Periodico n°476 gennaio-febbraio Mani Tese

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.manitese.it/periodico–manitese Periodico di Mani Tese, organismo cono la fame e per lo sviluppo dei popoli. anno XLVIII | gennaio – febbraio 2012 476 DOSSIER Poste italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 2. LO/MI in caso di mancato recapito inviare al CMP Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a corrispondere i diritti postali. S.O.S.TENIBILITÀ Un impegno di giustizia ambientale

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Periodico di Mani Tese,organismo contro la fame e per lo sviluppo dei popoli.anno XLVIII | gennaio – febbraio 2012

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Un impegno digiustizia ambientale

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manitese 476 | gennaio – febbraio 2012 3

di luigi idili, presidente di mani tese

indice6 Il valore dei beni comuni

8 recupero della Foresta Mau in Kenya:

la sostenibilità ambientale si può insegnare

10 siamo il 99 per cento!

12 rio+20 e la sfida della sostenibilità

14 L’inizio o la fine di un’era

dossier15 Un impegno di giustizia ambientale

20 Molto più di un pacchetto regalo 2011

21 FAMe 2012: un contro forum

per il diritto all’acqua

22 La lotta contro la povertà energetica

24 dalle risorse ai beni comuni

26 rispettare il voto popolare, è una questione

di obbedienza Civile

27 dedicato ai sostenitori di Mani Tese

progetti28 Il cibo degli dei

29 Acqua, un liquido prezioso

da centellinare goccia a goccia

30 Contro la desertificazione

e per la sicurezza alimentare

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nostra impronta ecologica

quotidiana.

redazioneLuigi Idili (dir.)

Luca Manes (dir. resp.)

Angela Comelli

Alberto Corbino

Chiara Cecotti

Giosuè de salvo

elias Gerovasi

elena Iannone

Giovanni Mozzi

Giacomo Petitti

Lucy Tattoli

contributiTommaso Fattori

Franca Forzati

Giulia Franchi

Chiara Pattaro

silvia rende

Bruna sironi

Cristina sossan

stefano squarcina

Annalisa stagni

Giovanna Tedesco

Luca Tommasini

stampastaff s.r.l.

Buccinasco (MI)

grafica

riccardo Zanzi

sedeP.le Gambara 7/9,

20146 Milano

Tel. 02 40 75 165

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periodico maniteseregistrazione al roC (registro

operatori di comunicazione) al n.154

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n. 6742 del 28 dicembre 1964.

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GRABBING DEVELOPMENT Towards new models of North/South relations for fair exploitation of natural resources. – DCI NSA-ED/2011/239-451

Questo periodico è stato prodotto con il contributo finanziario dell’Unione europea. I suoi contenuti sono unicamente di responsabilità di Mani Tese e in nessun caso si può considerare che riflettano la posizione dell’Unione europea.

Cari amici ben ritrovati in questo nuovo inizio anno 2012, dichiarato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ONU) come l’Anno Internazionale delle Cooperative.Le cooperative ricordano alla comunità internazionale che è possibile conciliare la produttività economica con la responsabi-lità sociale. Una via d’uscita per l’economia impazzita di oggi!

Lo slogan scelto, “Le cooperative costrui-scono un mondo migliore” , mette in risalto il contributo che questi particolari soggetti economici forniscono allo sviluppo socio-economico, riconoscendo anche il loro impatto sulla riduzione della povertà ed in favore dell’occupazione e dell’integrazione sociale. Bisogna dare valore ad un modello economico capace di rispondere adeguata-mente ai bisogni delle comunità e dei terri-tori: sono i concetti chiave per costruire una visione dell’economia orientata allo sviluppo umano sostenibile.

La componente della “sostenibilità” si riconduce alla riflessione elaborata dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite (1987), ed è sintetizzata dal concetto di solidarietà inter-generazionale: uno sviluppo che – garantendo la rinnovabilità delle risorse naturali – non comprometta quello delle generazioni a venire. La componente “sviluppo umano” si basa sull’approccio del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), portato avanti in 20 anni di “Rapporti sullo svilup-po umano”, integrando gli indici di crescita economica (PIL) con gli indicatori di benes-sere, in particolare la salute e l’istruzione.

Quest’anno uno degli impegni prioritari di Mani Tese è, dunque, il rafforzamento del paradigma dello sviluppo umano soste-nibile, mediante un ulteriore ambito di studio e di azione, quello della “giustizia ambientale”. Nella storia di Mani Tese si tratta anche di un arricchimento della propria visione, fondato su “un impegno di giustizia”.

Parlare di giustizia ambientale significa portare equità nei rapporti sottostanti l’utilizzo delle risorse naturali: l’acqua, la terra, le foreste, le risorse estrattive come petrolio, metalli e minerali, in modo che non siano più solo le imprese transna-zionali o gli investitori finanziari a trarne profitto. La giustizia ambientale richiede invece che siano le comunità locali nei luo-ghi dove le risorse naturali sono collocate a co-decidere democraticamente, se e come

“sfruttare” tali risorse, guardando al loro presente e al futuro comune di tutti.

La sostenibilità del futuro !

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s.o.s.tenibilità | istantanea di luca tommasini4

Gas flaring nella comunità di Ebocha, Delta del Niger. Nigeria.Un pessimo esempio di sostenibi-lità ambientale.

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s.o.s.tenibilità | approfondimento6 di stefano rodotà – tratto da “La RepubbLica” del 05/01/2012

Si può dire che il 2011 sia stato l’anno (an-che) dei beni comuni. Espressione, questa, fino a poco tempo fa assente nella discus-sione pubblica, del tutto priva d’interesse per la politica, anche se il premio Nobel per l’economia era stato assegnato nel 2009 a Elinor Ostrom proprio per i suoi studi in questa materia. Poi, quasi all’improvviso, l’Italia ha cominciato ad essere percorsa da quella che Franco Cassano aveva chiamato la “ragionevole follia dei beni comuni”. E questo è avvenuto perché la forza delle co-se ha imposto un mutamento dell’agenda politica con il referendum sull’acqua come

“bene comune”. Da quel momento in poi è stato tutto un succedersi di iniziative con-crete e di riflessioni teoriche, che hanno portato alla scoperta di un mondo nuovo e all’estensione di quel riferimento ai casi più disparati. Si parla di beni comuni per l’acqua e per la conoscenza, per la Rai e per il teatro Valle occupato, per l’impresa, e via elencando. Nelle pagine culturali di un quotidiano campeggiava qualche mese fa un titolo perentorio: “i poeti sono un bene comune”. L’inflazione non è un pericolo soltanto in economia. Si impone, quindi, un bisogno di distinzione e di chiarimento, proprio per impedire che un uso inflattivo dell’espressione la depotenzi. Se la catego-ria dei beni comuni rimane nebulosa, e in essa si include tutto e il contrario di tutto, se ad essa viene affidata una sorta di palin-genesi sociale, allora può ben accadere che perda la capacità di individuare proprio le situazioni nelle quali la qualità “comune” di un bene può sprigionare tutta la sua forza. E tuttavia è cosa buona che questo conti-nuo germogliare di ipotesi mantenga viva l’attenzione per una questione alla quale è affidato un passaggio d’epoca. Giustamente Roberto Esposito sottolinea come questa sia una via da percorrere per sottrarsi alla tirannia di quella che Walter Benjamin ha chiamato la “teologia economica”. Ciò di cui si parla, infatti, è un nuovo rapporto tra mondo delle persone e mondo dei beni, da tempo sostanzialmente affidato alla logica del mercato, dunque alla mediazione della proprietà, pubblica o privata che fosse. Ora l’accento non è più posto sul soggetto

proprietario, ma sulla funzione che un bene deve svolgere nella società. Partendo da questa premessa, si è data una prima definizione dei beni comuni: sono quelli funzionali all’esercizio di diritti fondamen-tali e al libero sviluppo della personalità, che devono essere salvaguardati sottraen-doli alla logica distruttiva del breve periodo, proiettando la loro tutela nel mondo più lontano, abitato dalle generazioni future. L’aggancio ai diritti fondamentali è essenziale, e ci porta oltre un riferimento generico alla persona. In un bel saggio, Luca Nivarra ha messo in evidenza come la prospettiva dei beni comuni sia quella che consente di contrastare una logica di mercato che vuole “appropriarsi di beni destinati al soddisfacimento di bisogni pri-marie diffusi, ad una fruizione collettiva”. Proprio la dimensione collettiva scardina la dicotomia pubblico-privato, intorno alla quale si è venuta organizzando nella modernità la dimensione proprietaria. Compare una dimensione diversa, che ci porta al di là dell’individualismo proprie-tario e della tradizionale gestione pubblica dei beni. Non un’altra forma di proprietà, dunque, ma «l’opposto della proprietà», com’è stato detto icasticamente negli Stati Uniti fin dal 2003. Di questa prospettiva vi è traccia nella nostra Costituzione che, all’articolo 43, prevede la possibilità di affidare, oltre che ad enti pubblici, a “co-munità di lavoratori o di utenti” la gestione di servizi essenziali, fonti di energia, situazioni di monopolio. Il punto chiave, di conseguenza, non è più quello dell’“appartenenza” del bene, ma quello della sua gestione, che deve garantire l’accesso al bene e vedere la partecipazione di soggetti interessati. I beni comuni sono “a titolarità diffusa”, appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e nessuno può vantare pretese esclusive. Devono essere amministrati muovendo dal principio di solidarietà. Indispo-nibili per il mercato, i beni comuni si presentano così come strumento essenzia-

Il valore dei beni comuni

Foto sopra: Stefano Rodotà.Foto sotto: Logo di Wikipedia.

Pagina a fiancoFoto in alto: due immagini

dell’occupazione del teatro Valle a Roma.

Foto in basso: Un’immagine della festa dopo la vittoria dei sì al

referendum sull’acqua.

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manitese 476 | gennaio – febbraio 2012 7

le perché i diritti di cittadinanza, quelli che appartengono a tutti in quanto persone, possano essere effettivamente esercitati. Al tempo stesso, però, la costruzione dei beni comuni come categoria autonoma, distinta dalle storiche visioni della proprie-tà, esige analisi che partano proprio dal collegamento tra specifici beni e specifici diritti, individuando le modalità secondo cui quel “patrimonio comune” si articola e si differenzia al suo interno. Se, ad esem-pio, si considera la conoscenza in Rete, uno dei temi centrali nella discussione, ci si avvede subito della sua specificità. Luciano Gallino ne ha giustamente parlato come di un bene pubblico globale. Ma proprio questa sua globalità rende problematico, o improponibile, uno schema istituzionale di gestione che faccia capo ad una comunità di utenti, cosa necessaria e possibile in altri casi. Come si estrae questa comunità dai miliardi di soggetti che costituiscono il popolo di Internet? Di nuovo una sfida alle categorie abituali. La tutela della conoscenza in Rete non passa attraverso l’individuazione di un gestore, ma attra-verso la definizione delle condizioni d’uso del bene, che deve essere direttamente accessibile da tutti gli interessati, sia pure con i temperamenti minimi resi necessari dalle diverse modalità con cui la conoscen-za viene prodotta. Qui, dunque, non opera il modello partecipativo e, al tempo stesso, la possibilità di fruire del bene non esige politiche redistributive di risorse perché le persone possano usarlo. È il modo stesso in cui il bene viene “costruito” a renderlo ac-cessibile a tutti gli interessati. Ben diverso è il caso dell’impresa, di cui pure si discute. Qui è grande il rischio della confusione. Sappiamo da tempo che l’impresa è una

“costellazione di interessi” e che sono stati costruiti modelli istituzionali volti a dar voce a tutti. Ma la partecipazione, anche nelle forme più intense di cogestione, non mette tutti i soggetti sullo stesso piano, né elimina il fatto che il punto di partenza è costituito da conflitti, non da convergenza di interessi. Parlare di bene comune è fuorviante. L’opera di distinzione, defini-zione, costruzione di modelli istituzionali

differenziati anche se unificati dal fine, è dunque solo all’inizio. Ma non rimane nel cielo della teoria. Proprio l’osservazione della realtà italiana ci offre esempi del mo-do in cui la logica dei beni comuni cominci a produrre effetti istituzionali. Il comune di Napoli ha istituito un assessorato per i beni comuni; la Regione Puglia ha approvato una legge, pur assai controversa, sull’ac-qua pubblica; la Regione Piemonte ne ha approvata una sugli open data, sull’accesso alle proprie informazioni; in Senato sono stati presentati due disegni di legge sui beni comuni e vi sono proposte regionali, come in Sicilia. Si sta costruendo una rete dei comuni ed una larga coalizione sociale lavora ad una Carta europea. Quel che unifica queste iniziative è la loro origine nell’azione di gruppi e movimenti in grado di mobilitare i cittadini e di dare continu-ità alla loro presenza. Una novità politica che i partiti soffrono, o avversano. Ancora inconsapevoli, dunque, del fatto che non siamo di fronte ad una questione margina-le o settoriale, ma ad una diversa idea della politica e delle sue forme, capace non solo di dare voce alle persone, ma di costruire soggettività politiche, di redistribuire poteri. È un tema “costituzionale”, almeno per tutti quelli che, volgendo lo sguardo sul mondo, colgono l’insostenibilità crescente degli assetti ciecamente affidati alla legge

“naturale” dei mercati.

Page 8: Periodico n°476 gennaio-febbraio Mani Tese

Fai la diFFerenza

s.o.s.tenibilità | progetti8 a cura di bruna sironi, responsabile progetti east africa mani tese

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.

Il Kenya è uno dei Paesi africani in cui il degrado ambientale è più rilevante e più influisce sulla vita della popolazione. Il suo manto forestale è ridotto all’1,7% del territorio, una delle percentuali più basse del continente, cosa che ha determinato un importante cambio del clima, del regime delle piogge in particolare, e notevoli pro-cessi di inaridimento e desertificazione.Della deforestazione selvaggia degli ultimi anni ha risentito particolarmente la foresta Mau, la più importante foresta di monta-gna dell’Africa dell’Est.Questa foresta è la culla di una ricca biodi-versità, sia per quanto riguarda la flora che la fauna. Costituisce inoltre il più rilevante bacino imbrifero del Paese: accumula acqua durante la stagione delle piogge e la rilascia durante la stagione secca, dando origine ad almeno 12 corsi d’acqua, contribuendo così in modo sostanziale alla stabilizzazione del clima, alla fertilità dei suoli e alla possibilità di una vita dignitosa ed economicamente sostenibile in una vasta area del Paese e dei Paesi limitrofi, in cui la popolazione, pari a circa 30 milioni di persone, vive ancora sostanzialmente di agricoltura di sussistenza.Negli ultimi 15 anni la Foresta Mau ha subi-to importanti devastazioni, che ne hanno ridotto l’estensione del 25%. Le ragioni sono diverse, quasi tutte legate a politiche speculative dei precedenti governi: trasfor-mazione della foresta in aree di sviluppo agricolo; insediamento di nuovi villaggi; taglio di legname più o meno legale; indu-stria (abusiva) del carbone vegetale.Questo ha avuto rilevanti ripercussio-ni sul clima e sul territorio circostante, riducendo in modo sostanziale la portata delle acque dei numerosi fiumi che ne sono originati, determinando la riduzione

Recupero della Foresta Mau in Kenya:la sostenibilità ambientale si può insegnare

Foto dal progetto di Mani Tese e NECOFA in Kenya.

Page 9: Periodico n°476 gennaio-febbraio Mani Tese

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Se vuoi sostenere i progetti avviati in Kenya n°2253 e 2256: www.manitese.it/progetti

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.

anche di numerosi laghi (Turkana, Baringo, Naivasha, Nakuru e Vittoria), influendo sulla portata del Nilo Bianco (che nasce dal lago Vittoria) e in definitiva sulla stabilità di un’intera regione.Importante è stato anche l’influsso nega-tivo sulle attività economiche, soprattutto nel settore agricolo, che sono la principale fonte di reddito della popolazione.A partire dal 2005, con l’adozione del New Forest Act e con la promulgazione, lo scor-so anno, della nuova Costituzione, il go-verno del Kenya ha deciso di intraprendere una politica di salvaguardia e recupero del complesso della foresta Mau, istituendo un segretariato per il coordinamento degli interventi, sotto la diretta responsabilità del Primo Ministro. In questo ambito si inserirà il nuovo programma pluriennale che Mani Tese realizzerà in collaborazione con diversi attori locali (i partner locali e gli attori statali coinvolti). Il programma si svi-lupperà lungo il bacino del fiume Molo, che nasce dalla foresta Mau e sfocia nel lago Baringo.

Particolare beneficiaria del programma sarà la popolazione degli Ogiek della zona di Mariashoni, originaria della foresta, che traeva le sue fonti di sostentamento dalla raccolta e dalla caccia, e che paga le conseguenze più pesanti della progressiva riduzione delle risorse forestali. Con la scomparsa di larghe aree di foresta, e lo stanziamento di nuova popolazione, gli Ogiek si sono trovati espulsi dal proprio habitat naturale, con le tradizionali risorse drasticamente diminuite e senza le co-noscenze necessarie a utilizzare in modo efficace e sostenibile risorse diverse, quali quelle derivanti dall’agricoltura e dall’alle-

vamento. Una delle prime azioni di questo pro-gramma, che vede la collaborazione di Mani Tese e NECOFA Kenya (Network For Ecofarming in Africa) una Ong locale che opera nella zona ed è parte di un network panafricano, si propone di sviluppare le capacità degli Ogiek di intraprendere e gestire attività generatrici di reddito volte al recupero, alla conservazione e alla valo-rizzazione della foresta e delle sue risorse, riducendo la povertà della comunità e rafforzando nello stesso tempo l’orgoglio della propria identità.Il programma sarà avviato con attività di formazione professionale e di capacity building.La riforestazione con essenze locali per-metterà il recupero di 40 ettari di foresta e la conservazione della sua biodiversità. I gruppi coinvolti potranno sviluppare attivi-tà generatrici di reddito quali la produzione di piantine in vivai e l’apicoltura, e avranno dimostrazioni di altre possibili, quali l’agricoltura biologica ed ecosostenibile e la produzione di carbone usando il bamboo.Molto si punterà sull’educazione al rispetto e alla conservazione della foresta e dei suoi abitanti attraverso visite e percorsi guidati degli studenti, di altri gruppi etnici, del territorio circostante.

La seconda azione avviata prevede il rafforzamento di un’associazione di piccoli produttori, pure di gruppi etnici minoritari, che opera in uno schema irriguo a Eldume, una località sul corso del fiume Molo, un

tempo perenne e ora stagionale, con un regime delle acque imprevedibile. Lo sche-ma irriguo è stato fortemente danneggiato nel 2008 da una piena eccezionale, dovuta proprio al disboscamento a monte, nella foresta Mau, all’erosione dei suoli del bacino e delle rive del fiume, oltre che alla variazione del regime delle piogge nell’area. Le strutture esistenti saranno riabilitate dalla FAO, mentre la cooperazione italiana finanzierà le opere per estendere lo schema irriguo.Mani Tese, con NECOFA e in collabora-zione con il Ministero dell’Agricoltura del distretto, invece, lavorerà per migliorare le capacità dei piccoli produttori dello schema, in modo che possano trarre tutto il vantaggio possibile dalla riabilitazione delle strutture. Le prime attività ad essere realizzate saranno: un corso di formazione per formatori in tecniche di agricoltura biologica, formazione sul campo sulla valutazione della fertilità dei terreni e interventi per migliorarla (uso del ferti-lizzante naturale e del compost), l’orga-nizzazione di campi dimostrativi per la diffusione delle tecniche di agricoltura biologica; la formazione in leadership e governance partecipata per rafforzare l’associazione già esistente.

Il programma, partito nei mesi scorsi e che impegnerà l’associazione per alcuni anni, intende chiaramente sostenere il diritto delle popolazioni locali a utilizza-re in modo sostenibile le risorse ambien-tali salvaguardando delicati ecosistemi, preservandone e valorizzandone la biodiversità: un uso dell’ambiente intel-ligente, rispettoso e giusto che permetta una vita dignitosa alla popolazione e alle generazioni future.

“DIRIttI e RIsoRse nel CoRno D’AFRICA”dossier di approfondimento sul diritto alla terra, all’acqua e al cibo in una delle aree più instabili e a maggior rischio alimentare del pianeta.

Il dossier è scaricabile sul sito www.campagnasudan.it

Presentazione:Martedì 7 febbraio ore 17.30ISPI via Clerici 5, Milano

Intervengono:GiOVANNi SARTOR, responsabile Africa Mani TeseFRANCA ROiATTi, giornalista e autrice del libro “il Nuovo Colonialismo. Caccia alle Terre coltivabili”

Modera:Prof. GiAN PAOLO CALChi NOVATi, IsPI

EMANUELE FANTiNi, dipartimento di studi politici dell’Università di Torino e autore del libro “Acqua privatizzata? Economia politica e morale”GiOSUè DE SALVO capo area advocacy e campagne Mani Tese

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10 s.o.s.tenibilità | rubriche

di giulia franchi, campagna per la riforma della banca mondiale (crbm)

FINAN

zA E POLITICA

Le cronache raccontano che tutto ebbe inizio il 17 settembre 2011 a Zuccotti Park, nel cuore del distretto finanziario di Wall Street. All’alba di quel giorno, a New York un primo folto gruppo di qualche centina-ia di persone decise di dare concretezza, attribuendole uno spazio fisico simbolico, all’esasperazione, all’insofferenza diffusa per le disuguaglianze sociali ed economiche intrinseche alla società americana ed aggra-vate dalla drammatica crisi del 2007-2008, all’indignazione per il crescente tasso di disoccupazione, per l’avidità, la corruzione e l’ormai intollerabile ingerenza del settore finanziario sulle scelte del governo.

Così nacque l’occupazione di Zuccotti Park, meglio nota come “Liberty Plaza”, e con es-sa il movimento Occupy Wall Street (OWS), un laboratorio autonomo, auto-organizzato e sostanzialmente destrutturato, in cui voci diverse per età, sesso, appartenenza etnica, background politico ed economico hanno cominciato a convergere per scrivere una nuova pagina della storia degli Usa.

Animati dal desiderio di combinare il biso-gno di uno spazio simbolico per la protesta, sulla scia di Piazza Tahrir in Egitto, con il metodo decisionale del consenso delle proteste spagnole del 2011, gli indignati newyorkesi rivendicano oggi con fierezza di aver dato impulso all’autunno americano, in logica successione con la “primavera araba” e l’“estate europea”.

Quando il 15 novembre 2011 il sindaco di New York diede l’ordine di sgomberare, anche con la forza, Liberty Plaza dalle ormai centinaia di tende che ne avevano preso possesso, dalla cucina e dalla libreria allestita dagli occupanti, dal media center e da ogni altro simbolo dell’autogestione di quello spazio, era ormai troppo tardi per tornare indietro, la miccia era stata innesca-ta, perché “non si può sradicare un’idea se la sua ora è ormai arrivata!”, come recitano da allora tutti i cartelli, striscioni, volantini e lo stesso sito internet del movimento. Sebbene in maniera un po’ enfatica in tanti sottolineino di “aver lasciato il cuore a Zuc-cotti Park”, l’onda è ormai partita e gruppi più o meno consistenti stanno proliferando ovunque in tutto il Paese.

L’attraente slogan coniato dal movimento “siamo il 99 per cento” ha l’obiettivo espli-cito di riferirsi alle disuguaglianze nella di-stribuzione della ricchezza negli Stati Uniti tra l’un per cento più ricco e il resto della popolazione. I redditi sempre crescenti dell’elite finanziaria sono sul banco degli imputati, condannati da quella maggioranza schiac-ciante che paga le tasse senza ottenere servizi, che vive del salario minimo e che non può permettersi l’assicurazione sanitaria. Quella maggioranza bloccata in un immobilismo sociale più simile a un sistema basato sulle caste che a una sedicente democrazia, e che oggi rivendica, con gioia genuina e fiera determi-nazione, il bisogno di un risveglio profondo, tradotto in assunzione di responsabilità e voglia di partecipazione.

Ascoltando da vicino le persone che animano l’esperienza newyorkese, ci si accorge sempre più chiaramente che OWS non è soltanto un movimento, quanto un contenitore che sta avendo il merito di amplificare le diverse istanze e vertenze già presenti nella società americana, un veicolo che permette di fare da cassa di risonanza a voci preesistenti ma latenti, che dà spazio di partecipazione a chi da tempo auspica un cambiamento, ma solo ora si rende conto di potervi contribuire concretamente, uscendo così dall’isola-mento. È, come dice il filosofo statunitense Noam Chomsky, un movimento senza precedenti, perché è l’era che viviamo a essere senza precedenti.

Ma le sfide di OWS non sono semplici, in certi casi non facilmente prevedibili e neppure tanto nascoste. Dallo sgombero di Zuccotti Park, OWS si è necessariamente dovuto dotare di un’altra forma organizza-tiva e di una nuova base logistica, trovata

siamo il 99 per cento!

Page 11: Periodico n°476 gennaio-febbraio Mani Tese

11manitese 476 | gennaio – febbraio 2012

al n. 60 di Wall Street, in un atrio “privato a uso pubblico”. Un luogo situato simboli-camente tra la New York Stock Exchange, con i suoi brokers in cravatta rosa in pausa sigaretta, e l’American Museum of Finance, poco prima della sede della Deutsche Bank.

Anche in questa fase di ristrutturazione, “dare priorità al processo più che ai risultati” continua ad essere la parola d’ordine che guida il movimento, e che si applica a tutti i momenti di scambio, dalle riunioni dei gruppi di lavoro, a quelle del comitato portavoce, alle assemblee generali in piazza. Dare priorità al processo significa impiegare tempo, risorse ed energie alla costruzione del movimento stesso, alla valorizzazione delle anime così diversifi-cate, alla ricerca di un terreno comune su cui convergere. Convergenza tutt’altro che scontata, soprattutto in un contesto come quello americano, in cui le conflittualità e le profonde disuguaglianze etniche, sociali ed economiche sono latenti e mai risolte.

Sorprendentemente infatti, le parole più ricorrenti che si ascoltano aggirandosi per le riunioni dei diversi gruppi di lavoro, non sono né finanza, né banche, né tantomeno crisi economica, come ci si aspetterebbe da un movimento che ha deciso di chiamarsi Occupy Wall Street. Razza, razzismo e inclusione interrazziale sono invece le parole sulla bocca di molti e probabilmente nei pensieri di tutti.

“La diversità non è necessariamente garan-zia di equità e giustizia nel movimento” fa notare una giovane donna afroamericana rappresentante del gruppo di affinità

‘persone di colore’, “e dare per scontato che il fatto che persone diverse per sesso, religione, gruppo etnico, lingua, estrazione sociale siano presenti alle iniziative sia di per sé sufficiente a definire il movimento inclusivo è una interpretazione sbagliata della realtà”.

È questa la mina vagante su cui rischia di saltare il movimento, che ora più che mai si porta addosso tutto il peso della storia americana e delle sue contraddizioni, che sono alla base anche della partecipazione ancora minoritaria dei “people of color”, dei non-bianchi, all’interno del movimento. Decostruire secoli di discriminazioni, costruire un dialogo interrazziale ed inter-classista alla luce della storia attuale, in nome di obiettivi comuni tutti da verificare è un esercizio affatto facile, che in più di un’occasione sembra far inceppare il pro-cesso, anche a scapito dei risultati.

Eppure in questo sforzo epocale risiede l’elemento di forza, novità ed opportunità reale di OWS, che getta indiscutibilmente le basi per una rivoluzione socio-culturale che potrebbe intaccare non solo il modo di intendere la vita pubblica nella società ame-ricana, ma anche la struttura e la qualità delle relazioni etno-socio-economiche nella società stessa. Se innescare questo processo, come in parte sta già avvenendo, fosse anche l’unico risultato di questo movimento, tutto il 99 per cento da cui OWS ha preso vita potrebbe andarne veramente fiero.

Immagini dall’occupazione dello zuccotti Park di New York .

A destra e sotto: foto CrBM.

Nel cerchio: foto di Debra M. Gaines – licenza Creative

Commons.

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12 s.o.s.tenibilità | rubriche

di giosuè de salvo, capo area advocacy mani tese

CAMPAG

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La storiaSono dunque quarant’anni che ci interro-ghiamo sulla sostenibilità del modello di produzione e consumo delle società indu-striali. Quarant’anni da quando abbiamo fondato l’UNEP, il programma ambientale delle Nazioni Unite, e da quando 113 Paesi si dichiararono convinti che “non è possibi-le affrontare e risolvere i problemi ambientali senza un’azione comune”.

Dopo Stoccolma, lo sviluppo sostenibile – nel frattempo definito come “lo sviluppo che risponde alle necessità delle generazioni presenti, senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare le pro-prie esigenze” – ha avuto nella Conferenza su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992 il suo momento di massima visibi-lità e riconoscibilità. I contenuti del rappor-to Bruntland, l’aggravarsi dell’inquinamen-to ambientale, il panorama geo-politico determinatosi dopo la caduta del Muro di Berlino e la conclusione del processo di decolonizzazione, avevano generato aspet-tative importanti sui risultati del vertice che, anche grazie al ruolo giocato dalle Ong, non vennero deluse. Furono approvate e avviate alla ratifica le tre convenzioni am-bientali principali: la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, la Convenzione sulla protezione della biodiversità e la Convenzione sulla lotta alla desertificazio-ne e alla siccità. Venne istituita la Commis-sione Sviluppo Sostenibile sotto l’egida del Consiglio Economico e Sociale dell’Onu (ECOSOC) e lanciato Agenda 21, un pro-gramma articolato di azione “glocale” che

tuttora costituirebbe un valido manuale per lo sviluppo sostenibile se adeguata-mente coordinato.Con Rio 1992, la strumentazione giuridico-legale per vincere la sfida della sostenibi-lità era dunque completata. Non restava che metterla in pratica. Le “magnifiche sorti e progressive” del sistema capitalista sembravano offrire il contesto ottimale ma dieci anni dopo, nel 2002 in Sudafrica, la macchina era già inceppata. Al Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg infatti ci si limitò a ribadire l’impegno a promuovere i principi e le azioni per la sostenibilità. Nessun nuovo accordo vincolante, nessun obiettivo misu-rato o misurabile. Sorprendente? Non direi, se si considera che il summit di Johannesburg arrivava tre anni dopo il fallimento del WTO a Seattle, due anni dopo lo scoppio della bolla New Economy, un anno dopo il default dell’Argentina e l’attacco alle Torri Gemelle. Tutt’altro clima rispetto al 1972 quando, poco prima dei grandi shock petroliferi, si godeva ancora appieno del boom economico degli anni ’50 e ‘60, la Comunità Economica Europea (CEE) ac-quisiva Danimarca, Gran Bretagna, Irlanda e Norvegia come nuovi membri e gli Stati Uniti di Nixon riavviavano le relazioni di-plomatiche con la Cina. Ma anche rispetto al 1992 quando Bill Clinton saliva alla Casa Bianca, in Sudafrica finiva l’apartheid e il dogma del “libero commercio che sconfigge la povertà” conquistava destra e sinistra a livello mondiale.

Rio+20 e la sfida della sostenibilitàContrariamente a quanto si pensi, il termine “sviluppo sostenibile” non esprime un concetto nuovo. Coniato nel 1987 in occasione della pubblicazione di “Our Common Future” (il cosiddetto rapporto Bruntland della Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo), affonda le sue radici ideali nella Conferenza ONU sull’Ambiente umano del 1972 a Stoccolma. è nel corso di quel vertice che, per la prima volta, la “tutela e la gestione razionale del capitale naturale” vennero identificate come “basi essenziali dello sviluppo sociale ed economico”, allora imperioso.

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13manitese 476 | gennaio – febbraio 2012

di giosuè de salvo, capo area advocacy mani tese

La conferenzaIl 2012 dovrebbe quindi essere l’anno del riscatto. L’Assemblea generale ONU ha deciso, con la risoluzione 64/236 del 23 dicembre 2009, di indire la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile (UNCSD), ormai nota come “Rio+20”, anche se, per quanto detto sopra, la si dovrebbe chiamare “Stoccolma+40”. La Conferenza si svolgerà dal 20 al 22 giugno 2012 a Rio de Janeiro a livello di Capi di Stato e di Governo. Al fine di rendere finalmente concreti gli impegni assunti negli ultimi decenni sull’integrazione dei tre pilastri dello sviluppo sostenibile (economico, sociale e ambientale), la Conferenza si focaliz-zerà su due temi: l’attuazione su scala globale della Green Economy e la riforma della Governance mondiale dello sviluppo sostenibile. Il primo testo negoziale reso pubblico il 10 gennaio scorso porta un titolo evocativo e coinvolgente, “Il futuro che vogliamo”, ma le reazioni da parte della comunità scientifica e dal mondo delle Ong esprimo-no un mix di delusione e preoccupazione. Delusione per la cautela diplomatica degli estensori del documento che non sembra-no aver colto l’eccezionalità del momento storico e tanto meno le indicazioni loro pervenute ufficialmente dalla società civile nella lunga fase istruttoria condotta dal 2010 in avanti. Preoccupazione per l’idea di Green Economy che traspare e per le con-dizioni in cui si tenterà di razionalizzare il

“quadro istituzionale di riferimento”.

I temi, le criticitàTra le decine di possibili concettualizzazio-ni di Economia Verde quella che sembra imporsi è ben rappresentata nel “Green Economy Report” presentato dall’UNEP, con il supporto di Banca mondiale e Organizzazione mondiale del commer-cio, nel febbraio 2011, e dallo studio “The Economics of Ecosystems and Biodiversi-ty”, sempre targato UNEP, di fine 2010. In essi, pur considerando come accoglibili e condivisibili le proposte di eliminare i sus-sidi perversi nei settori energia, agricoltura, infrastrutture e investire i fondi risparmiati in nuove tecnologie, non sono accettabili né l’enfasi che si continua a porre sulla crescita materiale dell’economia, né – e direi soprattutto – l’idea di dare un valore di mercato alla natura per i servizi che essa fornisce (depurazione delle acque, assorbi-mento di carbonio, ecc.).Rispetto alla riforma della Governance, si evidenziano due considerazioni. Se parlia-mo di regole per governi e imprese, appare difficile prevedere che in una situazione di incertezza globale circa gli esiti della crisi economico-finanziaria in corso, gli Stati membri delle Nazioni Unite possano accordarsi nel 2012 su un programma di lavoro con obiettivi, tempi e strumenti vincolanti. Non è successo a Cancun (16° COP – Conferenza delle Parti sul Cambio Climatico), non è successo a Durban (17° COP), non è successo in sede di G20 negli innumerevoli summit svolti negli ultimi tre anni. Tutto si sta rimandando alla fatidica data del 2015. Se ci riferiamo all’architet-tura istituzionale, quello che preoccupa è

il fatto che oggi giorno le maggiori imprese multinazionali, praticando a loro uso e consumo le partnership pubblico-private, registrano dai cinque ai dieci partenariati milionari in corso con il sistema ONU (Shell e UNEP sulla biodiversità, Coca Cola e UNDP sulla protezione della risorsa acqua, Nestle e UNDP sul rafforzamento delle comunità locali, ecc.) e ciò rende oggettivamente complicato per le Nazioni Unite criticare l’operato dei suoi “business partner” e adempiere al proprio ruolo di vigilanza e normazione in favore della pace, della giustizia e dell’equità.Mani Tese, dopo aver partecipato nel mese di gennaio al Forum “L’Italia verso Rio+20”, organizzato a Roma dal Ministero dell’Am-biente, continuerà a seguire e informarvi sul processo preparatorio sia del vertice ufficiale sia dei numerosi appuntamenti auto-organizzati delle Ong e dei movimenti sociali che ovviamente non mancheranno di far sentire la loro voce in occasione di una scadenza così importante per il desti-no dell’umanità.

A destra: sala dell’assemblea delle Nazioni Unite a New York.

sotto: Logo della Conferenza delle Nazioni Unite sullo

sviluppo sostenibile.

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14 s.o.s.tenibilità | rubriche

LA COO

PERAzION

E DEL FU

TURO

di elias gerovasi, capo area cooperazione mani tese

l’inizio o la fine di un’eraNel mese di dicembre a Busan, in Corea del Sud, le diplomazie internazionali si sono incontrate al 4° Forum di Alto Livello sull’efficacia degli aiuti (HLF4), il più gran-de forum mondiale sull’aiuto pubblico allo sviluppo mai tenutosi.È la quarta tappa di un lungo percorso iniziato nel 2003 quando l’OCSE e i governi dei Paesi donatori hanno avviato un percorso di ridefinizione delle strategie in materia di aiuto allo sviluppo. Obiettivo principale, quello di migliorarne l’effica-cia. Roma, Parigi e Accra hanno ospitato i Forum precedenti, in questi 8 anni tanti discorsi sono stati affrontati e molteplici documenti sono stati sottoscritti. Ma dove porta questo processo? Cosa è cambiato o cambierà nell’attitudine dei grandi do-natori governativi dell’aiuto pubblico allo sviluppo?Gli entusiasti lo hanno definito l’inizio di una nuova era, uno spartiacque nelle poli-tiche di cooperazione con nuovi protagoni-sti, nuovi strumenti e nuove dinamiche.Per i critici invece a Busan si è celebrato il funerale dell’industria degli aiuti allo sviluppo concepiti dal club dei Paesi ricchi (o ex ricchi) dell’OCSE.

Yash Tandon, vecchia conoscenza di Mani Tese (*), ci aiuta a capire la distanza tra i punti di vista del nord e sud (dei donatori e dei riceventi) attraverso l’analisi dei discor-si di due leader che hanno preso parte al forum, Hilary Clinton (Segretario di Stato degli Stati Uniti) e Paul Kagame (Presiden-te del Rwanda).

Questi i punti centrali del discorso di Hilary Clinton:NON SOLO AIUTO – la Clinton premette che oggi l’aiuto pubblico allo sviluppo costituisce solo il 13% dei flussi finanziari nord-sud, negli anni 60 era il 70%.CHI GUIDA GLI AIUTI – gli aiuti sono ancora indirizzati principalmente dagli stessi donatori, da tempo si chiede un forte coinvolgimento dei Paesi partner (Paesi riceventi) che li guidino secondo la loro agenda assumendosi mutua responsabilità rispetto ai donatori.GIÙ LE MANI DAGLI AIUTI – le elite governative dei Paesi riceventi dovranno rinunciare ai loro privilegi e destinare dav-vero gli aiuti alle popolazioni bisognose.ABBIAMO GIÀ FALLITO – Hilary Clinton rivela infine che solo uno dei 13 obiettivi fissati nel precedente forum di Parigi è stato raggiunto. Come a dire: abbiamo già fallito?

Il presidente Ruandese ribalta la prospet-tiva:I CONTI NON TORNANO – la forte cresci-ta del Pil di diversi Paesi africani non porta automaticamente un aumento del reddito pro-capite (anzi). Nessun Paese africano raggiungerà gli obiettivi del Millennio.PIÙ INVESTIMENTI MENO AIUTI – l’enorme industria degli aiuti condiziona troppo i rapporti nord-sud e sta minando le potenzialità di investimenti e commercio.CHI GUIDA GLI AIUTI (2) – non è possi-bile chiedere ai Paesi riceventi una mutua responsabilità sull’efficacia degli aiuti se la gestione degli stessi non viene realmente affidata ai governi locali.PIÙ FIDUCIA – i donatori parlano di canalizzare gli aiuti attraverso i sistemi Paese ma pretendono che sia fatto con le loro regole, di fatto rifiutano i sistemi Paese esistenti.RIPENSARE IL SISTEMA – il presidente conclude con l’esortazione ad un ripensa-mento profondo del sistema degli aiuti allo sviluppo.

*Yash Tandon è uno scrittore esperto di politiche di sviluppo, presiede SEATiNi (Southern and Eastern African Trade information and Negotiations institute) e collabora con il South Centre. ha partecipato al Convegno internazionale di Mani Tese del 2008 (Gli equilibri della Fame: la cooperazione è la risposta?)

I punti deboli del documento di BusanLa cosa che sicuramente scomparirà dopo Busan è l’aiuto, o meglio il termine aiuto. Già nella dichiarazione finale il termine Aid (aiuto) è sostituito abilmente con Deve-lopment (sviluppo). Non sentiremo più parlare di efficacia dell’aiuto ma di efficacia dello sviluppo. Questa una delle richieste (esaudite) della società civile che ha avuto una forte rappresentanza a questo incontro (oltre 300 partecipanti coinvolti nelle discussioni e nel processo dei negoziati).Rimane però il fatto che i nuovi Paesi donatori come Cina, India e Brasile, pur riconoscendo i principi comuni del forum, hanno chiaramente affermato che, gli impegni indicati nel documento finale di Busan sono volontari e che la Cooperazio-ne Sud – Sud è retta da modalità diverse da quelle che reggono la cooperazione Nord

– Sud. Queste concessioni sono state il prezzo da pagare per avere la Cina al tavolo dei negoziati.L’efficacia dello sviluppo rimarrà quindi un affare tra Paesi ricchi donatori del nord e Paesi poveri riceventi del sud, i BRIC e gli altri Paesi emergenti preferiscono chiamar-si fuori da queste dinamiche impostando le loro relazioni su altre basi.

In più il documento finale non esplicita quali siano gli impegni concreti e come e a chi verranno applicati. C’è spazio per l’interpretazione del testo finale che proba-bilmente occuperà diversi uffici governativi per diversi mesi. Solo allora potremmo vedere il topolino partorito dall’elefante.

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manitese 476 | gennaio – febbraio 2012 15 di annalisa stagni, area advocacy mani tese

Viviamo in un mondo che è attraversato sempre più frequentemente da crisi di ogni tipo, come quella dei prezzi del cibo, quella economica e finanziaria, quelle ambientali conseguenti ai cambiamenti climatici, la crisi della democrazia rappresentativa. Ognuna è il sintomo di un unico male e cioè un sistema economico che sta cannibaliz-zando gli stessi elementi che l’hanno fatto prosperare sinora, innanzitutto le persone e l’ambiente naturale – la terra – che ci ospita e fornisce le materie prime per far funziona-re il sistema.

Mani Tese da sempre si impegna per pro-muovere la giustizia sociale: combatte gli squilibri tra Nord e Sud del mondo attraver-so progetti di cooperazione internazionale e la sperimentazione di stili di vita sostenibili. Sin dalla sua nascita la nostra associazione riflette sull’intreccio e l’interdipendenza fra le nazioni, e di come le nostre abitudini e comportamenti abbiano un impatto sugli altri: la campagna sulla sovranità alimenta-re è l’esempio più recente. A partire da quest’anno, l’impegno di giu-stizia di Mani Tese si vuole arricchire di un ulteriore ambito, la giustizia ambientale. Attraverso di essa non solo si vuole tutelare l’ambiente naturale, nella consapevolezza di vivere in un pianeta finito che quindi non può essere sfruttato all’infinito, ma si vogliono tutelare anche le comunità che vivono nei diversi territori, in particolare in quelli ricchi di risorse naturali: ad esempio il delta del Niger, le montagne del Perù ric-che di oro e rame, le coste del Bangladesh devastate per far posto agli allevamenti di gamberetti.Parlare di giustizia ambientale significa riportare equità nello sfruttamento delle risorse naturali (l’acqua, la terra, le foreste, le risorse estrattive come petrolio, metalli e minerali), in modo che non siano più solo le multinazionali e i grandi investitori a guadagnarci, ma siano invece le comunità locali, cioè quelle che vivono laddove sono le risorse, a decidere democraticamente se, come e quanto sfruttarle. Si vuole

restituire loro la possibilità di autodetermi-narsi e di vivere nel loro ambiente naturale, facendo cessare la predazione e l’accaparra-mento – grabbing in inglese – delle risorse naturali da parte delle multinazionali e dei grandi investitori e l’inquinamento e il degrado ambientale che ne deriva. È impor-tante anche riappropriarci del significato delle parole: elementi come l’acqua, la terra, l’energia, l’aria, non sono semplicemente

“risorse” utili per far funzionare il sistema, bensì beni comuni che permettono la vita sul nostro pianeta e come tali vanno tutelati e gestiti.

Riflettere sulla giustizia ambientale signifi-ca anche interrogarci sulla nostra responsa-bilità di abitanti di un Nord ricco. Infatti or-mai tutti sappiamo che i nostri stili di vita e il nostro modello economico per essere mantenuti richiedono un ipersfruttamen-to della natura. In altre parole gli elementi naturali, che appunto comprendono beni comuni essenziali, vengono sfruttati senza rispettare il loro ciclo di rigenerazione oppure attraverso modalità inquinanti, facendo ricadere sulla popolazione locale (cioè quella che abita quel territorio) e/o indigena (cioè la popolazione originaria, presente da prima delle colonizzazioni) le esternalità derivanti dallo sfruttamento. E sino a ora abbiamo assistito all’accaparra-mento degli elementi naturali in quanto materie prime per produrre beni materiali, destinati al nostro consumo sempre più veloce e forsennato. Le cosiddette ‘risorse naturali’ hanno così finito per perdere la lo-ro essenza: non sono più parte della natura, ma sono diventate semplicemente input per la produzione, merci al pari delle altre, a disposizione del più veloce a prendersele, e per cui è necessario creare dei mercati. La mercificazione della natura sta aprendo la porta alla sua finanziarizzazione, cioè la creazione di una sovrastruttura di prodotti finanziari costruiti sull’elemento naturale, la quale fa sì che si concretizzi la totale per-dita del legame fisico e culturale tra l’uomo e quell’elemento.

Un impegno di giustizia

ambientale

continua a pag. 18 ↘

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s.o.s.tenibilità | dossier16

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TERRA E AGROCARBURANTI

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ACqUA ED ENERGIA

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Il pIAno DI lAvoRosono numerose e diverse le attività che Mani Tese intraprenderà nel prossimo futuro per promuovere la giustizia ambientale. si comin-cerà con una ricca raccolta di documentazione attraverso la redazione di numerosi casi studio, realizzati assieme a CrBM e ad altri partner, che analizzano casi di accaparramento in giro per il mondo. Alcuni di questi casi li trovate segnalati nel planisfero, con l’indicazione dell’elemento naturale che viene ingiustamente sfruttato. sarà realizzato anche un documentario che racconte-rà visivamente agli spettatori cos’è l’ingiustizia ambientale e l’accaparramento delle risorse. Ai volontari di Mani Tese e agli attivisti saranno proposte numerose iniziative, come la parteci-

pazione a due workshop internazionali, l’orga-nizzazione di attività di sensibilizzazione sul territorio, il lancio di un bando per il finanzia-mento di piccoli progetti che sostengono modelli di consumo responsabile, un concorso per le scuole. Mani Tese sarà impegnata anche in attività di pressione verso le istituzioni europee e internazionali e il settore privato, affinché adottino politiche coerenti e promuovano la transizione verso un sistema economico e di svi-luppo che sia genuinamente sostenibile. Questi temi saranno approfonditi anche attraverso una pubblicazione e una conferenza internazionale che arricchirà la nostra analisi con il contributo di esperti e delle comunità impattate.

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manitese 476 | gennaio – febbraio 2012 17

WoRKshop InteRnAzIonAle In InDIAIn aprile un manipolo di volontari e attivisti di Mani Tese partiranno alla volta dell’India per partecipare al workshop internazionale, organizzato per approfondire le tematiche di cui stiamo parlando in queste pagine. Grazie al contributo di esperti e dei nostri partner locali, i volontari dibatteranno sul tema e si prepareranno per realizzare le visite sul campo: faranno esperienza di cosa e come vivono le comunità locali impattate. e al ritorno racconteranno all’associazione tutte le cose viste, le testimonianze ascoltate e le impressioni avute. Fra qualche numero vi racconteremo come è andata!

PeTroLIo

ACqUA E GRANDI DIGhEACQUA e ATTIVITà ProdUTTIVe

ACqUA ED ENERGIAnIgErIa

sud sudan

gEorgIa

KIrghIzIsTan

IndIa

centro di volontariato internazionale

I CoMpAgnI DI vIAggIoMani Tese non sarà sola nel suo impegno di giustizia ambientale, in particolare l’equipe di lavoro è composta da partner italiani e internazionali che da anni si occupano di risorse naturali e della loro gestione. crBM, che non necessita di presentazione, è il primo compagno di lavoro a cui è affidata, tra le altre cose, la redazione di tre casi studio. cEVI, ong di Udine, e il cIcMa – Comitato Italiano Contratto Mondiale sull’Acqua, apporteranno la loro expertise sul tema dell’acqua. Valore sociale da sempre si occupa di responsa-bilità sociale d’impresa e del settore privato. Bankwatch network, consorzio di ong dell’europa dell’est con sede a Praga, si occupa del monitoraggio delle istituzioni finanziarie internazionali, proponen-do alternative sociali ed ambientali ai progetti di sfruttamento da loro proposte. Les amis de la Terre, partner francese, è una storica ong ambientalista, molto attenta agli impatti ambientali e sociali dell’attuale sistema economico, promuove pratiche sostenibili.

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do

ssier

Gli attori che agiscono l’ipersfruttamento sono innanzitutto le aziende private – di solito multinazionali – a cui lo stato nazionale dà in concessione i diritti d’uso delle risorse naturali; oppure partnership pubblico-private che possono coinvolgere grandi istituzioni finanziarie (come la Ban-ca Europea per gli Investimenti, la Banca Mondiale, ecc.); o anche gli stessi stati-nazione che abusano delle risorse presenti sul loro stesso territorio. Ma qualsiasi siano gli attori coinvolti, quello che succede pre-senta un copione che, pur con le differenze del caso, è tristemente replicato ovunque. Le multinazionali e gli altri investitori si trovano in una posizione dominante che crea tra loro e le comunità locali una forte ineguaglianza nell’accesso, controllo e gestione della natura. A queste ultime viene negata la partecipazione al processo istruttorio e decisionale sulla fattibilità dei grandi progetti di sfruttamento. Esempi di questi progetti sono la costruzione di dighe per impianti idroelettrici, la realizzazione di impianti estrattivi di petrolio, minerali e altre risorse del sottosuolo, oppure il disbo-scamento o sfruttamento delle foreste, ecc. ma anche la cessione di ampie fette di terre-no fertile agli investitori – l’ormai triste-mente famoso fenomeno del land grabbing, che è solo un aspetto del problema.

Si può parlare infatti di accaparramento dello sviluppo (grabbing development), poiché alle comunità locali si toglie la base, economica innanzitutto ma anche cultu-rale, su cui si fonda il loro autosviluppo: viene loro negata la possibilità di usufruire di quelle risorse che da sempre sono il fondamento dei loro sistemi di sussisten-za e che hanno contribuito a presidiare e mantenere nel tempo. Attorno al controllo delle risorse contese spesso si creano o si esacerbano conflitti, ulteriore contributo al consolidamento dello lo stato di povertà in cui sono state gettate le comunità locali. L’arrivo di capitali per lo sfruttamento delle risorse spesso favorisce e aumenta il fenomeno della corruzione e del malgo-verno; l’economia da cui dipendono le comunità subisce profondi cambiamenti e viene destabilizzata: ad esempio, lo stesso territorio che prima bastava alla sussisten-za dell’intera comunità ora è sufficiente solo per una parte di essa, costringendo l’altra all’indigenza o all’emigrazione verso le città. Viene imposto un modello econo-mico che anziché promuovere il benessere delle popolazioni coinvolte, ne acuisce le

debolezze. Infine, va da sé che l’ambiente e la biodiversità in cui vivono le comunità locali oggetto dei fenomeni di accaparra-mento subiscono un forte degrado perché solitamente gli investitori approfittano dei bassi livelli di tutela ambientale da parte dello stato che ospita le risorse naturali.

L’ingiustizia ambientale, come quella sociale, non è una condizione che ci è data. È una condizione creata dall’uomo e come tale può essere mutata. Come? Attraverso l’azione di pressione affinché si affermino sistemi di governance mondiale che siano realmente democratici e che promuovano l’adozione di vere soluzioni alle crisi in cor-so. Facendo pressione affinché nazioni e or-ganismi sovranazionali (come ad esempio l’Unione Europea) agiscano con coerenza, senza promuovere la sostenibilità e la coo-perazione internazionale con una mano per poi adottare con l’altra politiche energeti-che, commerciali e di gestione delle risorse che vanno in direzione opposta. Promuo-vendo la consapevolezza dei cittadini di essere parte in causa del sistema e poter scegliere un modo diverso di contribuirvi, a partire dalle pratiche di vita quotidiana e degli stili di vita adottati. Questo è solo una parte dell’impegno di giustizia ambienta-le di Mani Tese per i prossimi anni.

Foto in alto: laboratorio chimico per la realizzazione di bio-carburanti.

Foto sopra: piantagioni intensive di canna da zucchero per la realizzazione di bio-carburanti

continua da pag. 15 ↘

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GRAZIE!ANCHE QUEST’ANNO

I VOSTRI REGALISONO ARRIVATI LONTANO!

Oltre 3000 volontari di Mani Tesenel mese di dicembre sono stati presenti

in 54 punti vendita la Feltrinelli di tutta Italia, raccogliendo 302.035,98 Euro

per il diritto all’istruzione in America Latina.

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s.o.s.tenibilità | approfondimento20

VOLO

NTARIATO di silvia renda

di chiara pattaro e franca forzati

Immagini scattate dai volontari attivi nella libreria la Feltrinelli di Monza per l’iniziativa “Molto più di un pacchetto regalo”.

AnconaCoinvolgente, gratificante, solidale: ecco i tre aggettivi che meglio descrivono l’esperienza di raccolta fondi presso la Feltrinelli di Ancona.Coinvolgente, perché molti sono stati i volontari che hanno aderito all’iniziativa. Il loro supporto è stato fondamentale e hanno sparso la voce tra gli amici, spronandoli a partecipare. Si è creato un vero e proprio spirito di squadra, in cui ognuno faceva del suo meglio per raggiungere l’obiettivo comune.Gratificante, perché molti clienti Feltrinelli hanno chiesto informa-zioni sui progetti di Mani Tese in Brasile e in Guatemala e ci hanno fatto i complimenti per l’iniziativa. Il nostro pacchetto per loro aveva davvero un valore aggiunto, ben oltre il regalo che veniva confezionato.Solidale, perché ci siamo aiutati a vicenda e perché Mani Tese ci ha dato un’occasione speciale per vivere il Natale. Come mi ha det-to un giorno un cliente: “Siamo al mondo insieme, non per ignorarci o litigare, ma per darci una mano. Ognuno di noi, con le sue azioni quotidiane, può contribuire a creare un mondo più equo e sereno…e non dimenticatevi mai che molte formiche divorano un leone. In bocca al lupo ragazzi!”

Esperienza Mani Tese a Latina in 6 parole: allegria, disponibilità, collaborazione, accoglienza, scambio e stuporeL’allegria ci ha pervasi fin dall’inizio della nostra esperienza, nel gruppo di volontari, con il personale Feltrinelli e con i clienti. Tutto è accaduto spontaneamente e ha trovato terreno fertile: una signora nel farsi impacchettare un libro ci ha raccontato che biso-gna iniziare una giornata con una bella risata, e per farci capire il senso di quel che diceva ha chiesto se avevo letto il libro che stavo chiudendo: “Tutto quello che gli uomini sanno delle donne”, mi sono giustificata dicendo: “non è il mio genere”. Mi ha invitata ad aprirlo e leggere. Ho sfogliato: tutte pagine bianche e a quel vuoto siamo scoppiate a ridere;Disponibilità, come la spontanea voglia di aiutare e contribuire a questa raccolta fondi, momento di solidarietà, sicuramente verso i ragazzi in America Latina, come verso il prossimo più vicino. Co-me i giovanissimi Alessia e Alessandro: sono passati come clienti e in uno scambio di poche parole li abbiamo ritrovati volontari;Accoglienza è la parola d’ordine del direttore e dei dipendenti la Feltrinelli: per un mese siamo state coccolate da sorrisi, gesti di incoraggiamento e sostegno nell’affrontare la prima esperienza di responsabili Mani Tese… un continuo ed arricchente scambio. Racconti di volontarie “fuori porta” come Barbara ed Ilaria (tosca-na e veneta in giro per il mondo), curiosità di clienti con il “callo” del volontariato, volontari di tutte le età che hanno condiviso le loro esperienze di vita con noi e con chi riceveva il “bel pacchetto”;Stupore: farsi sorprendere ogni giorno di più dalla disponibilità di volontarie come Patrizia ed Eleonora che si son trovate di passag-gio e son rimaste ad aiutare; dalla generosità dei più giovani nel donare quel poco che avevano; dall’entusiasmo dei volontari che, dal voler fare il minimo indispensabile, son rimasti fino alla vigilia ad aiutarci, commuovendosi insieme a noi perché l’esperienza stava finendo.

Molto più di un pacchetto regalo 2011

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manitese 476 | gennaio – febbraio 2012 21 di tommaso fattori, forum italiano dei movimenti per l’acqua

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FORUMALTERNATIFMONDIALDE L’EAU MEFIEZ-

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DU 14 AU 17 MARS 2012 AU DOCK DES SUDS I MARSEILLE ET DU 9 AU 17 MARS SPECTACLESIEXPOSICONFÉRENCESIMANIFESTATIONMARSEILLE&ALENTOURS

L’EAUSOURCE DE VIE,PAS DE PROFIT

Dal 12 al 17 Marzo la città di Marsiglia ospiterà il sesto Forum Mondiale dell’Acqua. A dispetto del nome tranquillizzante –che richiama il Forum Sociale Mondiale e gli spazi pubblici creati dai movimenti della società civile globale– il Forum dell’Acqua è un limpido esempio di cosa sia in concre-to la governance postdemocratica. Il Forum è organizzato, ogni tre anni, dal Consiglio Mondiale dell’Acqua, un organismo privo di qualsiasi legittimazione democratica che vede fra i suoi fondatori rappresentanti di alcune fra le più grandi multinazionali del mondo. Non è un caso se a presiedere il Consiglio è Loïc Fauchon in persona, presidente della Société des Eaux de Marseille, una società controllata dai due colossi privati dell’acqua, Veolia e Suez. Il prossimo Forum si svolgerà nel quartier generale del Consiglio, che si trova appunto a Marsiglia. Del Consiglio fanno parte lobbisti di tutto il pianeta, rappre-sentanti dei grandi poteri economici ma anche la stessa Banca Mondiale. Da anni il Consiglio tenta di accrescere la propria legittimità e il proprio potere integrando al

proprio interno Agenzie delle Nazioni Uni-te e rappresentanti dei governi disponibili a farsi cooptare. Sta così prendendo forma una vera e propria istituzione postde-mocratica sopranazionale, il cui fine è produrre politiche e “soluzioni” di mercato al problema globale dell’acqua, attraverso la progressiva commercializzazione del bene e la privatizzazione dei servizi idrici. Ma l’obiettivo reale è ben più ambizioso del solo servizio idrico integrato: Consiglio e Forum si stanno occupando della grande partita dell’energia (dall’idroelettrico al nucleare), del cibo, nonché della finanzia-rizzazione dell’acqua. Attraverso un organismo “privato” come il Consiglio ed un grande evento triennale quale il Forum Mondiale (al quale sono invitati governi e amministratori locali di tutto il mondo) viene svuotata la demo-crazia nelle sue forme tradizionali ed allontanata ogni possibile partecipazione dei cittadini al governo dei beni comuni: le nuove politiche pubbliche nazionali e globali sono definite in questi spazi privati intermedi, all’interno di queste nuove istituzioni opache, prive d’investitura democratica, in cui si sovrappongono e s’incontrano rappresentanti dei governi e rappresentanti dei grandi poteri economici. Lobby, imprese economiche, tecnocrati e burocrazie acquistano un peso sempre maggiore nel governo dei beni comuni ed il potere si struttura in forme oligarchiche non trasparenti, cercando ora d’utilizza-re anche la crisi, lo “stato d’eccezione” e l’“emergenza” causata dalle stesse politiche neoliberiste come occasione per rilanciare globalmente un nuovo ciclo di privatiz-zazioni e di accumulazione di ricchezza privata a danno del patrimonio collettivo e dei beni di tutti.In effetti Consiglio e Forum sono alla ricer-ca di un riscatto dopo che i movimenti, nel corso degli ultimi anni, hanno assestato colpi ferali alla mercificazione dell’acqua e al pensiero unico privatista: costituzio-

nalizzazione del diritto all’acqua in molti Paesi dell’America latina, ripubblicizzazio-ne del servizio in città simbolo come Parigi, referendum popolari vinti a Berlino o in Italia, che segnano un mutamento del sen-so comune nel Nord del mondo, oltre allo storico voto dell’Assemblea Generale Onu che nel 2010 ha riconosciuto l’acqua come diritto umano universale. Un voto che è il frutto di un percorso iniziato al Forum Mondiale Alternativo dell’Acqua (Fame) di Istanbul, nel 2009, quando la pressione dei movimenti spinse 26 governi a non firmare la dichiarazione ministeriale finale del Forum delle multinazionali, dichiarando al contrario che l’acqua è un diritto e che è necessario avviare un processo di governo dell’acqua sotto l’egida dell’Onu, negando in tal modo legittimità al Forum e al Con-siglio. È in questa crisi di legittimità che le multinazionali cercheranno a Marsiglia di risollevarsi, proponendosi come paladine del diritto all’acqua grazie al sempreverde meccanismo di “partenariato pubblico-privato”: soldi pubblici e profitti privati come soluzione ai problemi idrici globali. Davanti a sé troveranno un movimento globale forte, sempre più strutturato, come dimostra la nascita di una rete europea per l’acqua bene comune, che sarà battezzata proprio al Fame di Marsiglia. Reti, movi-menti, associazioni, sindacati, Ong di tutto il mondo si sono dati appuntamento dal 14 al 17 marzo al contro-Forum, un luogo in cui le soluzioni alla crisi idrica globale non passano attraverso l’ideologia mercatista, la massimizzazione dei profitti di pochi e la valorizzazione dei grandi capitali privati ma al contrario attraverso il governo democraticamente partecipato dell’acqua, nell’interesse collettivo, per il diritto alla vita in tutto il pianeta. www.fame2012.org

FAMe 2012: un contro forum per il diritto all’acqua

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22 s.o.s.tenibilità | rubriche

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di stefano squarcina, gruppo gue/ngl del parlamento europeo

Foto UNEP

Foto UNEP

Chiudiamo gli occhi tutti insieme e immaginiamo, anche per un solo istante, che cosa diverrebbero le nostre società e vite quotidiane senza energia… Niente più elettricità, al buio completo; assenza di petrolio o gas, con la conseguente man-canza di trasporti o possibilità di cucinare normalmente, per non parlare dell’arresto immediato di ogni catena produttiva. Con un po’ d’immaginazione si può facilmente indovinare l’incubo in cui ci troveremmo a vivere, il quale –in realtà– è la condizione di normalità per miliardi di persone nei Paesi della periferia del mondo. Si chiama povertà energetica, è la mancanza totale o di accesso insufficiente all’energia, ele-mento che pregiudica pesantemente ogni possibilità di sviluppo economico ordinato per la maggioranza dei Paesi nel pianeta.

L’accesso all’energia sostenibile sul piano sociale ed ambientale è determinante per ridurre la povertà nel mondo. Oltre un miliardo e mezzo di persone vivono senza elettricità; due miliardi e mezzo usano combustibili solidi come legno, carbone o letame essicato (“biomassa”) per cucinare o scaldarsi, con la conseguenza che almeno due milioni di persone all’anno, soprattut-to donne e bambini, muoiono di enfisema o altre malattie respiratorie legate ai fumi tossici prodotti da tali materiali (dati Banca Mondiale): per il 2030 si parla di almeno quattromila morti al giorno, stime superiori alle morti premature per malaria, tubercolosi o HIV/AIDS (dati ONU). L’Africa, ad esempio, è il continente con i più acuti problemi di accesso all’energia: solo il 29% delle case degli africani sono fornite di elettricità; il 75% della popolazio-ne dell’Africa Sub-Sahariana –ovvero 550 milioni di persone– non ha accesso alla luce elettrica. Nell’Asia del sud il problema riguarda almeno 700 milioni di persone, il 90% delle quali abita in zone rurali.

Combattere le ineguaglianze create dalla povertà energetica è determinante per il raggiungimento degli “Obiettivi del Millennio per lo Sviluppo”, che entro il 2015 vogliono in sostanza dimezzare il numero di poveri nel mondo. Per rispettare gli impegni bisognerebbe che almeno quat-trocentomilioni di persone potessero avere accesso all’energia elettrica entro tre anni, e che un miliardo di altre potesse avere ac-cesso a metodi sani di cottura. Un obiettivo facilmente raggiungibile, almeno in teoria: secondo l’ONU basterebbero 32 miliardi di euro entro il 2015, lo 0,06% del PIL mondiale. È solo una questione di volontà politica, nient’altro: in tre anni (periodo 2008/11) sono stati trovati 4.600 miliardi di euro per salvare le banche europee, non ci si venga a dire che non ci sono i soldi…

La piaga della povertà energetica è così forte che le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2012 “Anno internazionale dell’energia sostenibile per tutti”. “Vabbé!”, diremmo noi, “si tratta di una commemorazione come tante altre, i vari obiettivi verranno traditi per l’ennesima volta”. La decisione ONU, però, ha almeno il vantaggio di ri-portare i Paesi più ricchi alle loro respon-sabilità e di aprire un dibattito profonda-mente politico, che riguarda la giustizia e la democrazia energetiche. E di ragionare sui gravissimi errori sin qui compiuti con il finanziamento di strategie “macro” (grandi dighe, enormi centrali, inutili progetti transfrontalieri, sotto accusa è soprattutto la Banca Mondiale), che hanno comporta-to distruzione ambientale, stravolgimento degli equilibri politico-sociali, un modello di sviluppo energivoro per nulla efficiente in termini energetici, semplicemente antie-conomico e antidemocratico.

Le disastrose esperienze del passato, legate anche agli effetti del cambiamento climatico, comportano la rivalutazione della dimensione “micro” della lotta alla

la lotta contro la povertà energetica

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Foto UNEP

povertà energetica: in termini di sviluppo umano, hanno fatto di più le migliaia di pannelli solari distribuiti in sperduti villag-gi dalla cooperazione olandese o danese che le numerose centrali idroelettriche costruite in Africa, anche se ovviamente ciò non risolve tutti i problemi. L’accento va dunque messo sulla sostenibilità e rin-novabilità delle fonti, cosa che –secondo il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC), quello che per intenderci sta lavorando per il rinnovo del Protocollo di Kyoto– non comporterà ulteriori emis-sioni significative di gas ed effetto serra e sarà in grado di promuovere la democrazia energetica. L’IPCC ci dice anche che il po-tenziale rappresentato dalle tecnologie per le energie rinnovabili supera di gran lunga la domanda corrente di energia, e che solo il 3% di questo potenziale è stato sinora usato: basti pensare che l’energia solare ir-radiata nel nostro Pianeta in un solo giorno è pari a quella attualmente consumata a livello mondiale in un anno.

Per quanto riguarda l’Unione Europea, il suo impegno nella lotta alla povertà ener-getica è sostanzialmente recente: il primo, vero riferimento al problema risale al 2007, quando durante un vertice UE - Unione Africana è stato approvato un “Partena-riato Africa-UE per l’Energia”. Ma solo nel settembre 2010 si è tenuta la “Prima Conferenza di Alto Livello” del partena-riato, che ha adottato un “Piano strategico all’orizzonte 2020” in materia di accesso all’energia, di sicurezza energetica, di ener-gie rinnovabili e di efficienza energetica, da cui ha preso spunto anche l’approvazione di un “Programma di cooperazione Africa-UE nel settore delle energie rinnovabili” (RECP), che intende rafforzare la coopera-zione industriale e commerciale tra i due continenti in questo settore strategico. Tra gli obiettivi fissati in vista del 2020 ci sono l’accesso ai servizi energetici per almeno 100 milioni di africani; il raddoppio del

volume di utilizzazione di gas naturale in Africa; la costruzione di centrali idroelet-triche per almeno diecimila megawatt, e di centrali eoliche per cinquecento megawatt, con l’obiettivo di moltiplicare anche l’uti-lizzo dell’energia solare; nonché il miglio-ramento dell’efficienza energetica in Africa. Al momento, però, siamo agli albori di tale cooperazione: solo a metà del 2011 sono state approvate le “linee direttrici” per la selezione dei progetti da finanziare, qual-cosa di concreto è previsto per il 2012. È evidente che l’UE ha usato il periodo 2007-2011 per dotarsi di tutti i regolamenti ne-cessari per “esser pronta” per l’Anno ONU dell’energia sostenibile per tutti. Qualcosa di più strutturato si trova nell’ambito della cooperazione UE-ACP (Africa, Caraibi e Pacifico), con l’approvazione per il periodo 2009-13 di una seconda “facility ACP-UE” in campo energetico, dotata di 200 milioni di euro con cui finanziare 65 progetti già selezionati, tutti però ancora in attesa. Ciò permetterà all’Unione Europea di dire che è impegnata anche in questo settore, della serie “meglio tardi che mai!”. Molto debole

–ma almeno ha il vantaggio di esistere– an-che l’impegno UE sul sostegno alle energie rinnovabili in Africa: il programma RECP è operativo per il periodo 2010-2020, ma non si capisce come uno striminzito contri-buto iniziale di cinque milioni di euro per i primi tre anni possa davvero far decollare un programma politicamente e cultural-mente così ambizioso.

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s.o.s.tenibilità | approfondimento24 di giacomo petitti, responsabile ecm e formazione volontari mani tese

Che le risorse del pianeta siano sfruttate oltre le loro capacità non è una notizia tanto sconvolgente. Da qualche anno nessuno osa più mettere in discussione una questione che, in effetti, era stata evidenziata dall’e-conomista Kenneth Boulding fin dagli anni ‘60. Chi crede possibile una crescita infinita su un pianeta dalle risorse limitate è un pazzo, diceva, oppure un economista.Tale argomentazione, autoironica e perfet-tamente razionale, viene colta immediata-mente dagli studenti durante i percorsi di educazione alla cittadinanza mondiale che svolgiamo nelle classi. D’altronde il concetto di fondo è intuitivo. Fin dalle elementari i bambini capiscono in fretta che non è possibile continuare costruire all’infinito una casa sempre più alta se il materiale che abbiamo a disposizione non è altrettanto infinito.Ma cosa succede dopo? I ragazzi scelgono davvero di modificare i propri comporta-menti in funzione di un più giusto e corretto utilizzo delle risorse? La risposta è univoca e non certo incoraggiante. Cinque minuti di pubblicità esercitano un potere sedut-tivo molto maggiore di tre ore di percorso didattico e riescono spesso, con due slogan ben riusciti, a fare a pezzi le dissertazioni più intelligenti.Per quanto possa sembrare frustrante, que-sto dato di fatto pone però una questione molto interessante.

Il problema, infatti, non è tanto dimostrare l’insostenibilità del sistema in cui viviamo, quanto piuttosto aiutare gli studenti (e noi stessi, non certo arbitri imparziali nel gioco dei consumi) a comprendere come può essere possibile che, anche messi di fronte all’evidenza dei fatti, tutti continuino a com-portarsi come se nulla fosse e a consumare come se la questione non li riguardasse per davvero. Il vero nodo da risolvere, quello che ha radici più profonde, è proprio questo: perché anche se siamo ormai tutti consape-voli che continuando su questa strada con-danneremo noi stessi e le future generazioni a fare i conti con una scarsità strutturale di

risorse non prendiamo seri provvedimenti?Alla radice ci sono due legami che si sono spezzati e che impediscono ai cittadini del Nord del mondo, studenti, insegnanti o animatori che siano ma soprattutto consumatori ormai per vocazione, di saper guardare oltre i codici a barre dei prodotti che acquistano continuamente.

Il primo è il legame tra l’uomo e la natura, che si perde nel momento in cui le stagioni non incidono più sulle nostre abitudini, le città non respirano e ciò che la natura ci regala senza chiedere niente in cambio da millenni viene privatizzato, mercificato e venduto.Emblematico di questa ratio è l’utilizzo del termine risorse naturali (risorsa = fonte di ricchezza) per indicare terra, sole, acqua, aria, ovvero gli elementi che garantiscono l’esistenza di tutti e che dovrebbero essere preservati in quanto tali.

Il secondo, altrettanto importante, è il lega-me tra l’uomo e gli altri uomini.Il consumatore contemporaneo è fonda-mentalmente un uomo solo davanti ad un prodotto, che rischia di perdere progressi-vamente quella cultura della partecipazione, della mutualità e del sostegno reciproco che è stata base storica ed imprescindibile del tessuto sociale costitutivo delle democrazie europee.

Di fronte a tanta complessità non è suffi-ciente spiegare ai ragazzi ciò che sospettano già, ovvero che stiamo consumando troppo e in modo profondamente diseguale. Se l’obiettivo è riscoprire i legami perduti è necessario raccontare una storia diversa, andando più in profondità.

Per provare a raggiungerlo abbiamo progettato un gioco-percorso a tappe, che abbiamo chiamato: “Dalle risorse ai beni comuni”. Vorremmo costruirlo nel giardino che circonda la sede nazionale di Mani Tese in piazza Gambara a Milano, se troveremo i fondi per realizzarlo.

Dalle risorse ai beni comuni

Un gioco – percorso a tappe per educare alla sostenibilità

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manitese 476 | gennaio – febbraio 2012 25 di giacomo petitti, responsabile ecm e formazione volontari mani tese

Immaginate di essere inviati nientemeno che da Madre Natura a superare delle prove. In ogni tappa si giocherà a collegare gli elementi naturali con uno dei cinque sensi: l’acqua si dovrà degustare (qual è quella in bottiglia e quale del rubinetto?), l’aria si dovrà annusare e respirare dandole un voto, il fuoco (ovvero l’energia) si potrà toccare. I ragazzi avranno l’opportunità di interagire tra loro e sperimentarsi attraverso i sensi.

Da Gaia (Madre Natura) tutto parte e tutto torna. È lei che racconta dei legami perduti tra l’uomo e il suo pianeta, lei propone agli studenti di partire in un viaggio alla scoperta degli elementi, di fronte a lei si rifletterà sulle possibili soluzioni personali e collettive. La proposta di ridurre i consumi e ricercare l’armonia con Madre Natura non sarà quindi posta come un’imposizione, ma verrà da loro stessi individuata come possibile soluzione al gioco. In questo senso “l’esperienza del limite”, con cui gli adolescenti in particolare si confrontano quotidianamente, perderà naturalmente la valenza negativa assegnata dalla società dei consumi per trasformarsi in un valore positivo, che permette di vivere meglio con sé stessi e con gli altri nei limiti, appunto, di un solo pianeta.

Il gioco-percorso a tappe sarà fortemente esperienziale, volto a facilitare una presa di coscienza personale dell’impatto dei consu-mi quotidiani e di ciò che ognuno di noi può fare per rispettare l’ambiente e garantirne l’integrità per le generazioni future. Usere-mo giochi di ruolo, planisferi giganti, statue a grandezza naturale e impronte ecologiche da bigfoot. Al termine del viaggio, quando gli studenti si ritroveranno davanti a Gaia dopo aver superato le prove insieme, sarà più facile percepire le risorse non più come regali che la natura ci fa all’infinito e incondizionata-mente ma come beni comuni da preservare collettivamente.Per saperne di più:www.manitese.it/blog-educazione

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26 s.o.s.tenibilità | rubriche

di cristina sossan, comitato italiano contratto mondiale sull’acqua – cicma

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Che l’acqua non fosse un bene come gli altri, un servizio come gli altri e soprattutto una merce come le altre sembrava chiaro e lampante a giugno 2011, dopo il risultato referendario che ha portato più di 26 milio-ni di italiani a dire NO alla privatizzazione e mercificazione dei servizi e in particolare dell’acqua. Sembrava ovvio che i votanti avessero indicato una strada alternativa per la gestione dei beni comuni più impor-tanti, l’acqua in primis, e ciò che avremmo voluto vedere era una svolta nella nuovo politica di governo e gestione del servizio idrico in particolare.

Sfortunatamente ciò non è avvenuto e anzi, spinti dalla situazione economica italiana deprimente e da quella politica altrettanto altalenante, ad oggi non si è ancora data attuazione a quelle che erano le richieste dei quesiti referendari.

Dopo il 20 luglio, data in cui è stata uffi-cialmente sancita la vittoria referendaria, il movimento dell’acqua aveva già iniziato la prima mobilitazione per garantire la corretta attuazione del secondo quesito sull’acqua, l’abrogazione della norma che consentiva ai gestori di caricare in bolletta la quota di remunerazione del capitale investito.La campagna di “Obbedienza Civile – il mio voto va rispettato”, così chiamata perché non si tratta di “disubbidire” ad una legge ingiusta, ma di “obbedire” alle leggi in vigore, così come modificate dagli esiti referendari, prende piede in diverse città italiane, attraverso l’organizzazione capillare di punti di informazione presso i quali i cittadini possono sottoscrivere la richiesta al gestore di eliminare il 7% dalla bolletta ma anche di azioni di pressione sui Sindaci ed ATO. Dopo il voto infatti, con vari rimpalli di competenze, non sono state avviate adeguate procedure per la revisione delle tariffe in funzione della riduzione del 7% previsto per la remunerazione del

capitale investito.La mobilitazione proposta dal Forum Ita-liano dei Movimenti dell’acqua si propone anche di dare una risposta all’evidente crisi della democrazia rappresentativa dei partiti, ormai diventata impermeabile non solo alle istanze della società, ma persino ai formali esiti delle consultazioni codifica-te nella nostra Carta Costituzionale, come appunto i referendum abrogativi.

Nonostante il voto abbia posto i beni comuni e la partecipazione democratica come base fondamentale di un possibile nuovo modello sociale capace di rispon-dere alle crisi economico-finanziarie, il prossimo decreto sulle liberalizzazioni in approvazione in questi giorni, potrebbe annullare in vari modi le richieste del referendum, facendo rientrare la gestio-ne dell’acqua tra i servizi da delegare al mercato.Il movimento dell’acqua non si ferma, e per contrastare questo rischio, il 18 e 19 gennaio si sono svolte azioni e mobilitazio-ni di piazza in tutta Italia per chiedere che il voto venga rispettato, per ribadire che l’acqua non è una merce e per chiedere che il governo Monti cambi la strada intrapresa.

L’acqua non è una merce, ma un bene comune che appartiene a tutti gli esseri viventi e a nessuno in maniera esclusiva e i beni comuni in quanto tali, non possono essere soggetti alle nuove speculazioni finanziarie poiché essi costituiscono le fon-damenta del legame sociale nelle comunità.

Sembrava che il referendum ci avesse portati più vicini alla concretizzazione del diritto all’acqua, ma forse la strada è più lunga di quanto avevamo pensato.

Rispettare il voto popolare, è una questione di obbedienza Civile

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di giovanna tedesco, responsabile relazioni con i donatori mani tese

SPAzIO D

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ATORI

In questo numero desidero raccontarvi la collaborazio-ne nata nel 2010 con il Piccolo Teatro di Milano.L’occasione ci è stata offerta da “Magie Noire”, spet-tacolo messo in scena dai ragazzi di strada di Recife coinvolti nel progetto di Mani Tese “Dalla strada alla scuola” (n. 2244 Brasile) e dalla Compagnia francese Ophelia. Il tour europeo prevedeva delle tappe italiane e im-mediatamente ci siamo attivati per trovare un teatro disposto ad ospitarci gratuitamente. Il Piccolo ci ha accolto proponendoci l’adesione a MasterClass 2010, un’iniziativa rivolta a studenti provenienti da varie par-ti del Mondo al fine di favorire non solo la formazione, ma lo scambio di conoscenze e l’incontro tra culture e tradizioni differenti.Il 5 giugno 2010 è andato in scena lo spettacolo e da subito questa collaborazione si è rivelata un succes-so: oltre a raccogliere fondi per il progetto educativo avviato da Mani Tese in collaborazione con il partner locale Pe no Chao, è stata offerta ai ragazzi un’occa-sione unica per esibirsi in Italia, davanti a un pubblico impegnato da anni a sostenere le loro attività. La collaborazione tra Mani Tese e il Piccolo è prosegui-ta attraverso la promozione, rivolta ai nostri volontari e sostenitori, di alcuni spettacoli selezionati, l’organizza-zione di conferenze su temi sociali vicini alla mission di Mani Tese in apertura di importanti spettacoli quali

“La Compagnia degli uomini” di Luca Ronconi e “Gnam Gnam, grunf grunf, slap slap, tic tic”, spettacolo dedica-to ai più piccoli sui “cibi sensibili” dell’artista Antonio Catalano.

L’ultimo appuntamento con il Piccolo Teatro si è svolto mercoledì 11 gennaio con lo spettacolo di Luca Ronconi

“La Modestia”.Durante la serata i nostri volontari hanno allestito un banchetto informativo e molti sostenitori hanno accol-to il nostro invito aderendo alla promozione.Grazie a coloro che hanno partecipato! Vi invitiamo a seguire le future iniziative in collabora-zione con il Piccolo Teatro di Milano sul nostro sito in-ternet www.manitese.it o sulla nostra pagina facebook www.facebook.com/ManiTese .

Vi lascio con un augurio speciale giunto da un nostro affezionato donatore, il signor Roberto, che ringrazio per il pensiero e per la fiducia nel nostro operato:

“Grazie per il semplice ma significativo dono del se-gnalibro. Vi confesso che tanti grazie mi hanno un po’ imbarazzato, perché ritengo che si possa fare ancora di più, soprattutto per le persone più indifese come i bambini che credo debbano essere in testa a questa classifica. Vi sostengo e continuerò a farlo e concludo con un abbraccio da nonno a tutti i piccoli a cui auguro un futuro radioso e dignitoso, perché gli è dovuto da tutti noi.”

AttenzIone!Vi ricordiamo che tutte le donazioni effettuate a favore di Mani Tese, da privati e da imprese, godono dei benefici fiscali previsti dalle normative vigenti e dalla legge n° 80/2005 denominata “+ dai – Versi”. Per poter ottenere la detrazione o la deduzione è necessario conservare le ricevute delle vostre donazioni (tagliando di conto corrente postale, ricevuta di avvenuto bonifico, ricevuta della carta di credito…) e allegarle alla dichiarazione dei redditi. Questi sono gli unici documenti fiscalmente validi.

Per chi volesse ricevere l’estratto delle donazioni dell’anno 2011 è pregato di comunicarlo via mail all’indirizzo: [email protected] o al numero di telefono 02 40 75 165.sarà nostra premura inviare la ricevuta in formato pdf.

Dedicato ai sostenitori di Mani teseCari Amici di Mani Tese, buon anno!

Sono molto lieta di presentarvi un’importante novità nel nostro periodico bimestrale che vuole coinvolgervi direttamente: la rubrica dedicata ai sostenitori di Mani Tese!Una finestra di dialogo aperta a tutti voi che ci seguite e ci sostenete con costanza e generosità, uno spazio utile per fornire aggiornamenti su progetti e campagne, un’opportunità per informarvi delle iniziative, per illustrarvi le collaborazioni avviate con aziende e istituzioni, per dare vita a un momento di confronto sulle attività di Mani Tese.

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Fai la diFFerenza

s.o.s.tenibilità | progetti28

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.

Il cibo degli dei

Il progetto coinvolgerà circa 1.000 famiglie contadine ed è il proseguimento e la conclu-sione di un precedente intervento (n. 2224). L’obiettivo è la promozione della Sovranità alimentare e il miglioramento della qualità della vita della popolazione rurale.

Qualcosa di specialeÈ un albero tropicale alto dai 4 ai 10 metri, i suoi fiori crescono lungo il tronco e sono bian-chi e rosati, il suo nome scientifico significa “cibo degli dei” e i Maya impiegavano i suoi semi come moneta (10 semi per un coniglio, 100 per uno schiavo). Parliamo della pianta del cacao (Theobroma cacao).

Se poi è fine di aroma…Tanta delizia per il palato male si accorda con le condizioni economiche dei suoi produtto-ri nella provincia di Manabì, una delle più povere dell’Ecuador, dove il 45% dei bambini al di sotto di 5 anni soffre di malnutrizione cronica. È questa una zona di massiccia produzione di cacao, con il 14% del totale nazionale. Quantità e qualità del cacao locale vanno però progressivamente scemando a causa delle limitate conoscenze tecniche dei piccoli produttori e per l’inadeguatezza dei sistemi di raccolta e post raccolta. Inoltre i produttori sono disorganizzati e incapaci di connetter-si efficacemente con gli altri attori della filiera, specialmente esportatori ed acquirenti stranieri.Nel contempo la domanda di cacao sui mercati internazionali è in continua crescita e in grado di assorbire anche un incremento del 100% della produzione ecuadoriana.

Come fare per migliorare radicalmenteVerranno acquistate 100.000 piantine di cacao fine di aroma e si provvederà alla semi-na di circa 50.000 tra piante e alberi da frutto in modo da diversificare la produzione e promuovere la sovranità alimentare delle famiglie produttrici, sempre con l’assistenza tecnica da parte degli agronomi di CEDERENA. L’accesso al mercato sarà naturalmente facilitato dal miglioramento qualitativo del cacao prodotto. Per raggiungere tale obiettivo si provvederà a incrementare le capacità dei produttori locali in fase di selezione, essicca-tura, tostatura e miscela del cacao. Verranno acquistate 2 serre per facilitare l’essiccazione del cacao, evitando le conseguenze di inverni troppo rigidi e piovosi.Un esperto di marketing accompagnerà le associazioni di produttori in fase di promozione del prodotto e ricerca dei mercati locali e internazionali.La riduzione degli intermediari sarà garantita anche dalle fiere locali, che saranno organizzate direttamente dalle associazioni di contadini e che permetteranno la vendita diretta dal produttore al consumatore. In tal modo si consentirà un maggior guadagno al produttore ed un minor prezzo al consumatore.

a cura di giovanni mozzi, mani tese

progetto 2250, ecuador

peR sosteneRe I pRogettI DI MAnI tese• conto corrente Postale

n° 291278 intestato a Mani Tese P.le Gambara 7/9, 20146 Milano

• assegno bancario• Bonifico Bancario

Banca Popolare etica, codice IBAN: IT 58 W 05018 01600 000000000040

• domiciliazione bancaria tramite rId

• carta di credito sul sito www.manitese.it

• destinazione del 5x1000 della dichiarazione dei redditi codice fiscale 02343800153

• Lascito Testamentario

BeneFICI FIsCAlITutte le donazioni effettuate a nome di Mani Tese godono dei benefici fiscali previsti dalla legge. ricordati di conservare la rice-vuta di versamento!

Sostieni anche tu la sovranità ali-mentare delle popolazioni rurali dell’Ecuador!

Con 10 Euro copri il costo di 1.000 piantine di cacao.

Con 50 Euro finanzi uno dei 40 incontri di formazione sulla com-mercializzazione del cacao.

Con 150 Euro partecipi all’acqui-sto di una macchina potatrice (costo totale € 1.500).

LocalitàProvincia di ManabìPartnerCEDERENAImporto€ 24.860

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manitese 476 | gennaio – febbraio 2012 29

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.

Acqua, un liquido prezioso da centellinare goccia a goccia

L’abbandono delle campagneNel Tamil Nadu l’abbandono delle campagne da parte degli agricoltori trova una causa nella legge sull’eredità che continua a suddividere i loro appezzamenti in lotti sempre più piccoli e per questo meno produttivi. Inoltre in molti di questi terreni sono pressoché inesistenti o malfunzionanti i sistemi d’irrigazione, tanto che la maggior parte dei con-tadini dipende ancora dai monsoni. Di fronte a queste difficoltà gli agricoltori lasciano le campagne alla ricerca di migliori opportunità di lavoro nelle periferie delle città, andando in realtà ad incrementare il numero di coloro che vivono negli slums senza alcun futuro. Obiettivo del processo è contrastare l’esodo dalle campagne mediante un programma di sviluppo rurale.

Le azioniDopo gli ottimi risultati del processo iniziato nel 2009 (progetto n° 2184) altre 1.500 fami-glie hanno chiesto di intervenire in 5 villaggi confinanti.Per contrastare l’eccessiva parcellizzazione delle terre si intende riunire gli appezzamenti con una forma di accordo tra i contadini, in modo che la proprietà rimanga ai singoli, mentre la gestione passi a livello comunitario. È prevista poi la realizzazione di canali che trattengano l’acqua piovana, onde fermare l’erosione del suolo, conservarne l’umidità, facilitare la rigenerazione delle acque sotterranee, incrementandone la quantità presente all’interno dei pozzi. Si conta inoltre di scavare più in profondità i pozzi esistenti, di ripa-rare quelli malfunzionanti e di incentivare l’irrigazione goccia a goccia. Verranno introdotte tecnologie adeguate a incrementare la produttività e l’uso di bioferti-lizzanti e di pesticidi naturali per promuovere l’agricoltura biologica, mentre 125 agricolto-ri riceveranno sementi di qualità migliorata. Per prevenire l’erosione del terreno e per generare un’ulteriore fonte di reddito saranno inoltre piantati 1.000 alberi da legno e da frutto in aree non coltivate, mentre due centri di agricoltura dimostrativa di ASSEFA favoriranno le attività di formazione degli agricoltori e consentiranno di promuovere sementi di qualità, biofertilizzanti e pesticidi naturali.Verrà infine incentivato con fondi a credito l’allevamento di pecore, capre e vacche, ac-compagnandolo con formazione specifica, servizi veterinari e facilitazioni per la vendita del latte.

La sicurezza socialeOgni volta che una calamità naturale colpisce l’agricoltura o l’allevamento, si riducono dra-sticamente le entrate degli agricoltori con risultati drammatici in un sistema economico fragile. È stato quindi pianificato un programma di sicurezza sociale che compensi alme-no in parte questi rischi. Il programma, tutt’altro che comune in India, prevede l’adesione volontaria degli interessati ed il versamento di una quota annuale.

LocalitàDistretto di Virudhunagar, stato del Tamil NaduPartnerASSEFAImporto€ 56.500

a cura di giovanni mozzi, mani tese progetto 2247, india

Sostieni anche tu le famigliedel distretto di Virudhunagar!

Con 20 Euro finanzi la formazione per i contadini.

Con 55 Euro contribuisci all’acqui-sto di 100 alberi.

Con 104 Euro fornisci sementi migliorate ad un agricoltore.

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Fai la diFFerenza

s.o.s.tenibilità | progetti30

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.

Contro la desertificazione e per la sicurezza alimentare

Cari Sostenitori ,il progetto 2211 avviato da Mani Tese in Burkina Faso ha chiuso la sua prima annualità!

Il vostro contributo è stato fondamentale per sostenere le attività volte al miglioramento della sicurezza alimentare.

Vi invitiamo a leggere i risultati raggiunti attraverso il rapporto di avanzamento dei lavori che trovate di seguito e a

proseguire nel sostegno di questo importante intervento. Continuate a seguirci sul sito www.manitese.it/progetti.

Grazie!

A metà stradaSì, siamo quasi a metà strada di questa impresa impegnativa e ci fermiamo un attimo per raccontarvi che già 10 villaggi sono stati raggiunti (circa 32.000 persone), fornendo ai contadini le nozioni relative alle tecniche di conservazione e restaurazione della fertilità dei suoli, fondamentali in un ambiente difficile e soggetto a progressiva desertificazione come gran parte del territorio del Burkina Faso.Il primo risultato è stato il fiorire di barriere antierosive, cioè di piccole dighette di terra e sassi che, seguendo le linee di livello del terreno, riducono il ruscellamento superficiale delle acque e ne smorzano l’azione erosiva, favorendo l’infiltrazione dell’acqua piovana e dunque migliorando le rese del terreno. La riuscita dell’opera è avvalorata da uno studio del Dipartimento di Geografia dell’Università degli Studi di Milano, che ha rilevato e carto-grafato mediante GPS i risultati ottenuti (vedi Mani Tese di settembre-ottobre 2011).

Un arbusto curiosoPer rafforzere queste piccole dighe si usano di solito degli arbusti che con le loro radici le-gano i manufatti. In questo caso si è sperimentata con ottimi risultati la Jathropha curcas, di cui sono state messe a dimora 253.500 piantine, derivate dai 310 kg di sementi fornite dal progetto e messe a coltura in apposito vivaio. Questa pianticella ha due caratteristiche interessanti: è sgradita agli animali che altrimenti in poco tempo vanificherebbero gran parte del lavoro e i suoi semi producono un olio che parrebbe idoneo all’impiego come combustibile nei motori a scoppio, come alcune sperimentazioni in corso stanno dimo-strando. Un impiego del genere sarebbe particolarmente apprezzato, perché il progetto ha previsto e già fornito 5 mulini per cereali azionati da motori a scoppio.Ma torniamo ai campi. Il compost è il concime più economico oltre che molto efficace: non costa nulla perché derivante da scarti organici ed è di facile realizzazione. Ora nei 10 villaggi raggiunti dal progetto (che diverranno 30 prima della fine) si contano già 1.000 fosse di compostaggio da 3 t di concime ciascuna.Inoltre sono stati scavati 3 pozzi artesiani e sono state distribuite 3.000 piante di mango (il progetto ne prevede in tutto 9.000) per incrementare l’alimentazione ed il reddito familiare e per contrastare la desertificazione.

Risparmiare la legnaÈ questo un altro obiettivo di punta del programma avviato. L’uso della legna da ardere, unico combustibile domestico nelle campagne, è una delle ragioni della desertificazione dei luoghi, oltre che causa di grande fatica per le donne che a ciò sono delegate. 1.000 forni migliorati in cemento sono stati distribuiti a 500 donne che ne sono entusiaste: consumano meno della metà della legna e cucinano meglio. Tanto entusiaste che altre 474 non hanno faticato a farsi convincere a costruire, opportunamente istruite, forni miglio-rati di argilla, forse meno efficaci e duraturi di quelli in cemento, ma molto meno costosi e più facilmente riproducibili.Insomma possiamo dire che il progetto sta andando bene. Aiutateci a terminarlo!

a cura di giovanni mozzi, mani tese progetto 2211, burkina faso

Con 15 Euro acquisti 1 kg di sementi di Jatropha curcas.

Con 80 Euro contribuisci alla perforazione di un pozzo con pompa manuale (costo totale 8.000)

Con 125 Euro garantisci la formazio-ne di 60 agricoltori.

LocalitàProvincia di BoulkiemdéPartnerAssociation inter-AfricainePour le DevélopementSolidaire (Ai-ADS) KiBARèImporto€ 1.187.280contributiMinistero degli Affari EsteriRegione Lombardia

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Scopri la bontà della pasta Garofalo NUMERO ZERO e contribuirai a sostenere il progetto di Mani Tese “Donne per lo sviluppo in Benin”. Grazie a questa collaborazione, la vita di tante mamme e tanti bambini potrà essere migliore!

Mani Tese e Garofalo insieme per il diritto al cibo e a sostegno della Campagna Europea per la Sovranità Alimentare - www.foodforworld.org

Saremo presenti con i nostri banchetti a:Bologna - Bulciago - Catania - Firenze - Genova - Napoli - Padova - Palmi - Roma- Treviso