loro intensità. Forse perché sono storiefantastiche. O forse no. Forse nessun racconto nascemai dal nulla.

    Nella sua composita trattazione concorrono spesso - per ar-tificio o magia - situazioni misteriose e inesplicabili, sugge-stioni, o semplici accadimenti naturali, che la nostraimmaginazione porta a rielaborare, talora accentuandoli, ar-rivando così a sommuovere ogni angolo della nostra emotivi-tà, fino a toccare le corde dell'amore e della pietà.

    Una di queste storie, che ho letto una sola volta su un librosmarrito non so dove, e mai più ritrovato, risale periodica-mente alla memoria, sempre uguale e diversa nella sua fasci-nosa bellezza e malinconia.

    Così, per ricordarla meglio, la racconterò anche a voi, inchiusura di questa puntata.

    61. Sull'imperfezione della natura umana si fonda un'an-tica leggenda otrantina, che assume a tratti il sapore di certefavole, spesso feconde di grandi verità.

    Alla nostra amata nonna Anna, che ce la raccontava in undialetto incrociato galatino-soglianese, l'aveva raccontata, inun vernacolo molto più arcaico (del quale ricordo soltanto ilcurioso vocabolo muccaluru, ossia fazzoletto) il vecchissimo zi’

    Dunatu, il quale, a sua volta, l'aveva acquisita da un compa-gno d'armi durante il servizio militare.

    Seduto alla Porta dell'antica città di Otranto, c'era un men-dicante cieco, che viveva di carità, e aveva fama d'essere ungrande sapiente. Un giorno gli si avvicinò un giovane, che glidiede una moneta, e gli domandò: «Vengo da lontano, e vorreistabilirmi qui. Tu che nulla vedi ma tutto sai, puoi dirmi come so-no le persone di questa città?».

    «Come sono le persone del luogo che hai lasciato?», gli chiese, asua volta, il cieco. «Egoiste, prepotenti e cattive - rispose il gio-vane - E per questo motivo, sono contento di essermene andato viada lì».

    «Allo stesso modo sono gli abitanti di questo luogo», sentenziòil mendicante. E il giovane, pur pensieroso, entrò comunquea Otranto di buon passo.

    Poco dopo arrivò un altro giovane, fece anch'egli la carità diuna moneta al mendicante, e gli pose la stessa domanda: «Nonsono mai stato qui: puoi dirmi come sono le persone di questa cit-tà?». E l'uomo gli rifece la solita domanda: «Com'erano le per-sone del luogo che hai lasciato?». «Cordiali, generose, oneste e dibuon umore - rispose il giovane - E ho fatto molta fatica ad andar-mene da lì».

    «Allo stesso modo sono gli abitanti di questo luogo», sentenziònuovamente il mendico. E anche il secondo giovane entrò a

    Otranto di buon passo.«E no! - si rivolse al

    cieco, con tono di rim-provero, un anzianocontadino che fino adallora era rimasto in-tento a zappare il suopiccolo orto, ma cheaveva seguito entram-be le conversazioni -Come puoi dare due ri-sposte del tutto differentie opposte alla stessa do-manda che ti hanno postoquei due giovani?».

    «Ognuno porta nelproprio cuore ciò che eglistesso è - commentò ilvecchio - Chi non hatrovato nulla di buono inpassato, non lo troveràneanche qui da noi. E chi,invece, aveva amici fede-li e leali nel posto che halasciato, li troverà certa-mente anche qui. Un po'come quel proverbio chedice: "Paru cerca paru, eparu pija"».

    62. Ci sono leggen-de che non sono anco-ra nate. O forse dormono ancora il lorosonno quieto fra le mura dei castelli o dellechiese, o nel silenzio delle torri assediate daimisteri, o negli aviti palazzi di principi e baroni... Sicché, puòsuccedere, come a me è accaduto, di sentir dire di un miste-rioso Palazzo del Muto a Galatina, la mia città, del quale rac-conterò la storia, che ancora nonconosco: una storia inverosimile,forse sognata, forse inventata, cheaspetto che sgorghi dalle sorgen-ti della fantasia.

    Quello che la vera storia dice èche nell'antica città di San Pietroin Galatina, in un solenne Palaz-zo d'epoca tardo-cinquecentesca,tuttora ammirabile nella via chedalla Torre dell'Orologio porta fi-no alla gloriosa Basilica di santaCaterina d'Alessandria, visse an-che, nel Settecento, Giuseppe Ma-ria detto il Muto, rampollo dellagentilizia famiglia Gorgoni, cheannoverò importanti personaggi,fra cui il letterato Angelo, gli av-vocati Filippo e Giustiniano, eAgostino Tommaso, il quale fu vescovo di Castro alla fine delXVIII secolo.

    È certo che mio nonno paterno Paolino, e i suoi fratelli Do-nato e Leonardo, conoscessero la famiglia Gorgoni. Come an-che mio padre, e soprattutto zio Nino, mio idolo sportivo peri suoi trascorsi di portiere di calcio della Pro Italia negli anni'30, nonché artefice della gloriosa Casa del Cacciatore, in Corso

    20 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2015

    terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia ter-

    Quando muoiono le � Quando �niscono i �

    Misteri, prod nell’antica Te

    Ventunesim

    di Antonio Me

    Antica mappa di Otranto (LE)

    Galatina (LE) - P

  • Re d'Italia, sede infor-male e feconda di un'cenacolo' intellettualedi belli spiriti, amantianche del gioco delladama e degli scacchi.

    Forse è proprio lìche ho ascoltato que-sta storia per la primavolta.

    Con immaginabileangoscia dei parenti, ilpiccolo Giuseppe Ma-ria Gorgoni nacquesordomuto. Sembra,però, che per sua stes-sa puntigliosa volontà,coadiuvata dal soccor-so delle cure e speri-mentazioni dei medicidi famiglia, quand'eraun giovanetto di dodi-ci o tredici anni, fosseriuscito ad articolarecon una certa frequen-za alcune parole chia-ramente comprensi-bili, fin quasi ad espri-mersi del tutto conbrevi frasi di sensocompiuto.

    Tanto che di notte,dalla porta della sua camera, non era raropercepire un misterioso chiacchiericcio, comese il Muto parlasse davvero con qualcuno.

    A ben ricordare, fu proprio zio Nino, un giorno, a confidar-mi che il ragazzo si era innamorato di una Fata bellissima, ve-stita di fiori come la Primavera del Botticelli, che andava a

    trovarlo in sogno tutte le notti,conversando con lui con recipro-ca gioia. A patto, però, che egli te-nesse in gran segreto quelle visite,pena la fine dell'incantesimo.

    Così, per evitare di tradirsi, Giu-seppe Maria di giorno non profe-riva parola con nessuno, mentredi notte si dice che fosse arrivatoperfino a declamare alla sua bel-lissima Fata alcune deliziose poe-sie, che egli stesso componeva congrande ardore e ispirazione.Quando l'amore può tutto!

    63. In una delle masserie-ca-stello più grandi e antiche del-l'agro di Taranto, sulla via Appia,quasi alle porte della Città dei due

    mari, dicono che in pieno inverno non sia raro intravvedereuna figura di giovane donna su per le scale che portano allatorre di vedetta, per poi passeggiare fino all'alba intorno allemura.

    La fanciulla non ha mai avuto un nome. O, per meglio di-re, ne ha avuti fin troppi. Ognuno, infatti, per sentito dire daivecchi del luogo, e dalle molte comari di campagna che anco-

    ra oggi dibattono sulla questione, la chiama come più gradi-sce. I nomi più ricorrenti sono Aurora, Vanessa, Rebecca, Ve-ronica, e più di tutti l'esotico Fatima, trattandosi di unaprincipessa mora, rimasta all'età di dodici anni senza genito-ri e senza regno, dopo una sanguinosa rivolta nel suo paese.

    Agli inizi dell'anno 1500, il vecchio conte Ludovico, nobileproprietario della masseria, ebbe modo di affrancarla a Paler-mo al mercato degli schiavi, in cambio di tre barili d'olio e tredi vino. Aveva dieci figli, il conte: tutti maschi, e aveva 'com-prato' quella principessina per dare alla moglie la desideratafemminuccia che non aveva avuto la gioia di partorire.

    Fatima - la chiameremo anche noi così -, con la sua grazia,il portamento, la fierezza dello sguardo, e un senso gioioso dilibertà, aveva presto innamorato tutti. E più di tutti il coetaneoFerdinandino, ultimogenito della devotissima signora di ca-sa donna Matilde, avviato alla carriera religiosa nel Semina-rio di Lecce.

    Specialmente d'estate, quando Ferdinandino ritornava perle vacanze, i due fanciulli giocavano sempre insieme, e face-vano lunghe corse a sfinirsi fra i campi di ulivi e di vigne: unparadiso terrestre, che dividevano spesso con Bracco, il canedel massaro, quand'era libero dagli impegni di caccia col pa-drone.

    Avevano sedici anni quando Ferdinandino le diede il pri-mo bacio. Sfiniti dall'ennesima corsa, s'erano sdraiati al fre-sco sotto il carrubo grande, e gli occhi di lei brillavano tantoda trapassare il fogliame e gareggiare col sole. Poi aveva 'sen-tito' lo sguardo e il desiderio di Ferdinandino, e con sorriden-te naturalezza s'era voltata verso di lui.

    Così, da allora, ogni corsa finiva sotto il carrubo grande. L'inverno fu freddo e piovoso più del solito, quell'anno. E

    proprio per questo, forse, sul finire di febbraio, Ferdinandinofu richiamato a casa dal seminario.

    Per la prima volta, giungendo alla masseria, non trovò nes-suno ad accoglierlo. Neanche Bracco, che sempre gli correvaincontro per primo. Il giovane traversò a passo svelto il corti-le, e finalmente entrò in casa.

    Vide che erano tutti nella sala grande, commossi e avvolti inun brusio di preghiera. Al centro, su un letto alto circondatoda un mare di fiori, la principessa Fatima giaceva immobile,e sembrava sorridere.

    Forse sognava di essere distesa sotto il carrubo grande. For-se 'sentiva' che il suo Ferdinandino la stava baciando. Forsesperava che quell'attacco furioso e maligno di febbre malari-ca che l'aveva improvvisamente colpita sarebbe stato supera-to, e che i bravi cerusici e i medici sapienti sarebbero riuscitiforse a salvarla dall'abbraccio della Signora vestita di nero.Forse...

    gennaio/febbraio 2015 Il filo di Aracne 21

    ra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia ter-

    leggende �niscono i sogniQ � sogni, �nisce ogni grandezza

    M igi e fantasie erra d’Otranto

    ma puntata

    ele ‘Melanton’

    Palazzo Gorgoni

    Antica masseria dell’interland tarantino

    21. continua

  • 22 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2015

    SCOPERTE ICONOGRAFICHE

    Anni fa, ho avuto la fortuna di consultare alcuni do-cumenti inediti di Cosimo de Giorgi1. Il bellissimotaccuino che si conserva nel Fondo Paone, è costi-tuito da una serie di appunti preparatori per la stesura del-la sua opera in due volumi “Bozzetti di viaggio”2.

    In tali appunti sono riportate notizie di alcuni paesi delnord e sud Salento con rispettivi schizzi tutti a matita. Visono anche degli splendidi disegni, alcuni dei quali porta-no la firma del galatinese Pietro Cavoti. La lettura del ma-noscritto risulta assai complessa perchè scritto in fretta econ segni interpuntivi che, credo, solo il De Giorgi riusci-va a comprendere.

    Consultandocon attenzionel'album, ho cer-cato di trovaredelle notizie cheriguardasseroSoleto, e ho avu-to fortuna. In-tanto, leggendoil manoscritto,mi è sembratacuriosa una bre-ve annotazionecollocata in unaappendice, ester-na agli appuntisoletani.

    De Giorgi accenna ad una piccola casucola, appartenu-ta ad un prete greco della famiglia Rizzo, e scrive che lenotizie gli “furono confidate molti anni fa dall’amico PietroCavoti”.

    Ho voluto introdurre questa piccola premessa, perchè loscienziato di Lizzanello si avvalse moltissimo della colla-borazione di Cavoti, tanto da chiedergli continui consiglie correzioni per i suoi bozzetti. “Mi servirebbero al più pre-sto 3 o 4 altri fregi da collocare in testa alle serie dei miei bozzet-ti. Gli altri che mi mandasti oltre alle correzioni, sono statistampati e fanno una bellissima figura nell'opera mia”.

    Dopo innumerevoli corrispondenze, il Cavoti scrive al-l'amico: “Eccoti altri tre disegnini da me inventati sulla carta al-la meglio. Il muovermi a lavori di minutaglia e di pazienza aiquali sono stato avverso anche nella prima giovinezza, credo che

    basti a provarti senza alcun dubbio l'affetto che sento per te”3.Circa un anno fa, ho avuto la fortuna di individuare in

    uno dei tanti taccuini cavotiani, conservati a Galatina, nelMuseo civico, degli appunti che mi rimandavano alle po-che notizie lette nell'album del De Giorgi, e cioè, alla pic-cola casa appartenuta all'antica famiglia dei Rizzo, conl'aggiunta di appunti più esaustivi, e un contorno di schiz-zi vari che riproducono l'interno della vecchia abitazione.

    Aggiungo, che i due amici, De Giorgi e Cavoti, avevanodelle conoscenze assai importanti a Soleto. Tra i tanti, e cre-do il più intimo, fu il canonico Manca, che per il De Gior-gi fu il personaggio chiave per la descrizione di Soleto neisuoi Bozzetti, mentre a Cavoti, Manca suggerì i siti, per leprime ricerche archeologiche nel territorio di quel Comu-ne, indicandogli i luoghi e i padroni dei fondi suburbani del-l'antica Soleto.

    Il Manca, è risaputo, era un grande custode di cose anti-che, tanto da proporre allo stesso Cavoti, quando esercita-va le funzioni di Ispettore di Antichità in Terra d'Otranto,di far acquistare al neo Museo Provinciale di Lecce, alcuniquadri importanti e diversi cimeli antichi, rinvenuti non soloa Soleto. Ed è proprio grazie al canonico Manca, che alcu-ne notizie inedite che riguardano Soleto, riemergono fuo-ri da quegli appunti trascritti dall'artista galatinese, deiquali sto parlando, e che ho rinvenuto, come ho detto, nelMuseo civico di Galatina4.

    Il can. Manca spesso invitava il Cavoti a Soleto nella suacasa, per discutere certamente di affari legati al mercatoantiquario: “Quanto ha speso per l'acquisto sta bene, quantoIl prete Battista Rizzo

    Martano (LE) - Monastero CistercensiTaccuino C. de Giorgi - Notizie sul can. Manca di Soleto

  • gennaio/febbraio 2015 Il filo di Aracne 23

    potesse guadagnare rivendedole non saprei... qui si trovano mol-te altre cose antiche... e quadri assai importanti. Vieni ne parle-remo a voce”. Questo scriveva in alcune missive il Manca algalatinese.

    Sappiamo inoltre che grazie al canonico, il museo di Lec-ce acquistò, a fatica, alcuni quadri assai importati. Comeaccennato, il 26 marzo del 1870, il soletano invita Cavotiper una passeggiata per le vie di Soleto.

    Dagli appunti del Nostro, si comprende che i due per-sonaggi vagabondando per le strette viuzze, si soffer-mavano ad osservare nel centro storico, alcune dimore

    molto antiche.Nella loro escursione il canonico invita l'amico a visitar-

    ne una in particolare, ubicata in un vicoletto cieco pressol'attuale chiesa di San Nicola, completata nel 1688 con an-nesso il Monastero delle Clarisse. Questa struttura archi-tettonica antica risalente al XIV sec. è importante per ilsuo unico ed interessante ciclo pittorico di santi, affresca-ti sulle pareti e trasferiti a matita dall'artista Cavoti sultaccuino.

    Anche importante è la piccola casa, e il canonico svela ilnome dell'antico possessore: “la piccola casetta antica un tem-po vissuta da quel prete greco Battista Rizzo di Soleto5”.

    Questa la trascrizione:“Ricordo di una visita in Soleto in casa del can.co Manca. Il lo-

    devole amico Can. Manca mi ospitò in casa sua il dì 26 marzo1870. Gentile mi illustrò le bellezze architettoniche edificate perle vie di Soleto di alcune casine del XV e XVI sec. Una tra le tan-te, vanta meraviglia di essere ricordata. Nascosta nel piccolo vi-coletto chiuso a man sinistra delle mura della bella chiesa di S.taChiara vi è la piccola casetta antica un tempo vissuta da quel

    prete greco Battista Rizzo da Soleto. Sollevata dal terreno da al-cuni gradini che menano all’esterno, si accede nella prima stan-za che ospita il visitatore. L’interno di essa è illuminato dallasola porta e una finestra. Essa è decorata con antiche pitture a

    Soleto (LE) - L’antica dimora di Battista Rizzo

    Galatina (LE) - Museo Cavoti - Taccuino 3395Appunti dopo la visita in casa del can. Manca a Soleto

  • 24 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2015

    fresco sulla parete che rimandano a quelle di S. Stefano di Sole-to e di S.ta Caterina in Galatina. A sinistra si osservano ancoraun S. Antonio, S.ta Venere col vaso nella mano destra dipintasulla colonna, un S. Francesco, S Nicola in abiti episcopali cheregge il libro degli Evangelisti colla sinistra. Altre pitture a fre-sco sono state rapite dal tempo. Alla destra della parete il pitto-re raffigurò S. Basilio che regge una cartella con una iscrizioneassai sciupata. Vedesi altri santi in gran parte cancellati dallescrepolature dell’intonaco, [un] S. Simone, S.ta Lucia e la croci-fissione di N.S. Segue una porticina che mena nell’altra stanzacon una pregevole finestra lavorata. In un angolo per terra, avan-zi di alcuni frammenti di scudo in pietra leccese collo stemma diquella illustre famiglia di preti greci. Si conserva anco un bellostemma dei Castriota Scanderbeg proveniente dal castello di So-leto. In questa stanza non restano che pochi frammenti di pittu-ra, ma assai lodevoli. Un S. Giovanni Battista, una Madonna introno vicina a S. Teodoro. Tutte le figure posano perfettamente difronte coi visi di una tinta assai sbiadita dal tempo. Tutte le figu-re sono inquadrate in campo rosso (vedi S. Onofrio, S. Giovan-ni Crisostomo, S. Tecla la Madonna col Bambini nella chiesa diS. Stefano in Soleto). Oggi mutati i tempi e i padroni, in questapiccola casa un tempo luogo di preghiera rimangono solo pochee fortunate figure. Vi era una piccola tela che decorava la parete,coi ritratti di Aristotele e Tolomeo, e un piccolo manoscritto del-l’Horologion deturpato dal tempo, ora conservati con tanti ci-meli antichi in casa del Can. Manca. Il Canonico mi aggiunseche il quadretto proveniva dalla casa del matematico Matteo Ta-furo. Vidi in casa sua un bel manoscritto di questo illustre per-sonaggio Elementia I Musicae Philosophia lib. II scritto dal

    Tafuro in Napoli nel 1554. Il Can. Manca mi promise di custo-dire e restaurare le figure antiche ancora rimaste. L’umile padro-ne di casa, fu assolto da tutti gli impegni. Ne feci verbo col DucaCastromediano”.

    Alla fine degli appunti, Cavoti, schizza a matita quelche rimaneva sui muri. Non dimentica, inoltre, di trascri-

    vere un breve passo in latino del manoscritto tafuriano chequi propongo con la sola immagine.

    Battista Rizzo, figlio del papas Antonio Rizzo6 fu prete dirito greco, e copiò un lussuoso Horologion di formato ta-scabile sottoscritto il 1° maggio 1476, oggi individuato co-me Codice Palat. 265, cheè conservato nella Biblio-teca Vaticana . Incuriosi-to dalla notizia rinvenutanel taccuino, mi recai sulposto per verificare dipersona se tutto coinci-deva con le notizie ripor-tate dal Cavoti, e soprat-tutto se vi fossero rima-ste delle tracce di pitturaantica. Dopo innumere-voli tentativi, riuscii acontattare la nuova pro-prietaria che da pocoaveva acquistato la pic-cola casa. La signora Ta-mara Castellano fu gen-tilissima nell’ospitarmi inquella vecchia dimora, eappena vi entrai nellaprima stanza, vidi imme-diatamente quel pocoche rimaneva. Sulla pa-

    Galatina (LE) - Museo Cavoti - Taccuino 3395Schizzi di San Nicola, Santa Venera e iscrizioni greche

    Roma - Biblioteca vaticanaUna pag. del Palatino del 1476

    Soleto (LE)Icona di Santa Veneraprop. sig.ra Castellano

    Galatina (LE) - Museo Cavoti - Taccuino 3395Schizzi e iscrizioni copiate dal Cavoti in casa Rizzo

  • gennaio/febbraio 2015 Il filo di Aracne 25

    rete di sinistra sono ancora visibili delle figure antiche ora-mai lacerate dal tempo, ma ben conservate. Di tutte lefigure riportate dal Cavoti, solo tre si possono ap-pena ammirare e fornire con certezza i nomi deisanti. Si riconoscono Santa Venera affrescata sudi una colonna, ma di Lei rimane solo partedella testa, un S. Francesco, individuato solo per-ché ne sopravvive ancora l’epigrafe posta ai suoipiedi, insieme a una piccolissima tracciadel suo volto, mentre Sant’Antonio,viene riconosciuto, perché ai suoi pie-di è raffigurato un maiale. I santi, co-me già accennato, sono inquadrati incampo rosso. Cosa c’entra il maiale aipiedi di Sant’Antonio? In realtà il ma-iale rappresenta simbolicamente ilmaligno e le seduzioni che i piaceridella carne provocano. Le leggende acarattere popolare vogliono Sant’ An-tonio Abate in lotta con il demonio,ovvero con il Male, con le passioniumane, con il fuoco eterno. Il Santo

    divenne così il padrone del fuoco, custode contro l’inferno,e per tali prerogative, guaritore dell’herpes zoster, una pa-tologia detta “fuoco di Sant’Antonio”. Esemplare è statala generosità della signora Castellano che ha fatto restau-rare fin dall’acquisto dell'immobile, le pochissime traccesopravvissute in questa casa che un tempo fu la dimora diquel non ignoto prete greco Battista Rizzo da Soleto. •

    NOTE:* A destra del titolo il Palat gr. 265 copiato dal prete Battista Rizzo di So-leto c/o la Biblioteca Vaticana Roma. Le foto del manoscritto sono di pro-prietà dell'autore con regolare autorizzazione. E' vietata la riproduzionee la diffusione anche via internet. 1. Ringrazio Padre Ilario D'Ancona, Priore del Monastero dei Cistercensidi Martano per avermi dato la possibilità di consultare i documenti de-giorgiani.2. Luigi Galante, Cosimo de Giorgi e lo sconosciuto album n.7 in Il filo di arac-ne, maggio/giugno 2013 p 8. 3. Luigi Galante, Appendice - Lettere a Cavoti di Cosimo De Giorgi, in P. Ca-

    voti. I tesori ritrovati, EdiPan, Galatina,2007 4. Ringrazio l'amministrazione Comunale di Galatina,l'Ass.re alla Cultura Prof.ssa Daniela Vantaggiato e laDott.ssa Angela Impagliazzo, resp.le della Biblioteca P.

    Siciliani, per le autorizzazioni concessemi. Tutto ilmateriale fotografico derivante dal taccuino, appar-tiene al Fondo Cavoti-Comune di Galatina. La bi-blioteca Vaticana sez. Fondo Manoscritti. Roma, e la

    Signora Tamara Castellano per avermi ospitato in ca-sa e autorizzato a fotografare gli affreschi. Nessun docu-mento fotografico pubblicato in questo saggio, può essere

    riprodotto in alcun modo senza il permesso dell'auto-re e su autorizzazione scritta dal Comune di Gala-tina. Tutti i file digitali sono presso l'archivioGalante.5. G.L.Di Mitri, Il testamento che non c’è, in BollettinoStorico di Terra d’Otranto, n7-1997, pp 21-626. Cf. A. Jacob, “Sergio Stiso de Zollino et Nicola Pe-treo de Curzola. A propos d’une lettre du Vaticanusgr. 1019”, in Bisanzio e l’Italia. Raccolta di studi inmemoria di Agostini Pertusi, Milano 1982, 154-68,ancora, Jacob, André - Les ecritures de terre d'otrante/ par André Jacob. - Paris : Editions du Centre Na-cional de la Recherche Scientifique , 1977

    Luigi Galante

    Soleto (LE) - Il maiale ai piedi di Sant’Antonio

    Cosimo De GiorgiCaricatura

  • Il Meridione d’Italia – come si sa – durante il periodoestivo, soffre di tanta sete. L’acqua è un elemento mol-to prezioso per le campagne assolate, per le colture si-tibonde che facilmente vanno in malora, con gravissimeconseguenze economiche per le nostre popolazioni, che vi-vono di agricoltura e da essa traggono i mezzi di sussisten-za.

    L’acqua, insieme all’aria, alla luce e al calore del sole, èuno degli elementi indispensabili ed insostituibili alla vi-ta. Quando, pertanto, per una prolungata mancanza di ac-qua, dovuta essenzialmente alla siccità, si crea unoscompenso nella quantità di questo elemento vitale, l’or-ganismo ne soffre prima, muore poi se elevate percentua-

    li e periodi prolungati quello scompenso raggiunge.Anche la terra, al di là di una disastrosa incapacità a for-

    nire i suoi elementi nutritivi alle piante, modifica la suastruttura organolettica e, quindi, le sue componenti mine-ralogiche, tanto da diventare inadatta all’uso di cui comu-nemente l’uomo di essa fa.

    Al fine di ovviare agli endemici scarsi risultati chel’agricoltura di casa nostra dava nel passato, gli agri-coltori salentini sono soliti, da qualche decennio, diutilizzare l’acqua del sottosuolo mediante la perfo-razione del terreno e la creazione di pozzi artesiani.E’ l’unico modo per ovviare alla quasi totale man-canza estiva di acqua piovana.

    In passato, invece, il problema era gravissimo ed impos-sibile da evitare. I contadini, perciò, rivolgevano lo sguar-do in cielo, nella speranza che qualche generosa nuvoladecidesse di “aprire i rubinetti”.

    Il più delle volte, però, il sole bruciava la terra, i suoiprodotti ed anche… le speranze degli agricoltori. Era piùche logico, quindi, che l’intera comunità si rivolgesse aisanti in cambio di una preziosa e salvifica pioggia. La di-sperazione s’ingigantiva talvolta sino a diventare rabbia,soprattutto quando nuvole passeggere facevano sentirel’odore dell’acqua, ma poi tutto finiva per dissolversi… inpoche gocce. Non bastavano le preghiere, le intime racco-mandazioni che ognuno, nel silenzio del proprio cuore, ri-volgeva al Santo preferito, quello che, più di chiunquealtro, sentiva vicino a sé.

    Spesso, anche i Santi rimanevano sordi al grido di dolo-re che si sollevava dall’intero popolo. Nonostante tutto so-lo una fede smisurata e cieca tratteneva le persone a nonlasciarsi andare a bestemmie o ad inveire contro le divini-tà invocate. Anzi, era proprio il bisogno, la disperazione, lesventure vissute da un intero popolo a rinsaldare, più chespezzare, i vincoli della fede. Se il Santo non concedeva isuoi favori, se egli non rendeva le grazie invocate attraver-so continue preghiere, era perché nel mondo il peccato go-vernava sovrano. Come logica conseguenza di taleinconcepibile teorema, nessuno era degno della fiducia edei favori del Santo. Pertanto era necessario mondarsil’animo, con preghiere sincere ed opere di bene, per assicu-rarsi la benevolenza delle divinità offese. Ma, se anche ciònon fosse bastato, il popolo si rivolgeva, come ultima pos-sibilità, a colui che è preposto alla salvaguardia e al benes-

    26 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2015

    C’ERA UNA VOLTA...

  • sere della comunità, cioè al Santo Protettore.Eccoci, allora, giunti a San Gregorio, il Santo Patrono di

    Nardò e delle sue terre, il santo che i neritini accolsero neisecoli passati entro le mura e lo custodirono contro la fu-ria iconoclasta. San Gregorio – pensavano i cittadini - nonpuò essersi dimenticato del suo popolo che ha sete, sete diacqua per le campagne inaridite dal sole cocente dell’esta-te. Sarà, quindi, il nostro Santo protettore che bisogna in-vocare, che bisogna onorare. Si verificava che a Nardò,durante i giorni di dramma, quando vi era appena acquaper bere e per soddisfare gli usi domestici necessari, la gen-te venisse da lontano, sin dal lontano Arneo. C’erano mas-sari, contadini, agricoltori di tutte le contrade a chiederealle Autorità ecclesiastiche il permesso di poter “disporre”di San Gregorio, perché rendesse loro la grazia. E allora ilVescovo non poteva dir di no, non poteva tradire le legit-time aspettative di un intero popolo, ed autorizzava dimetter fuori dalla proprianicchia il Santo protettore.Si dava inizio alle fun-zioni sacre, al “Tritu”,durante il quale per tregiorni si celebravanoMesse cantate, preghie-re e prediche al Santoperché facesse piovereabbondantemente perdissetare i campi riarsi.

    Però, nonostante tantemesse, tante preghiere etante prediche, poteva an-che non piovere ed alloravoleva dire che il Santonon era contento di invo-cazioni così brevi ch’eranodurate appena tre giorni.Bisognava, quindi, au-mentare gli sforzi, correrepiù numerosi in Chiesa,intensificare con più fedele preghiere, far penitenza più lungamente. Ed ecco pre-pararsi la novena, 9 giorni di penitenza, 9 giorni di pre-ghiere, di Messe, di prediche, di invocazioni intense.

    Se, nonostante il “Tritu”, nonostante la Novena, nono-stante che la statua del Santo fosse illuminata da una mi-riade di candele, la pioggia tardasse a venire, era perché ilSanto considerava i neritini figli ingrati, peccatori incalliti,indegni della sua bontà. Quindi bisognava pentirsi. Ma inche modo? Si organizzava una “processione di penitenza”,una lunga processione che si snodava per le vie principa-li, composta da tanta gente che, con un cero in mano, con-trita, quasi muta, angosciata per tanta sventura, sfilava,recitando silenziosamente le orazioni preferite dal Santoprotettore.

    Per inciso bisogna dire che San Gregorio veniva portatoin processione anche in caso contrario, anche nel caso, cioè,che da lungo tempo continuasse a piovere e ciò impedival’effettuazione dei lavori nei campi o la raccolta dei pro-dotti che, con le acque abbondanti, andavano in malora.

    In ogni caso, se durante la “processione di penitenza” ilSanto avesse fatto il miracolo di far piovere e qualche

    sprovveduto avesse osato aprir l’ombrello per ripararsi,erano guai per lui, sia che fosse uomo o che fosse donna,perché veniva aggredito dai partecipanti alla processionee percosso di santa ragione. Era il giusto castigo per la suairriconoscenza verso il Santo che tanto aveva fatto ed oraveniva in tal modo ricambiato.

    Poteva accadere anche che, nonostante il “Tritu”, la No-vena, la “processione di penitenza”, preghiere, prediche ecandele, il Santo non facesse ancora piovere. Beh, allora,era troppo, che cavolo altro poteva volere il Santo? Ora sta-va esagerando un po’, stava veramente abusando della pa-zienza di centinaia, di migliaia di cittadini che guardavanoal Santo ed al cielo nella speranza che cadesse qualche goc-cia di pioggia. Allora bisognava punirlo di tanta proterviae si decideva quindi di lasciare anche San Gregorio a farepenitenza. Per tre giorni, allora, egli doveva stare al buio inChiesa, gli venivano tolte le candele di torno, gliene veni-

    va lasciata solo una pernon farlo stare completa-mente al buio, niente piùMesse cantate, niente piùinfervorate invocazioni,niente più prediche, masolo qualche semplice Ro-sario e ciò finchè il Santonon decideva di far piove-re su queste terre cheaspettavano l’acqua perdissetarsi. Cosa si fa albambino quando ruba lamarmellata? Non si dàpiù marmellata, finchènon promette di fare ilbuono e così anche perSan Gregorio, niente piùinvocazioni, Messe e pre-ghiere, finchè non avessefatto il buono anche lui.

    Se la pioggia arrivava,allora, si facevano solenni

    ringraziamenti per la grazia ricevuta ed era il Vescovo, ilpiù delle volte che scendeva dal suo palazzo a celebrare laMessa di ringraziamento, mentre fuori, fra la gioia di unintero popolo, fra le speranze rinate, venivano fatti spara-re numerosi fuochi d’artificio.

    Quelli di Galatone ci hanno sempre rimproverato che noineritini per indurre San Gregorio al miracolo della piog-gia, gli mettevamo in bocca una sarda salata. In tal modoil Santo, esasperato dall’eccessiva sete, si decideva final-mente a far piovere.

    Noi neritini non ci siamo mai scoraggiati di questa “ca-lunnia”, anche in altre città, come Ostuni o Galatina, si erasoliti comportarsi allo stesso modo, cioè di mettere unasarda salata in bocca a Sant’Oronzo e a San Pietro per co-stringere i santi alla pioggia.

    Ora, in verità, non vi sono più Messe, non vi sono piùpreghiere, né “Triti”, Novene e processioni di sorta.

    Oggi si può morire arrostiti dal sole, però San Gregorionon viene più messo fuori, né portato in processione.

    Chissà perché? •

    gennaio/febbraio 2015 Il filo di Aracne 27

  • 28 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2015

    ARTISTI GALATINESI

    Chi avesse la ventura di entrare di questi tempi nel-lo studio di Antonio Stanca resterebbe abbarba-gliato dal caleidoscopio di luci e di colori che siirradia dalla interminabile teoria di quadri appesi, po-sati, accatastati dappertutto.

    Scoprirebbe subito che l’Artista è tanto simbioticamen-te compenetrato nelle sue opere – vero e proprio prolun-gamento del suo animo - da non riuscire a separarsenese non con estrema riluttanza e con un senso di sofferen-za quasi fisica. Eccettuate le poche vendute in gioventùo donate a parenti e amici, quelle opere sono tutte lì, nelsuo studio, quasi in perenne mostra antologica.

    Ciò consente al fortunato visitatore di ripercorrere levarie stagioni artistiche del Nostro dall’ormai lontanoesordio del 1959 fino ad oggi, avendo sott’occhio buonaparte delle sue fatiche.

    Superata l’iniziale sensazione di smarrito stupore, ciòche colpisce immediatamente l’osservatore è l’originali-tà dell’impronta, unica ed inconfondibile, di AntonioStanca. Egli, nell’arco di oltre un cinquantennio, si è ac-costato a diversi stili, sempre però reinventandoli con in-terpretazioni tanto personali ed innovative da superarlisenza mai appiattirsi in comodi manierismi o in steriliesercitazioni di scuola.

    L’apparente diversità tra i vari periodi non deve trarrein inganno né tantomeno può permettere di ipotizzareuna qualche frammentarietà o occasionalità della sua in-faticabile ricerca.

    Un filo rosso percorre l’intera produzione di AntonioStanca, aggrumandola intorno ad un nucleo essenziale ericonducendola ad un disegno organico ed unitario. Dal-la visione filosofico-esistenziale dell’Artista derival’identificazione dell’arte pittorica con l’esplorazione,

    Antonio StancaAntonio Stancae la ricerca infinitae la ricerca infinita

    di Franco Melissano

  • gennaio/febbraio 2015 Il filo di Aracne 29

    continua ed ostinata, dell’ignoto dell’insondabile del-l’inconoscibile – vuoi nella sua versione microcosmica(psiche umana) vuoi in quella macrocosmica (galassiesconosciute) – eternamente alla ricerca di risposte chetardano a venire.

    Si tratta di una concezione aristocratica ed eroica del-l’arte che sotto il profilo tecnico si esprime attraverso unsapientissimo uso del colore e un continuo attento ad-densamento/diradamento di luci e ombre.

    Ciò conferisce alla pittura di Stanca un animato, miste-rioso movimento che genera nel fruitore un senso di in-cantato stupore, di ancestrali ricordi, di oniricheatmosfere finalmente ritrovate.

    Ai rutilanti colori da bolgia dantesca immersi in un’“aura senza tempo tinta” si susseguono gli incredibiliverdi e i blu di fantastiche vertiginose profondità mari-ne di verniana memoria; poi questi lasciano il posto aduna fantasmagoria di colori che in vorticosi movimentitellurici ci squadernano fascinosi universi sconosciuti,proiettandoci in un interminabile viaggio intergalatticosenza approdi.

    In ogni caso, però, questo audace Ulisse della pitturaporta l’occhio di chi guarda verso un centro focale lonta-no e misterioso, una vorticosa voragine senza fondo, unimbuto in cui tutto nasce e tutto si consuma - pittoricaallegoria del dualismo vita/morte - che cattura l’osserva-tore costringendolo a filosofiche riflessioni sugli eterniinterrogativi che da sempre affaticano l’umanità.

    In attesa di ulteriori strabilianti espressioni dell’ine-sauribile vena creativa di Antonio Stanca, possiamo so-lo ringraziarlo per la fascinosa avventura in cui ci hacoinvolti con la sua straordinaria sensibilità. •

  • Outremer era il nome che i primi Crociatidiedero al regno di Gerusalemme, laTerra Santa: destinazione finale, agogna-ta mèta per tanti e tanti giovani che, dalle nostrecoste, si imbarcavano non già o non solo allavolta di un luogo fisico, ma più che altro alla ri-cerca del proprio destino, della propria fortuna.

    Con questo nome venivano indicate nel Me-dioevo quelle terre del vicino Oriente che rap-presentavano, nella fantasia degli artisti e deisognatori, nella brama di ricchez