Anno V - N° 1, gennaio/febbraio 2010 Periodico bimestrale di … · 2019. 1. 8. · Anno V - N°...

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Anno V - N° 1, gennaio/febbraio 2010 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal Circolo Cittadino “Athena” - Galatina Anno V - N° 1, gennaio/febbraio 2010 - Autoriz. Trib. di Lecce n.931 del 19 giugno 2006 - Distribuzione gratuita www.circolocittadinoathena.com

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  • Anno V - N° 1, gennaio/febbraio 2010

    Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal Circolo Cittadino “Athena” - Galatina

    Anno V

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    rib. di Lecce n.931 del 19 giugno 2006 - D

    istribuzione gratuita

    www.circolocittadinoathena.com

  • I Quadernetti di Athena

    LA PIRAMIDE UMANA

    di Rino DUMA

    4

    Historia Nostra

    LE SETTE SEGRETE

    di Mauro DE SICA 8

    Storia dell’industria salentina

    DALLA FEDELCEMENTI...

    di Alberto FORTUZZI 11

    Personaggi salentini

    FEDELE ALBANESE

    di Rosanna VERTER 14

    Terra noscia

    LAURI, SCIACUDDHI E MONACIELLI

    di Antonio MELE ‘MELANTON’

    16

    Cultura e dintorni

    QUANDO PIOVONO LIBRI

    a cura della Biblioteca Comunale di Tuglie18

    Poeti e scrittori salentini

    NELLA BUFERA

    dI Carmen de Stasio

    20

    Premi e riconoscimenti

    PREMIO GALATEO 2009

    di Vittorio ZACCHINO 22

    Artisti salentini

    MEMINI ERGO SUM

    di Giuseppe MAGNOLO 25

    Sul filo della memoria

    LE LAMPE

    di Pippi ONESIMO 28

    Scuola chiama società

    L’IMPORTANZA DI AGIRE CON...

    di Emanuele CAPUTO 30

    SOMMARIO

    Nelle mani d’argilla semi d’oroavevi, padre,curvo sopra il solcoaperto al cielo,al vento sulle zolle.Sublimazione il corpo tuo di linfa,radice bruna nata dalla vigna.Siepi di sguardi gli occhi degli uccelli,avidi di saccheggio,un volo, un’ondainghiottita da un cielo senza fondo.Brusio dell’Uomo, Incenso di preghiera.Perdono, padre, ché per te non piansiil canto della pioggia che si negaall’erba genuflessa dell’arsuraper grido che non ebbi di risveglioad un’eco di germogli senza scorza.Se non fui braccia buone per la vignao all’aia non ebbi quiete d’ombraal termine del giorno dividendocon te, dopo fatiche, pane e stelle.Riscriverò le rughe della terra,cento e più lune a guardia della notte,l’incendio dei falò nati dal campo,il fiato delle nebbie di novembree un’aria aspetterò che infila giornidi primavera e zoccoli di vento.Siederò ancora a un tavolo di sognonel cerchio della lampada che insertaombre sulle pareti ed una vegliadi volti scesi a un’agape d’amore.

    Bruno GigliottiCosenza

    COPERTINA: SALENTO - Mareggiata a Santa Maria al Bagno

    Redazione Il filo di Aracne

    Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina, edito dal Circolo Cittadino “Athena”

    Corso Porta Luce, 69 - Galatina (Le) - Tel. 0836.568220

    info: www.circolocittadinoathena.com - e-mail: [email protected]

    Autorizzazione del Tribunale di Lecce n. 931 del 19 giugno 2006. Distribuzione gratuita

    Direttore responsabile: Rossano Marra

    Direttore: Rino Duma

    Collaborazione artistica: Melanton

    Distribuzione: Giuseppe De Matteis

    Redazione: Tonio Carcagnì, Salvatore Chiffi, Piero Duma, Antonio Mele ‘Melanton’, Mariateresa Merico,

    Maurizio Nocera, Pippi Onesimo, Tommaso Turco, Piero Vinsper, Gianluca Virgilio

    Impaginazione e grafica: Salvatore Chiffi

    Stampa: Editrice Salentina - Via Ippolito De Maria, 35 - 73013 Galatina

    Agape d’amoreAgape d’amore

  • Parto da una premessa. Come gli esseri umani, anchegli alberi sognano. Solitamente lo fanno sul finire del-l’inverno. Sognano di ricoprirsi di un rigoglioso man-tello di foglie, di mettere fiori a bizzeffe e frutti a bizzeffe,per poi donarli all’altrui vita. È questa l’unica finalità checonnota la vita degli alberi, oltre a quella legata alla loro ri-produzione.

    Anche gli animali sognano, sognanoogni notte come gli umani. Il sogno ricor-rente degli insetti è di succhiare polline ingran quantità, di mangiare foglie, di ali-mentarsi di bacche o di altri insetti. I pre-datori, dal loro canto, sognano di rin-correre la preda e di cibarsene, mentre que-st’ultima spera di sfuggire, di non imbat-tersi nel suo eterno nemico o, magari, ditrovare un prato dove rimpinzare, con sa-zietà, lo stomaco.

    Per nutrirsi, tutti gli esseri viventi hannobisogno di sfruttare o il mondo vegetale oquello animale. Se un leone uccide unagazzella, lo fa esclusivamente per ragioni legate alla suasopravvivenza, ma non certamente perché ha in odio lasua preda: lo fa soltanto per fame. Ergo, un leone sazio èun nemico innocuo per la gazzella, anzi può starle accan-to… sino a quando non sarà nuovamente assalito dai mor-si della fame!

    Tutte le forme di vita ricorrono a questo vitale stratagem-ma, tranne una: l’uomo.

    Anticamente l’unico scopo, o meglio, l’unico sogno del-l’uomo era quello di cacciare per procurarsi il necessario

    sostentamento, in linea con le leggi della natura. Si com-portava, cioè, come un normale predatore. Poi, sfruttandol’intelligenza, ha allargato gli orizzonti di vita, escogitan-do forme e sistemi per lavorare meno e vivere meglio. Inpratica, durante il corso dei secoli, nella sua mente ha fat-to capolino il pensiero economico del massimo rendimento

    con il minimo sforzo. Da allora, l’uomo hadichiarato guerra ad altri uomini e, so-prattutto, alla natura. Poco per volta, nonsi è più sentito parte integrante di essa,anzi l’ha dominata, l’ha sottomessa, l’haprostrata, l’ha sfruttata per realizzare isuoi irrefrenabili e turpi… sogni.

    Il vero problema dei disastri commes-si dall’umanità sta proprio nella differen-te diversificazione dei suoi sogni, siarispetto a quelli degli altri esseri viventie sia a quelli dei propri simili. Infatti, nontutti gli uomini sognano allo stesso mo-do. Per spiegare meglio l’assunto, è ne-cessario soffermarsi sulla struttura della

    società umana.Alcune persone sognano in grande perché vivono già in

    grande. I loro sono sempre sogni vivacemente colorati. Ilpasso che separa la loro vita dai loro sogni è minimo, poi-ché ogni desiderio è facilmente realizzabile.

    Vi sono, viceversa, molti uomini che vivono ai marginidella società umana e, addirittura, tanti altri che ne stannofuori. In pratica, queste persone sono estromesse dalla “vi-ta normale”, cioè dalla vita decente e decorosa: non hannola possibilità di sognare per come vorrebbero o, meglio an-

    4 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2010

    I QUADERNETTI DI ATHENA

    LA PIRAMIDE UMANALA PIRAMIDE UMANAL’uomo sta per rompere definitivamente il cordone ombelicale che lo lega alla natura

    di Rino Duma

    Baracche e grattacieli

  • cora, non tutti questi uomini sono messi nella condizionedi sognare per come vorrebbero. Non sognano neanche inbianco e nero. Insomma non hanno sogni.

    Il nostro pianeta, se lo osserviamo da un punto di vistageofisico, ha una forma quasi sferica, sulla cui superficiesono distribuiti casualmente i mari, gli oceani, le terre, imonti, le persone fisiche, le foreste, gli animali e quant’al-tro. Se invece lo consideriamo dall’aspetto socio-antropico,il mondo, o meglio l’umanità, assume un’altra configura-zione, esattamente quella di una piramide molto alta e dal-le pareti ripide, su cui sono stipati tutti gli uomini.

    È una piramide divisa da una coltre di nubi temporale-sche in due parti ineguali, sotto alla quale c’è quanto dipeggio possa esistere: tuoni, lampi, fulmini, grandine,venti impetuosi, tornado, alluvioni, tsunami, terre-moti si abbattono in continuazione e rendono la vi-ta difficilissima. Al di sopra, invece, splende il solee il panorama è stupefacente.

    Nella parte più bassa della piramide è collo-cata la gente poverissima, quella che quotidia-namente subisce angherie, prevaricazioni,mortificazioni, violenze di qualsiasi genere;è gente che non ha speranze e che portaavanti una vita fatta di sofferenze, diamarezze, di stenti e di rinunce forza-te. Si tratta di gente che vive ai margi-ni della società; è gente cheusufruisce di un’alimentazionesbagliata e deficitaria, che haun’igiene personale molto ap-prossimata ed un’assistenzamedica e farmaceutica ridot-ta al lumicino; è quella gen-te che è stipata nelle“favelas” dell’Americameridionale, nelle ca-panne di fango o dipaglia dell’Africa,nelle catapecchiegalleggianti delBangladesh, del-l’India, della Birmania, di Sumatrae delle Filippine, è quella gente che vive nelle “bi-donville” di alcune città americane e sudafricane, è quellagente che vive nelle baraccopoli delle grandi capitali, èquella gente che passa le notti all’addiaccio sotto i pontidel Tamigi, della Senna e del Tevere, o sotto i ponti di unqualsiasi cavalcavia o sotto le panchine delle stazioni fer-roviarie o dei parchi comunali e che ha come unica coper-ta dei miseri cartoni, è quella gente che pulisce i vetri nellevicinanze dei semafori o che si arrabatta alla meglio ven-dendo qualche stupida cianfrusaglia, è quella gente checerca tra i rifiuti qualcosa da mangiare o da vendere, èquella gente che d’estate, svendendo la propria dignità, la-vora per pochi euro al giorno, raccogliendo angurie, po-modori, uva e quant’altro, è quella gente che si prostituiscecontro voglia, che vende il proprio corpo per poter sbar-care il lunario della sua grama esistenza.

    Possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che quasi

    il 40% della popolazione mondiale occupa questa posizio-ne nella piramide. Ciò significa che quasi tre miliardi diuomini vivono in una situazione di estrema povertà e in-digenza. Queste notizie sono state fornite recentementedall’OMS, cioè dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.Ma a questi dati allarmanti si devono aggiungere altri, nonmeno preoccupanti, comunicati dall’Istituto Nazionale diStatistica. In Italia sono ormai ben 9.000.000 le persone po-vere! La tendenza all’impoverimento è purtroppo in au-mento.

    Ritenete forse che queste persone abbiano la forza disognare, di formulare dei desideri? Penso proprio di no:

    esse vivono nell’incubo di non farcela; hanno comeunico scopo quello di sopravvivere e non certamen-

    te quello di vivere o di vivere meglio. Più che so-gnare, vivono nell’angoscia che hanno ereditato

    dai loro genitori e che, probabilmente, tra-smetteranno ai loro figli. Queste persone

    hanno come unico desiderio quello di su-perare la giornata e di sperare che quel-

    la che sta per nascere sia menocrudele di quella appena vissuta.

    Queste persone non sognano, an-zi si rifugiano nei sogni, quelli

    biologici, tanto per intender-ci, per venire fuori da una

    realtà brutale e spietata.Per loro la morte rap-

    presenta una libera-zione salvifica.

    Salendo di alcu-ni gradini, tro-

    viamo unafascia di

    p e r s o n eche rie-

    scono amala pena a

    vivere; insommasi arrabattano alla

    men peggio, ma le lorocondizioni di vita lasciano a

    desiderare per alcuni aspetti. Stia-mo parlando di quelle persone che a

    mala pena arrivano con il salario alla terza settimana delmese. Questa fetta rappresenta il 30% degli umani… uma-ni per modo di dire!

    Salendo più in alto, finalmente, si abbandona la partedella piramide che è avvolta da nubi perennemente tem-poralesche, attraverso le quali non filtrano raggi di sole.Nella zona, immediatamente sopra le nubi, sono collocatele frange di uomini che “vivono” una vita decente e deco-rosa, fatta di “cose normali” sotto qualsiasi punto di vista.Queste persone sognano, ma non in grande stile, sognanodi poter vivere meglio. La fetta di torta, in questo caso, siassottiglia ancor di più e misura il 18-20%.

    Proseguendo verso l’alto della piramide, si trova una mi-nuta schiera di uomini che dispongono di buone risorse fi-nanziarie e occupano posti di prestigio in seno alla

    gennaio/febbraio 2010 Il filo di Aracne 5

  • comunità umana. Sono gli alti ufficiali militari, i primariospedalieri, i dirigenti statali, i direttori aziendali, i picco-li e medi industriali, gli uomini di spettacolo (come can-tanti e calciatori affermati, attori, artisti e musicisti di gridoecc.). Sono questi gli uomini che hanno la possibilità di so-gnare a colori, di poter realizzare progetti anche comples-si e ambiziosi, razionalizzando scientificamente le proprierisorse, in modo da ottenere il meglio e il massimo.

    Qui la fetta di torta è ancor più ristretta: ci troviamo in-torno al 10-11%.

    Manca ancora pochissimo per arrivare al 100%. C’è infatti un’altra piccola zona, situata in cima alla pira-

    mide, dove vivono ed agiscono indi-sturbati gli “eletti”, cioè i magnatidell’industria, della finanza, delle lob-bies economiche e della politica, i po-tenti, o meglio i pre… potenti, quellicioè che possono godere a iosa di privi-legi, quelli che dominano tutto e tuttinon solo con lo sguardo, quelli che de-cidono delle sorti dell’umanità, spo-stando a loro piacimento la ricchezzada un luogo all’altro del pianeta, a se-conda della convenienza.

    Questi uomini non sognano, nonhanno aspirazioni e desideri, poichésanno di avere tutto il mondo ai loropiedi. Forse il loro unico rammarico èquello di sentirsi mortali e, di conse-guenza, la loro unica aspirazione èquella di rimanere eternamente giovani e di sperare che inun prossimo futuro diventino immortali. Per loro la mor-te rappresenta un’autentica tragedia, ma dai poveri è vi-sta come una giusta punizione. In Italia abbiamo alcuniesempi eclatanti! Sono proprio questi uomini che spudora-tamente parlano di amore… di amore che trionfa sull’odio.

    Di chi la colpa di quest’assurda strutturazione della so-cietà umana?

    Pesa enormemente il grosso fardello che ci è stato conse-gnato dal passato, ma, a parer mio, il nodo principale delproblema va ricercato nell’errato modello di sviluppo, in-teso a livello economico, sociale e politico. Se non si trova-no vie alternative immediate, l’umanità corre il rischio dientrare in un tunnel dal quale difficilmente potrà venirfuori.

    Come porre riparo a una situazione del genere? Non vi sono bacchette magiche in giro, neanche a pagar-

    le a prezzo spropositato, né tanto meno pietre filosofali,che trasformino ogni vile metallo in oro. Il nostro unicostrumento è rappresentato da una comune presa di co-scienza, grazie alla quale affrontare immediatamente l’at-tuale situazione, che, sebbene preoccupante e seria, haancora un buon margine per essere risolta.

    Abbiamo quanto necessario perché su questo pianeta sipossa vivere in pace e in armonia con noi stessi e con lanatura: basta soltanto sapersi organizzare. Il guaio, pur-troppo, è che c’è sempre qualcuno che vuol avere un po’ dipiù per sé, ma non si rende conto che quel di più lo sottraea qualcun altro. Di questi “qualcuno” in giro ci sono tantis-

    simi, quasi due miliardi di persone, le quali tentano quo-tidianamente di sottrarre alla rimanente parte dell’umani-tà risorse, ricchezze, alimenti, acqua e, ultimamente, ariapulita (cioè ossigeno).

    È una corsa affannosa da parte dei paesi occidentali adaccaparrarsi le risorse migliori del pianeta-terra.

    Questo continuo e inarrestabile scempio e depaupera-mento naturale possono essere fermati grazie alla buonavolontà delle maggiori potenze mondiali, i cui governan-ti, sino a qualche tempo fa, hanno fatto finta di non senti-re e di non vedere. Ultimamente, qualche cosa sembraessere cambiata: c’è, finalmente, una presa di coscienza ge-

    nerale. Ma bisogna fare in fretta, perché, ognianno che passa, il pianeta invecchia semprepiù velocemente e corre il rischio di non ri-prendersi dalle profonde ferite.

    Intanto un passo importante lo possono e lodevono fare i giovani. Il mondo e, di conse-guenza, la comunità umana potranno risorge-re solo conducendo i giovani ad acquisire unavisione meno egoistica della vita.

    Due sono le agenzie più importanti chia-mate a educare correttamente i giovani: la fa-miglia e la scuola. Purtroppo i risultatisinora ottenuti sono molto mediocri e infe-riori alle attese, perché sia la famiglia sia lascuola non riescono a tener testa alla follecorsa, di cui si accennava poco fa. Per talemotivo vanno rivalutate adeguatamente e sudi loro vanno fatti grossi investimenti. Una

    famiglia sana e una scuola sana aiutano i ragazzi a cresce-re responsabilmente. Ma i giovani vanno educati a farsi uncarico di spiritualità, più che di materialità; vanno educa-ti ad amare, a soffrire, a sperare, ad aiutare, a interessarsianche degli altri, e non soltanto di se stessi.

    Come? Inculcando nei giovani i semi della solidarietà,del rispetto, della fratellanza, della condivisione, della co-munione, della giustizia, della pace.

    La scuola, più che la famiglia, deve costruire i futuri cit-tadini, deve forgiare uomini forti nelle idee e nel carattere,uomini liberi, determinati, che non abbiano paura, capacidi far cambiare tendenza alla società umana e di far adot-tare modelli di sviluppo e di vita più consoni alle esigen-ze dell’umanità. Attraverso un lento ma continuo rin-novamento di idee, di persone e di programmi si può an-dare lontani. Questo rinnovamento è possibile solo se pas-sa attraverso le coscienze dei singoli cittadini, dei giovanie delle future generazioni. Si può e si deve vincere que-st’importante e decisiva sfida, ma intanto è necessario cheognuno di noi, partendo dal proprio piccolo mondo, co-minci a innovarsi e a vivere una vita diversa rispetto a pri-ma, responsabilizzandosi, correggendosi, ridimensionan-dosi, rinunciando a qualche piccolo privilegio, ma, soprat-tutto, amando di più.

    Prodighiamoci per costruire un mondo migliore, dovenon ci siano né servi, né padroni, dove ogni uomo possa ammi-rare, con sguardo unico, lo stupendo spettacolo della natura egodere, in pari misura, dei suoi frutti. •

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    Senza parole

    Rino Duma

  • Grazie allo storico Pietro Palumbo di FrancavillaFontana, al notaro Nicola Pignatelli e a FerranteTanzi, direttore dell’Archivio di Lecce, la storiasalentina del primo Ottocento si è potuta arricchire ade-guatamente. Il primo, grazie ad una ricerca meticolosa,ha studiato in lungo e in largo il Risorgimento Salenti-no; il secondo ha redatto uno zibaldone di cause crimina-li risalenti alla Repubblica Napoletana del 1799, mentreil terzo ha riordinato pazientemente molte notizie sulleSette o Vendite Carbonare.

    Poco è emerso dagli At-ti di polizia relativi al pe-riodo 1800-1860, ammuc-chiati qua e là disordina-tamente in diversi luoghidel Regno. La scarsità dinotizie è anche dovuta alfatto che molti storici del-l’epoca erano asserviti alregime borbonico, per cuipoche verità furono con-segnate alla Storia; anzi,uomini di provato stam-po repubblicano e pa-triottico, come Oronzo

    Massa, Giuseppe Libertini, Nicola Mignogna, GiuseppeFanelli, Liborio Romano, Epaminonda Valentino, Sigi-smondo Castromediano, Antonietta de Pace, BonaventuraMazzarella, Emanuele Barba e altri, furono a lungo perse-guitati, incarcerati, torturati. Alcuni marcirono in galera,altri furono passati per le armi, in pochi si salvarono.

    Origine delle sette segreteVa innanzitutto precisato che, nel Meridione d’Italia, le

    società segrete erano già operanti ancor prima della Re-pubblica Napoletana del 1799, fallita nel sangue dopo ap-pena mezz’anno.

    A quei tempi si contrapponevano due fazioni estremisti-che con finalità diverse: i Giacobini da una parte, i Realisti(poi diventati Sanfedisti, Concistoriali, Trinitari, Calderari)dall’altra.

    Sia gli uni che gli altri si muovevano clandestinamente.I primi erano convinti assertori che la libertà, l’indipen-denza e il retto governo si potessero ottenere soltanto con

    una Repubblica democratica. Si muovevano nell’ombra,ma erano legati da vincoli indissolubili e da una buona re-te organizzativa. Anche i secondi agivano in clandestini-tà, ma erano foraggiati e manovrati dai Borbone.Appoggiati dal clero e da alcuni nobili fedeli alla corona, i

    realisti ritenevano che i giacobini fossero nemici del Papa,di Cristo e del Trono e, come tali, dovevano essere elimina-ti. Essi usavano tutti i mezzi, leciti o illeciti, per scovarli ecombatterli. Molti esponenti giacobini di spicco perironoper mano realista.

    La setta segreta dei CarbonariLa carboneria vera e propria era stata introdotta nel Re-

    gno delle Due Sicilie intorno al 1807, forse dal generalefrancese Miot, e aveva attecchito immediatamente in qua-si tutti gli strati della popolazione. Molti borghesi e nobilinapoletani erano statiadeguatamente istruiti eguidati da alcuni ufficialitransalpini al pensieropolitico giacobino, in mo-do che fosse diffuso intutte le terre del Meridio-ne e radicarsi nelle co-scienze di ogni cittadino.Nel 1811 il governo re-pubblicano di GioacchinoMurat aveva istituziona-lizzato il movimento dellacarboneria, conferendogliil necessario riconosci-

    8 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2010

    HISTORIA NOSTRA

    Gioacchino Murat

    Riunione di una vendita carbonara

    Pietro Palumbo (1839-1915)

  • mento politico e tutelandolo legalmente; ma ben presto lesette carbonare gli si rivoltarono contro per la politica eco-nomica sbagliata e ben distante dall’iniziale pensiero rifor-mista.

    La finalità precipua delle sette carbonare, chenella struttura erano molto simili a quelle mas-soniche, era l’emancipazione di ogni uomo e lasua uguaglianza di fronte alla società, alla legge ea Dio. A differenza delle sette massoniche, inquelle carbonare vi era un ordine androgino,cioè vi potevano aderire sia uomini (chiamatibuoni cugini) sia donne (chiamate sorelle giardi-niere). L’emblema di ogni setta carbonara ri-portava numerosi simboli caratteristici: lacroce drappeggiata, la corona di spine, il fascioe la scure, la spada e il flagello, Marte e Palla-de Frigia, il gallo sull’òmphalos, l’albero, il sole, la terra, l’ac-qua, la bilancia, la scala, il Vangelo, il Cristo e altri minori.I vari simboli erano collocati intorno ai vertici di due trian-goli equilateri intersecanti, uno dei quali capovolto sull’al-tro nella parte mediana. I lati dei triangoli erano costituitida lunghe catene, a testimonianza delle sofferenze del Cri-sto, redentore degli oppressi. La Carboneria era in pratica

    la società degli umili e dei perseguitati. Cristo era consi-derato il primo carbonaro, san Teobaldo era il patrono del-la setta. Nella parte interna dei triangoli vi erano dellelettere maiuscole, disposte su due righe. La prima contene-va: A…G…D…G…M…D…U…, vale a dire “A Gloria DelGran Maestro Dell’Universo”; la seconda, invece,S…G…A…D…N…P…S…T…, cioè “Sotto Gli Auspici DelNostro Protettore San Teobaldo”.

    Come in tutte le sette, l'iniziazione alla Carboneria av-veniva con riti che avevano del simbolico, del misteriosoed anche del pauroso. All'iniziato erano bendati gli occhie poi era condotto nella baracca, luogo segretissimo, consi-derato il Tempio della Virtù. Qui, alla presenza di tre luci (ilGran Maestro e due Maestri) e di persone incappucciate, erasottoposto a una serie di domande e ad alcune prove di co-raggio. Se l’aspirante carbonaro superava i vari ostacoli edimostrava di possedere ingegno, fede e coraggio era sbenda-to. Si ritrovava con quattro pugnali puntati alle tempie econ il Gran Maestro (anch’esso incappucciato) che gli ricor-dava che, se avesse tradito, sarebbe stato ucciso brutalmen-te, il suo corpo fatto a pezzi, bruciato e le ceneri sparse alvento. Dopo di che, l’iniziato era invitato a giurare e a fir-

    mare con il suo stesso sangue una pergamena. Per ultimo,il Gran Maestro gli consegnava un nastro tricolore (rosso,nero e celeste), chiamato chantillon, e, pubblicamente, lo

    nominava Apprendista. Alla fine del rito inizia-tico, gli rammentava che l’orgoglio, la vanità e lericchezze dovevano essere bandite dalla sua vi-ta e che nella sua mente dovevano alloggiaresoltanto l’umiltà, la giustizia e la fratellanza.

    Ogni affiliato non conosceva altro che i su-periori immediati della vendita (setta) di appar-tenenza, ai quali doveva cieca obbedienza. Nelcorso della sua vita poteva salire la scala ge-rarchica, passando da Apprendista, a Maestro, aGran Maestro e, infine, a Grande Eletto.

    I carbonari, per riconoscersi, dovevano farricorso a un complicato sistema di battute, di

    toccamenti, di passi e, infine, a seconda delle situazioni, aduna sequenza di particolari parole d’ordine.

    Negli anni a seguire si costituirono in tutto il Salento nu-merose vendite carbonare. I titoli con cui erano denominaterisentivano del risveglio della letteratura classica, iniziatodall’Alfieri, che aveva in odio i tiranni.

    A Lecce troviamo ben sei vendite de L’Idume, il cui GranMaestro era Girolamo Congedo, ad Otranto L’Idro, a Gala-tina I Novelli Bruti, guidati da tale Giovanni Campa, a Gal-lipoli L’Asilo dell’Onestà e L’Utica del Salento, a Nardò LaFenice Neretina, a Squinzano Il sollievo dell’Umanità, a Mon-teroni I figli di Muzio Scevola, a Copertino I Figli della Ragio-ne, a Soleto Il Sole Rallegrato, a Carpignano Gli Alunni diMarte, a Novoli Il Nuovo Carbone e Il Novilunio, a Taurisa-no L’Aquila Imperiale Romana, e tanti altri ancora. A Leccegli affiliati si riunivano presso la bottega “Alle quattro Spe-zierie” di tal Giacomo Macella o presso il “Gran Caffè” diRaffaele Persico, in Piazza Sant’Oronzo.

    La setta dei GuelfiUna setta carbonara moderata era quella dei “Guelfi”,

    presente in molte parti del Meridione e dello stesso Salen-to. Gli affiliati si limitavano a diffondere l’ideale repubbli-cano e liberale, piut-tosto che prendereparte a movimentiinsurrezionalisti eviolenti.

    Una tra le sette piùaffermate era, senzaalcun dubbio, L’Uti-ca del Salento, sorta aGallipoli intorno al1820 da una costoladella vendita carbo-nara L’Asilo dell’One-stà, sanguinaria einterventista. Pareche i motivi dellascissione siano dacollegare all’uccisio-ne di un gendarmegallipolino, omicidio non condiviso da alcuni affiliati. Lanuova setta, guidata nei primi anni da Gregorio de Pace

    gennaio/febbraio 2010 Il filo di Aracne 9

    Emblema carbonaro

    Diploma di affiliato alla carboneria

    Don Antonio De Pace

  • (padre della più famosa Antonietta) e, alla sua morte, dalfratello, il canonico Don Antonio, si riuniva nelle casine diStracca e di Camerelle, nei pressi di Villa Picciotti (Alezio).

    La setta dei CalderariRimpossessatosi del regno nel 1815, Ferdi-

    nando IV di Borbone aveva immediatamentevietato logge massoniche e vendite carbonare. Percompletare la sua campagna contro i Carbo-nari, il sovrano aveva autorizzato e sostenu-to una setta a lui fedele, i Calderari, o ancheCalderai, che diedero inizio ad una serie infi-nita di regolamenti di conti. Quella dei Cal-derari era un’associazione segreta reazionariae filo-borbonica, chiamata anche società «delcontrappeso», perché la sua attività era con-trapposta a quella dei carbonari. Il sangue sispargeva per tutte le terre del regno e la dela-zione era diventata un fatto quotidiano. Inprovincia di Lecce, resta famosa la setta dei calderari diGallipoli, guidata dal notaio Francesco Sambati, il qualepiù volte si scontrò con gli affiliati de L’Asilo dell’Onestà. Èda ricordare anche il violento Ciro Vergine da Maglie.

    Malgrado queste pressioni la Carboneria salentina con-tinuò a crescere.

    A capo della setta controrivoluzionaria dei calderaric’era il Principe di Canosa Antonio Capece Minutolo, gra-ziato da Re Ferdinando ai tempi della rivoluzione del ’99e poi schieratosi sull’altra sponda, tanto da essere nomi-nato ben presto Direttore di Polizia del Regno. Il nobile silasciò andare a continue scorrerie nelle zone ad alto indi-ce di carboneria. Godendo del favore del governo, i Cal-

    derari agivano in modo inconsulto e sfrenato, compiendoviolenze e azioni brutali. Per tale motivo la setta, dopo al-cuni anni, fu sciolta e perseguitata dallo stesso sovrano.

    Altre sette di minore importanza si mossero nella primametà dell’800. Su tutte ricordiamo i Concisto-riali e i Trinitari, dalla parte borbonica, mentrei Filadelfi, gli Edennisti, i Turbolenti e, soprat-tutto, i Decisi, dalla parte liberale.

    ConclusioneA un Ottocento, fervido e movimentato, in

    cui gli uomini si sono battuti strenuamente peril conseguimento della Libertà, della Giustiziae della Pace, ha fatto seguito un secolo pieno diguerre e di sangue, durante il quale sono stateconquistate soltanto le Carte Costituzionali e unavita apparentemente democratica, ma ancorainquieta, preoccupante e molto distante dallegrandi aspettative umane e sociali.

    Oggi, purtroppo, godiamo di una libertà contenuta, ri-stretta, tascabile. Vi sono persone che ne usufruiscono apiacimento, a volte anche per perseguire degli interessi il-lecitie immorali; ad altre, invece, è concesso il minimo in-dispensabile per muoversi entro spazi vitali sempre piùridotti e per vivere una vita appena appena decente. La ve-ra libertà, quella di cui tutti vorrebbero usufruire, è ancorainchiodata sulle pagine della Carta Costituzionale e stenta amuoversi tra la gente. Occorreranno decenni e decenni didura fatica, di lotte civili, di impegni sociali perché si ab-battano definitivamente le roccaforti egemoniche e si pos-sa realizzare il grande disegno che l’uomo si porta dietrodall’alba della Storia. •

    10 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2010

    Antonio Capece Minutolo

    Mauro De Sica

  • Prima parte

    Ai posteri voglio ricordare e posso assicurare che èstato Giovanni Fedele, fu Vincenzo, a chiamare iFortuzzi nel 1953 per realizzare lo stabilimentograzie al suggerimento del sig. Benedetti, direttore del da-zio, prima a Monopoli poi a Galatina.

    Don Nino, com’era chiamato da tutti, decise di realizza-re quest’opera (imponente per quei tempi), ma senzaamarla pienamente. Sì, per-ché quest’uomo, laureato inagraria e padre di otto figli,che preferiva il bestiame alcemento, accettò di costruirela nuova fabbrica per frenarel’emigrazione locale, permet-tendo al bracciante agricolodi “trasformarsi” in un ope-raio meccanico. Anche glistessi camionisti, che, per ri-tirare il cemento, si recavanosino a Monopoli, scoprironoche era più vantaggioso e co-modo produrlo dentro casa.

    Gli stipendi elargiti agli im-

    piegati e agli operai furono dagli stessi investiti nella co-struzione della propria casa. In pochi anni, lungo Via So-leto, le nuove abitazioni spuntarono come funghi. Nonsolo: pian piano i lavoratori della Fedelcementi passaronodalla bicicletta al motorino e poi all’auto. Mio padre, fissa-to per le statistiche, mi fece presente che le macchine circo-lanti a quell’epoca a Galatina erano poco più di unatrentina. Tanto a voler citare qualche esempio riguardo al-

    le condizioni economiche del-la gente d’allora, l’operaioContini si spostava ogni gior-no da Collepasso alla Fedel-cementi in bicicletta (anchequando nevicava) e un certoAntonio Albanese veniva inmosquito da Trepuzzi per 800lire al giorno. Cesarino Santo-ro, che guadagnava dodicimi-la lire al mese, convinse me,che guadagnavo il doppio, acomprare un pezzo di terrenoper costruirmi la casa.

    Dalla famosa “Cassa delMezzogiorno”, grazie all’in-

    gennaio/febbraio 2010 Il filo di Aracne 11

    STORIA DELL’INDUSTRIA SALENTINA

    P r e m e s s aNella ricostruzione storica del famoso impianto industriale, sorto intorno alla metà degli anni ‘50, ci siamo av-

    valsi della testimonianza di un uomo che ha vissuto in prima persona le vicende del noto cementificio e che, quin-di, possiede, meglio di chiunque altro, le conoscenze per ridisegnarne nei dettagli il travagliato percorso storico.

    Se oggi la struttura industriale galatinese è divenuta una grossa realtà, si deve all’oculata gestione e all’efficien-te organizzazione dei fratelli Colaiacovo, che, dopo aver rilevato l’azienda da Giovanni Fedele, fu Vincenzo, e Gio-vanni Fedele, fu Salvatore, e aver ristrutturato da cima a fondo gli impianti e le attrezzature, hanno rilanciato ilcomplesso industriale, garantendogli un’adeguata modernità e una considerevole competitività in ambito nazio-nale e, forse anche, internazionale.

    Perciò, non ci rimane altro che ringraziare l’amico Alberto Fortuzzi per l’attenta analisi e seguirlo nella minu-ziosa descrizione.

    1956 - Inaugurazione - Il Dott. Fedele Giovanni fu Vincenzo,

    il Prefetto, il Vescovo Mons. Calabria e l’ On. Caiati

    di Alberto Fortuzzi

  • teressamento dei politici, arrivarono quattrocento milio- nidi vecchie lire e ce ne vollero molti altri per far fronte all’in-gente spesa d’impianto.

    Inizialmente producevamoduemila quintali di cementoal giorno, ma già cinque annidopo accendemmo un secon-do forno e triplicammo queivalori. Fu quello il miglioremomento per la “prima” Fe-delcementi, nonostante la mo-desta produzione annua dicemento. Faccio notare che al-l’epoca esistevano in Pugliasoltanto degli impianti inferio-ri al nostro. Di questi ricordoil cementificio di Barletta,quello dei De Marco a Tarantoe dei De Gennaro a Molfetta.

    Purtroppo quel momentomagico non durò a lungo, poiché gli impianti, richiedendoper loro natura un’assidua manutenzione e continui rive-stimenti, non furono adeguatamente controllati e mante-nuti efficienti. Io, che ho vissuto sulla pelle tutta la storiadell’industria, che ho abitato per dieci anni fra quelle mu-ra, dove sono nati i miei figli, uno dei quali battezzato dal“principale”, posso testimoniare quanta fatica, sofferenzae passione sia costato il tutto. Purtroppo, degli otto figli del“primo” dottor Giovanni Fedele nessuno volle seguire leorme paterne e fornirgli una dovuta collaborazione. Conciò, non mi sento di attribuire colpe, ma… potrei salvare ladottoressa Anna Maria che ebbe il coraggio di studiare chi-mica laureandosi e proponendosi in laboratorio. Fu sfortu-nata capitando in cementeria nel momento delicato che

    coinvolse in negativo tutti noi. L’avere poi marito e figli,non le consentì di dedicarsi a tempo pieno alla fabbrica egiustamente ci lasciò.

    Quell’uomo, nonostante tutto e al quale Galatina devemolto, lottò con tenacia, lottò contro le resistenze e l’incre-dulità della gente e l’invidia di molti, lottò contro chi pre-dicava che la fabbrica servisse solo per dare lavoro a un

    centinaio di braccianti agricoli, lottò contro chi lo accusa-va di non avere l’esatta percezione delle grandi responsa-bilità e dei rischi collegati a quell’impresa.

    Che cosa rimanga oggi aGalatina del dottor GiovanniFedele fu Vincenzo è prestodetto: una modesta villetta,con targa a suo nome, in unatraversa anonima di Via Sole-to. A distanza di oltre mezzosecolo, sono in pochi a ricor-dare quell’uomo, che ebbe ilcoraggio, misto a incoscienza,di dare inizio a quello che sa-rebbe diventato – ed è ancoraoggi – il più bello ed attrezza-to cementificio d’Italia, se nonaddirittura del mondo.

    Se gli anni ’60 furono senzadubbio i migliori, quelli del

    decennio successivo si chiusero con una crisi che, solo gra-zie all’intervento e alla determinazione di Giovanni Fede-le, fu Salvatore, di nome e di fatto, fu superata.

    In dieci anni quest’uomo, tenace e determinato, riportòl’industria a un livello tale da renderla appetibile a moltiimprenditori.

    Ma vado avanti con ordine per meglio far comprenderel’evoluzione dell’ingarbugliata vicenda. Agli inizi degli an-

    ni ’70, in piena crisi,un certo imprendito-re Moccia offrì 700milioni di lire per ri-levare l’intera pro-prietà (un’offerta dacani, simile alla rot-tamazione di unabuona autovettura),mentre un cert’altroingegner Pennisi del-la Sacci, amico dimio padre, offrì an-cora meno. Ad untratto apparve lui,Giovanni Fedele, fuSalvatore. Me lo ri-trovai sorridente unamattina, accanto a unmulino Ansaldo piut-tosto pericolante. Michiese di fargli una

    previsione di vita di quella macchina.“Può campare un anno, come un giorno”, fu la mia

    risposta. Notai sul suo volto una mezza smorfia, a dimo-strazione della delusione ricevuta. Ma, nonostante tutto, ti-rò dritto avanti. Oggi, quando penso a ciò che di miracolosoha saputo fare per riportare in sesto la Fedelcementi, misento in dovere di riconoscergli pubblicamente, attraversoquesta rivista, il grande coraggio e i tanti meriti avuti nel“resuscitare” quella fabbrica, che, altrimenti, sarebbe finita

    1961 - 2° forno Humboldt

    12 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2010

    Giovanni Fedele fu Vincenzo

    1985 - Torre Cem della Breda

  • gennaio/febbraio 2010 Il filo di Aracne 13

    nelle grinfie di grandi colossi, come la Cementir o l’Italce-menti, che l’avrebbero chiusa o, nel migliore dei casi, neavrebbero ridotto l’importanza strategica.

    Avrei gradito tantissimo che a scrivere questa testimo-nianza fosse stato lui, Giovanni Fedele, fu Salvatore, macon garbo mi ha convintoche, “da vero storico”, fossi ioa farlo. Mi ha, però, pregatodi evidenziare cinque punti,per lui fondamentali.1) Aver trovato una fabbricaacefala e sottodimensionata;2) Aver trovato una situazio-ne amministrativa di scarsafiducia delle banche nei con-fronti della fabbrica;3) Aver trovato un numeroelevato di creditori, che co-stantemente bussavano allaporta;4) Dover sostituire il vecchiomulino con un altro nuovo;5) Dover appianare il conflitto di ordine ecologico con ilvicinato e le autorità locali.

    Non so se riuscirò a far comprendere a tutti i “miei” con-cittadini galatinesi l’immane sforzo che è costato un salva-taggio del genere. Non credo che oggi ci sarebbe stato unuomo in grado di “imbarcarsi” in un’impresa così ardua.Non voglio neanche immaginare minimamente cosa sa-rebbe successo a Galatina nella malaugurata ipotesi chefosse venuta meno la Fedelcementi: saremmo sicuramen-te tutti… in cassa integrazione.

    Per riferire i fatti, devo ricorrere ad “Alberto ed… il ce-mento”, ovvero al mio libro con le sue interviste. Quando lolesse, Giovanni Fedele richiamò la mia attenzione sul poco ri-salto dato al “caso Moccia” e alla sua scandalosa offerta di

    700 milioni. Qualche anno dopo, lo stesso cavaliere Moccia,ravvedutosi, si ripresentò per interposta persona offrendoben tre miliardi di lire per acquisire il 33% del tutto. Ha avu-to ragione nel farmi notare quanto sia stato poderoso e tem-pestivo il suo intervento per la sopravvivenza dell’impianto.

    Ora scendo nei particolari sen-za rispettare l’ordine prefissatodei cinque punti, iniziando dal-l’ultimo, cioè dall’eco logico.

    Giovanni Fedele trovò unavecchia ordinanza sindacale se-condo la quale dovevamo instal-lare, entro sei mesi, elettrofiltri ingrado di abbattere le polveri inuscita dai camini, pena la chiusu-ra degli stabilimenti. Vane risul-tarono le preghiere di sospen-sione dell’ordinanza per darci lapossibilità di ordinare alla dittasvizzera Elex il macchinario. Glielettrofiltri furono un banco di

    prova ad alto livello per le pressioni esercitate dal sindaco e daivicini, nonché per le ristrettezze economiche del momento.

    La seconda priorità era il mulino da cemento in sostitu-zione di quello con quaranta metri di spaccature. Non fuper niente facile trovare i fondi necessari, ma il “nostro”riuscì a fare entrambe le cose. Ricordo la sua apprensionefino al momento delle prove, la meraviglia della gentequando le ciminiere smisero di fumare e la sua gioia nelvedere funzionare il nuovo mulino “Franco Tosi – diame-tro 3,40” al posto di quello tutto rotto.

    Un dato storico: il nuovo mulino produceva il triplo diquello rottamato!

    Il resto della meravigliosa e, al tempo stesso, sofferta storiadella Fedelcementi ve lo racconterò nel prossimo numero.

    1985 - Forno n° 4 interno - Rivestimento refrattari

    Alberto Fortuzzi

    (continua)

  • 14 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2010

    PERSONAGGI GALATINESI

    Il 12 marzo 1882 i redattori de Il Monitore odono un col-po di pistola; si precipitano tutti nell’ufficio del diretto-re Fedele Albanese; costui è seduto sul divano, la testareclina sulla spalla, un mazzolino di viole all’occhiello delcappotto; a terra il suosigaro ancora acceso ela mano destra che im-pugna la pistola, con laquale si è sparato uncolpo alla tempia de-stra. Muore così, a soli37 anni, il nostro con-cittadino, giornalistaeccezionale e garibaldi-no coraggioso. Muoreanche il suo sogno: ungiornale tutto suo, che,dopo appena quattromesi, senza gli aiutieconomici promessi,non è in grado di so-pravvivere e cessa quindi le pubblicazioni. Importanti fir-me del giornalismo compaiono tra le pagine de Il Monitore,ma nella Roma del tempo erano tanti i giornali politici epertanto non molti si accorsero di questa nuova testata. Ilgiornale è ben fatto, il direttore è il migliore che ci sia sul-la piazza, ma poche sono le copie vendute, molti i debiti,una vita difficile per il giornale: fornitori, tipografi aspet-tano Fedele tutte le mattine dietro la porta ed egli cerca difar fronte alle necessità. Il Monitore propugna la fusione delpartito liberale con il monarchico e vuole che “si raccolga-no i volenterosi intorno ai capaci, non guardando da che oppostipunti partono, perché diverse vie arrivano al punto d’incontro”.

    Siamo in pieno Risorgimento e questo sublime esempiodi giornalista e di garibaldino nasce a Galatina, il 18 otto-bre del 1845, dal barbiere Pietro e da Anna Angelini. Dopogli studi presso le Scuole Pie e il locale Liceo “Pietro Co-lonna”, grazie ad un esame superato brillantemente, vin-ce la prima borsa di studio della provincia e si iscrive allafacoltà di giurisprudenza presso l’università di Napoli.Nella città partenopea apprende la notizia della spedizio-ne del Tirolo organizzata da Garibaldi e, deciso più chemai, indossa la camicia rossa e si arruola nel reggimento“Chiassi”. Il 13 luglio 1866 si batte sul Monte Suello, il 16a Condino e il 20 si distingue, valorosamente, a Bezzecca.

    Torna a Napoli per riprendere i suoi studi, ma già l’an-no dopo (1867), col grado di sergente, è ancora tra i garibal-dini, guidati dal patriota calabrese Giovanni Nicotera, nelLazio, a combattere contro i papalini e i francesi, e ancoraa Monte Monocchi, a Neroli, a Villa Glori e il 3 novembreè a Mentana.

    Torna ancora a Napoli, dove si laurea l’8 agosto 1868,non per esercitare la professione ma per battersi tra le pa-gine dei giornali e in politica. Infatti il 20 settembre 1870l’esercito sabaudo-piemontese libera Roma dal potere pon-tificio e Fedele Albanese è tra i primi, come giornalista,con la divisione di Mazè de La Roche, a varcare la brecciadi Porta Pia aperta dai cannoni di La Marmora; con lui gliamici Ugo Pesci, Edmondo De Amicis, Edoardo Arbib.

    Il giorno dopo, a Il Piccolo di Napoli, arrivano le corri-spondenze di Fedele e per questo viene chiamato al Liber-tà, come corrispondente di politica estera, tanto che ilredattore del Temps di Parigi sostiene che sarebbe divenu-to il primo giornalista d’Italia. Ma la nostalgia per Napolilo porta nuovamente a Il Piccolo, da qui al Sentinella, all’Ita-lia di Francesco De Santis, all’Unità Nazionale di RuggeroBorghi e al Nuova Patria.

    Nel 1872 è a Roma, dove gli amici Silvio Spaventa e Giu-seppe Pisanelli lo fanno entrare al Ministero di Grazia eGiustizia, con il compito di segretario del ministro De Fal-co; ma, quando a quel ministero approda Vigliani, questilo licenzia per vendicarsi di alcuni ottimi articoli scritti daFedele sull’amministrazione della giustizia. Di qui passaall’ufficio statistica del Ministero delle finanze e Casalinigli chiede se sa leggere e scrivere ed egli risponde: ”Legge-re, sì; scrivere come Alessandro Manzoni, no, ma…”. E’ inuti-le sottolinearlo, non è assunto!!!

    Nella sua Galatina torna nel 1874, per le elezioni genera-li, e nella vicina Lecce c’è quell’Angelo Lo Re, direttore delbisettimanale La Gazzetta di Terra d’Otranto, giornale mo-derato del movimento popolare della provincia con una ti-ratura di 1500 copie, che sostiene il De Donno, e invita ilgià affermato galatinese alla direzione del giornale. Sotto lasua guida il giornale somiglia molto più a un giornale dicapitale e non di provincia. Il successo fu tanto e tale che iredattori de Il Progresso, giornale che esce per i tipi di DelVecchio, attraverso le loro pagine insultano Fedele Alba-nese ed ecco come egli risponde: ”Il Progresso chiama me«rifiuto della stampa napoletana». Il Progresso è nato ieri e isuoi scrittori novellini hanno il diritto d’ignorare la storia della

    Fedele Albanese

    Patriota e cronista, fu tra i primi a varcare la breccia di Porta Pia

    FF EDELE EDELE AA LBANESELBANESEFondatore e primo direttore de “Il Messaggero” di Roma e de “Il Monitore”

    Galatina, città natale, lo ha quasi dimenticato,

    dedicandogli soltanto una strada

    di Rosanna Verter

  • gennaio/febbraio 2010 Il filo di Aracne 15

    stampa italiana. S’affrettino ad impararla, vedranno che parte iov’abbia avuto per otto anni, e che parte v’abbia tutt’ora; vedran-no che io, non solo dei moderati, ma godo l’amicizia dei più auto-revoli scrittori dell’opposizione”.

    Finita tale esperienza, viene nominato Ispettore scolasti-co dal ministro Bonghi a Mirandola, ma non lascia lastampa, perché si accorge che la sua vita è tra le redazionidei giornali e Il Fanfulla in quel momento è uno dei giorna-li più significativi,ha macchine mo-derne, tante rubri-che e, quel che piùconta, è diretto daBaldassarre Avan-zino, che non amala sinistra, nonama i radicali e so-prattutto i garibal-dini. Il giornale sioccupa, in partico-lare, di tutto ciòche accade in Ita-lia, nel Parlamento, e in generale, nel mondo.

    L’Italia deve al nostro concittadino la nascita dell’ASPI(Associazione Stampa Periodica Italiana) grazie al suoduello con il genero del guardasigilli Pasquale Mancini.

    Nel maggio 1877 il Ministro di Grazia e Giustizia, Man-cini, propone la legge sugli abusi del clero. A Il Fanfulla eai suoi redattori non piace così come non piacciono i radi-cali e non piace il deputato Augusto Pierantoni. Il giorna-le, dopo la bocciatura della legge, chiede con forza ledimissioni del Ministro. Fedele Albanese, con lo pseudoni-mo di “Qualunque”, è il re-socontista da Montecitorio;l’articolo esce con questoscritto: ”L’onorevole Pieranto-ni folleggia di settore in settorein cerca di colleghi curiosi. Manessuno lo interroga dondevenga. Vi dirò io che viene dal-la Puglia estrema dove ha fattoil difensore del processo Chi-riatti, e che s’è fatto un grande onore nella pubblica discussione.In questa circostanza egli ha fatto sapere alla corte e al pubblicoche il Conte di Cavour lo invita alle sue feste. Feste che doveva-no essere date a tutto beneficio de l’on. Pierantoni perché il Con-te di Cavour per gli altri suoi amici non ne dava mai”.

    Tutte le testate giornalistiche danno la stessa versionementre l’on. sostiene il contrario. La Capitale scrive, qualchegiorno dopo, che l’on. si è recato in sala stampa e, trovatoFedele, lo schiaffeggia. Si grida all’aggressione, all’offesadella libertà di stampa; i due si sfidano in un duello con lasciabola. Lo scontro si conclude quasi subito con Fedele fe-rito all’avambraccio. Tutti si chiedono, comunque, se quel-le parole, al processo Chiriatti, Pierantoni le abbia dette. Idirettori delle testate romane si riuniscono e votano al-l’unanimità l’inizio della protesta. I redattori del Times, delDaily News, del New York Times, dello Standard, del TossicheZeltung, del Morning Post esprimono solidarietà ai colle-

    ghi; il presidente della camera deplora che tutto sia acca-duto in parlamento. L’articolo di Fedele Albanese vienepubblicato tutti i giorni; tutti i giorni ci sono assemblee fi-no a giungere alla nascita dell’ASPI. L’anno dopo con Lui-gi Cesana, comproprietario de Il Fanfulla, fonda un nuovogiornale; è l’8 dicembre 1878: esce a Roma Il Messaggiero,con la “i”; ha un formato ridotto, è indipendente dai par-titi e ha una larga tiratura. E’ un successo, e lui è il primo

    direttore. Lo è solo per tre mesi; dopoun periodo non certo facile, il 1° no-vembre 1881, trasforma il suo sogno inrealtà: Il Monitore. Giornale ambizioso,diverso, ben fatto; annovera le firmepiù importanti sulle sue colonne, manon attira la curiosità dei romani. Perdue mesi Albanese mantiene testa aifornitori, ma per i molti debiti e le po-che copie vendute, egli presagisce la fi-ne. Suole ripetere agli amici che ilgiorno in cui il giornale cesserà di vi-vere, egli morirà con esso. Mantiene laparola; dopo aver combattuto con

    energia una lotta aspra per mantenere in vita il suo giorna-le, abbandonato da tutti coloro che lo avrebbero potutoaiutare, nel suo ufficio scrive la parola fine sul suo giorna-le. Troppo orgoglioso e altero il figlio di un proletario, ma,al contempo sincero, fiero, indipendente a tal punto da nonpiegarsi alle connivenze. L’ultimo numero esce listato alutto, dedicato alla memoria del suo direttore, il quale,piuttosto che scendere a compromessi, preferisce la mor-te. Ma i ben informati del tempo ipotizzano che il diretto-re de Il Monitore si sia ucciso per un amore non corrisposto

    da parte di don-na Matilde Se-rao, nei mesi se-guenti ”fu arduoappurare se dav-vero l’ombra di unuomo amato (qual-cuno vede il no-stro Fedele) delcui sentimento era

    corsa voce a Napoli, infestasse la memoria di lei”. E lei, che hagrande stima dell’Albanese, lascia un affettuoso ricordonelle Lettere a Febea: “...non posso dimenticare quella figura co-sì seria di amico e quell’affezione così rispettosa; egli meritava divivere, meritava di essere felice, meritava di essere amato... quel-l’uomo così onesto, così affettuoso!”. Il fascio di camelie bian-che ai suoi funerali sono di Sarah Bernhardt e Sansonettidice: “Provo quasi rimorso per averlo iniziato nel giornalismo”,e lo accompagna al Verano.

    All’amico Antonio Romano di Galatina ha spedito unalettera in cui c’è scritto. “Il Monitore muore e io con lui. Dì amio padre che io parto per l’America”.

    Oggi noi lo ricordiamo come persona onesta, che giungea sacrificare la sua esistenza per l’ideale, persona in cuipenna, parola e idee non si sono mai contraddette e rendia-mo omaggio alla sua onestà, fieri di averlo avuto comeconcittadino. •

    XX settembre 1870 - Breccia di Porta Pia

    “Il Monitore”, di cui Fedele Albanese era direttore

  • Di Làuri e Sciacuddhi– o Laurieddhi, Mo-naceddhi, Scazzamurrieddhi, Tiaulicchi, Carcagnuli,Uri e simili, come nelle diver-se geografie di Terra d’Otran-to vengono chiamati glignomi e i folletti che abitanole nostre case (spesso mali-ziosi, dispettosi e burloni, masostanzialmente simpatici ebenigni) – questa rivista si è

    già interessata con un bell’articolo a firma di Rino Duma(vedi n. 1 del 2008), ricco peraltro di preziosi elementi sto-rico-antropologici.

    Avendo scorso di recente la storia singolare del ‘cugino’napoletano di questi piccoli amici, e cioè il famoso (o fa-migerato) Munaciello, mi piace ritornare sull’argomento,fornendo, con questa ed altre fascinose testimonianzed’autore, un contributo essenzialmente ‘letterario’, che ri-guarda da vicino l’universo, sempre fecondo di suggestio-ni, delle leggende popolari del nostro Sud.

    Questo viaggio speciale nella letteraturaparte appunto da Napoli e da Matilde Se-rao (1856-1927), che a proposito delle origi-ni de ’o Munaciello scrive: «Nell’anno 1445,regnando Alfonso d’Aragona, una fanciul-la a nome Caterina Frezza, figlia di un mer-cante di panni, si innamorò di un garzone dibottega, Stefano Mariconda. E com’è usanzad’amore, il garzone la ricambiò di grandissimoaffetto, e di rado fu vista coppia d’amanti egual-mente innamorata e fedele. E ciò non senza moltoloro cordoglio, poiché per la disparità delle nasciteche proibiva loro il nodo coniugale, grande guer-ra ferveva in casa Frezza contro Stefano. Fu co-sì che in una notte profonda, mani traditrici afferraronoStefano alle spalle, e dalla ferriata lo precipitarono a sfracel-larsi nella via, mentre Catarinella gridando e torcendosi lebraccia, s’aggrappava ai panni degli assassini.

    [...] La Catarinella fuggì di casa, pazza di dolore, e fu pia-mente ricoverata in un monastero di monache dov’elladette prematuramente alla luce un bimbo piccino piccino,pallido e dagli occhi sgomentati. Le suore la consigliaronodi votarsi alla Madonna perché al piccolo desse una fio-rente salute; ed ella votossi e vestì il bimbo d’un abito ne-ro e bianco da piccolo monaco. Ma altro aveva disposto ilSignore, e la Catarinella non s’ebbe la grazia: il figliuolet-to suo, negli anni, non crebbe che pochissimo, e fu similea quei graziosi nani di cui si allietano molte corti di sovra-ni potenti. Ma ella continuò a fargli indossare il saio da pic-colo monaco; ond’è che la gente, in suo volgare, chiamavail bambino: ‘o Munaciello.

    Le monache lo amavano, ma i bottegai, e i paesani, e lagente della via si mostravano a dito quel bambino troppopiccolo, con la testa troppo grande e quasi mostruosa, e tal-volta lo ingiuriavano, come fa spesso la plebe contro perso-na debole ed inerme. [...] Ad incontrarlo, la gente si segnavae mormorava parole di scongiuro. Quando ‘o Munaciello

    portava il cappuccettorosso che la madre gliaveva tagliato in unpezzetto di lana por-pora, allora era buonaugurio; ma quando ilcappuccetto era nero,allora era cattivo augurio. E siccome il cappuccio rosso com-pariva assai raramente, ‘o Munaciello era bestemmiato e ma-ledetto. Era lui che attirava l’aria mefitica nei quartieri bassi,che vi portava la febbre e la malsania; lui che faceva impu-tridire l’acqua nei pozzi, lui che portava la mala fortuna...

    [...] Finché una sera ‘o Munaciello scomparve. Non man-cò chi disse che il diavolo lo avesse portato via pei capelli,

    come è solito per ogni anima a lui venduta. Do-ve è stato vivo, ora s’aggira come spirito; do-ve è apparso il suo corpopiccino, lì ricompare nella mede-

    sima par- venza. Dove lo hannofatto soffrire, là egli ritorna, ma-lizioso e maligno, nel desideriodi una lunga e insaziabile ven-

    detta. Di tutto è capace il Muna-ciello, che nella sua stranamescolanza di bene e di male, dicattiveria e di bontà, è rispettato,temuto ed amato...».

    Questa la ‘triste istoria’ del Munaciello napo-letano. Il quale, oltre ad avere un posto di ri-guardo nella smorfia e cabala del lotto (alnumero 37), da molti secoli è personaggio difortissima influenza nel vivere quotidiano delpopolo partenopeo, tanto che nel Pragmatica delocato et conducto (la raccolta delle leggi e con-suetudini che dal 1588 regolavano gli affitti del-le case in tutta Napoli), una precisa norma,tradotta qui in italiano corrente, evidenziava che: “...qualorail locatario abbia a subire nella propria abitazione visibili turba-menti dagli spiritelli maligni volgarmente denominati ‘Munaciel-li’, gli è permesso di abbandonare la dimora affittata senza pagarealcuna pigione”. Incredibile, se non fossimo a Napoli!

    Molto simili nel nome al folletto napoletano, ma vicinis-simi nella sostanza agli Sciacuddhi salentini, sono i Mona-chicchi della Basilicata, dei quali si è interessato nientemenoche il più ‘meridionale’ degli scrittori del Nord, Carlo Le-vi (1902-1975), il cui nome è fatalmente legato al suo miti-co Cristo si è fermato a Eboli, capolavoro letterario esentimentale che più e meglio d’ogni altro rende ‘nudo ecrudo’ il senso della cultura e della civiltà dimenticate delnostro Mezzogiorno (e particolarmente della disperanterealtà lucana negli anni ‘30 del secolo scorso, da Levi diret-tamente conosciuta durante il confino patito per il suo ar-

    16 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2010

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    Viaggio nella letteratur

    alla scoperta del mondo fantastico d

    tra gnomi, folletti ed altre

    di Antonio Mele ‘Me

    Carlo Levi - autoritratt

  • dimentoso antifasci-smo). Così egli descri-ve i Monachicchi diGrassano: “...sono es-seri piccolissimi, alle-gri, aerei, corronoveloci qua e là, e il lo-

    ro maggior piacere è di procurare ai cristiani ogni sorta didispetti. Fanno il solletico sotto i piedi agli uomini addor-mentati, tirano via le lenzuola dei letti, buttano sabbia negliocchi, rovesciano bicchieri pieni di vino, si nascondono nel-le correnti d’aria e fanno volare le carte, e cadere i panni ste-si in modo che si insudicino, tolgono le sedie di sotto alledonne sedute, nascondono gli oggetti nei luoghi più impen-sati, fanno cagliare il latte, danno pizzicotti, tirano i capelli,ronzano e pungono come zanzare, e di notte prendono di

    mira le code e le criniere dei cavalli, che amanointrecciare inestricabilmente”.

    Ritornando allo Sciacuddhi di casa nostra, pari-menti gradevole è la minuziosa descrizione checi offre al riguardo l’illustre studiosoSigismondo Castromediano (1811-1895): “...Irritante ed irritabile, danneg-gia e benefica, secondo capriccio. È ildio Lare di quei tuguri che sceglie a di-mora, e dei quali suole impossessarsiscendendo dai tubi fumaioli d’un ca-mino. [...] Le cento e più volte l’ho sen-tito dipingerlo basso, anzi piccinpiccino, gobbetto, peloso di tutta lapersona, ma d’un pelo morbido e raso.Copregli il capo un piccolo cappellettoa cono e indossa una corta tunica affib-biata alla cintola.

    [...] Bazzica volentieri nelle stalle,dove ospitatosi una volta difficilmen-

    te ne esce: ed anzi, tosto s’innamora della cavalla o dell’asi-na che meglio gli garba, e l'assiste e carezza di preferenza,nutrendola della biada sottratta alle compagne, o altroverubata... e gode inoltre l’alto onore d’essere da lui stessostrigliata, lisciato il pelo ed intrecciati graziosamente i cri-ni del collo e della testa. Di giorno non appare giammai,esercitando di notte le sue trappolerie... Eccolo infatti a met-ter sossopra masserizie ed annessi, a sparecchiar gomitoli etele del telaio o a svegliar le persone, rompendo piatti, bot-tiglie, bicchieri. Guai se è in collera col suo ospite. Se que-sti dorme i suoi sogni dorati, allora improvviso gli cavalcail petto e glielo calca fino a fargli perdere il respiro”.

    Un diavoletto pestifero, insomma! Che ne combina unadietro l’altra...

    Ma non è sempre così. A me (nonostante di dispetti men’abbia fatti d’ogni sorta, e ancora non la smette...), con-

    fesso che fa quasi tenerezza. In fin dei conti, può ben con-siderarsi un giocherellone. Quel che si dice una simpaticacanaglia. Chissà che prima o poi non ricambi la simpatiache ho per lui facendomi trovare l’Acchiatura – mitico teso-ro di cui dalle nostre parti ancora si favoleggia – o baste-rebbe che porti bene e mi conservi in allegria.

    A tale proposito, va appunto considerato che gli Sciacud-dhi si affezionano non tanto alla casa, ma alla famiglia e al-la gente che la abita. Per cui, se avviene un trasloco, èsicuro che traslocano anche loro. Mia nonna Anna mi rac-contava sempre divertita che un certo Cosimo Sasà e la dilui moglie Concetta, contadini di un paese del Capo, spa-zientiti dello Sciacuddhi che gliene combinava di tutti i co-lori, pur di toglierselo dai piedi, avevano deciso di cambiarcasa. Caricarono quindi le masserizie su un carretto a ma-no e si avviarono di buon passo verso la nuova abitazione.Durante il tragitto, la moglie si accorse che aveva scorda-to di prendere la scopa, che gli sarebbe stata indispensabi-le per le pulizie: “Nah, Cosiminu – esclamò verso il marito– La scupa mi rescurdai!”. “...Nu te preoccupare! – le fece ecouna vocina da dietro – L’aggiu pigghiata ieu!”. Era, manco adirlo, il loro ineffabile e fedele Sciacuddhi, che li seguivaplacido con la scopa sulle spalle...

    Al perenne conflitto tra gli Sciacuddhi e le donne di casarende sorridente testimonianza questa bella filastrocca,raccolta nella Grecìa Salentina: Cu la còppula scattusa /zzumpa ssu lla panza cu tte ncusa. / Uru, Uru malitettu, / a

    ddhù hai scusu lu scarfaliettu / culi ori te la sciara? / Nu nc'è cced-dhi cu te para...? / Ma se te rrub-bu lu scursettu / me l'hai dare luscarfaliettu! (Col berretto sgar-giante / salta sulla pancia peraccusarti. / Uru, Uru maledet-to, / dove hai nascosto lo scal-daletto / con gli ori dellastrega? / Non c'è nessuno chepossa competere con te - chet’insegni l’educazione? / Mase ti rubo il berretto / devi dar-melo lo scaldaletto!).

    E va infine aggiunto, per chinon lo sapesse, che lo Sciacud-

    dhi fu celebrato, nel 1954, perfino dal grande DomenicoModugno (1928-1994) in una delle sue prime incisioni di-scografiche, intitolata Lu Scarcagnulu, com’è appunto chia-mato il prode folletto in tutto il Brindisino. Nativo diPolignano a Mare, il grande Mimmo (destinato a diventa-re ben presto famoso in tutto il mondo come Mister “Vola-re”), visse infatti la propria giovinezza a San PietroVernotico, e le sue iniziali produzioni musicali – da Ventude scirocco a La donna riccia, Lu pisce spada, Sirinata a na di-spettusa e altre – ispirate in gran parte ai vecchi “cunti” del-le nostre contrade, furono create quasi tutte in dialettosalentino, all’epoca erroneamente scambiato (o forse volu-tamente strumentalizzato) per siciliano.

    Onore quindi a Làuri e Sciacuddhi. Saranno (forse) creatu-re del mondo della fantasia, ma senza fantasia che mondosarebbe? •

    gennaio/febbraio 2010 Il filo di Aracne 17

    noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia terra noscia ter

    ella letteratura d’autore

    do fantastico delle leggende del Sud,

    folletti ed altre meraviglie

    onio Mele ‘Melanton

    arlo Levi - autoritratto

  • QuandoQuandopiovono libripiovono libri

    Un lungo autunno nei luoghi della lettura

    Anche quest’anno l'iniziativa di Ottobre, piovono li-bri: i luoghi della lettura ha riscosso notevole succes-so in tutta la Puglia. L’edizione 2009 promossa dalComune di Galatina e dalla Biblioteca “P. Siciliani”, con lapartecipazione dell’Unione dei Comuni delle Serre Salen-tine e degli operatori della Biblioteca “F. Gnoni” di Tugliee della Biblioteca Comunale di Aradeo, ha visto più di 200eventi organizzati da enti, istituzioni, associazioni, biblio-teche, librerie e, in generale, da tutti coloro che si dedica-no alla promozione del libro e alla diffusione della letturain ambiti anche molto diversi. Il tema comune è stato: LaPuglia nel Sud di oggi. Una terra di molte voci. Si è trattato diun’idea originale di cooperazione e in linea con le tenden-ze attuali che spingono verso una visione più unitaria econdivisa della Puglia, seppur nelle sue molteplici specifi-cità territoriali, culturali e letterarie. Raccontare una Pugliaconsapevole protagonista del Sud di oggi, attraverso le in-numerevoli voci che la compongono: in questo si racchiu-de il messaggio che il sociologo Franco Cassano,divulgatore del “pensiero meridiano”, ha espresso nellagiornata clou della rassegna, il 3 dicembre presso il MuseoProvinciale di Lecce.

    Da segnalare in questa edizione, anche la proficua colla-borazione tra biblioteca ed editoria: gli editori salentini han-no, infatti, aderito alla rassegna con la presentazione dinumerose opere di recente pubblicazione. L’iniziativa è se-gnale della predisposizione a cooperare per far conoscerela produzione editoriale locale prima di tutto sul proprioterritorio, proprio in linea con la “filosofia” dello “ slowbo-ok a chilometro 0”.

    La Puglia è diventata così una piccola “mappa della let-tura” che dalla Capitanata, passando per la Terra di Bari ela Valle d’Itria, giunge fino al grande Salento e l’antica Ter-ra d’Otranto. La promozione del libro e della lettura ha as-sunto le forme tradizionali di invito e partecipazione alleattività svolte dalle biblioteche: presentazioni di volumi didiverso genere (letteratura, arte, tradizioni, storia, religio-

    ne...) a cura di biblioteche, associazioni, case editrici; in-contri con autori pugliesi e non solo (tra cui Pierluigi Me-le, Giancarlo Vallone, Antonio Errico, Ettore Catalano,Mario Spedicato, Elsa Martinelli, Alessandro Laporta,Francesco Accogli, Luigi Chiriatti, Mario Congedo, LucioGiannone, Rosanna Basso, Luigi Scorrano, Michele Santo-ro, Ilaria Ferramosca, Maria Occhinegro, Antonia Occhilu-po, Maria Gabriella de Judicibus, Raffaele Donno, RobertoCotroneo, Roberto Muci, Armando Marrocco, MassimoVaglio, Patrizia Guida, Guido Pensato, Alessandro Piva emolti altri), reading letterari, aperture straordinarie dellebiblioteche, visite guidate e incontri con gli studenti piùgiovani, bookcrossing e scambio di libri (a Tuglie e al Cam-pus Universitario di Lecce), bibliobus e animazioni per ipiù piccoli, concorsi letterari, donazioni e incontri-dibatti-to sulle problematiche e gli aspetti attuali riguardanti la re-altà delle biblioteche (a Trani, a Ruvo di Puglia, a Tuglie).Tante le presenze a cui hanno preso parte numerosi relato-ri e autori locali, esponenti della realtà universitaria nonsolo regionale e ospiti di fama nazionale (tra cui MassimoLugli, Giovanni Impastato, Eva Cantarella, Claudio Pro-copio, Carlo Baffa, Tito Manlio Altomare, Gek Tessaro,Francesco Gungui, Rino Caputo).

    La Biblioteca “P. Siciliani” di Galatina si è distinta per unprogramma di tutto rilievo: oltre alla mostra di edizionirare della Biblioteca e del Museo civico “P. Cavoti” in oc-casione delle “Giornate Europee del patrimonio”, apertu-re domenicali della Biblioteca in tutto il mese di ottobre; la“Mappa sonora”, spettacolo musicale sperimentale allesti-to, tra gli altri, da Kurumuny, “Salento Griko” e Istituto“Diego Carpitella”; due incontri di studio su rari testi an-tichi della Biblioteca “P. Siciliani” e sul tarantolismo medi-terraneo, a cura dell’architetto Mario Cazzato; notevole,inoltre, la presentazione del volume di Ettore Catalano,Letteratura del Novecento in Puglia 1970-2008, da parte del-la libreria Fiordilibro.

    Non sono mancate inoltre anche iniziative originali che

    18 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2010

    CULTURA E DINTORNI

    L’edizione 2009 di “Ottobre… piovono libri” nel Salento ha vantato più di cento adesioni tra enti, istituzioni, associazioni, biblioteche e, in generale, tutti coloro che si impegnano quotidianamente

    nella promozione del libro e della lettura. E questo dato ha superato realmente ogni aspettativa degli organizzatori che hanno contagiato per tre mesi di entusiasmo e febbre da lettura decine di

    città e piccoli Comuni dalla Capitanata al Capo di Leuca.

    a cura della Biblioteca Comunale di Tuglie

  • si discostano da quelle tradizionalmente legate alle con-suete attività organizzate e promosse da una biblioteca.Conferenze e rassegnesu aspetti storici ed arti-stici, su letteratura, reli-gione e tradizioni po-polari, Sud e nuove tec-nologie (a Rignano Gar-ganico, a Giovinazzo, aBari presso la Pinacote-ca Provinciale e in altriComuni pugliesi); pre-sentazione di ricerche edi studi condotti sullarealtà territoriale e semi-nari (ad esempio, a Fa-sano a cura del Dipar-timento di Scienze del-l’Antichità dell’Università di Bari, a Villa Castelli sull’ar-cheologia locale); aperture straordinarie al pubblico ditesori librari di grande valore (i fondi di Michele Paonee Mario Marti a Martano presso la Bibliotecadei cistercensi); numerosi laboratori e proget-ti dedicati a bambini e ragazzi (a Lecce pres-so la Libreria Liberrima, Andrano, Carosino,Ginosa, Manduria, Oria, Ruffano, Supersano,Squinzano, Taurisano, Terlizzi, Trani, Tuglie,Taranto presso la Fondazione “P. Grassi”), al-le donne (ad Alezio, Carovigno, Andrano), aigiovani e alle categorie più deboli, all’inter-cultura a Tuglie; numerose mostre di variogenere (fotografiche, librarie, pittoriche, sto-rico-do- cumentali, artistiche...); incontri mu-sicali, con escursioni che vanno dalla pizzicaalla musica classica, al jazz, al rock; degusta-zioni enogastronomiche e tè in biblioteca co-me invito alla lettura (a San Cesario,Melpignano, Cerignola, Tuglie); omaggi al ci-nema pugliese, con proiezioni e conferenze(tra gli altri Apulia Film Commission a Tu-glie) e alla poesia del Mediterraneo a cura diLuigi Scorrano ad Aradeo.

    Di particolare rilievo sono stati i percorsi ei cicli tematici che per tutto il periodo dellamanifestazione sono stati espressione del-l’impegno, della ricerca ed dell’entusiasmo dias- sociazioni e biblioteche: l’AssociazioneCulturale “Mosaico” di Foggia ha presentatoa Cerignola “Leggere la fatica di leggere”,con al centro il tema del lavoro, l’ABMC diAltamura incontra i detenuti con “Piovono li-bri sul carcere”, l’Associazione “Nuove Propo-ste Culturali” di Martina Franca ha pre-sentato “Piovono libri dalla Valle d’Itria alle Ca-pitali Mediterranee della cultura”, e la Biblio-teca “P. Acclavio” di Taranto ha organizzatoun ciclo di eventi che dureranno fino a mar-zo 2010: “Al femminile il percorso della Storia”.Tanti anche gli incontri a cura di “Presenza

    Lucana” di Taranto e “Terraecultura” di Lecce, del cen-tro culturale “Giulia Selvaggi” di Manduria, della libre-

    ria Evaluna di Lecce edel Museo provinciale“S. Castromediano”.Inoltre di grande inte-resse per il leit-motivche li ha caratterizzati,che ben si attaglia conil tema della Puglia nelSud di oggi, sono statele iniziative “Salentoin controluce”, orga-nizzato dalla Pro Locoe dall’Istituto Com-prensivo di Ruffano, e“Voltidipuglia” a curadel- l’Archivio Storico

    Parabitano. Percorsi di storia, letteratura, arte e tradi-zioni alla riscoperta dell’identità territoriale e dei suoiprotagonisti. •

    gennaio/febbraio 2010 Il filo di Aracne 19

    Bibliobus e scambio di libri a Tuglie

  • Nella buferaLa poetessa salentina, Giovanna Scaramella, autrice di “Pinnuli Mari”, si propo-

    ne come narratrice in un romanzo storico, in cui l’esperienza secolare di eclissi

    del divino si colora di una luce di speranza: incidere nella storia le tracce di un

    nuovo umanesimo, “restituendoci” alla trascendenza, “riconsegnandoci” a Dio

    di Carmen de Stasio

    L’autrice del libro, Giovanna Sca-ramella Barone, non è una neofi-ta, ma una cultrice della parola,che ha coniugato, con fluida espressio-ne linguistica, un nucleo romanzato dibiografia e storia, irresistibile nella col-locazione nazionale e riconoscibile aquanti di storia patria conoscono abba-stanza per comprendere ed apprezzareil cuore di eventi che hanno toccato lapopolazione investita dalla bufera del-la Seconda Guerra Mondiale.

    L’autrice ha penetrato la quotidianitàdi quella guerra, ne ha tracciato un per-corso sintetico e complesso e ne ha for-giato un’idea illuminante non solo sulterreno di battaglia in sé, ma invaden-do il tessuto di individui muti, di quan-ti hanno composto tasselli essenziali,pur restando ai margini e mai divenen-do protagonisti assoluti nel vulcanicomondo di situazioni minime.

    L’acume nel trattare gli accadimentiinseriti in una cornice storica, che s’in-treccia pesantemente e veicola le mi-crostorie che la compongono, si rivelacon un linguaggio impregnato di sem-plicità nella sequenza dei fatti, che in-nescano una danza con il vissutointeriore, per dar vita ad un movimen-to contorto fatto di luce ed ombre, didomande mute e di risposte mai evasenon per mera comodità o decoro, piut-tosto perché risposte non ce sono. Nonsi può dare una risposta all’atrocità del-la guerra, che altro non è che la bugiaperpetrata dai potenti per giustificarela sete di potere, o meglio, di comando.Gli altri, coloro che agiscono, sembra-no muoversi come pedine, agitarsi co-me marionette incantate, e subiscono ilsortilegio di destini assurdamente scrit-ti per loro. L’autrice propone una sto-ria scomoda per l’alimento che nutrel’intera trama.

    Una storia di partigianeria umana,oltre la guerra, dove non ci sono voltio gesti truci a tutti i costi perché cosìdeve essere il vero eroe. Piuttosto a vin-cere è il linguaggio dell’umanità e del-la conoscenza. Riuscire a giocare conconcetti che esaltano la grandeur del-l’uomo in progressione esistenziale,dell’uomo pensante in incessante di-scussione è atto eroico, giacchè negal’assolutismo degli ideali e trasmettel’assioma di equità e giustizia. Tra queipersonaggi in cerca di recupero delladignità italica contro un nemico oscu-ro e disperatamente violento – non po-chi i riferimenti alle sofferenze testi-moniate da schegge di comparse cheappaiono e scompaiono sulla scena dellibro – Serena sembra trovare una si-tuazione di sollievo ai dubbi sulla pro-pria dimensione.

    Come una commedia umana il librosi tinge di rocambolesche trasformazio-ni di scena, la vita non prevede lineari-tà – sarebbe semplicistico e non è così.E allora, nell’atmosfera di lotta, di pia-nificazione, il primo zoom evidenziavagheggiamenti amorosi e situazionidi cuore nel circuito amicale e di com-plicità nella meta comune. Assente, in-vece, la descrizione fisica fine a sestessa: i personaggi vengono descrittiattraverso le loro azioni ed espressionilinguistiche immediate e rotonde inconcordanza con la situazione, la rifles-sione e l’ambientazione stessa.

    Che si tratti di personaggi colti è di-stinguibile soprattutto con l’ingressosulla scena di Georg, il ferito ufficialedella Wehrmacht, al quale, per interces-sione – ma è davvero così? – di Serena,viene risparmiata la fucilazione. In luiil gruppo dei partigiani vede l’atrocitàdel lager, gli esperimenti, le uccisioni dimassa, bambini lanciati in aria sotto lo

    20 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2010

    POETI E SCRITTORI SALENTINI

    Grosseto dopo il bombardamento

    Lo sbarco di Anzio

    Bombardamento di Roma

    Soldato ferito

    Ritratto di Mussolini

    Una sofferta storia d’amore tra un ufficiale tedesco e un’italiana

  • sguardo di madri inermi e di tutto ilcoacervo di efferatezze indicibili. Vedeil pianto senza tregua di un padre chesi nutre nascondendosi allo sguardopietoso e affamato dei figli. Che è neltorto e, di rimando, chi è il portaban-diera di giustizia? La domanda impie-tosa e avvelenata lascia un giudizio insospensione.

    Con l’intervento di Georg la storiaacquisisce una nuova dimensione dicomunicazione e circolarità: qualcosaaccomuna il gruppo ed è l’amore per laconoscenza, vera protagonista che esal-ta l’insieme degli accadimenti.

    E’ il senso di fede, l’esistenza di unDio. Esistono situazioni in cui la piani-ficazione sembrerebbe creare già in séun precedente, un pregiudizio. Inveceno. Serena s’innamora. E s’innamora diGeorg, il nemico. Ma Georg è null’altroche un uomo che, come egli afferma, ènato in un terreno di fertile obbedienzae di ordine, cui il suo popolo è statostoricamente abituato, acculturato, di-rezionato. L’uomo nella divisa non è ilcattivo, ma un teutonico di stirpe fieradella propria cultura, così come l’autri-ce riporta con riferimenti espressi in

    maniera esemplare ed armoniosa, pro-ponendone l’argomentazione con ener-gia avulsa da didascalismi boriosi enoiosi.

    Il passaggio dalla descrizione ester-na di situazioni quotidiane, sebbenecon toni non sempre concilianti, esponeil lettore alle fasi di conversazione trapersone che si ritrovano intorno ad unipotetico desco e conversano, e dallaparola emerge la verità, preludio allaconclusione.

    L’opera compone una serie di situa-zioni che affermano ed asseriscono unasintesi di tutto e di contrari, secondo lasequela della esistenza umana.

    Notevole la puntuale ricerca del det-taglio storico, che concede ulteriore ve-ridicità illuminante alla cornice rac-contata. Un tratto di vita vissuto dauna donna e rapidamente giocato daaltri protagonisti.

    Una storia di rivendicazione femmi-nile? Piuttosto coglierei l’aspetto dellavisibilità del nuovo ordine la cui vocediventa atto eroico in sé, che veicolauna storia trasmessa con il tono deisemplici, ”soggetti alla sofferenza di ognitempo”. •

    gennaio/febbraio 2010 Il filo di Aracne 21

  • 22 Il filo di Aracne gennaio/febbraio 2010

    PREMIAZIONI E RICONOSCIMENTI

    Il 15 e 16 di Novembre 1969, 40 anni fa, ebbero luogo aGalatone le Giornate Galateane in onore di AntonioGalateo De Ferrariis, l’insigne umanista qui nato nel1448 e morto a Lecce il 12 Novembre 1517. Fu una speciedi convegno fondativo del nuovo corso degli studi gala-teani, organizzato dal Comune di Galatone e dal sindacopro tempore prof. Fernando Maglio.

    Vi parteciparono, sotto la presidenza del filosofo MarioDal Pra, il collega Antonio Corsano di Taurisano, i galati-nesi Aldo Vallone e don Antonio Antonaci, Francesco Ta-teo dell’Università diBari, Nicola Vacca e Vit-torio Zacchino. Prima diproseguire credo di do-ver aprire una parentesiriguardo al Galateo DeFerrariis che deve ormaisostituire De FerrariisGalateo perché mi pareun aspetto importante edegno di ulteriori appro-fondimenti, e perché misono ormai definitiva-mente convinto che Ga-lateo abbia rinunziato alsuo patronimico dall’etàdi circa 23 anni, cioè dalmomento del suo ingres-so nell’Accademia Ponta-niana. Nel dottorato preso nello Studio di Ferrara il 3agosto 1474 egli firma esplicitamente Galatheus, e lo faràsempre in seguito in calce alle sue opere manoscritte finoalla morte. Ma non è tutto. I suoi figli giusti e naturali (dalchierico Cesare, ad Antonino, Galeno, Betta, Lucrezia,Francesca) e perfino le nipoti Ioannella e Catarinella, fin ol-tre la metà del 500, ossia dopo ben 50 anni dalla morte del-l’umanista, ostentano non già il cognome De Ferrariis,bensì Galateo. Qualcosa sarà certo accaduto: una diaspora,una presa di distanza da altri congiunti di qui, per poterspiegare questa polemica differenziazione. Ma de hoc satis.

    Le Giornate Galateane sono state ricordate con una Mo-stra Fotografica Galateana allestita presso il Circolo Citta-dino di Galatone. L’ha inaugurata il presidente della

    Provincia di Lecce, dott. Antonio Gabellone, accompagna-to da Vittorio Zacchino tra autorità, studiosi e pubblico. LaMostra presenta una serie di ritratti, di disegni, di vedutedella Galatone quattrocentesca, quindi un campione par-ziale delle centinaia di articoli, saggi, volumi, pubblicati inogni parte d’Italia e del mondo, in riviste, miscellanee, con-gressi e convegni accademici, dal 1969 ad oggi. In altre pa-role il frutto visivo di un fecondo quarantennio.

    Per l’occasione è stato pubblicato un volumetto di me-moria con foto d’epoca, profili e motivazioni dei premiati,

    e una parziale bibliogra-fia galateana (1970-2009)ed organizzata un’edizio-ne speciale del PremioGalateo che si assegna dal1977 e che continua a man-tenere gli obiettivi origi-nari:

    - rinverdire la memoriadel maggiore umanistapugliese Antonio GalateoDe Ferrariis incentivan-do la conoscenza dellesue opere, anche median-te protocolli con gli Ate-nei italiani e stranieri chesi traducano in tesi di lau-rea;

    - stimolare la competi-zione tra i comuni cittadini a dare il meglio di sé nelle lo-ro ordinarie attività.

    Oggi il premio si pone l’esigenza di trovare forme nuo-ve di sviluppo economico e produttivo per una effettivacrescita della città, per l’espansione della sua immagine ar-tistica e culturale, la promozione del suo patrimonio arti-stico e delle sue produzioni agricole, artigiane, industriali;

    - mettere in luce le eccellenze dei salentini e dei gala-tonesi che si distinguano in ogni campo della cultura,dell’arte, della medicina, delle scienze umane, economi-che, ecc.;

    L’albo dei premiati è molto vario: dai bizantinisti AndreaIacob e Padre Marco Petta, alla Fondazione Aldo Moro, adAldo Vallone, al musicista Padre Igino Ettorre, al giornali-

    Giancarlo Vallone durante la premiazione

  • gennaio/febbraio 2010 Il filo di Aracne 23

    sta Aldo Bello, al penalista Vittorio Aymone, ecc.Numerosi i concittadini dei settori della scuola, del com-

    mercio, del pubblico impiego che vennero messi in sanacompetizione fra di loro, per cui vennero consacrati com-petenze ed ingegni di persone assai impegnate anche nelsociale in primo luogo, la Fidas e gli Scouts.

    In questo 2009, a solennizzare il quarantennale, si è pen-sato giustamente di assegnare il riconoscimento ad un piùnutrito gruppo di studiosi che hanno speso parte della vi-ta a capire e spiegare Galateo.

    Anzitutto il filosofo Antonio Corsano di Taurisano e illatinista Amleto Pallara di Lecce (alla memoria), il pada-no Claudio Griggio, professore all’Università di Udine,autore di una tesi sul Galateo e successivamente suo ese-geta tra i più raffinati, un galateista extra-pugliese prove-niente da territori non proprio amici della Terronia. Aseguire gli allievi di Franco Tateo, Antonio Iurilli del-l’Università di Palermo, Isabella Nuovo dell’Università diBari, Sebastiano Valerio dell’Università di Foggia, quindila leccese Paola Andrioli Nemola e il galatinese Giancar-lo Vallone dell’Università di Lecce. A completare il qua-dro il regista Edoardo Winspeare, esemplare narratore perimmagini dell’identità e dell’anima del nostro Salento, e igalatonesi veraci Luigi Saverio Martalò, esperto impren-ditore della ristorazione in Scozia e Giuseppe Maniscogeniale e brillante costruttore di macchine progettate daLeonardo da Vinci.

    Il premio, una targa d’argento su trancio di olivo con l’ef-figie di Galateo di Lionello Mandorino.

    Dopo il padre Aldo, e dopo l’ispettore Donato Moro,quest’anno il Premio Galateo è stato assegnato ad un altrostudioso di Galatina, Giancarlo Vallone, ordinario di Storiadelle Istituzioni Politiche a Lecce e acuto autore di impor-tanti saggi galateani: Per A. De Ferrariis (Galateo), un inedi-to, una data, in “Giornale storico della letteratura italiana,160 (1984); Restauri Salentini in “Bollettino storico di terrad’Otranto” 1 (1991); Mito e verità di Stefano Agricoli arcive-scovo e martire di Otranto (1480) in “Archivum HistoriaePontificiae 2) (1991); Postille minime per i Guidano e altri sa-lentini in AA.VV.; Studi di storia e cultura meridionale, Gala-tina Panico 1992; Presentazione di D. Moro, Per l’autenticoAntonio De ferrariis Galateo, Galatina Congedo 2008; Postil-la di postilla galateana in “Presenza Taurisanese”, n. 217,Gen.- Feb. 2009; I Castriota Scanderbeg e i Granai Castriota inItalia (in corso di pubblicazione).

    La motivazione del premio a Vallone è la seguente:

    A Giancarlo Vallone che in spirituale continuità

    col rigore del paterno magistero ha dato un importante contributo

    per restituire l’immagine autentica del De Ferrariis e trasmettere la giusta cifra

    dell’umanesimo salentino

  • gennaio/febbraio 2010 Il filo di Aracne 25

    ARTISTI SALENTINI

    Nicola Cesari è magliese di nascita, e tale è rimastoper elezione. Un elemento che ha agito profonda-mente sulla natura e i contenuti espressi dalla suaarte è il forte radicamento alla terra di origine, tale da pro-durre effetti identitari avvertiti e difesi con estrema tenacia.

    Per effetto di tale scelta egli ha costantemente mantenu-to una finestra ben spalancata su qualsiasi fatto o eventoartistico-culturale cheemergesse dalla realtà ter-ritoriale, vivendo ed in-stancabilmente alimentan-do un rapporto di strettaosmosi, consapevole diquale prezioso contributol’arte e la cultura possanooffrire per promuovere ildialogo e il confronto suargomenti che possono ac-comunare anche nella di-vergenza di opinioni. Sottoquesto aspetto egli ha ri-condotto i dati della sua personale osservazione documen-tale entro ambiti comunali e cittadini, con proposteoperative interessanti, mirate alla valorizzazione e salva-guardia del patrimonio artistico individuabile nei luoghiche tradizionalmente ne sono i depositari.

    Al tempo stesso egli ha sempre mirato a circuitarsi anchein ambito nazionale ed extranazionale. Sue esposizioni so-no state allestite in importanti città dove la proposta arti-stica è organizzata mediante modalità che consentono unaadeguata possibilità di conoscenza del fatto e del prodot-to artistico. La propensione a spaziare oltre la dimensionelocalistica è attribuibile in Cesari ad una ferma convinzio-ne che il linguaggio dell’arte possa veramente assumerevalenza universale, e che i contenuti da essa espressi, purcon diversi linguaggi formalizzati, riescano assolutamen-te identici dal punto di vista figurativo. In maniera discre-ta ma costante, egli è giunto a rappresentare un rife-rimento per molti artisti ed intellettuali esordienti, che ap-prezzano il suo approccio promozionale, capace di stimo-lare le loro doti di sensibilità ed efficacia figurativa,valorizzando anche stili e contenuti diversi dai propri, nelpresupposto che l’essenza dell’arte sia soprattutto il conti-nuo interrogarsi sulla vita e le sue implicazioni.

    Di recente ho potuto visitare il suo studio-atelier e mi hacolpito il fatto che egli abbia scelto di collocarlo tra le mu-ra dell’antica casa paterna, il luogo originario della fami-glia, in cui con lo scorrere del tempo tutto parla del passatoche non esiste, tranne nella memoria e in ciò che lo richia-

    ma. E’ come se per Cesari la creazione artistica per realiz-zarsi postulasse il bisogno di regredire nel tempo, ritro-vando tutti gli stimoli connessi all’infanzia e all’ado-lescenza. Si tratta di rievocazioni indotte da elementi diforte incidenza sul vissuto di un tempo: il cortile di acces-so defilato alla vista, pochi strumenti connessi all’attivitàdell’opificio paterno, il nero metallico della cucina a legnaprofilato contro il biancore dell’ambiente, il panoramad’affaccio del piano rialzato che contempla uno squarciodi cielo e qualche spiazzo circostante.

    Lo spunto iniziale da cui nasce qualunque fase compo-sitiva nell’esperienza artistica di Cesari è uno stato di in-sofferenza rispetto alla ovvietà del quotidiano, unpressante stimolo a considerare la suggestione dell’arte co-me una sfida, un tentativo di penetrare nel vissuto sia sog-gettivo che superindividuale, incidendo su di esso inmodo autenticamente dirompente. Lo sviluppo del pro-cesso creativo esita quindi verso un effetto di essenzializ-zazione, secondo un metodo di reductio ad unum in cui lavisione prospettica elude qualunque sincretismo figurati-vo per addivenire ad una sintesi estrema.

    Da questi presupposti sono nati nell’artista l’espressioneinformale e l’uso sistemico di una sua personale simbolo-gia di riferimento, ma anche il rigetto aprioristico della fi-sicità totalizzante della percezione. Un esempio signi-ficativo di questo aspetto può essere individuato nell’am-pia serie di dipinti che presentano forme geometriche, neiquali spesso la sfera, intesa come espressione di ordine esimmetria, viene collocata su un piano inclinato che non

    può dare né appiglio nécertezza di permanenza,oppure in uno stato di so-spensione nel vuoto, op-pure ancora in contrastocon un’altra sfera e incondizione di equilibrioassolutamente precario.

    Altrettanto si può osser-vare circa l’uso strumen-tale del paesaggio, che inmolte delle sue tele (spe-

    cie nella fase avanzata del suo percorso artistico) non pre-senta dei chiari connotati identificativi, ma diventasoltanto profilo, linea di confine rispetto a ciò che lo sovra-sta, come una demarcazione rispetto all’ambito della tra-scendenza, del pensiero puro, della condizione visionaria.

    E’ evidente che per Cesari l’opera è concepita al fine digenerare nell’osservatore un processo epifanico di reazio-ne a catena, che intacca il vissuto individuale e collettivo.

    MEMINI ERGO SUMMEMINI ERGO SUMPercorsi della memoria nella pittura di Nicola Cesari

    di Giuseppe Magnolo