Anno 9 - numero (91) - Nov. 2012 Curia e pastorale per la ... · omenica 7 ottobre 2012, nella...

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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 9 - numero (91) - Nov. 2012

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22 Novembre Novembre 20122012

Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia esclusivamente il pensiero degli artefici e nonvincola mai in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la redazione. Queste, insieme alla proprietà,si riservano inoltre il pieno edesclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a propria insindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni. Articoli, fotografie ed altro materiale, anche se non pubblicati, non si restituiscono.E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, dise-gni, marchi, ecc. senza esplicita autorizzazione del direttore.

Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

Diocesi di Velletri-Segni

Direttore ResponsabileMons. Angelo Mancini

CollaboratoriStanislao FioramontiTonino Parmeggiani

Mihaela Lupu

ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.

RedazioneCorso della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

A questo numero hanno collaboratoinoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Luigi Vari,mons. Franco Risi, don Dario Vitali, mons. Franco Fagiolo,don Antonio Galati, don Andrea Pacchiarotti, don MarcoNemesi, p. Vincenzo Molinaro, don Gaetano Zaralli, donEttore Capra, Claudio Capretti, Pier Giorgio Liverani, Luigie Chiara Vidoni, Claudia Benato, Antonio Venditti, SaraGilotta, Giorgio Innocenti, Catechisti parr. S. M. in Trivio,Velletri e S.mo Nome di Maria, Landi, Mara Della Vecchia,Loreda Carluccio, Ist. Sostentamento Clero, Nuovo GruppoArcobaleno - Segni, Museo Diocesano Velletri, AlbertoFranceschini, Paolo Fratarcangeli.

Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesi.velletri-segni.it

DISTRIBUZIONE GRATUITA

In copertina:Composizione grafica a cura della redazione con la

Croce veliterna, l’immagine adottata per la Visita pastoraletrattasi di una Trinità, un’icona russa di autore ignoto, 1690,

attualmente a Reclinghausen, nello specifico tre angeli visitanoin casa Abramo e Sara; da un lato della copertina è collocato

anche il logo dell’anno della Fede.

- Il cammino compiuto in questi cinquant’anni...

+ Vincenzo Apicella p. 3

- I due nuovi Dottori della Chiesa nominati

dal Papa all’apertura del Sinodo generale

dei Vescovi, S. Fioramonti p. 4

- Operatore pastorale: dalla fragilità alla forza, dalla forza alla grazia, C. Capretti p. 6

- Imparare a seguire Gesù, per diventare credibili ed affidabili, Sara Gilotta p. 7

- “Carissima signora...”, lettera ad una mamma,Pietroni p. 8

- Gli aborti legali e il “bluff” dei numeri,Pier Giorgio Liverani p. 9

- La cananea e la Misericordia,Claudio Capretti p.10

- Libri sacri: Chi parla la lingua della Bibbia, può parlare con tutti, mons. Luigi Vari p.12

- L’Avvento, il tempo di Dio nel tempo dell’uomo,don Andrea Pacchiarotti p. 13

- L’Ordine /1: Riflessione biblica,don Antonio Galati p.14

- Settimo anniversario di Casa San Lorenzo,Giorgio Innocenti p.15

- Simbolo della Fede / 5: Credo in un solo Dio, Padre Onnipotente, creatore del cielo e dellaterra, don Dario Vitali p.16

- Testimoni della Fede dei nostri giorni:

Don Nazareno Lanciotti, S. Fioramonti p.17

- 11 Ottobre 2012: In Vaticano Benedetto XVI

apre l’Anno della Fede, S. Fioramonti p. 18

- Per chi ha voglia di credere,

don Gaetano Zaralli p.20

- La Buona Eternità, don Ettore Capra p.20

- Il Nuovo Rito delle Esequie,

mons. Franco Fagiolo p.21

- Per i fidanzati, tempo di interiorizzazione,

p. Vincenzo Molinaro p.22

- Chi sono i giovani chiamati alla sequela di Cristo?

mons. Franco Risi p. 23- Diaconato: La mia chiamata al diaconato viene da molto lontano...,

Luigi e Chiara Vidoni p. 24

- Domenica 21 ottobre, Parr. Regina Pacis:Festa per l’inizio dell’anno catechistico e Giornata Missionaria, Claudia Benato p. 26

- RI - PARTY: Festa dei Nonni,Nuovo Gruppo Arcobaleno p.27

- Velletri: S. Maria in Trivio e Landi: SS.mo Nome di Maria,

Catechisti parr.li p.28

- Il ritorno dei Duchi a Palazzo A. Sforza ed E. Orsini, Collab. Archivio di Segni p.29

- San Clemente romano e l’Episcopato Monarchico a Roma nel II secolo / 2,

Paolo Fratarcangeli p.30- La morte, infida e crudele,

Alberto Franceschini p.32- Il Convento di S. Maria del Carmine / 3,

Alfredo De Filippis p.34- Miss Luba, Mara Della Vecchia p.35- Confraternità S. Antonio da Padova: rinnovato il Direttivo, L. Carluccio p.35

- La contesa dei genitori sul “possesso” dei figli, Antonio Venditti p.36

- Turismo religioso: alla ricerca dei luoghi della fede e della devozione mariana,

a cura della redazione p.37- Grazie, dottoressa Silvia... ed Auguri!,

Direzione Museo Diocesano p.37

p.38

- Giotto, Giudizio Universale, 1306 c.,don Marco Nemesi p.39

33NovembreNovembre20122012

� Vincenzo Apicella, vescovo

LLa sera dell’11 ottobre 1962, alla ancora tenera età di 15 anni,da convinto ragazzo di Azione Cattolica, mi trovavo in piazzaSan Pietro insieme a qualche altra decina di migliaia di perso-

ne, che avevano una fiaccola accesa tra le mani e il naso per aria, aspet-tando che si aprisse una finestra del palazzo apostolico.Stavamo partecipando ad un evento la cui portata storica ed univer-sale era appena intuita, ma già evidente e palpabile, grazie anche alleormai famose parole improvvisate in quella occasione dal Beato GiovanniXXIII. Dopo 50 anni esatti, ho avuto la grazia di tornare nello stessoluogo, sotto le stesse finestre, per ascoltare la stessa voce: “quella diun fratello, diventato, per volontà di Nostro Signore, padre”, una solavoce, ma che raccoglie quelle della Chiesa intera, sparsa su tutta laterra, come ascoltammo quella sera.Il cammino compiuto in questi cinquant’anni è stato tanto e siamo mol-to maturati, ma non cambiati, come persone e come chiesa e BenedettoXVI lo ha rilevato puntualmente: “Anche oggi siamo felici, portiamo gioianel nostro cuore, ma direi una gioia più sobria, una gioia umile.”La gioia deriva dalla certezza che il Signore Gesù è sempre sulla bar-ca della sua Chiesa e la guida anche attraverso le tempeste più vio-lente, poiché mantiene sempre le sue promesse: “Ecco, io sono convoi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt.28,20), l’umiltà l’abbiamoimparata anche dalla nostra debolezza e dalle nostre inadempienze,ma è anzitutto un elemento costitutivo del discepolo: “Imparate da meche sono mite e umile di cuore”(Mt.11,29).La fisionomia della Chiesa, che il Concilio ha delineato, è proprio quel-la di un Popolo di poveri, in ascolto obbediente della Parola, resomisericordioso e santo dalla Grazia dei Sacramenti e attento aisegni dei tempi, per essere al servizio degli uomini fratelli. E’evidente che c’è sempre molto cammino da fare per vive-re e assimilare ciascuno di questi obiettivi, ma la via èstata indicata e indietro non si torna, anche sela tentazione c’è sempre, come avve-niva nell’esodo di Israele attraver-so il deserto.Occorre piuttosto sempre ritrovare,come ho scritto in questi giorniai presbiteri della diocesi, quel-lo spirito di freschezza gioiosa,di slancio fiducioso, di pensie-ro positivo, che la Chiesa vis-se al momento dell’apertura delConcilio, guidata dalla sapien-za, dall’equilibrio, dal coraggioe dalla bontà del Beato GiovanniXXIII. Possono e debbonorisuonare ancora le parole dalui pronunciate in San Pietrol’11 ottobre 1962, che valgo-no anche al di là di quel pre-ciso momento storico: “A noisembra di dover dissentire dacodesti profeti di sventura, cheannunziano eventi sempreinfausti, quasi che incombes-se la fine del mondo. Nel presente momento stori-co, la Provvidenza ci sta con-ducendo a un nuovo ordine di

rapporti umani, che, per opera degli uomini e per lo più al di là dellaloro stessa aspettativa, si svolgono verso il compimento di disegni supe-riori e inattesi; e tutto, anche le umane avversità, dispone per il mag-gior bene della Chiesa.”In concomitanza con l’anniversario conciliare, altri due eventi caratte-rizzano i giorni che stiamo vivendo: l’inizio dell’Anno della Fede, indet-to dal Papa per “introdurre l’intera compagine ecclesiale ad un tempodi particolare riflessione e riscoperta della fede” (Lettera Apost. PortaFidei, n.4), che sarà aperto solennemente in diocesi in occasione del-la festa patronale di San Clemente il 23 novembre prossimo e la cele-brazione del Sinodo dei vescovi di tutto il mondo sul tema della NuovaEvangelizzazione. Sono le parti di un trittico, intimamente e sapiente-mente connesse tra loro, che va considerato nella sua unità e complessità.Se la memoria ci fa tornare agli insegnamenti del Concilio e all’inesauribiletesoro che abbiamo ricevuto da tutta la nostra Tradizione, l’Anno del-la Fede ci invita a guardare al nostro presente, alla nostra situazionedi credenti e di discepoli chiamati ad una sempre rinnovata conversio-ne al Signore Crocefisso e Risorto, mentre l’impegno per un rinnova-to annuncio dell’Evangelo ci proietta verso il futuro per andare verso inostri fratelli con una testimonianza credibile e comprensibile nel nostrotempo e nella situazione attuale.Per la nostra diocesi tutto questo avviene in un anno di grazia parti-colare, in cui si svolgerà la Visita Pastorale, che ci permetterà di per-correre insieme questo itinerario spirituale, parrocchia per parrocchia,in tutti gli ambiti della vita e dell’attività pastorale, a partire dalla stes-sa solennità di San Clemente.I Santi Patroni Clemente e Bruno e la Madre di Dio, dispensatrice ditutte le Grazie, ci accompagnino e ci sostengano perché sul volto del-la nostra Chiesa possa risplendere sempre più la Luce di Cristo, spe-

ranza nostra e salvezza di tutti.

44 Novembre Novembre 20122012

I DUE NUOVI DOTTORI DELLA CHIESA

NOMINATI DAL PAPA ALL’APERTURA DEL

SINODO GENERALE DEI VESCOVI

Stanislao Fioramonti

DD omenica 7 ottobre 2012, nella santa messa in piaz-

za S. Pietro che inaugurava il XIII Sinodo dei Vescovi

del mondo, Benedetto XVI ha aggregato due nuovi san-

ti alla “eletta schiera dei Dottori della Chiesa”. Li ricordiamo con

le stesse parole che il papa ha usato per loro nell’omelia di quel-

la solenne celebrazione.

Tra i grandi evangelizzatori dei quali in quella stessa occasione

il papa ha invocato l’intercessione egli ha voluto “con grande affet-

to annoverare il Beato Papa Giovanni Paolo II, il cui lungo pon-

tificato è stato anche esempio di nuova evangelizzazione”.

San Giovanni di

Avila visse nel seco-

lo XVI.

Profondo conoscito-

re delle Sacre Scritture,

era dotato di arden-

te spirito missionario.

Seppe penetrare con

singolare profondità

i misteri della

Redenzione operata

da Cristo per l’uma-

nità.

Uomo di Dio, univa la

preghiera costante

all’azione apostoli-

ca. Si dedicò alla

predicazione e all’in-

cremento della prati-

ca dei Sacramenti, con-

centrando il suo impegno nel migliorare la formazione dei can-

didati al sacerdozio, dei religiosi e dei laici, in vista di una fecon-

da riforma della Chiesa.

Santa Ildegarda di

Bingen, importante

figura femminile del

secolo XII, ha offerto

il suo prezioso con-

tributo per la crescita

della Chiesa del suo

tempo, valorizzando i

doni ricevuti da Dio e

mostrandosi donna

di vivace intelligenza,

profonda sensibilità

e riconosciuta autorità spirituale.Il Signore la dotò di spirito pro-

fetico e di fervida capacità di discernere i segni dei tempi.

Ildegarda nutrì uno spiccato amore per il creato, coltivò la medi-

cina, la poesia e la musica. Soprattutto conservò sempre un gran-

de e fedele amore per Cristo e per la sua Chiesa”.

I SETTE NUOVI SANTIDELL’ANNO DELLA FEDE

I sette martiri e confessori della fede canonizzati da Benedetto

XVI in Vaticano il 21 ottobre 2012 sono due sacerdoti, due reli-

giose e tre laici. Cominciamo da questi ultimi, anche perché il fat-

to che per una volta siano dichiarati santi più laici che sacerdoti

e suore è notevole, per

quanto casuale. Eccoli:

PIETRO

CALUNGSOD, cate-

chista nato nelle

Filippine nel 1654, fu

martirizzato insieme a

un sacerdote gesuita

a Guam, nelle isole

Marianne (Oceania),

il 2 aprile 1672 men-

tre cooperava alla

evangelizzazione di

quelle terre lontane e

di difficile accesso.

Venne beatificato nel-

l’anno 2000.

KATERI

( C A T E R I N A )

TEKAKWITHA è la

prima pellerossa

d’America beatificata

(nel 1980).

Figlia di padre irochese

pagano e di madre

algonchina cristiana,

nacque nel 1656 pres-

so l’odierna città di

Albany; a 4 anni

scampò a un’epidemia

di vaiolo, che le dan-

neggiò il volto e la vista;

fu battezzata a 19 anni

da alcuni missionari cat-

tolici francesi del

Canada e poi, per sfug-

gire alle ire dei paren-

ti pagani, si rifugiò a

Sault presso Montréal (Quebec canadese), dove visse in preghiera

e in verginità e dove morì a 24 anni, nel 1680.

55NovembreNovembre20122012

ANNA SCHAEFFER,

laica bavarese vissu-

ta presso Ratisbona

(1882-1925), desiderava

diventare missionaria

in terre lontane e per

questo voleva entrare

in convento, ma la

morte del padre la

obbligò al lavoro per

sostenere i cinque fra-

telli e sorelle più pic-

coli. Nel 1901 poi un

incidente sul lavoro la

costrinse a letto per il

resto della sua vita, ma

con fede e tenacia sep-

pe trasformare quella

infermità in strumento

di illuminazione e con-

siglio per tante persone. Fu beatificata nel 1999.

Il gesuita francese

JACQUES BERTHIER

(1838-1896) fu per più di 20

anni missionario in Madagascar,

dove subì il martirio nel cor-

so della seconda guerra

dei malgasci contro la Francia.

Fu beatificato da Paolo VI nel

1965.

GIOVANNI

BATTISTA

PIAMARTA è un sacer-

dote bresciano (1841-

1913) benemerito del-

la gioventù povera e ope-

raia della sua terra; il 3

dicembre 1886 fondò a

Brescia l’Istituto degli

Artigianelli, dove educare

i giovani al lavoro (sia

agricolo che nelle nascen-

ti fabbriche) e alla vita.

Per questo scopo fon-

dò pure una congrega-

zione religiosa maschi-

le (la Sacra Famiglia di

Nazareth) e una femminile

(le Umili Serve del

Signore).Fu beatificato

nel 1997.

Le due suore dichiarate sante il 21 ottobre scorso sono la statu-

nitense Barbara Cope (Madre MARIANNA, 1838-1918), del Terz’Ordine

di S. Francesco di Syracuse, che dal1883 proseguì il lavoro di

padre Damiano de Veuster tra i lebbrosi dell’isola di Molokai nel-

le Hawaii, e fu beatificata nel 2005; e la catalana Carmen Sallés

(MARIA DEL MONTE CARMELO, 1848-1911), fondatrice delle

Religiose Concezioniste Missionarie dell’Insegnamento, beatifi-

cata nel 1998.

I PRIMI BEATI DELL’ANNO DELLA FEDE

Sono 14 frati minori francescani di varia nazionalità, massacrati

da protestanti in odio alla fede il 15 febbraio 1611 nel loro con-

vento di Santa Maria della Neve a Praga.

Si tratta di quattro religiosi boemi (padre Federico Bachstein e

i chierici, Emanuele, Antonio e Giovanni); quattro italiani, tutti

lombardi (padre Bartolomeo Dalmasoni e i chierici Gerolamo

degli Arese, Gaspare Daverio e Giovanni Bodeo); i sacerdoti

Giovanni Martinez, spagnolo, e Simone, francese; i chierici sve-

vi Giacomo di Augusta e Clemente, i fratelli laici Cristoforo Zelt,

olandese, e Diego-Giovanni.

Il rito di beatificazione si è svolto sabato 13 ottobre 2012 nella

cattedrale praghese di S. Vito ed è stato presieduto dal cardina-

le Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei

Santi. Colpisce in particolare, in questa prima beatificazione dell’Anno

della Fede, la varietà della provenienza dei martiri francescani,

rappresentanti di buona parte dell’Europa, anche di regioni (Olanda,

Boemia, Svevia...) allora a prevalenza protestante.

Diversità di origine, ma unificazione nella fede e nella sua testi-

monianza fino al sacrificio della vita.

66 Novembre Novembre 20122012

Claudio Capretti

SS ul numero di aprile del nostro mensile,ho avuto modo di parlare, a titolo personale,del ruolo dell’operatore pastorale delineandone

la figura ed evidenziando come questi sia una gra-zia per l’intera Chiesa. Dissi che il suo operare,nella e per la comunità cristiana, è innanzi tuttouna risposta alla chiamata che Dio fa a quell’a-nima, affinché nel servirLo nei fratelli gli renda testi-monianza, questo cammino fa di lui un cristianoadulto nella fede. Delineai inoltre nella secondaparte di quell’articolo, chi era in senso evange-lico l’operatore pastorale. Vorrei ora cercare, sem-pre a titolo personale, di scendere un po’ di piùnello specifico, soffermandomi sulla relazione cheintercorre tra l’operatore pastorale e la fragilitàe di come quest’ultima possa divenire punto diforza. Come prima cosa vorrei partire da tre cosemolto ovvie: 1) Ogni essere umano in quanto tale è sottopo-sto a delle fragilità, alcune palesemente eviden-ti, altre meno perché interessano la sfera intimadell’io. Il più delle volte queste fragilità ci accom-pagnano per tutta la vita.2) Qualsiasi essere umano che liberamente ade-risce alla chiamata di servire Cristo che si fa pre-sente nella Chiesa e nei fratelli, non riceve auto-maticamente il “lascia passare” che lo esenta dal-le sue personali fragilità, o il “bollino di qualità”che lo rende idoneo per quel particolare servi-zio. Al contrario, esiste un pericolo che è quellodi lasciarsi guidare, seppur in buona fede, dallesue stesse fragilità e inadeguatezze, con il rischiodi incamminarsi verso una pastorale di improv-visazione, che si traduce successivamente in unapastorale di disattenzione e che può sfociare inuna dis-incarnazione del cristianesimo.3) Riusciamo a comprendere ed accogliere megliola fragilità dell’altro se abbiamo conosciuto e accol-to le nostre, se siamo riusciti, con l’aiuto di Dio,

adare il giusto

senso a quella fragilità che ci stasempre dinnanzi. Intenzionalmente non affronteròl’aspetto della fragilità in chiave fisica, ma solosotto l’aspetto puramente spirituale, volendo iden-tificare in quella particolare fragilità, quella ten-tazione, prova o inclinazione, che ci accompa-gna nel nostro cammino, che, se assecondata puòsfociare nel peccato, se invece superata con l’aiu-to di Dio, può trasformarsi in benedizione e dive-nire un aiuto per se stessi e per coloro che glisono vicino. Rimane un mistero del perché il buonDio permetta che conviviamo con quella particolarefragilità che rende il nostro avanzare più difficoltoso,di certo, se non affrontiamo le nostre umane debo-lezze con gli occhi della fede, rischiamo di cade-re nell’immagine distorta di un Dio che è lonta-no e indifferente dalle sue creature. E’ un’immaginenon corrispondente a ciò che Egli veramente è,un padre. Di uomini fragili la Sacra Scrittura neè piena, ne sa qualcosa Caino che aveva in cuorsuo la fragilità di essere geloso della benevolenzache Dio aveva per suo fratello. Il Signore che cono-sceva Caino meglio di Caino stesso, per il suobene non esita a dirgli: “Il peccato è accovac-ciato alla tua porta; verso di te è il suo istin-to, e tu lo dominerai” (Gen 4,7). Il Signore non si limitò a mettere in luce la suafragilità, ma gli rivelò che possedeva quella for-za che gli avrebbe consentito di impedire a quelpeccato di entrare nella sua casa, o meglio, nel-la sua anima. Caino, non tenne conto di questoconsiglio e non volendo, o non riuscendo anda-re oltre la sua fragilità, assecondò l’istinto di spa-lancare le sue porte al peccato, con le conseguenzeche poi ne derivarono.Non sappiamo come convisse Caino con quellacolpa per il resto dei suoi anni, di sicuro il ricor-do di aver ucciso il fratello affiorò molte volte nel-la sua vita. Pur essendo stato risparmiato dal Signore,la Scrittura disse che errò e che ebbe una discen-denza. Mi piace sperare che si riconciliò con lasua storia, che ne fece tesoro, e successivamenteseppe trasformare in bene il male commesso. Le

cose andarono peggio per Giuda, il qualedisilluso che il Cristo che seguiva non era il tipo

di Messia che avrebbe voluto, passò dalla fra-gilità della delusione a quella della falsità, che,come ricordava Benedetto XVI parlando di que-sto specifico argomento nell’Angelus del 26 ago-sto 2012, è: “marchio del diavolo”. “Egli”, dice ilSanto Padre, “continua a seguire Cristo non perconvertirsi a Lui, ma per attendere il momentopropizio per vendicarsi”. Raggiunse il suo scopocon il tradimento, e successivamente rientrato inse stesso, venne schiacciato da un’altra fragili-tà, quella del rimorso, che lo condusse dispera-zione più atroce, quella di non credere al perdonodi Dio. Una strada che lo portò a suicidarsi (At1,18). Certo sono due esempi in negativo di fra-gilità non superate, ma nella Sacra Scrittura tro-viamo anche personaggi che al contrario di Cainoe Giuda non si sono lasciati vincere dalle loro fra-gilità, ma confidando nel Signore, si sono rialzatidalle loro cadute, e ne hanno fatto un punto diforza non solo per se stessi ma anche per gli altri.Ne cito alcuni: il re Davide, il profeta Elia, Zaccheo,Simon Pietro, l’adultera, Nicodemo, Matteo,etc… Anche l’Apostolo Paolo non è esente dal-la fragilità che come diceva in una sua lettera è:“una spina nella mia carne” (2 Cor 12,7), main questo caso specifico egli accoglie la rispostache il Signore gli da: “ti basta la mia grazia” (2Cor 12,9 ). L’esperienza dell’apostolo delle genti ci condu-ce ad affermare che Dio, non solo non guardale nostre umane fragilità nel voler realizzare i suoiprogetti, ma le permette per un bene più grandeche ci è concesso di vedere solo con gli occhidella fede. Solo in quest’ottica comprendiamo cheDio non sempre ci esenta dalle nostre fragilità,ma sempre ci salva attraverso le nostre fragili-tà. Sant’Agostino a tale proposito affermava che:“Dio non ci salva dalle croci, ma ci salva nelle cro-ci”. Forse, mio caro e sconosciuto lettore, ti sta-rai domandando dove voglio arrivare. Da nessunaparte. Voglio invece partire da un preciso punto,quello che c’è ancor prima che una persona accon-senta a diventare un operatore pastorale, esat-tamente una creatura amata da Dio fin dall’eternità,chiamata, ancor prima di lavorare nella Sua vigna(parrocchia, volontariato, sociale etc…), a lavo-rare nella sua personale vigna che è la sua ani-

77NovembreNovembre20122012

Sara Gilotta

SS e tentassi di riassumere le parole diLuciano Manicardi della comunità diBose o anche quelle di Don Erio

Castellucci, commetterei due errori, quello dinon riuscire a rendere davvero il significatodelle loro parole ed ancor di più quello di ripe-tere meccanicamente qualcosa che eviden-temente è rimasto nella mia memoria sen-za entrare affatto nel mio cuore e nella miavita. Per questo, seppure con la consapevolezzadi non essere certo all’altezza come cristia-na del loro alto messaggio, mi proverò a direquanto quelle parole hanno suscitato in mecome persona, che avverte il bisogno di cer-care di imparare a vivere secondo l’insegnamentodi Gesù. Fratel Luciano, infatti, con il suo dis-corso limpido e profondo mi ha ricordato quan-to spesso la mia vita sia lontana dal segui-re concretamente la Parola del Vangelo , perfarne la vera guida del cammino sulla terraspesso difficile e ricco di difficoltà di ogni gene-re, che facilmente fanno dimenticare qualedovrebbe essere il vero volto del vivere quo-tidiano. Non perché tutti e tanto meno io sipossa i imitare l’esempio dei grandi santi, ma anche semplicemente, pervivere senza mettere da parte con leggerezza il fatto di essere cristia-ni. Certo il Cristianesimo è religione difficile da seguire appieno, innan-zitutto perché la Parola di Dio presente nel Vangelo pretende di entra-re nella nostra vita in modo totale e totalizzante, grazie agli insegnamentidel Figlio di Dio che si è fatto Uomo, per sentirsi più vicino alla nostradebole umanità e, nel contempo, farci conoscere il Volto di Dio Padre.Sono, questi, insegnamenti che conosciamo da sempre forse senza com-prenderli fino in fondo o, peggio, non calandoli nella vita concreta chesiamo chiamati ad affrontare giorno dopo giorno.Diversamente, saremmo capaci tutti, mettendo al centro l’ascolto dellaParola, di condurre una vita buona fondata sull’amore che altro non èse non carità, cioè, comunione con Dio e con gli uomini da considera-re continuamente in relazione con noi e con la nostra vita, sempre e nonsolo quando non ci creano problemi o mostrano di considerarci “impor-tanti”. Dice Fratel Luciano che è dal primato dell’Evangelo che nasce la

comunicazione della Chiesa che è Ecclesia,il luogo della chiamata che Dio ha rivolto agliuomini tutti , per far sì che si verificasse l’a-scolto potente ed efficace della Parola, cheperciò stesso diventa forza creatrice basa-ta sull’obbedienza alla Parola stessa di cuila Chiesa e ciascuno di noi deve sentirsi ser-vo. Servo, se ha compreso che questo è l’u-nico modo per rispondere all’amore per Dioe per il prossimo, per nutrire , come dice-vano gli antichi poeti dell’amor cortese, dedi-zione amorosa nei confronti di chi si ama.E per la verità sembra anche un servizio faci-le, dal momento che amare significa anche,se non innanzitutto “servire” nel senso di esau-dire, corrispondere ai desideri di chi si ama.Ma poi “servire “ Dio , diventa difficile, per-ché non riusciamo a “sentire “ la Sua Parola”se non semplicemente con gli orecchi e nondavvero col cuore, cioè con tutti noi stessi,mettendola al centro della nostra vita. Ma come,se, al contrario, siamo pieni di noi stessi, deinostri problemi , dei nostri desideri e dellenostre passioni, da cui troppo spesso esclu-diamo non solo Dio, ma anche quelli che dovrem-mo considerare fratelli?

Gesù, dice fratel Luciano si è fatto uomo, per offrire all’umanità l’espe-rienza della alterità di Dio rispetto a noi e dell’alterità dell’uomo rispet-to a Dio, che altro non vuol dire se non che Dio ha voluto l’Incarnazioneper meglio essere compreso e per meglio comprenderci. A patto che cia-scuno di noi voglia imparare con pazienza a riconoscere e a seguire lavia segnata da Gesù. E qui ritornano le difficoltà di chi trova difficile per-sino considerare uguali tutti gli uomini, compresi, anzi ,innanzitutto, i piùumili, i più diseredati, i diversi e i poveri. E’ difficile perché sono l’egoi-smo e l’indifferenza che ci guidano e spesso ci impediscono di comprenderela vera realtà delle cose e degli uomini e, soprattutto, perché è ancorapiù difficile diventare uomini seguendo davvero Gesù. Ma, poiché esse-re cristiani, significa, nutrire la speranza, anzi la certezza che Gesù cam-mini continuamente al nostro fianco, come fece con i discepoli di Emmaus,credo che sarà Lui a farci comprendere il cammino da seguire, purchévogliamo o almeno tentiamo , leggendo il Vangelo, di permetterGli di sta-re con noi , mentre impariamo a stare con Lui.

ma, questa è la linea di partenza. Vedi, sono con-vito che non facciamo la differenza poiché nellenostre parrocchie svolgiamo un servizio pasto-rale, per quanto bravi e specializzati possiamoessere, ma facciamo la differenza nelle nostre comu-nità e nel mondo, in quanto cristiani battezzati,redenti dal sangue di Cristo e confermati dal sigil-lo Spirito Santo. Si parte da questa profonda real-tà, per poi mettersi dinnanzi alle nostre fragilità,ci si scontra-incontra con esse non per venirneschiacciati, ma affinché dopo un cammino fati-coso, e a volte doloroso, poter dire al buon Dio:“Mi basta Signore la Tua grazia”, sperimentan-do una vittoria che non è frutto delle nostre capa-cità, ma è conseguenza naturale dell’incontro conuna Misericordia che è sempre vittoriosa sulle nostredebolezze. L’incontro con il Cristo ha la poten-za di trasformare ciò che è debolezza in forza,il frutto dell’incontro con Lui apre alla nostra vistaun orizzonte infinitamente più bello, che ci resti-tuisce la nostalgia del Cielo, che ci “fa cercarele cose di lassù, dov’è Cristo, seduto alla destra

di Dio” (Col 3,1). Questo è l’unico avvenimen-to che è in grado di cambiare i giudizi della nostramente, di illuminarli con la Sua luce, una luce chenon viene mai meno lungo il nostro cammino difede. Ecco allora che si diviene discepoli che nontemono di annunciare il Vangelo, di accogliere,senza scandalizzarsi, la debolezza dell’altro, per-ché Cristo ha vinto le nostre, ci ha presi sulle suespalle riconducendoci all’ovile, che è la sua Chiesa,perché ci ha amati per primo nella dimensionedella croce quando eravamo ancora malvagi epeccatori. Ecco allora che quella personale fra-gilità è la chiave per entrare nel cuore di coloroche come noi vivono quelle medesime o simili fra-gilità. Si, ne sono certo, la nostra fragilità puòdivenire, se lo vogliamo, la chiave per accedereal paradiso, perché ci pone nelle condizioni di rea-lizzare, senza nessuno sforzo, la Parola: “Ero nudo e mi avete vestito, malato, carce-rato e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,36), e saràspontaneo fare come raccomandava san Luigi Orione:”Se vedi che uno ha una piaga non scoprirla, san-

guinerebbe di più. Ma vedi di medicarla, come ilbuon samaritano, con l’olio dell’affetto fraterno”.Il dono più grande per un operatore pastoralecredo consista in questo, nell’essere stati cura-ti da quest’olio benefico di cui parla il santo, dinon averne fatto un tesoro geloso, ma di avercipoi spinto a fare altrettanto con i nostri fratelli. Certo in modo diverso perché ogni settore pasto-rale lo è , ma il fine ultimo è sempre e solo que-sto. A ben poco serve concentrarsi solo su unefficientismo, o una funzionale metodologia nel-lo svolgimento dei nostri servizi pastorali, se man-ca questo fondamentale aspetto, se dimentichiamoinfine che: “la Chiesa non inizia con il nostro fare,ma con il fare e parlare di Dio” (Benedetto XVI).Se riusciremmo in questo, allora i nostri piedi saran-no belli, e non di certo perché sono assidui clien-ti del pedicure di fiducia, ma in quanto piedi delmessaggero che reca liete notizie, piedi “calza-ti e pronti a propagare il Vangelo della pace”(Ef 6,15).

88 Novembre Novembre 20122012

Treviso – Terza Sezione Civile della Suprema Corte Sentenza n. 16754 del 2 ottobre 2012

Per la prima volta è stato riconosciutol’indennizzo anche al bambino chenasce disabile e non solo alla famiglia.Il caso è stato sollevato dall’avvocatoEnrico Cornelio per conto della famigliain questione. Chiamato in causa un medi-co di un ospedale di Castelfranco per inadempienzae mancata informazione. La mamma della piccola nata down, già madre didue figli - sanissimi - scopre di essere incinta perla terza volta. Per motivi economici e per la pre-senza di già due bimbi piccoli chiede al medicodi fare degli esami diagnostici approfonditi per esclu-dere malformazioni del feto, caso in cui avrebbedeciso di abortire.Il medico prescrive degli esami a tale scopo, deitest ma non gli esami decisivi come l’amniocen-tesi, la villocentesi ed altri. La signora aveva all’e-poca 29 anni. Nel settembre 1996 nasce la pic-cola, affetta dalla sindrome di Down.I genitori ele sorelle chiedono conto dell’accaduto al medi-co di Castelfranco, ma il Tribunale di Treviso assol-ve il medico e la sentenza viene confermata anchedalla Corte di Appello di Venezia.A questo punto la famiglia decide di fare ricorsoin Cassazione. La Suprema Corte accoglie tutti imotivi di ricorso presentati che, oltre alla condannadel medico, includono -novità per la giurisprudenzaitaliana- la richiesta di indennizzo della diretta inte-ressata (per la bimba, oggi 16enne, è stato chie-sto 1 milione di euro), oltre al risarcimento per igenitori e le sorelle. La Corte di Cassazione che,ricordiamolo, non giudica sul merito ma sulla cor-rettezza formale del procedimento eseguito, ha quin-di rinviato di nuovo il caso alla Corte d’Appello per-ché si ripronunci ex novo. (n. d. r.)

La puntata alla quale si fa riferimento nella let-tera è relativa ad un’intervista seguita su Rai 1durante la trasmissione UnoMattina nella qualeerano presenti la mamma della ragazza down el’avvocato Enrico Cornelio.

Carissima signora,ho meditato a lungo sulla decisione di scriverlequesta lettera. Alla fine ho deciso che ne valevala pena, sempre nella speranza che venisse reca-pitata e, soprattutto, letta. Come lei, sono ancheio una mamma e, come lei, ho avuto anche ionel mio grembo, una vita probabilmente diversadalle altre. Purtroppo la mia bambina non ce l’ha fatta ad anda-re oltre un certo sviluppo e una dottoressa, cre-dendo forse di dire qualcosa di sensato o con-solatorio, ha affermato “meglio così, signora, micreda. Si vedono certe cose…meglio così”. In quelmomento il dispiacere per quella perdita era tal-mente grande che non ho avuto la forza di rispon-dere a quel medico, a quella donna come avreivoluto, come una madre che vuole difendere i suoifigli avrebbe doluto, ma la mia rabbia fu tanta.Avrei voluto poter accudire quella vita, soprattuttose più debole, l’avrei difesa, protetta e amata!Voi avete avuto nella vostra vita familiare e per-sonale l’evento della nascita di Marta (Marta èanche il mio nome) e durante una breve intervi-

sta in tv ho percepitochiaramente l’amore cheavete donato e chedonerete incondizio-natamente a questaragazza. Però, davveronon capisco perché ave-te deciso di farvi e difarti convincere (perchéproprio questa è sta-ta la mia impressione)a portare avanti lavostra battaglia neitermini che quella mat-tina ho potuto ascoltare.Mi scuso anticipata-mente per l’inevitabi-le mia impertinenza, maho subito avuto l’im-pressione, forse, anzi,sicuramente errata,che questa strategia siastata a voi consigliata.Indubbiamente capiscoche lottare per unrisarcimento vi fa stare più tranquilli anche pen-sando al futuro di vostra figlia. Io credo però chela lotta che state portando avanti, alzando giu-stamente come baluardo la vita di Marta, non siaquello che davvero la dignità di vostra figlia meri-ti. Indubbiamente dare alla luce un figlio malatonon è una prova che si accetta e si affronta facil-mente. Posso solo immaginare le grandi difficoltàpsicologiche, materiali, …che avete dovutoaffrontare, ma credo che allo stesso tempo siasbagliato e assurdo cercare di incolpare qualcunoper questo. Non è colpa di nessuno se nasconopersone non sane e soprattutto è sbagliato, dis-educativo e veramente poco rispettoso per tuttiquelli che, come Marta, dimostrano ogni giornoche la loro esistenza merita come chiunque altrorispetto perché degna. Forse quel medico è sta-to poco professionale, non conosco così bene itermini della vicenda, ma ho davvero trovato sgra-devole e falso sentir parlare di aborto terapeuti-co nel caso della vita di vostra figlia. Una tera-pia si può prescrivere ed utilizzare per curare, percercare di salvare una vita. Ma se il fine di un’a-zione è quella di eliminare quella stessavita…come possiamo sostenere così spudoratamenteciò? La situazione italiana, le leggi esistenti sul-le fasi iniziali della vita, devo dire che non mostra-no tutto questo gran rispetto per questo proces-so di sviluppo così fondamentale per ognuno dinoi e il linguaggio, oramai ben plasmato, sa ingan-nare molto bene.E credo che, nonostante una comprensibile ini-ziale rabbia nei confronti del ginecologo che sta-

va seguendo la sua gravidanza, quello che sareb-be stato bello sentirle dire era GRAZIE!Personalmente non so neanche il nome di que-sto medico, ma forse è proprio grazie alle indi-cazioni di quei giorni che lei oggi può abbracciare,amare e stringere a sé Marta e accorgersi di quan-to anche la sua vita sia preziosa e da difende-re, forse con ancora più forza.Chi decide di fare un’amniocentesi mette gene-ralmente in conto la possibilità dell’aborto perchécredo che nessuna madre, pronta ad amare edaccettare incondizionatamente il proprio figlio, deci-da di mettere a rischio (anche se oggi ci diconoessere un rischio bassissimo) la vita di quel minu-scolo essere umano così diverso da noi in quel-le fasi “solo” per sapere, considerando soprattuttoil fatto che questo esame oramai così diffuso eche tanti soldi, inoltre, fa circolare, non permet-terebbe di scoprire malattie in quelle fasi cura-bili. Siamo ossessionati dall’idea di poter e dovercontrollare tutto e, soprattutto, viviamo nell’erro-re di poter stabilire noi quando una vita può diven-tare esistenza e quando no, in nome di una liber-tà che a volte maschera azioni che tutti dovreb-bero avere il coraggio di definire sbagliate.Non si devono giudicare le persone, certo, maogni persona costruisce la sua vita compiendoscelte e attuando azioni e le scelte e le azioni pos-sono, anzi, devono essere giudicate, come pro-prio la storia dell’uomo ci ha insegnato e ci inse-gna. Io credo profondamente che voi amiate Martain modo straordinario ma, credo allo stesso tem-po, che tutti i soldi possibili di un rimborso, non

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99NovembreNovembre20122012

Pier Giorgio Liverani

AA borti in calo inItalia? È unennesimo bluff,

anche se i numeri dellaRelazione ministeriale alParlamento sembranoconfermarlo.Perché bluff? Per una seriedi motivi. Il primo è la comparazioneche la Relazione fa tra gliaborti legali del 1982, quan-do si toccò l’apice di234.593 ivg, e quelli del2011 che sarebbero sta-ti “soltanto” 109.538. «In30 anni aborti dimezza-ti, raddoppia l’uso di Ru486»: è il titolo di La Stampa,uno dei pochissimi quo-tidiani che ha dato noti-zia del calo ufficiale. Per la maggioranza degli altri quotidiani, anche importanti, questo nume-ro di aborti non è stato nemmeno considerato una notizia, tanto che larelazione è stata ignorata. Bisogna dire subito, intanto, che quell’api-ce del 1982 fu il risultato della forte spinta all’aborto provocata dalla sualegalizzazione (Legge 194 del 1978). Nei primi 12 mesi di vigenza del-la legge (Giugno 1978-maggio 1979) gli aborti ufficiali erano stati 146.918ed erano andati crescendo fino all’82. Prima della legge il numero degli aborti, sempre e solo clandestini, era-no diversi secondo la fonte della stima. Quella più seria e scientifica(prof. Bernardo Colombo, Università di Padova, pubblicata su Medicinae morale, rivista dell’Università Cattolica, nel 1976, dunque lontano daogni confronto “politico” tra clandestinità e ufficialità) affermava: «Un nume-ro effettivo che si allontanasse di molto all’insù rispetto ai 100mila misorprenderebbe oggi più di uno inferiore». È dunque almeno risibile l’af-fermazione della Relazione secondo cui l’entità degli aborti prima del-la legalizzazione era stimata tra i 220 e i 500 mila l’anno: quest’ultimonumero significherebbe che ogni donna (anche le vergini e le sterili)avrebbe mediamente praticato 1,35 aborti nel corso della sua vita (oltregli eventuali aborti spontanei). Per 220 mila, poco meno della metà. Oggi, afferma la Relazione, l’ultima stima (molto ottimistica) è quella di

15.000 riferita all’anno 2008, su dati del 2005, che por-terebbero gli aborti del 2011 a più di 125.000. Tutti que-sti numeri, però, trascurano gli aborti invisibili (quelli conle pillole del giorno o di cinque giorni dopo), che calcolibasati su dati di studiosi abortisti (numero delle pillole ven-dute, dei cicli femminili, delle fecondazioni statisticamenteattese eccetera) indicano quantità di aborti precocissimie non avvertiti che potrebbero andare da decine a cen-tinaia di migliaia l’anno. Anche se questo dato non puòessere materialmente documentato, il forte calo di abor-ti “ufficiali” può essere certamente attribuito al fatto nuo-vo della cosiddetta “contraccezione d’emergenza”.Non va dimenticato, infine, il dato dell’uso crescente del-la RU 486, la pillola esplicitamente abortiva: 3.836 casinel 2010 e poco meno (3.404) nei primi sei mesi del 2011.

La Relazione registra, ma non gli dà la rilevanza che merita, il fatto chequasi tutte le donne che l’hanno assunta in ospedale sono andate poia casa per abortire in solitudine e, dunque, in violazione dell’articolo 8della legge 194, che obbliga a praticare l’aborto in una struttura pub-blica o autorizzata, nel quadro del progetto di “socializzazione” dell’a-borto e contro la solitudine degli aborti clandestini. Con il che il bluff ècompletato. Restano, però, alcuni dati “morali” indiscutibili di là di ognicontabilizzazione: la strage di esseri umani, cui la piccolezza non togliel’umanità anche se giuridicamente sono privati del loro diritto a una per-sonalità; la morte di migliaia di embrioni con la fecondazione artificia-le e con la ricerca e l’uso delle loro cellule staminali; infine le battagliepolitiche per la legalizzazione dell’eutanasia (una pratica già avviata conla fine di Eluana, di Welby, di Coscioni).È sempre più evidente che quelli che i partigiani della morte rivendi-cano come “diritti civili” sono in realtà “delitti civili”, ai quali sembranoassistere la pubblica opinione con una preoccupante indifferenza e, conpari entusiasmo una buona parte del mondo politico. I cristiani, i qua-li sanno che la morte è stata vinta, non possono lasciare che il suo trion-fo diventi il segno caratterizzante del ventunesimo secolo, verso il qua-le andavano le grandi speranze del beato Pontefice Giovanni Paolo II.

possano mascherare il brutto messaggio che sta-te sostenendo. Marta è viva, forse, solo graziealla “poca professionalità” di un medico, che evi-tando un’amniocentesi ha permesso a lei non sce-gliere e quindi…fare la scelta giusta.Ogni don-na può decidere oggi, le è concesso da una leg-ge dello Stato, ma non tutte le leggi, per il solofatto di essere leggi, sono buone. Sarebbe piùbello vivere in una società dove ogni vita venis-se rispettata appieno, soprattutto durante quel-la fase dello sviluppo che è stata così indispen-sabile anche per noi. Nessuno sarebbe venuto alla luce se ci avesserobloccato lungo quel delicato processo.E come parlare di difesa dei diritti dei disabili, del-le persone diverse da noi “sani” (che sani forselo siamo nel corpo ma non nella mente) se poiriconosciamo come opinabile la dignità intrinse-ca ad ogni vita, soprattutto a quella più debole?

Questa è davvero, da sempre, una lotta ad armiimpari, e il potente ha sempre la meglio. Siamonoi potenti, individui formati, che abbiamo il pote-re di vita o di morte. Pensate solo quanta meschi-nità.Nessuno può essere obbligato a diventaremadre o padre, lo si può imparare, ma allo stes-so tempo nessuno dovrebbe avere il diritto di giu-dicare una vita meritevole di essere rispettata omeno solo perché diversa, malata, scomoda ofuori programma.Purtroppo questi sono i messaggi che diamo allenuove generazioni, a quei figli che hanno avutola fortuna di avere genitori che li hanno accetta-ti, che non hanno voluto o, forse e per fortuna,potuto scegliere. Mi sarebbe piaciuto far vederealla mia figlia grande la sua storia come una sto-ria di coraggio. Una madre, che nonostante le pro-messe di chissà quali fortune o risarcimenti, rifiu-ta queste meschinità e decide di lottare per soste-

nere la straordinarietà della vita di sua figlia, unafiglia che sarebbe stato un orrore eliminare e che-può diventare baluardo di una difesa incondizionatadella vita... sarebbe stato bello sentirle dire “perfortuna non feci l’amniocentesi, così ora possogodermi la mia bambina, perché forse avrei fat-to una scelta orribile”. Perché se avesse abortito non avrebbe eliminatoun semplice ammasso di cellule, quello che nonavrebbe mai visto sarebbe stato il volto di suafiglia! Credo che voi siate stati molto fortunati, per-ché avete rischiato di poter scegliere di fare lacosa sbagliata, la cosa peggiore e non avete avu-to il modo (e forse, mi piace pensare, davverola voglia di farlo).E un bacio speciale a Marta, la cui vita così pre-ziosa può diventare forza per molti. …e ditele chemai e poi mai l’avreste eliminata perché down.Buona fortuna, Marta.

1010 Novembre Novembre 20122012

Claudio Capretti

SS ono in cammino verso di te, SignoreGesù, ed è la tempesta della sofferenzache mi spinge a bussare alla tua por-

ta. Solo tu puoi liberare mia figlia da un demo-ne che da tempo la perseguita, ed è questo spe-cifico dolore, che mi ha costretta ad un cam-mino che forse non avrei mai fatto, un cammi-no che ora mi sta conducendo verso il luogodove sei, o forse, dove ti sei nascosto.I maghi, servi degli dei con cui sono cresciu-ta, non hanno potuto nulla contro la malattia dimia figlia, hanno alzato le spalle come segnodi resa, ma le loro mani non si sono chiuse perrifiutare l’offerta a loro dovuta. Nel frattempo, molti del mio popolo, hanno rico-nosciuto in te qualcosa di grande, quel gene-re di cose che non si possono descrivere a paro-le, che per comprenderle un poco devi solo viver-

le di persona e una volta compre-se, noi pagani per paura dei sacer-

doti di Baal, le dobbiamo tace-re. Sono cananea di nasci-

ta e quindi pagana agliocchi del tuo popolo, quin-

di meritevole di nonavvicinarmi a

n e s s u n

ebreo per non contaminarlo. Non ignoro tutto questo e so che tu sei un verofiglio d’Israele, ma l’unica forza che mi è rima-sta è la mia fede in te. Durante questo mio peregrinare verso di te, peralleggerire un poco il mio cuore, mi chiedo cosati abbia spinto a venire in queste terre, a lascia-re anche se per poco la tua terra, la tua gen-te, e mi piace giungere alla conclusione che tusia qui per me.Qualcuno mi ha detto che sarebbe stato un viag-gio inutile perché non molto tempo fa, nell’in-viare i tuoi discepoli, hai comandato loro di anda-re prima alle pecore perdute della casad’Israele e di non entrare in casa dei pagani.Non so se sia vero, ma non mi sono persa dicoraggio ed ho risposto loro che comunque nonhai vietato ai pagani di cercarti o di venire incasa tua. Non deve essere un caso che tu siaqui, entrambi siamo usciti dalle nostre case, dalnostro popolo; questo non è forse un segno?Io non osavo venire nella città santa a cercarti,

è forse per questo che tu seivenuto da queste

parti? Oggi permia figlia hodimenticatoil mio popo-lo, la casa dimio padre.Ti piacerà

la mia

bellezza o mio Signore? La bellezza del mio con-fidare solo in Te? Quanti pagani hai incontrato sulla tua strada,Figlio di Davide? E se questo mio dolore, ser-visse a divenire una tua primizia, per tutti queipagani che come me, sono ancora alla ricer-ca della Verità? Più mi avvicino a te e più mi chiedo come faròad aprirti il mio cuore, di certo ti dirò: “Mio Signore,sapessi come è atroce quando il male tocca ituoi figli. E’ una cosa contro la natura umanavedere soffrire i propri figli e scontrarsi con unaimpotenza che ti impedisce di aiutarli”.Tu non hai figli, ma sei stato figlio e di sicuroti ricorderai i momenti di apprensione che tuamadre ha avuto per te, sono certa che ce nesaranno stati, allora guardami, te ne prego, attra-verso i suoi occhi.Sono giunta alla meta, eccomi ora davanti a Te,ti identifico immediatamente in mezzo ai tuoi,è ora il momento di consegnarti tutto il mio dolo-re. Urlo senza nessuna dignità, mi inginocchiosenza alcun ritegno come segno che porto sul-le mie spalle un peso superiore alle mie forze,spezzo la mia solitudine dicendoti:“Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Miafiglia è molto tormentata da un demonio”. Tutti hanno fatto spazio ad un imbarazzante silen-zio, in alcuni di loro ho letto un senso di pietà,qualcuno ha raccolto il mio dolore avvicinan-dosi a me, ma non tu. Perché? E’ come se per te io non esistessi, comese il tuo cuore fosse altrove. Atroce silenzio, acui non sai cosa rispondere, che non proferendoparole non dai appiglio ad una seppur minimareplica. Che abbia sbagliato tutto? Avevano forse ragione coloro che volevano far-mi desistere dal venire da te?Almeno guardami te ne prego, se non vuoi par-larmi almeno guardami…. Volgo lo sguardo verso i tuoi, imploro più di pri-ma, so in cuor mio che non voglio, non devodesistere.

1111NovembreNovembre20122012

Devo importunarti se non direttamente, alme-no attraverso i tuoi. Qualcosa sta ora succe-dendo, qualcuno si avvicina a te dicendoti:“Esaudiscila, perché viene dietro gridando!”Felice insistenza, santa inopportunità che ti haportato ora ad accorgerti di me tramite i tuoi disce-poli. Con una durezza che sembra non appar-tenerti dici: “Non sono stato mandato se nonalle pecore perdute della casa d’Israele”. Questo tuo rispondere mi da ora il presuppo-sto per avanzare, per supplicarti ancora con insi-stenza, per alimentare quella speranza che miha condotto oggi dinnanzi a te. Non ho grandi discorsi da farti Signore, so chesai tutto, che conosci le profondità del mio cuo-re infranto, sai chi sono, da dove vengo, masoprattutto io so che sei il Messia atteso dal tuopopolo, so che se tu vuoi, puoi aiutarmi. Trascino le mie ginocchia fino ad avvicinarmiun po’ di più a te, ti imploro con una forza mag-giore dicendoti: “Signore ti prego, aiutami”.Non ho mai pregato nessuno con tanta insistenza,ma sono certa che nessuno è come te e se nonmi aiuti tu nessuno potrà mai farlo. Ma ades-

so, ne sono certa, qualcosa è mutato mi hai fat-to intravedere una porta che era già dischiu-sa, perché ti volgi a me dicendomi:“Non è bene prendere il pane dei figli e get-tarlo ai cagnolini” . Come sono vere queste tue parole, riconoscoora con maggior chiarezza che sei tu quel panedestinato ai tuoi fratelli, al tuo popolo. Ma chiosa chiederti tanto o mio Signore? Non sono idonea per questo cibo così consi-stente, né credo di meritarlo; ma lo voglio, neho bisogno, per questo non ho timore a dirti:“ E’ vero, Signore, eppure anche i cagnoli-ni mangiano le briciole che cadono dalla tavo-la dei loro padroni”Un briciola Signore, va bene anche una solapiccola briciola del tuo pane, non posso dige-rire se non una sola briciola della tua salvez-za, questo per me basta. I dei con cui sono cre-sciuta mi hanno dato solo pane duro, rancido,avvelenato, e non sono che una pagana lon-tana dal popolo eletto, il pane vero disceso dalcielo è innanzi tutto per loro. Il tuo popolo è sta-to preparato per secoli alla tua venuta, per me

le cose sono andate diversamente. Donami allora Signore questa briciola, affinchéio veda la tua potenza e la tua gloria e diven-ti anch’io briciola per il mio popolo e invece dipadri, avrò figli, che tu farai principi su tutta laterra. Che salvando la mia figlioletta dal mali-gno io possa dire a tutti che tu sei il Salvatore,che io sia testimone della tua potenza.Ti avvicini ora a me e dai tuoi occhi capiscoche la tua iniziale durezza, era solo per pro-vocare in me una fede ancor più profonda, piùmotivata. Quanto dolore avrai provato o mio Signorenel mettermi alla prova? Si, ora ne ho la certezza, c’era un sorriso nasco-sto sul Tuo volto. Mia inesauribile sorgente diacqua viva fonte di ogni misericordia, per unistante che a me parve un’eternità ti negasti allamia sete; breve notte oscura sfiorata dal Mistero,rischiarata ora dalle Tue eterne parole che por-tano in sé il profumo della salvezza: “Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri”.

Nell’immagine: Cristo a Cananea, Pieter Pietersz, 1617, Amsterdam

Istituto Diocesano Sostentamento del Clero

Insieme ai sacerdoti. Insieme ai più debo-li è il nuovo slogan che accompagnerà la GiornataNazionale (GN) Offerte 2012. La frase Insiemeai più deboli vuole sottolineare la vicinanzadei nostri sacerdoti alle fasce più bisognose edin difficoltà. Su base nazionale, la raccolta delle Offerte, èin calo e c’è il rischio che, anche a causa del-la crisi, vi sarà un’ulteriore drastica diminuzio-

ne. Ma non è in calo la generosità eil desiderio di aiutare i sacerdoti.Quindi sarà molto importante il contri-buto che ogni incaricato diocesano potràdare nell’opera di sensibilizzazione. Lo scorso anno sono state raccolte nel-le nostre parrocchie della Diocesi di Velletri-Segni la somma di € 14.803. Speriamo che quest’anno la generositàdei fedeli sia ancora maggiore e saràuna ulteriore occasione per ricambia-re la generosità dei nostri sacerdoti dio-

cesani cheogni giornoannuncia-no i lVangelo,offrendo a tutti cari-tà, conforto e spe-ranza. Ognuno faccia la suaofferta secondo le suepossibilità perchè inostri sacerdoti pos-sano continuare laloro missione.Le offerte si posso-no dare al Parrocoche provvederà aconsegnarle all’Istituto

Diocesano Sostentamento Clero. Le offerte più consistenti fino a un massimo di€ 1.032,91 si possono dedurre dal reddito impo-nibile nella dichiarazione dei redditi, per que-sto è necessario allegare la ricevuta rilasciatao dall’Istituto Diocesano Sostentamento Clero*o dalla Posta o Banca presso la quale si fa ilversamento.

*Sede: Corso della Repubblica 343 00049 Velletri RM

segue da pag.10

25 NOVEMBRE 2012

UNA DOMENICA PER I SACERDOTI

1212 Novembre Novembre 20122012

mons. Luigi Vari*

LL ’influenza della Bibbiasulla lingua e la civiltà èun dato, che tutti affermano,

ma che forse sfugge nella sua rea-le complessità. Mi è capitato di leg-gere in sequenza due brani, riferi-ti alla Bibbia e alla sua importan-za, che possono essere utili per unariflessione più approfondita su que-sto tema. Il primo brano è sorprendenteper la sua violenza, il romanzierePhilip Roth, nel suo libro, LaControvita, a proposito dei coloniebrei, fa pronunciare a un perso-naggio queste parole: “La Bibbia è la loro Bibbia: questiidioti la prendono sul serio. Te lo dicoio, nella santificazione di quel libroc’è tutta la follia della razza umana. Tutto quello che non va in que-sto paese si trova nei primi cinque libri dell’Antico Testamento. Sbaragliail nemico, sacrifica tuo figlio, il deserto è tuo e di nessun altro finoall’Eufrate. Ogni due pagine si contano i cadaveri dei Filistei: eccola saggezza della loro fantastica Torah ”.Sono parole, che nel romanzo fanno parte di un’invettiva; ma ser-vono a togliersi dalla mente il pensiero che tutti, ebrei compresi, sonolettori abili della Bibbia, e aprono il grande problema del valore dialcune pagine della Bibbia.Tante persone, pur non arrivando a queste forme di linguaggio cosìviolente, restano perplesse di fronte a pagine ed episodi. Chi per esempio non trova difficile giustificare il comportamento diDio che punisce quelli che non hanno sterminato i nemici? Ci sono, nella stessa Bibbia, delle proteste forti contro comportamentio non comportamenti di Dio; in un profeta si rimprovera a Dio il suosilenzio, l’incapacità di salvare, se leggiamo i primi versetti del pro-feta Abacuc, c’è scritto che non serve a nulla un Dio che non salva,e che la preghiera è inutile se Lui non ascolta. Abacuc sembra dire:se stai zitto, è come se non esistessi.Un libro che contiene queste frasi e provoca reazioni come quellacitata, non è un libro qualunque da salotto letterario.C’è un libro appena uscito, scritto da un non credente, George Steiner,il Libro dei Libri, che dice con chiarezza, proprio nell’incipit:“La Bibbia non è un libro. È il libro”, lo paragona, parlando della suarelazione con gli altri libri, al rumore di fondo della creazione, a dire

che non c’è nessun libro, che, in qual-che modo non riproduca il suono del-la Bibbia.Steiner ha il merito di mostrare comealcune affermazioni, che siamo abi-tuati a fare, siano concretamente dimo-strabili; così fa esempi per illustra-re come la traduzione della Bibbiaper i paesi di lingua inglese abbiacontribuito a creare e a diffonderequella lingua. Tutti sappiamo che il tedesco si affer-ma e diffonde come lingua nazio-nale grazie alla traduzione diLutero. Se restiamo nella lingua ita-liana, potremmo fare una lista d’in-numerevoli frasi bibliche che fannoparte della lingua e che sono pro-nunciate da tutti, anche quelli chene ignorano la provenienza.

In Italia, probabilmente non si approfondisce la dipendenza della lin-gua dalla Bibbia, ma se l’italiano è il fiorentino, questo dialetto s’im-pone perché diventa la lingua di Dante, ed è superfluo dire che lalingua della Divina Commedia è legata in maniera indissolubile allaBibbia. Da noi è più evidente il legame fra la Bibbia e l’arte; è visitando Chiesee musei che noi siamo spinti, per comprendere quello che vediamoa fare riferimento alla Bibbia, quella disegnata sui muri, quella cheha dato materia a tutti i nostri artisti.È veramente un monumento che domanda grande sensibilità cul-turale per essere apprezzato. Chi parla la lingua della Bibbia, puòparlare con tutti e non si tira mai indietro da nessun ragionamento,anche quello più duro e irriguardoso.Mi si permetta una piccola nota di esperienza, una sorpresa, che miviene quando mi rendo conto che a dire queste cose anche a stu-denti di teologia, a cinquant’anni dal Concilio, si trova qualche fac-cia inespressiva e si incrocia qualche sbadiglio annoiato.Non è che per parlare di Bibbia dobbiamo andare da qualche roman-ziere giudeo americano o da qualche non credente che, però scri-ve che tutto il resto sembrano scintille, molto distanti, che si spri-gionano da questo nucleo incandescente.

*parroco e biblista

1313NovembreNovembre20122012

don Andrea Pacchiarotti*

II l tempo, nella cultura sociale attuale, sem-bra non avere alcuna consistenza se nonil suo scorrere regolare ed omogeneo, non

si riconosce al tempo alcuna qualità rilevanteper la vita umana se non la sua disponibilità. Inoltre, il tempo inteso come passato è percepitospesso come migliore di quello presente.Il futuro, invece, è oggi avvertito come minac-cioso, come realtà non desiderabile da vive-re. Questa comprensione del passato e del futu-ro ha una ricaduta sul tempo presente che spes-so è vissuto e percepito con sfiducia. Benedetto XVI, indicendo l’Anno della fede, ciha invitato ad assumere uno sguardo di fedeche aiuti a cogliere quei semi di speranza spes-so invisibili in questo nostro presente. La sfida è riaccendere nei cuori la nostalgia diDio, mostrare che credere vuol dire abbracciareun orizzonte totale, che illumina tutta la vita:passato-pesente-futuro.L’Avvento vissuto nell’Anno della fede diven-ta così l’occasione per scoprire e far scoprirela bellezza incarnata in Gesù Cristo. La fede,infatti, è un deposito che ci raggiunge dal pas-sato e ci spinge verso un compimento futuro.La fede aiuta a percepire il tempo come pie-no di Dio, non solo nel passato, non solo nelfuturo, non solo nel presente, ma sempre. Un nuovo Avvento, un nuovo Natale, un nuo-vo Anno liturgico! Nuovo, ma non un altro, per-ché noi viviamo un’unica attesa di un’unica venu-ta, viviamo un unico stupore di fronte al Misterodell’incarnazione nel tempo di Colui che ha riem-pito il tempo di eternità. La Chiesa, nella sua sapienza di Madre, gui-dandoci a celebrare un nuovo Anno liturgico,ci conduce a riappropriarci del tempo così comeci è dato da Dio, giorno dopo giorno. Il tempodiventa così occasione di grazia, tempo per incon-trare la Persona divina e umana del Redentore,per partecipare della sua salvifica presenza,della sua umanità che trascende ogni limite deltempo e dello spazio. L’Avvento è per ciascuno di noi il tempo di Dionel tempo dell’uomo! Per questo motivo, il tem-po, che la fede della Chiesa e di ciascun cre-dente celebra, non è una nozione astratta, un’i-dea, ma diventa itinerario da vivere perlasciarsi toccare il cuore dalla volontà di sal-vezza e di bene del Dio che si fa carne, delDio che muore e risorge per riempire di spe-ranza e vita ogni nostra esistenza.Il tempo di Avvento conduce il cristiano a que-sta realtà attraverso un duplice itinerario. L’Avvento “è tempo di preparazione alla solen-nità del Natale, in cui si ricorda la prima venu-ta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contempo-raneamente è il tempo in cui, attraverso talericordo, lo spirito viene guidato all’attesa del-la seconda venuta del Cristo alla fine dei tem-

pi” (Norme per l’anno liturgico e il calendario,39: Messale p. LVI). La liturgia delle prime domeniche e delle feriesino al 16 dicembre insiste sul tema della secon-da venuta di Gesù alla fine dei tempi, per que-sto il nostro sguardo celebrativo è proteso ver-so il futuro. Mentre nei giorni compresi tra il 17e il 24 tutta la liturgia è ormai tesa verso la cele-brazione della nascita del Figlio di Dio, doveil nostro sguardo è chiamato a mettere in luceun evento del passato.Attesa della prima, umile venuta del Salvatorenella nostra carne mortale; sguardo sull’ultima,gloriosa venuta di Cristo, Signore della storiae Giudice universale. Futuro e passato in manie-ra preziosa illuminano il presente e la celebrazioneeucaristica con la sua pedagogia richiama sem-pre a vivere di questa presenza. Tale comprensione del tempo e l’espressionedella fede che in esso è incarnata e testimo-niata può aiutare ogni comunità a vivere l’Avventonell’Anno della fede, come riscoperta della pre-senza di Dio nel tempo che vivo. Di seguito, propongo alcune indicazioni litur-gico-pastorali che aiutino a vivere questa dimen-sione. La corona tipica del tempo di avvento,può arricchirsi nelle quattro domeniche dellapresenza di alcuni personaggi che possono esse-re proposti come testimoni di fede: Geremia, che è il profeta che ci raggiun-ge con la sua voce nella prima dome-nica (Ecco, verranno giorni - oracolodel Signore - nei quali io realizzerò lepromesse di bene che ho fatto alla casad’Israele e alla casa di Giuda); Giovanni il Battista (Voce di uno chegrida nel deserto: Preparate la via del Signore); Giuseppe e Maria testimoni privilegiati delcompiersi delle promesse di Dio. La fede di questi testimoni è ancora oggi model-lo per ciascuno di noi. La comunità riunita, può essere introdotta nel-le quattro domeniche alla dimensione dellafede incarnata nel tempo e nel vissuto di cia-scuno attraverso quattro approfondimenti,che posso essere considerati anche deglislogan per ogni domenica. Prima domenica, Volgiamo lo sguardo alfuturo: la nostra storia ha una meta.Seconda domenica, Volgiamo lo sguar-do al passato: la storia è abitata da Dio.Terza domenica, Volgiamo lo sguardo alpresente: la mia storia personale. Quarta

domenica, Assumiamo uno sguardo difede. Nella celebrazione domenicale questi quattro“sguardi” possono essere messi in risalto in alcu-ni momenti diversi della Messa. Anche la cele-brazione, in realtà, afferma che la nostra esi-stenza è piena di Dio.Infatti, la Messa si apre e si chiude con un augu-rio, che diventa costatazione e richiamo: Il Signoresia con voi! Verità riaffermata in momenti car-dine della celebrazione: prima della lettura delVangelo, al Prefazio e allo scambio della pace. Per questo, secondo lo schema sopra propo-sto, la Prima domenica si può sottolineare IlSignore sia con voi alla fine della Messa; la Secondadomenica quello prima del Vangelo; la Terzadomenica quello all’inizio della celebrazione oallo scambio della pace; la Quarta domenicaquello all’inizio del Prefazio.A tutte le comunità parrocchiali buon cammi-no d’Avvento nell’Anno della fede.

*Vice-parroco e liturgista

Nell’immagine: San Giovanni Battista, part.,Francesco del Cossa, 1473, Brera

1414 Novembre Novembre 20122012

don Antonio Galati

II nsieme al Matrimonio, l’altro sacramento “aservizio della comunione” è quello dell’Ordine,che configura gli uomini, definiti sacerdoti

e ministri ordinati, al servizio della comunità eccle-siale. È un sacramento tipico della tradizionecristiana, anche se per alcune funzioni e signi-ficati attinge alla tradizione giudaica veterote-stamentaria. In questo contributo, quindi, rias-sumeremo, in maniera non esaustiva, sia la tra-dizione sacerdotale veterotestamentaria, che ilmessaggio neotestamentario riguardo a Gesùcome sacerdote. Lasceremo ai mesi successivila riflessione sullo sviluppo storico che ha con-figurato questo sacramento come lo conoscia-mo oggi –inserendo, per motivi di spazio, in que-sto luogo il resto della riflessione neotestamentariasul sacerdozio– e sulle sue implicazioni dottri-nali e pastorali.Il sacerdozio nell’Antico TestamentoNella tradizione veterotestamentaria appare chia-ro che Israele è costituito da Dio come una nazio-ne santa e un popolo sacerdotale (cfr. Es 19,6),il cui re è il Signore stesso e che si organizzaintorno alla città santa, Gerusalemme, perchélì ha sede il Tempio, cioè la casa di Dio pres-so il suo popolo. È nel Tempio che Israele ren-de culto a Dio, per il rendimentodi grazie e l’espiazione dei pec-cati. Ovviamente questa identitàe configurazione di Israele non èdata una volta per tutte e nean-che subito è apparsa così chiara.È durante tutto il periodo dell’esodoe della monarchia fino all’esilio babi-lonese che in Israele matura que-sta consapevolezza e anchedurante e dopo il ritorno dall’esi-lio questa si mantiene viva, anchese in una prospettiva diversa, alfuturo, e più di carattere messia-nico-spiritualista (cfr. Is 61,6;62,12).All’interno del popolo sacerdota-le, comunque, si individua una tri-bù, quella di Levi, che è specifi-catamente al servizio dell’identi-tà sacerdotale di tutto Israele. Gliappartenenti a questa tribù eranosacerdoti e leviti. La tribù di Leviriceve quest’incarico sacerdotalegià nel periodo mosaico, anche sea quell’epoca non c’era ancora gran-de distinzione tra sacerdoti eleviti. Questa distinzione si accen-tua principalmente durante lamonarchia dove i leviti diventanogli aiutanti dei sacerdoti e si

occuperanno del Tempio come custodi e servi(cfr. Nm 18,7-20 e Ez 44,11-14), mentre i sacer-doti saranno coloro che offriranno il culto a Dioe benediranno Israele in suo nome (cfr. Nm 18,21-32 e Ez 44,15-16.30).In generale, il compito dei sacerdoti nell’AnticoTestamento è duplice: il servizio di Dio e la bene-dizione dell’assemblea. Il primo compito si espli-ca principalmente quando i sacerdoti compaionodavanti a Dio con le vesti sacre, per raccoglieretutto ciò che è l’esperienza cultuale e del lavo-ro di tutto il popolo e presentarla a Dio nel suoTempio, sia davanti l’altare che nel Santo deiSanti. In questo caso il sacerdote è la via di acces-so del popolo a Dio. L’altro compito configurail sacerdote, invece, come il ponte nel sensoopposto, cioè come la via di accesso ordinariadi Dio verso il popolo. In questo caso quandoil sacerdote benedice il popolo dopo che que-sti ha portato la sua offerta, è in realtà Dio chebenedice la sua gente. Il sacerdote è, quindi,anche il rappresentate di Dio in mezzo al suopopolo. In entrambi i compiti il sacerdote è unmediatore.Un ulteriore aspetto del sacerdote veterotestamentarioè sottolineabile a partire dai riti di consacrazione.Infatti l’essere appartenente alla tribù di Levi èla condizione necessaria per essere sacerdo-

te, ma non è sufficiente. È necessario, anche,una consacrazione fatta di un bagno rituale, un’in-vestitura, un’unzione e di sacrifici (cfr. Es 28-29; 40,13-15 e Lv 8). Tutto atto ad esprimereuna sorta di “separazione” ed “elevazione” delsacerdote rispetto al resto del popolo.Il sacerdozio di GesùParlare di sacerdozio nel Nuovo Testamento signi-fica parlare di Gesù e del suo ruolo sacerdo-tale. Se si scorre tutto il Nuovo Testamento sipuò notare che mai Gesù ha rivendicato a séil ruolo di sacerdote così come si è configura-to nella tradizione ebraica. Inoltre Egli non eraneanche della tribù di Levi, quindi non potevain alcun modo essere considerato come un sacer-dote neanche dai suoi contemporanei (cfr. Eb8,4). Inoltre, quasi in tutto il Nuovo Testamentonon si parla mai di Gesù come sacerdote. Faeccezione, praticamente, solo la Lettera agli Ebrei(cfr. tra l’altro Eb 2,17; 7,3.17).Rispetto al sacerdozio istituzionale veterotestamentario,il sacerdozio di Gesù Cristo si pone in discon-tinuità e in continuità parziale. In rapporto di con-tinuità ci si pone sotto l’aspetto della mediazione.Se i sacerdoti dell’Antico Testamento erano media-tori tra Dio e gli uomini, lo stesso deve dirsi diCristo come sacerdote, ma la continuità è soloparziale perché egli supera la separazione tra

cielo e terra, in quanto Figlio diDio e figlio dell’uomo, e quindi anchela mediazione è una mediazioneperfetta che supera quella vete-rotestamentaria. Oltre che incontinuità, però, egli, come sacer-dote, è in discontinuità con il sacer-dozio ebraico. Se il sacerdote vete-rotestamentario è costituito talein forza di riti che ne sancisconola separazione dal popolo, Gesùè sacerdote in forza del suo abbas-samento e della solidarietà conl’umanità intera (cfr. Eb 2,17). Èun sacerdote coronato di gloriae onore in forza della morte cheha sofferto per tutti (cfr. Eb 2,9).Infine, la novità di Cristo come som-mo ed eterno sacerdote dipendedal fatto che in Lui coincidono anchel’offerente e l’offerta (cfr. Eb 3,1;7,24-25; 9,13-14): egli è il sacer-dote che offre se stesso come offer-ta gradita a Dio per l’espiazionedei peccati del popolo.

Nell’immagine: I sacerdoti del tempio trasportano l’arca con le tavole della legge,

Luigi Ademollo, 1816, Firenze

1515NovembreNovembre20122012

Giorgio Innocenti*

SS ono passati ormai sette anni da quell’autunno del 2005 quan-do la Caritas diocesana inaugurò la casa di accoglienza “SanLorenzo”. Sono state ospitate tante persone, a molte altre

è stato offerto un po’ di tempo per essere ascoltate, per qualcuna diqueste il progetto ha rappresentato un’ancora di salvezza, uno sco-glio dal quale ripartire. Quest’anno, per festeggiare l’anniversario, la Caritas vuole offrire unadoppia occasione di formazione e conoscenza sul tema della GiustiziaRiparativa con due incontri il Venerdì sera alle 21 presso la Sala card.Clemente Micara del Palazzo Vescovile di Velletri.Il primo il 26 ottobre con Padre Francesco Occhetta S.I., giornali-sta, giurista di formazione, che si è occupato molto di diritto, diritti uma-ni, ed in particolare ha pubblicato sulla Giustizia Riparativa per AggiornamentiSociali e per Civiltà Cattolica oltre ad averne avuto un’esperienza fat-tiva nel suo servizio nel carcere di San Vittore a Milano. Il secondo appuntamento, il 9 novembre, vedrà invece come relato-re Don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani delle car-ceri italiane, è stato per oltre venti anni cappellano del carcere di Bergamodove ha costituito, presso la locale Caritas diocesana, l’ufficio di MediazionePenale e Giustizia Riparativa. La scelta del tema è lega-ta strettamente all’attività diquesti anni; alle personeincontrate: tante storie,sofferenze, speranze. Maqueste storie spesso nonraccontavano del delitto, deldolore arrecato, sembravanodimenticare la vittima.È inevitabile se si fre-quenta il carcere. In carceresi finisce perché si è com-messo “fatto che costitui-sce reato”.Il reato è indicato con il nume-ro dell’articolo del codice diprocedura penale. Raramente una persona dete-nuta parla della vittima o del-le vittime del proprio rea-to. Dal punto di vista psi-chico il meccanismo sichiama rimozione e servea proteggere la persona dalpeso della colpa. La pena, che secondo il det-tame costituzionale dovreb-be tendere proprio alla

rieducazione, stanti le attuali modalità di esecuzione, asseconda que-sta inclinazione individuale e si riduce ad un percorso di deresponsa-bilizzazione del reo. Ad un’infrazione di una certa gravità corrispondeuna detenzione di una durata commisurata: e tutto si conclude così. Resta il danno arrecato e resta incompiuta la rieducazione che, a benvedere, non può realizzarsi a prescindere da una presa di coscienzadel male perpetrato. Il reo diventa un soggetto passivo di un “tratta-mento” che lo dovrebbe rendere migliore. Da questa constatazione l’attenzione che Casa San Lorenzo ha sem-pre voluto porre nel non dimenticare il punto di vista di chi i reati li sub-isce ed il crescente interesse per quella che viene definita la GiustiziaRiparativa. Questo orientamento prende in considerazione il reato intermini non meramente formali (un articolo del codice di procedura pena-le), ma sostanziali: come un vulnus arrecato a singole persone e aduna comunità. Il reo diventa un soggetto attivo che ha l’obbligo di por-re rimedio alle conseguenze che la sua condotta ha determinato.Sono coinvolti attivamente in questo processo riparativo la vittima, l’of-fensore, le rispettive cerchie di amici e parenti, e la comunità civile nelsuo insieme. La soluzione a cui tendere dovrebbe essere, se possi-bile, condivisa da questi attori.Il coinvolgimento della comunità è indispensabile: ogni reato rappre-senta un danno al singolo ma anche all’intera collettività, minando ilpatto sociale che è alla base della pacifica convivenza. Una prospettiva che si mostra realmente rivoluzionaria rispetto alle tra-dizionali teorie sulla pena, sia che si pensi a quella retributiva che a

quelle preventive e che impo-ne un cambio di mentali-tà effettivamente non sem-plice. Questo chiama in cau-sa il ruolo educativo del-la Caritas che, nell’animarele proprie comunità, nonpuò prescindere dallo sti-molare un atteggiamentodi apertura alla mediazionedei conflitti che superi lelogiche retributive o ven-dicative. Cosa che peral-tro sarebbe un primo pas-so per adeguarsi al dettameevangelico che andava deci-samente oltre esortan-do: “amate i vostrinemici, benedite colo-ro che vi maledicono,fate del bene a quelli chevi odiano, e pregate perquelli che vi maltrattanoe che vi perseguitano…”

* Caritas Diocesana

Nell’immagine: un’opera di Zoya Frolova

1616 Novembre Novembre 20122012

Don Dario Vitali*

«Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, crea-tore del cielo e della terra»: così recita il primoarticolo del Simbolo della fede. Si tratta dell’affermazione su cui poggia tutta laprofessione di fede, il fondamento che permet-te la costruzione dell’intera fede cristiana, espli-citata negli articoli a seguire, che parlano di Cristo,dello Spirito, della Chiesa, della vita eterna.Il Catechismo della Chiesa Cattolica introducequesta verità, spiegando che «la nostra profes-sione di fede incomincia con Dio, perché Dio è“il primo e l’ultimo” (Is 44,6), il Principio e la Finedi tutto. Il Credo incomincia con Dio Padre, per-ché il Padre è la prima persona della SantissimaTrinità. Il nostro Simbolo incomincia con la crea-zione del cielo e della terra, perché la creazio-ne è l’inizio e il fondamento di tutte le opere diDio» (n. 198). Dunque, questa breve frase si rive-la più complessa di quanto non si possa pensarea una prima lettura.In un certo senso, già la prima frase va letta sudue piani: «Credo in un solo Dio», significa anzi-tutto credere che Dio è uno! Il fede cristiana pro-fessa l’Unità e Trinità di Dio. Il portale d’ingres-so nella professione di fede è l’affermazione cir-ca l’Unità, o meglio sarebbe dire l’Unicità di Dio.Questa semplice espressione è una ripresa del-lo shemā Israel, la formula di fede che ogni israe-lita recitava ogni giorno: «Ascolta Israele: il Signoreè il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai ilSignore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’a-nima e con tutte le forze» (Dt 6,4). Riverbera inquesta semplice frase tutta la fede di Israele nelDio dell’alleanza: se gli altri popoli si affidano ailoro idoli, Israele ripone la sua fiducia nel suo Dio.Questa fede, che ha il suo momento fondantenell’esperienza dell’Esodo, si è chiarita lungo itornanti della storia, attraverso un cammino di puri-ficazione che ha portato Israele a riconoscere ea proclamare il suo Dio come l’unico Dio, crea-tore del cielo e della terra.Sempre il Libro del Deuteronomio, rileggendo lastoria a partire dall’alleanza tra Dio e il suo popo-lo dopo la liberazione dall’Egitto, illustra le impli-cazioni dell’alleanza tra Dio e Israele: «Ora, Israele,che cosa ti chiede il Signore tuo Dio, se non chetu tema il Signore tuo Dio, che tu cammini perle sue vie, che tu lo ami, che tu serva il Signoretuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima, chetu osservi i comandi del Signore e le sue leggi,che oggi ti do per il tuo bene? Ecco, al Signore tuo Dio appartengono i cieli ei cieli dei cieli, la terra e quanto essa contiene.Ma il Signore predilesse soltanto i tuoi padri, liamò e dopo di loro ha scelto tra tutti i popoli laloro discendenza, cioè voi, come avviene oggi.

Circoncidete dunque il vostro cuore ostinato enon indurite più la vostra cervice, perché il Signore,vostro Dio, è il Dio degli dei, il Signore dei signo-ri, il Dio grande, forte e terribile che non usa par-zialità e non accetta regali, rende giustizia all’or-fano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà panee vestito. Ama dunque il forestiero, perché anchevoi foste forestieri nella terra d’Egitto. Temi il Signoretuo Dio, servilo, restagli fedele e giura nel suonome. Egli è la tua lode, egli è il tuo Dio che hafatto per te quelle cose grandi e tremende chei tuoi occhi hanno visto» (Dt 10,12-21). Si tratta di un testo che esprime uno stadio mol-to avanzato della fede di Israele. Afferma anzi-tutto che tra tutti i popoli Dio si è scelto Israelee lo ha eletto come sua proprietà. Questa rela-zione esclusiva è conseguenza dell’amore di pre-dilezione che Dio ha avuto per i Padri: Abramo,Isacco, Giacobbe. Egli è il Dio di Israele perchéè il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe!A tanto amore Israele risponde stipulandoalleanza con Dio e promettendo fedeltà: tra tut-ti gli dei, sarà questo il Dio che vorrà servire, per-ché ha sperimentato la sua potente misericor-dia a proprio favore. Si potrebbe dire che lo sta-dio iniziale della fede di Israele non sia il mono-teismo, ma l’enoteismo: pur esistendo tanti dei,Israele serve questo Dio, il «Dio di Abramo, diIsacco e di Giacobbe», perché ne sperimenta lavicinanza salvifica. È questo il Dio che ha ascol-tato il suo grido ed è sceso a liberarlo dalla schia-vitù d’Egitto. È questa liberazione «con mano poten-te e braccio teso» che fonda l’esclusività dellarelazione tra Israele e il suo Dio: quello che nonera un popolo è costituito come popolo, chiamatoa stipulare con Dio un patto di alleanza che lo

rende unico tra tutti i popoli. Questo significa che la fede di Israele è storica:guarda all’agire salvifico di Dio senza preoccu-parsi di questioni più astratte, soprattutto riguar-do all’origine del mondo. Soltanto in epoca tar-da, quando Israele si troverà a misurarsi con igrandi miti della creazione che circolavano tra iCananei, ma soprattutto tra i Babilonesi, tra i qua-li erano stati deportati, faranno anche quest’ul-timo passo, affermando che non sono gli dei del-le nazioni ad aver creato il cielo e la terra, ma ilDio di Israele con la potenza della sua parola.Nacquero così i primi capitoli del Libro della Generi,dove si afferma l’onnipotenza di Dio, creatore delcielo e della terra. Come a dire che il Dio pre-sente nella storia, che ha vinto gli dei egiziani,difendendo il suo popolo dallo sterminio, non soloè più grande di quegli dei, ma è l’unico Dio, coluiche ha fatto il cielo e la terra. Per quanto sem-brino vittoriosi, come il popolo che li serve, gli deidelle nazioni non sono altro che «idoli» d’argentoe d’oro, «opera delle mani dell’uomo. Hanno boc-ca e non parlano, hanno occhi e non vedono, han-no orecchi e non odono, hanno narici e non odo-rano. Le loro mani non palpano, i loro piedi noncamminano, dalla loro gola non escono suoni!Diventi come loro chi li fabbrica e chiunque in essiconfida!» (Sal 115,4-8). Questo Dio che ama Israele come una sposa,o come un figlio, lo ha punito perché, infedeleall’alleanza, si è rivolto agli idoli e ha peccato diadulterio. Ma rimane sempre il Dio unico che nonsi dimentica del suo popolo, che lo riscatterà dal-la schiavitù, e Israele potrà tornare nella sua ter-ra, sperimentando un nuovo esodo, più glorio-so del primo. In questa azione, Dio si rivela comelo Sposo che ama sempre la sua sposa e la riac-coglie nella sua casa; come un padre che ha curadi suo figlio; anzi, come una madre, che non sidimentica del suo bambino, ma si commuove peril figlio delle sue viscere! (cfr Is 49,14). È nella certezza che Dio adempirà le sue pro-messe di restaurazione che la fede di Israele sirivolge al futuro, non solo nell’attesa immediatadi una liberazione dall’esilio, ma nella fiducia cheDio manderà il suo Messia a compiere il suo dise-gno di salvezza e instaurare il suo Regno di giu-stizia e di pace. È questo Dio unico che Gesùdi Nazareth chiama «Abbà, Padre mio» e chela Chiesa riconosce come «il Padre del Signorenostro Gesù Cristo», ripetendo: «Credo in un soloDio, Padre onnipotente, creatore del cielo e del-la terra, di tutte le cose visibili e invisibili».

*teologo, docente ordinario alla P.U.G. di Roma

Nell’immagine: Creazione, miniatura, 1250, Bibbia moralisèe, Vienna

1717NovembreNovembre20122012

Stanislao Fioramonti

EE’’ nato a Roma il 3 marzo 1940 da genitori di Subiaco e a Subiacoentrò giovanissimo, a 11 anni, nel seminario diocesano, che ave-va sede nel monastero di Santa Scolastica.

“All’inizio era un pò timido e riservato, ricorda un suo vecchio insegnante,poi mostrò il suo vero carattere; aveva anche una passione per l’arte:conservo ancora un suo crocifisso fatto con il ferro ricavato dai rottamidella guerra”. In seminario Nazareno trascorse tutta la sua gioventù; oltreai libri, il suo svago era l’oratorio domenicale ai ragazzi di Subiaco, insie-me ai compagni di corso, e giocare a pal-lone nel campetto del monastero. Fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1966.Sul santino che ricorda la sua ordinazio-ne è scritta una frase – “CustodisciVergine Immacolata il mio sacerdozio” – cheindica chiaramente il suo cammino, fattoper aiutare gli altri con la protezione dellaMadonna.“Lo ricordo benissimo, dice un suo com-pagno di studi, era un sacerdote seriosoin alcuni momenti, ma coinvolgente; era sem-pre il primo dopo la preghiera a tirare cal-ci al pallone e a iniziare la partita nei sot-terranei della chiesa di S. Andrea”. Iniziò il ministero sacerdotale a Roma, par-rocchia di S. Giovanni Crisostomo aMontesacro, dove aderì al movimentoOperazione Mato Grosso. Questo movimento- formato da giovani, famiglie, sacerdoti, tut-ti volontari - attraverso il lavoro gratuito peri più poveri offre a giovani e ragazzi la pos-sibilità di numerose esperienze formative;la sua attività si basa su 5 punti chiave (iGiovani, i Poveri, il Lavoro, la Capillarità,l’Aconfessionalità) e si svolge tramite lavoridi gruppo e campi di lavoro sia in Italia chein America Latina (Perù, Ecuador, Bolivia eBrasile), per le cui missioni partono per peri-odi di 4 mesi i volontari operando, in asso-luta gratuità, nel campo educativo, sanitario,agricolo, religioso e sociale in genere.Nel novembre 1971 don Nazareno partì comesacerdote fidei donum proprio per il MatoGrosso, uno stato del Brasile (il nome signi-fica “grande foresta”) situato nella parte occi-dentale del Paese. Si stabilì a Jaurù, loca-lità ai confini con la Bolivia, nella diocesi diCàceres, formata da tre parrocchie con 200.000abitanti su una superficie di 105.000 kmq.In questo enorme territorio don Nazarenoè stato missionario instancabile per trent’anni,spendendosi tra difficoltà e sofferenze per

i suoi indios sfruttati e poverissimi; per essi egli nel 1974 creò un ospe-dale, il più grande e attrezzato della regione; la chiesa di Nostra Signoradel Pilar nella quale portò avanti l’impegno di difendere la vita non anco-ra nata; una casa per anziani infermi e abbandonati, dedicata al “CuoreImmacolato di Maria”. Volendo formare laici e sacerdoti al servizio del-la Chiesa, nel 1978 iniziò una scuola che ospitava e nutriva 600 bam-bini poveri e nel 1981 aprì un seminario minore. I suoi familiari di Subiaco ricordano che “quando veniva a trovarci, erasempre in pensiero per la sua missione e si attivava in continuazioneper trovare aiuti per i suoi poveri”. Nei suoi viaggi per il Brasile comemissionario evangelizzatore o come responsabile del Movimento

Sacerdotale Mariano poté trasmettere il suoamore per Maria, per Gesù Eucarestia, perla S. Messa e per la recita del S. Rosario.Trovandosi a operare in una zona di confi-ne tra Brasile e Bolivia da sempre “calda”per il traffico di cocaina e lo sfruttamento del-la prostituzione, fu inevitabile che le tante atti-vità di don Nazareno si scontrassero con igruppi criminali della zona e gli interessi del-le multinazionali. Il sacerdote ricevette infat-ti minacce e un paio di attentati; sapeva dun-que del rischio che correva ma continuò drit-to nel suo impegno a favore dei deboli, finoall’11 febbraio 2001. Quella sera era a cena nella casa parroc-chiale di Jaurù con altri fedeli, quando duesicari col volto coperto entrano sparando duecolpi in aria per disperdere gli altri. Al sacer-dote uno dei due, prima di colpirlo alla nuca,ha detto: “Sono venuto per ammazzarti per-ché ci dai troppo fastidio!”.Parole riferite al suo vescovo da don Nazarenostesso, inizialmente sopravvissuto all’atten-tato; si spense infatti dieci giorni dopo, il 22febbraio, nell’ospedale di San Paolo, tra sof-ferenze e inutili terapie e soprattutto tra ladisperazione dei tantissimi poveri a cui ave-va dato un futuro e una vita più dignitosa.Ha riferito anche un’altra cosa, il martire, pri-ma di perdere conoscenza: di aver pregatoe perdonato i killers. Il vescovo di Sao Luìs de Càceres, monsi-gnor José Viera Lima, ha definito “un mar-tire dei nostri giorni” il sacerdote di Subiaco,le cui spoglie per suo espresso desiderio sonorimaste nella terra per la quale egli ha spe-so la sua vita. Ed è iniziata subito la fase dio-cesana della causa della sua beatificazione,il cui corso si è ormai concluso ed ora pro-cederà nella relativa Congregazione Vaticana.Il Comune di Subiaco invece ha onorato ilsuo martire dedicandogli un parco urbano lun-go il corso del fiume Aniene.

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Stanislao Fioramonti

II nizia un anno dedicato alla fede, alla tena-cia di chi l’alimenta tutti i giorni con con-vinzione, di chi fatica a tenerla salda e di

chi non si cura di far entrare Dio nella propriavita. Un anno che ha una sua messa speciale,un proprio inno (“Domine, adauge nobis fidem”,Signore accresci la nostra fede), una immagi-ne specifica (l’immagine del Cristo del duomodi Cefalù), un proprio logo (una barca, la Chiesa,con l’albero maestro a forma di croce che issavele richiamanti il tetragramma di Cristo, IHS,Iesus Hominum Salvator, e sullo sfondo un soleche ricorda l’Eucaristia), un suo sito web(www.annusfidei.va). E che ha in calendario unafitta serie di iniziative, alcune a carattere uni-versale – che si svolgeranno a Roma alla pre-senza del papa -, altre a carattere nazionale olocale in ogni parte del mondo.Mons. Rino Fisichella, Presidente del pontificioconsiglio per la promozione della nuova evan-gelizzazione (istituito da papa Benedetto XVI il21 settembre 2010), presentando nel giugno scor-so le iniziative in programma nell’Anno della Fede,ha sottolineato che “quest’anno si inserisce all’in-terno di un contesto più ampio segnato da unacrisi generalizzata che investe anche la fede.Sottoposto da decenni a un secolarismo che innome dell’autonomia individuale richiedeval’indipendenza da ogni autorità rivelata e pro-grammava di ‘vivere come se Dio non esistes-se’, l’uomo contemporaneo spesso non sa piùcollocarsi. L’Anno della Fede allora può rappresentareun percorso offerto dalla comunità cristiana atanti che vivono con la nostalgia di Dio e il desi-derio di incontrarlo di nuovo”. Il papa ha pure concesso l’indulgenza plenariadurante tutto questo anno a quanti in vario modo

vi parteciperanno (predicazioni delle Sacre Missionio lezioni sul Concilio o sul Catechismo della ChiesaCattolica; visite a basiliche papali, cattedrali oaltre chiese prestabilite con la recita del Credo;visite al proprio Fonte battesimale e rinnovo del-le promesse battesimali), alle solite condizioni(Confessione, Comunione, preghiera per il S.Padre). L’apertura dell’Anno della Fede è sta-ta preceduta , il 7 ottobre, dall’inizio in Vaticanodel XIII Sinodo Generale dei Vescovi, che dure-rà fino al 28 ottobre, sul tema “Nuova evan-gelizzazione per la trasmissione della fede cri-stiana”; nell’occasione il pontefice ha nomina-to due nuovi dottori della chiesa, san Giovannid’Avila e santa Ildegarda di Bingen (v. altro arti-colo). Il senso e lo scopo di questa Assembleamondiale è stato ben sintetizzato nell’omelia del-la messa da papa Ratzinger, che ha detto: “Anchenei nostri tempi lo Spirito Santo ha suscitato nel-la Chiesa un nuovo slancio per annunciare laBuona Notizia, un dinamismo spirituale epastorale che ha trovato la sua espressione piùuniversale e il suo impulso più autorevole nelConcilio Ecumenico Vaticano II.Tale rinnovato dinamismo dell’evangelizzazio-ne produce un benefico influsso sui due «rami»specifici che da essa si sviluppano, vale a dire,da una parte, la missio ad gentes, cioè l’annunciodel Vangelo a coloro che ancora non conosco-no Gesù Cristo e il suo messaggio di salvez-za; e, dall’altra parte, la nuova evangelizzazione,orientata principalmente alle persone che, puressendo battezzate, si sono allontanate dallaChiesa, e vivono senza fare riferimento alla pras-si cristiana. L’Assemblea sinodale che oggi siapre è dedicata a questa nuova evangelizza-zione, per favorire in queste persone un nuo-vo incontro con il Signore, che solo riempie disignificato profondo e di pace la nostra esistenza;per favorire la riscoperta della fede, sorgente

di Grazia che porta gioia e speranzanella vita personale, familiare e socia-le”.La solenne cerimonia di INAU-GURAZIONE DELL’ANNO DELLAFEDE si è svolta in piazza S. Pietrogiovedì 11 ottobre, 50° anniversariodell’apertura del Concilio EcumenicoVaticano II; il papa ha concelebratocon i Padri sinodali, i Presidenti del-le Conferenze episcopali e 15 dei70 Padri Conciliari ancora viven-ti. Partecipavano anche il Patriarcadi Costantinopoli Bartolomeo I (cheha invitato a pregare per la pacein medio Oriente) e l’Arcivescovodi Canterbury Rowan Williams, Primatedella Chiesa Anglicana. L’omelia di Benedetto XVI in que-sta occasione è stata meraviglio-sa per profondità e chiarezza, e valela pena di proporne un ampio stral-cio, perché consente di cogliere l’im-portanza del Concilio Vaticano IIper la Chiesa e per il mondo e ilsuo legame con questo Anno del-la Fede.

“Con grande gioia oggi, a 50 anni dall’apertu-ra del Concilio Ecumenico Vaticano II, diamo ini-zio all’Anno della fede. (...) Per fare memoriadel Concilio (...)questa celebrazione è stata arric-chita di alcuni segni specifici: la processione ini-ziale, che ha voluto richiamare quella memo-rabile dei Padri conciliari quando entrarono solen-nemente in questa Basilica; l’intronizzazionedell’Evangeliario, copia di quello utilizzatodurante il Concilio; la consegna dei sette Messaggifinali del Concilio e quella del Catechismo del-la Chiesa Cattolica, che farò al termine, primadella Benedizione. Questi segni non ci fanno solo ricordare, ma cioffrono anche la prospettiva per andare oltre lacommemorazione. Ci invitano ad entrare più pro-fondamente nel movimento spirituale che ha carat-terizzato il Vaticano II, per farlo nostro e portarloavanti nel suo vero senso.E questo senso è stato ed è tuttora la fede inCristo, la fede apostolica, animata dalla spintainteriore a comunicare Cristo ad ogni uomo ea tutti gli uomini nel pellegrinare della Chiesasulle vie della storia.L’Anno della fede che oggi inauguriamo è lega-to coerentemente a tutto il cammino della Chiesanegli ultimi 50 anni: dal Concilio, attraverso ilMagistero del Servo di Dio Paolo VI, il quale indis-se un «Anno della fede» nel 1967, fino al GrandeGiubileo del 2000, con il quale il Beato GiovanniPaolo II ha riproposto all’intera umanità GesùCristo quale unico Salvatore, ieri, oggi e sem-pre. Tra questi due Pontefici, Paolo VI e GiovanniPaolo II, c’è stata una profonda e piena con-vergenza proprio su Cristo quale centro del cosmoe della storia, e sull’ansia apostolica di annun-ciarlo al mondo.Gesù è il centro della fede cri-stiana. Il cristiano crede in Dio mediante GesùCristo, che ne ha rivelato il volto. (...) E’ Dio il principale soggetto dell’evangelizzazione

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del mondo, mediante Gesù Cristo; ma Cristo stes-so ha voluto trasmettere alla Chiesa la propriamissione, e lo ha fatto e continua a farlo sinoalla fine dei tempi infondendo lo Spirito Santonei discepoli, quello stesso Spirito che si posòsu di Lui e rimase in Lui per tutta la sua vita ter-rena (...).Il Concilio Vaticano II non ha voluto mettere atema la fede in un documento specifico. E tut-tavia, esso è stato interamente animato dallaconsapevolezza e dal desiderio di doversi, percosì dire, immergere nuovamente nel misterocristiano, per poterlo riproporre efficacementeall’uomo contemporaneo. Al riguardo, così si esprimeva il Servo di Dio PaoloVI due anni dopo la conclusione dell’Assise con-ciliare: «Se il Concilio non tratta espressamentedella fede, ne parla ad ogni pagina, ne ricono-sce il carattere vitale e soprannaturale, la sup-pone integra e forte, e costruisce su di essa lesue dottrine. (...)Durante il Concilio vi era una tensione commoventenei confronti del comune compito di far risplen-dere la verità e la bellezza della fede nell’oggidel nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenzedel presente né tenerla legata al passato: nel-la fede risuona l’eterno presente di Dio, che tra-scende il tempo e tuttavia può essere accoltoda noi solamente nel nostro irripetibile oggi. Perciòritengo che la cosa più importante, specialmentein una ricorrenza significativa come l’attuale, siaravvivare in tutta la Chiesa quella positiva ten-sione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uo-mo contemporaneo. Ma affinché questa spinta interiore alla nuovaevangelizzazione non rimanga soltanto idealee non pecchi di confusione, occorre che essasi appoggi ad una base concreta e precisa, equesta base sono i documenti del Concilio VaticanoII, nei quali essa ha trovato espressione. Per questo ho più volte insistito sulla necessi-tà di ritornare, per così dire, alla «lettera» delConcilio – cioè ai suoi testi – per trovarne anchel’autentico spirito, e ho ripetuto che la vera ere-dità del Vaticano II si trova in essi. Il riferimen-to ai documenti mette al riparo dagli estremi dinostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e

consente di cogliere lanovità nella continuità.Il Concilio non ha esco-gitato nulla di nuovo comemateria di fede, né havoluto sostituire quan-to è antico. Piuttosto siè preoccupato di far sìche la medesima fedecontinui ad essere vis-suta nell’oggi, continuiad essere una fede vivain un mondo in cambiamento. Se ci poniamo in sintonia con l’impostazione auten-tica, che il Beato Giovanni XXIII volle dare alVaticano II, noi potremo attualizzarla lungo que-sto Anno della fede, all’interno dell’unico cam-mino della Chiesa che continuamente vuole appro-fondire il bagaglio della fede che Cristo le haaffidato. I Padri conciliari volevano ripresenta-re la fede in modo efficace; e se si aprirono confiducia al dialogo con il mondo moderno è pro-prio perché erano sicuri della loro fede, della sal-da roccia su cui poggiavano. Invece, negli anni seguenti, molti hanno accol-to senza discernimento la mentalità dominan-te, mettendo in discussione le basi stesse deldepositum fidei, che purtroppo non sentivanopiù come proprie nella loro verità. Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno del-la fede e la nuova evangelizzazione, non è peronorare una ricorrenza, ma perché ce n’è biso-gno, ancor più che 50 anni fa! E la risposta dadare a questo bisogno è la stessa voluta dai Papie dai Padri del Concilio e contenuta nei suoi docu-menti. Anche l’iniziativa di creare un PontificioConsiglio destinato alla promozione della nuo-va evangelizzazione (...) rientra in questa pro-spettiva. In questi decenni è avanzata una «deser-tificazione» spirituale. Che cosa significasse unavita, un mondo senza Dio, ai tempi del Conciliolo si poteva già sapere da alcune pagine tragi-che della storia, ma ora purtroppo lo vediamoogni giorno intorno a noi. E’ il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a par-tire dall’esperienza di questo deserto, da que-sto vuoto che possiamo nuovamente scoprire

la gioia di credere,la sua importan-za vitale per noiuomini e don-ne. Nel desertosi riscopre il valo-re di ciò che èessenziale pervivere; così nelmondo contem-poraneo sonoinnumerevoli isegni, spessoespressi in formaimplicita o nega-tiva, della sete diDio, del senso ulti-mo della vita. Enel deserto c’èbisogno soprat-

tutto di persone difede che, con la loro stes-sa vita, indicano lavia verso la Terra pro-messa e così tengonodesta la speranza. (...)Il viaggio è metafora del-la vita, e il sapiente viag-giatore è colui che haappreso l’arte di vive-re e la può condivide-re con i fratelli – come

avviene ai pellegrini lungo il Cammino diSantiago, o sulle altre Vie che non a caso sonotornate in auge in questi anni. Come mai tante persone oggi sentono il biso-gno di fare questi cammini? Non è forse per-ché qui trovano, o almeno intuiscono il sensodel nostro essere al mondo? Ecco allora come possiamo raffigurare questoAnno della fede: un pellegrinaggio nei desertidel mondo contemporaneo, in cui portare consé solo ciò che è essenziale: non bastone, nésacca, né pane, né denaro, non due tuniche –come dice il Signore agli Apostoli inviandoli inmissione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e la fededella Chiesa, di cui i documenti del Concilio EcumenicoVaticano II sono luminosa espressione, comepure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica,pubblicato 20 anni or sono. (...)La Vergine Maria brilli sempre come stella sulcammino della nuova evangelizzazione. Ci aiu-ti a mettere in pratica l’esortazione dell’apostoloPaolo: «La parola di Cristo abiti tra voi nella suaricchezza. Con ogni sapienza istruitevi eammonitevi a vicenda… E qualunque cosa facciate, in parole e in ope-re, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù,rendendo grazie per mezzo di Lui a DioPadre» (Col 3,16-17). Amen.”

A questa grande giornata inaugurale sono segui-te, nel mese di ottobre, altre manifestazioni diaccompagnamento: la fiaccolata notturna da CastelS. Angelo a piazza S. Pietro, organizzata dal-la Azione Cattolica Italiana per ricordare l’aperturadel Concilio Vaticano II e il discorso della Lunadi Papa Giovanni (11 ottobre); la serata cultu-rale su “La fede di Dante” nella chiesa romanadel Gesù, con la lettura del Canto XXIV del Paradiso(12 ottobre); il pellegrinaggio al Gianicolo e laveglia missionaria organizzati dalla Congregazioneper l’evangelizzazione dei Popoli (20 ottobre);la solenne canonizzazione, celebrata dal papain S. Pietro, di sette beati dei quali diamo noti-zia a parte (21 ottobre); il congresso dell’Unionemondiale insegnanti cattolici sul ruolo dell’insegnantee della famiglia nella formazione integrale deglistudenti (Roma, 26-30 ottobre).Due gli appuntamenti notevoli di novembre: dal15 al 17 in Vaticano la XXVII conferenza inter-nazionale del Pontificio Consiglio per gliOperatori Sanitari sul tema “L’ospedale, luogodi evangelizzazione: missione umana e spirituale”;e dal 19 al 23, sempre in Vaticano, il XXIII CongressoMondiale dell’Apostolato del Mare, anch’essodedicato alla nuova evangelizzazione.

2020 Novembre Novembre 20122012

don Gaetano Zaralli

CCi si resta male quando unapersona, con il sorriso piùbello del mondo, ti rivolge

il saluto, sicura in cuor suo di ritro-vare in te un’amicizia antica. Al sorriso si risponde col sorriso, alle paro-le con le parole, farfugliate però, perché sanno di convenienza. Ci si resta male perché gli anni trascorsi hanno fatto dimenticare per-fino il nome di quella persona, magari un nome pronunciato chissà quan-te volte nel vivere quotidiano di un tempo…La donna che mi sorride è come fosse fuori dai ricordi, fuori dal tem-po… La malattia di cui mi parlerà, il tumore, quello che concede il fre-mito di una stagione per volta, ha distrutto l’età reale, rigonfiando il vol-to di medicamenti, e privando i lineamenti di una gioventù che amavacon ebbrezza sciogliere i capelli al vento… Lei, che la sorte ha reso sterile, ora vuole ricevere la cresima, perchésarà madrina al battesimo di una nipotina, madrina di una creatura stu-penda. Le lacrime si mescolano al sorriso… L’ho riconosciuta finalmentee, nell’intimità della vecchia amicizia, ora mi parla: “Sarò la seconda mam-ma per quella bambina, sento di amarla, la stringerò forte al seno esarò felice!… Cosa debbo fare per ricevere la cresima?”.Nell’amico la signora ripesca il vecchio prete che, forse, potrà aiutarla.

Per te cosa significa credere in Dio?Ho pensato per moltissimi anni di non crederein Dio, di credere nell’uomo e nelle sue capa-cità, di non avere bisogno di credere in qual-cosa che non posso vedere, non posso veri-ficare ne mettere sotto accusa. Che ingenua!!! Con il tempo poi capisci che non sempre sipuò dare una spiegazione razionale a tuttociò che accade. Capisci che forse c’è un dise-gno superiore che al momento ti sfugge, maandando avanti e avendo fede nell’amore, nel-la tua forza, nella famiglia, nel prossimo le coseacquistano un senso che pensavi non esistesse. Forse è questo credere in Dio. Quando mi sono ammalata tutto è cambia-

to! Le mie certezze sono svanite e non mi davo unaspiegazione.Naturalmente la spiegazione c’era, erala prova che non potevo proprio controllare nien-te, tutto mi sfuggiva di mano come i miei capelli,

bellissimi, quando li toccavo. Ho imparato che si può vivere anche cosi, senza nessuna certezza dicosa accadrà domani, si possono fare progetti e credere fermamenteche saremo lì a realizzarli anche soffrendo, scoprire che l’altro soffrecome te; essere capace di tendere la mano, sicuro che verrà un momen-to in cui qualcuno tenderà la sua a te e tu sarai capace di accettarloe non percepirlo più come una debolezza.Oggi per me questo significa credere in Dio.

La fede indefinibile di una cristiana qualsiasi dà speranza nuova a chila vita sembra sfuggire; la forza che nasce dalla fragilità condivisa fatendere l’animo verso un Dio che si nasconde con amore a chi vuoletoccare con mano. Alle forti emozioni fa eco, sempre, uno strano silen-zio. Rispetto a ciò che la bocca pronuncia, esiste qualcosa di più puroche illumina l’anima…infatti. E ciò accade quando le parole muoiononella mente… prima ancora di fare rumore.

Nell’immagine: un’opera di Michal Lukasiewicz

don Ettore Capra

LL ’anno della fede, inaugurato dal Papa l’11 ottobre, non può non tro-vare eco negli animi cattolici e rappresenta per tutti un invito acco-rato e propositivo a ripensare il proprio rapporto con il trascenden-

te, con la divinità ed eventualmente, in incontro sinergico di scelta e gra-zia, con il Signore. In questo contesto amerei, con la dovuta discrezione,proporre un piccolo florilegio di letteratura quasi contemporanea su tale tema-tica: petali sparsi per un tentativo di intelligenza tra il personale rapportoed il contenuto oggettivo dell’atto di fede. Il metodo seguito per la sceltadei brani, del tutto personale, cercherà di offrire diversificate prospettiveconvergenti sulla fede intesa come virtù capace di orientare le moltepliciesperienze della vita, con un’attenzione, non assoluta, alle tematiche pro-poste mensilmente dalla Liturgia, anche in ossequio all’antico e celeberri-mo aforisma della lex orandi, lex credendi.Ometterò cenni biografici, pur meritevoli di interesse, degli autori di voltain volta proposti, affidando la loro eventuale ricerca a chi legge. Nel testoa seguire, Romano Guardini espone, in forma di orazione, una sintesi delrapporto di strutturale opposizione tra la contingenza umana e la viva immu-tabilità di Dio, che trova solo in Cristo, Preesistenza del Verbo incarnatanel tempo, la via di congiunzione salvifica capace di aprire anche noi allasperanza di un’eternità partecipata ma reale oltre l’ineluttabilità della morte.

LA BUONA ETERNITA’

Nella nostra vita che è un andar verso la morte, noi presagiamo, o Signore,la tua calma eternità. Le cose cominciano, fanno il loro tempo e finisco-no. Al principio del giorno sentiamo già che esso affonderà nella sera. Inogni felicità ammonisce già un futuro dolore. Noi edifichiamo la nostra casae facciamo la nostra opera e sappiamo che essa andrà in rovina. Ma Tu, o Signor, vivi e nessuna transitorietà ti tocca. Tu godi del tuo sacro essere; né il bisogno né la fine Ti premono. Tu seiil nuovo per essenza e non conosci sazietà. Nessuna cosa Ti è neces-saria. Nulla Ti manca. Sei tutto. Ogni magnificenza è tutta tua. Il centrodella tua eternità è là dove Tu, o Padre, e Tu, o Figlio, siete l’uno vicinoall’altro nell’intimità dello Spirito Santo. In quella calma è il tuo amore ela tua pace. In essa è la tua patria, o beato Iddio.Di là sei venuto a noi, o Cristo Gesù, e ci hai portato la buona novella di“ciò che nessun occhio ha veduto e nessun orecchio udito e che non èpenetrato in alcun cuore umano”. Quando il tempo sarà compiuto, là puredev’essere la mia patria. Fammi certo di questo. Fa’ che nel mio cuorenon muoia mai il desiderio, affinché nel mutare della vita, io rimanga uni-to a ciò che dà misura e senso. Commuovi il mio animo col soffio dell’e-ternità, affinché compia bene la mia opera nel tempo e possa un giornoportarla nel tuo eterno regno. Amen.

R.Guardini, Preghiere, traduzione dall’orig. tedesco di G. Ferraris, Morcelliana, Brescia,1964

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mons. Franco Fagiolo*

CCome tutti sappiamo, la nuova versionedel Rito delle Esequie è obbligatoria dal2 Novembre 2012. Già da tempo l’ab-

biamo tra le mani nei due formati, uno più gran-de come libro da altare, un altro più piccolo aduso manuale, pratico, per essere portatocomodamente con sé, per esempio nella visi-ta alla famiglia, nelle processioni o al cimitero.Sicuramente questo nuovo Rito lo abbiamo sbir-ciato e ci siamo resi conto del grande tesoroche la santa Madre Chiesa ci ha messo tra lemani non solo per raccomandare i defunti a Dio,ma anche per rinvigorire la speranza dei suoifigli e testimoniare la sua fede che i battezza-ti risorgeranno a vita nuova.Dalle pagine di Ecclesia dei mesi maggio, giu-gno e luglio 2012

abbiamo giàparlato del nuovo Rito delle

Esequie mettendo in evidenza la parte che riguar-da il canto, suggerendo anche alcuni canti perla celebrazione tratti dal Repertorio Nazionale.In questo numero di novembre è opportuno met-tere in risalto alcuni punti fondamentali che carat-terizzano il nuovo Rito senza avere nessuna pre-tesa di esaurire l’argomento, anzi, con la cer-

tezza di avere sempre di più un maggior biso-gno di leggere e studiare il testo che ci è sta-to dato per poter celebrare nel migliore dei modile esequie con una grande attenzione umanae pastorale per tutte le situazioni, per impara-re quello che la Chiesa crede fermamente e inse-gna a credere.Prima di tutto, grande importanza viene data all’in-contro del sacerdote (o almeno dei suoi colla-boratori) con la famiglia del defunto alla noti-zia della morte. Momento particolarmentesignificativo e carico di emozione è il primo incon-tro con la famiglia, appresa la notizia della mor-te….. È anche occasione per conoscere le gioie,le sofferenze, e le speranze della persona defun-ta. Tutto il capitolo primo del nuovo Rito delleesequie, infatti, è Nella casa del Defunto, conla visita alla famiglia del defunto e la veglia nel-la casa. È anche opportuno preparare con i fami-liari la celebrazione del rito. Tutto questo ser-ve anche a fare in modo che il parroco non abbia

soltanto un incontro anonimo e freddo,a volte anche solo una tele-fonata, unicamente con l’in-caricato delle onoranzefunebri!!! Infatti, grandeimportanza viene data allapartecipazione attiva dellaComunità cristiana (altro ele-mento significativo), perché imomenti che accompagnanola morte e la sepoltura di un fra-tello o di una sorella nella fedeappartengono all’azione pasto-

rale della Chiesa ed esprimono la premura del-l’intera comunità cristiana. E la partecipazionedella comunità si manifesta non solo attraver-so la presenza del sacerdote, ma anche con ilservizio differenziato di quanti, con sollecitudi-ne pastorale, si occupano con responsabilità deidiversi ministeri nella vita della comunità.Particolare rilievo è stato dato al commiato oultima raccomandazione. Sono 12 esortazioni:alle quattro del vecchio rito ne sono state aggiun-te altre otto. La prima nuova esortazione appro-

fondisce il senso della aspersione e dell’incensazionedella salma con il canto che accompagna que-sti segni (ed espressamente, è vivamente rac-comandato il canto del commiato!); le altre set-te riguardano una persona anziana, un giova-ne, un sacerdote, un diacono, un religioso, unareligiosa, una persona deceduta improvvisamente. È a questo punto che si possono far pronun-ciare brevi parole di cristiano ricordo deldefunto. Non deve essere un elogio funebre maun voler sottolineare la fede, la speranza e lacarità della persona defunta e voler fissare nel-la mente i suoi esempi più belli di cristiano. Naturalmente, si raccomanda di concordare pre-cedentemente il testo con il sacerdote e che que-ste parole non vengano pronunciate dall’ambone.Dopo il commiato si conclude sempre con la bene-dizione e il congedo: nel nome del Signore anda-te in pace. Non si fa cenno alla presenza di fio-ri, a volte davvero eccessiva e smisurata, men-tre il Cerimoniale dei Vescovi al n. 824 dice: Nellacelebrazione delle esequie si osservi in tutto unanobile semplicità. Lodevolmente dunque ilferetro sia collocato sopra il pavimento, e pres-so il feretro il solo cero pasquale.Infine, riporto quanto raccomandato dal Rito (n.66) su cosa porre sulla bara: Sopra il feretro sipuò posare il Vangelo, o la Bibbia, o una cro-ce. Si valuti con attenzione e prudenza la richie-sta di apporre oggetti di per sé non consoni alrito liturgico. Per concludere queste breviriflessioni, veramente, “il nuovo Rito delle Esequieè un libro liturgico molto prezioso. È fonte di rive-lazione e tale si mostra appunto nell’abbondantemateriale sia di letture bibliche che di preghie-re e di canti che propone. Se ne può trarre ilpensiero di Dio e della Chiesa sulla morte del-l’uomo… Il Rito è altamente evangelizzante!Proprio per questo occorre imparare bene a muo-versi in esso così da trarne ogni potenzialità…Sarà di grande aiuto per l’annuncio cristiano edel Vangelo” (da La Vita in Cristo e nella Chiesa, Nov. 2012).

*Responsabile diocesano musica per la liturgia [email protected]

GIOCHIAMO DA DIO!

II torneo della DIOCESI DI VELLETRI-SEGNI

Dopo il grande successo dello scorso anno, la Pastorale Giovanile della nostra diocesi propone il II torneo diocesano “Giochiamo da Dio” che darà il via a tutte le iniziative della PG per il nuovo anno pastorale.

È l’occasione per tutti i nostri giovani per “scontrarsi” e “rincontrarsi” dopo le esperienze estive. Vicino al torneo di calcetto(maschile e femminile) gli atleti delle nostre parrocchie potranno partecipare al tor-neo di pallavolo e altre attività quali: corso di primo soccorso, corso di autodifesa, torneo di calcio balilla etc.

Invitiamo allora, tutti i giovani della diocesi a scendere in campo, formando una squadra e comunicando l’ade-sione entro il 15 novembre a Don Corrado: 339.2959456 o a Luca: 349.0070028

Vi aspettiamo per scendere in campo DOMENICA 18 NOVEMBRE

dalle ore 14,30 presso il Palazzetto dello Sport Comunale di Colleferro!

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P. Vincenzo Molinaro

NN el ConsiglioPastoraleDiocesano,

tenuto all’Acero il 14 otto-bre, è stato rivisitato ilcammino percorso in que-sto anno. E’ stato cer-tamente un anno profi-cuo sotto vari aspetti. Orasi pensa di raccoglieremolti dei semi che sonostati sparsi nelle varieoccasioni. La riflessione cominciada quando il documen-to “Educare alla vita buo-na del Vangelo” è diven-tata seme di vita buo-na, infatti come una len-ta pioggia è scesa neinostri incontri, il primomaggio alla festa dellafamiglia, sempre all’Aceroe poi nelle sedute delConsiglio Pastorale Diocesano. Così da pochispunti, nasce l’esigenza di una proposta unita-ria per la pastorale della famiglia in diocesi. Questaproposta ora attende di essere formalizzata eportata a conoscenza delle parrocchie e realizzatanei prossimi mesi.Di che si tratta? Ecco una sintesi. L’obbiettivoè quello di coniugare due aspetti che solo in appa-renza possono sembrare antitetici. La tradizio-ne di ogni parrocchia con le sue ricchezze, laconoscenza personale dei fidanzati da parte delparroco, le coppie che danno testimonianza all’in-

terno della comunità, le usanze specifiche di ogniparrocchia, ivi compresa la metodologia che èabbastanza varia. Dall’altro lato il cammino intra-preso dalla chiesa in Italia, certo più ampio equindi con esigenze di maggiore rigore scien-tifico sia a livello teologico che pastorale. Tuttoquesto richiede che le nostre parrocchie si con-frontino e si arricchiscano nella reciproca cono-scenza. Considerando che ora anche la CEI staper pubblicare delle norme più vincolanti sui per-corsi di preparazione al matrimonio, pare chesia il momento buono per incontrarsi e scegliere

linee condivise nella proposta del-la fede ai fidanzati. Non si tratta quindi di togliere qual-cosa a nessuno, ogni parrocchiapotrà continuare a seguire i pro-pri giovani come ha fatto finora,e sarà dovere e merito di ogni comu-nità accompagnarli verso la matu-rità con una adeguata ricchezzaspirituale: solo sarà richiesto di inse-rire nella formazione gli elemen-ti che vengono riconosciuti a livel-lo nazionale come utili o neces-sari per un corretto inserimentonel tessuto sociale oltreché spi-rituale della comunità.Come riflessione estemporanea,sarebbe il caso di farci qualchedomanda che è da estendere aldi là dei confini della diocesi. Ledomande sono quasi tragiche nel-la loro essenzialità. Se il trend fidan-zamenti lunghi, convivenze, matri-moni a età avanzata, e le successiveseparazioni, di cui siamo testimoniincreduli e disarmati, è inarrestabile;se appunto anche le convivenzeassai lunghe non modificano

questo andazzo; separe che non ci sianoremore di figli piccoli, vit-time innocenti, a que-sta inarrestabile onda,se tutto questo è la real-tà, dove portano i nostripercorsi? Dov’è il vizio,nella forma o nellasostanza? O c’è da con-solarsi delle famiglie chenonostante tutto riman-gono salde nella lorofedeltà? E allora rinta-narsi in un piccolo cer-chio è l’opzione dascegliere? Queste possono sem-brare domande qua-lunquiste. Si può pen-sare che il mondo èandato sempre così equindi lasciar perderee dormire sonni tranquilli.Oppure si preferisce pen-sare che qualcosa si sia

rotto negli ingranaggi e forse la fine del mon-do…cristiano si avvicini. Forse c’è una terza rifles-sione da fare e riguarda la maniera di annun-ciare la fede, ma non da ieri, ritornando un po’indietro e questo, ovviamente, non per scaricarsila coscienza ma per rendersi conto che una deter-minata mentalità non si modifica in 24 ore e nep-pure in 25 anni. In questo i 50 anni dall’iniziodel Concilio Vaticano II possono insegnare tan-te cose. Quanto tempo dovrà passare prima che i prin-cipi ispiratori del Concilio vengano recepiti uni-versalmente? Dai più semplici della liturgia a quel-li più complessi della libertà religiosa, come purela visione di una famiglia davvero pacificata, fon-data sul rispetto oltreché sulla parità dei coniu-gi. E ciò non soltanto in termini teorici, ma anchenella prassi. Come negare, nonostante tutte le affermazio-ni occasionali in contrario, che il sostegno del-la famiglia è tuttora troppo sbilanciato a caricodelle donne? Come non comprendere la deli-catezza della situazione e le tentazioni delle don-ne di affrancarsi da questa concezione che addos-sa a loro un peso che invece deve essere con-diviso? Le pari opportunità sono lontane dallaprassi familiare, ma quanto sono vicine nell’annunciocristiano? Così il sacramento del matrimonio conla delicatezza e la responsabilità del Cantico deiCantici sono ancora lontane.Domande queste, come ho detto, un po’ fuor-vianti, nel senso che vengono quasi di getto, inve-stendo una realtà che va trattata con grande tat-to, ma questa volta ho voluto enunciare i pro-blemi e come essi siano congiunti alla nostrapredicazione. Di essa però ancora dobbiamo chia-rire le linee portanti, e devono essere condivi-se prima di gridare al disastro…Forse ci vor-ranno altri 50 anni. Ma nell’attesa facciamo lanostra parte.

2323NovembreNovembre20122012

Mons. Franco Risi

II l papa Benedetto XVI nelMessaggio per la giornata mon-diale della pace 2012 ha mes-

so in evidenza che i giovani «con illoro entusiasmo e la loro spinta idea-le, possono offrire una nuova speranzaal mondo». Per educare i giovani a guardare consperanza al loro futuro è opportunocurare le relazioni, investire tempo edenergie per vivere insieme con loroe conoscerli a fondo: occorre, nel mon-do attuale, accoglierli, offrirgli stimae comprensione, metterli a proprio agioe farli sentire protagonisti della lorovita. Questo richiede, da parte di chiè chiamato a formarli e a educarli, inparticolare i genitori, un atteggiamentodi rispetto, di stima, di ascolto, di con-divisione e di discrezione per qualunquescelta essi intendano fare: aiutarli aperseguirla e orientare il loro camminoverso il raggiungimento di essa.Il papa, parlando della spiritualità delle Giornate Mondiali dellaGioventù, si è soffermato in particolare sulla “gioia”, che nasce dallacertezza di essere amati. «Io sono voluto – dice Benedetto XVI – ho un compito nella storia. Sonoaccettato, sono amato […]. Chi non è amato non può amare se stes-so. Questo essere accolto viene innanzitutto dall’altra persona». Eccoil grande dono e servizio che gli educatori (genitori, professori, sacer-doti, catechisti…) possono e debbono offrire ai giovani.In riferimento a quest’apertura verso i giovani, il Papa in altre catechesiformative ha affermato: «Ogni accoglienza umana è fragile […].In fin dei conti abbiamo bisogno di una accoglienza incondizionata. SoloDio mi accoglie e io ne divento sicuro, so definitivamente: è bene cheio ci sia». Credo che tutti gli educatori siano chiamati ad insegnare aigiovani le verità fondamentali del vivere, a testimoniarle con la propriavita e a trasmetterle con responsabilità. Non dovremmo mai dimenti-carci che il dono della fede, valore spirituale, è una grande risorsa, chemanifesta, agli adulti e ai giovani in generale, la sua fecondità proprionei momenti difficili del vivere quotidiano umano e spirituale. Certo dovremmo tutti evitare l’equivoco che la fede e la preghiera for-niscano solo una consolazione facile e illusoria eludendo i problemi attua-li. Gli educatori, che si dicono cristiani, devono, loro per primi, essereconsapevoli che la fede aiuta a vivere e a cercare il meglio, soprattut-to quando ci si confronta con i problemi irrisolti della vita e della socie-tà, sapendo che non siamo soli. Per questo è necessario mettersi in dialogo con quelli che hanno unafede diversa dalla nostra, ma che vivono alla ricerca degli stessi valo-

ri che tutti stiamo cercando di realizzare per il bene dell’umanità. Tutto ciò invita gli adulti a educare i giovani e a far loro superare quel-la mentalità di essere eterni studenti, scoraggiati, demoralizzati e demo-tivati. Questo è possibile solo se si offre loro la possibilità di un lavorostabile e dignitoso, dove possano realizzare i loro progetti di vita chediano senso e significato al loro vivere.A questo punto possiamo dare una risposta al titolo dell’articolo: chi sonoi giovani chiamati alla sequela di Cristo?Certamente quei giovani che sentono dentro di sé una speciale chia-mata da Cristo e, lasciando tutto (famiglia, università, lavoro…), desi-derano testimoniarlo nella loro vita. Questi devono aver acquisito, con l’aiuto delle loro famiglie, comunitàparrocchiali o religiose e di testimoni sacerdotali, di aderire a Cristo nona loro solo vantaggio, ma per testimoniare e annunciare il progetto sal-vifico di Gesù e renderlo presente per il bene di tutti gli uomini.Essi dovrebbero sempre desiderare e sognare, con l’aiuto divino, di cam-biare il mondo, conducendolo sulla via della pace e dell’amore vicen-devole tra tutti gli uomini, pur vivendo nelle diversità di cultura, di reli-gione e di vita sociale.Per questi giovani mettersi alla sequela di Cristo significa averlo sem-pre come punto di riferimento nella loro vita, soprattutto nelle relazio-ni con gli altri; infatti Benedetto XVI, rivolto a quanti vogliono seguireCristo, si è espresso con queste parole: «I giovani devono oggi farespazio a Gesù incarnato nel povero: essa è la condizione per essereaccolti domani come benedetti da Gesù nel Regno preparato dalla crea-zione del mondo».

2424 Novembre Novembre 20122012

Luigi e Chiara Vidoni

MM i chiamo Luigi Vidoni, ho 66 anni.Sono sposato con Chiara e abbia-mo due figli, Matteo e Micol. Sono

stato ordinato diacono a Trieste nel 1991. Nel1996, dopo un congruo periodo di discernimento,abbiamo aderito alla richiesta che il Centro Sacerdotaledel Movimento dei Focolari ci rivolgeva per unservizio a favore dei sacerdoti e dei diaconi dio-cesani che aderiscono al Movimento. Col con-senso del vescovo di allora ed avendo avuto iltrasferimento lavorativo alla Direzione Centraledelle Poste a Roma (ero infatti dipendente del-le Poste), mi sono trasferito con tutta la fami-glia, prendendo la residenza nella diocesi di Frascati.

Oltre agli impegni presso il Centro Sacerdotale,svolgo il mio servizio pastorale nella diocesi diFrascati. Da una decina di anni però, deside-rando condividere questo mio ministero con altridiaconi nel posto dove vivo, partecipo alla vitadella Comunità diaconale della vicina diocesi diVelletri-Segni, che mi ha accolto come “uno diloro” pur essendo residente in altra diocesi, nel-la quale tale Comunità non era presente. La mia chiamata al diaconato nasce da moltolontano… Non tanto come vocazione specifica,che è venuta in età adulta, quanto piuttosto comedesiderio e forte attrattiva a dare la mia vita perla Chiesa. In particolare fin da giovane mi aveva sempreaffascinato una visione di chiesa giovane e bel-la che non si identificava solo con le persone

che frequentavano laparrocchia, maabbracciava tutti indi-stintamente, anchequelli che non met-tevano mai piede inchiesa. Solo una visione dichiesa che fossecome una famiglia midava la sensazioneche si potesse arri-vare a tutti, rispettandoognuno, perché a tut-ti si poteva giunge-re con l’amore. Sentivo che la dina-mica della vita di fami-glia, lo stile di fami-glia, doveva esserelo stile della comunità

ecclesiale. C‘è stata però unacircostanza nella quale ho sen-tito chiaramente la chiama-ta al diaconato.Siamo nella metà degli anni‘80. Con la mia famigliaabbiamo trascorso le vacan-ze estive in montagna. Ognisera andavamo a messanella chiesetta del paese checi ospitava. Il parroco riuniva attornoall’altare diversi ragazzi e ragaz-ze, mentre la gente si siste-mava nella navata e tutti par-tecipavano alla celebrazioneeucaristica con molta semplicità.Vedevo il sacerdote come unpadre che raccoglieva attor-no alla mensa la sua famiglia.E questo ambiente mi colpi-va, mentre una forza interioresuscitava in me il desideriodi collaborare alla missionedel sacerdote. Fu una sensazione forte, com-movente, coinvolgente.«Ecco – mi dissi – a questomi sento chiamato: cooperare

nel generare la comunità cristiana insieme a quelprete, quasi ad essere un tutt’uno con lui». Sembrava un sogno… e non capivo come si sareb-be potuto realizzare. Più tardi capii che questa chiamata si sarebbeconcretizzata nel diaconato. In questo contestoè maturata la mia vocazione al diaconato, checomportava, in questa avventura, il coinvolgi-mento di mia moglie Chiara e dei nostri due figli,senza forzature. A poco a poco venivo a comprendere la bellezzadella figura del diacono: egli, pur partecipandoalla grazia del ministero, non ha “poteri” comequelli del presbitero e del vescovo. In fondo qua-si tutto ciò che egli fa, lo può fare anche un lai-co... Egli però è chiamato in modo speciale adessere “per” gli altri.Questo essere “per” gli altri, essendo anche, nel-la vita concreta, “come” gli altri, mi ha fatto com-prendere col tempo che il mio ministero diaco-nale non si qualificava per quello che facevo,quanto per quello che ero. Capivo che la dina-mica del servizio comportava un “non essere”,uno scomparire… Essere, in una parola, “nul-la”, un nulla d’amore che contribuisce a far gene-rare, per la grazia del sacramento dell’ordine,la comunità.C’è uno slogan che mi porto dentro sempre: “Iosono gli altri!”, nel senso che il mio “non esse-re” per amore, fa “essere” gli altri, come comu-nità, perché la dinamica del diacono è l’amoreche si annulla - che si fa uno con l’altro -, facen-do sì che gli altri prendano coscienza (e quin-di “siano”) di essere comunità, chiesa; dato chela carità (di cui il diacono ne è segno sacramentalein modo specifico), se non porta all’unità, è “cem-balo risonante”. Ritorna alla mente e si impri-me sempre più nel cuore quanto ho percepito

2525NovembreNovembre20122012

nel mio intimo al termine dellacelebrazione dell’ordinazione, quan-do dissi al mio vescovo, guar-dando la folla che stipava la chie-sa: Oggi ho capito la grandez-za del mio battesimo, di quel bat-tesimo che mi accomuna a tut-ti e mi fa loro servitore. Se grande è la graziache ho ricevuto, ancor più grande è la graziadi essere chiesa, comunità che ama e che ser-ve, ché senza di lei, io non avrei senso. Più avanti mi si fece più chiaro che quella affer-mazione, fatta di getto e sotto l’emozione delmomento, raccoglieva in sé una grande verità:se nella mia vita saprò corrispondere alla gra-zia e sarò quel “nulla d’amore” a cui la “diaco-nia” mi porta ad essere per i miei fratelli, allo-ra potrò essere tramite di grazia e far cresce-re la comunità nell’unico amore di Cristo, nellavocazione della chiesa ad essere segno di quel-l’amore per il mondo.L’esperienza poi mi ha confermato che nella comu-nità nulla ha veramente frutto, se la mia azio-ne diaconale non è fatta in piena unità di inten-ti col sacerdote. Ogni azione rivendicativa del diacono, anche sealle volte può sembrare legittima per la margi-nalità in cui si è messi ad operare, va a detri-mento della stessa azione pastorale.Quanto ho detto riguardo al mio essere diaco-no comporta sempre fare i conti con i miei limi-ti e le mie infedeltà. È un’ascetica che tiene con-

to più dell’Amore di Dio che del-le mie capacità. È una continua ginnastica cheha in particolare un suo cam-po d’azione in famiglia, dove– per la carità nei confronti ditutti – si tratta di vivere in manie-

ra che nessuno si senta a disagio per causa miae dei compiti che la Chiesa mi affida. Vissutacosì, è la vita stessa di famiglia a sostenere gior-no dopo giorno il mio essere diacono e quindiil mio essere per gli altri.Fin da quando ci siamo conosciuti, mia moglieed io, abbiamo sentito la necessità di comuni-carci sempre tutto quello che ci veniva in cuo-re, con molta libertà in modo da aiutarci reci-procamente anche a limare certi nostri “spigo-li”. Però questo venirci incontro l’un l’altro nonera uno scendere a compromessi, ma un aiu-tarci a scegliere meglio e prima di tutto Dio, chesentiamo avere il primo posto nella nostra vita:abbiamo avuto la fortuna di capire da subito cheil nostro “essere insieme” nasceva e si svilup-pava a partire dal nostro personale rapporto conDio. Così, per questo dialogo che c’era tra noiè stato spontaneo, da parte mia, comunicare amia moglie Chiara quanto sentivo in cuore riguar-do alla chiamata al diaconato. È stata una progressiva scoperta e conoscen-za reciproca. Ricordo ancora la sorpresa e lostupore di Chiara quando le accennai per la pri-ma volta, dopo quell’esperienza forte in mon-

tagna, di quanto avevo in cuore. All’improvviso,mentre stavo parlando, lei racconta di un sen-timento di forte paura; non una paura superfi-ciale per qualcosa di esterno, ma una paura piùprofonda, più acuta, come se in quel momen-to le venisse chiesto se fosse pronta a dare lavita, a darla poi per qualcosa che neanche cono-sceva. Fu una frazione di secondi… Ma la cosadi cui stavamo parlando, di una visione di chie-sa bella ed attuale e che ci coinvolgeva total-mente era troppo grande e bella per dire di no:così – lei racconta – “Ho detto di sì prima a Dioe poi a Luigi”.Fu al momento dell’ordinazione, raccontaChiara, che lei comprese in modo nuovo il signi-ficato del matrimonio come sacramento: esse-re visti da Dio “due”, però “uno”, tanto che si avver-tiva di non aver più senso l’essere dell’uno sen-za l’altra, nel disegno di Dio.Constato con sempre maggior convinzione quan-to le persone si accorgano se nella mia vita didiacono, nelle parole che dico, nelle omelie chefaccio, la vita evangelica che cerco di trasmet-tere non è solo mia, ma è frutto della nostra uni-tà. È un continuo sperimentare la bellezza di que-sta famiglia, che sentiamo speciale, perché, fami-glia come tutte le altre, è però al servizio nonsolo della comunità in cui si è presenti, ma ancheal servizio del mondo sacerdotale, per il lega-me profondo che attraverso il marito diacono hacon il sacramento dell’ordine.

2626 Novembre Novembre 20122012

Claudia Benato*

OO ttobre è il mese in cui si celebra in tutte le comuni-tà l’inizio del nuovo anno pastorale e con esso ancheil mese missionario. Proprio in occasione della Giornata

Mondiale Missionaria, domenica 21 ottobre la parrocchia ReginaPacis ha dato inizio all’anno catechistico con la Festa del Ciaoinserita in un contesto missionario, che ha visto, come ognianno, una partecipazione sentita e numerosa dei ragazzi delcatechismo, di alcuni giovanissimi animatori e di adulti.Giochi, bans e laboratori hanno animato la giornata, arricchi-ta dalla presenza di Padre Antonio, Missionario del PIME, vis-suto per vent’anni in Africa, che attraverso la presentazionedi numerose foto ha fatto conoscere ai bambini e ragazzi lavita dei missionari nei villaggi della Costa d’Avorio. Ricordiamo che la parrocchia Regina Pacis da diversi anni sostie-ne i progetti missionari prima con la CEI e poi del PIME, consostegni a distanza realizzazioni di strutture, pozzi e altri tipidi aiuti. Dopo aver contribuito per tre anni ad un progetto perle ragazze traumatizzate dalla guerra in Costa d’Avorio e larealizzazione di un pozzo in Camerun, quest’anno tutti gli sfor-zi si sono concentrati a contribuire alla realizzazione di auleper una scuola materna nel Nord del Camerun. A questo scopo i ragazzi hanno partecipato insieme agli adul-ti alla raccolta, in più come ogni anno diversi collaboratori han-no dato vita ad un mercatino di cose artigianali, ad una pescae altre attività si svolgeranno nel corso delle prossime setti-mane, compresa una cena di beneficenza.La bella e assolata giornata ha fatto da gradita cornice per leattività della festa del ciao, in un luogo incantevole, in collinacon grandi spazi all’aperto e al coperto, più di cento ragazzihanno seguito giochi, momenti di comunicazione video e altrodal mattino fino al pomeriggio.Momento centrale della giornata è stata e non poteva esse-re diversamente, la Celebrazione Eucaristica. Padre Antoniodel Pime ha presieduto mentre Don Angelo, e il diacono Paolohanno concelebrato. Nell’occasione è stato conferito il man-dato ai catechisti e l’occasione di un battesimo ha messo ancorpiù in risalto l’indole missionaria di ogni battezzato.Bambini e ragazzi dei quattro cicli di preparazione alla comu-nione e alla cresima sono stati aiutati anche attraverso il gio-co e la condivisione a prendere coscienza dei temi dell’ami-cizia e della fratellanza cristiana come possibilità anche per ipiù piccoli di esercitare il loro mandato missionario acquisitocon il battesimo. Inoltre hanno preso ulteriormente coscienzadei bisogni di intere popolazioni che soffrono della mancan-

continua a pag. 27

Nella seguenza di foto i vari momenti della giornata: la Santa Messa, le attività svolte, i giochi, l’intervento di p. Antonio del PIME

2727NovembreNovembre20122012

za delle cose più necessarie a causa dell’egoismoumano e di come il vangelo e la conoscenza di Gesùpossono dare una risposta valida per arginare com-portamenti dannosi per l’uomo.Ci preme ricordare quanto ha detto P. Antonio pren-dendo spunto dalle iniziative della parrocchia a soste-gno dei progetti missionari del PIME. Oltre a ringra-ziare la comunità intera per quanto finora fatto, il mis-sionario parlando soprattutto agli adulti, ha tenuto aprecisare che il PIME è stato premiato per la trasparenzanell’uso del denaro offerto. Di fatto, è possibile seguire via internet le realizza-zioni finanziate. Inoltreha ricordato che di quanto vie-ne offerto solo l’8% è destinato per le pratiche buro-cratiche, per lo sposta-mento del denaro stes-so da una banca all’al-tra, da una nazioneall’altra ecc..Quindi a differenza del-le grandi e blasonate orga-nizzazioni delle nazionia livello mondiale dovepiù della metà delleofferte è utilizzato per man-tenere se stesse, per ilPIME ben il 92% delleofferte arriva ai respon-sabili del progetto pre-scelto. Questa è unagaranzia per quantioffrono con generosità.La giornata dei ragazzi si è poi conclusa con una caccia al tesoro e un ricco nutel-la party che ha tentato anche qualche genitore, gli organizzatori ne sono felici e rin-graziano.

*catechista Parrocchia Regina Pacis

Nuovo GruppoArcobaleno*

LL ’estate è tra-scorsa in unsoffio, le gior-

nate al mare e le cor-se in bicicletta sonogià un malinconico

ricordo. Si riparte! Ci incontriamo per programmarel’attività. Catechiste, Gruppo Arcobaleno e donAngelo (Prioreschi). Il primo pensiero come sem-pre, per necessità, va al catechismo per i sacra-menti. Il quesito è: quando si parte? Una “spulciatina”al calendario e si decide: 6 ottobre festa d’ini-zio catechismo. Il Gruppo Arcobaleno però, già dallo scorso anno,ha in mente di proporre un’iniziativa per i non-ni della comunità. Ed ecco la proposta: il dueottobre in tutta Italia si festeggia la Festa deiNonni. Nasce da sé l’idea di una festa che san-cisca l’inizio del “catechismo”, da qui il titolo Ri-Party, che coinvolga nonni e nipoti. Una gara di dolci, con tanto di giuria e premi,giochi popolari , merenda e naturalmente san-ta messa, sono stati sufficienti per dar vita ad

uno dei momenti più coinvolgenti chela nostra piccolissima comunità ha vis-suto in questi anni. Le persone coinvolte sono state uncentinaio circa, che considerando lafamiglia dei pantanini, sono una“gran folla”! Celebrare la festa dei nonni ci è sem-brato doveroso per la vita, per le atten-zioni, le premure, le sofferenze e lemediazioni, per tutti quegli atti di veroe proprio gratuito amore dei nonni ver-so i figli e i nipoti. Ci ha riempito digioia vederli bambini con i loro bam-bini. E ai nipoti speriamo di aver fatto spe-rimentare quel commovente passo dellaScrittura: “Alzati davanti a chi ha i capel-li bianchi, onora la persona del vec-chio e temi il tuo Dio. Io sono il Signore”.(Lv 19,32), forti della convinzione chela Fede va trasmessa attraverso esem-pio e sperimentazione e non certo inseg-nata. Il resto lo lasciamo racconta-re alle foto.

*Chiesa SS. Giuseppe e Vitaliano papa

segue da pag.26

Anche Gian Antonio

partecipa alla Festa del Ciao

Le Volontarie della Parrocchia Regina Pacis

e la Bancarella Missionaria

2828 Novembre Novembre 20122012

LANDI:

PARROCCHIA

SS.MO NOME DI MARIA

Catechisti parr.li

EE’ ’ qui la festa? eh, si ...è proprio qui nel-la Parrocchia Ss.mo Nome di Maria-Genzano di Roma, frazione Landi.

Oggi 07 ottobre si è aperto ufficialmente, alle-gramente e solennemente l’anno catechisti-co 2012/2013. E che apertura! Il sagrato della chiesa è gre-mito di ragazzi e ragazze di tutte le età che,intrattenuti dalle spumeggianti animatrici del

gruppo giovani della parrocchia, si sono incontrati per ripren-dere il cammino catechistico dopo la pausa estiva. Si respira aria di festa, di amicizia e di fratellanza: volti sor-ridenti di genitori, catechisti e ragazzi, entusiasmati da que-sta energia nuova che il nostro parroco don Corrado sta tra-smettendo a tutti noi.Energia che ci infonde il desiderio di andare sempre più avan-ti e di rinnovarci in meglio nella fede. E ce la stiamo metten-do tutta. La s.messa piena di ragazzi e animata dal coro par-rocchiale corona questa mattina di gioia. E dopo la messa? Il “Cate-aperitivo” per concludere la festae darci appuntamento al prossimo incontro.

VELLETRI:

SANTA MARIA INTRIVIO

DDomenica 7 ottobre la

comunità di S. Maria in Trivio

si è ritrovata all’Acero per cele-

brare la Giornata di Vita

Parrocchiale, appun-

tamento annuale che

segna l’inizio dell’an-

no catechetico e del-

le varie attività par-

rocchiali.

Da qualche tempo

questo giorno diventa

l’occasione privilegia-

ta che la comunità ha

di riflettere su se stes-

sa e sulla sua capacità

di accogliere, di esse-

re il luogo del perdo-

no e della festa,

come scrive

Jean Vanier, le cui parole hanno gui-

dato la riflessione iniziale facendo

da sottofondo all’intera giornata.

Una comunità che acco-

glie è una comunità viva,

che riesce a risponde-

re al bisogno di sentir-

si amato ed accettato,

desiderio che caratte-

rizza ogni persona.

E una comunità è viva

se permette ad ognuno di esprimere se stes-

so, con i suoi doni e le sue capacità, accet-

tandone i limiti e le imperfezioni.

Questi concetti sono stati espressi attra-

verso la preghiera, la condivisione e il gio-

co, fino al momento conclusivo, in cui ogni

famiglia ha posto un tassello a formare il

mosaico della Madonna della Salute, evi-

denziando come la partecipazione di tut-

ti sia essenziale alla composizione di un’im-

magine, simbolo della comunità.

Catechisti parr.li

2929NovembreNovembre20122012

Collaboratori Archivio di Segni

LL ’Archivio Storico “Innocenzo III” si accinge ad organizzarea Segni una importante manifestazione culturale per saba-to 10 novembre prossimo dal titolo “Il ritorno dei Duchi a Palazzo”,

che avrà come tema i Conti-Sforza nel Seicento. Avrebbe dovuto svolgersi nello storico palazzo Conti, ma la sua ina-gibilità, recentemente accertata, ci ha messo nella necessità di tra-sferirla nel palazzo del Seminario, dove troverà una degna corni-ce nel refettorio realizzato per volontà di Leone XIII a fine Ottocento.Innanzitutto verranno presentati, in anteprima assoluta, i ritratti deiduchi Alessandro Sforza ed Eleonora Orsini, fino ad oggi ignoti. Al riguardo verrà proiettato un video specifico, su base musicaledel sec. XVII, seguito da una descrizione storico-artistica dei ritrat-ti stessi fatta dal prof. Luca Calenne, storico dell’arte e collabora-tore dell’Archivio.Seguiranno tre conferenze:

A.Serangeli, I duchi di Segni Alessandro Conti-Sforza ed Eleonora Orsini: un profilo biografico, dedica-ta, ovviamente, alla conoscenza di questi due personaggi, appar-tenenti al gotha della nobiltà italiana ed europea;

L. Calenne, Un’opera collettiva di seguaci del Cavalierd’Arpino: il Palazzo Conti-Sforza di Segni.La conferenza illustrerà gli affreschi di palazzo Conti con il supportodelle immagini realizzate, alcuni mesi fa, alla stessa altezza da ter-ra (circa 8 metri) delle aree dipinte: sarà un modo del tutto inno-vativo di vederli;

M. Barbara Guerrieri Borsoi, Il pittore Marco TullioMontagna da Velletri: un interprete atipico del Cavalierd’Arpino. La relatrice è una nota storica dell’arte che parlerà di questo pit-tore veliterno che lavorò a Roma per gli Sforza. Ancora una volta emerge chiaramente l’importanza che ebbe per il nostroterritorio l’arte di Giuseppe Cesari, meglio conosciuto come il Cavalierd’Arpino, nella cui bottega si formò anche Orazio Zecca, pittore di Montefortino(l’attuale Artena) di cui l’Archivio ha edito un corposo volume nel 2011

presso l’editore Gangemi. Ci sembra che i motivi di originalità e di interesse della manifestazioneci siano tutti, tra l’altro, c’è anche molta attenzione in proposito da par-te degli ambienti culturali del territorio.

Due giorni per i cresimati

PRENDI IL LARGOPRENDI LA TUA VITA E FANNE

UN CAPOLAVORO (Giovanni Paolo II)

L’Ufficio Catechistico Diocesano informa che il prossimo 10 -11 novembre

all’Acero si terrà il campo per i ragazzi che HANNO RICEVUTO il sacramento

della CONFERMAZIONE nell’anno 2012.

Si invitano tutti i parroci a caldeggiare la partecipazione dei

gruppi accompagnati dai propri educatori.

Obiettivo: aiutare i ragazzi a riscoprire i carismi ricevu-

ti, che dopo la Cresima sono chiamati a mettere in

gioco e in particolare riscoprire la loro vita come un

capolavoro che il Signore affida loro perché lo fac-

ciano fruttificare.

PER PRENOTAZIONI CONTATTARE

[email protected]

Antonella: 349 670 25 53

3030 Novembre Novembre 20122012

Paolo Fratarcangelo*

L’ EPISCOPATO A ROMA NEL SECONDO SECOLO

LL a preminenza della chiesa di Roma rende dubbio il fatto cheIgnazio non conosceva un eventuale vescovo di Roma. Per cuil’assenza del nome del capo della comunità rende evidente che

un vescovo non era presente nella comunità. Va aggiunta a sostegnodi questa tesi la considerazione che la lettera ai Corinzi non è firmatada Clemente. Sappiamo che è stata scritta da lui da Ireneo che nell’Adversushereses, quando espone la lista dei vescovi di Roma, dice di essere venu-to a conoscenza del fatto che Clemente ha scritto la lettera ai Corinzida una successiva lettera di Dionigi, vescovo di Corinto a Sotero vesco-vo di Roma, circostanza confermata in un passo di Eusebio. Del resto nell’intestazione della lettera è detto in maniera chiara ed ine-quivocabile che è la chiesa di Roma che scrive alla chiesa di Corinto.Non era desueto nella tradizione cristiana che un vescovo scrivesse aduna comunità o ad un altro vescovo. Pensiamo alla lettera di Paolo aiRomani (Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, (…)[7] Aquanti sono in Roma diletti da Dio e santi per vocazione, grazia a voi epace da Dio, Padre nostro, e dal SignoreGesù Cristo.) oppure alla lettera di Ignaziostesso a Policarpo vescovo di Smirne.Il fatto che nella lettera ai Corinzi nonè nominato alcun vescovo dimostracome nel 95 D.C non esisteva un vesco-vo monarca né a Roma né a Corinto.Una lettura più attenta del capitolo 44della lettera ci porta a considerare comequando si parla di capi della comu-nità si parla al plurale.

Giusto ufficio XLIV,1. I nostri apostoli conosceva-no da parte del Signore Gesù Cristoche ci sarebbe stata contesa sulla cari-ca episcopale. 2. Per questo motivo, prevedendo esat-tamente l’avvenire, istituirono quelliche abbiamo detto prima e poi die-dero ordine che alla loro morte suc-cedessero nel ministero altri uomi-ni provati. 3. Quelli che furono stabiliti dagli Apostolio dopo da altri illustri uomini con il con-senso di tutta la Chiesa, che aveva-no servito rettamente il gregge di Cristocon umiltà, calma e gentilezza, e chehanno avuto testimonianza da tutti eper molto tempo, li riteniamo che nonsiano allontanati dal ministero.4. Sarebbe per noi colpa non lieve seesonerassimo dall’episcopato quelli chehanno portato le offerte in maniera inec-cepibile e santa.5. Beati i presbiteri che, percorren-do il loro cammino, hanno avuto unafine fruttuosa e perfetta! Essi non han-

no temuto che qualcuno li avesse allontanati dal posto loro stabilito. 6. Noi vediamo che avete rimosso alcuni, nonostante la loro ottima con-dotta, dal ministero esercitato senza reprensione e con onore.Quindi al capitolo 44 si evidenzia una successione apostolica, non diun solo vescovo ma di un gruppo di presbiteri che hanno anche il nomedi vescovi. Anche nella lettera a Tito vi un doppio appellativo per i pre-sbiteri. Per questo ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine in quel-lo che rimane da fare e stabilisca alcuni presbìteri in ogni città, secon-do le istruzioni che ti ho dato. 6. Ognuno di loro sia irreprensibile, marito di una sola donna e abbiafigli credenti, non accusabili di vita dissoluta o indisciplinati.7. Il vescovo infatti, come amministratore di Dio, deve essere irreprensibile:non arrogante, non collerico, non dedito al vino, non violento, non avi-do di guadagni disonesti, 8. ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, santo, padrone disé 9. fedele alla Parola, degna di fede, che gli è stata insegnata, per-ché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare i suoioppositori. Sembrerebbe da questo testo che i vari presbiteri in alcunecircostanze rivestissero la funzione di vescovo. Alistair Stewart Sykes ritiene che con ogni probabilità all’interno dellacittà operavano un certo numero di presbiteri che di volta in volta pren-devano l’ufficio di vescovo, ossia di capo della celebrazione, soprattut-

to quando guidavano le riunioni di unapiccola comunità. Specialmente nel-le grandi città era difficile avere unasola comunità. Molto probabilmente vierano singole comunità che si riuni-vano in case-chiese e celebravano laliturgia. Di qui il doppio ruolo di pre-sbiteri e vescovi. Nel suo complesso la comunità era gui-data da un gruppo di presbiteri che assu-mevano poi il ruolo di vescovi in par-ticolari situazioni. Il modello di gestio-ne della comunità può essere assimilatoa quello in uso nella comunità ebrai-ca di Alessandria. Qui la comunità era governata da unpresbiterio, un consiglio di anziani, Ognipresbitero poi governava una sinagogaossia una comunità della città.

IL RUOLO DI CLEMENTE NEL PRESBITERIO ROMANO

Una volta chiarito che a Roma nonera presente la figura del vescovo conpotere monarchico come è oggi inte-so, ma un collegio di presbiteri che divolta in volta presiedevano le celebrazionie prendevano il nome di vescovi è neces-sario comprendere il ruolo di Clementenell’ambito del collegio di presbiteri. Nell’ incipit della lettera ai Romani, giàsopra citata, troviamo la seguente affer-mazione : 1Paolo, servo di Cristo Gesù,

3131NovembreNovembre20122012

apostolo per chiamata, scelto per annunciare (…) –, 7 a tutti quelli chesono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e paceda Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo! Sostanzialmente Paoloindirizza la sua lettera a tutti coloro che sono a Roma lasciando inten-dere che nella città sono presenti diversi gruppi di cristiani tra i quali lalettera deve circolare. Ne consegue che all’interno della comunità vi doveva essere una per-sona che aveva le funzioni di segretario e che poteva essere incarica-to dal collegio dei presbiteri di rispondere alle lettere. Si può ipotizzareche Clemente svolgesse questo compito all’interno del collegio dei pre-sbiteri, per cui nel momento in cui doveva essere ricostruita la succes-sione dei vescovi di Roma da Pietro in poi fu individuato il suo nomeper la carica di vescovo. Anche l’incertezza della sua collocazione al ter-zo o quarto posto nella successione potrebbe essere spiegata con ladifficoltà di individuare con esattezza chi di volta in volta svolgesse all’in-terno del collegio dei presbiteri la funzione di segretario.A dimostrazione di quest’ affermazione si può portare il testo della visio-ne 2,4 del Pastore di Erma. In questo testo noi troviamo la presenza diun personaggio di nome Clemente. Se questo personaggio coincide conl’autore della lettera ai Corinzi noi abbiamo la possibilità di meglio com-prendere il ruolo di Clemente nella comunità romana. Il Pastore ha una visione e la riferisce ad una signora anziana identifi-cata con la Chiesa Il Pastore è incaricato di scrivere la visione in duelibri. Uno lo affiderà a Clemente e l’altro ad un’altra persona, Grapte.Clemente avrà il compito di inviare il libro alle città esterne, mentre Graptedarà lettura della visione alle vedove ed agli orfani. Sostanzialmente il Pastore condividerà la visione con l’intero presbite-rio, mentre ogni presbitero darà conto della visione quando presiederà

come vescovo la sua comunità nella casa-chiesa. Durante la riunionedi tutto il presbiterio Grapte leggerà la visione agli orfani ed alle vedo-ve, a cui non è consentito prendere parte alla riunione. Clemente è inve-ce incaricato di trasmettere la visione alle altre città. Clemente può essere pertanto paragonato ad “ un ministro degli esteri“ addetto ai rapporti con le altre comunità, destinatario della posta e cura-tore dell’invio delle comunicazioni.Per cui quando la comunità di Roma scrive alla comunità di Corinto l’in-caricato di inviare la comunicazione è Clemente, che poi viene identi-ficato con l’autore della lettera. Così quando si affermò verso la fine delsecondo secolo l’episcopato monarchico e si accentuò il riferimento allacontinuità tra i vescovi e gli apostoli, e per Roma la continuità tra Pietroed i suoi successori, nel ricostruire la successione da parte di Ireneo edi Egesippo fu individuato il nome di Clemente per la carica di vescovo- monarca di Roma.

GOVERNO COLLEGIALE E GOVERNO MONOCRATICO

Va anche rilevata una coincidenza. La figura del vescovo monarca si deli-nea in oriente ed è espressa in maniera già definita in Ignazio di Antiochiaall’inizio del secondo secolo. E’ ben nota la circostanza per cui le strut-ture politiche nella parte occidentale del mediterraneo sono state carat-terizzate, da un certo periodo in poi, da una gestione collegiale del pote-re, mentre ad oriente è prevalso quasi sempre il modello della monar-chia assoluta. A Roma in particolare la gestione collegiale ed il rifiuto del monarca asso-luto si presenta come una caratteristica peculiare della costituzione poli-tica di Roma. In Livio è ben specificato come nel momento del pas-saggio dalla monarchia alla res publica i patrizi romani giurarono di nonaffidare mai più ad un solo il governo della città:<<Su questo sangue, purissimo prima che il principe [Sesto Tarquinio]lo contaminasse, giuro e vi chiamo testimoni, o dèi che d’ora in poi per-seguiterò Lucio Tarquinio il Superbo e la sua scellerata moglie, insie-me a tutta la sua stirpe, col ferro e con il fuoco e ogni mezzo mi saràpossibile, che non lascerò che né loro, né alcun altro possa regna-re a Roma.>>(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 59.)Per questo motivo quando Cesare intuì che oramai la res publica roma-na non era più governabile attraverso strutture politiche che garanti-vano rotazione del potere, collegialità, temporaneità delle cariche, maimpedivano la gestione dello Stato, la nobilitas, a cui tra l’altro egli stes-so apparteneva ne decretò l’assassinio. Non era Cesare l’obiettivo, mail rifiuto della monarchia assoluta di tipo orientale a cui Cesare si ispi-rava. Per cui si può ipotizzare che nel mondo romano e segnatamen-te a Roma sia per la grandezza della città sia per la particolare formamentis del popolo di Roma inizialmente fu preferita una gestione col-legiale della chiesa o meglio delle chiese presenti in città.Successivamente per garantire una gestione più fluida e nello stessotempo più rigorosa fu importato il modello orientale, peraltro tempera-to con la collegialità dei vescovi monarchi espressa dai concili. Nella storia della chiesa nelle epoche successive e segnatamente dopola riforma protestante più volte si è riproposto il conflitto tra una gestio-ne collegiale della chiesa e la presenza autoritaria del vescovo monar-ca, con il ruolo preminente del vescovo di Roma in quanto successo-re di Pietro. Ed in questo contesto la storia dei primi secoli è stata variamente inter-pretata e manipolata. Forse facendo riferimento a una normale evoluzione degli eventi, deter-minata da situazioni oggettive, molti contrasti potrebbero essere evi-tati, specie se i documenti e le circostanze reali vengono valutate inrelazione ai contesti in cui si manifestano e non interpretate in funzio-ne del significato che si vuole attribuire loro.

*docente di lettere presso il Liceo Mancinelli e Falconi di Velletridottorando presso l’Istitutum Patristicum Augustinianum - Roma

Grafica: Uff. Dioc. Comunicazioni Sociali Velletri

Foto di Massimo Tomasini : part. del Busto di S. Clemente,G. Finelli,1632-39,

Museo Diocesano Velletri

3232 Novembre Novembre 20122012

Alberto Franceschini

II n una domenica di luglio il direttore siavvicinò chiedendomi di scrivere qual-cosa per la rivista “Ecclesia in Cammino”.

Io gli risposi con una domanda: “Cosa, un sonet-to?” (lui sa che io scrivo sonetti e poesie indialetto romanesco). “No, un articolo su unargomento qualsiasi!” e la conversazione finìlì. Poi mi son chiesto, ma se il mio scritto nonrisultasse interessante? Al massimo, don Angeloeviterà di propormi una seconda opportuni-tà. Così, mi sento sollevato da ogni incom-benza. Amen.Proprio ieri, avendo un po’ di tempo libero erimuginando al suo invito, ne ho approfitta-to per prendere carta e penna (una penna par-ticolare, che verrà menzionata più avanti) ebuttar giù le mie opinioni su un tema che deste-rà a qualcuno antipatia nonché malumore: lamorte. Essa ricorre sovente nei miei pensieriin quanto evento ineluttabile, fatale, a cui nonci si può ribellare.Il tema è serio ma può essere sdrammatiz-zato. Anzi, nonostante fossi un “ottimista allaLeopardi”, mi capita quando è possibile di scher-zarci su. Il grande poeta diceva che il mon-do ha due cose belle, l’amore e la morte. Iomi sento di dissentire sulla seconda di que-ste. Al posto della morte ci metterei la vita,bene prezioso e immenso, e l’amore lo lasce-rei lì, al primo posto, perché è da esso chenasce la vita e trova nell’amore una degnacollocazione e compiutezza. La morte è deci-samente orribile, ci fa rinunciare alle mera-viglie che la vita, generosissima, è semprepronta a riservarci. È l’annullamento al trionfo delle emozioni edei sentimenti. Non avremo più la capacitàdi avvertire le sensazioni prodotte da stimo-li interni ed esterni. L’uomo non potrà più vede-

re il sorriso di un bambino felice, il sorgeredel sole caldo e splendente, un tramonto ros-so fuoco, un vanitoso arcobaleno truccato coni suoi sette colori preferiti, il volo irrequietodelle rondini, l’acqua che zampilla da una roc-cia, lo sbocciare delle rose e delle viole. Non potrà più sentire i miagolii e le fusa delsuo gatto, i canti melodiosi degli usignoli, ilsibilo penetrante del vento, il fruscio delle fogliemosse, il fragore delle onde spumeggianti sugliscogli. Non proverà più amore e passione persua moglie, più affetto e benevolenza per suofiglio, qualsiasi gioia gli sarà preclusa. Si porterà via anche i piaceri della tavola, lesucculente amatriciane, le polentate invernalisulla spianatoia e quant’altro di delizioso ilpalato possa apprezzare. Se non altro spa-riranno anche le péne, i dolori, le ansie, lepaure, le fobie ecc. … Anche i debiti si annul-leranno, o meglio, saranno i posteri a pren-dersene cura e, se il defunto non avrà lascia-to una buona eredità, è probabile che le pre-ghiere le vengano lesinate con estrema mode-razione.Prima di inoltrarmi oltre, racconteròdue aneddoti veramente curiosi. Quattro anni fa sono capitato dentro i localidel C.R.A.L. del Ministero del Tesoro di ViaXX Settembre a Roma e ho notato che duesignori con temperamento flemmatico pro-muovevano i loro servizi funerari. Erano orga-nizzati con cataloghi figuranti feretri più o menopregiati, urne, stele e quant’altro occorres-se per una traslazione e sepoltura. Il loro tavo-lo era allestito con gadget vari, calendari, agen-de, penne e dulcis in fundo, piccole tetre bareportachiavi. Ebbene, incredibile ma vero, nel-l’arco dell’intera mattinata, poche, ma vera-mente poche rispetto al notevole afflusso diimpiegati, sono state le persone che si sonoavvicinate ai due professionisti e quando siappressavano, si tenevano ad una certa distan-

za, guardando gli articoli con certa diffiden-za, senza lasciarsi tentare dalla curiosità ditoccarli. Alla fine ho notato gli sventurati serio-si lasciare il campo di battaglia piuttosto amma-linconiti. Ma poco male, tanto loro ce l’han-no nel DNA l’espressione desolata e lugubre. Avevano lasciato però una ventina di pennesul tavolo a disposizione dei meno supersti-ziosi, senza alcuna esitazione le ho prese tut-te io. A distanza di anni ancora le uso e lecustodisco gelosamente perché non lascia-no tracce d’inchiostro sulla carta. Proprio una di queste penne i primi d’ago-sto l’ho dimenticata sul bancone di una cas-sa di una Banca di Velletri. Dopo qualche gior-no sono ritornato all’Istituto di credito per fareun’altra operazione bancaria e ho notato incre-dulo che la mia penna giaceva ancora lì. “Toh”, dissi, “la mia penna!”.“Ah, perché, è la tua?”, replicò il cassiere, “ripren-ditela subito per carità, sai quante invettivemi sono beccato? Quando s’accorgevano del-la pubblicità necrologica, la buttavano schi-fati sul bancone come se fosse appestata”.Ecco, questo è il comportamento scaramanticoe ridicolo di tante persone che soffrono soloall’idea di pronunciare la parola morte o cheabbiano a che fare con oggetti che gliela ricor-dano. Ci sono poi quelli che per esorcizzar-la si dedicano alle spese compulsive, acce-lerando un processo di indebitamento deci-samente preoccupante, perché sono convintiche i buffi allunghino la vita. Fin da bambini abbiamo preso visione di comela morte fosse sempre rappresentata con sem-bianze traumatizzanti, soprattutto nellevignette appare come una perfida, implaca-bile megera, con una grossa falce affilata chedimena a destra e a manca alla ricerca di unavita da spezzare. Cosi cresciamo con que-st’idea distruttrice e umiliante che rende l’uo-mo terribilmente impotente, perché la mor-te vincerà sempre sulla nostra vita terrena. La morte è un evento antropologico atavicoche influisce negativamente sulla natura e sul-l’umore dell’uomo. Credenze e tradizioni legate ad essa pullu-lano nel nostro patrimonio culturale colletti-vo e sono radicate nella nostra organizzazionesociale e la scarsa acquisizione di notizie sul-la fine dell’esistenza non fa altro che raffor-zare la sublime ignoranza dell’uomo inmateria.

3333NovembreNovembre20122012

Tracciamo supposizioni, congetture basatesu dati approssimativi che mai ci hanno por-tato o ci porteranno a niente di costruttivo senon al fatto inconfutabile che la morte si impos-sesserà della vita. Ma sul trapasso e sul pas-saggio nell’aldilà non rimane che un miste-ro insormontabile. Nessuno dei nostri cari estinti è mai venutoad informarci cosa ha trovato dopo la dipar-tita, cosa ha visto, chi ha incontrato. La nostraconsapevolezza è limitata al fatto che la mor-

te ci priva del dono più prezioso che Dio ciha concesso e l’accettiamo solo perché nonsiamo in grado di tirarci indietro, di opporleresistenza; una sorta di cul-de-sac.Tutti conviviamo quotidianamente con la mor-te perché è insita nell’uomo, ce lo testimo-nia la biologia. Sappiamo che le cellule di alcu-ni tessuti, il sangue, l’epidermide ecc. han-no bisogno di un continuo ricambio genera-zionale e quindi le cellule invecchiate muoio-no per rinnovarsi con altre nuove. È difficile quindi fare una netta distinzione fravita e morte. La morte fisica di un individuonon si ha nei singoli elementi, che compon-gono il nostro organismo, ma si riferisce all’e-stinzione del complesso degli organi che com-pongono il nostro corpo, cioè alla fine del-l’individualità corporea. Per co-relazionare lavita alla morte adotterei una famosa frase,peraltro bislacca, di un politico italiano:“convergenze parallele”. Mi pare piuttosto stramba, due vie che con-

vergono non possono essere parallele e vice-versa. Però pensandoci bene sul rapporto vita– morte questa frase può trovarvi spazio. La morte biologica delle cellule vecchie e ilconseguente rinnovamento fanno sì che lamorte e la vita convergano in uno stesso cor-po, ma se si esclude il fenomeno al livello cel-lulare, tutte e due cammineranno parallela-mente fino all’estinzione dell’essere viventee al trapasso convergeranno di nuovo per unsolo istante.La morte dal punto di vista teo-

logico non è altro che la con-seguenza del peccato ori-ginale commesso da Adamoed Eva; quella disubbi-dienza a Dio ha sancito lafine di ogni loro rapporto conl’Onnipotente. L’uomo di fede però èconscio che alla sua mor-te sopravviverà l’animaperché nello spirito è pre-sente l’immortalità. È altre-sì consapevole che sarà solouna separazione temporaneaperché il giorno della risur-rezione anima e corpo siricongiungeranno. Ma c’e-ra veramente bisogno cheDio introducesse la morte? Dio è infinitamente buonoe misericordioso ma allo-ra perché ci ha severamentepuniti per una disubbi-dienza, condannandoci amorte fisica? Lui ci hacreati, sapeva delle illimi-tate debolezze umane;possibile che una ribellio-ne, magari perpetrata in unmomento confusionale per-ché istigata dal maligno, loabbia alterato a tal puntoda farci meritare una pena

di immani proporzioni? Se tutti siamo convinti della grande tolleranzadivina perché quel giorno Dio è stato cosi intran-sigente? E ancora, se il nostro corpo è il tempio del-l’anima, perché è soggetto a imputridire perl’effetto dell’azione di microrganismi? Non poteva trovare una decomposizione piùdignitosa, se mai ce ne fosse bisogno?Nella vita ci impegniamo con dedizione a con-servare, salvaguardare, coccolare, ad ama-re il nostro corpo e vederlo destinato a un dis-facimento inglorioso è per noi motivo di sof-ferenza. Però va detto anche che, se Dio è perfezio-ne, perché mettiamo in discussione il suo ope-rato? Perché siamo refrattari e non ci ade-guiamo alle sue direttive? Gli offriamo resistenza, ci pieghiamo malvo-lentieri al suo volere, non ci converrebbe cam-biare in maniera radicale il nostro compor-tamento e lasciare le cose come stanno, sen-

za porci innumerevoli domande, che rimar-ranno irrisolte per via del nostro limitato sci-bile? Questi sono i quesiti e le considerazioniche io mi faccio sul castigo che ci siamo meri-tati e sono però preoccupato del giudizio diDio. Anche il modo di come Dio perdonerà inostri peccati esulo dai limiti del razionale uma-no. Nessuno di noi ha la capacità di sapere.Nella dipartita è facile che il Signore premipiù un assassino pentito che da sempre haconosciuto il male perché solo quello gli han-no insegnato (come nelle fiere dove è inna-to l’istinto alla ferocia per sopravvivere), cheun bigotto nella vita si è battuto frequente-mente il petto facendo mea culpa, ma che èricaduto negli stessi errori senza preoccuparsidi correggerli. Nel periodo di vita terrena venia-mo tutti messi alla prova, ma spesso ce nedimentichiamo, perché le problematiche del-la nostra complessa esistenza ci ottenebra-no e ci allontanano da un equilibrato e sanocammino spirituale. È come se lo spirito nonfosse a noi intrinseco, spesso lo lasciamo cade-re nell’oblio, lo trascuriamo anteponendo ilbenessere fisico a quello incorporeo.Il giorno del giudizio individuale – quello chemi riguarda – spero che Dio non sia troppostanco e che abbia i bioritmi alti, perché unpeccatore come me avrà bisogno di trovaretanta comprensione e clemenza. Sarò pronto ad espiare le mie colpe in Purgatorioperché mi venga concessa l’opportunità di far-lo, in modo che io possa poi meritarmi quel-lo stato di felicità eterna che tutti agognano.Voglio chiudere con un sonetto:

Dopo la morte� er paradiso

Quanno San Pietro der paradiso te

aprirà le porte,

te sembrerà d’esse arivato

ner mejo sito,

tutto arisplènne,

tutto sarà a tte gradito

che tte scorderai subbito de

quela mòrte.

Lì nun dovrai lavorà,

nun arzerai un dito,

sarai cormato de felicità nello

spirito fòrte

e sse tte sei meritato la benigna sorte,

è perché de più de ‘n peccatuccio

te sei pentito.

Mò starai lì pe’ adorà l’Onnipotente

e ppe’ vvede’ brilla’ la sua luce,

incontrerai l’angioli, li santi e

quarche parente.

Uno stato de profonna emozzione

te ‘ntroduce

Nei cori gioiosi co’le anime contente.

Quer benessere celestiale,

a cchi nun seduce?

La Morte, Trionfo - Palermo, sec. XV (copia)

3434 Novembre Novembre 20122012

Concludiamo la presentazione della tesi di laurea,svolta dall’Arch. Alfredo De Filippis, sul tema del

restauro del Concento del Carmine in Velletri.

LL e linee guida che hanno orientato lescelte progettuali di restauro del com-plesso conventuale di Santa Maria del

Carmine di Velletri, possono essere riassuntenelle seguenti fasi: a) Recupero della leggibili-tà dei caratterispaziali dell’e-dificio attraver-so la rimozionedi tutte le ostru-zioni novecen-tesche, che osta-colano la lettu-ra stratigrafica delc o m p l e s s omonastico, uti-lizzando le stesse come una risorsa e non comeun limite; b) Restauro leggero delle strutture delmanufatto con la restituzione dei volumi origi-nari; c) Pieno recupero degli stessi con la defi-

nizione dellenuove destina-zioni d’uso e deisistemi tecno-logici. Le rimo-zioni, appressoindicate, inte-ressano le tra-s formaz ion inovecentescheoperate in ragio-ne dell’uso ulti-mo come uffici(Agenzia delle imposte direttee Catasto) governativi: le tam-ponature del lato nord-est delchiostro e le tramezzatureinterne agli stessi locali; ilsolaio e la relativa struttura por-tante verticale, di divisione delvolume dell’allora Chiesa di S.Antonino; il setto murario chedivide la Chiesa dalla Sacrestia,realizzato in seguito all’abbat-timento dell’abside; le tampo-nature dei muri perimetrali del-la Chiesa, realizzate comeschermo delle strutture mura-rie portanti ed ad inibire la vistadegli archi a tutto sesto di mat-toni cotti e dell’affresco dellaMadonna; le tramezzature rea-

lizzate negli ambienti del piano terra, dellato sud-ovest del complesso conventuale;ed infine le tramezzature realiz-zate negli ambienti dei piani inter-rato, mezzanino, terra e primo.E’ in questo segno che, rimosse le aggiunte impro-prie, si sono concretizzate le scelte progettua-li iniziando dalla necessità di porre in piena evi-denza la struttura muraria del volume teatrale

di progetto, che eraquello della Chiesa.Con lo scopo poi diporre in lettura inte-grale le trasforma-zioni del testo mura-rio, realizzato inopus incertum conricorsi ed archi a tut-to sesto in mattonicotti, si prevede la

realizzazione del pavimento sulle sepolture deireligiosi nel volume che fu Chiesa, costruito instruttura metallica e assi di legno corredati dielementi resistenti e traslucidi che nei cammi-

namenti rendano visibile la sottostantestruttura muraria, come che fosse unapasserella di cantiere; la realizzazionedel nuovo abside, nello stesso postodel precedente abbattuto, costruitocon una struttura metallica leggerae cristallo, per essere usato come pal-coscenico del teatro; infine la crea-zione di ambienti multifunzionalirealizzati con l’istallazione di paretimobili attrezzate, nei locali del pia-

no primo che furono dapprima dormitori e poiuffici. In sintesi una lettura storica ed architet-tonica integrale di tutte le trasformazioni del testomurario e di tutto il materiale informativo che rac-chiude, che permetta di accedere ad una espe-rienza progettuale nell’ambito di quel restauro“critico conservativo” teorizzato dal Brandi, teo-rema fatto proprio da Guido Canali quando defi-nisce il concetto di “Restauro Leggero” e indi-ca nella“importanza di non sottrarre spessorealle tracce della storia che si sono depositatenel corso del tempo sulla fabbrica” la via da per-seguire. In buona sostanza si torna all’antico,

ovvero all’e-tica del rapportoantico - storico (inno-vatori e conservatori), chepermea da sempre l’architettu-ra. Un tema mai esaurito ma sempre in fermentoe oggetto di costante dialettica tra chi opera nelcampo dell’ architettura.Fra una modernità esasperata, rivoluzionaria,ed una post-modernista imitativa, regressiva, puòe deve esistere una terza via quella di un rap-porto vivo e rispettoso della memoria, contestualizzata,studiata e approfondita. Una terza via tenacemente perseguita daGuido Canali con i lavori di restauro delPalazzo della Pilotta, a Parma e, nello Spedaledi Santa Maria della Scala a Siena, convinta-mente condivisa dal sottoscritto. (fine)

Il complesso in una ricostruzione virtuale

vista da sud-ovest

Prospetto sud, sulla piazza Prospetto est

Prospetto nord - est

Il complesso in una ricostruzione virtuale vista da nord-est

3535NovembreNovembre20122012

Mara Della Vecchia

NN ella musica liturgica cristiana occidentalenon è usuale assistere a una celebrazioneeucaristica nella quale il canto sia accom-

pagnato da un qualche elemento coreografico,anche un piccolo accenno al movimento nonviene accettato con disinvoltura: non siamo abi-tuati a pensare alla musica liturgica come unamusica adatta alla danza: proveniamo dalla cul-tura dell’immobilità fisica dell’uomo che prega.Non vuole essere questo un giudizio negativo,ma occorre esserne consapevoli per comprenderecosa succede, al contrario, in altre culture. Nella musica africana l’elemento ritmico è fon-damentale, la composizione musicale scaturi-sce dal ritmo più che dalla melodia, e in unamusica principalmente ritmica è impossibile pre-scindere dal movimento e dalla danza. Tale carattere non può dunque essere ignora-to nella musica liturgica dei cristiani di questogrande continente. Un esempio emblematico dell’attitudine ritmi-ca della musica religiosa dell’Africa è rappre-sentato dalla celebre Missa Luba. La Missa Luba è una vera messa, formata dal-le canoniche cinque parti (Kyrie, Credo, Gloria,Sanctus, Agnus Dei), composta su brani tra-dizionali congolesi, ma xon il testo in latino. Ilmissionario belga Guido Haazen, arrivato nel-l’allora Congo belga (oggi Zaire), comprese cheera necessario creare una musica liturgica cherispondesse alle esigenze e al modo di senti-re della popolazione del paese, affinché la par-tecipazione al rito cristiano della messa fossecoinvolgente e autentica. Da questa intuizione nacque la Missa Luba arran-giata dallo stesso Haazen, proprio sulla musi-ca congolese con tutto il suo retaggio ritmicoe coreografico. Haazen fondò un gruppo

musicale vocalecomposto da cir-ca quarantacin-que ragazzi a dauna decina di inse-gnanti della loca-le scuola di musi-ca. Il coro vennechiamato “Les trou-badours de RoiBaudoin”.In realtà la messanon è il frutto di unaprogetto studiato epredeterminato, inquanto è il frutto diuna collaborazio-ne spontanea ecostruttiva di tuttii componenti delgruppo musicale,coordinato proprioda Haazen, infat-ti all’inizio non neesisteva nemme-no una parte scrit-ta, quindi la stesura finale della messa è il risul-tato di decine di trasformazioni e aggiustamentiscaturiti dal susseguirsi delle esecuzioni.La data di composizione della Messa è consi-derato il 1954, quando questa assunse la ver-sione definitiva. Da allora quest’opera così sin-golare ha iniziato a viaggiare per il mondo e haconosciuto anche una certa popolarità, soprat-tutto in Europa , grazie a diverse incisioni chesono state realizzate a partire dalla fine deglianni cinquanta. L’importanza della Missa Luba, oltre al valoreartistico e culturale, sta proprio nella sua gene-si, nata dal lavoro di evangelizzazione nel con-

tinente africano da parte di quei missionari euro-pei, che hanno saputo entrare in contatto veroe sincero con le popolazioni che li ospitavano,nutrendo un autentico interesse per queste per-sone, la loro terra e la loro cultura. Le melodie utilizzate per comporre la MissaLuba sono le stesse, adattate, che il popolo Bantueseguiva da secoli per animare le proprie festeo ricorrenze o cerimonie, così come gli strumentie forse anche le danze. L’incontro tra uomini diversi, se essi sono ani-mati da uno spirito di comunione e condivisio-ne, non può che generare quacosa di buonoe di bello.

Loreda Carluccio*

NNel pomeriggio di sabato 20 Ottobre 2012, presso la Chiesa Rettoria di S. Lorenzo

Martire, i Confratelli e le Consorelle della Confraternita di Sant’Antonio da Padova,

aggregata all’Arciconfraternita del Santo, sono stati chiamati al rinnovo, per il pros-

simo triennio, del Direttivo che risulta così composto:

Priore Antonietta Lenci

Vice Priore Primo Di Stazio

Cassiere Maria Luisa Cellitti

Cassiere Antonella Bastianelli

Consigliere Anna Maria Lenci

Consigliere Nadia Lenci

Consigliere Michele Di Stazio

Consigliere Filippo Pontecorvi

Segretario Cinzia Di Stazio

Alle Consorelle e Confratelli eletti è affidato il coordinamento delle attività religiose e lai-

che in onore di Sant’Antonio da Padova e il proseguo delle attività di volontariato nell’as-

sistenza ai bisognosi e ai malati.

Auguriamo al nuovo Direttivo di continuare ad essere dono e servizio per la Chiesa locale.

*Ufficio Diocesano Comunicazioni Sociali

3636 Novembre Novembre 20122012

Antonio Venditti

LL ’ultimo fatto di cronaca, davveroeclatante, ha richiamato l’attenzionedi tutti, per la dinamica dello svolgi-

mento : la Polizia preleva “forzatamente” a Scuolaun bambino di 10 anni. Il padre è presente e“soddisfatto” di aver raggiunto l’intento, fallitoin precedenza, mentre è furibonda la reazionedei parenti materni, la zia ed il nonno. Le imma-gini della “costrizione” del bambino e dello scon-certo dei compagni di classe hanno fatto il girodel mondo, con manifestazioni di biasimo, al pun-to che si sono scusati pubblicamente il Capodella Polizia ed il Governo. Si è trattato, con modalità censurabili, dell’esecuzionedi un’ordinanza giudiziaria di revoca dell’affidamentodel piccolo alla madre, su sollecitazione del padre,che ha denunciato il “disagio” nell’ambiente divita del figlio. Ed emerge subito il rapporto “bel-licoso” tra i due ex coniugi, che lottano con ognimezzo per assicurarsi il “possesso” del figlio,come se fosse una “cosa”, e si vendicano insimile modo : l’una, impedendo al padre di vede-re il figlio; l’altro, ponendosi l’obiettivo di allon-tanarlo con ogni mezzo dalla madre. Il risultato attuale è l’inserimento del fanciulloin una “casa famiglia”, che non potrà sostitui-re la vera famiglia e, al di là delle dichiarazio-ni pubbliche, non potrà ricostruire l’indispensabilerapporto tra i due genitori, in funzione del benes-sere del figlio, privato, comunque, di punti di rife-rimento importanti, tra cui anche i compagni discuola. Sono frequenti altriesempi del contendere dei geni-tori per il controllo “esclusivo” deifigli. Il problema, però, è “anti-co”, perché, anche nella fami-glia tradizionale, rievocata spes-so nostalgicamente, in questi tem-pi di grave crisi della fondamentaleistituzione, il “primato” dell’uo-mo comportava ugualmenteforme di sopraffazione, chenon esplodevano per la “remis-sione” della donna, la quale, tut-tavia, nel sacrificio esprimeva unelevato senso di “amore mater-no”, luce inestinguibile per i figli.Nel giusto processo di emanci-pazione femminile, con la con-seguenza della pari “dignità” del-l’uomo e della donna, nello svol-gimento di tutti i ruoli e, prima-

riamente, in quelli di padre e madre nella comu-ne gestione della famiglia, sul piano teorico sem-bravano risolti i “vecchi” problemi, ma, incredibilmente,nella pratica non è stato così ed anzi si è veri-ficato un deterioramento progressivo dei rap-porti all’interno delle famiglie, in gran parte tra-volte da crisi profonde ed irreparabili.Molti genitori, partendo dall’apice di storie appas-sionanti d’amore, precipitano, più o meno velo-cemente, nel giro di pochi anni, nel baratro del-l’odio e dei risentimenti astiosi, che sfogano suifigli, vittime innocenti delle guerre scatenate inquello che una volta era per loro il “nido” fami-liare. I piccoli, privati del loro ambiente naturale,si ritrovano all’improvviso fuori, in situazioni depri-menti, quando i genitori si separano, anche perle cosiddette “incompatibilità”, e, spesso, sonogià nate nuove storie, che portano ad altre unio-ni, con inevitabili complicazioni per la vita deifigli. Senza giudicare e senza avventurarsi incomplesse analisi sociologiche, ma stando alleesperienze, si deve riconoscere lo stato di ogget-tiva difficoltà che i genitori manifestano, in talifrangenti, nel trattamento dei figli. Sarebbe indispensabile un accordo, nella con-sapevolezza che i figli, già traumatizzati dallaseparazione, per loro “inconcepibile”, dovreb-bero essere, per quanto possibile, rassicuratidalla persistenza, in varie forme, dell’affettuo-sa cura, dimostrata dai genitori. Invece, salvocasi rari, si scatena la contesa, non solo perl’affidamento, ma anche per imporre il presun-to “amore”, screditando l’ex coniuge o compa-

gno, tanto da coinvolgere figli e figlie in assur-di conflitti. Donne ed uomini sono davvero “pari”nell’escogitare sempre nuovi sistemi, per allon-tanare i figli contesi dall’ex partner, nonostan-te che la legge imponga l’esercizio congiuntodella “patria potestà”, con diritto-dovere di ognigenitore di essere compartecipe del processoeducativo e di crescita di ogni figlio/a. Quindi i genitori, anche se “divisi” in tutto il resto,nell’educazione dei figli dovrebbero restare “uni-ti”, per il corretto esercizio dei loro indispensabiliruoli. Ma sconsolatamente, oggi più che mai,dobbiamo porci in continuazione la retorica doman-da : a che servono le norme innovative del “dirit-to di famiglia”? Non sono disposti a rispettarle tanti genitori, cadu-ti in uno stato di confusione mentale, quandosi rendono protagonisti di fatti come quello nar-rato; oppure rapiscono figli e figlie, e li nascon-dono in Italia e all’estero, solo per il “satanico”desiderio di colpire “a morte” l’altra parte, sen-za nemmeno rendersi conto del male che fan-no soprattutto al bambino o alla bambina chedicono di amare e di voler proteggere. In unaconcezione libera ed aperta dell’umanità, qualè quella che proclamiamo e reclamiamo nel nostrotempo, come indice del progresso civile nel qua-le tutti crediamo, non è possibile che, diretta-mente od indirettamente, si manifestino desi-deri di “possesso” degli altri, soprattutto dei mino-ri, che sono persone, verso le quali si deve ope-rare con amore e rispetto della loro condizio-ne. Tra i termini del “contratto” che consape-

volmente si dovrebbe stipula-re, con la sincerità delle pro-messe che due persone chedicono di amarsi, inevital-mente si scambiano al momen-to dell’unione, inizio di un per-corso di vita impegnativo, cidovrebbe essere proprio que-sto esplicito riferimento alla com-partecipazione, in ogni caso,nella crescita e tutela dei figli,con l’obiettivo fondamentale delloro bene, da garantire neces-sariamente in un ambiente sere-no e pacifico.

Nell’immagine:Il giudizio di Salomone, Raffaello

Sanzio,1518.

3737NovembreNovembre20122012

AAl termine dell’annopastorale trascorsopossiamo sicuramente

dire, suffragati dai dati a carat-tere nazionale e locale che ilturismo religioso è in aumen-to, sempre più persone sen-tono il desiderio di lasciarsi coin-volgere da luoghi ed eventi chepossano far riscoprire e anchealimentare la loro fede.Grande partecipazione di ita-liani e fedeli della nostra dio-cesi ai viaggi verso la Terra Santa.Per quei luoghi si registra un12% in più solo di italiani. Métesempre molto gradite sono quel-le che portano ai santuari maria-ni. Maria e le sue materne pre-senze e messaggi verso la nostraumanità richiamano tanti fede-li. Diverse invece sono le modalità del viaggio, non più con un unico ope-ratore ma diversi operatori e anche con voli low cost. Anche la perma-nenza registra una variazione per l’accresciuta sensibilità culturale deipartecipanti desiderosi di sentirsi cittadini del territorio che stanno visi-tando. Molte comunità, diversi sacerdoti e anche qualche laico si sonoaperti alla richiesta di gruppi di fedeli per organizzare e guidare visiteturistiche-religiose. Tra i luoghi più visitati nel corso dell’anno dalle nostrecomunità diocesane vi è sicuramente Lourdes ma anche altre méte comeSantiago di Compostela, Częstochowa, i luoghi di San Paolo, Turchiain primis, i luoghi ricchi di presenza ortodossa con le bellissime chieseaffrescate, poi ci sono i luoghi in Italia: Loreto, Montevergine, Pompei,San Giovanni Rotondo.

Alcuni gruppi in particolare hanno scelto luoghi forse più spartani ma inten-samente ricchi di spiritualità come Medjugorje e Fatima. Da Velletri un gruppo è partito per Fatima e Lisbona il 4 ottobre scorsocon al seguito il sacerdote don Angelo Mancini e organizzato da BarbaraCalcatelli. Si è trattato di un pellegrinaggio semplice dove ognuno hapotuto esprime liberamente la propria devozione senza schemi impo-stati.I partecipanti hanno potuto godere di quattro giorni di amicizia, difede convissuta e anche di turismo. Crediamo che la formula giusta per un turismo religioso sia proprio quel-la di offrire il necessario dal punto di vista spirituale, culturale ecc. ai par-tecipanti senza però soffocarli con proposte ed eventi di cui non sento-no la necessità. n.d.r.

“Tutto scorre” sintetizza bene il passaggiodi visi, storie, sorrisi e gesti che da anni accom-pagna chi presta il proprio contributo per l’at-tività del Museo Diocesano di Velletri. Tale periodo è per il più delle volte solo unpassaggio, sia per il carattere di mero volon-tariato, sia per l’impegno che con gli anniè difficilmente gestibile. Altre volte il volontariato, la fatica, lo scar-so riconoscimento sono in secondo pianoperché più importanti sono i legami che sicreano come se si vivesse in una sorta diseconda famiglia. A questa seconda tipo-logia ci piace associare i nostri ragazzi, cheda tempo sono l’immagine stessa delmuseo. Si conclude in questi giorni l’attivi-tà di Silvia Strofaldi, la dottoressa Silvia Strofaldi,che per motivi di studio si è trasferita lon-tano da Velletri, troppo lontana per svolge-re il servizio nel museo.Il servizio di volontariato di Silvia, la sua crea-tività (ha ideato e promosso le visite guidateper “L’Arte al costo di... un caffè!”, ha crea-to e curato il profilo Facebook del museoed altro), come il suo sorriso, la sua genti-

lezza e la sua disponibilità lasciano un vuoto,inevitabile certo, ma profondo, come è giustoche sia quando il clima in cui si opera è quel-lo di una grande famiglia, dove si lavora insie-me credendo fortemente in ciò che si fa.A Silvia va il nostro immenso ringraziamento perquesti anni trascorsi insieme, e l’augurio di rea-lizzare tutti i suoi desideri, lavorativi e non, dalprimo all’ultimo. Un fortissimo abbraccio da tut-ti noi.

Direzione del Museo Diocesano Velletri

Museo Diocesano di Velletri:

Grazie, dottoressa Silvia Strofaldi...

ed Auguri!

Silvia con i genitori nel giorno della laurea

12 ottobre 2012

3838 Novembre Novembre 20122012

Bollettino diocesano:

Prot. VSCA 22/2012

DECRETO DI NOMINA A RETTORE DELLA CHIESA DI SAN PIETRO AP. IN SEGNI

Per la facoltà datami dal can. n° 557 del Codice di Diritto Canonico, in sostituzione del rev.do p. Juan Marcos Coduti destinato ad altro incarico con il pre-sente decreto che ha effetto immediato,

nomino te Rev.do P. Orazio Cangialosi iveRettore della Chiesa di San Pietro ap. nella Parrocchia di Santa Maria Assunta in Segni Nell’attuare quanto richiesto dal Codice di Diritto Canonico in sintonia con il Parroco della Concattedrale di S. Maria Assunta, ti assista la mia personalefiducia.Velletri, 30.09.2012 + Vincenzo Apicella, vescovo

Prot. VSCA 23/2012

DECRETO DI NOMINA VICARIO PARROCCHIALEDELLA PARROCCHIA DI SANTA MARIA INTEMERATA IN LARIANO

Per la facoltà datami dal can. n° 557 del Codice di Diritto Canonico, con il presente decreto che ha effetto immediato,

nomino te Rev.do P. Rosario James omdVicario Parrocchiale della Parrocchia di Santa Maria Intemerata in Lariano Nell’attuare quanto richiesto dal Codice di Diritto Canonico in sintonia con il Parroco di S. Maria Intemerata, ti assista la mia personale fiducia.

Velletri, 12.10.2012 + Vincenzo Apicella, vescovo

Prot. VSCA 24/2012

DECRETO DI NOMINA A RETTOREDELLA CHIESA DELLA B. V. MARIA DEL BUON CONSIGLIO IN LARIANO

Dopo la nomina ad altro incarico di P. Rosario James la rettoria di Lariano è rimasta vacante, ora per la facoltà datami dal can. n° 557 del Codice di DirittoCanonico, con il presente decreto che ha effetto immediato,

nomino te Rev.do Domenico Aiuto omdRettore della Chiesa della B. V. Maria Del Buon Consiglio In Larianonella Parrocchia di Santa Maria Intemerata in Lariano Nell’attuare quanto richiesto dal Codice di Diritto Canonico in sintonia con il Parroco di S. Maria Intemerata, ti assista la mia personale fiducia.

Velletri, 12.10.2012 + Vincenzo Apicella, vescovo

Prot. VSCA 25/2012

DECRETO Tenendo conto delle necessità pastorali della Diocesi e dell’esigenza di assicurarti un adeguato periodo da dedicare allo studio e alla formazione, confermola NOMINA a Notaio del Tribunale ecclesiastico diocesano, a cui si aggiunge quella di collaboratore dei parroci di Segni, nei tempi e nelle modalità daessi ritenute opportune.Potrai così portare a termine il percorso accademico presso la Facoltà di Diritto della Pontificia Università Lateranense e concordare con mons. LeonardoD’Ascenzo gli incontri destinati a favorire una tua sempre migliore partecipazione alla pastorale diocesana.La presente nomina àbroga tutte le precedenti e, invocando sul tuo cammino ogni benedizione del Signore per l’intercessione della Madre di Dio e dei SantiPatroni Clemente e Bruno, ti assicuro il mio fraterno e paterno affetto.

Velletri, 29.11.2012+ Vincenzo Apicella, vescovo

-----------------------------------M.R. MARCHETTI Don FabrizioVia Traiana 10/B00037 SEGNI RM

Il cancelliere vescovile, Mons. Angelo Mancini

3939NovembreNovembre20122012

Giotto,Giudizio Universale,

1306 c., Cappella degli Scrovegni,

Padova.

don Marco Nemesi*

II l ciclo di affreschi della cappel-la degli Scrovegni ha un carat-tere espiatorio. Infatti, Enrico degli

Scrovegni, il ricco mercante padova-no committente della cappella, nellasupplica che rivolge al vescovo perpoterla costruire e farla decorare, dichia-ra l’intento di strappare l’anima del padrealle pene del purgatorio e di espiarei suoi peccati. Con la cappella, Enricocercava quindi di riabilitare l’immagi-ne del padre, la cui immensa ricchezzaera in gran parte dovuta all’attività diusuraio, ma nello stesso tempo,facendosi rappresentare nel Giudiziodalla parte dei beati nell’atto di dedicare la Cappella alla Vergine, pone-va una sorta di “ipoteca” sulla propria salvezza individuale, esprimen-do molto più di una semplice speranza. Ciò scatenò la reazione dei fra-ti del vicino convento degli Eremitani, che affermarono che i dipinti era-no fonte di grave scandalo e che Enrico aveva aperto la cappella “piut-tosto per orgoglio, vanagloria e personale profitto, che per lode, onoree gloria a Dio.”La grande parete sopra la porta d’ingresso, contiene un’ampia rappre-sentazione del Giudizio universale svolto in maniera tradizionale, anchese non mancano innovazioni. Innanzitutto, nonostante il permanere distilizzazioni tradizionali come le diverse scale proporzionali, Giotto cer-cò di unificare in un’unica scena l’intera rappresentazione del Giudizio,del Paradiso e dell’Inferno, abolendo le suddivisioni e coinvolgendo tut-te le figure in un unico spazio.Al centro campeggia la figura di Cristo, con le braccia aperte e l’aureola,posto in rilievo da una mandorla iridata, con testine di angeli intorno, ilcui bordo si compone di una gradazione di colori che va dal blu al dora-to nella parte centrale fino al rosso. Tale tecnica raffigurativa permettedi cogliere immediatamente la centralità della figura di Gesù. Maestoso, ma non terribile, Cristo emette la condanna attraverso il gesto

delle mani, palmadestra sollevata per ibeati, palma sinistraabbassata per i repro-bi; ai suoi piedi, alla suasinistra, si origina il fiu-me di fuoco che,andando a formare l’in-ferno, travolge alcunidannati.Nell’aureola di Cristosono stati scopertinell’ultimo restauroinserti con specchiet-ti, che vanno messi inrelazione con la figu-ra dell’Eterno sul latoopposto della cap-pella, dove è raffigu-rata la scena di Dio cheinvia l ’arcangelo

Gabriele. Cristo non siede su un vero e proprio trono, ma su una sor-ta di nube iridata, sotto la quale si trovano alcune rappresentazioni sim-boliche, già interpretate come i simboli degli evangelisti. Uno studio più approfondito recente vi ha invece riconosciuto qualco-sa di più complesso: vi si vedono un angelo, un uomo con testa leoni-na, un centauro, simbolo secondo i bestiari medievali della doppia natu-ra di Cristo, umana e divina, e un orso con un pesce, simbolo della pescadelle anime oppure, al contrario, del sacrificio di Cristo (il pesce) perredimere la bestialità della razza umana.Gesù rappresenta il fulcro dell’intera scena, che genera l’inferno con lasinistra dell’aura e rivolge lo sguardo e la mano destra agli eletti. Verso di lui (o contro di lui nel caso dei dannati) tendono a orientarsitutti i nuclei delle figure. Tutto di lui è aperto verso gli eletti, alla sua destra:lo sguardo, la piaga, il costato, mentre la sinistra è chiusa sui reprobidell’inferno. Intorno alla mandorla stanno i serafini. In trono, a semicerchiointorno a Gesù ci sono i dodici apostoli. Alla destra di Cristo: Pietro, Giacomo,Giovanni, Filippo, Simone e Tommaso. Alla sua sinistra: Matteo, Andrea,Bartolomeo, Giacomo minore, Giuda Taddeo e Mattia. La trifora non è solo apertura luminosa (Cristo è luce) ma soprattutto ètrono dal quale Dio uno trino scende e giudica. I due fiorellini, posti nel-la trifora, di sei petali cia-scuno, corrispondononumerologicamente aidue gruppi di sei apostoliscesi con Lui.In alto si trovano nove affol-late schiere angeliche, divi-se in due gruppi simmetricie in file che scalano inprofondità; la diversainclinazione delle teste cer-ca di sfuggire all’appiat-timento della visionefrontale, mentre al cen-tro si schierano su tronigli apostoli: lo scranno piùriccamente decorato èquello di san Pietro.Alla sinistra: angeli,Arcangeli, Principati,Potestà.

Alla destra: virtù, dominazioni, troni, cherubini, ciascuno guidato dai ves-silliferi. Michele e Gabriele più vicini a Cristo-Giudice reggono la spa-da ed il vessillo bianco-crociato dei Cavalieri del Santo Sepolcro. Ai lati della mandorla angeli suonano le trombe dell’Apocalisse risve-gliando i morti, che si levano dai crepacci della terra in basso a sini-stra. Poco oltre si trova la rappresentazione di Enrico degli Scrovegnie di un altro personaggio (forse il canonico e arciprete del Duomo diPadova Altegrado de’ Cattanei) che offrono un modello della cappellaa Maria accompagnata da san Giovanni e santa Caterina d’Alessandria.Maria è mediatrice tra la fragilità umana e la misericordiosa giustiziadivina. La forma dell’edificio è fedele a quella esistente, anche se l’ab-side mostra un ampio giro di cappelle mai realizzato. Con tale offertaEnrico lava il peccato di usura della sua famiglia, così noto che anche

Dante Alighieri aveva indicato suo padre tra i peccatori nel girone degliusurai dell’Inferno. La fisionomia di Enrico è giovanile e riproduce fedelmente le fattezzeche, invecchiate, si vedono anche nella sua tomba marmorea presen-te nella cappella: per questo la rappresentazione di Giotto è indicatacome il primo ritratto dell’arte occidentale post-classico.Nella parte più alta dell’affresco si trovano gli astri del sole e della luna,mossi da due arcangeli che, curiosamente, si affacciano da nubi “stac-cando” e arrotolando il cielo come se fosse una pesante carta da para-ti. Essi rivelano dietro di essi le mura dorate e tempestate di gemmedella Gerusalemme celeste. La prima schiera degli eletti è in cattivostato di conservazione. Preceduta da due angeli, accoglie una VergineMaria giovane e bruna, che sembra accompagnare per mano verso Cristoil primo della fila, forse Giovanni Battista. Nelle fasce inferiori, divisedalla croce retta da due angeli, sono messi in scena il paradiso, a sini-

stra, e l’inferno a destra.Il primo mostra una serie ordinata di angeli, santi e beati, mentre nelsecondo, i dannati vengono tormentati dai diavoli e avvolti dalle fiam-me che si sprigionano dalla mandorla di Cristo. Dalla mandorla sgor-gano quattro fiumi infernali che trascinano nell’abisso gruppi di dannatispinti da plumbei demoni. Il primo fiume travolge gli usurai, caratteriz-zati dal bianco sacchetto di sporco denaro legato al collo (ReginaldoScrovegni, usuraio e padre di Enrico, è posto da Dante Alighieri nel can-to XVII dell’Inferno). Più in basso, impiccato, sta Giuda Iscariota. A sinistra di Cristo Giudice,in basso, sta Lucifero con artigli bestiali e due bocche ed un serpenteche gli esce dagli orecchi. Sta straziando alcune anime e siede sul tro-no del biblico Leviatan emblema del male di questo mondo.

Di proporzioni piccolissime i dannati formicolano tra le angherie cui idiavoli li sottopongono, esposti al ludibrio e alla berlina, denudati, vio-lati, appesi per i capelli o per i genitali, scherniti e torturati. Al caos dell’Inferno, per contrapposizione, a destra stanno gli eletti. Dalbasso all’alto si nota una schiera tripartita: anime che escono stupitee oranti dalla terra; la grande processione degli eletti; sopra, guidati daMaria, gli antichi santi dell’Antico Testamento e della Chiesa primitiva.Una tradizione indica nella quarta persona in primo piano nella schie-ra dei beati, con un berretto bianco in capo, un autoritratto di Giotto.Le parti migliori, ritenute con maggiore probabilità autografe, sono il Cristo,la Madonna e il gruppo dell’offerta; altre figure, soprattutto nelle schie-re angeliche e degli eletti, sono di più difficile valutazione per lo statodi conservazione in parte compromesso.

*Direttore Ufficio Diocesano Beni Culturali e Arte Sacra