ANNALI DEI PERIODICI DEL SITO: PAROLAVIVA 2009 - 2012 2009-2012.pdf · venivano mese per mese...
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ANNALI DEI PERIODICI DEL SITO:
PAROLAVIVA
2009 - 2012
Giancarlo larossa
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Introduzione
Le meditazioni che ho scritte dal 2009 al 2012, che
venivano mese per mese inserite nel sito parola viva,
le ho raccolte in un unico volume per comodità. Così
farò di tempo in tempo anche con le altre meditazioni
che continuerò a scrivere. Invito ognuno a rileggerli
adagio, con attenzione, al fine di visualizzare bene
l’immagine e il messaggio che vogliono portare.
Dio benedica ognuno.
Giancarlo Larossa
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ABSALOM, IL FIGLIO PERDUTO
“Poi Absalom s’imbatté nella gente di Davide. Absalom cavalcava un mulo; il
mulo entrò sotto i fitti rami di una grande quercia e il capo di Absalom rimase
impigliato nella quercia, e così rimase sospeso fra cielo e terra; mentre il mulo che
era sotto di lui passava oltre”(2 Samuele 18:9).
Absalom come sappiamo è figura del diavolo. Certamente questo non vuole
significare che tutto di lui ci parla del grande seduttore, ma la figura predominante
della sua immagine, per come appare nelle scritture, ci da questa idea. In queste
righe non possiamo trattare minutamente la vita di Absalom; sarebbe sicuramente
molto istruttivo. Là dove c’è molto male, vi sono grandi lezioni.
Absalom, figlio ribelle. Per Davide è stata una tappa difficilissima della sua vita
affrontare questa anomalia, che le conseguenze del peccato causano, sebbene anche
nella casa dell’unto del Signore… Affianco ai grandi servi di Dio, si trovano grandi
servi del maligno; aimè spesso anche nella propria famiglia. Due principali lezioni
apprendiamo da questo: una, di fare molta attenzione, nel senso di non farsi illusione
alcuna che là dove siamo noi, i nostri famigliari sono sempre al sicuro, o esenti da
certi mali o seduzioni; l’altra, ci incoraggia personalmente, che se anche dovesse
capitare a noi, Dio rimane pur sempre con noi. Sappiamo come certi episodi e
condizioni vengono scambiate, nel mondo religioso, come segni che Dio si sia ritirato
dallo sfortunato genitore, o che Dio stia punendo per qualche presunto male o
peccato da lui commesso. Non ci soffermiamo su questo.
Davide dunque scelse i guerrieri e li passò in rassegna (v.1). Quando si fa una
scelta di guerrieri, è necessario costituire delle guide, i capitani. Questi fu Davide che
li scelse. Nello stesso modo, Gesù, il gran Re, sceglie dei soldati, li passa in rassegna,
li conta, li esamina. E’ da ricordare l’episodio di Gedeone e della scelta dei trecento
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in parallelo. Quando trovati, sempre Lui sceglie dei ministri adatti a svolgere il ruolo
di guide… di centinaia, di migliaia.
Dopo che Davide assegnò le schiere ai tre capitani di fiducia, volle guidare
personalmente la battaglia, ma il popolo glielo sconsigliò. Gli dissero: E’ meglio
dunque che tu sia pronto a darci aiuto dalla città (v.3). Il re acconsentì. Anche
se in battaglia, il popolo di Dio, sa che può ricevere aiuto dalla città. Nella battaglia
abbiamo un potente aiuto dalla casa del Padre. Là dove sono riposte le nostre
provviste, là dove la ruggine (il peccato) non consuma. Da dove ci viene l’aiuto, come
anche Enok profetizzava: Ecco, il Signore è venuto con le sue sante miriadi…
(Giuda v. 14). Il Signore viene e interviene dalla sua santa dimora, con il suo esercito:
Egli manderà dal cielo a salvarmi; egli sgrida colui che vuole divorarmi, Dio
manderà la sua benignità e la sua verità (Salmo 57:3).
C’è stato un tempo in cui l’Iddio invisibile camminò attraverso un corpo di carne;
diede la sua vita come prezzo di riscatto, una volta, e quando risuscitò salì nel cielo
da dove intercede e interviene a beneficio dei suoi.
Davide diede l’ordine di non far del male a suo figlio Absalom (v.5). In qualche
modo voleva proteggere suo figlio dalla morte, pur cosciente della parola del profeta
Nathan (2Samuele 12:10-12). Contro i decreti di Dio, soprattutto legati a dei nostri
peccati, non si può fare nulla; solo, rimettersi alla sua grazia.
Così l’esercito uscì in campo contro Israele e la battaglia ebbe luogo nella foresta
di Efraim (v.6). Questa precisazione è per dirci più che il luogo materiale dove si
svolse la attaglia; sta ad indicarci dove si devono svolgere le nostre battaglie
possibilmente e in quale condizione. Efraim significa fruttifero. Questo ci insegna
com’è importante farsi trovare ricchi di frutti dello Spirito. In questo modo potremo
essere vincitori. I frutti dello Spirito, ci danno forza per vincere le battaglie del
Signore. Agli attacchi improvvisi del nemico, quand’egli si insinua nella foresta della
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nostra vita (l’anima, nella sua natura selvatica è come una foresta), troverà i frutti
dello Spirito, supportati dalle piante forti che li sostengono, a fargli resistenza. Se
leggiamo 2 Pietro 1:1-16, specie dal verso otto all’undici, vediamo come è importante
essere muniti di tali frutti.
Essi sono il carattere di Cristo in noi; per questo è detto: Colui che è in voi è più
grande di colui che è nel mondo (1 Giovanni 4:4).
Continua nel verso sette del nostro studio: Il popolo d’Israele fu la sconfitto
dai servi di Davide; e in quel luogo la strage fu grande Il messaggio nella
informazione della foresta di Efraim continua, insistente e profetica: La battaglia
si estese su tutta la regione; e la foresta divorò più gente di quanta ne avesse
divorato la spada (v.8).
Vediamo come quella foresta divorò più persone che gli stessi guerrieri con la
spada. Possiamo dire in qualche modo, che la foresta che si trova in noi, cioè, quel
che rappresenta i frutti dello Spirito, con i suoi frutti, annienta “naturalmente” più
nemici che con l’intervento dell’uomo, più che i nostri sforzi. Spesso siamo soliti
aiutarci e farci aiutare, resistere e combattere con qualche mezzo o qualche esercito.
Ci concentriamo più in qualche espediente, che non in quella consacrazione continua
e crescente, da produrre in noi i Suoi frutti. Come abbiamo detto, i frutti dello Spirito
sono le virtù e caratteristiche di Cristo piantate nella nostra vita. Essendo
caratteristiche della persona divina di Gesù, sono già di per se stesse segno di vittoria
sui veri nemici dell’anima.
Furono sconfitti i guerrieri (le conseguenze), il capo (la causa) ancora resisteva
e combatteva. Giunse il momento decisivo della battaglia; da un lato Absalom,
elettosi re da solo e figlio di Davide; dall’altra, Davide e i suoi uomini, il vero re
stabilito da Dio per Israele. L’auto elezione di Absalom ci ricorda quella di Satana
quando di lui è detto: Tu dicevi in cuor tuo: Io salirò in cielo, innalzerò il mio
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trono al di sopra delle stelle di Dio; mi siederò sul monte dell’assemblea, nella parte
estrema del nord; salirò sulle parti più alte delle nubi, sarò simile all’Altissimo.
Invece sarai precipitato nello Sceol, nelle profondità della fossa (Isaia 14:12-15).
Absalom si conduceva così, secondo lo stesso spirito di Lucifero.
Poi Absalom si imbatté nella gente di Davide. Absalom cavalcava un mulo;
il mulo entrò sotto i fitti rami di una grande quercia e il capo di Absalom rimase
impigliato nella quercia, e così rimase sospeso fra cielo e terra; mentre il mulo che
era sotto di lui passava oltre (v.9).
Absalom fu ostinato nella sua ribellione e nei suoi propositi, e in questa scena
si può vedere come la sua ostinatezza viene raffigurata. Il mulo rappresenta questa
sua ostinatezza e la mancanza di intendimento. Il mulo è un animale ibrido, un
misto. Non può riprodursi, e non si può definire quel che è di preciso, se un asino o
un cavallo. Lui cavalcava questo! Il mulo, l’ostinatezza e la stoltezza, lo fece
imbattere in una grande quercia, nei suoi folti rami. In questi rimase impigliato col
capo, segno della sua mente ostinata. Nello stesso modo Giuda; si impiccò per il suo
tradimento nei confronti di Gesù, e il suo peccato (il mulo) lo portò fra i rami di
quella pianta dove fu appeso dal suo capo; quella mente diabolica.
Rimane un avviso a guardarsi dall’ostinatezza e superbia, con tutti i suoi frutti,
che cavalcandole, potremo presto trovarci afferrati per il capo, quel capo formulante
pensieri malvagi. Quei folti rami, rappresentano le ramificazioni dei pensieri tortuosi
della mente. E’ importante dunque imparare e considerare quanto sia pericoloso
nutrire, seguire, cavalcare, pensieri di ribellione e di guerra. Diremmo: ma io non
amo guerreggiare. Basta che non difendi la pace con forza che subito scivolerai in
qualche guerra. Quando il nemico non può insinuarsi direttamente in modo
grossolano, lo fa da un altro lato; quello religioso, attraverso qualche giustizia…
Il Signore vuole che tu combatta per la pace.
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Nessuna forza, nessun nemico può vincere quelle querce che Dio ha piantato
dentro di noi. Per accordare gioia a quelli che fanno cordoglio in Sion, per dare
loro un diadema invece della cenere, l’olio della gioia invece del lutto, il manto
della lode invece di uno spirito abbattuto, affinché siano chiamati querce di
giustizia, la piantagione dell’Eterno per manifestare la sua gloria (Isaia61:3).
Lo scopo, in quell’ “affinché”, del ristoramento è che, quelli che sono di Sion
saranno querce di giustizia ed anche una piantagione, per manifestare la gloria del
Signore. Nello stesso modo la storia che abbiamo esaminato brevemente, ci parla di
Efraim, che significa fruttifero; la foresta, la piantagione e la quercia. Tutto questo
possa considerarsi in noi, e per vivere, e per combattere; affrontare le battaglie.
Dimorate in me e io dimorerò in voi; come il tralcio non può da se portare frutto
se non dimora nella vite, così neanche voi, se non dimorate in me. Io sono la vite,
voi siete i tralci; chi dimora in me e io in lui, porta molto frutto, poiché senza di me
non potete fare nulla (Giovanni 15:4,5).
Voi li riconoscerete dai loro frutti (Matteo 7:16).
Ripieni di frutti di giustizia che si hanno per mezzo di Gesù Cristo (Filippesi
1:11).
Consideriamo la contraddizione; Absalom significa: padre della pace. Mentre, il
suo carattere era, padre della guerra. Questo ci insegna come non è chi si chiama col
nome delle cose buone che è realmente buono. Spesso, il definirsi e il presentarsi
attraverso buone cose, è per mascherare, nascondere e sedurre. Pur così, quando
l’avversario si insinua nella foresta della vita dei santi, si imbatterà in una imponente
quercia; dovrà fare i conti con essa e con tutti i frutti che troverà. Fra quei rami
robusti, i pensieri (il capo) perversi ispirati da un tal seduttore, rimangono
impigliati. Come afferma l’apostolo Paolo: Infatti anche se camminiamo nella
carne, non guerreggiamo secondo la carne, perché le armi della nostra guerra non
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sono carnali, ma potenti in Dio a distruggere le fortezze, affinché distruggiamo le
argomentazioni ed ogni altezza che si eleva contro la conoscenza di Dio e rendiamo
sottomesso ogni pensiero all’ubbidienza di Cristo (2 Corinzi 10:3-5).
Dopo che Absalom rimase impigliato e sospeso, fu ucciso da Joab con una
lancia al cuore. Di subito altri dieci soldati lo circondarono e lo finirono (v.14,15).
Quando la notizia giunse a Davide, egli reagì come qualunque padre reagirebbe.
Leggiamo con devozione:
Allora il re, fremendo tutto, salì nella camera che era sopra la porta e
pianse; mentre andava diceva: O mio figlio Absalom; mio figlio, mio figlio Absalom!
Fossi morto io al tuo posto, o Absalom figlio mio, figlio mio! (v.33).
Riprendiamo il discorso. Prima della venuta di Gesù eravamo sotto la legge,
quella che chiamiamo legge di Mosè. Iddio stesso pensava e desiderava salvare
l’umanità, ma con l’inserimento del peccato, e poi della legge, siamo entrati nella
condanna. Siamo diventati nemici di Dio, figli d’ira (Efesini 2:3. Romani 5:10). Si
parla di nemici nella nostra mente (Colossesi1:21),
Quando Iddio si fece Uomo, prese su di se questa condanna e risolse il
problema della inimicizia, distruggendo il motivo della condanna, la legge. Essa
esigeva un sacrificio perfetto che, nel mondo contaminato non si poteva trovare. Per
questo venne Egli stesso (Isaia 35:4). Quindi, la legge (Joab) trafisse il cuore di
Absalom, lo giudicò, visto anche come l’impersonificazione del peccatore e del
ribelle. Dieci scudieri (i dieci comandamenti) lo finirono. L’uomo, solo con le sue
forze non può resistere nella perfezione dei comandamenti. Alla fine di questo
quadro, vediamo il padre, Davide; il modo come piange il figlio ribelle. In quel
pianto straziante, si odono le note strazianti di un amore verso il peccatore e il
perduto. Davide aveva ordinato ai soldati di non fare del male a suo figlio, per
riguardo a Davide, non come re ma come padre. Nello stesso modo Iddio, aveva nel
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cuore di salvare la sua creazione, perché ama il peccatore. Ma l’intervento della legge
a motivo del peccato aveva prodotto la morte attraverso il giudizio. Nella figura di
Absalom, si incrociano il Figlio di Dio, e il peccato. Sospesi entrambi fra cielo e terra;
uno per la SUA ribellione e peccato; l’altro, per la NOSTRA ribellione e peccato. Nel
pianto commovente di Davide, vediamo il pianto del Padre celeste, in cui risalta il
gran dolore della perdita di un figlio amato. Attraverso quello strazio, il dolore
profetico di come l’umanità, tanto amata da Dio, avrebbe trattato il suo Unico Figlio.
La nostra condizione in quel Pianto. Da quel pianto e da quel continuo ripetere
“figlio mio”, possiamo appena immaginare il pianto e il dolore immenso del nostro
caro Padre celeste. Se entriamo nello spirito di quel pianto, possiamo toccare il cuore
infinito di Dio. Quanti mali da noi verrebbero meno!
Attraverso questo vediamo il significato di quella parola che dice:
…L’Agnello, che è stato ucciso fin dalla fondazione del mondo (Apocalisse
13:8). Eravamo morti senza quell’intervento. La legge, proprio per la sua perfezione e
giustizia ci trovava infedeli e meritevoli di morte. Aveva affondato la sua lancia nel
cuore, quel cuore che Dio si ha serbato e riscattato per farne la sua dimora (Ezechiele
18:31; 36:26). I comandamenti, simboleggiati nel numero dieci, hanno finito, portato
a termine quel che la legge esigeva. Ma quel pianto… Oh; quel pianto che ci parla di
quella redenzione, di quei pensieri di pace (Geremia 29:11), ha rimesso ogni cosa al
suo posto. Come disse Davide: Fossi morto io al posto tuo! Anche Paolo disse lo
stesso: Infatti desidererei essere io stesso anatema e separato da Cristo, per i miei
fratelli (Romani 9:3). Ma questi slanci sinceri, ma non realizzabili da noi, non
sono altro che l’ombra, e il riflesso di chi si offerse e potè farlo; Gesù Uomo.
Ora, il dare la nostra vita non è per riscattare altri; già è atto compiuto da Cristo, ma
per partecipare a quelle sofferenze, per qui è stato pagato il riscatto.Ci dia il Signore
di sottomettere il nostro capo ai Suoi pensieri, amen!
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AMANO LEGARE PESI PESANTI…
“Legano infatti pesi pesanti e difficili da portare, e li mettono sulle spalle degli uomini; ma essi non li vogliono smuovere neppure con un dito” (Matteo 23:4).
Gesù si riferisce ai dottori della legge, gli scribi e farisei. Il punto è che, entrambe le sette, puntualizzano all’estremo il senso letterale delle scritture e, così facendo creano un peso sulle spalle delle persone; un giogo fatto di regole dove la sacra scrittura diventa la prima protagonista, come se Dio, l’Iddio vivente, non possa dare rivelazione caso per caso secondo il bisogno. Invero il Signore ha un suo piano che Egli stesso vuole portare a compimento. Ogni cosa che Dio ha fatta, l’ha fatta bene (Genesi 1:31).
In Isaia 30:21 abbiamo il ritratto di come Iddio vuole condurci nel nostro cammino: “Quando andrete a destra o quando andrete a sinistra, le tue orecchie udranno dietro a te una parola (Voce) che dirà: Questa è la via; camminate in essa”. In questo vediamo che l’uomo fallisce quando cerca un altro conduttore. La sacra scrittura non può sostituire lo Spirito Santo. La scrittura è divinamente ispirata, ma la Guida suprema viene dallo Spirito Santo. Solo Lui sa e può pilotare le scritture a buon fine.
Dicevamo che Dio ha fatto ogni cosa bene; in questo è compreso anche tutto ciò che fa parte del Suo piano di salvezza, ed anche per quel che riguarda la elezione. Quindi, ogni cosa è stata fatta con un principio di benedizione se lasciata in mano dello Spirito Santo, alla sua amministrazione assoluta. Quando non è così, qualsiasi cosa, dico, qualsiasi cosa, diventa micidiale; anche le scritture.
Ricordiamoci della tentazione di Gesù. Il diavolo menzionò le scritture nel salmo 91. Anche l’avversario dunque cita le scritture, e le sa manipolare per bene. Molti pensano erroneamente che, il fatto che il diavolo manipola le scritture, sia nel senso che le cambi o modifichi nell’interpretazione. Non è sempre così. Con i creduloni, gli ingenui, riesce a cambiare anche il senso letterale delle scritture. Se guardiamo alla religione cattolica ad esempio, tutte le dottrine che essa insegna, sono sbagliate dal punto di vista biblico. Il battesimo dei bambini, i vari sacramenti come la comunione, la cresima ecc. La confessione, le
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penitenze, le preghiere ai santi, oltre che la trinità, le messe ai morti ecc. Queste, e altre come queste, sono un esempio di storpiatura eclatante delle scritture. Questa chiara scorrettezza nell’applicazione delle scritture, il diavolo non può proporlo ad un evangelico ad esempio; tranne quelle cose in cui si accomunano come la trinità. Per tutte le altre cose il diavolo deve essere più sottile. Secondo la luce che gli evangelici hanno raggiunto nella conoscenza delle cose di Dio, il nemico dovrà prendere le scritture e far vedere che le applica nel modo giusto dal punto di vista letterale, secondo la loro dottrina. Solo così potrà avere successo travestendosi da angelo di luce, ovviamente.
Per quanto riguarda quelli che si dicono “nel messaggio del profeta William Branham”, il diavolo, per tentare di sedurre questi che hanno ricevuto una luce maggiore sulla dottrina, dovrà prendere le scritture con la rivelazione che il profeta ha portato, per far credere che va bene così, ma è tutto un inganno. Mi spiego. Il messaggio in se stesso, e per come l’ha portato il fratello Branham, è giusto e buono. Là dove si può dire qualcosa, è solo sulla “interezza” di alcune cose, secondo me ancora non completate; tutto qui. Quando si parla così, questi fratelli, pensano che si voglia cambiare il senso di quel che il profeta ha insegnato da parte di Dio; ma non è così! Diciamo, l’ingannatore a questi non potrà ingannarli con le favole religiose inventate dalla chiesa cattolica; assolutamente no. Però possiamo fare un esempio molto chiaro e semplice. Molti (perché grazie a Dio non sono tutti così) rimproverano i cattolici di idolatria delle immagini e immaginette; quando loro fanno la stessa cosa con le foto del fratello Branham, le foto o disegni di aquile dappertutto, le foto delle apparizioni di Dio e segni soprannaturali in riferimento al profeta. Alcuni di loro, i più fanatici e aggiungo “i più perduti”, tengono le foto del fratello Branham in macchina, in casa, nella chiesa.
Vediamo così che il nemico sa come portare le scritture nel verso e nell’immagine del credo di ognuno, per spingerlo in qualche vanità nell’esagerazione di qualcosa; il tutto di questi raggiri ha lo scopo di distrarci dalla persona vivente di Gesù Cristo, nella contemplazione di Lui come Figlio dell’Uomo. Contro questa posizione e realtà, non può nulla!
Questo per dire che attraverso le scritture, il diavolo, più che di altro, riesce a legare pesi sulle anime. Usando la scrittura, intesa come la Parola di Dio, avrà con questo titolo, l’autorità di far valere i suoi raggiri.
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Con alcuni, gli ingenui, potrà anche falsificare e cambiare il senso delle scritture. Con altri, quelli più preparati, dovrà usare la dottrina che essi stessi concepiscono, per farli adagiare in qualche vanità.
Questo forma e presenta una “voce” ed un parlare che non hanno in se l’aiuto per arrivare, essere portati, all’ubbidienza. Un linguaggio che dice “fai”, ma senza “dare la forza”. Una pretesa a capire, senza aiutare a capire. Questo è il legare pesi sulle anime.
Che dire della esagerazione verso le donne sul non tagliare i capelli, portata al punto che, non possono neanche spuntarli per curarli senza il bisogno necessariamente che crescano oltre misura? La verità in merito è che Paolo non mirava ai capelli, ma al significato di quel che rappresentano e allo scopo per cui sono stati dati così. Essi servono per nascondere il capo; quindi non ha nessuna importanza che si spuntino, ovviamente lasciandoli lunghi, lunghi secondo coscienza (1 Corinzi 11:14), devono dare l’impressione di essere lunghi. La misura più giusta è che almeno deve coprire il collo e potersi distendere sulle spalle (Cantico 4:4;). Io personalmente non mi sento di confutare quelle sorelle che sentono, o si sentono meglio, o a proprio agio tenendoli molto lunghi; si sentano liberi. Ma quando si comincia ad imporre che chi si spunta i capelli, sebbene se li lascia lunghi, sbaglia gravemente davanti a Dio, mi sento di confutare con forza, perché ciò è anti biblico. Appena sarà pronto, si legga il libro: l’ordine antico, dove questo argomento sarà trattato in modo approfondito con la base del testo in greco.
Il parlare di Dio è “indicativo” (nel senso che indica) ed anche donatore di forza per ubbidire. In Ezechiele 2:2 viene detto: “Figlio d’uomo, alzati in piedi e io ti parlerò” (v. 1); questo fu il comando. “Mentre egli mi parlava, lo Spirito entrò in me e mi fece alzare in piedi, e io udii colui che mi parlava” (v.2); mentre Lui gli parlava. In quel momento, lo Spirito, la vita di quella parola entrò in lui, e questo fu forza dinamica e motrice che lo mise in grado di ubbidire al comando.
Nel giudizio per la punizione di Edom, il Signore pronuncia un invasione di belve feroci che prenderanno possesso di lui, dopo la sua distruzione, e dice: “Perché la sua bocca l’ha comandato e il suo Spirito li ha radunati” (Isaia 34:16). La Sua bocca parla, esprime, comanda; il Suo Spirito esegue, realizza, compie.
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Di Gesù è detto: “E tutti gli rendevano testimonianza e si meravigliavano delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca” (Luca 4:22). Ancora: “Le guardie risposero: Nessun uomo ha mai parlato come costui” (Giovanni 7:46). Di questo parlare si tratta; un parlare che aiuta, crea, edifica. Perché? “Attenetevi alla legge e alla testimonianza! Se un popolo non parla in questo modo, è perché in esso non c’è luce” (Isaia 8:20). Legge: le scritture, comandi, dottrine; testimonianza: parola vivente, rivelata e condotta dallo Spirito Santo. Quando si parla fuori di questi confini, ci si rende ridicoli, perché fuori dal controllo di Dio. Non si predica più Giovanni 10:4: “E, quando ha fatto uscire le sue pecore, va davanti a loro; e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce”. Prima le fa uscire da qualche schiavitù o legame, poi va davanti a loro. Il Signore ci libera per camminare con Lui, nei suoi verdi pascoli, ma Lui va davanti ai suoi. Egli si usa dei suoi servi, parla attraverso di loro, ma qui, in modo speciale, si parla di quella intimità e confidenza che le pecore (non gli agnellini, quelli sono piccoli e ancora non distinguono bene) realizzano con Gesù, il Gran Pastore. Parlare di qualcosa, senza aiutare a riceverla, significa disorientare le anime.
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IL SERPENTE FRECCIA
“Vi farà il suo nido il serpente freccia, vi deporrà le uova,le farà schiudere e raccoglierà i suoi piccoli alla sua ombra; là si raduneranno anche gli
avvoltoi” (Isaia 34:15).
Il nemico di Dio,come Dio stesso, è un immenso serbatoio, deposito di scienza. Ma, non sempre espone o ha opportunità di esprimere la sua filosofia. Lancia frecce, piccoli lampi, che guardando la sua direzione, la traiettoria, porta a quel deposito, fonte. I nomi del diavolo, satana serpente ecc. indicano i vari modi o diremmo anche ministerio di come si manifesta e agisce. In questa caratteristica, lancia frecce, lampi, segnali che a lungo andare, diremmo, in prospettiva, conducono alla casa madre,
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la sua diabolica scienza. Sono come rami che portano e conducono alla radice, dispensa, al serbatoio. Possiamo così dire, il salotto delle conversazioni e degli scambi liberi, dove il diavolo riesce a comunicare con l’anima sedotta liberamente ed efficacemente. Rivolgendosi ai servi di Dio, Paolo ammaestra il suo discepolo Timoteo: “Ammaestrando con mansuetudine gli oppositori, nella speranza che Dio conceda loro di ravvedersi perché giungano a riconoscere la verità, e ritornino in sé, sottraendosi dal laccio del diavolo, che li aveva fatti prigionieri, perché facessero la sua volontà” (2Timoteo 2:25,26). Gli oppositori certo, sono tali per tante ragioni, ma quella ragione particolare che stiamo individuando è la condizione di queste frecce lanciate dal seduttore, come serpente freccia. Rimanendo passivi nel ricevere queste frecce, e possiamo a questo punto ricordare le parole di Dio a Caino: “…Ma se fai male, il peccato sta spiandoti alla porta e i suoi desideri (frecce) sono volti a te; ma tu lo devi dominare” (Genesi 4:7), entriamo nella corrente della massa di quelli che pure sono intrappolati dalle sue frecce, e dalle sue traiettorie. Si è condotti a fare il male. Giacomo ci insegna che quando siamo tentati, non dobbiamo dire che è Dio che ci tenta; e per dimostrare questa verità, spiega: “Ciascuno invece è tentato quando è trascinato e adescato dalla propria concupiscenza.” (Giacomo 1:13,14). Il centro è in noi! Le frecce dunque sono lanciate mirando questi desideri insiti nell’anima; i suoi pensieri (del nemico) e desideri, trovano comunione e affinità nei desideri dell’anima, là sono dirette le sue frecce per stimolare quel che Giacomo dice. I termini, “trascinato e adescato”, chiariscono lo stesso percorso che abbiamo citato delle saette del diavolo come arciere, nel lanciare pensieri e accendere desideri per trascinare l’uomo nella sua scia e adescarlo in un qualche legame. Così si diventa oppositori; perché? Perché si è induriti dall’inganno del peccato (Ebrei 3:13). Difatti: “Poi, quando la concupiscenza ha concepito (ha fatto segno, centro nell’anima), partorisce (produce) il peccato, quando è consumato (messo in atto), genera la morte” (Giacomo 1:15).
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Il diavolo, attraverso le su saette, trascina verso un salotto di piacevoli ragionamenti, che in realtà è una prigione. Ricordiamo l’invito a ragionare intorno alla volontà e veridicità del volere di Dio, intorno all’albero della conoscenza del bene e del male. Come il serpente, in quel caso lanciò le sue frecce a Eva, per trascinarla nel suo territorio, nel salotto del ragionamento. La ubriacò di raggiri e di discorsi, e la fece cadere; il peccato concepito, partorito e consumato; risultato, morte! Giungono a questa condizione gli oppositori, quando legati dal maligno. Continuando la riflessione sul passo di Timoteo, vediamo nettamente gli stessi risultati. Le parole: Giungano a riconoscere la verità, ritornino in sé, sottratti (liberati) dal laccio (legami, prigione) del diavolo, fatti prigionieri per fare (scopo ultimo) la sua volontà. Credo sia molto chiaro e armonico. Nella parola: produce la morte; appare il seguito del verso iniziale in Isaia 34. Il serpente freccia farà il suo nido, cioè, farà la sua casa, il suo salotto in cui ubriacherà e sedurrà le sue vittime. In questo legame con lui, deporrà le sue uova, che sono altri legami che a poco a poco, secondo le circostanze si schiuderanno e si presenteranno facendo danni. A questo si collega il passo nel Cantico 2.15: “Prendete le volpi, le piccole volpicine che danneggiano le nostre vigne”. Le piccole volpi, i cuccioli. Sono uova depositate che si schiudono attraverso particolari richiami, messaggi.
“Nessuno muove causa con giustizia, nessuno la difende con verità; hanno fiducia nelle parole vuote e dicono il falso, concepiscono il male e partoriscono l’iniquità. Fanno schiudere uova di vipera… chi mangia delle loro uova muore, e dall’uovo schiacciato esce fuori una vipera”(Isaia 59:4,5). In questo passo si parla sempre dello stesso evento, visto come un meccanismo strategico per creare danni il più possibile. Viene visualizzato che chi mangia di queste uova depositate (pensieri, frecce), muore! Non è chiaramente una cosa istantanea. Quasi nessuna disubbidienza è punita istantaneamente. Ci vuole il suo tempo, ma conduce alla morte. Dobbiamo vedere la morte come risultato, in vari modi, in modo esteso. Possiamo pensare ad un addormentarsi in riferimento alla rivelazione, una perdita di sensibilità spirituale con pigrizia e passivismo, ecc.
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Nello stesso modo leggiamo di quelli che prendono la santa cena indegnamente, da un lato, e il mangiare stesso come giudizio su se stessi, produrre questo tipo di risultato: morte spirituale (1Corinzi 11:27-30). Per quelli che non mangeranno queste uova, e preferiscono combattere questi pensieri che, depositandosi diventano come uova, se li schiacciano usciranno serpi! Questo ci invita a considerare bene i meccanismi della tentazione e seduzione. Dobbiamo sapere con chi abbiamo a che fare! Come abbiamo visto nel verso della testata, Isaia 34:15; quando questo serpente farà schiudere le sue uova, raccoglierà i suoi piccoli (i suoi frutti) alla sua ombra; là si raduneranno anche gli avvoltoi. Possiamo inquadrare questi simboli così: Attraverso la figura del serpente il diavolo è astuto e seduttore; come avvoltoio, è un divoratore insieme ai suoi messaggeri, i suoi angeli, i suoi demoni. Attraverso la figura del serpente, seduce e svia; attraverso quella dell’avvoltoio, aggredisce con violenza dando il colpo di grazia, finendo la vittima. Badiamo bene di non sottovalutare le sue macchinazioni (2Corinzi 2:11) e la capacità che il maligno ha di fare il male e produrre danni. Mettiamoci in lotta, facendo lega col Signore contro noi stessi, demolendo in noi e in altri, con la Sua Guida, i vani ragionamenti che vengono da quello spiare del maligno, trasmettendoci i suoi pensieri e desideri, depositando le sue uova e circondandoci con i suoi legami (2Corinzi 10:4,5). Quando Davide fu ripreso dal profeta Nathan, intorno alla conseguenza del suo peccato, fu curioso il paragone: “Un viandante giunse a casa dell’uomo ricco; questi rifiutò di prendere dal suo gregge e dalla sua mandria per preparare da mangiare al viandante giunto da lui, ma prese l’agnella di quel povero e la fece preparare per l’uomo venuto da lui” (2Samuele 12:4). Un esempio molto chiaro. Il viandante è lo spirito della lussuria, fornicazione. In quel caso induceva all’adulterio. Il viandante “giunse”; questo spirito lanciò le sue frecce a Davide, e in un ragionamento, come fosse una lotta, è detto che: “questi (Davide), rifiutò di prendere dal suo gregge”. Ci fu un ragionare con quello spirito, con quelle tentazioni; così trafitto da quelle frecce, cominciò a desiderare di dare a quello spirito, a quelle sensazioni e concupiscenze, l’accordo di collaborare con lui, e quindi lasciarsi andare in quelle passioni che l’avrebbero portato all’adulterio e all’omicidio del marito di lei. Anche qui si parla di mangiare, “comunione”. Questo il salotto di conversazioni che
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dicevamo, in cui il diavolo cerca di tirare le sue vittime. Quando la vittima ci cade, si arrende alle tentazioni del diavolo, allora egli fa venire in suo aiuto gli avvoltoi, che, avventandosi sulla vittima, la divorano. Questo il termine che usa Pietro, confrontando il diavolo ad un leone ruggente, che va attorno… “cercando chi possa divorare”. (1Pietro 5:8). In una occasione simile, il popolo d’Israele, dovette sperimentare fisicamente, quanto i serpenti e il loro veleno, sono micidiali. In Numeri 21, leggiamo la storia dei serpenti ardenti, suscitati a causa dei mormorii e del disprezzo dei figli d’Israele nei confronti di Dio e di Mosè. Quale fu la soluzione quando il popolo gridò a Dio? Egli fece rizzare a Mosè un’antenna su cui attorcigliare un serpente di rame. Chiunque veniva morso dai serpenti, doveva guardare il serpente di rame appeso, e Dio l’avrebbe guarito. Iddio non allontanò i serpenti, ma provvide il rimedio per sconfiggerne il veleno. Terminiamo la nostra meditazione con queste parole. Guardiamo al rimedio! Se vogliamo vincere e scampare dalle frecce velenose del serpente freccia, se vogliamo che in noi non rimangano depositate le sue uova, guardiamo il Figlio dell’Uomo!
*§*
BADANDO DI TRASMETTERE LA GRAZIA
“Badando bene che nessuno rimanga privo della grazia”
(Ebrei 12:15).
Il titolo di questa meditazione è un pò il cuore dello
spirito dell’evangelo. Nella maggioranza di chi si definisce
cristiano, è una disciplina vissuta più che altro in forma
sentimentale, emozionale o razionale. Nell’ambito cristiano
evangelico, (nella maggioranza, si intende) tutto ciò che si
riferisce all’amore di Dio, è confuso con il sentimentalismo;
ossia, un amore senza giustizia. Un amore che non rispetta
la santità. Invero, è impossibile vedere l’amore di Dio senza
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le Sue ragioni di santità e di giustizia, cioè per uno “scopo”
che sia solo per il bene delle anime. Dio è amore ma non è
ingiusto. Dio è amore ma non fa lega col peccato. L’amore di
Dio non ha misura davanti alla miseria dell’uomo,
qualunque sia la sua condizione; questo al fine di dare
opportunità di ravvedimento a salvezza. Ma ha misura nella
transigenza una volta che l’anima ha deciso di camminare
nelle Sue Vie. Parliamo di disciplina, punizione se il caso,
non di rinnegamento.
La promessa che la chiesa di Cristo (la Sua) sarà senza
macchia ne ruga, non esclude nessuno, ripeto: nessuno che,
credendosi parte di questa promessa (supponendo che sia
realmente parte), e parte della chiesa, pensi che certi
avvertimenti non siano per lui ma per altri, perché lo si dia
per scontato semplicemente perché lo si creda.
Tutti siamo nati in Adamo e tutti abbiamo delle
passioni, sentimenti, emozioni ecc. che se non vengono
controllati alla scuola di Cristo, nella Sua disciplina, ci
portano fuori dalla traiettoria dello Spirito divenendo
addirittura persecutori della Sua causa. Perciò, ogni parola
espressa nella scrittura, è per tutti, nessuno escluso. Il
giudizio ha da iniziare dalla casa del Signore; inizia dal
giorno della coscienza fino a quello della morte.
Per natura siamo figli d’ira (Efesini 2:3); che alberga in
seno agli stolti (Ecclesiaste 7:9). Lo stolto dice in cuor suo,
non c’è Dio (Salmo 14:1), quindi rifiuta Dio, il suo creatore
come Padre. Per questo ha un altro padre, un sostituto, il
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diavolo! Anche la parola, “figli” d’ira, non è a caso. In
Giovanni 8:44 è detto che il diavolo è “padre della
menzogna”. Genererà figli di menzogna. Questi sono i figli
della disubbidienza (Osea 10:9; Efesini 2:2).
E’ vero che Cristo ci ha trasportati nel regno della luce;
dalle tenebre alla luce, dalla podestà di satana a Dio; ma è
altrettanto vero che, fin che viviamo in questi corpi siamo
soggetti alle passioni, tentazioni e pericoli di caduta.
Ricordiamoci, per chi avesse dubbi in merito, quel che disse
Paolo, grande conoscitore delle scritture, ma anche di se
stesso. Nella lettera ai Romani nel capo sette, dove fa
risaltare la lotta fra carne e spirito, fra il desiderio di fare il
bene e l’incapacità di realizzarlo, esclama: “O miserabile uomo
che sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” (v.24).
Perché un tanto apostolo, chiaro nelle sue affermazioni
circa l’opera della grazia nei confronti delle opere della
legge e della precisione sull’efficacia del sacrificio di Cristo,
parli di una liberazione al futuro? Libererà! Vuol significare,
non una liberazione che non è ancora avvenuta, certamente!
Piuttosto, una liberazione che è incominciata per la fede in
Gesù, ma che prosegue in un cammino continuo in cui si ha
sempre bisogno di liberazione, a seconda della rivelazione
delle nostre disubbidienze. Quindi, su questa base che
riscopriamo che nessun uomo può parlare con grazia e
usare grazia.
Abbiamo bisogno della grazia divina che Cristo ha
portato e ci ha fatto conoscere. Grazia e verità vanno
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insieme (Giovanni 1:14), perché nessuna delle due avrebbe
effetto o sarebbe utile se fosse isolata. Ce lo spiega Efesini
4:15: “Ma dicendo la verità con amore cresciamo…”. Il cresciamo
per essere un tempio santo al Signore, è frutto del “vivere” e
“dire” la verità con amore, con grazia.
I conflitti dell’anima tendono a dissipare questo equilibrio.
Non solo la spada della parola di Dio separa fra ciò che è
umano da ciò che è spirituale (Ebrei 4:12), ma anche la
spada della “falsità” che porta alla morte (Proverbi 5:4).
Quest’ultima separa i legami della giustizia divina per avere
una verità dimezzata, debole ed inefficace.
Il solo avere verità porterebbe a insuperbire, gonfiarci nei
confronti di altri e usare tono di severità intransigente. La
sola grazia indurrebbe a debolezza, inconsistenza; in modo
tale che l’un valore renderebbe inefficace l’altro.
Per questo il Signore fa che questi due si incontrino ed
armonizzino (Salmo 85:10); esse si devono baciare. Non è
detto a caso che la grazia e la verità si sono incontrate
(prima) e baciate (dopo). Questo vuole significare che
prima Iddio li fa incontrare, li avvicina, li armonizza, come
fa con tutti i Suoi valori, e poi crea un feeling fra loro tanto
da amalgamarsi e diventare una stessa essenza.
Perché questo? E’ importante? Salmo 89:14: “Giustizia e
diritto formano la base del tuo trono. Benignità (grazia) e verità
vanno davanti al tuo volto”. Prima benignità e verità insieme,
davanti al suo volto o nel suo volto, compreso i volti di
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coloro ch’Egli manda, per arrivare alla vera giustizia; non
quella miseramente legale, bensì quella che è il risultato, la
sintesi delle due qualità; benignità e verità.
L’evangelista Giovanni scrive: “E noi tutti abbiamo ricevuto
dalla sua pienezza grazia sopra grazia. Perché la legge è stata data
per mezzo di Mosè, ma la grazia e la verità sono venute per mezzo
di Gesù Cristo” (v.1:16,17).
Dalla sua pienezza! Ossia, dall’ARMONIA di TUTTO ciò
che è la sua sostanza e sapienza Divina. Dio, è l’Iddio della
pace, cioè, dell’armonia. Da questa simmetria che riceviamo
i suoi valori, il suo carattere.
Cristo ha ricevuto la pienezza dalla sua umiliazione e
svuotamento (Filippesi 2:7). Da questo suo grande atto
d’amore, e non solo atto al passato, che rivela la sua
sostanza ed essenza, che è sempre stato e sempre sarà. Per
quell’atto d’amore, che rivela le sue viscere, possiamo
ricevere, grazia sopra grazia.
Vogliamo dire: grazia che segue, che si amalgama e si
eleva (si mette sopra) alla grazia già ricevuta. Che
purtroppo aimè, non umiliandoci a ricevere grazia continua
ed anche a esprimerla, ci siamo fermati, non dando luogo
alla grazia che segue di accavallare e proseguire su quella
già ricevuta. Così come mattone sopra mattone forma una
parete, grazia sopra grazia forma l’edificio celeste, nella vita
di chi crede.
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Un esempio pratico lo ricaviamo in Geremia 23:7,8 là
dove il popolo non dirà più, per l’Eterno che ci ha fatti
uscire dall’Egitto. Ma, per l’Eterno che ci ha fatti uscire
(prima grazia già ricevuta) e ha ricondotto il popolo
disperso fra le nazioni, nel loro paese, nella loro terra
(seconda grazia che segue e completa la prima). Grazia
sopra grazia.
La legge è venuta per mezzo di Mosè, ma la grazia e
verità son venute per Gesù. Vogliamo guardare queste
parole nei rapporti della scrittura. La legge è venuta per
Mosè. La legge rappresenta la parola di Dio scritta, la quale
risulta incompleta e insufficiente se “solo” portata
dall’uomo. Ci vuole la grazia e la verità certificata dallo
Spirito. Con questo vogliamo dire che solo lo scritto non è
in grado di edificare (costruire) il carattere di Cristo in noi.
L’invito è che sia Lui stesso, il Predicatore interiore, a
portare grazia e verità, dando chiarezza e convinzione.
Abbiamo bisogno della sua grazia in ogni cosa.
Il profeta Isaia ci informa che la grazia dell’uomo è
come quella del fiore del campo… essa è debole e svanisce
(Isaia 40:6); questo per dire che la nostra grazia non dura
ed è soggetta a distruzione. Iddio non usa la grazia
dell’uomo, che viene dall’uomo, nelle sue risorse umane.
Ogni virtù trovantesi nell’uomo, Iddio la demolisce per poi
darle la personalità della risurrezione; Iddio fa ogni cosa
nuova.
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L’uomo deve nascere di nuovo. Deve ricevere la natura
divina, e non solo “l’uomo” ma anche le “cose” dell’uomo
(1Corinzi 2:11). Possiamo dire che anche le cose dell’uomo
devono ricevere o divenire partecipi della natura divina.
Il re Lemuel ci parla della grazia umana (uomo psichico),
dicendo: “La grazia è fallace e la bellezza è vana” (Proverbi
31:30). Sebbene si parli della grazia femminile nei riguardi
dei modi, in riferimento anche alla bellezza, non vogliamo
perdere l’occasione di imparare il messaggio in queste
parole. La grazia umana, quindi, non solo è corruttibile, ma
anche dannosa.
Fra gli ingannatori, la categoria religiosa in cui questa
grazia umana è più usata è l’empio. In Geremia 2:33 viene
detto di questa classe: “Come usi bene le tue maniere per
procurarti amore! Così hai insegnate le tue maniere persino alle donne
malvagie”. Si rilegga anche il verso 34 e 35.
Anche nella lettera di Giuda verso quattro è detto: “Empi che
mutano la grazia di Dio in immoralità”. Mutano; trasformano la
grazia di Dio, e la rendono immorale. L’empio ha un agire
tendenzialmente letteralistico; pronto a chiudere le viscere
di grazia del Signore, tenerle segregate in una sorta di
condizione severa e pretenziosa sull’ubbidienza di una
religione volontaria. Essa grazia è data, come un loro
consenso, se l’anima ubbidisce a ogni parola della scrittura
in forma letterale. Ubbidienze e privazioni esteriori.
Rendono l’idea di un Dio dittatore e severo, senza
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riguardare che ognuno ha bisogno di tempo per crescere.
Affrettano i tempi, il tutto è ubbidire a ogni parola… Questo
è quel che vogliono far credere.
Che aimè, proprio nell’ambito del messaggio del
profeta William Branham, abbondano tali ciarlatani che
non hanno capito nulla, ne della dottrina che pensano
ubbidire e soprattutto del suo significato spirituale.
Trasformano la grazia di Dio, in qualcosa che quasi si debba
meritare attraverso l’ubbidienza a ogni dottrina a ogni
parola basata su fatti e regole esteriori. Una delle menzogne
più gravi appunto, è che anche lo Spirito Santo lo si riceve
quando tutta la dottrina, tutte le ubbidienze esteriori a
tutte le regole e comandi, saranno in ordine in quella
persona. La scrittura non ha mai detto nulla di simile! Lo
Spirito Santo lo si riceve nel mentre che siamo deboli, per
poter aver la forza di migliorare e proseguire il cammino,
superare le difficoltà ed essere messi in grado di ubbidire.
Questa espressione: mutano la grazia di Dio, è da
prendere molto seriamente.
Ma…, di quale grazia stiamo parlando? Parliamo della
grazia di Dio in Gesù Cristo, parliamo innanzi tutto del suo
amore, della sua pietà. Però lo Spirito Santo di Dio non
parla solo di quest’aspetto, bensì, anche di quel lato della
grazia che riguarda l’espressione della grazia stessa.
Sono uno però le dobbiamo distinguere. Per esempio, Iddio
non ha avuto solo pietà di noi per riscattarci e poi, nel
parlarci, nel dirigerci, nell’educarci sarebbe stato duro e
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scostumato. Viceversa, non è stato solo un Dio educato e
gentile, senza poi graziarci fino a salvarci.
Concludendo il concetto, diciamo che Dio è grazia
pura, grazia completa. E’ sempre stato gentile nei modi
perché ci ama e ha pietà di noi tutti. Per questo ci ha salvati
donando liberamente se stesso… “Per” grazia “con” grazia.
Per grazia, perché per “mezzo” di essa (l’amore) ci ha
raggiunti e salvati. Con grazia, continua ad ammaestrarci,
educarci ed anche riprenderci quando necessario. Per
questo Gesù disse: “Prendete su di voi il mio giogo e imparate da
me, perché io sono mansueto ed umile di cuore” (Matteo 11:29).
“La vostra mansuetudine sia nota (vista, conosciuta) a tutti gli
uomini” (Filippesi 4:5).
Mansuetudine è parola ricca ed esprime i modi esteriori,
visibili, dell’umiltà interiore. La parola, “sia nota”, è per
indicare che la mansuetudine, è il modo di portare la grazia
(l’umiltà) interiore.
Di fatti, ripetiamo le parole di Paolo: “Dicendo la verità
con amore, cresciamo in ogni cosa” (Efesini 4:15).
Come abbiamo detto, Gesù ha portato la grazia e la
verità; perché ci vuole prima la grazia per poi introdurre la
verità. Quindi, se riceviamo la grazia divina in merito ad
ogni verità; riceviamo la verità per grazia e con grazia. Così,
e solo così possiamo dire, la verità con amore.
Potremo usare la grazia per edificare, nella chiesa e
fuori : “Nessuna parola malvagia esca dalla vostra bocca, ma se ne
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avete una buona, per l’edificazione, secondo il bisogno, ditela, affinché
conferisca grazia a quelli che ascoltano” (Efesini 4:29).
Se abbiamo una parola buona diciamola, secondo il bisogno
e conferirà grazia a chi ascolta.
Il finale insegnamento è quello negli Ebrei, dove lo
scrittore ci dice: “Badando bene che nessuno rimanga privo della
grazia…” (Ebrei 12:15). Il proseguo ci è noto: che nessuna
radice di amarezza, che è il contrario della grazia, sorga nei
nostri cuori, altrimenti non conferiremo grazia a chi ci sta
vicino. Bada chiesa, che nessuno, NESSUNO, rimanga privo
della grazia di Dio. Della tua personale lascia pure che siano
tutti privi, sarà un bene! Ma di quella di Cristo nessuno!
Perciò opera con gentilezza, con grazia, anche quando sei
umiliato e mortificato. Ovviamente, che a volte possiamo
essere più determinati e accesi del solito… Ma, sentiamoci
liberi comunque, solo facciamo attenzione! Per questo
Pietro ci parla di continenza e di autocontrollo. Perciò, la
volontà di Dio è che rendiamo la grazia ricevuta da Lui, agli
altri per avere un unico scopo: EDIFICARE!
Gentile dunque nei modi, ma fermo nei propositi (quelli di
Dio) e nella verità.
***
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BEVENDO ALCUN CHE DI MORTIFERO
(Marco 16:18)
“Prenderanno in mano dei serpenti, anche se berranno qualcosa di mortifero,
non farà loro alcun male”.
Com’è consueto nelle chiese e nella filosofia, parole come queste si intendono
solo dal punto di vista materiale, anche se raramente, molto raramente, si sentano
testimonianze relative a fatti miracolosi di questo tipo. Rappresenterebbe di difficile
interpretazione o, se si preferisce, di difficile spiegazione, perché altrimenti si
dedurrebbe che il credente che ha ricevuto lo Spirito di Dio e che cammina per lo
Spirito, possa bere, diremmo, ricevere in se, oppure fare qualcosa di peccaminoso
senza essere lesionato mortalmente. Ritenendo qualcosa di impossibile una ipotesi
così trasgressiva, rimane la versione più innocente e magari più spettacolare da
esprimere, la versione basata su qualcosa di materiale, anche se di rara
testimonianza.
Certamente che nessuno che rispetti Iddio, possa sentirsi libero di bersi
qualche veleno perché Iddio lo protegge. Sarebbe contro la volontà di Dio stesso. Ma,
queste parole, più che impressionare i lettori nella spettacolarità di un fatto
miracoloso e potente, quantunque l’uomo è facile farsi affascinare da queste cose,
mira ad incoraggiare proprio quel che non ci si aspetterebbe; colui che cade!
In molte situazioni nel corso della vita, quando stringe tanto da soffocarci, per
sconforto o per negligenza e debolezza, capita che si scivoli in qualche trasgressione
o addirittura peccato. E’ necessario comprendere che la prima impressione che
abbiamo di questa parola, è sempre rivolta a qualcosa di esteriore tipo: adulteri,
furti, bestemmie, bugie, scortesie, imbrogli, falsità e malizie. Non si fa abbastanza
attenzione alla realtà più grave dei peccati in ispirito. Ma comunque sia, o si dovesse
incorrere in peccati diciamo grossolani, o in peccati in ispirito: anche se berranno
qualcosa di “mortifero”, nessun male accadrà loro. Certamente che il Signore punisce
il peccato e la disubbidienza, ma salva il giusto, perché sa di essere giusto non per i
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suoi meriti ma, perché giustificato dall’Unico che giustifica. Il tutto è che Dio si
prende cura di proteggere l’incolumità dei suoi figli, anche se sono infedeli.
“Se siamo infedeli egli rimane fedele, perché egli non può rinnegare se
stesso” (2 Timoteo 2:12,13).
Egli non rinnega se stesso in quanto che Egli è amore, ci ama, e rimane fedele
a questo amore che lo ha portato sulla croce. Comprende le nostre limitazioni e ci
compatisce. Per quelli che, non nascondono le loro iniquità, sono consapevoli dei
loro limiti, fanno cordoglio, il Signore rimane fedele. Quando l’Amore di Dio viene
tradito, anche il Signore si ritira fino al ravvedimento e pentimento.
Il verso prima afferma che se lo rinneghiamo egli ci rinnegherà, non dice che
ci rinnega (al presente), ci rinnegherà; quando compariremo davanti a lui nel
giudizio. Questo implica che quell’anima, lo aveva rinnegato per sempre decidendo
in cuor suo, di non aver più a che fare con Lui, oppure, in modo religioso, si rinneghi
la verità camminando nell’empietà e iniquità (Matteo 7:23).
Anche l’apostolo Giovanni dice qualcosa a riguardo: “Figlioletti miei, vi scrivo
queste cose affinché non pecchiate; e se pure qualcuno a peccato, abbiamo un
avvocato presso il Padre: Gesù Cristo il Giusto” (!Giovanni 2:1).
Anche qui viene menzionata la giustizia di Dio in Cristo. Non si tratta della tua
giustizia, ma della Sua. Giustizia impersonificata: Gesù Cristo il Giusto! Lui stesso
nostra giustizia: “Ora grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale da Dio è stato
fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, affinché come sta
scritto: Chi si glori, si glori nel Signore” (1 Corinzi 1:30).
Chi ha qualcosa da gloriarsi? Qual è il vero motivo per cui sei felice? Quale
gloria ti sublima? La giustizia di Dio fatta carne nella Pietà persona, Gesù Cristo il
Giusto! Gloriati in questo! Gesù è stato fatto giustizia. Non semplicemente un fatto, un
gesto, un concetto e formula; ma la sua persona. Qual è il motivo per cui Dio si è
fatto uomo? L’amore! Così ci ha raggiunti. L’amore raggiunge! Ogni cosa si ferma a
una certo punto, ma l’amore di Dio sa raggiungere lo scopo. A qualsiasi costo!
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Davide peccò; fu forse abbandonato da Dio? E’ vero che Dio si ritira, ovvero
ritira la sua presenza per un periodo. Ciò significa praticamente che l’uomo perde
quella atmosfera di pace ed armonia nel riposo con la santità di Dio. Intanto il
Signore attira al ravvedimento per riportare l’uomo nella pace con tale santità. Il
Signore ci riconduce al sacrificio per ritrovare pace e riposo con Dio. Possiamo dire
così: Davide nell’occasione in cui concupì Bath sceba, bevve quel veleno mortifero, e
mortifero se non fosse sotto la grazia di Dio. Com’è descritto dal profeta Nathan: “Un
viandante giunse a casa dell’uomo ricco” (2 Samuele 12:4). L’uomo ricco, sappiamo,
era Davide, che aveva offerto da mangiare al viandante l’agnella del povero (Uria, il
marito di Bat sceba), Il viandante non era altro che lo “spirito dell’adulterio” il quale
si era accostato a Davide per spingerlo a peccare. Portò a lui quella bevanda
mortifera di fornicazione adultera, accendendone la passione. Davide ne bevve,
peccò, ma non morì come essendo l’uomo dal cuore verso il Signore. Non perse
questo titolo e significato. Non fu messo nell’ordine degli infedeli, perché? Davide era
secondo il cuore di Dio perché non nascondeva le sue iniquità. Le confessava tutte al
Signore Iddio suo. Non difendeva se stesso, ma confidava nella giustizia del suo
redentore. Per questo fu dato a lui, e ad altri come lui, di scrivere i Salmi.
Succede prima come dopo; prima di conoscere Dio ed anche dopo. Quel che
conta nei riguardi della fedeltà è la giustizia di Dio in Cristo. Non voglio dire
assolutamente che per questo si può peccare come si vuole. Ci riferiamo
esclusivamente a chi pecca perch’é tentato dalla sua concupiscenza (Giacomo
1:14,15). Per questo, a causa della nostra debolezza, vi è un avvocato per difenderci
in questi casi.
Occupiamoci del caso del sacerdote Joshua. Egli stava “ritto davanti all’angelo
del Signore”, mentre Satana stava alla sua destra per accusarlo. La posizione del
sacerdote ci dice la confidanza e l’inclinazione del suo cuore. Ritto; significa non
aspettando nulla da se, ma tutto da Dio, innanzi al quale stava. Non era rivolto verso
Satana, l’accusatore; il suo sguardo era rivolto del continuo verso colui che solo ha
l’autorità di giustificare, tenendo caro nel cuore il “sacrificio”. Lo sguardo del
continuo verso il Dio d’amore, come l’aquila tenuta in gabbia fissa continuamente il
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cielo; nel cuore il sacrificio come ancora di giustizia. Iddio lo difese! Chi si tiene
saldo al sacrificio e attende solo dal Signore, riceve soccorso. Il veleno
dell’accusatore, non poteva distruggerlo.
Dio sia lodato per la possibilità di ravvedimento e di pentimento. Chi cade, e
beve inavvertitamente del veleno del tentatore, se confida nel Signore, non ne
morirà.
Per raffigurare quanto detto, leggiamo cosa dice Paolo: “O morte dov’è il tuo
dardo? O inferno, dov’è la tua vittoria? Ora il dardo della morte è il peccato, e la
forza del peccato è la legge. Ma ringraziato sia dio che ci dà la vittoria per mezzo
del Signor nostro Gesù Cristo” (1 Corinzi 15:55-57). Perché dice, dov’è il tuo dardo?
Perché il Signore ha dato il rimedio e la promessa di vittoria, attraverso Cristo per lo
Spirito Santo, come abbiamo visto in Marco 16:18. Attraverso il peccato, il dardo
della morte, il diavolo vuole dare a bere la sua bevanda mortifera, ma ad essa Dio ha
trovato l’antidoto! Già nei sogni il Signore avvisa l’uomo, anche se non credente, a
sfuggire dalla superbia, per salvare la sua vita dal dardo della morte (Giobbe 33:18).
Altre traduzioni hanno spada, ma è lo stesso; cerchiamo il significato.
Al credente il Signore avverte di prendere lo “scudo della fede” per spegnere i
dardi infuocati del maligno (Efesini 6:16). L’accento è su “tutti i dardi”. Il discorso è
che c’è il male, ma vi è anche un rimedio. Vi è un veleno, ma vi è anche un anti
veleno.
Caro lettore, in qualsiasi sventura sei caduto, non affliggerti più della misura
che ti porta al ravvedimento e pentimento. Il di più porta a disperazione e morte. Sai
che nell’amore e nella potenza di Dio, le tue impossibilità e le tue fragilità, diventano
nelle Sue mani, delle opportunità per stabilire in te la redenzione! Coraggio!
Dimentica te stesso, guarda al rimedio con seria contrizione di cuore, impara così che
tu non puoi nulla, ma solo Lui può tutto.
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< COME LAMBISCE IL CANE >
Gdc 7: 5–7. Lc. 15: 1; 16: 21; 18: 10–14. Isa 56: 10,11. Ecl. 9: 4;
Prov. 26: 11. Mat. 7: 6. Fil. 3: 2. Ap. 22: 15.
Ci sono dei versi nella scrittura che sembra dicono l’opposto
di quel che vogliono dire. Incominciando da Giudici 7:5-7,
leggiamo:
“Gedeone fece dunque scendere la gente all’acqua; e l’Eterno gli disse: “ Tutti quelli che lambiranno l’acqua con la lingua, come la lambisce il cane, li metterai da parte; e così farai con tutti quelli che per bere si metteranno in ginocchio”.
Sappiamo il seguito. Trecento uomini lambirono
l’acqua come la lambisce il cane e furono scelti per
partecipare nella battaglia e per vincere. Molti,
erroneamente, pensano che i trecento scelti per la battaglia
erano quelli che si misero in ginocchio. Il lambire l’acqua “come il cane”, darebbe, ad alcuni, agio di pensare che si
tratti di una figura o paragone negativo. Invece, fu proprio
quello il segno della distinzione dei trecento graditi a Dio.
In fatti sappiamo che i cani erano considerati animali
impuri e quindi venivano anche disprezzati. Inoltre, era uno
dei paragoni e titoli con cui nominare e distinguere i
malvagi, i peccatori, gli infedeli. Anche i popoli stranieri venivano considerati così da Israele. Questo perché
sentendosi popolo di Dio con la Legge divina, si erano via
via insuperbiti; non comprendendo così il piano di Dio:
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benedire i popoli attraverso il popolo d’Israele. Errore
anche di molti cristiani… nei confronti degli increduli. Lo
stesso, di chi ha accettato il messaggio del profeta di questo
tempo, nei confronti dei fratelli pentecostali.
Ma dobbiamo considerare che questo atteggiamento
era dettato da superbia religiosa, non da Dio. I cani che venivano disprezzati erano quelli per lo più randagi; che
non erano curati, e soprattutto malati. Anche i lupi erano
compresi in questa considerazione. Nel Salmo 59:6,
vengono descritti così i nemici di Davide, dai quali ei
chiede liberazione: “Essi (i nemici) ritornano alla sera, ululano come cani e si aggirano per la città”. Si noti il verso
indicato. L’idea è che mentre sono cani all’esterno, quindi, possibili amici dell’uomo, nascondono nella “voce (anima)”,
la natura del lupo. Questi sono i più pericolosi, a questa
specie, più che altro, si riferiscono i versi di Filippesi 3:2;
Apocalisse 22:15; Matteo 7:6.
I cani, “per quel che sono”, erano come in tutti i tempi,
apprezzati nell’utilizzo secondo le loro caratteristiche e
qualità. Prendiamo i cani da caccia, i cani che aiutavano i pastori, i cani da guardia ecc. Gli uomini di quelle epoche
conoscevano bene gli animali, quindi sapevano distinguere
le caratteristiche utili e buone, da quelle meno utili o
pericolose. Comunque, il fatto che il cane rappresenti il
peccatore, ha la sua realtà e utilità per quel che vogliamo
considerare in questa meditazione.
Vogliamo cominciare a chiarire il verso citato dei Giudici:
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“Tutti quelli che lambiranno l’acqua con la lingua, come la lambisce il cane, li metterai da parte; e così farai con tutti quelli che per bere si metteranno in ginocchio” (v.
5).
Qui vediamo solo la differenza di due gruppi: chi
lambirebbe semplicemente con la lingua, come fa il cane, e chi si metterebbe in ginocchio comodamente. Leggiamo il
verso seguente:
“Il numero di quelli che lambirono l’acqua portandosela alla bocca nella mano fu di trecento uomini; tutto il resto della gente si mise in ginocchio per bere l’acqua” (v. 6).
Ora vediamo la distinzione e selezione. La frase: il numero di quelli che lambirono l’acqua portandosela alla
bocca fu di trecento, già specifica che questi bevvero come
beve il cane. Anche se la frase, “come il cane”, non viene
ripetuta si comprende benissimo che si tratta di questo
paragone. I due gruppi si distinguevano fra chi avrebbe
lambito l’acqua come il cane, cioè portandosela alla bocca,
quindi sorseggiando, e chi invece si sarebbe buttato nell’acqua inginocchiandosi. Ora, quelli che lambirono
l’acqua (come il cane) furono i trecento che furono scelti.
Riprendiamo il soggetto e continuiamo. Come
abbiamo detto i cani erano paragonati ai peccatori e
malvagi. Ma questa era solo un aspetto della situazione. In
questa meditazione abbiamo bisogno di vedere i cani essere
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paragonati ai peccatori per imparare una lezione
importante che mai dobbiamo dimenticare.
Abbiamo già accennato a che Israele aveva frainteso il
consiglio di Dio arrivando fino a definire “cani” i popoli
stranieri. Davanti a Dio possono essere anche così, ma
questa in realtà è una condizione che può portare ad avere quella consapevolezza di aiuto per cui ricorrere al rimedio,
al Salvatore. Questo vogliamo visualizzare in questa
meditazione.
Se guardiamo in Isaia 56:10,11, vediamo come i cani
erano i guardiani delle pecore. In questo caso è Dio stesso
che usa questa figura, e la figura è positiva. In questo caso
non centra il rapporto al peccatore e malvagio. La lezione è dunque che i cani, visti come peccatori,
possono convertirsi al Signore; perdere quel che il cane
rappresenta nella sua natura “selvatica”, pur
mantenendone il ricordo e il senso del bisogno, come
consapevolezza di ricevere aiuto da parte di Dio.
Possiamo vedere il carattere che distingue il significato
di questo paragone nelle parole di Gesù:
“Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con i piedi e poi si rivoltino per sbranarvi” (Matteo 7:6).
Il carattere dei cani e dei porci è dispregiativo e
aggressivo di fronte il “buono”. Non accetta, rifiuta l’aiuto e
i buoni doni (le perle, le Parole del Signore), e aggredisce, è
violento. Questo il carattere che viene identificato in questi
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cani. Ora, sarà per queste caratteristiche peccaminose che
pure avrà la possibilità di vedere, quindi essere
consapevole della sua condizione di peccato, giacché
manifestazioni grossolane, visibili e facilmente
individuabili. Per questo i peccati in ispirito sono peggiori,
perché non si vedono. Vi è bisogno di luce maggiore per distinguerli.
In 2 Re 8:9-15, ricordiamo l’episodio di Eliseo con
Hazael, colui che sarebbe diventato re di Siria. Quando
Eliseo vide e gli disse quale sarebbe stata la sua sorte,
Hazael rispose stupito: “Ma cos’è mai il tuo servo, un cane, per fare così grandi cose?”(v. 13).
Si meravigliò di sentire di se tanta crudeltà, così da paragonare se stesso ad un cane. Alla fine scoprì che quel
paragone fatto dal profeta, era esatto. Questo significa che,
in realtà, nella nostra natura animale siamo come i cani
nella loro indole selvatica di sopravvivenza e ferocia. Solo
che dobbiamo anche osservare che i cani hanno anche
qualcosa di buono che dobbiamo considerare. I cani,
quando vengono soccorsi ed aiutati, magari anche cibati, assumono un senso di riconoscenza e di dipendenza
ammirevoli; tanto che si dice che: Il cane è il miglior amico
dell’uomo. Quando un padrone si prende la responsabilità
di tenersi un cane, sa che deve considerarne anche gli
aspetti negativi insiti nella loro natura istintiva. Per questo
deve prendere delle precauzioni. Questo è il punto su cui
vogliamo lavorare nella nostra meditazione. Il Signore ci viene incontro mostrandoci i pericoli insiti nella nostra
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natura animale, così come fece Eliseo con Hazael. Anche
Paolo ci parla di uomo “naturale”, che in altre traduzioni
antiche sta per “animale”, e di un uomo spirituale. Si rilegga
1 Corinzi 2:14; 15:44. In Isaia 11:6-8, viene detto di un
bambino che tiene per mano e conduce “animali”, in parte
feroci, in parte domestici; buono e cattivo. La nostra natura adamitica dunque è animale, selvatica; parola che appare
anche in Romani 11:24, per indicare l’origine della
condizione di chi è lontano e separato da Dio.
Questa visione della situazione, ci dice che il credente
non deve dimenticare le sue antiche caratteristiche;
dimenticare nel senso di liberazione completa si! Non
considerare la nostra fragilità nella possibilità di cadere vittima degli antichi istinti assolutamente No! Perché? Nei
Proverbi leggiamo quel che non ci da alcuna possibilità di
sonnecchiare in merito. “Come un cane ritorna al suo vomito così lo stolto ripete la sua stoltezza” (v. 11).
Riflettiamo? Cosa risalta dalle parole su dette? Non è
un’affermazione dispregiativa per fare paragoni offensivi. E’
piuttosto l’osservazione attenta alla natura dell’animale in questione. Il paragone quindi è inevitabile e misurato alla
realtà di questo istinto, nei confronti del peccatore che
ricade nei suoi errori, per la forza del suo istinto,
esattamente come avviene per il cane. Il richiamo è forte e
continuo. Se non si ricerca continuamente l’equilibrio si
cade. Gli istinti sono come una fiumana violenta, il credente
affronta giornalmente un cammino controcorrente. Per questo dice l’Ecclesiaste: “Non c’è congedo in battaglia” (v.
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8:8). Ricerchiamo il giusto equilibrio in questa differenza,
fra positivo e negativo, fra anima e spirito.
Guardiamo l’effetto nel positivo di questa disciplina. I
cani sono considerati impuri; i peccatori, gli infedeli. Ma, il
punto è che proprio il peccatore, che si vede e riconosce
peccatore, quindi “come un cane”, anche come un cane ricerca la salvezza e la dipendenza dal suo salvatore. Il senso
del bisogno che ha un’anima che si sente “cane”, peccatore,
è più grande di quel senso di santità che ubriaca chi si sente
santo. In vero l’evangelista Luca ci informa che: “Or tutti i pubblicani e i peccatori, si accostavano a lui per udirlo”
(Luca 15:1). Il verso seguente dice: “E i farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: Costui accoglie i peccatori (cani) e mangia con loro”. Quelli che si sentivano cani, peccatori e
pubblicani, che vedevano ed accettavano la loro
condizione di peccato, si riconoscevano colpevoli, a
discapito della superbia comune che si innalza e preferisce
sempre cercare scuse. Quei tali sentivano il bisogno del
redentore, andavano a lui. Quelli che non si riconoscevano
cani, peccatori, preferivano mormorare contro Gesù e i riconosciuti peccatori. Questi non andavano a Gesù.
Nella preziosa parabola del fariseo e il pubblicano,
abbiamo la storia di due uomini che salirono al tempio per
pregare; il fariseo pregò così “dentro di lui”, in modo che
nessuno poteva sentirlo, leggiamo: “O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini (cani), rapaci, ingiusti, adulteri (gl’istinti peccaminosi), e neppure come quel pubblicano. Io digiuno due volte la settimana e pago la
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decima di tutto quel che possiedo”. Questo fariseo
praticava le regole della legge in modo preciso, da quel che
risulta, ma come al giovane ricco gli mancava una cosa:
riconoscere la sua colpa, vedersi un cane davanti alla
santità del Santo. “Il pubblicano invece, stando lontano, non ardiva neppure alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto, dicendo: O Dio sii placato verso me peccatore (cane)”.
Se ne stava lontano, come i cani, si riconosceva cane
(peccatore, colpevole), e sapeva che quella non era la
condizione gradita da Dio, il Santo. Ma riscoprì che l’Iddio
Santissimo è l’Iddio della misericordia, della pietà, che ama
colui che si riconosce colpevole e al posto di chiudersi e togliersi l’opportunità di guarire andando a Gesù, si
accosta, se pur da lontano, al redentore. Alleluia! Il fariseo
espresse dentro di se che il pubblicano era un peccatore
(cane), mentre lui no. Al di fuori, poteva essere gentile
quanto voleva per farsi apprezzare da tutti, mentre dentro
nutriva pensieri malvagi. Aveva il coraggio, più
propriamente l’audacia, di stare davanti a Dio in piedi (v. 11), il pubblicano, quel cane, non aveva questo coraggio.
Gesù ne concluse che proprio quel cane fu giustificato
perché si riconobbe cane, ciò nonostante cercò misericordia.
Questo onora Dio! Chi si innalza sarà abbassato, sarà ridotto
e giudicato come un cane che non si è convertito, che non
ha sentito bisogno del salvatore. Chi si abbassa, come un
cane, sarà innalzato. Dalla giustificazione alla salvezza ed elezione. Dio sia lodato. Per concludere, apprezziamo il
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senso e l’attrazione alle sofferenze del Cristo e del bisognoso
nella parabola del ricco e Lazzaro. “E desiderava saziarsi delle briciole che cadevano dalla tavola del ricco; e perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe” (Luca 16:21). I cani
sebbene hanno la natura che hanno (secondo come viene
considerato nei rapporti del peccatore), conservano un’attitudine difensiva nei riguardi dei bisognosi, di chi ha
delle ferite. Il sofferente è Gesù nella sua umiliazione e il
corpo di Lui nella risurrezione, la chiesa. Facciamo caso
come molti, in molte occasioni, hanno trovato soccorso
proprio dai peccatori (cani), che davanti a certi bisogni, si
sono rivelati più ospitali e pietosi di alcuni sedicenti
credenti. Il Signore ama vedere quel senso di cura per le ferite di Cristo e della sua chiesa. Questa attitudine è
premiata. E’ una caratteristica di chi sa riconoscere il
bisogno e il bisognoso. Quindi: “Un cane vivo val meglio di un leone morto” (Ecclesiaste 9:4). Un cane vivo, si riconosce
cane, bisognoso della grazia di Dio come il malato del
medico; un cane con la speranza, vale di più di un leone
morto. Un animale potente ma inerme, morto nel senso di sonnacchioso, che non è più capace di riconoscere la sua
debolezza. Più concentrato nelle sue opere, forze e successi
che nella grazia di Dio.
L’ultimo episodio che vogliamo considerare è la donna
cananea. Una donna bisognosa, una cananea, popolo
estraneo ad Israele. Lui stesso disse che non era mandato ad
altri se non alla casa d’Israele. Ci dice Matteo che venendo da quei dintorni gridò aiuto. Là, dove si trovava, gridava
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aiuto. Gesù non le rispose. La donna vedendo quel
apparente disinteresse, si avvicinò ed adorò. Il savio
maestro mediante una delle armi più potenti dell’universo,
il silenzio, la ridusse alla umiliazione: riconoscere di essere
un cane. Di fatti, alla sua preghiera, Gesù rispose in quel
modo così curioso: “Non è cosa buona prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. Questo il quesito che gli mise
davanti. La strettoia. Il Signore vide già l’opera nascosta del
Padre seguire il suo corso in lei, di fatti disse: “E’ vero (riconosco che sono un cane), Signore (Padrone assoluto), poiché anche i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni” (Luca 15:21-28). Questo il
senso e il bisogno della importanza della grazia. Nonostante sono un cane, ho bisogno anch’io delle briciole (modesta
misura, come Lazzaro vicino la tavola del ricco), per vivere.
Per questo vengo a te, che solo puoi aiutarmi… Signore! Sono
un cane, ma desidero stare alla tua mensa, vicino a te, mio
Signore. Nella grazia dell’ esaudimento, Lui, la Pietà, la
Misericordia, non ti fa sentire più un cane, ma un principe.
Siamo noi che abbiamo la responsabilità di riconoscerci peccatori (cani). Ma Lui nell’esaudimento, non ti considera
così.
Inconsciamente santi, consciamente penitenti.
Riconosci da dove vieni, non dimenticare la forza
dell’istinto del cane di ritornare (tira) al suo vomito,
ricordati della tua fragilità, la possibilità sempre vera di
inciampare. Ma, guarda fisso il tuo redentore come il
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vittorioso sopra ogni istinto e condizione di peccato. Vai
avanti!
Ritorniamo da dove siamo partiti. Quelli che
lambiranno, sorseggeranno l’acqua “come il cane”, con quel
senso di bisogno della grazia di Dio perché immeritevoli,
non vedendo alcun bene in loro stessi… Quelli saranno scelti! Non come quelli che si buttano a capo fitto, sicuri di
se… e sprovveduti verso la prontezza alla battaglia.
Possa Iddio darci la grazia di comprendere
misuratamente questo messaggio. Presentarci davanti a Dio
coscienti del nostro continuo bisogno della Sua grazia. Ogni
altra cosa sia solo sfondo.
L’abbraccio di Dio sia su di te!
***
( COME LA CERVA )
Quante volte nella scrittura troviamo il monito di osservare il
mondo animale...
...“Cerva d'amore, gazzella amabile.” (Proverbi 5:19). E' detto della
sposa : ”...La sposa della tua giovinezza”. (v.18). Oltre il significato
immediato di queste parole, nel riferirsi all'amore sentimentale di
una coppia, vogliamo considerare e soffermarci su quello più
elevato dell'amore di Cristo (lo sposo) e della chiesa (la sposa).
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Abbiamo la figura della cerva in questi versi come un riferimento,
e vedremo come Dio stesso indicherà a Giobbe di osservare il
parto delle cerve.
Lo sposo è richiamato all'attenzione verso la sua sposa,
affinché, solo dall'affetto di lei, Lui deve essere rapito. La sposa di
Gesù quindi è una cerva amabile, perché? Seguendo nella scrittura,
vedremo che la cerva ha molto da insegnarci. Per essere cerva, la
chiesa, bisogna che lo diventi; difatti la cerva ci da il senso della
nuova nascita. Nel salmo 29:9 è detto:“La voce dell'Eterno fa
partorire le cerve.” E' la voce suprema del Signore che fa partorire,
nascere le cerve, così come quella voce fa rivivere i morti. Quanto
vi è in quella voce…
Iddio disse a Giobbe: “ Hai forse osservato il parto delle cerve? Sai tu
contare i mesi in cui portano a termine la loro gravidanza o conosci tu il tempo
in cui devono partorire? Si accovacciano e danno alla luce i loro piccoli
mettono così fine alle loro doglie. I loro piccoli si fanno forti, crescono
all'aperto, se ne vanno e non ritornano più da esse”. (Giobbe 39: 1-4). La
frase: Hai forse osservato il parto delle cerve ? E' per spiegare a Giobbe,
che nella sua vita fino a quel momento particolare, aveva mancato
di immergersi nella contemplazione della creazione, per scoprire il
significato vero delle cose. Difatti, ogni poeta, ogni autore di
drammi e di teatro, o di canzoni; ogni filosofo o scienziato, non
trascura di fare ripetutamente esempi sulla natura in genere. Anzi
ne fanno un punto di forza; nel peggio, anche per affascinare
disonestamente, consapevoli del potere e dell'influenza di certi
esempi. Giobbe avrebbe imparato così ad osservare e a divenire un
contemplatore, nelle cose che suggeriscono sapienza; nello stesso
modo di come si cerca pace e riposo presso le rive di un fiume nel
suo scorrere. Il suono morbido delle acque tende a dare un senso di
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riposo all'anima, nello stesso modo l'osservatore sente scorrere
dentro di se, il significato delle cose, come disse un grande
contemplatore:
“Chi è come il saggio? Chi conosce l'interpretazione delle cose ?“
(Ecclesiaste 8:1). Quel tipo d'interpretazione, non è il senso
personale della propria libera opinione, se no sarebbe un disastro;
e che ne sarebbe della verità? Ma il saggio Salomone, si riferiva al
senso elevato del significato di quella parola. Riformuliamo la frase
e diamone un senso più largo e preciso: Chi è come il saggio? Non
viene detto,“i saggi“, ma il saggio. Ciò è per dire che Uno solo è il
saggio, cioè Dio: “ A Dio, unico sapiente...” (Romani 16:27). Chi è
come Dio dunque che conosce l'interpretazione, ossia, il senso, il
significato delle cose? Che sa raffigurare, paragonare, e sa leggere e
decifrare il significato segreto delle cose create?
Egli sa come dare l'immagine ai significati. Dunque, Dio
voleva insegnare a Giobbe a vedere le cose in un modo nuovo,
voleva essere cercato e visto anche nella sua creazione. Perché
questa necessità, diremmo? Perché è questa la via di Dio nel Figlio
dell'Uomo. Tanto è importante che in 1 Giovanni 4:2,3 ci viene
detto che chi non riconosce Gesù venuto in carne è anticristo.
Potremmo dire anche per precisare, che si può essere ingannati per
un tempo da quello spirito. Ma vogliamo considerare cosa
significano queste parole. Chiunque non presenta, o che non vede,
e non cerca Dio in Cristo, è perché ha paura della verità. Egli teme
che le sue opere possano essere scoperte e riprovate. Ogni
predicatore che parla di tutto tranne che di concentrarsi sul
personaggio, l'Uomo Gesù, non è da seguire. Si potrebbe dire che
parla di tante cose interessanti intorno a Gesù, ma la sua persona,
purtroppo, rimane sempre sconosciuta. Dio, l'invisibile, si è reso
visibile attraverso un corpo, Gesù uomo. Attraverso di lui noi
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uomini, possiamo vedere Dio. Ecco il perché Giobbe e tutti noi
dobbiamo imparare a osservare tutta la creazione, per vedere
l'invisibile Iddio e conoscerlo, stando in comunione con lui. Infatti
chiunque sta in comunione con la natura (la creazione) avverte la
sensazione di stare meglio anche nella salute.
Come dice lo scrittore agli ebrei:” Tenendo gli occhi su
Gesù... (v.2). Ora considerate colui che sopportò una tale opposizione
contro di se da parte dei peccatori, affinché non vi stanchiate e non veniate
meno.” (Ebrei 12: 2,3).
Quanto è importante dunque considerare (cioè, trattenere i
significati) la persona di Gesù. Questo ci protegge dallo spirito
anticristo. Chi crede e presenta Gesù in carne, Gesù uomo, cioè
studia la vita di lui per divenire come lui, dice s. Paolo, viene
trasformato alla sua immagine (2 Corinzi 3:18).
Che ne è dunque di quei predicatori che non si soffermano
sulla persona di Gesù? Per gli onesti, un senso spiccato di
ubbidienza a regole e alla parola scritta, con carenza di quel
calore spirituale che aiuta tanto le anime, che le trascina alla
trasformazione graduale con quell'aiuto, con quella pazienza, e
sostenimento che solo un contemplatore può dare. Per gli illusi,
una riproduzione di credenti con la loro immagine, tendenti a
usare quello che imparano per farne oggetto di discussione e di
rimprovero per altri; piuttosto che sfruttare l'occasione per
trascinare alla adorazione; prima con l'esempio poi con le parole
ispirate dall'alto. Da un altro lato, come ne abbiamo l'immagine in
Daniele 5:1-3, troviamo il caso in cui si festeggia ai mille dei più
grandi (le nostre risorse umane), dove si vuole bere il vino della
gioia per lodare i propri idoli, però, nei vasi e nelle coppe d'oro
presi dal santuario a Gerusalemme. Quanto è facile ingannarsi.
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Così ancora accade; quando pensiamo di possedere qualcosa del
santuario del Signore, lo si usa per lodare i propri idoli.
Notiamo in effetti come Dio parlava a Giobbe in modo curioso,
spesso con riferimenti alla creazione. Basti vedere come nel
capitolo 38 Dio interrogava in riferimento alla terra, alle stelle, al
cielo, ai lampi, a tutta la creazione. Nel capo 39, che è il capitolo
che stiamo studiando, intorno al mondo animale; partendo da
animali terrestri, portando via via l'uomo ascoltatore a quelli aerei,
concludendo con l'aquila. E' il modo di parlare dell'Iddio della
condiscendenza quello di incominciare dalle cose della terra
salendo a quelle celesti. Con la samaritana fece così: dall'acqua e la
secchia ai mariti (lavoro di investigare nelle sue tenebre) e al
messia che venendo avrebbe rivelato ogni cosa. Sia nel salmo 29:9
che in Giobbe 39:2-4 si parla del parto delle cerve. Quanto è
importante nascere come le cerve nel regno di Dio. Gesù parlò di
questa nascita a Nicodemo.
Prima o poi il credente che davvero si è convertito
all'evangelo, al messaggio della salvezza, che l'ha preso per se in
modo definitivo ( sebbene tutte le cose relative alla superna
vocazione verranno appresso ), arriva ad incontrare Cristo in
questa esperienza. Si nasce nel regno di Dio, come le cerve, per la
voce del Signore come abbiamo letto nel salmo.
Torniamo alla domanda che Dio ha rivolto all'uomo perché è
importante: “Hai osservato il parto delle cerve ?”. Cosa vuole dirci il
Signore? Quanti di noi hanno osservato come e se partoriscono i
figli di Dio? Forse quando questo parto doloroso si manifesta, quel
che precede un po questa esperienza, abbiamo frainteso, capendo
male certe situazioni, sgridando o forse volendo troppo correggere,
e magari chissà, abbiamo anche intoppato.
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Per queste circostanze c’è una disciplina che dobbiamo
imparare. Diamo uno sguardo in Esodo 1: 15-22; dove si vede il
faraone che vuole far morire i bambini ebrei maschi fino ai due
anni di vita, ma le levatrici ebree risposero a faraone: “Le donne
ebree non sono come le egiziane ma sono vigorose e, prima che la
levatrice arrivi da loro, hanno già partorito” (v.19). Iddio ci vuole come
quelle levatrici che avevano il suo timore. Pronte a beneficare e a
proteggere i bambini... I maschi, simbolo della progenie di Cristo!
Dobbiamo prenderci cura delle nascite, i parti delle cerve... “ La
nostra fratellanza”.
Non vogliamo avere paura di faraone, Dio ci aiuta e ci fa del bene,
come nel verso 20: “ Or Iddio fece del bene a quelle levatrici; ( e non
manchiamo quanto segue ) e il popolo moltiplicò e divenne
straordinariamente forte ”. Se ci prendiamo cura dei parti dei figli di
Dio il suo popolo moltiplica e diviene forte. Esse non sapevano
quando le gravide avrebbero partorito. Colleghiamo questo con
Giobbe 39: 2 : “Sai tu contare i mesi in cui portano a termine la loro
gravidanza o conosci il tempo in cui devono partorire ?” E' proprio così.
Noi non sappiamo quando viene il tempo in cui un individuo entra
nella fase della nuova nascita, e neanche possiamo sforzare
l'evento o affrettarlo. Dobbiamo semplicemente sopraggiungere
aiutando il parto che già è in fase di svolgimento ad andare a buon
fine. Dio è quegli che crea questo tipo di sincronismo, che fa le
coincidenze, che incrocia le nostre strade. Così fecero quelle
levatrici, Prendendosi cura della tanto delicata, nuova creatura.
Anche il vecchio Simeone ci da una lezione in merito. Quando vide
quel bambino (Gesù), si avvicinò e lo prese... Lo benedisse, di
quella benedizione che aveva ricevuto dal vedere (quanto valore
ha questa parola nella scrittura) il bambino stesso... La salvezza di
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Dio. Una nascita porta una nuova allegrezza. La chiesa di Cristo si
prende cura della figliolanza della fratellanza, per curare in loro la
nuova generazione, quella che entrerà nella terra promessa
(Giosuè 5:5-6). Curiamo i parti! E' importante. Non cavilliamo
verso i partorienti. Un esempio?
Giuseppe rifletteva sul concepimento di Maria sua sposa.
Grazie a Dio fu un pensatore e la riflessione lo salvò (Proverbi
6:22), perché lo Spirito parlò con lui. La riflessione in Matteo 1:20
era buona, ma il proposito di lasciarla era sbagliato.
Era strano per Giuseppe trovarsi di fronte a un tale fenomeno,
come del resto è strano per tutti, di vedere il cambiamento in chi
non ci si aspetterebbe mai la conversione. La posizione di lasciare i
partorienti è sbagliata! Peggio ancora di ucciderli come voleva
faraone ed Erode nella strage degli innocenti. Anche in quel caso,
un angelo, unito a Giuseppe e a Maria nell'allevare e curare il
bambino, permise l'atto nell'avviso, di salvarlo dal massacro... E
rimase in vita. Curiamo le fresche creature, non costruiamo
pensieri strani su di loro. Consideriamo qualche altro esempio.
In Genesi 38:27-30 si parla del parto di Tamar, mentre la
levatrice l'aiutava, vide che il primo bambino stava uscendo e gli
mise un segno di riconoscimento per distinguere il primogenito.
Ma poi, subito si ritirò ed uscì l'altro. Quando vide il primo
bambino gli mise un filo di scarlatto nel polso; era lei che pensava
che sarebbe nato il primo, ma si sbagliava. Certo, chiunque
avrebbe pensato la stessa cosa al suo posto, era una cosa normale
che avrebbe dovuto essere quello il bimbo che avrebbe dovuto
uscire il primo. Era la sua idea, come spesso succede con le
persone, nella fratellanza. Mise il contrassegno, dopo questo
“cambiarono le cose”. Quello che sembrò essere il primo uscì per
secondo. Quanti pronostici a volte per le nostre ansie, su chi si sta
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avvicinando alla fede; e se sarà così, e se sarà colì, e se crederà a
tutta la parola sarà destinato a questo, se non crede a tutto sarà
destinato a quello. Stiamo semplicemente là vicino al fratello, alla
sorella, il resto lo farà il Grande Genitore. Iddio ci invita a stare
calmi, a mantenere quel Divino silenzio, che crea in noi quella
santa ignoranza, che ci tiene sempre in una santa aspettativa di
udire il suo consiglio; così svuotati di noi, non avremo lo stimolo e
la tentazione di sempre dare pareri e parlare cose inutili... Parole
oziose. Tutto questo, per quanto riguarda chi si trova nella
condizione di accudire i travagli e i parti spirituali.
Ma diamo uno sguardo anche a chi si trova nel travaglio, che
sta partorendo la nuova natura, impariamo anche a trasmettere
quest'altra disciplina a quelli che affrontano questa realtà. Anche
loro hanno bisogno di sapere come comportarsi con le levatrici.
In Genesi 16:4 troviamo scritto: “ Quando si accorse di essere
incinta, guardò la sua padrona con disprezzo”. Precisiamo che la nuova
nascita non è un fatto compiuto di perfezione. Anzi, potremo dire
che è semplicemente il principio di un cammino lungo e sofferto di
tutta una vita. Il momento iniziale non è da considerarsi un parto
completo, non sempre si è in travaglio nel momento della nuova
nascita. Tutt'altro; potrebbe esserci una grande gioia. Ma se
proiettiamo il partorire la nuova creatura in noi, su di una scala
generale che va a toccare tutta la vita, allora il parto è davvero
travaglio. Così dobbiamo considerare questa meditazione. Un
partorire continuo la vita di Cristo nelle diverse opportunità della
vita.
Sara come sappiamo era sterile, ed è la triste realtà di tutti noi
nella nostra vecchia natura adamitica. Ancora non poteva avere
figli suoi. Ignorava che Dio l'avrebbe benedetta dandogli un figlio
suo. Intanto, come si fa quando siamo nella nostra impossibilità
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e nei nostri limiti, simuliamo dei parti che in realtà sono vissuti
da altri e poi ci appropriamo del loro frutto come nostro
(Genesi 16:2). Per grazia di Dio viene il tempo che non simuleremo
più, perché Lui si prende cura di noi. La lezione qui è che i
partorienti non devono disprezzare quelli che ancora non hanno
fatto tale esperienza.
Quante volte intorno a noi si verificano di questi episodi; di
fronte un servo di Dio ad esempio, ci appropriamo delle sue
esperienze, delle sue parole, della sua autorità ministeriale e come
se noi fossimo nella stessa condizione, spariamo insegnamenti,
rimproveri e giudizi. Che Dio voglia mettere in noi uno spirito di
prudenza, di timore e di equilibrio. La lezione rimane: Dobbiamo
avere pazienza verso chi ancora non ha partorito come le cerve.
Che Dio possa farci sante levatrici.
Continuando nell'esame del verso in Giobbe 39:2,4,
proseguiamo dalla parola: “...Si accovacciano, e danno alla luce i loro
piccoli, mettono così fine alle loro doglie”(v.3). Per dare alla luce i loro
piccoli, devono piegarsi, abbassarsi, umiliarsi, rimpicciolirsi.
Così, afferma la scrittura, pone fine alle loro doglie. Quando viene
questa nascita - che sia come abbiamo spiegato, la nascita di
Cristo in noi e di tutte le di lui virtù, proiettate in tutto il corso
della nostra vita - saremo umiliati, piegati per partorire cose
nuove. Solo così metteremo fine alle nostre doglie volta per volta.
Quando arriveremo all'umiliazione piegandoci (lasciandoci
piegare dal Signore), porremo fine al nostro travaglio.
Questa è una grande sapienza; Il parto delle cerve (la chiesa), non
avviene se prima non vi è questa mortificazione e umiliazione, il
piegarsi... Per questo è importante osservare il parto delle cerve.
Giobbe stesso ebbe bisogno di osservare queste cose, perché anche
lui, per porre fine alle sue, tanto sospirate doglie, doveva essere
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ridotto all'umiliazione, all'abbassamento, alla cenere. All'alba di
questa terribile notte, gustarne il ristoramento. Egli vide Iddio in
modo nuovo, riconoscendo la Sua grandezza e il suo nulla.
Davide, peccatore, ma grande penitente, quanto dovette
implorare Dio per il Suo perdono... Tanto quanto bastò a piegarlo,
umiliarlo e polverizzarlo; essere consegnato così nelle mani del
redentore per essere risuscitato a nuova vita.
Pietro, tanto sicuro di se vicino al maestro, lo rinnegò quando
era solo in mezzo alla gente. Che momento fu per lui quando il
gallo cantò; i suoi occhi si apersero e il già nominato Pietro vide gli
abissi del Simone figlio di Giona, figlio di Adamo... Scoppiò così in
un pentimento purificatorio che lo lasciò lì inerme come la
polvere... Ma quando le donne videro l'angelo nel sepolcro vuoto,
ricevettero il messaggio: “Andate a dire ai suoi discepoli ed a Pietro...”
(Marco 16:7). Invero, il discepolo così annientato in se stesso aveva
bisogno di sentirsi considerato in modo singolare, come dire: Il
maestro non si è dimenticato di te, ma ti ama più di prima (ci si
permetta il linguaggio umano). Continuando dal verso quattro
dice: “I loro piccoli si fanno forti, crescono all'aperto, se ne vanno e non
ritornano più da esse ”. Spieghiamo una piccola differenza. Vi è la
nascita dell'individuo e vi è la nascita delle virtù di Cristo in noi.
Notiamo le parole di Gesù a Nicodemo: “...Se uno non è nato d'acqua e
di Spirito...” (Giovanni 3:5). “...Ma ciò che è nato dallo Spirito...” (v.6).
“Uno”, è riferito alle persone; “ciò”, è riferito ai valori, alle virtù
dello Spirito che pure nascono in noi. Con questo pensiero
consideriamo questi piccoli, i figlioletti delle cerve. Si rilegga
anche 1 Giovanni 5:4.
Quando questa nuova nascita ancora non è avvenuta, molto
spesso abbiamo portato a noi la gloria delle nostre buone riuscite,
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della nostra bravura, delle nostre capacità. Ma quando siamo stati
mortificati e piegati, sperimentando quel: “Si accovacciano...”
allora cominceremo a comprendere, che quel che nasce del Cristo
nella nostra vita, appartiene a lui, per la sua gloria. Capiremo
interamente le parole di Paolo in 2 Corinzi 8:5 : “ Non già che da noi
stessi siamo capaci di pensare alcuna cosa come proveniente da noi stessi, ma
la nostra capacità viene da Dio”.
Perciò, questa figliolanza, che possiamo definirla come nuova
nascita, oppure, le caratteristiche di Cristo che partoriamo di volta
in volta, i suoi valori e le sue ricchezze. Non tornerà a noi per
onorare noi stessi; come se fossimo stati capaci di partorire le
qualità di Dio per le nostre forze o capacità. Piuttosto, tutto ciò
che noi partoriamo, esterniamo delle cose dello Spirito, ritornerà a
Dio, il proprietario, per glorificarlo e dare a lui i meriti. Difatti,
leggiamo che questi figli (i figli della cerva) si fanno forti e
crescono all'aperto. Ciò significa che si fanno forti perché
crescono all'aperto, lontani dalla confusione religiosa, al loro
chiuso; piuttosto all'aperto, come Gesù che non aveva ove posare il
capo. Affrontano le intemperie della vita, i pericoli, le avversità e
così divengono forti. Quando il processo delle sofferenze, delle
prove è stato sufficiente per rinforzare questa nuova creazione in
noi (la figliolanza), allora essa tornerà a Dio che l'ha mandata
glorificandolo, assegnando ed evidenziando che solo Dio ha i
meriti. E' anche scritto in Isaia 55:11 che la Sua parola non torna
Lui a vuoto, senz'aver compiuto a buon fine ciò per cui è stata
mandata. Quindi, ciò che viene dal cielo tornerà al cielo.
In tutta questa esperienza, la cerva (la chiesa e il credente
singolo), impara a parlare come si deve, testimoniando
giustamente e santamente di ciò che avviene nella sua vita. Si
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allontanerà dal parlare con frode, dalla minaccia, quella chiara,
volgare e grossolana, ed anche quella religiosa, apparentemente
santa. Non sparlerà e manterrà pulito il suo parlare.
In Genesi 49:21 è scritto: “ Neftali è una cerva, messa in libertà; egli dice
delle belle parole”. E' una cerva messa in libertà come in Giobbe 39:4
ci parla di quelle cerve, nate e cresciute all'aperto. Questo è il
motivo per cui questa cerva dice delle belle parole. Non il bel
parlare lusinghevole e artefatto, con lo scopo di illudere e
ingannare, ma quel bel parlare condito di carità come fu detto di
Gesù: “Le guardie risposero: Nessun uomo ha mai parlato come costui”
...(Giovanni 7:46). “ E si meravigliavano delle parole di grazia che uscivano
dalla sua bocca ”(Luca 4:22).
Rimanendo ai piedi di Gesù impariamo ad allontanarci da
tutto ciò che è umano e corruttibile, ameremo questa libertà santa
e staremo lontani dalla confusione religiosa. Parla bene! E' un
complimento di valore. Iddio vuole che nessuna mala parola esca
dalla nostra bocca. Un parlare che incoraggia, che edifica, non
offende, non mortifica umiliando... Una parola che sia realtà
dentro di noi.
Così cammineremo e salteremo come i cervi dalla potenza di
Dio. Cammineremo sopra le nostre alture, Egli ci rende saldi sopra
i nostri alti luoghi, 2 Samuele 22:34. In Lamentazioni 3:41 è detto: “
Eleviamo i nostri cuori a Dio”, nel salmo 86:4 : “ A te elevo l'anima mia ”.
Questo elevare, fa pensare che il nostro spirito si può sollevare e
toccare territori Divini. Quando poi Iddio edifica in noi le sue
alture, allora egli stesso ci rende come le cerve che sanno
camminare sui luoghi alti. Anche negli Efesini 2:21 è detto: “Su cui
tutto l'edificio ben collegato cresce (si eleva) per essere un tempio santo nel
Signore”. Egli ci rende saldi sugli alti luoghi, quelli che Egli stesso
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ha edificato nella nostra vita. Lui ci da la sapienza sulle cose nobili
e di valore nelle cose alte dello Spirito, ma anche ci fa camminare,
cioè ci dà la possibilità di potere mettere in pratica ciò che ci
rivela. Così ci fa camminare e ci rende stabili sugli alti luoghi.
Quando si parla di alti luoghi, non sono da confondere con quelli
dove Israele commetteva idolatria; piuttosto, quelli sono da
abbattere. Basti meditare cosa fece Ezechia in 2 Re 18:4 . Infine,
come la cerva, impariamo un atteggiamento prezioso. Nel salmo
42:1 é detto: “ Come la cerva anela ai rivi delle acque, così l'anima mia anela
a te o Dio” . Attenzione alle parole: Come la cerva... Così l'anima
mia...”. E' un paragone, guardare la cerva per imparare alcune delle
sue caratteristiche rivelanti la vita di Cristo e della chiesa.
La chiesa anela di andare alle acque della parola di Dio nella
sua voce maestosa, alle fonti della salute.
Giobbe! Osserva la cerva.... Come la cerva... Così, tu! ***
COME PREDICARE IL MESSAGGIO DEL PROFETA OGGI?
Il Signore meraviglioso benedica ognuno!
Mi sono sentito spinto a spiegare questo importante argomento. L’importanza è dovuta al fatto che oggi, nelle diverse chiese che pretendono predicare il messaggio del tempo della fine, si predica un messaggio ripetuto! La forza, la dinamica della predicazione è diventata la ripetizione. Alcuni ne concludono: Così non ci sbagliamo! La predicazione del messaggio di una nuova dispensazione di fede o di rivelazione, non consiste nel ripetere le stesse frasi, gli stessi argomenti, le stesse
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abitudinarie parole del profeta dell’epoca, la stella, come in questo caso, che il fratello William Branham (il profeta di questo tempo secondo Malachia 4:5,6) esprimeva. La chiesa è caduta in questo inganno, tanto maggiore di quel che questi fratelli vogliono correggere negli altri. Ci si preoccupa della chiesa cattolica, del protestantesimo, sopra tutto i pentecostali, circa la falsa dottrina della trinità, del battesimo trinitario ed altre, mentre “loro” (i ciarlatani del messaggio) stanno cadendo più in basso! Il problema antico è sempre attuale; come dice l’Ecclesiaste:
“Ho pure visto sotto il sole che al posto del giudizio c’era empietà, e al posto della giustizia c’era empietà.” (v. 3:16).
“C’è un male che ho visto sotto il sole, un errore che viene da chi governa: la follia è posta in cariche elevate, mentre i ricchi seggono in luoghi bassi. Ho visto servi a cavallo e principi camminare a piedi come servi” (v. 10:5-7).
Precisiamo che i termini che uso come: il messaggio, quelli del messaggio, o che credono nel messaggio, non è per farne uso ozioso. Rispetto il fratello Branham, il fratello Frank, il messaggio che hanno portato, ma in riferimento a questi predicatori che fanno il tentativo di predicare il messaggio (di questi, molti ne ho conosciuti personalmente), che vanno in giro ripetendo le parole degli altri perché lette negli opuscoli, non ho nessuna stima. Essi hanno confuso la chiesa! Mi duole dire così, ma è la triste verità.
Essi non hanno conosciuto Dio, non vedono il Cristo; parlano delle loro impressioni, ripetono agli altri che non si deve accettare alcuna interpretazione personale delle scritture, quando loro sono i primi a confondere la destra dalla sinistra. Le loro parole sono attorcigliate, zucchero filato intorno a rami di spine. Non dimostrano alcun discernimento
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spirituale neanche nelle cose più semplici, e vogliono mettere mano nelle cose di maggiore responsabilità.
La regola vigente è ripetere come pappagalli le frasi del fratello Branham e del fratello Frank. In questo modo si sentono al sicuro. Ciò è follia! Inganno maggiore di quel che si vuole correggere negli altri religiosi.
Si è caduti in una sorta di assolutismo per il quale ogni cosa che il profeta e il servo fedele han detto la attribuiscono esclusivamente al loro ministero, senza considerare, perché sono ignoranti in materia, che tanti altri servi di Dio pentecostali han già detto, e senza togliere niente a nessuno, magari anche in modo più profondo e più ricco.
Per, “messaggio del tempo della fine”, cos’hanno capito? Inizialmente l’attenzione principale era sulle dottrine fondamentali, quali: Deità, battesimo, seme del serpente, l’anticristo, la Babilonia e l’ordine apocalittico. A lungo andare, si è presa l’inclinazione del precisare su tutte le frasi del profeta fino a trasformarle in ubbidienze esteriori formali e necessarie per il rapimento; cadendo così nel ridicolo. In questo si è ridicolizzato il messaggio e il ministero del profeta.
Questo perché non sono in grado di intendere l’opera dello Spirito. Non conoscono Dio. Non camminano col Signore davanti a loro. Non sono parole grosse queste; mi riferisco semplicemente a quel ch’è lo scopo di Dio stesso nel volerci così, in una guida amorevole spirituale, ma che questo genere di persone han alterato, spostando il centro della situazione su altre cose.
Sorvolando sulle idiozie dei fanatici, mi si permetta definirli così, “branamisti”, sul come hanno divinizzato questo fratello e il suo ministero, considero tutte quelle precisazioni come abbiamo detto, fino a toccare situazioni del tipo: la donna non deve portare il pigiama perché non deve mettere i pantaloni. Non deve spuntare i capelli perché sarebbe
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disonorare il suo capo, il marito. Non bisogna avere relazioni con i fratelli pentecostali. Non bisogna leggere libri di altri servi di Dio, solo gli opuscoli delle prediche del profeta e gli scritti del fratello Frank. Non è necessario meditare le scritture o fare studi biblici, perché ci sono i messaggi del profeta e di Frank. Non si convalida nulla di un qualche pensiero spirituale se prima non sia predicato da Frank o già detto da Branham.
Cose di questo tipo ce ne sono molte. Questi imbroglioni predicatori opportunisti di cui parliamo, hanno sviato il popolo di Dio sbiadendo l’immagine vivente della persona di Gesù Cristo, trasformandolo in regole e dottrine insegnate.
Questi ciarlatani si comportano come quei in Tessalonica, quando andavano dicendo che il ritorno del Signore era imminente e così facendo confondevano e turbavano le anime. Prendere qualcosa detta dagli apostoli falsificandone il senso, esagerando qualcosa, enfatizzando altro, facendo appello all’autorità degli apostoli portavano il loro evangelo, predicavano a nome di altri. Oggi uguale con i faciloni moderni, che prendono gli opuscoli del profeta, parlano a nome suo prendendo le sue parole ma trasformando il senso. Si rilegga, 2 Tessalonicesi 2:2. Un altro quadro lo troviamo nel libro di Geremia capo 23 dal verso 10:
“La loro corsa è perversa e la loro forza non è retta”.
Quanto abbagliano con le loro corse… quante lotte sostengono… Guarda! Dirà qualcuno; come si impegna per evangelizzare. Chi si dà così pensiero e così tanto da fare come quel fratello...? Un altro dirà: Guarda quante lotte e patimenti per la causa dell’evangelo; quanta forza Dio gli dà… Questi imbroglioni non sono animati da Do! Sicuramente che Dio ha un piano sovrano per cui usa anche queste persone. Per
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questo parliamo con prudenza colpendo con precisione l’obbiettivo: lo spirito di menzogna in loro. La persona, purtroppo, è la vittima; ma ha la sua responsabilità.
Continuiamo: “Tanto il sacerdote che il profeta sono corrotti; si, ho trovato la loro malvagità nella mia stesa casa” (v.11).
Non vi è ritenzione nel menzionare profeti e sacerdoti, considerando la loro alta e principale funzione. Questo ci dà uno schiaffo morale nelle nostre sicurezze matematiche (letteralistiche), aimè ancora religiose. La vergogna più grande è la corruzione nella casa stessa di Dio. Vediamone le azioni:
“Io sono contro i profeti che rubano gli uni agli altri le mie parole. Io sono contro i profeti che usano la loro lingua e dicono: “Egli dice”. Ecco, io sono contro quelli che profetizzano sogni falsi e li raccontano e traviano il mio popolo con le loro menzogne e con le loro millanterie, benché io non li abbia mandati ne abbia dato loro alcun ordine; perciò non saranno di alcuna utilità a questo popolo” (v.30-32).
Si considerino con attenzione le frasi sottolineate. Anche Gesù rimproverò i farisei e gli scribi in quest’azione ingannevole. Nel fare la differenza tra Lui e loro disse: “Io non prendo gloria dagli uomini”.
Di loro disse: “Come potete voi credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene da Dio solo?” (Giovanni 5:41, 44).
Gesù non prendeva la gloria da nessuno; non si riferiva a nessuno (personaggi importanti) per prendere gloria, non sfruttava nomi celebri per farsi gradire ed ammirare. Loro invece, prendevano gloria gli uni dagli altri. Vi era uno scambio per farsi gradire avanti loro stessi, traendo forza l’uno dall’altro. In questo vi era anche il riferirsi ad Abrahamo, a
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Mosè e ai profeti. Davanti a “Quel volto” sono vani i tentativi di appellarsi ai santi più autorevoli per far credere di far lega con loro.
Vediamo cari come è facile camuffarsi da predicatori fedeli ripetendo le parole degli altri; risultato effettivo: parole morte! Non è in questo modo che bisogna predicare e far parte della linea profetica nel piano di Dio. A ognuno è data una parte, come dire, un punto di vista, di osservazione; un lato speciale da cui guardare la verità.
Prendiamo ad esempio gli apostoli. Paolo era la stella della chiesa in quel periodo. Era lui che spiegò la contemplazione e pose il fondamento dottrinale (1 Corinzi 3:10. 2 Corinzi 3:18). Da un altro lato pone il suo evangelo come un filtro per l’importanza che ha davanti a Dio (Romani 2:16; 16:25). Osserviamo però che a differenza di come si menziona il profeta di oggi, la stella di questo tempo, e di come ci si riferisce da ogni punto dottrinale, gli apostoli e i tanti discepoli e credenti comuni, non facevano così. Non era solo Paolo ad essere considerato come unico portavoce del messaggio e dell’insegnamento. Gli stessi apostoli forse non sapevano, non conoscevano l’opera di Dio? Pietro ad esempio nel consiglio di Gerusalemme, promosse la sua elezione con coraggio di fronte a tutti, (c’era anche Paolo), che il Signore fin dal principio scelse fra tutti Pietro. Visto che quando si parla di elezione a un compito speciale non vi era imbarazzo o contrarietà nell’esprimerlo anche pubblicamente, perché, visto che Paolo era colui che doveva portare il messaggio di quell’epoca, non ci si riferiva a lui come oggi si fa nei confronti del fratello Branham e del fratello Frank? Pietro in quella occasione non parlò di pastorato per come lo intendiamo noi, ma come lui stesso disse:
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“Fratelli, voi sapete che già dai primi tempi Dio tra noi scelse me, affinché per la mia bocca i gentili udissero la parola dell’evangelo e credessero” (Atti 15:7).
Pietro invero era il messaggero dei giudei, però fu lui che aprì le porte dell’evangelo anche ai pagani, sebbene poi sarebbe stato Paolo a “prendersi cura” di quell’opera, come sappiamo, Pietro fu il messaggero dei giudei, Paolo dei gentili. La curiosità, visto che regola vuole, ci sia un armonia fra l’inizio dell’evangelo con la fine, è che ne Pietro, ne Giacomo, ne gli altri apostoli fecero menzione di Paolo per dar manforte ai loro discorsi, come per farsi vedere nel “messaggio del profeta dell’epoca”. Nelle lettere che possiamo leggere degli altri apostoli, non troviamo mai menzione di Paolo, se non proprio in quella di Pietro, senza che sia in alcun modo referenziale alle cose da lui (Pietro) scritte. Invero è saggio considerare che il punto centrale era l’armonia fra il punto di vista di tutti loro (gli apostoli), sebbene è pur giusto considerare che Paolo, nel periodo della vecchiaia, veniva considerato in modo basilare, essendo il messaggero dell’epoca. Solo, non veniva esaltato come oggi si esalta il fratello Branham e Frank. Continuiamo; Pietro si fece ascoltare nella sua esortazione autorevole, mentre anche Paolo stava ascoltando. Quando Pietro finì, entrarono in scena Barnaba e Paolo (si noti, Barnaba è messo prima), ma viene detto che la folla li ascoltava nelle loro testimonianze di come il Signore operava attraverso segni e prodigi (v.12,13). Quando essi tacquero, prese la parola Giacomo, il quale parlò da maestro, dando delle savie direttive. Di Paolo non vi fu, in quella occasione nessun insegnamento. Non era stato chiamato da Gesù anche paolo? Non fu rivelato a lui il mistero di Cristo? Come mai non ci fu altro che testimonianze su operazioni della potenza di Dio? Chi più del profeta dell’epoca, aveva il così parla il Signore per
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quella occasione? Anche, fu Giacomo con gli altri apostoli che apparecchiarono il mandato di Paolo e Barnaba con altri fratelli, per essere d’aiuto ai fratelli fra i gentili che erano in Antiochia, Siria e Cilicia (v.23). Giacomo non fu spinto da quel rispetto, diremmo così, gerarchico e angelico, ministeriale, per cui pensava di mandare il meglio di quel tempo, “la stella”, il messaggero. Così semplicemente li definisce:
“E’ parso bene a noi, riuniti di comune accordo, di scegliere alcuni uomini e di mandarli assieme ai nostri cari Barnaba e Paolo” Aggiunge: “Uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del Signor nostro Gesù Cristo ”(v.25,26).
Nostri cari! Rispetto per il ministero sicuramente! Quindi cari per la loro consacrazione ed affetto. Non si parla di “messaggero di quel tempo”, avente il “così parla il Signore”. Devozione anche per il rischiare la loro vita per Gesù.
Paolo stesso, più avanti, nelle sue evangelizzazioni con gli altri, ordinavano ai fratelli, alle chiese, di osservare le decisioni prese dagli apostoli e dagli anziani (v.16:4).
Giovanni, a lui fu dato scrivere l’Apocalisse, rivelazione! Strano, direi! Non avrebbe dovuto essere Paolo a scrivere su un tanto argomento? Rivelazione di Gesù Cristo? Non voglio che sembri uno scherno per l’apostolo Paolo. In alcuna maniera! Spero risalti l’armonia (grande parola) che legava tutti gli apostoli in un'unica realtà. Ognuno il suo compito.
Questo è il centro del discorso! Dovremmo imparare il principio di questa armonia spirituale, al fine di non perderci nell’esaltare nessuno, soprattutto a danni di altri, che pur ispirati da Dio, non trovano sbocco per esercitare il loro ministero perché visti di mal occhio.
Come predicare il messaggio del tempo della fine, quindi? Nessuno può predicare il messaggio senza che abbia fatto l’esperienza del monte della trasfigurazione, là dove Mosè ed
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Elia ci vengono tolti davanti agli occhi per vedere e contemplare solo Gesù Cristo. Ogni cosa va per il suo tempo, poi ai fini di non deteriorarne lo scopo, devono sparire. Sparire come punto di riferimento intendo, non nel senso che devono essere dimenticati. I servi di Dio non saranno mai dimenticati ma menzionati opportunamente. Quando però i servi diventano il centro dell’attenzione, arriva il diavolo! I servi di Dio parlano nel nome del Signore, ma non sono il Signore. Essi rappresentano una buona introduzione per avvicinarsi a Dio direttamente. Si parla di Gesù per mezzo di loro, come se Dio fosse lontano da noi; ciò è sbagliato. Questo è un uccidere la spiritualità, nella quale il Signore vuole in modo personale raggiungere ognuno. Oggi si confonde l’esperienza di pentecoste, il battesimo dello Spirito Santo, con una scarica di energia che ti cade addosso. Un parlare in lingue, un resoconto delle dottrine bibliche, sensazioni, e una perfetta conformità alla dottrina. Queste cose diventano motivi, pretesti attraverso cui sentirsi validi davanti a Dio. Aimè che fine a fatto la grazia… Ricordiamo le parole: “La mia grazia ti basta”? Tutto si è trasformato in parole; essi dicono e ripetono: la parola , la parola. Ogni volta che si menziona il Cristo si arriva sempre a dire che Gesù è la parola. Ma, diremmo, inteso come? Inteso come le scritture, dottrine e pretesti arroganti di ubbidienze privilegiando santificazioni esteriori piuttosto che incominciare dall’interiore. Hanno trasformato il Cristo a una legge! Dicono: se non sei in ordine dal punto di vista dottrinale non hai lo Spirito Santo, se rifiuti il messaggio non sei salvato, se non ubbidisci alla parola il Signore non può esaudirti ecc. Invero, sono tutte osservazioni giuste, ma spesso fuori contesto nella applicazione immediata dei bisogni dell’anima che chiede aiuto. E’ inverosimile; il diavolo è riuscito ad ingannare le anime proprio attraverso quel che essi amano così tanto. Il messaggio
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che era destinato a ricondurci all’origine, all’ordine primitivo apostolico, si è trasformato in motivo di peccato. Si! Hanno profanato il messaggio dell’ora, divenendo per essi distruttivo. Nello stesso modo che i sacerdoti e gli scribi del tempio di allora, sono caduti vittima della tradizione, così oggi. Anche allora la legge che era stata data come pedagogo, conduttore e aiuto per portare a Cristo, è divenuta (l’hanno fatta diventare) distruttiva per loro. Quando avviene il peggioramento? Nel momento in cui il Signore dà nuova luce, nuova dispensazione. Iddio mandò Giovanni con il messaggio di quel tempo, annunciando che il Cristo era lì, in mezzo a loro, ma i religiosi di quel tempo cosa fecero? “Ma i farisei e i dottori della legge respinsero il disegno di Dio per loro e non si fecero battezzare” (Luca 7:30). Dal momento che Dio manda il messaggio di richiamo o di ammaestramento, è annesso il giudizio per chi lo respinge. Che Dio abbia misericordia! Se penso a questa frase… respinsero il disegno di Dio “per loro”. Avviene come il fiume che uscì dalla soglia del tempio, dove giungeva portava guarigione. Immaginiamo quei religiosi come spostandosi, allontanandosi dal fiume e dalle sue sponde. Si rilegga Ezechiele 47. Si fa uso del messaggio oggi, come Paolo ammaestrava i colossesi a non cadere sotto gli “elementi” (così li chiama. Si rilegga il libro: sana dottrina e le dottrine. Nella sezione libri) del mondo. Dice: “Egli ha annientato il documento fatto di ordinamenti, che era contro di noi e che ci era nemico, e l’ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce” (Colossesi 2:14). Il senso, sappiamo, era togliere l’applicazione della condanna, di cui la legge era ministro. La legge di per se, dice Paolo, è santa, giusta e buona. Rimane da capire il senso allargato, spirituale, per farne uso giustamente per noi in modo proficuo. Ha annientato il documento, ciò che era stato stabilito come rimedio al peccato, fatto di ordinamenti, nella forma letterale, concetti,
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prescrizioni sulla base della regolazione dei comportamenti. Su questo principio Paolo stesso si basa per mettere in evidenza il modo giusto di entrare in relazione con il Cristo vivente. Vediamo qualche verso ancora: “Nessuno vi derubi del premio con un pretesto di umiltà e di culto degli angeli, fondandosi su cose che non ha visto” (Colossesi 2:18).
“Se dunque siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché vi sottoponete a dei precetti come se viveste nel mondo, quali: “Non toccare, non assaggiare, non maneggiare” tutte cose che periscono con l’uso, secondo i comandamenti e le dottrine degli uomini?” (v.20-22).
Si parla di elementi del mondo, così li definisce, però stranamente Paolo fa riferimento agli articoli della legge per la santificazione. Chiama elementi tutto ciò che si può spiegare e aggrapparsi per distinguersi da altri nella propria religione volontaria. Tutti quei “non”: Non toccare, non maneggiare, sono per indicare e identificare di che tipo è la santificazione o ubbidienza applicata. Una ubbidienza e santificazione esteriore, basata su “cose”, cioè, noi in relazione alle cose. Dio invece incomincia di dentro, in un ordine progressivo fino ad uscire e traboccare. Prima di parlare di una ubbidienza, si occupa di consolidare una base spirituale interiore su cui poggiarla. Noi in relazione alla sua voce e immagine.
Se il messaggio della fine dei tempi, ci fosse stato portato con più sobrietà ed equilibrio, oggi molte situazioni imbarazzanti, molte polemiche e discussioni che hanno portato divisioni, non ci sarebbero state. Nella parabola dei talenti, il nascondere e mantenere il talento o le mine, è indice di predicare il messaggio così com’è, senza rinnovamento dello Spirito. Solo che porta a svalutarlo. Chi vuole e sente di predicare il messaggio di restaurazione, deve continuare nello spirito dell’opera di restaurazione. Imparare dall’armonia apostolica, senza
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irrigidirsi su questioni seconde, ma riguardando al centro, la parte migliore, la persona di Gesù.
***
Conoscere e consolare
(Colossesi 4:8)
Per mezzo del profeta Isaia, il Signore disse: “Consolate,
consolate il mio popolo, dice il vostro Dio” (Isaia 40:1).
Questo è il messaggio di Dio ai suoi servi e al suo popolo. In ogni
tempo, il Signore, ha preparato dei servi Suoi per questo
ministerio difficile, di “sofferenza” di “pazienza”. Dio sa quante
sofferenze ci avvolgono. Per questo Egli addestra uomini (e
donne) a consolare gli affitti. In Isaia 50:4 è scritto: “Il Signore,
l'Eterno, mi ha dato la lingua dei discepoli perché sappia
sostenere con la parola lo stanco…”. E’ un ministerio difficile,
richiede sacrificio, abnegazione e pazienza. La consolazione è
una “lotta”, non con la persona triste, ma con lo spirito di tristezza
che oscura il fratello. Bisogna essere alla scuola del Signore a
lungo per poter arrivare a quella statura.
Abbiamo dato una breve occhiata alle esortazioni antiche sulla
consolazione. Vogliamo guardare anche al nuovo testamento,
dove l’apostolo Paolo scrive ai Corinzi, (2 Corinzi 1:3-7) qualche
consiglio. Dopo le benedizioni di Dio, l’apostolo scrive: “…il
Padre delle misericordie e il Dio di ogni consolazione”. (v. 3)
Prima di consolare, bisogna sopra tutto avere il cuore dedicato alle
opere di misericordia, che talora colui che non è misericordioso,
cioè, “colui che si prende cura, ed ha pietà delle miserie altrui”,
consolando, provocherebbe disturbi maggiori. Gesù disse: “Beati i
misericordiosi…” (Matteo 5:7). Questo benedetto Signore, che è
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il “misericordioso”, per la misericordia consola gli afflitti… “in
ogni nostra afflizione affinché, per mezzo della consolazione con
cui noi stessi siamo da Dio consolati, possiamo consolare coloro
che si trovano in qualsiasi afflizione” (v. 4).
Ricevere misericordia da Dio per essere consolati. Come
abbiamo detto prima, la consolazione è una lotta con la “tristezza”
o afflizione nella persona da consolare. Molti, sono tenaci nel farsi
consolare, anche perché la loro tristezza è “causata” dall’avere
confidato in se stessi, o detto in altro modo, nel non aver confidato
nel Signore nel modo Spirituale… magari solo (per un certo
tempo) a livello illusorio. Il Signore mira a “disilluderci” giacché
molte illusioni fanno capo ai nostri progetti e alla nostra fede.
Quando Dio ci disillude, quel che si prova, è paragonabile al
sentirsi mancare il terreno sotto i piedi. Quindi il più delle volte i
tanti cadono in “depressione”, in disperazione.
Iddio quindi combatte “contro” ciò che ci affligge, ma questo
combattimento non può affrontarlo Lui da solo. Egli vuole
collaborazione. Collaborazione da parte nostra. Così consolati da
Lui possiamo consolare altri, “Poiché, come abbondano in noi le
sofferenze di Cristo, così per mezzo di Cristo abbonda pure la
nostra consolazione. Ora se siamo afflitti, ciò è per la vostra
consolazione e salvezza, se siamo consolati, ciò è per la vostra
consolazione e salvezza, che operano efficacemente nel sostenere
le medesime sofferenze che patiamo anche noi. La nostra
speranza a vostro riguardo è salda, sapendo che, come siete
partecipi delle sofferenze, così sarete anche partecipi della
consolazione”. (v. 5-7)
Il capo saldo di questi servi, è che, soffrendo, possiamo
consolare. Quindi, come abbondano le sofferenze di Cristo, per
Suo mezzo, abbondano anche le Sue consolazioni. Sofferenza e
consolazione vanno assieme. Se non vi è l’una non vi è l’altra.
Altresì per la nostra afflizione, saranno consolati altri, perché se
soffriamo, siamo consolati da Cristo, così possiamo consolare
della stessa consolazione. Ci consoliamo come l’apostolo nel
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pensiero che come si è partecipi delle sofferenze si è così partecipi
della consolazione.
Vi sono situazioni in cui consolando, dovremmo dire la verità al
nostro prossimo, perché magari il rattristato ha fatto qualche
errore, ma pure in quel dato momento Dio non vuole rimproveri,
ma solo affettuosa e mansueta consolazione e incoraggiamento.
Bisogna essere disciplinati a lungo per consolare come Gesù
consolava – consola. Uno degli strumenti usati per consolare è la
Bibbia. Però vi è un inconveniente.
Purtroppo, succede che pochi sono quelli che usano lo scritto
alla realtà vissuta e alla circostanza adatta. San Paolo scrive ai
Romani (15:4): “affinché mediante la perseveranza e la
consolazione delle Scritture noi riteniamo la speranza”. Solo
Gesù conosce il nostro stato d’animo; quindi, dobbiamo lasciare a
Lui il governo delle scritture. Altrimenti possiamo usarle male e
quindi, al posto di incoraggiare e consolare possiamo ferire, o
peggiorare la condizione. Spesso succede che per consolare
bisogna usare la verga. E’ strano! Ma anche Davide disse: “il tuo
bastone e la tua verga son quelli che mi consolano”. (Salmo 23:4).
E’ necessario riflettere, perché quando bisogna accarezzare si
accarezza, quando bisogna rimproverare, pure dolenti, bisogna
rimproverare. I frutti non hanno bisogno solo del calore, ma anche
della pioggia e dei temporali. In Cantico 4:16 ci parla di un vento
caldo e uno freddo.
Sempre l’apostolo Paolo ai Colossesi scrive: “io ve lo mandato
proprio per questa ragione, perché conosca la vostra situazione e
consoli i vostri cuori.” (4:8). Paolo manda a Colosse, Tichico e
Onesimo, questi dovevano, prima di consolare, conoscere la
condizione dei Colossesi. E’ importante che prima di consolare
bisogna conoscere in quale condizione sia la persona o persone da
consolare. Nella vita di Gesù, possiamo vedere che nei casi di
bisogno, di vero bisogno, il Signore interveniva nel giusto modo
in ogni circostanza.
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Nel caso della donna Samaritana, Gesù sondò i segreti di quella
donna, e così lei si aprì. Cominciò a sentire in quelle parole, in
quello sguardo, qualcosa di particolare. Così quando Gesù parlò
dell’acqua di vita, che solo lui può dare, la donna cominciò a
sentirsi attratta “dammi di quest’acqua”, disse. Gesù rivelò i suoi
segreti, e lei comprese che Gesù era profeta, quando gli disse “io
sono il Messia”, allora una profonda consolazione entrò nella sua
vita e corse ad avvisare anche gli altri del villaggio. Lei aspettava
il Messia, (Giovanni 4). E che dire di quando gli fu presentata
quella donna adultera? Gesù, dopo che la liberò da quelli che
volevano lapidarla, gli si avvicinò e gli chiese dove fossero i suoi
accusatori, e se c’era ancora qualcuno che la condannasse; lei
rispose nessuno. Quindi Gesù gli disse: “neppure io ti condanno,
va e non peccare più” (Giovanni 8).
Alla vedova di Nain disse: “non piangere”. Ai discepoli disse:
“non temere”, ad altri disse: “credi”. Gesù consola COSI’
COME il Padre suo voleva consolare, così dobbiamo fare noi,
consolare “come” Egli vuole consolare.
***
CONOSCERE SE STESSI
“Poi egli irrigidì il suo volto con uno sguardo fisso fino ad arrossire;
quindi l’uomo di Dio pianse. Allora Hazael domandò: Perché piange il mio
signore? Perché so il male che tu farai ai figli d’Israele: tu darai alle fiamme le
loro fortezze, ucciderai i loro giovani con la spada, sfracellerai i loro bambini
sventrerai le loro donne incinte. Hazael disse: Ma cos’è mai il tuo servo, un
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cane, per fare così grandi cose? Eliseo rispose: L’Eterno mi ha fatto vedere che
tu diventerai re di Siria ” (2 Re 8:9-15).
Solo Dio conosce veramente l’uomo. Eliseo sapeva quel che
diceva perché Dio gli aveva rivelato ciò che avrebbe fatto Hazael,
mentre Hazael non sapeva, cioè non conosceva se stesso. Non
immaginava il male ch’era capace di fare. Non conosceva se stesso
quanto lo conosceva Dio, il suo creatore. Quando il profeta svelò il
suo segreto in merito a quel che avrebbe fatto una volta eletto re,
si meravigliò di udire di sé tanta ferocia. Fece a se stesso e al
profeta una domanda di meraviglia, perché non riusciva a vedere
tanto male in se. Così si paragonò ad un cane ponendosi la
domanda. Spesso accade che, inconsapevolmente abbiamo più
intendimento e coscienza di quando siamo consapevoli. Anche
Caino rispondendo a Dio disse se era il guardiano di suo fratello.
In effetti è così, come anche Hazael era come un cane, in quanto a
ferocia. Caino non vedeva la realtà positiva a cui ogni fratello
(anche se fratellastro) è chiamato, cioè ad essere guardiano, in
qualche modo, del proprio fratello. Ma lui non volle. Hazael altresì
non vedeva la realtà negativa di come nessun re dovrebbe essere, e
sebbene se ne meravigliò non cercò di cambiare e in seguito si
rivelò così. Lo stesso fece Davide quando il profeta Nathan gli
propose l’indovinello in cui era nascosta la storia del suo peccato.
Lui diede la sentenza sul personaggio proposto dal profeta alla sua
domanda, dicendo che meritava la morte. La risposta del profeta
fu: quell’uomo sei tu!
Anche qui vediamo come Davide non conosceva bene se
stesso. Non era in grado di vedere il suo peccato sebbene la
parabola avrebbe dovuto, in qualche maniera, risvegliare o magari
insospettire la sua coscienza. Comunque misurò giustamente la
sentenza anche se si trattava di lui stesso senza che lo sapeva.
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Anche in questo esempio si nota come inconsapevolmente a volte
si è più giusti di quando si è consapevoli.
Se guardiamo a Pietro e alla sua determinazione coraggiosa
nel seguire il maestro anche alla morte, vediamo la medesima
scena di un uomo che non conosceva ancora bene se stesso. Ci
voleva lo Spirito Santo per questo. Egli sarebbe venuto ad abitare
dentro il cuore dell’uomo, incominciando a far vedere a ciascuno il
proprio vero volto. Molti, dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, si
vedono peggiori di prima. Invero quella è la reazione del rigetto!
Ossia, il tormento del vecchio uomo che deve morire. Qui la
reazione, la battaglia. Nella frase: “Quand’anche tutti si
scandalizzassero per causa tua, io non mi scandalizzerò mai”, e: “Anche se
dovessi morire con te, non ti rinnegherò in alcun modo” (Matteo 26:33,35),
dimostrano le buone intenzioni di Pietro sicuramente, sulla base
di una scarsa conoscenza di se. Lo Spirito Santo lavora a questo
proposito. Vi sono molte tappe, o strati nell’anima umana. Man
mano che siamo in grado di aprirci e consegnare le zone remote
dell’anima al Signore e fattore, Lui incomincia a muoversi fra le
rovine (Genesi 1:2), chiama la luce per darci a vedere quel che Egli
vede; dandoci la possibilità di ravvederci dunque e convertirci col
Suo aiuto. Per Pietro non fu solo quella la lezione che gli avrebbe
aperto zone buie dell’anima; quando più tardi seguì Gesù a solo,
gli disse che: “Quand’eri giovane ti cingevi da te e andavi dove volevi; ma
quando sarai vecchio, stenderai le mani e un altro ti cingerà e ti condurrà là
dove tu non vorresti” (Giovanni 21:18). Non si trattava dunque solo
del rinnegamento in quella determinata circostanza, ma qualcosa
di più, di primordiale: le profondità dell’anima che devono essere
sempre investigate e controllate…
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Giobbe non conosceva se stesso. Aveva bisogno, senza che lo
sapesse, di essere capovolto, messo sottosopra dalla tempesta che
sconvolse la sua vita. Questo perché? Per scoprire la radice, e
vedere il redentore nell’opera di risurrezione (Giobbe 19:25-28).
Giona fu portato, per mezzo del gran pesce, negli abissi
profondi, fino alla “radice dei monti”. Spesso bisogna essere dagli
eventi, portati alla radice di ogni montagna che blocca il nostro
cammino. Vedere la causa e il legame con noi stessi.
“Poiché sapevo che eri ostinato, che il tuo collo era un tendine di ferro e
la tua fronte di bronzo” (Isaia 48:1,2,4). Nei versi iniziali, vediamo
come il Signore rimprovera Israele di chiamarsi col nome della
città santa, ma non con verità. La radice è nella ostinatezza
descritta nel verso quattro. La fronte è dura come il bronzo,
ostinata nel voler rimanere nei propri pensieri e il collo è come un
tendine di ferro, non si piega. Questo per dire che, il Signore viene
a scoprire la radice di questa nostra condizione contraria, e
indicarne il rimedio. Iddio ci illumina circa noi stessi, ci disillude
là dove pensiamo di poter saper fare qualcosa per Lui, così come
siamo. Basta che ci chiamiamo col nome della città santa. Siamo la
chiesa, siamo la sposa! Paolo ci dice: “Non già che da noi stessi siamo
capaci di pensare alcuna cosa come proveniente da noi stessi, ma la nostra
capacità viene da Dio” (2Corinzi 3:5).
Un altro bel esempio, lo troviamo nella scena del traditore
svelato nella santa cena. All’udire che qualcuno Lo avrebbe
tradito, ad uno ad uno i discepoli chiesero: “Sono forse io?” (Marco
14:19). Di fronte quello sguardo, quel volto; all’udire quella voce
esprimente una terribile verità, i discepoli non riuscirono a
guardare ad altri. Ognuno guardò se stesso! Solo Gesù sa e può
farci vedere dentro.
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Come la maddalena al sepolcro, mentre ricercava il corpo di
Gesù, mentre piangeva smarrita in se stessa, udì la Voce del
Maestro chiamarla per NOME… Maria! In quella pronuncia la
donna vide il suo nome, vide la sua storia, la sua identità. E come
di rimbalzo, come una sorgente che esplode, la riconoscenza al
Creatore e Padrone… Rabbi! Solo il mio Creatore è capace di farmi
vedere chi sono, perché solo Lui mi conosce così…
Facciamoci investigare dallo Spirito Santo; trovate le rovine,
non ci scoraggiamo, ma corriamo al rimedio.
Investigami o Dio!
***
CREDERE E VEDERE
Leggiamo in Giovanni 6:69:
“E noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Cristo”.
“E noi abbiamo conosciuto e creduto” (1 Giovanni 4:16).
Ora, lo scopo non è soffermarsi sul “cosa” viene detto nei versi che citeremo e le “circostanze”, bensì sul metodo e sulla tempistica. L’ordine di come girano gli ingranaggi della fede, che questo conta veramente per il credente. Il tutto delle diverse dottrine ed ubbidienze è determinato da questo ordine; il rapporto tra la fede e la conoscenza. Questo determina il cammino spirituale del credente.
Pietro rispose a Gesù quel che era la condizione e formazione della loro fede. Abbiamo creduto (prima) e abbiamo conosciuto (dopo). Si comincia col credere, nell’affidarsi a “Lui”, secondo la luce interiore che abbiamo inizialmente, nei confronti della quale la responsabilità di prendercene cura, fino alla
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formazione della fede compiuta nelle opere, o manifestazione di Dio attraverso di noi. Gesù era con loro, e per questo avevano la possibilità di vederlo all’opera. Sappiamo però che questa posizione non garantisce che la fede arrivi al suo compimento, nella piena conoscenza di Lui. Parliamo quindi di una fede iniziale come a primi passi. Questo vale non solo all’inizio della conversione, ma anche in seguito, nella nascita dei valori o virtù di Cristo dentro di noi che via via andiamo realizzando.
I discepoli fecero il primo passo, credettero in questo messaggero. Il loro credere però era solo basato su ciò che osservavano e ascoltavano di questo grande personaggio. Lo Spirito Santo ancora non era stato dato. Si fidarono ed affidarono a Lui. Diciamo in altri termini che, si aprirono; aprirono il cuore a Gesù, nella speranza. Questo li mise in condizione di conoscere il suo piano e il carattere di Lui. Il fine: credere in Gesù per conoscere sempre meglio Gesù. Conoscerlo per credere sempre di più in Lui.
Chi si avvicina all’evangelo deve: “Credere che egli è, e che egli è il rimuneratore (quindi, colui che paga, ricompensa, ed anche risponde) di quelli che lo cercano” (Ebrei 11:6). A questa condizione, che si prepara in noi in misura di quel che è luce dentro di noi (Giovanni 1:9; 6:44,45,64,65; Ecclesiaste 3:11; Giobbe 32:8; 33:14-19), si comincia a conoscerlo. Ma la conoscenza che seguirà la prima fede (fede che ascolta, l’apertura dell’orecchio), è quella che preparerà a quella fede (fede intima, arresa) da cui nascerà ogni conoscenza per cui anche ci muoveremo in armonia della sua volontà, come i cherubini. Da prima predisposizione ad imparare, dopo, disposizione a camminare e agire, lavorare per lui. Iddio riveste diversi ruoli nella vita degli uomini. Come Creatore e Padre è Dio; l’Iddio invisibile. Questa posizione la possiamo chiamare, luce maggiore. La “luce che illumina ogni uomo”, di
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Giovanni 1:9, possiamo chiamarla, luce minore. La luce che illumina ogni uomo agisce nella coscienza di tutti indistintamente. Rappresenta una spinta interiore che ha lo scopo di aiutare l’uomo ad affidarsi a Dio e a credere, anche se non vede. Quell’atto di speranza e di affidarsi; aprirsi alla Sua divinità, genera quella conoscenza che prepara la fede appena nata a camminare nella direzione di quella stessa conoscenza. Così via, verso la piena conoscenza di Lui. Vi è dunque diversità di posizione e maturità fra il primo credere e il secondo, quello che si muove nella conoscenza di Dio. Anche nella vita dei discepoli possiamo vederlo; lo stare con Gesù, mentre Lui era in vita e condivideva con loro le Sue virtù, da quando dopo la risurrezione non lo vedevano. Dal vedere al non vedere, sebbene in realtà quando era in vita e lo vedevano, non vedevano ancora veramente; mentre quando non lo vedevano, dopo la risurrezione, impararono a vederlo veramente. Vi è dunque una differenza da quando Gesù era con loro a dopo la sua ascesa. Ricordiamo come anche Lui stesso lo dichiarava dicendo che, quando i discepoli andrebbero ad evangelizzare, non dovevano pensare alla sacca e alla spada. Quando giunse il tempo della sua morte, allora Gesù disse loro di prendere sacca e spada. Dopo che ci si è affidati a Lui nella speranza e avendo creduto in Lui, si affronta un cammino in cui Lui stesso viene a noi. Dobbiamo sempre più familiarizzarci al linguaggio dello Spirito. Egli si presenta nelle sue visitazioni rivelandoci qualcosa di Sé. Ci invita a credere ciò che Lui stesso ci indica a credere, onde la fede che avremo abbia la forma della conoscenza di Dio che ci è stata rivelata. Non fede nostra, ma fede disciplinata prendendo la forma ch’Egli vuole. E’ anche normale che si odono tante interpretazioni intorno alla persona di Gesù e alla dottrina, quindi è normale che il discepolo si affidi in qualche modo ai consigli proposti, pensando di compiacere a Dio. Arriva il tempo però, che
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il credente in via di formazione e maturità, cominci a udire la voce del divino Pastore e ci si unisca, fino al punto di muoversi in armonia ad essa. Dopo la prima fede (fede iniziale, fede d’aggancio), ci viene mostrata la conoscenza di Cristo dallo Spirito Santo, attraverso i ministri di Dio. Quella conoscenza, quel tipo di conoscenza, è l’invito alla nostra fede, di prendere la forma della rivelazione della conoscenza che ci viene proposta. Potremmo credere semplicemente, ma non basta; è necessario prendere la forma, essere trasformati, che ci sia presentato un modello di conoscenza spirituale e, ricevendone rivelazione e spinta a credere, in quella specifica direzione, la nostra fede prenda quella stessa forma che la rivelazione ci ha proposta. “Chiunque viene alla conoscenza del Figlio e crede in Lui…” (Giovanni6:40). Ricordando le parole di s.Paolo: “Perciò d’ora in avanti noi non conosciamo nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora però non lo conosciamo più così” (2 Corinzi 5:16). Il conoscere Cristo secondo la carne, significa a mezzo del visibile. Ma, da quel “d’ora in avanti”, che segna un “nuovo principio” nel cammino di fede, non lo conosciamo più così. E’ Lui che viene a noi, che si rivela, ci ammaestra in una relazione spirituale consolidata e personale.
“Ma quanto a voi, l’unzione che avete ricevuto da lui dimora in voi e non avete bisogno che alcuno v’insegni; ma, come la sua unzione v’insegna ogni cosa ed è verace e non è menzogna, dimorate in lui come essa vi ha ha insegnato” (1 Giovanni 2:27). Per questa condizione di fede, è chiaro che il credente è pervenuto ad una statura in cui si relaziona con lo Spirito Santo in modo autonomo, diciamo, arrivati ad una certa arresa a Lui, si comincia ad essere insegnati dalla sua unzione, perché si distingue la Voce di Cristo. Tommaso chiese a Gesù dove stesse andando, e Gesù rispose insegnando qualcosa della sapienza in
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ispirito che il discepolo ancora non sapeva. “Voi sapete dove sto andando…”; Tommaso rispose: “Noi non sappiamo” (Giovanni 14:4). Gesù spinse il discepolo a considerare quella luce intima, scoprendone i moti nella direzione in cui spingeva in lui (e in loro). Tommaso si riferiva alla conoscenza mentale; Gesù, a quella spirituale:
“Ma a te piace la verità che risiede nell’intimo, e mi insegni la sapienza nel segreto del cuore” (Salmo 51:6; Giovanni 1:9). Vi è quindi un aprirsi ed affidarsi a Lui, per dopo lasciarsi ammaestrare da Lui prendendo, la nostra fede, la forma del Suo insegnamento e non una fede secondo le proprie opinioni. Credere e vedere, nella condizione che disse Pietro a Gesù, è diversa quindi da quel vedere e credere detto da s.Giovanni. Credere e vedere è perché Gesù era ancora con loro, quindi lo vedevano, era comunque un anticipo di quel vedere definitivo, in ispirito. Rimaneva di credere per essere messi in grado, quando sarebbe venuto lo Spirito Santo, di vederLo (o conoscerlo) glorificato. Il vedere e poi credere di s.Giovanni, è per tutti quelli che, dopo la risurrezione del Signore, entrano in questa esperienza: vedere Lui, e credere per mezzo di Lui. Un credere condizionato, o diciamo, nella direzione specifica di quel vedere in spirito. La fede che prende la forma di ciò che gli viene mostrato. “E noi abbiamo conosciuto e creduto…” (1 Giovanni 4:16). Quando Gesù fu risorto, i discepoli credettero alle scritture in merito a quel che Gesù gli aveva detto. “Credettero”; significa che quando Gesù li avvisava, essi non riuscivano ancora a credere con fermezza. Ma, quando egli risorse credettero; la loro fede che già c’era, prese la forma dell’insegnamento che il maestro aveva dato. La risurrezione, il nuovo principio, rende tutto diverso, tutto nuovo:
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“Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che egli aveva loro detto questo e credettero alla scrittura e alle parole che Gesù aveva detto” (Giov 2:22).
Possiamo ricucire il tutto con due esempi e figure scritturali che riassumono questa esperienza spirituale in questa meditazione. Uno è quando Giovanni indicò a due discepoli l’agnello di Dio. Gesù si accorse che lo seguirono e chiese: “Che cercate? Dove abiti maestro? Venite e vedete, (Giovanni 1:39). In questo esempio e figura, abbiamo il quadro dei discepoli che seguono Gesù per vedere dove abita. Invero, lo scopo era avere un dialogo con il misterioso personaggio. Quindi si sederono in una comunione spirituale per ascoltare. In questo possiamo avere il ritratto di quell’aprirsi e affidarsi, il primo credere per cui si comincia a conoscerlo. Il secondo esempio, un pò più impegnativo e profondo è in 2 Samuele 7:18:
“Allora il re Davide andò a sedersi davanti all’Eterno e disse: Chi sono io, o Signore, o Eterno, e che cos’è la mia casa, da farmi arrivare fino qui? Ma questo era ancora poca cosa ai tuoi occhi, o Signore, o Eterno, perché tu hai parlato anche della casa del tuo servo per un lontano futuro; e questa è la legge dell’uomo, o Signore, o Eterno”.
Anche qui vediamo un uomo, Davide, che va a sedersi davanti al Signore. Quanto è importante sedersi “davanti al Signore”. Da lì, potrai vedere gli orizzonti lontani che ti appartengono, potrai vedere e contemplare ciò che riguarda te e la tua casa. Vedrai qualcuno venirti incontro, come Melchisedek andò incontro ad Abramo. Quel personaggio… Ha qualcosa da dirti e da darti. Questa esperienza spirituale meravigliosa, è per chi vuole rimettersi alla scuola del Signore e contemplarlo. Già parliamo di quella fede che si slancia verso avanti, verso le alture dello Spirito. Da quella vista, ricevere e prendere quel che Lui
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vuole darci, quel che vuole dirci per trasformare la nostra fede all’immagine del suo insegnamento, della sua rivelazione.
L’ubbidienza diventa consequenziale, e sarà un’ubbidienza all’immagine della Sua rivelazione. Iddio sia lodato.
***
DIGRIGNARE I DENTI
Digrignavano i denti contro di lui.
Gesù, l’innocente, viene odiato dai religiosi. Quando Gesù faceva
qualche potente operazione, oppure rivelava i loro sotterfugi, i
venti impetuosi nelle loro anime si agitavano subitamente,
procurando così… il digrignare i denti contro Gesù. Fame
religiosa di fare un’altra cosa al posto si quella e/o di come, veniva
svolta da Lui.
L’uomo religioso è una tempesta furiosa. Nascosta, quando i
disegni della sua immaginazione non sono toccati, oppure svelati
dalla parola di quella grande mente. Ma nel momento che quel tale
si sente scoperto, alla luce di quello sguardo, tutto di lui, dei suoi
piani, dei suoi disegni, delle sue personali e chiesastiche
aspettative, crolla.
Viene rivelata la sua sostanza e la sua derivazione. Così l’uomo
religioso si sente scoperto. Quel tale possiamo essere anche noi.
Spesso vediamo il male solo negli altri, e certe condizioni,
pensiamo si verifichino solo nelle chiese. Il male, gli spiriti
seduttori, non si trovano solo dentro le quattro mura di qualche
gruppo religioso, bensì in ogni luogo.
L’uomo religioso, quando vede che nella sua vita, nella sua
chiesa, ci sono delle benedizioni come: il parlare in lingue, le
profezie, le guarigioni, le testimonianze e una super teologia, se ne
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fa un “altare” per se. Così, può mostrare che è nel giusto, perché?
Perché Dio lo gradisce. Ci si sente apposto e si incomincia poi ad
infierire sulle anime. Uno dei segnali per vedere quando qualcuno
è avvolto da questi spiriti religiosi è quando si presentano sempre
con un contegno pienamente soddisfatto e con un ghigno da
persona approvata, “Dio mi approva”, oppure, “Dio è con noi…”
Ognuno di noi ha sempre qualcosa fuori posto (Giac. 3:2), per
questo Gesù disse di “vegliare e pregare”. Ombre che neanche noi
immaginiamo, ma che presto verremo a sapere. Noi tutti non
conosciamo bene il nostro cuore, esso è insanabilmente maligno
(Geremia 17:9).
E’ detto ancora: “Ciò che il cuore pensa menare a vita, mena
invece a morte esso (il cuore) è ingannevole”. Così, quando
abbiamo qualche scintilla, sentimento o emozioni, dobbiamo con
l’aiuto di Dio doverle controllare, per il beneficio di coloro che
potranno poi godere del frutto della rivelazione che abbiamo, solo
da parte del Signore.
L’unica autorizzazione che abbiamo è di dare quel che Dio vuole
dare, e dà a mezzo nostro. Quando sentiamo ispirazioni,
controlliamo minuziosamente prima di praticare o muoverci.
L’uomo è fatto in sostanza di superbia e incredulità… molte cose
ha da lasciare e correggersi. Tante volte, anche a noi succede,
davanti al giusto (comunque sia, fratello o no) avvertiamo quella
sensazione… digrignare i denti. Quelli interiori. Quel fremito che
viene dagli abissi dell’anima. Soprattutto quando non
condividiamo vedute su argomenti, nel conversare, o quando
sentiamo dire qualche cosa di quel tale.
L’uomo religioso approva se stesso nella “sua religione
volontaria”. Di fronte un giusto, vogliamo dire una persona
spirituale, prova “fremiti” di accessi d’ira, di invidia, odio e
rancore… un assieme di fuochi che vanno contro l’altrui.
Il profeta Geremia disse in Lamentazioni 3:16: “ Mi ha spezzato io
denti con la ghiaia, mi ha coperto di cenere”. E’ questa l’opera di
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Dio? Dio dunque ci rompe i denti? Sicuramente no, nel naturale.
Si, per quelli che abbiamo nell’animo, nel nostro carattere.
Abbiamo la “mano” della fede, con cui prendiamo le
promesse, gli occhi e le orecchie del cuore, dove pure sentiamo la
Sua voce… Abbiamo un fiuto per riconoscere gli odori ossia per
discernere gli spiriti, ed anche dei denti con cui mangiamo la
parola di Dio, per cibare l’anima nostra. Nei casi dove domina
l’errore, questi denti spirituali vengono usati per “mordere” i
fratelli quando vi è presenza di aggressività.
Nei Proverbi 20:3 è scritto: “l’insensato mostra i denti”.
L’insensato, oppure, l’insensatezza in noi, quella poca o tanta che
c’è, ci porta a mostrare i denti. Così l’anima spettatrice si sente
aggredita, e MORSA nel cuore. Un esempio d’insensatezza lo
troviamo in Atti 7:54. Mentre Stefano, grande uomo di Dio,
parlava così gloriosamente del Signore nostro, è scritto che coloro
dei presenti: “Digrignavano i denti contro di lui”. Insensati erano
coloro che manifestavano così, il loro peccato.
In queste righe ho cercato di interpretare un po’, dando
qualche accenno su cosa e come può essere quel “fremito”
interiore. Difatti così è scritto per quel caso: “All’udire queste
cose, essi FREMEVANO IN CUOR LORO e digrignavano i denti
contro lui”. E’ abbastanza chiaro, l’eccesso d’ira che avviene nel
cuore in quei momenti, ha portato quelle persone a digrignare i
denti, prima nell’anima - in quel fremere - poi nell’esteriore.
Anche Gesù fremeva in se stesso, ma non digrignava i denti contro
nessuno (Giovanni 11:38). Egli imparò “l’ubbidienza” dalle cose
che soffrì.
Un altro verso che può aiutarci è scritto nel salmo 112:10
dov’è la frase: “L’empio lo vedrà e si irriterà, digrignerà i denti e
si consumerà…”. Quando l’empio è spettatore di ciò che Dio fa
nella vita degli altri, allora si irrita; così la conseguenza del
digrignare i denti con il consumarsi dentro dall’ira. Cattive
reazioni, sono conseguenze di condizioni particolari in ciò che è
errore, oppure, di semplici debolezze. E’ per grazia che
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scampiamo dalle grinfie degli empi, dal morso dei loro denti.
Anche se non sono sempre gli empi, quelli che “mostrano i denti”,
voglio dire, anche quelli che ci amano e che sono genuini credenti.
“Benedetto sia l’Eterno, che non ci ha dati in preda ai loro
denti” Salmo 124:6. E’ pericoloso essere preda dei loro denti… Ed
anche per questo troviamo scritto nel Salmo 3:7 “Tu hai rotto i
denti agli empi”.
I denti dell’anima non servono per “morderci” l’un l’altro,
piuttosto, per mangiare la parola di Dio, (Galati 5:15). I denti
dell’anima sono “aguzzi”. Quelli rompe il Signore. Ancora il
salmista esprime… “L’anima mia è in mezzo ai leoni, dimora fra
gente che vomita fiamme, in mezzo a uomini i cui DENTI sono
lance e saette e la cui lingua è una spada acuta”.
Il Signore disse pure ai suoi discepoli, che li avrebbe mandati
come pecore in mezzo ai lupi… Fra i denti aguzzi… Ed ancora ad
Ezechiele, quando la voce Divina gli disse di non temere il
popolo, che l’avrebbe mandato in mezzo ai scorpioni e alle spine.
Quindi, il salmista diceva, che l’anima sua era in MEZZO ai leoni
e a uomini, spiriti o condizioni, così come anche uomini; che
come ha descritto hanno i denti come saette e la lingua come una
spada. Sono leoni anche e soprattutto, perché quel leone che
ruggendo circonda le anime, le divora seducendole, e inducendole
ad essere come lui. Anche la parola di questi, è come il fuoco:
“Vomita fiamme”. Colui che ha i denti aguzzi, che digrigna i denti
contro le creature di Dio (e contro l’opera di Dio), quando parla o
quando parla di Dio, quando vuole correggere, “vomita fiamme”.
Denti aguzzi e lingua come una spada, con cui uccidono.
Un altro verso rivelatore lo troviamo in Marco 9:18 “…egli
schiuma, stride i denti e rimane stecchito”. Mentre lo schiumare è
un “rapportare”, “sparlare”; parlare parole oziose, che Dio non
vuole. Lo stridere i denti è espressione di “guerra interiore”. Da lì
vengono quei fremiti dell’uomo religioso che come, onde furiose
(digrignano i denti) schiumano le loro brutture (parlare malvagio
se pure ben formulato). Basti leggere nell’epistola di Giuda dove
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nel verso 13 parla di queste onde furiose… e vedere come
vengono identificati e smascherati i “costoro” a cui appartengono
le brutture che stiamo trattando in queste righe.
Nel figlio epilettico di Marco 9:18 quelle reazioni erano nel
visibile, ovviamente. Le cose che avvengono nello spirito,
nell’invisibile, si vestono, si esprimono “nell’invisibile” attraverso
cose che gli assomigliano. Vediamo dunque, da “dove” e da “chi”
viene questo agire. Uno spirito che stimola rabbia interiore per poi
“mostrare” i denti, cioè, mordere pronunciando parole che
condizionate da questo spirito, e sentimento, sono “fuoco, saette,
lance e spade”. Le vittime rimangono ferite, morsicate nei
sentimenti. La provenienza dunque è da uno spirito maligno, che
procura irritare la pace, la quiete di Cristo. L’apostolo Paolo
scriveva agli Efesini di arrivare a sperimentare l’amore di Dio, col
vincolo della PACE.
Dopo aver visto un po la faccenda nel negativo, vogliamo
guardare se il Signore ha dato dei versi, delle parole per
accarezzare il cuore e consolarci anche con le scritture (Romani
15:4). In Genesi 49:12 è scritto “Egli ha gli occhi rossi dal vino e i
denti bianchi dal latte”. In questa profezia Giacobbe parlava di
suo figlio Giuda. Ancor di più di COLUI che doveva venire…
Gesù Cristo. Lui solo ha per natura e sostanza i “denti bianchi dal
latte”… Non per mordere i fratelli, o per stridergli contro, ma,
bianchi DAL latte. Si noti DAL, e non COME il latte. I denti di un
cristiano, dopo che vengono rotti in lui (o man mano) i denti
aguzzi, nell’anima, ne nascono di nuovi. Nuovi propositi, nuove
reazioni, nuovi sentimenti… Vi è anche una nuova nascita… I
denti di una nuova natura hanno bisogno di latte. Un latte speciale
con cui vengono “curati”, perciò diventano bianchi “dal” latte,
cioè, per il fatto di bere il latte di Cristo attraverso il seno di
Gerusalemme (Isaia 66:10-12). Puliti, per mangiare la parola di
Dio. Sani, per combattere con la medesima parola di cui ci
nutriamo, pronunciandola come si conviene, o per il grido di
giubilo. Si dice che quando una persona ha una bella dentatura, ha
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un bel sorriso. Così, possiamo sorridere del Suo sorriso, quando ci
accostiamo alle rovine degli affitti, mostrando quella dentatura che
è segno di pace, misericordia. Bianchi… Innocenti puri, indicando
tenerezza, ma forti nello stesso tempo.
“Appetite il puro latte spirituale, onde per esso cresciate per la
salvezza”. 1 Pietro 2:2.
Per dare un’immagine e rafforzare la testimonianza
dell’innocenza, dell’umiltà, della mansuetudine, possiamo leggere
nel Cantico dei Cantici 6:6 “I tuoi denti sono come un branco di
pecore, che tornano dal lavatoio; tutte hanno dei gemelli, nessuna
di esse è sterile”. Sia ringraziato il Signore anche per queste parole
meravigliose, come si collegano in modo stupendo, per formare un
dipinto nella nostra mente, avendo la possibilità quindi di
contemplare i valori e i messaggi del cielo. Così dobbiamo avere i
denti come è un branco di pecore…quella innocenza,
mansuetudine e tenerezza. Esse tornano dal lavatoio… I denti
vanno lavati, curati. Il lavare richiama la purificazione, così come
anche la fertilità; il non essere sterile… ciò che fa la nuova natura
è produttivo e fertile.
L’oracolo contro i pastori d’Israele era in riferimento al fatto che
non curavano la pecora zoppa, malata, ferita… Come le pecore,
così i denti ad esse raffigurati. Anch’essi possono
“ammalarsi”…ma, non essendo sterili, sono pronti a guarire e a
rimettersi a nuovo. Perché? Perché Dio le lava, le cura come un
gregge di pecore. (Ezechiele 34).
Possa il Signore romperci i denti dell’animo, per non striderli più
contro di Lui e i suoi. Cerchiamo da Lui che ce li possa lavare col
latte, per farli divenire come un gregge di pecore, al quale Egli
possa “dare” da mangiare… GIUSTIZIA E VERITA’.
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D’ONDE VIENI ONDE VAI
Giancarlo Larossa www.parolaviva.com
“D’onde vieni onde vai”
Mi sono sempre proposto di trattare gli argomenti principali e essenziali della grande Vita. Questo è uno di quelli…
D’ONDE VIENI ONDE VAI. E’ una frase completa ed esprime un senso completo. Nel: “D’ONDE VIENI…”, vi è il richiamo a considerare attentamente la provenienza della “persona” o del “pensiero” che ti porta ad agire in un dato modo. Nel: “ONDE VAI…”, l’invito a considerare in quale direzione ti stai dirigendo, verso Dio o no. Il concetto è in Genesi 16:7: “Ora l'Angelo dell'Eterno la trovò presso una sorgente d'acqua nel deserto… e le disse: «Agar, serva di Sarai, da dove vieni e dove vai?». Ella rispose: «Me ne fuggo dalla presenza della mia padrona Sarai».
L’angelo del Signore gli disse ad Agar di tornare da dove era venuta. La domanda ci fa riflettere. Agar si trovava nel deserto, perché guardava la sua padrona in modo sbagliato, tanto da provocarla. Quindi, la natura, il motivo per cui fuggì era una colpa, non era un motivo Divino. Per questo l’angelo gli disse: “D’onde vieni?...”. E’ importante sapere, sia per noi che per ogni cosa facciamo, pensiamo o sentiamo e diciamo, da dove proviene la favilla che accende il fuoco.
Questa domanda ci viene rivolta dal Signore quando (in modo particolare) la provenienza delle nostre azioni non è in armonia con la volontà di Dio. Indi il messaggio dell’angelo: “…torna dalla tua padrona…” . Nel libro dei Giudici 18:3 è detto: “Chi ti ha condotto qua? Che fai in questo luogo? Che hai tu qui? ”. Mica aveva costituito un sacerdote per gli idoli che lui stesso aveva fatto. Così i Daniti, perlustrando il paese, arrivati vicino la casa di Mica, riconobbero la voce del levita e gli fecero questa domanda… Ora, questa domanda tocca il nostro spirito se consideriamo che il motivo della sua venuta in quel
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luogo era (e lo dice lui stesso) causata dalla chiamata di Mica per il servizio sacerdotale degli idoli fatti da lui (Mica).
La scrittura quindi vuole attirare l’attenzione sul “motivo” per cui quel levita era andato a casa di Mica, ed anche, per cosa è stato fatto sacerdote. La lezione anche qui è che il motivo per cui il levita è stato invitato non era un “motivo Divino”, ma miseramente umano. A cosa poteva portare dunque questo? A sterminare un paese “pacifico” e ad essere sacerdote di idoli. Distruttori di Pace… coloro che servono il guadagno e amministrano idoli. Per il contemplatore, Cristo deve essere la natura dei suoi pensieri, il trasportatore e in fine il compitore delle sue azioni. In Isaia 51:18 è detto: “Fra tutti i figli che ha partorito non c'è nessuno che la guidi; fra tutti i figli che ha allevato non c'è nessuno che la prenda per mano ”. Guida e trasporto. Due lati di un’unica esperienza. Infatti nel verso 19 è detto: “Queste due cose ti sono avvenute ”. Gesù, nell’occasione che seguì l’incontro con la samaritana; all’invito dei discepoli: “Maestro mangia”, rispose: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e di compiere l'opera sua ”. Non solo il fare dunque, ma il portare a compimento. In Apocalisse 22:16 “Io sono la Radice e la progenie di Davide, la lucente stella del mattino ”. Questo verso è molto significativo. Cristo è nel contempo RADICE di Davide (fonte, provenienza), ed anche sua PROGENIE, sua destinazione. E’ lo stesso che dire: “essere il padre di Davide, ed anche suo figlio”.
Per farci riflettere, la scrittura ci porta certi esempi onde possiamo trarre queste lezioni, per capire se nelle nostre giornate, nelle nostre azioni, nei nostri pensieri, tutto proviene da Gesù e se ha lo scopo di glorificare Gesù, operando le Sue opere. Gesù dunque, era la radice, la fonte, e il risultato di Davide. La frase: “…la lucente stella mattutina ”; vuole come riassumere questo concetto. Difatti, il fedele servitore deve seguire la lucente stella mattutina, segno di risurrezione e guida indicatrice. Un esempio lo troviamo nei re magi; i quali furono guidati dalla stella e quando persero per un momento quella guida, subito cominciarono a chiedere informazioni ai popolani. Questo provocò un sussulto nel popolo, ed anche il re Erode fu allarmato e con felina astuzia
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ingannò quei re per chiedere informazioni… ne seguì la strage degli innocenti. Sappiamo bene, che prima di quel terribile incidente, usciti che furono dal paese rincontrarono la stella e ne ebbero gran gioia.
Se seguiamo la stella mattutina, la provenienza del nostro vivere e agire, sarà per lo Spirito e di conseguenza anche i risultato e la continuazione. Un giorno Gesù disse a Nicodemo: “Il vento soffia dove vuole e tu ne odi il suono, ma non sai da dove viene né dove va, così è per chiunque è nato dallo Spirito ” (Giovanni 3:8). Qual è il valore della parola: “Tu non sai? ”, vuole essere un monito per comprendere che non dobbiamo muoverci o ubbidire al Signore pretendendo di sapere tutti i “Suoi” motivi; ridurre cioè, la fede ad una concezione intellettuale. Per noi non è importante sapere da dove viene l’ispirazione; se viene tramite un fratello, una sorella, il loro agire, tramite un libro ecc… noi non possiamo prevedere e condizionare Iddio. L’importante è udire il suono del vento (l’intuizione) e seguirlo. Questo è un santo principio di umiltà, chinare il capo di fronte ad ogni fonte di ispirazione, ovviamente lecita. Questi sono i nati dallo Spirito, i quali “sanno” (sapienza Divina) distinguere prima da dove viene Gesù e dove va, “dopo” (per mezzo di quel sapere sanno) sanno da dove vengono loro e dove vanno. In Giovanni 8:14 è scritto: “Anche se testimonio di me stesso, la mia testimonianza è verace, perché so da dove son venuto e dove vado; voi invece, non sapete né da dove vengo, né dove vado ”.
Coloro che non hanno conosciuto Cristo non sanno in realtà da dove Egli “viene” e dove “và”. Ma, anche i “Suoi” in certi casi, non riescono a distinguerlo. Possiamo dare un occhiata al profeta Nathan, quando Davide ebbe in cuore di edificare il tempio, Nathan disse: “Và, fa tutto ciò che hai in cuore di fare…”. In quell’occasione il profeta non sapeva d’onde veniva quella sua approvazione, Dio lo corresse (2 Samuele 7:5). Se un consiglio non viene da parte di Dio, chi lo segue si troverà contro la volontà di Dio. Coloro che non hanno conosciuto Cristo, e non lo vogliono conoscere, faranno la fine di quelli che non sono stai conosciuti da Dio, che quando il Padrone chiuderà la porta busseranno e diranno “aprici”... ma, Gesù dirà: “Io vi dico che non so da dove venite, via da me voi tutti operatori d'iniquità ” (Luca 13:27). E’ dunque
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fondamentale sapere d’onde veniamo, o d’onde vengono le nostre ispirazioni? Certamente! Il Signore stesso fece a Satana la domanda: “Da dove vieni? ”. Lui rispose: “Dall'andare avanti e indietro sulla terra e dal percorrerla su e giù ” (Giobbe 2:2).
Questa domanda rivela che il capo di ogni falsa ispirazione è Satana; in quanto che il - dove vieni? - Vuole significare come Satana si comporta con il Signore e con la creazione. La risposta è - Dal percorrere la “terra”… - Questo cos’è? Satana va in giro camuffato da Angelo di luce, per sedurre e fare il male alla terra e agli abitanti della terra. Dalla risposta, comprendiamo che “tutto di lui” procede da se stesso, e porta (attira) a se stesso. Notiamo inoltre la stretta somiglianza con il muoversi dei cherubini (Ezechiele 1:14,17,19). Con un procedere che assomiglia all’ordine angelico governato da Dio, lui inganna gli uomini.
Tutto questo vuol dire che Satana è la fonte del male, lui vuole essere autosufficiente e indipendente da Dio e così vuole influenzare gli uomini. Eclesiaste 10:12-13: “Le parole della bocca del saggio sono piene di grazia, ma le labbra dello stolto lo distruggono. L'inizio del suo parlare è stoltezza, e la fine del suo dire è pazzia dannosa ”. Gesù è la nostra “radice” e la nostra progenie
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EFRAIM, FOCACCIA COTTA SOLO DA UN LATO
“Efraim si mescola con i popoli, Efraim è una focaccia non
rivoltata. Gli stranieri divorano la sua forza, ma egli non se ne
accorge; si, ha dei capelli grigi sparsi qua e là, ma non se ne
accorge” (Osea 7:8,9).
“Efraim mi circonda di menzogne e la casa d’Israele
d’inganno. Anche Giuda è ancora insubordinato nei confronti di
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Dio e del Santo che è fedele”. “Efraim è un mercante che tiene in
mano bilance false e ama frodare” (v.12:1,8-11).
Efraim, come ciascuno di noi, è paragonata a una
focaccia non rivoltata, cotta solo da un lato. Per molto
tempo il credente pensa di se di dare tutto al Signore, ma si
sbaglia, perché fin tanto che non riceve luce nel profondo
dei suoi motivi, non conosce bene se stesso. Diciamo, siamo
cotti solo da un lato, da quel lato in cui pensiamo di dare
tutto di noi a Dio. Si cammina sulla base di una conoscenza
superficiale fin quando non veniamo disillusi. Dietro a ciò
che difendiamo di noi come cristianesimo, vi è nascosto
quel che teniamo ancora stretto di noi, la nostra volontà;
quella è dura a morire. Là si incrocia la natura del peccato,
la superbia, che genera incredulità.
Questo studio è sottile, e comincia ad un certo punto
della nostra vita, quando e dopo che ci siamo compiaciuti
nella nostra cristianità, in quel che crediamo della verità, in
quella parte così ben cotta, che ha buon sapore… Mentre
dietro questa realtà nascondiamo e proteggiamo la nostra
volontà, quel che vogliamo tenere per noi. Il motivo è che
il credente deve morire a se stesso, cosa che non avviene in
un momento. In questo caso, l’uomo mette prima davanti a
se tutti quelli che possiamo definire rami del nostro essere,
poi il fusto, in fine la radice.
Qualche esempio ci aiuterà. Giobbe si sentiva sicuro
nella sua religiosità, saggezza e sincerità. Non riusciva a
vedere quel che difendeva di se e della sua radice adamitica.
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Per molto tempo della sua vita questo santo e giusto uomo
di Dio si compiaceva nella sua parte ben cotta. Ma, come
avviene dei sogni, avvenne della sua spiritualità. Dio scosse
le sue fondamenta, scoperchiò i suoi monti e ne vide le
radici. Dovette passare per molte sofferenze per essere
rivoltato e finalmente cotto dall’altra parte.
Quando ebbe le notizie delle disgrazie capitate alle sue
cose e figli, una dopo l’altra, si alzò, gesto istintivo come ad
indicarci che l’uomo pensa di poter affrontare le situazioni
difficili con la propria “cottura” parziale. Ma subito gli
mancarono le forze e cadde. Questo il destino di ciò che
abbiamo sempre inconsciamente voluto difendere. Questo
il fallimento della nostra religiosità. Tutto bene per
Giobbe, questo grande uomo che fu ridotto al nulla di se
per vedere e contemplare il tutto di Dio, il suo redentore.
Al momento propizio Giobbe pervenne alla comprensione
di quella “parte” ancora risparmiata, fino ad ora, rimasta
cruda. Confessò a se stesso che era crudo dall’altro lato.
Dio lo benedisse grandemente.
Pietro; di fronte al Signore, mentr’Egli ammaestrava i
discepoli circa quel che sarebbe avvenuto loro, che cioè uno
spirito di stordimento e smarrimento li avrebbe sorpresi
finendo nello scandalizzarsi di Lui, rispose così:
“Allora Pietro, rispondendo, gli disse: Quand’anche tutti si
scandalizzassero per causa tua, io non mi scandalizzerò mai.
Gesù gli disse: In verità ti dico che questa stessa notte, prima che
il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte. Pietro gli disse: Anche
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se dovessi morire con te, non ti rinnegherò in alcun modo. Lo
stesso dissero anche tutti i discepoli” (Matteo 26:31-35).
Pietro fu il primo e il più sicuro a candidarsi a
presentare una conoscenza di se stesso più di quanta ne
aveva Gesù. Pietro non conosceva quel che ancora stava
difendendo di se, della sua segreta volontà, quella che
ancora non riusciva a morire. Considerò, si appoggiò solo
su quel che conosceva di se, conoscenza parziale, quella
parte cotta, e fallì. Gli altri discepoli presero coraggio e si
aggregarono facendo lega su quel che era la loro
conoscenza della loro “parte cotta”. Se Pietro non avesse
avuto quella audacia, gli altri discepoli sarebbero rimasti,
probabilmente, a guardarsi l’un l’altro con mistero,
interrogandosi sulle parole del maestro. Sappiamo come
finì. Più tardi Gesù interrogò Pietro chiamandolo a solo,
dicendo: “Simone di Giona, mi ami tu più di costoro?”; fu la
domanda ripetuta tre volte. Ricordiamoci: Anche se gli
altri si scandalizzassero di te io no… “Mi ami tu più di
costoro? (gli altri)”. In un’occasione precedente, Pietro,
dopo una benedizione e beatitudine di aver risposto
giustamente a quel che rappresenta il fondamento
cristiano: Credere ed accettare che Gesù è il Cristo, il
Figlio dell’Iddio vivente; pensando che ciò bastasse per
sentirsi in grado di consigliare il maestro, scivolò in una
espressione contraddicente a quel che gli fu rivelato poco
prima e per cui fu definito beato.
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“Allora Pietro lo prese in disparte e cominciò a riprenderlo,
dicendo: Signore, Dio te ne liberi; questo non ti avverrà mai. ”.
La risposta di Gesù fu: “Vai via da me Satana! Tu mi sei di
scandalo, perché non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose
degli uomini” (Matteo 16:13-23).
Questo per dimostrare che Pietro, come Giobbe e
come tutti noi, conosceva solo la parte cotta di se. L’altra
parte doveva essere scoperta più avanti. Ritornando al
colloquio di Pietro con Gesù, dopo la resurrezione,
notiamo cosa fu detto a un tanto discepolo:
“In verità, in verità ti dico che, quando eri giovane, ti
cingevi da te e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio,
stenderai le tue mani e un altro ti condurrà là dove non vorresti.
Or disse questo per indicare con quale morte egli avrebbe
glorificato Dio. E detto questo, gli disse: Seguimi” (Giovanni
21:18,19).
Se consideriamo le parole solo in direzione della sua
morte fisica, perderemmo uno dei più grandi esempi ed
insegnamenti spirituali. La voce dello Spirito Santo ci
testimonia che Gesù si riferiva a quella morte per mezzo
della quale avrebbe glorificato Dio, cioè l’aver scoperto
quella parte ancora cruda di se e averne accettata
l’esecuzione finale di morire a se stesso. Questa è la morte
e il modo di glorificare Dio. Quand’eri giovane… uno
sguardo al passato e al ricordo di come si viveva. Paolo
disse; “Quand’ero bambino, parlavo come un bambino, avevo il
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senno di un bambino, ragionavo come un bambino; quando sono
diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. Ora conosco in
parte…” (1 Corinzi 13:11,12). La parte che indica Paolo, è
quella parte cotta solo da “quel lato”. Da quel lato, “in
parte”, così ragionava. Faceva riferimento a quella parte,
perciò si è fanciulli. Quando si diventa uomini, significa
uomini fatti, lo stesso che nelle parole di Gesù a Pietro, il
diventare vecchio, maturo, si noti il paragone. Da fanciullo
a uomo, da giovane a vecchio. Quel diventare uomo, nel
discorso di Paolo, e quel diventare vecchio nelle parole di
Gesù a Pietro, vuole portarci allo scoprire quella parte in
noi ancora rimasta cruda, che deve essere cotta, bruciata
dal fuoco di Dio, morire definitivamente a se stesso, per
glorificare Dio.
Negli effetti vediamo il secondo verso che abbiamo
scritto alla testata:
“Efraim mi circonda di menzogne e la casa d’Israele
d’inganno. Anche Giuda è ancora insubordinato nei confronti di
Dio e del Santo che è fedele”.
“Efraim è un mercante che tiene in mano bilance false e
ama frodare” (Osea 12:1,8-11).
Efraim è un mercante, un commerciante, commercia la
verità. Ha nella sua mano bilance false e ama frodare,
imbrogliare. Ha doppio peso e doppia misura. Ciò è in
abominio a Dio. Questa la condizione di quando siamo cotti
solo da un lato, a discapito del significato del nome Efraim:
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fruttifero! Se non diamo luogo a Dio di rivoltarci in una
conoscenza intima di noi e di Lui, se non accettiamo i suoi
giudizi, essere cioè giudicati ora, siamo buoni a vedersi
esteriormente, ma di una religione ancora volontaria.
Siamo in qualche modo ladri, adottando doppio peso e
doppia misura, frodando. Bando alle illusioni!
Iddio disse ad Abrahamo di seguirlo interamente:
“L’Eterno gli apparve e gli disse: Io sono l’Iddio onnipotente;
CAMMINA ALLA MIA PRESENZA, E SII INTEGRO”
(Genesi 17:1). La vocazione degli eletti è intera a
raggiungere la massima vocazione. La chiamata che Dio gli
rivolse, era: sii cotto da tutti i lati!
Efraim, fruttifero, circonda il Signore, e quindi la chiesa, di
menzogne! A causa di questo anche Giuda, la lode, è ancora
insubordinata nei confronti di Dio. La lode è una forza e
ricchezza per il popolo di Dio, e questo viene dal fatto che
Dio procura fertilità per produrre frutto. Essendo Efraim, i
frutti, menzogneri cioè, i frutti sono buoni, avendo però
dimenticato le virtù interiori che ne sono la causa. Quindi,
di conseguenza, anche Giuda, la lode diventa
insubordinata. La lode, di fatti, nelle chiese è diventata una
speculazione festante per auto stimolazione, auto
suggestione. Tutto questo dimostra che il portare frutto,
quella parte di noi, è contaminata. La causa? Perché si
persiste nel non voler essere rivoltati e cotti interamente.
L’origine? Cos’à lasciato e dimenticato Efraim? Leggiamo:
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“Io stesso ho insegnato ad Efraim a camminare,
sostenendolo per le braccia; ma essi non compresero che io li
guidavo” (Osea 11:3).
Il Signore vuole condurci! Lui ci ha lasciato ciò che più
conta per Lui: il cammino dell’agnello! Chi si distrae da
questo modo di camminare, “condotta”, si smarrisce anche
se porta frutto, anche se è pieno di lode, anche se vive nei
miracoli.
“Chi dice di dimorare in lui, deve camminare anch’egli
come camminò lui” (1 Giovanni 2:6).
E’ importante fratelli, tenere l’occhio puntato sulle
orme, il cammino, la condotta del Figlio dell’Uomo.
Come appunto abbiamo visto in Osea 7:8,9; la
condizione di essere “cotti solo da un lato”, comporta l’agio
agli stranieri di divorare i frutti prodotti. L’inganno
peggiore, per dire il pericolo, è che “non ci si accorge”.
Questo ci lascia l’illusione di portare e avere frutto, mentre
in realtà siamo derubati.
Il tempo in cui Efraim, fruttifero, farà pace con Giuda,
la lode; cioè ritornerà l’armonia spirituale fra loro, arriva
quando la luce del ravvedimento farà breccia nel cuore
malato. “La gelosia di Efraim scomparirà e gli avversari di
Giuda saranno annientati; Efraim non invidierà più Giuda e
Giuda non sarà più ostile ad Efraim” (Isaia 11:13).
Ritornerà l’armonia fra i due, non sarà più una lode
auto suggestiva e auto stimolante, per gloriarsi dei propri
frutti, ma una lode basata sul ringraziamento di frutti
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prodotti per la grazia del Signore. Tutto ritornerà a gloria
del proprietario:
“Entri il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti
squisiti” (Cantico 4:16). Entri il proprietario, nel Suo
giardino, (noi, la nostra vita, il nostro cuore); ne mangi i
frutti, li gusti, se li prenda in modo che non rimaniamo a
contemplarli come se fossero i nostri distraendoci da quel
santo “cammino”, insuperbendo.
Il messaggio alla chiesa è chiaro: Chiesa, fatti cuocere
da entrambi i lati. Cammina sui passi del Redentore.
***
FAME DI VERITA’, FAME DI GIUSTIZIA
“Perché un angelo, in determinati momenti, scendeva nella piscina e agitava l’acqua; e il primo che vi entrava, dopo che l’acqua era agitata, era guarito da qualsiasi malattia fosse affetto” (Giovanni 5:4).
Di fronte alle occasioni che Dio ci mette davanti, lo spirito giusto di affrontarle è correre per afferrarle; esattamente come se dovessi essere il primo. Secondo Ecclesiaste 9:11, l’uomo dipende dai tempi e dalle circostanze, od occasioni. A causa delle opportunità che ci vengono date da Dio, dobbiamo correre all’arringo che ci sta davanti. Come fossimo i primi, come se fosse solo per noi. In Ebrei 12:1, ci viene detto di correre la gara che ci è posta dinanzi. In 1Corinzi 9:24, Paolo ci dice tanti corrono nello stadio, ma solo uno conquista il premio.
Da Romani 9:16, possiamo intendere che, mentre il desiderio di raccogliere il dono di Dio, come abbiamo già detto, ci
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deve dare stimolo a correre all’obbiettivo, da questo verso impariamo che la riuscita non dipende da noi, dai nostri sforzi, dalle nostre capacità. “Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia”.
Dio fa misericordia a chi ha fame della verità. “Beati coloro che sono affamati ed assetati di giustizia, perché essi saranno saziati” (Matteo 5:6). Come sarà bello all’anima, e caro al cuore, di scoprire, nel cammino, che il mangiare non è solo in relazione alla lettura e alla meditazione delle sacre scritture, o al consultare un ministro di Dio, ma semplicemente, consiste in questo principio, dal quale poi, la grande tavola del Signore si va apparecchiando: Andare a Gesù. “Chi viene a me non avrà mai più fame…” (Giovanni 6:35).
Questa fame ci fa primi nell’ottenere le benedizioni (in generale e in particolare) date da Dio. Primo, o il primato, sono parola destinate alla chiesa eletta, sposa di Gesù Cristo. Intendiamo, in modo particolare naturalmente. Giacobbe usò un inganno per ottenere la primogenitura, tanto gli interessava. Dio permessa ovviamente questo, ma non gli risparmiò la disciplina a riguardo. Lo incontrò passo passo nella sua vita e nel suo pellegrinaggio. In un modo o in un altro, chi ha fame della verità, perviene ad afferrarla. In un certo modo, le parole di Gesù sul successo sicuro di afferrare la giusta convinzione e rivelazione del Suo messaggio, ci danno manforte: “Se qualcuno vuole fare la sua volontà, conoscerà se questa dottrina viene da Dio, oppure se io parlo da me stesso” (Giovanni 7:17). In quel: se qualcuno vuole fare la sua volontà… c’è la misura di ognuno della fame e della sete di Lui. Tali ricercatori, affamati, conosceranno.
Anche la donna dal flusso di sangue rispecchia questa descrizione. Lei disse fra se, che se solo avesse toccato il lembo della sua veste, sarebbe guarita. Notiamo, il desiderio, la richiesta, il farsi strada, quindi, lottare per ottenere, questo
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significa che, come Giacobbe, ha dovuto sgomitare per farsi strada, sappiamo la tensione che regna fra le folle e le file. Quindi, il bersaglio, l’oggetto mirato.
Molti erano davanti a lei, ma lei non guardò gli impedimenti. Si slanciò, aveva fame, andò a Gesù, e lo raggiunse. In questo atto, fu guarita e in altro senso, più elevato ed eterno, non ebbe più fame. Incontrò non solo il Cibo (in quel caso la guarigione), ma il Grande Dispensatore.
Quando lo Spirito viene ad agitare le acque, che sia un parlare di Lui, una qualche circostanza, un qualche evento, Egli ci vuole vedere attenti e scattanti ad afferrare il dono. A questo si accorda anche Efesini 6:15, dove vengono descritti i calzari, della armatura di Dio, come “prontezza” dell’evangelo.
Non c’è stanchezza per chi corre in risposta all’invito dello Spirito; correranno e non si stancheranno (Isaia 40:31).
Se vi sono impedimenti, come nel caso del paralitico descritto in Giovanni 5:4, allora tale desiderio “vero”, sarà udito e accolto da “quell’orecchio”, che è attento anche ai sospiri, rivolti a Lui. Egli stesso si presenterà e darà risposte. Il Signore a volte, ci toglie dal buono per darci il meglio, o l’eccellente. Quell’infermo, fu guarito direttamente da Gesù.
Questa la fame della e per la verità, quando per Verità intendiamo non la comune verità di fatti e parole. La Verità intesa come persona vivente di Gesù risorto, il predicatore vivente, la Parola di Dio viva. Fonte di ogni giustizia. Quando ricerchiamo, e abbiamo fame di questa Verità, dimoriamo “in Lui”. La giustizia è uno dei frutti sgorgando da questa Fonte. Il pericolo maggiore è che avendo fame di giustizia, nel senso della misura dei fatti, siamo tentati (ed anche ingannati) ad avere delle pretese. Il figlio prodigo pretese dal padre la parte che gli spettava. Secondo lui era un misurare secondo la giustizia della eredità: che mi spetta… Il padre non rifiutò, e anche il Padre celeste spesso non rifiuta allo
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stesso modo. Ma quando l’eredità finì, il ragazzo scoprì e riconobbe la Verità. Doveva tornare al padre, nella sua casa. Quella era, quella verità dalla quale non doveva mai allontanarsi, la sua dimora. Non giustizia senza Verità, Gesù Fonte, Parola viva, l’Amen.
Dio ci assista!
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“FORZA DI PIETRA CARNE DI BRONZO”
“Qual è la mia forza, perché possa ancora sperare… La mia forza è forse quella delle pietre, o la mia carne di bronzo? ”. (Giobbe 6:11-12)
Nella sua distretta, Giobbe si chiedeva e rispondeva ai suoi tre amici queste parole. Nelle frase: “Qual è la mia forza”, Giobbe, cercava un esempio a cui paragonare la sua situazione; come voler dire che per sostenere quel tipo di prova ci voleva una forza sovrumana. Sono forse forte come la pietra? Egli diceva. La mia carne è essa dura come il rame? (o bronzo dipende dalla versione). Sembrava volesse dire: sono forse un “super uomo” per sostenere queste sofferenze?
Queste parole vengono da un uomo “lacerato”, moralmente e fisicamente. Vogliamo solo osservare come un po’ tutti arriviamo a dire o pensare queste cose nel corso della nostra vita, specie quando arriviamo a un certo punto del nostro soffrire… Dio ha una risposta a questo tipo di domande. Giobbe dice a se stesso e ad altri: “La mia forza è forse quella delle pietre? ”; noi pensiamo e diciamo la stessa cosa. Ma Dio dice a Giobbe e a noi, Si! Tu Giobbe hai o puoi “avere” la forza della pietra, così come la tua carne pure, divenire di bronzo. Per noi vale lo stesso oggi. Vogliamo entrare nel soggetto.
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La “Forza” della chiesa è la rivelazione ispirata da Dio. Quindi possiamo dire che abbiamo la forza delle pietre. La pietra è simbolo di sicurezza, di forza, di durata. In Matteo 16:18, parlando della rivelazione che Gesù è il Cristo, Egli disse: “Ed io altresì ti dico, che tu sei Pietro, e sopra questa roccia io edificherò la mia chiesa…”. “La forza di pietra è la rivelazione. La chiesa di Cristo è forte tanto quanto riceve Cristo rivelato in sè”. Questo, ovviamente, non esclude il fatto che per essere forte, la chiesa, non debba avere o ricevere altro che rivelazione. Vi sono altri elementi spirituali che non vogliamo trattare altrimenti allungheremmo il soggetto. Comunque, “tutto” di Dio in noi, principia con la rivelazione.
I figli di Dio hanno la forza della pietra, perché ricevono, e devono continuare a ricevere rivelazione intorno a Cristo. In Matteo 3:9 è scritto: “perché io vi dico che Dio può far sorgere dei figli di Abrahamo anche da queste pietre”. Queste pietre dure e aride a causa del peccato, vengono frantumate dalla convinzione di peccato, in un pentimento consumante, ricevono rivelazione da Dio, e così, diventano pietre viventi per formare un edificio spirituale per un sacerdozio santo (1 Pietro 2:4-5). Il risultato di questa forza di pietra lo vediamo anche in 1 Pietro 4:13 “…rallegratevi perché anche nella manifestazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare”. La manifestazione della sua gloria è la rivelazione, (nel greco è scritto Apocalisse), che Egli dà di Sé. Quando Gesù si rivela e si fa conoscere, un profondo sussulto gioioso ci porta a rallegrarci e giubilare… la rivelazione dello Spirito ha questa forza, la forza del giubilo. Un altro effetto lo troviamo in Giobbe 28:2 “Il ferro viene estratto dal suolo, e la pietra (FORZA, RIVELAZIONE) fusa dà il rame”. Il ferro è la spada; la parola di Dio. Essa viene “tratta” dalla polvere… non dalla polvere così come siamo, perché Dio disse ad Adamo: “Tu sei polvere…” ma, da un processo di macinamento per cui possiamo RITORNARE a essere polvere, prima nell’uomo interiore poi nell’uomo esteriore: “Tu mangerai il tuo pane col sudore del tuo volto, finché tu ritorni in polvere…” Genesi 3:19. Dopo gli disse: “Tu sei polvere e in
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polvere ritornerai”. Mangiando di questo “pane” (la Sua parola vivente – di Dio) noi veniamo macinati, ridotti in polvere; e da questa polvere “estrae” una spada, il ferro. Prima ingeriamo il pane poi se ne estrae il ferro. “E la pietra fusa dà il rame”. Vuole dire: la rivelazione “fusa”, cioè sottoposta al calore forte dello Spirito Santo “produce” e “diviene” bronzo. Il bronzo rappresenta l’aspetto esterno della persona, vale a dire, la messa in “pratica” della rivelazione. E’ come una corazza, o un’armatura. Questo vuole dire che, la rivelazione che abbiamo di Cristo non deve essere solo interiore. Bensì, deve esprimersi, deve materializzarsi, in una qualche opera, o azione. Così abbiamo la forza della pietra e la carne di bronzo. Così dunque, possiamo sostenere le prove, le sofferenze.
In Apocalisse 1:15 e detto che Gesù, visto nella gloria, aveva i piedi di bronzo (o rame) arroventato. Camminare praticamente (rivelazione-pietra-fusa, diventata bronzo-realtà) calpestando serpenti e scorpioni. Questo vuole significare, che nei nostri rapporti col Signore, dobbiamo tendere a incominciare, da dove Dio incomincia, proseguire come Lui prosegue e terminare come Lui termina. Dio inizia a formare la Sua opera dentro di noi, rivelandoci la Sua volontà. Ciò che ci ha rivelato, poi Egli lo trasforma in realtà.
Vi sono molti pericoli nella vita dello spirito, e uno è proprio questo; incominciare a formare e definire l’aspetto esteriore. Il cercare di conformarsi alla volontà di Dio, con una ubbidienza che chiamo religione volontaria. Dio non ci chiama ad “un” adeguamento (sebbene l’adeguarsi fa parte della volontà di Dio e del cristiano) o a “un” imitare la vita cristiana. Ma Dio ci chiama a… “ESSERE”, ciò che Lui ci dice; noi dobbiamo “essere”, la parola di Dio. Qualche accenno biblico lo abbiamo in Ezechiele 40:3, dove è detto di una visione. In questa visione il profeta vide un uomo, ed è scritto testualmente…: “il cui aspetto era come l'aspetto di bronzo”. “L’aspetto”, l’esteriore; la parte “visibile”, esteriore, era di bronzo. Giobbe appunto disse: “La mia forza è forse quella delle pietre, O LA MIA CARNE (aspetto esteriore) di bronzo? ”. L’aspetto esteriore di quell’uomo, nella visione di Ezechiele, era anch’esso di bronzo.
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Così deve essere per il credente che esperimenta ciò che abbiamo scritto sulla rivelazione, che, come la pietra fusa dà il rame, così la rivelazione (pietra) “provata” dal fuoco delle prove e dello Spirito Santo dà il rame (o bronzo), cioè, la rivelazione ci dà la forza delle pietre e rende la nostra “ESPRESSIONE” (aspetto esteriore), le nostre opere (da parte di Dio), le nostre azioni, il nostro “praticare” la vita di Gesù Cristo, forte come il rame; così come era l’aspetto di quell’uomo, nella visione di Ezechiele.
Come stavamo dicendo, molti pericoli ci assalgono, specie quando siamo tentati a iniziare, anziché dalla rivelazione, cioè dall’interiore, iniziamo dall’esteriore, dall’apparenza… un apparenza senza la realtà. Così diveniamo come disse Paolo ai Corinzi: “Quand'anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non ho amore, DIVENTO un bronzo (o rame) risonante (espressivo, manifesto) o uno squillante cembalo” (1 Corinzi 13:1). Vuol dire: se operiamo buone opere, azioni di bene, se nella nostra sembianza manifestiamo qualcosa di Dio, e così abbiamo, in qualche modo, l’aria di assomigliare a dei credenti. Se non abbiamo prima comunione con Dio, la Sua rivelazione e conferma, guida e trasporto, allora abbiamo solo un’apparenza… RAME RISONANTE.
Un’altra figura la troviamo in Marco 7:4. dove ci viene narrato come i farisei oltre a tutte le cose che dovevano fare per purificarsi c’era anche il lavaggio delle brocche di rame. Questo per rinforzare il discorso, come vi è questa vanità di curare il visibile, l’esteriore, per farsi vedere ed apprezzare dagli uomini. L’uomo vuole e va in cerca sempre di MOTIVI per cui innalzare i loro lider e seguirli.
Possa il Signore darci coraggio in queste parole, in questa visione della pietra e del bronzo. Considerare che quel che Lui ha iniziato porterà a compimento, dalla rivelazione intima, alla espressione esteriore, il tutto per manifestare la gloria dell’invisibile Iddio e Salvatore Gesù Cristo, amen!
***
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GIUSTIZIA E VERITA’
Giustizia è in ragione della verità. Verità, non è concetti ed
argomenti, definibili in “questo o quello”. Verità è una persona:
l’Uomo Gesù. Realtà sostanziale permanente. La giustizia può
essere definita in argomenti e concetti. Come avviene nel codice
della strada. Anche nella giustizia vi sono delle precedenze, che
misurano una giustizia più importante dell’altra in quanto a
priorità. Ma questo avviene sempre in ragione della verità. Tutto
ciò che esalta Cristo, e lo mette in risalto nella Sua volontà, va in
prima linea. Ricordiamo il caso dei pani consacrati dati a Davide.
In questo preambolo, è sintetizzato questo importante
significato. La giustizia è una misura ma, la verità è una persona.
Prima che le anime pervengono ad una comunione stretta con
questa persona, personaggio (Gesù Cristo), è necessario passare
da un lungo processo di purificazione. Purificazione da che? Da
tutti i sistemi di misura basata sulla misura stessa. E’ come trattare
con l’esercito senza considerare prima il capitano. Stabilire che
l’esercito si muove da solo perché ha l’autorità ufficiale per agire
come nessun altro può fare. Ma l’esercito non fa un passo se non
che il capitano da ordini, sul se, come e quando. E’ come esaltare
gli strumenti di lavoro di un artigiano, e considerare che la buona
riuscita del lavoro sia merito loro; invero, essi non hanno alcun
potere di muoversi da soli. Senza il controllo, l’esperienza e la
capacità professionale dell’artista, quei strumenti rimangono morti;
ci sono ma sono inutili senza il controllo di chi li sa usare.
Il popolo di Dio ha fallito sempre nella parte oggettiva del
messaggio e nei rapporti con Lui! Ha sempre esaltato la legge in
forma di codici e prescrizioni, trascurando ciò che è essenziale,
sostanziale, il centro della legge: la parte migliore, Lui stesso! E’ un
pò come dire, che l’aspetto più affascinante è diventata la Sua
grande ed imperscrutabile Sapienza, piuttosto che mettere in
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relazione questa meravigliosa verità con il Suo cuore, le viscere di
misericordia.
In questa confusione, è compreso anche quell’aspetto
puramente sentimentale, dove il tutto si concentra solo sulla bontà
di Dio, sulla sua misericordia, ma in forma emozionale
(sentimentalismo) fino al punto di non badare, dare nessuna
importanza alla santificazione. Entrambe le forme di giustizia
(misure) sono sbagliate perché semplicemente umane. Le due
caratteristiche principali e costituzionali dell’anima sono appunto:
la sfera razionale, mentale e la sfera sentimentale. L’uomo difetta
in queste due caratteristiche componenziali, esattamente nelle due
dimensioni principali di com’è fatto. Nella sua visione umana
dunque, L’uomo è soggetto all’influenza del visibile, in tutte le sue
forme. Quindi viene condizionato da ciò che vede e sente, dando
prevalenza alla parte oggettiva delle cose. Anche nei rapporti
umani le relazioni sono condizionate dalla maniera di come si
tratta con gi oggetti, e con tutto ciò che riguarda ciò che è
oggettivo. L’uomo, la creatura, rappresenta la parte soggettiva
dei rapporti umani, mentre le “cose” dell’uomo la parte oggettiva.
Nei rari casi di equilibrata umanità, diciamo nel senso positivo
della considerazione del termine, risalta l’interesse sul soggetto:
l’essere umano. Vediamo nel caso di persone altamente morali e
altruiste come si interessano del prossimo in modo principale;
curandone l’aspetto economico in caso di disagio, l’aspetto della
salute, l’impiego e sostegno morale. Certo, l’aspetto oggettivo
serve ed è positivo, ma perde il suo valore quando viene misurato
in modo prioritario. Molto di oggettivo riguarda le persone e i suoi
bisogni, ma quando questo aspetto prende il posto del soggetto
diretto, l’essere umano e la sua personalità, moralità e spiritualità,
allora si crea uno squilibrio che a lungo andare diventerà
distruttivo.
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Questo il quadro della situazione umana e religiosa. L’uomo
considera la giustizia secondo le impressioni dell’anima sua, i suoi
sensi. L’uomo è schiavo della sua mente, condizionata dalle sue
emozioni.
La giustizia di Dio invece non è costituita per essere esaltata
per se stessa ma, come essendo vista e considerata attraverso il
suo Autore. Dio è il giudice e legislatore (Giacomo 4:12). Si noti,
giudice, ma non solo; egli è anche colui che fa, istituisce le leggi.
La giustizia, di come appare, è un sistema di misura che non
mira ad essere pretenzioso ed assoluto. Essa si adegua alle
necessità e bisogni dell’uomo, per la sua guida ed ordine. La
giustizia che Dio vuole raggiungere in noi è quella dello Spirito,
ossia sulla base dello spirito umano. Viene considerata la portata,
la capacità ricettiva e la maturità dell’individuo. Si mediti
attentamente 1Corinzi 2:1-16. Quindi la giustizia fatta di regole e
prescrizioni, si adatta alla capacità personale di comprensione
dell’individuo. E’ come una forma di galateo di come
apparecchiare una mensa davanti a lui; mentre la grazia riguarda
all’interesse per il modo del come viene apparecchiata.
Dio è amore e riguarda alla misura e al modo di come trasmette
le sue leggi e la sua parola, perché non vuole che l’uomo li perda
per la sua incapacità. E’ Lui solo che ci rende capaci, perché sa
come parlarci. Un maestro, nei confronti di un alunno o discepolo,
userà rivolgersi a lui insegnando quel che sa, ma non in ragione
della potenza della sua sapienza, che riguarda l’altezza di ciò che
ha raggiunto, come importanza e come misura. Ma, si rivolgerà con
la grazia della sapienza; parlerà un linguaggio secondo che
l’alunno potrà comprendere, per potere così relazionarsi al
maestro e all’insegnamento. Se così non fosse l’insegnamento
andrebbe perduto. Sarebbe come se Dio ci parlasse in ragione, in
misura, e in virtù della sua potenza di Sapienza. Sarebbe un
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linguaggio irraggiungibile per noi. Cosa ne otterrebbe il Signore,
Lui che ha voluto raggiungere la sua creatura perché l’ama?
Ora, perché la giustizia, che ha anche misure estreme e
severe, si inclini e prenda forma di adattamento, secondo il
bisogno dell’anima che riceve la parola del Signore, ci vuole un
tramite, un intercessore!
Una parola meravigliosa fu espressa da Eliuh a Giobbe,
leggiamole con santo timore e riverenza:
Ma se presso a lui vi è un angelo, un interprete, uno solo fra
mille, che mostri all’uomo il suo dovere, Dio ha pietà di lui e
dice: Risparmialo dallo scendere dalla fossa; ho trovato il
riscatto per lui (Giobbe 33:23,24).
Ecco, io sono uguale a te davanti a Dio; anch’io sono stato
formato dall’argilla. Ecco, nessuna paura di me ti dovrebbe
spaventare, e la mia mano non graverà su di te (v.6,7).
Benedetto è il Signore per queste perle!
Attraverso questi versi vogliamo vedere l’importanza del
significato di queste parole.
Questo quadro ci presenta l’aspetto umano di Cristo nel Figlio
dell’Uomo. Dio attraverso questo atto, di venire a noi in forma
umana, ha parlato il nostro linguaggio. Non ha avuto la pretesa
che noi lo capissimo, piuttosto, si è ridotto ai livelli del più debole.
Per questo abbiamo letto che se presso al bisognoso vi è un
interprete e specifica, uno solo fra i mille, uno che interceda per lui,
Dio dichiara che lo risparmierà perché ha trovato il suo riscatto.
Questi è Cristo.
Come Lui anche noi possiamo essere trovati al fianco del debole,
ed essere considerati “intercessori”. Grande responsabilità! Dio
aiuta quando vede che l’intercessione viene accolta da qualcuno. E’
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detto che Dio cerca qualcuno che si sappia mettere sulla breccia
ma non lo trova. Leggasi Ezechiele 13:5 e 22:30. Beato chi si
presenterà al Signore dicendo come Isaia: Manda me!
Questo verso in Giobbe ci parla della necessità che vi sia un
intercessore ed interprete. Perché? Dio adatta il suo linguaggio per
raggiungere tutti. Parla attraverso i suoi, veri intercessori perché
disciplinati (Isaia 50:4,5) per tradurre l’amore e la sapienza di Dio
benefica per il bisognoso.
Il secondo verso che abbiamo scritto, precisa l’essenzialità del
personaggio e del Suo “modo” divino di grazia di “come” si
rapporta agli afflitti. Gesù disse che lui è mansueto. Questa
caratteristica porta ed ispira chiunque ad avvicinarlo con piacere.
Nessuna paura dunque come è detto. Lui si è fatto come noi, tratto
dall’argilla (la sua umanità), uguale a te, la Sua mano non graverà
su te. Quella mano invero è stata trafitta per noi tutti… Gloria a
Dio!
Atto che rivela profonda richiesta di amicizia, così chiamò e
considerò i suoi discepoli.
Questa l’essenza il centro del piano di Dio. Questo, Dio,
chiama Verità. Gesù è il predicatore vivente che si deve formare
dentro di noi. Mediante, o iniziando dalla nuova nascita, comincia
a camminare e a muoversi dentro di noi.
Di Lui fu detto che: “E tutti gli rendevano testimonianza e si
meravigliavano delle parole di grazia che uscivano dalla sua
bocca” (Luca 4:22).
“Le guardie risposero: Nessun uomo ha mai parlato come
costui” (Giovanni 7:46).
Gesù è speciale, Unico! La sua grazia lo rende il più bello di tutti.
Egli sa come parlare ad ognuno. Lui ti aiuta a capire; non
pretende da te qualcosa che tu non puoi dare. Con questo non
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voglio dare l’idea che il Signore sia sempre docile nei modi di
trattare con noi. Quando diciamo che lui sa come parlarci è perché
ci conosce meglio di chiunque; quindi sa anche quando
approfittiamo della sua grazia. Il Signore è anche severo; ma di
una severità positiva educativa.
La Verità dunque è Gesù Cristo. In ragione alla verità vista
così, si applicano le misure di giustizia. Secondo gli scribi, la donna
che gli menarono colta in adulterio, doveva morire. Secondo il
cuore di Dio in Cristo, e secondo la Sua elezione, doveva essere
liberata perché vi era predisposizione a ravvedimento. Parlando
in generale, in direzione del peccato e poi di quelli che amano di
praticarlo, viene detto che gli adulteri non entreranno nel regno di
Dio. Iddio applica le misure di giustizia in ragione di colui che si è
fatto come noi, quindi, secondo il cuore dell’Intercessore.
Un altro aspetto profondo della verità impersonificata è che,
per verità nella scrittura greca veniva detto, amen. Amen significa
così è! Oppure, è vero! Gesù è l’Amen, Colui che dà certezza e
conferma le cose del cielo. Il si e amen di 2Corinzi 1:20, è che il si,
riguarda l’esatta esposizione dei fatti; la verità dei fatti, questo
come prima testimonianza. L’Amen, è Cristo, la Verità assoluta
vivente in noi che dà conferma interiore, intima.
Sulla base di questa verità, di questa relazione spirituale che
Dio applica la Sua giustizia. Non per agevolare il male
accarezzandolo, ma per dare possibilità a quanti desiderano
essere liberati e condotti ad una assoluta determinazione, volontà,
di realizzarla. Gesù disse ai discepoli (e a noi tutti) che erano lenti
a capire le cose dello spirito. Quindi abbiamo bisogno di tempo
ed opportunità. Solo per la pazienza del Signore nella sua grazia,
questo può essere possibile.
Coltiviamo sempre l’intima verità, in un rapporto d’amore
spirituale, e non mancheremo mai del pane quotidiano. Il Signore
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sarà là per spezzarlo come ai dì della sua risurrezione, quando ciò
facendo aprì gli occhi ai discepoli per vederlo. Amen.
***
I BANCHIERI DI DIO
“Non è forse lecito far del mio ciò che voglio? O il tuo occhio è
cattivo perché io sono buono? ” (Matteo 20:15)
“Ti giudicherò dalle tue stesse parole malvagio servitore ”
(Luca 19:22).
“Tu avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, al
mio ritorno, l’avrei riscosso con l’interesse”(Matteo 25:27)
I banchieri di Dio sono coloro che hanno fatto l’esperienza di
Isaia 50:4-11, per quanto riguarda la preparazione.
Preparazione che non può essere acquistata in altro modo che
con la sofferenza e una comunione continua e stabile con lo
Spirito di Dio, la testimonianza di stare in contatto con la voce
del Signore. Vengono così aperte le orecchie per ascoltare ed
imparare a come parlare in modo opportuno allo stanco.
Questi vengono chiamati “ristoratori di rovine”, secondo Isaia
61:4; 58:12.
Diciamo banchieri per un motivo serio. Nei nostri
rapporti fraterni, abbiamo modo di comunicare e scambiare
idee, pensieri e ragionamenti l’uno verso l’altro Il credente,
che fa patto con sacrificio (Salmo 50:5), viene per così dire,
abilitato a comunicare non più secondo la logica dell’uomo e
per i fini dispersivi del visibile, del materiale; bensì, ai fini di
trasmettere lo Spirito di vita del Signore. In Isaia 50 si parla
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della disciplina dell’orecchio, con l’obbiettivo di imparare il
linguaggio opportuno da dare come “risposta” allo stanco Il
servo disciplinato alla scuola del Signore, impara ad ascoltare
lo stanco e ricerca la sua risposta in Dio, da ministrare per il
suo bene. Se il bisognoso investe nella banca di Dio, cioè i Suoi
servi, allora il denaro, l’eredità, verrà ridata con gli interessi al
depositante bisognoso. Vi sono diversi modi di intendere il
denaro in forma rappresentativa. Non è da intendere che la
parola denaro significhi necessariamente, ricchezza. Piuttosto,
può considerarsi come viene espresso in alcune traduzioni:
“sostanze” La sostanza dunque di ognuno, rappresenta questi
denari che vogliamo individuare. Inoltre vi sono sostanze che
danno la misura di quel che già c’è dentro di noi, come anche,
per chi si lascia ammaestrare, quel che va ricevendo in un
cammino progressivo col Signore Quel che già c’è e quel che si
va ricevendo, formano la quantità di come viene misurata in
noi questa “sostanza”
Cosa farà quindi l’anima stanca, bisognosa? Il consiglio di
Dio come ordine armonico, è di “investire” nella presenza di
Dio, nella Parola di Dio, ma anche nei servi di Dio. Questo al
fine di intendere come ciascuno deve comportarsi di fronte
allo stanco. Voglia Iddio aiutarci. Ad ognuno può capitare
questo, che sia un ministro o no. Ai ministri per certo è riferito
in modo più diretto e responsabile. Comunque vale per tutti
come principio.
Avviene questo: Nel momento in cui capita che qualcuno
si apre e ti esprime i suoi pensieri, si confida con te perché si
fida di te, ha l’impressione che sei un servo di Dio o comunque
una persona affidabile e responsabile. In quel momento sta
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“investendo” su di te Tu rappresenti un banchiere di Dio per il
bisognoso Arriva però il momento per te di “ritornare” questo
investimento al proprietario. Sono i suoi segreti che hai nelle
mani, i suoi denari, i suoi bisogni, le sue domande. Arriva il
momento in cui devi restituire in forma di “risposta”, che sia
anche in forma di azione, quel che ti è stato “affidato” come
investimento.
Abbiamo nella scrittura molti avvisi e rimproveri di Dio
ad Israele circa il consultare medium o falsi profeti, L’Egitto e
Babilonia. Il peccato, per dire il male, era nel fatto che questi
falsi saggi, prendevano i segreti, i bisogni dello stanco e
rispondevano (reagivano) in modo da non ritornare il denaro
(sostanze ricevute) con gli interessi, ma con una ipoteca sui
beni dello stanco, su ciò che hanno confidato loro di loro stessi.
Così, lo stanco si confida, si apre nei suoi segreti e misteri;
questi imbroglioni prendono le sostanze, le ipotecano e così
tengono in pugno le anime dando risposte magre e vincolanti a
ciò che non riescono a fare, a ubbidire. Più un guerriero viene
a conoscenza dei segreti del suo nemico, più lo tiene in pugno.
Si parla nell’Apocalisse di Babilonia, la quale fa
commercio di anime umane. Per uscire da questa realtà
crudele, non basta dire: Gesù è buono, l’amore di Dio, siamo
cristiani, ecc… Bisogna riconoscere e confessare la realtà di
questo male che è spirituale e quindi può raggiunge tutti. Lo
spirito babilonese è uno spirito filibustiere; si impadrona delle
anime umane. Esse (le anime) si confidano con chi gli sembra
meglio, sono stanche, cercano incoraggiamento in chi sembra
spirituale e si confidano, rivelano i loro segreti. Di questi Gesù
disse che amano mettere pesi sulle spalle delle persone, senza
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che essi li spostino con un dito. Il tutto nel nome
dell’ubbidienza della legge, come pretesto Di questi tali il
Signore ci ha messi in guardia. Nelle diverse chiese, si
muovono come ministri, se non pretendono di esserlo
prendono comunque il loro posto sul pulpito, con i pretesti più
usuali come scuse. Succede aimè che anche chi ha un ministero
può cadere in questo tranello. Non sempre il problema è: se ha
o no un ministero. In merito a questi, il problema è nel fatto
che non tutti sono abilitati all’autorevolezza dell’insegnamento
apostolico. Molti sono pastori, e quindi devono attendere
principalmente alla cura delle anime. Un evangelista, al
richiamo del peccatore a ravvedimento. Sono pochi i ministri
che hanno l’autorità dell’insegnamento apostolico
Quelli che sono stati ammaestrati a questo incarico, sanno
che devono dedicarsi specialmente in questa direzione.
Quando lo stanco si aprirà, rivelerà i suoi segreti, investirà
nella consacrazione del servo che lo ascolta. Il servo
raccoglierà e con la massima serietà e spiritualità darà quelle
sante risposte attraverso cui lo stanco troverà il riposo, gli
saranno ridate le sostanze con gli interessi delle risposte.
Nella parabola dei talenti, Gesù rivela l’atteggiamento di
chi nasconde il bene ricevuto, al contrario dello scopo per il
quale Dio gliela dato. In Matteo 25: 24 è detto di questo servo
sprovveduto:
“Infine venne anche colui che aveva ricevuto un solo
talento e disse: Signore, io sapevo bene che tu sei un uomo
aspro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai
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sparso; perciò ho avuto paura e sono andato a nascondere il
tuo talento sotto terra; ecco te lo restituisco”
Si preoccupava di ciò che non capiva dei metodi del suo
padrone E’ l’errore delle menti sospettose e cavillose, menti
agitate Il suo dovere e ruolo era l’occuparsi del talento che gli
era stato affidato, mentre lui si preoccupava di qualcosa più
grande di lui, affari, diremmo, di cui piace occuparsi anche il
diavolo… L’uomo astuto e malizioso desidera occuparsi del
tanto; il poco, per se lo vede declassante. Sa, è cosciente che il
suo padrone raccoglie, o meglio, può farlo, là dove non è
passato il servo a lasciare il seme, ma non riesce a spiegarselo.
L’uomo religioso sa che Dio lavora e prepara le anime, e
sa raccogliere anche dove il servo (con i talenti) non ha
seminato. Di questo ha paura perché è troppo eccessiva la
spiritualità a cui mena questa caratteristica di Dio L’uomo
religioso (nel senso speculativo del termine) non è spirituale,
anzi, uccide la spiritualità, per questo dice che ha avuto paura
e ha nascosto il suo talento sotto terra. La terra fa pensare al
vecchio uomo, come dire che è stata dimenticata nella terra,
deposto nella terra, nascosto e dimenticato in se stesso; tenuto
soppresso dai ragionamenti umani; noi siamo la terra. Esso è
consapevole che Dio lavora le anime anche prima del suo
umano intervento, nel dare testimonianza dell’evangelo
(seminare). Il talento viene dato per sapere seminare e per
sapere raccogliere saggiamente.
Lui lo nascose, lo dimenticò. Non voleva avere a che fare
con quella caratteristica così profondamente pietosa del suo
signore (del nostro Signore), di saper raccogliere nonostante
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non vi sia stata la seminagione. Questo rimpicciolisce molto
l’orgoglio umano, specie l’orgoglio religioso Dinanzi a tale
sapienza, il servo col talento si sente così povero che non vede
più il profitto dell’utilizzo del suo talento Come abbiamo
detto, è cosciente delle capacità del suo padrone, ma non sa
raggiungerne il metodo, non sapendo spiegarsi il come E’
davanti all’evidenza finalmente, che il talento devesi usare non
come il servo vuole, secondo la sua premura ed estro, ma forse
comincia ad accorgersi che deve attendere all’aiuto di
qualcuno; un amministratore. Investire in banca, a dei
banchieri di Dio, i ministri, onde aspettare il suo “ritorno” La
vera seminagione, il vero servizio partirà da quel momento; da
quando il Signore “tornerà”, trarrà il talento fatto con
l’aggiunta degli interessi; moltiplicato, e seminerà secondo
giustizia, in quei cuori in cui ha saputo arare nel silenzio e nel
profondo e nel modo in cui conviene E’ necessario investire
nei banchieri di Dio (i ministri), affinché quel talento ricevuto
servisse ad avvicinare a loro, per poi, ricevendo il loro
consiglio (il consiglio di Dio attraverso di loro) potevamo
ricevere il nostro talento con gli interessi.
I punti sono, investire nei banchieri e aspettare il ritorno
del padrone. La prova di aver saputo far fruttare il talento,
ciascuno per quel che ha ricevuto, era nel riconsegnarlo al
padrone, il proprietario, con gli interessi. Questo avrebbe
dimostrato che il talento affidato era stato consegnato a
qualcuno, specialista nel far fruttare quel talento. I banchieri di
Dio, i suoi servi. Questo ci dice che tutti abbiamo dei talenti,
ma non possiamo usarli da soli; abbiamo bisogno di ministri
preparati da Dio (i banchieri) a saper far fruttare il poco.
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Guardiamo come avviene il processo del moltiplicare. Nella
moltiplicazione dei pani, Gesù spezzò i “pochi” pani, li
benedisse e li “consegnò ai discepoli” Quest’ultimi, li
consegnarono alle folle nella condizione di moltiplicazione e di
abbondanza. Fu dunque nelle mani dei discepoli che si realizzò
la moltiplicazione. Gesù da (Colui che è il proprietario dei
doni) ai suoi servi preparati da lui, e nelle loro mani si avvera
il miracolo della moltiplicazione, gli interessi. Se guardiamo
nella vita di Eliseo, notiamo ed abbiamo delle immagini come
testimonianze di come si muove questo insegnamento dei
talenti.
Cominciando da 2 Re 4:1-7 viene raccontato della vedova
e del suo debito. I suoi figli erano il bersaglio dei creditori,
erano in pericolo di essere presi come schiavi. Cosa fece la
vedova? Aveva si un vasetto d’olio, diremo il talento, perché da
lì partì la moltiplicazione. Ma non pensò di agire da sola. Così
come succede oggi a tanti presuntuosi cristiani pensando: Io
ho lo Spirito Santo! Dio mi aiuterà. Gesù è il mio pastore. La
parola di Dio dice… Non pensò di agire da sola, si rivolse al
servo di Dio! Eliseo gli disse cosa doveva fare, seppe
consigliarla, e alla fine quel vasetto d’olio che lei aveva già,
moltiplicò, ne ebbe degli interessi. I collaboratori, in quel caso,
contribuirono dando vasi “vuoti” Questo ci parla dell’aiuto e
partecipazione di tutti, ma fu il servo di Dio delegato da Dio
stesso e riconosciuto dalla donna (potremmo vedere anche la
chiesa), a dare il così parla il Signore e risolvere il caso.
Continuando, dal verso otto al trentasette; abbiamo la
storia della donna che ospitò Eliseo. Non aveva ancora avuto
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un figlio, e desiderava tanto averlo L’uomo di Dio intercedette
e Dio lo esaudì, così lei concepì un figlio dal suo marito.
Quando fu ragazzo, morì per una malattia alla testa. La
madre non si diede per vinta e cercò Eliseo perché sapeva, di
quell’intimo sapere, che Dio era potente di restituirglielo
Aveva fede in Dio, perché non pregare da sola? No! Era umile,
cercò chi Dio aveva coinvolto nell’intercessione, per quel
concepimento miracoloso. Il figlio era il talento, potremmo
dire, ma ora lo voleva restituito attraverso risurrezione.
Era come averlo con gli interessi, averlo attraverso la
risurrezione, averlo una seconda volta. Andò al servo, chiese al
servo, ma confidò nell’Iddio del servo
Dal verso trentotto a quarant’uno, abbiamo la
testimonianza della minestra risanata. Il servo raccolse delle
erbe selvatiche e le portò all’accampamento Le mise nella
pentola ed è detto: “Benché non sapessero che cosa fossero”
(v.39). Il servo del profeta (significa tutti, ognuno di noi) è
abilitato a cercare ingredienti per cucinare, preparare da
mangiare, il nutrimento… Questo fa parte dei talenti. Ma,
notiamo il particolare accennato. Non sapevano cosa erano
alcune parti di quelle erbe. Questa è una bella lezione, per
vedere come noi tutti non conosciamo bene gli elementi che
compongono ciò che diventa alimento… Ci volle l’intervento di
un servo disciplinato a tale scopo che, pronto e rapido sapeva
come intervenire quando fu chiamato in questione. Gettò della
farina, simbolo di Cristo, della Parola vivente, seppe cioè
applicare l’ingrediente che mancava, diremmo, l’ingrediente
che mai deve mancare. Chiamarono il ministro di Dio sulla
scena.
114
Dal verso quarantadue a quarantaquattro, abbiamo la
storia della moltiplicazione dei pani. Lo stesso insegnamento
che abbiamo visto sui discepoli con Gesù.
In tutto questo, Eliseo rappresentò un banchiere di Dio
per quelle circostanze, ritornando ciò che gli veniva
consegnato e richiesto, con gli interessi della buona riuscita e
del successo alla gloria di Dio.
Torniamo al servo pigro. Quando fu davanti al suo signore
spiegò i motivi per cui non aveva trafficato il talento, come
abbiamo già accennato. Il servo dichiarò che il suo signore era
un uomo aspro, che miete dove non ha seminato e raccoglie
dove non ha sparso e per questo ne aveva paura. Il signore gli
rispose così: “Malvagio e indolente servo, tu sapevi che io
mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso…”
(Matteo 25:24-26). Non confessò di essere aspro in questo
brano scritto da Matteo, secondo come lo descrisse il servo.
Accennò solo alla sua capacità di saper raccogliere dove non vi
era seme. Per questo Egli è Dio! Amen! Abbiamo già accennato
sul significato di questo. Spesso si è tentati a non trafficare
perché si ha una visione sbagliata di Dio. Tanto il Signore fa lo
stesso ciò che deve fare. Lui è severo, è santo e giusto. Lui sa
punire il disubbidiente e colui che aggiunge, perché è scritto
così ! Per questo mi sono limitato a “ripetere”, cioè conservare
il talento così com’è, così sono sicuro di non sbagliarmi quando
dovrò ritornarlo. Sarà intatto, bene conservato, sarà uguale e
nelle stesse condizioni di quando me l’ha dato Dal punto di
vista di quelli che si dicono credenti, inquadriamo la
situazione così: Sono letteralisti, ritengono che non serva
meditare e confrontare. Informarsi e confrontarsi con altri,
115
soprattutto con i servi di Dio che hanno segnato un percorso
del cammino di Cristo nella chiesa, in mezzo ai candelabri
nelle diverse epoche (Apocalisse 2:1).
Lasciano le cose come sono e sono abili in questo. Ma, è solo
una pretesa. Come si sa, quando le cose non progrediscono
regrediscono. Di fatti, quando una cifra di denaro non aumenta
nel tempo come investimento, è come se avesse perso il suo
valore, quindi diminuita Non è più la stessa! E’ la stessa come
somma, ma svalutata. Consultare i banchieri di Dio (i suoi
ministri) significa, non agire da soli. Farsi aiutare, non essere
facili a parlare e a fare dichiarazioni audaci, imparare sobrietà
ed equilibrio. Avere consiglio ed una figura umana
(possibilmente) da osservare come esempio. Quel genere di
persone che non traffica con i banchieri di Dio, e ciò significa
collaborazione, riconoscere i servi di Dio con ministero, sono
superbi, non sanno umiliarsi. Vanno in giro presentando,
facendo mostra di ciò che Dio gli ha dato per vantarsene ed
attirare l’attenzione su se stessi. Sono lezioni nascoste, devono
essere viste per lo Spirito nello spirito.
Un alta considerazione importante è che, nel non investire il
talento affidato dal padrone, vuol dire nascondersi
furtivamente. Investire nei bancari significa scoprirsi, rendere
manifesto Nel momento dell’investimento, il talento sarebbe
stato registrato come proprietà del padrone; quindi il servo
non avrebbe potuto più usufruirne nel caso il padrone non
fosse tornato. Chissà, poteva pensare, in tempi come quelli in
cui la vita si perdeva così facilmente, poteva succedergli
qualsiasi cosa nel viaggio… Magari non sarebbe più tornato
116
per qualsiasi motivo. In tal caso, se il servo nascondeva il
talento, avrebbe potuto tenerselo per se.
Guardiamo di fatti come viene descritto in Luca 19:
“E chiamati a sé dieci suoi servi, diede loro dieci mine e disse
loro: Trafficate fino al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo
odiavano e gli mandarono dietro un‘ambasciata, dicendo: Non
vogliamo che costui regni su di noi” (v.13,14).
Notiamo dunque che, dal momento in cui il padrone se ne va,
dopo aver dato i doni e la missione, i cittadini (è venuto in casa
sua, Giovanni 1:11) mandano un’ambasciata, i loro migliori
predicatori, per scoraggiare i servi. Qui vediamo da dove viene
anche il timore di investire quel denaro per fare arricchire il
padrone, odiato dai cittadini. Quel servo era un codardo.
Sappiamo che, anche del ritorno del Signore alcuni diranno:
Dov’è la promessa della sua venuta? (2 Pietro 3:4) Questi che
diranno così, non vogliono che Cristo regni su di loro.
Al ritorno del padrone, il servo cercò di farsi apprezzare
mostrando il dono così come gli è stato dato. Leggendo in Luca
disse: “Perché io ho avuto paura di te, che sei un uomo severo;
tu prendi ciò che non hai depositato e mieti ciò che non hai
seminato” (v 19:21) Questo quanto disse nel racconto di Luca,
nonostante si parli di mine, il racconto è diverso solo in
qualche sfumatura, sostanzialmente è uguale. Notiamo cosa gli
disse il padrone: “Ti giudicherò dalle tue stesse parole,
malvagio servo; tu sapevi che sono un uomo duro, che prendo
ciò che non ho depositato e mieto ciò che non ho seminato…”
Il padrone usò le sue stesse parole, non ammise di essere così,
ma come sono i metodi misteriosi del Signore, Lui parla come
facendo credere quel che si vuole come efficacia d’errore per
117
continuare ad essere ingannati (2 Tessalonicesi 2:11). Un altro
verso che ci illumina è in Matteo 20:15:
“Non è forse lecito far del mio ciò che voglio? O il tuo occhio è
cattivo perché io sono buono? ” E’ la storia degli operai delle
diverse ore. Anche qui il Signore è sempre protagonista e
gestisce la situazione in armonia di situazioni e gestione, come
nel caso e nei brani dei talenti e delle mine, che stiamo
trattando. La frase interessata che rivela il carattere del
Padrone divino è: “O il tuo occhio è cattivo perché io sono
buono?” In Luca 19:22 abbiamo visto che il padrone
rispondeva al servo disubbidiente sulla base delle sue stesse
parole. In questo verso, viene messo in evidenza che è l’occhio
del servo ad essere cattivo perché il padrone è buono.
Esattamente come chi è malizioso Ha l’occhio malvagio su chi
è innocente. Così verso Gesù, così verso la chiesa.
In riferimento a chi difende una qualche linea di fede, che sia
pentecostale o altro, o quelli che credono nel ministero del
fratello William Branham (il profeta di questa ultima epoca),
nascondere il talento e non trafficarlo, significa ripetere
semplicemente i concetti già dati dai ministri preferiti. Ogni
linea di fede ha preso origine da un ministro, che poi dai
seguaci diventerà un punto di riferimento. Ciò è giusto; ma se
non si continua a crescere attraverso il passaggio del Signore
attraverso altri delegati (altri ministri), si stagna in parole
ripetute, parole morte. Il procedere del ripetere e ripetere,
porta alla illusione e religione volontaria.
Ma su che criterio Gesù parlò di trafficare? Cos’è questo
traffico, questo investimento da farsi? Ciò è in relazione ai
banchieri, ai ministri di Dio; esercitati a ritornare il denaro del
118
Padrone con uno sviluppo opportuno. In questo consiste
l’investire, il trafficare richiesto Molti appunto non si
confrontano con i servi di Dio, preferiscono appoggiarsi a
quelli che preferiscono. Ognuno con il pretesto che più gli
piace. Motivazioni anche giuste, ma in parte! Molti citano
Amos 3:7 ma non fanno attenzione ai particolari “Tutti i
profeti”, non è “un” profeta Anche Gesù precisò ai discepoli
sulla via d’Emmaus: “E cominciando da Mosè e da tutti i
profeti” (Luca 24:27) Quindi, trafficare dev’essere inteso nel
considerare tutti i ministri che hanno avuto parte
determinante nel piano della restaurazione. In più, il
valorizzare l’importanza dei diversi punti di vista Non mi
riferisco alle personali opinioni, ma a quelle linee personali
che Dio ha dato a ciascun servo. Ad esempio, Il fratello
Branham ha ricevuto l’incarico di rivelare dei misteri tenuti
nascosti fino ai tempi della fine. Sicuramente anche altri prima
di lui hanno ricevuto raggi di luce in merito. Ma la linea
predominante era appunto quella profetica. Successivamente,
il Signore chiamò il fratello Ewald Frank. A lui è dato un
ministero di dottorato, e predomina anche in lui la linea
profetica e teologica (storico letterale). Manca la parte
spirituale, quella più importante! Sia prima, che nel mentre,
Dio ha dato altri profeti o insegnanti e apostoli nel risveglio
pentecostale. Il danno è che non vengono neanche considerati
da coloro che credono nel messaggio di William Branham. Solo
Branham e Frank. Gli altri non sono degni di alcuna
considerazione Essi dicono che sono passati… fa parte del
vecchio che dev’essere lasciato, per dare luogo al nuovo
Invero, la linea spirituale è la più importane, è principale.
119
Detta linea non è neanche conosciuta fra i discepoli del fratello
Branham. Che vergogna! Che genere di messaggio dunque
pensano di aver imparato? Il fratello Branham, non era e non
viveva la fede come i suoi successori. Lui era veramente un
servo di Dio, realizzava una vita spirituale vera. I suoi seguaci,
tutto hanno preso tranne la parte più importante. Di anno in
anno, si sente, per chi li conosce e frequenta, l’orribile odore
di ristagno dei loro discorsi ripetuti, che loro chiamano misteri
rivelati. Si pasciono di parole morte, non perché non giuste,
ma perché non danno luogo al rinnovamento dello Spirito.
Quella ricerca dei servi di Dio attraverso cui Dio ha e sta
restaurando la chiesa. Una caratteristica importante ancora,
del trafficare ed investire i talenti, è che chi ricerca questa
armonia spirituale che mena alla crescita, di anno in anno se
ne vedrà i frutti Chi non traffica rimane com’è anche dopo
tanti anni. Per questo parlo di un ristagno.
Un aspetto che ci fa riflettere ancora sui talenti è, che i
talenti si considerano a peso, le mine in denari, che equivale al
salario di tre mesi. Il peso di un talento è di cinquanta kg.
Strano vero? Il servo infedele fu l’unico a possedere un talento;
cinquanta kg. Cinquanta, cosa ci ricorda? La pentecoste! Vi
sono false pentecosti! Dio ci aiuti. Ricordiamo cosa Pietro
chiese a Gesù in occasione del perdono? “Signore, se il mio
fratello pecca contro di me, quante volte gli dovrò perdonare?
Fino a sette volte? Gesù gli disse: Io non ti dico fino a sette
volte, ma fino a settanta volte sette” (Matteo 18:21,22)
Se sommiamo settanta sette abbiamo quarantanove. Questo
è un grande talento da trafficare. Manca solo un numero a
cinquanta; quello sei tu, il tuo impegno, la tua collaborazione.
120
Quando non traffichi questo talento, per i motivi che abbiamo
visto del servo disubbidiente, fai un grande male a te e ad altri.
Il Signore vuole che traffichiamo questo talento perché è il
talento iniziale, il primo della lista. Chi fallisce nel non
trafficarlo, lo svaluta e lo rende inefficace!
***
I PASSI DI ELISEO
Prima di entrare nell’episodio di Eliseo che vogliamo trattare,
fermiamoci a quello dei discepoli quando, per l’invito di Giovanni, seguirono
l’Agnello di Dio: “Ma Gesù voltatosi e vedendo che lo seguivano, disse loro:
“Che cercate? Essi gli dissero: “Rabbi, dove abiti?” Egli disse loro: “Venite e
vedete” Essi dunque andarono e videro dove egli abitava.” Giovanni 1:38,39.
L’invito del Maestro era chiaro e conciso, venite e vedete. In questo
venire, o, andare a Lui, troviamo molti ostacoli che tentano di fermarci al fine
di non partecipare a quel “videro dove abitava”. In quel videro, non è il
vedere degli occhi. Poco importava sapere il loco dell’affascinante
personaggio, perché un giorno Lui stesso disse che il Figlio dell’Uomo non ha
dove posare il capo (Matteo 8:20). Il messaggio che giunge a noi è indirizzato
allo spirito, all’essenza di Dio e dell’uomo. L’indirizzo il Cristo ce lo dà, fare
attenzione a seguire Lui. Noi dobbiamo andare, sebbene la strada è stretta e
piena di pericoli. Il Signore ci ha promesso che nel momento dell’oscurità
una voce si farà da dietro dicendo questa è la strada (Isaia 30:21).
Badiamo dunque ai discorsi, al fine che non veniamo distratti nel
trafficare lontano dalla via che Dio ci addita. Avendo il Personaggio davanti
agli occhi, andiamo, cioè seguiamolo, e vedremo dove abita, capiremo dove
abita. Eliseo seguendo Elia capì dov’era, “abitava”, il Dio di Elia. Elia fu
121
rapito ma il suo spirito tornò su Eliseo, abitò, (riposò) in lui. Così il Cristo ci
fa intendere dove Egli vuole abitare… in noi.
Eliseo seguiva Elia perché sapeva che Dio lo avrebbe preso. Questo il
tema su cui riceverà possibili sottili intoppi. Leggiamo così in 2 Re 2:1-7. Nel
verso tre e cinque leggiamo che i discepoli dei profeti di Bethel e di Gerico,
salirono da Eliseo per dirgli: “Sai che l’Eterno quest’oggi porterà via il tuo
signore al di sopra di te?”.
Eliseo rispose: “Si, lo so; tacete!”.
Spesso mi fermo a meditare questa scena della vita di Eliseo: essa è
ricca di significato per il cammino e la disciplina del credente. Ho potuto
imparare, per conto mio, come gli entusiasmi religiosi stimolano i tanti
“discepoli dei profeti” a far perdere tempo a chi sta seguendo una
chiamata, una vocazione. Il pretesto è nientemeno che l’intrattenersi a
parlare sul “fatto”, perché Dio è e fa i fatti, in forma di argomento…
Attraverso questa lezione il Signore vuole trasmetterci l’importanza di quanto
sia grave perdersi in chiacchiere, trasformando i fatti in argomenti, perdendo
l’attenzione al personaggio da seguire.
Tutti sapevano che Dio avrebbe portato via Elia. Fatto straordinario;
importante; era il profeta principale di quel tempo, e non doveva finire lì la
sua missione. Il Signore doveva dare un insegnamento importante sul
significato dell’opera che Dio vuole eseguire attraverso questo tipo di
ministerio. Non tutti i ministeri sono uguali, e neanche quando sono dello
stesso tipo. Il ministero di Isaia non era dato per avere una continuazione.
Così quello degli altri profeti che conosciamo. Il ministero di Elia, invece,
diversamente dagli altri, “tranne quello di Mosè” ha un opera diversa, nel
senso di “continuazione”.
122
***
Se facciamo un riepilogo veloce della storia di questo ministero,
vediamo che: il ministero di Elia appare cinque volte (in forma umana) nella
storia; da “lui” fino al testimone che apparirà ad Israele insieme a Mosè (o
ministero di Mosè in Apocalisse 11). I ministeri, intesi come carattere, in
spirito, si muovono nelle circostanze ed eventi, nelle varie opportunità della
vita. (Appena sarà pronto il libro: “La vita di Eliseo” tratteremo in modo più
approfondito questi particolari)
Quindi, la continuazione di questo ministero, che avrebbe preso
(impersonificato) anche il significato dell’assieme di “tutti i profeti”, era una
grande lezione che Dio voleva imprimere a Israele e più tardi alla chiesa.
Di fatti, si dice la legge e i profeti, intendendo dire: Mosè ed Elia. Elia
rappresenta i “profeti”. Questo perché, se non si comprende che tale
ministero continua e si estende a più persone, come un prolungamento, una
estensione, che fa capo alla prima apparizione del servo, alla continuazione
attraverso un altro, per poi compiersi attraverso un altro ancora. Ci si può
smarrire facilmente di fronte all’evento dell’apparizione del profeta promesso
in Malachia 4:5,6 (William Branham). Tutto si fermerebbe a lui solo. Ciò è
sbagliato! Da questo fallo sono avvenute catastrofi nell’ambito del corpo di
Cristo. Se si sarebbe tenuto conto di questa verità, realtà, “la possibile
continuazione”, le cose sarebbero andate diversamente. Già con l’inserimento
del “servo fedele”, (il fratello Ewald Frank) il ministro che sta operando
tutt’ora nel settore profetico nella selezione e individuazione del tempo e dei
fatti profetici, ci da un esempio. Ma, non è ancora finita. Dio farà apparire un
altro servo che si occuperà esclusivamente della persona di Gesù Cristo.
Questo in modo che ci sia un santo equilibrio fra la visione profetica e quella
spirituale.
123
Ma torniamo ad Eliseo. Nessuno vuole sminuire l’importanza degli argomenti
relativi agli eventi e al piano di Dio in senso profetico nel loro adempimento.
Però, sento la necessità di chiarire e approfondire, la verità nel suo intero,
senza parzialità, per non concentrare l’attenzione solo sulla parte profetica,
trascurando quella spirituale, sostanziale, lo scopo.
Eliseo seguiva Elia. Non voleva perdersi nulla di quella grande vita. Com’è
nella natura dei santi, Elia pregava Eliseo a fermarsi nei diversi luoghi in cui
si sostarono. Il cammino dei santi richiede delle soste per ridimensionarsi
nella decisione difficile di volere il doppio della porzione di spirito. Chiunque
segue anche un qualsiasi servo, anche nel ministero, che sia anche per
letteratura, farà delle soste, come delle sfide. Ma il discepolo, se brucerà
anche in lui un ministero, una vocazione, continuerà a seguire per cercare il
doppio della scuola ricevuta. In questo cammino, il bene intenzionato,
troverà gli argomentatori, cavillatori, coloro che amano i discorsi. Questi
personaggi sono identificati come i “discepoli” dei profeti. Gente che deve
imparare, che sta alla scuola di altri.
Invero sono molti che ancora, dopo anni, rimangono
inconsapevolmente alla statura di discepoli, per dire, in questo caso, alla
statura elementare. Senza accorgersi si prendono la briga di andare da coloro
che stanno seguendo una vocazione precisa (anche se non ancora ben
definita) per informare di fatti che essi hanno imparato dai “profeti” (loro
erano solo discepoli) e quindi ministravano cose imparate, riportate.
L’informazione che diedero ad Eliseo circa il fatto che Dio avrebbe preso Elia,
era da Eliseo già conosciuta. Cosa avrebbero fatto quindi con i loro discorsi?
Avrebbero intrattenuto Eliseo a fare commenti teorici su curiosità mentali, il
classico voler sapere troppo. L’uomo ama supporre, ragionare, calcolare e
distrarsi dall’essenziale con argomenti e cavilli. Di fatti, sempre loro, quando
124
Elia fu rapito in alto, e videro Eliseo di la dal fiume affermarono: “Lo spirito
di Elia si è posato su Eliseo” Questa affermazione era di facile intuizione
perché per quel gesto di Eliseo di percuotere le acque, il fiume si aprì, quindi
intesero che aveva ricevuto lo spirito di Elia. Ma, di fronte l’invocazione di
Eliseo: “Dov’è l’Iddio di Elia? ”, fraintesero una semplice ricerca del corpo.
Dissero: “Ecco, ci sono fra i tuoi servi cinquanta uomini robusti; lascia che
vadano a cercare il tuo signore nel caso che lo Spirito dell’Eterno l’avesse
preso e gettato su qualche monte o in qualche valle” (v.14-16). Si noti, nel
caso che… Questa era una loro supposizione. Eliseo disse no, ma di fronte alle
supposizioni curiose, non è facile rimanere in piedi e resistere, cedette e
disse, “mandateli” (v.17). Eliseo cercava il Signore di Elia, sapeva che se l’era
preso, ma lui cercava lo spirito di Elia.
***
Eliseo sarebbe stato fermato da quel loro parlare sull’evento del
rapimento di Elia; Eliseo doveva continuare a concentrarsi sul personaggio,
l’evento fatto persona, piuttosto che l’evento fatto ragionamento, discorsi.
Anche l’Ecclesiaste disse una grande verità su questo: “Dio ha fatto l’uomo
retto, ma gli uomini hanno ricercato molti artifici” (Ecl 7:29). Altre versioni
hanno: “molti discorsi” oppure “sotterfugi”.
Sulla stessa linea, ricordiamo un altro personaggio in cui è il ritratto
chiaro dell’attaccamento e accanimento sulle argomentazioni, chiamiamola
anche fede teorica. Parliamo di Marta in Giovanni 11:21-25.
Quando Gesù arrivò sul luogo del sepolcro di Lazzaro, Marta gli andò in
contro e gli disse: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”.
Gesù rispose in modo conclusivo: “Tuo fratello risusciterà”. Notiamo le
parole di Marta: “Lo so che risusciterà nella risurrezione all’ultimo giorno”.
125
Chi non voglia notarlo ed imparare non lo noti; Lei rispose che SAPEVA…
Invero, l’uomo non sa nulla! Cosa sapeva? Sapeva o conosceva l’argomento
della risurrezione; ma Gesù si riferiva alla risurrezione fatta persona: “Io
sono la risurrezione e la vita!” disse Gesù. Lei si riferiva alla realtà della
risurrezione vista e considerata come argomento dottrinale insegnato. Gesù si
riferiva, e così fece capire che più di ogni argomento Egli è,
l’impersonificazione di ogni argomento dottrinale; onde tenerlo sempre
presente e vivente dinanzi gli occhi.
Che Dio ci dia di camminare avendo chiaro dinnanzi a noi, la chiara visione
del grande personaggio Gesù Cristo. In Lui vedendo e apprezzando, ogni
argomento che riguarda le cose relative al suo regno e alla sua potenza.
Tanti vogliono farti perdere tempo in chiacchiere, ma pochi si impegnano a
fare il ritratto della persona meravigliosa di Cristo. Lui ogni argomento, Lui
ogni sapienza, Lui ogni dottrina.
***
I QUATTRO FIUMI
“Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino e di là
si divideva per divenire quattro corsi d’acqua. Il nome del
primo è Pishon; è quello che circonda tutto il paese di
Havilah, dov’è l’oro; e l’oro di quel paese è buono; là si
trovano pure il bdellio e la pietra d’onice. Il nome del
secondo fiume è Ghihon , ed è quello che circonda tutto il
paese di Cush. Il nome del terzo fiume che è il tigri, ed è
quello che scorre a est dell’Assiria. E il quarto fiume è
l’Eufrate” (Genesi 2:10-14).
126
Usciva da Eden per irrigare il giardino, quindi, Eden
non era solo il giardino, ma un luogo, una regione
particolare che possiamo definire la casa di Dio dove
aveva posto il Suo giardino. Da Eden usciva, scaturiva il
fiume che andava a spargersi nel giardino per irrigarlo.
Un altro quadro simile a questo, lo abbiamo in
Ezechiele 47, dove si parla del fiume che esce dalla soglia
del tempio e si dirige verso altri fiumi e in fine al mare,
risanando le sponde. Questo è il Fiume, Cristo. Il fiume
che usciva da Eden è pure Cristo; la differenza è che il
fiume visto da Ezechiele è identificato come protagonista.
Esce dalla soglia del tempio, fa il suo percorso e arriva
fino al mare. Gesù visto come il soggetto, il personaggio, il
protagonista, Lui è! Nel fiume che usciva da Eden, è il
Cristo che viene visto come iniziatore del percorso, ma poi
si divide, si spartisce, una volta entrato nel giardino.
Gesù è, ma entrando nel mondo e nella chiesa (il
giardino) viene visto attraverso altri; i Suoi servitori.
In sostanza, il merito di ogni cosa è sempre Suo, Lui
è quegli che opera, ma viene “visto” attraverso i suoi
ministri. Come abbiamo detto, Gesù è il fiume che usciva
da Eden per irrigare il giardino. Queste parole ci
ricordano che:
“Dio ha tanto amato il mondo che, ha dato il suo
unigenito figlio (il fiume che esce dal tempio del cielo),
affinché chiunque crede in lui non perisca ma abbia vita
eterna (per irrigare il giardino)” (Giovanni 3:16).
Per fare questo, il Signore Iddio prese forma di uomo
e parlò con gli uomini. Ammaestrò altri che chiamò suoi
discepoli. A ciascuno il suo incarico. C’era chi doveva
scrivere delle epistole, come sappiamo: Paolo, Pietro,
127
Giacomo, ecc. Ma, anche chi diversamente Da loro,
doveva scrivere “il racconto della sua vita”; nacquero così
i vangeli. E, com’è strano che la vita di Cristo, del fiume,
fosse scritta non da uno solo, ma da “quattro”. Un vangelo
non era sufficiente per dare l’immagine completa di un
tanto personaggio. Quando Gesù venne sulla terra, entrò
in scena nel suo giardino, che più precisamente è la
chiesa, come si comprende, ma è incluso anche il mondo
come creazione, in quanto ché è suo, Lui l’ha fatto. Lo
scopo di Dio, come sappiamo è quello che tutti siano
salvati; da questo punto di vista quindi includiamo anche
il mondo.
Gesù dunque quando è venuto nel suo giardino ed è
entrato in scena, si adempirono le scritture secondo le
quali doveva essere ucciso, come agnello sacrificale. Da lì
questo fiume si spartì, “fu colpito”, e da quel momento, il
racconto di quella grande Vita, scorrerà attraverso
quattro vangeli (i quattro fiumi). La Vita di quel Fiume fu
spartita sulla croce. Da quel momento sapremo di Lui
attraverso il racconto di quattro uomini che hanno avuto
l’opportunità di essere testimoni, ricevendo ovviamente
rivelazione da Dio per scrivere la Vita di quel grande
Fiume, per sentire (per chi li leggerebbe) lo scorrere della
sua acqua nella nostra vita.
Questi quattro vangeli, hanno il compito di far sentire il
gorgoglio della vita di quel Grande personaggio, che si
presenterà a noi come lo Spirito Santo. Lo Spirito di
Cristo continua a scorrere attraverso questi vangeli. Chi
crede nel vangelo riceve la vita di quel Fiume. Gesù Ebbe
a dire a una donna assetata di Lui:
128
“Chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più sete
in eterno; ma l’acqua che io gli darò diventerà in lui una
fonte d’acqua che zampilla in vita eterna” (Giovanni 4:14).
“Se tu conoscessi il dono di Dio” (v.10), dono che
sarebbe presentato a noi attraverso i vangeli. Quando
conosciamo il dono di Dio raccontato dai vangeli
chiederemo al Signore di bere della Sua acqua, sentire
scorrere in noi la vita, il percorso di quel grande Fiume;
come ci dice il proverbio:
“Le parole della bocca di un uomo sono acque profonde; la
fonte della sapienza è come un corso d’acqua che scorre
gorgogliando (fa udire la Sua voce)” (Proverbi 18:4).
Brevemente, diamo un occhiata ai fiumi del giardino
in Eden, perché nelle brevi descrizioni di questi quattro
fiumi vi sono le caratteristiche essenziali che formano
l’essenza dei quattro vangeli. Il primo braccio del fiume
era chiamato Pishon.
“E’ quello che circonda tutto il paese di Havilah, dov’è
l’oro; e l’oro di quel paese è buono; là si trovano pure il
bdellio e la pietra d’onice” (Genesi 2:11,12).
Pishon si distingue perché “circonda”, abbraccia una
regione dove trovasi l’oro, oro definito buono. Vi è oro che
non è buono; quello sporco, quello disonesto, quello non
dedicato e consacrato a Dio. L’oro è simbolo della fede,
con cui compriamo i tesori del cielo. Solo con quel tipo di
oro si possono comprare; lo troveremo in altri scritti sotto
il nome del “siclo del santuario”. Il profeta Isaia esclama:
“Venite (abbracciatemi), comprate (comprate, con l’oro
della fede) senza denaro (le proprie ricchezze, le proprie
forze, l’oro non buono) e senza pagare (i propri sforzi) vino
129
e latte! Perché spendete danaro per ciò che non è pane e il
frutto delle vostre fatiche per ciò che non sazia?
Ascoltatemi attentamente (la fede viene dall’udire) e
mangerete ciò che è buono (dall’oro buono, la fede, che ci
ritorna in forma di benedizione)” (Isaia 55:1,2). Questo
primo fiume dunque, abbraccia un paese che contiene
l’oro buono. Ma, non è tutto. Si trova anche il bdellio e
l’onice. Oro, pietra d’onice e bdellio. Fede ed
adornamento. Fede, rivelazione e opere. L’onice è una
pietra marmorea molto pregiata e costosa. Il bdellio era
identificato in due modi principali: I Greci la definivano
una resina trasparente simile a cera profumata,
proveniente da un albero che cresce in Arabia, in
Babilonia, in India e nella Media. Ma, siccome l’oro,
l’onice ed il bdellio sono minerali, è probabile che la
parola Bedolah designi un minerale. La versione dei LXX
lo traduce in Genesi 2:12 con Anthrax, che significa
carbonchio, rubino, granato, e in Numeri 11:7 con
Krystallos, cristallo di roccia. Non è azzardato
considerarli in entrambi i modi. Fede per ottenere e avere
comunione con Dio, onice per costruire in modo
consistente e prezioso il tempio del Signore; gioielli per
adornamento e bellezza spirituale; resina profumata per
emanare il buon odore di Cristo. Alleluia! Questa una
importante caratteristica dei vangeli.
Il secondo fiume è Ghihon, anch’esso abbraccia,
circonda, il paese di Cush. Sebbene ve né una in Arabia,
Cush, che in ebraico è l’Etiopia, significa: bruciato dal
sole. Vi è un importante personaggio nella scrittura che
parlando di se disse che il sole l’ha bruciata; nientemeno
che la sposa di Salomone (spiritualmente, la sposa di
Cristo). Era nera ma bella. Un'altra importantissima
130
caratteristica del carattere dei vangeli, può indicarci la
santificazione. Viene contemplata e abbracciata questa
realtà. Essere bruciati dal sole, essere bruciati da Cristo,
Sole di giustizia, perché luce rivelante e scopritore delle
tenebre. La presenza di Dio è fuoco consumante. Chi può
resistere alle fiamme eterne, ai suoi ardori? (Isaia 33:14).
Si noti l’accenno ai peccatori che sono presi da spavento
in Sion, quindi le fiamme. Chi ha il coraggio di
abbracciare questa realtà? I vangeli ci insegnano anche
questo! L’unica nostra bellezza viene da quelle fiamme.
Il terzo fiume è in ebraico, Hiddekel, il conosciuto
Tigri. Come lunghezza complessiva misura la metà
dell’Eufrate, pochissimo di più. E’ il primo a ricevere la
luce del sole. Serpeggia a Est dell’Assiria. Ci insegna
quella caratteristica di ricercare luce, muoversi verso la
luce per ricevere grazia e misura per un compito difficile
e di responsabilità: dividere, tagliare, separare il prezioso
dal vile. Questo perché si apre e viaggia verso Est, per poi
ricongiungersi all’Eufrate. Questa un altra caratteristica
che ci insegnano i vangeli.
Il quarto fiume è il famoso Eufrate. Modificazione
Greca dell’Ebraico Perat. Il suo significato è breccia. Di
fatti il suo percorso è una vera frontiera naturale tra
Oriente e Occidente. Quindi, prima il Tigri in cerca di
grazia e discernimento, a Est, verso l’alba, la
risurrezione, la Luce; poi Perat o Perets, (Eufrate) per
tagliare e dividere nettamente il luogo dell’alba da quello
del tramonto. Il luogo da dove sorge la luce (oriente) da
quello di dove si formano le tenebre (occidente).
Ricevendo la Parola con mansuetudine, prima (Giacomo
1:21), che tagli rettamente la Parola di verità, dopo
131
(2 Timoteo 2:15). Un'altra caratteristica meravigliosa
contenuta nel carattere dei vangeli.
La chiesa è irrigata da queste caratteristiche, qualità
e virtù. Sono tutte espressioni del grande Fiume Gesù
Cristo. Invero, l’Evangelo ha il compito di presentare e
ritrattare il carattere di Cristo, della Sua persona
meravigliosa.
Anche l’apostolo Paolo raccolse il prezioso sunto di
questi valori evangelici dichiarando ai Galati che egli
aveva predicato Cristo crocifisso, ritratto al vivo. Ritratto
nel senso di riportare in vita il PERSONAGGIO facendo
il ritratto di Lui, della sua persona (Galati 3:1).
***
IL CUORE, LA GRAZIA
_ “Custodisci il tuo cuore con ogni cura, perché da esso sgorgano le
sorgenti della vita” (Prov 4:23).
“Beati i poveri in ispirito, perché di loro è il regno dei cieli. Beati i puri
di cuore, perché essi vedranno Dio” (Mat 5:3,8).
“La mia grazia ti basta, perché la mia potenza è portata a compimento
nella debolezza” (2Cor 12:9).
In questi versi, vediamo come viene puntato il cuore. Dice
che in esso sono e sgorgano le fonti della vita. Il cuore è inteso
come quella parte intima dell’uomo che caratterizza il centro
dell’anima. Non l’anima per intero, ma la profondità d’essa, la sua
natura, lo spirito. Lo spirito umano è la profondità dell’anima, la
132
parte intima dell’anima. Quella è la parte che deve essere toccata,
sollecitata, risvegliata dalla predicazione cristiana. Quando si dice
che la Parola di Dio deve raggiungere la parte intima dell’uomo, e
la si identifica con l’anima, si sbaglia! L’anima, non è la parte
intima dell’uomo, essa è l’uomo! Di fatti l’anima è l’assieme delle
facoltà che caratterizzano l’anima, come: la coscienza,
l’immaginazione, la memoria, la ragione e i sentimenti. Anche
l’istinto è compreso. Attraverso questi sensi comunichiamo con il
visibile, con le persone, ma dal di dentro. Il tutto di quel che
formuliamo avviene dentro di noi attraverso e per articolazione di
questi sensi umani. Poi si esterna attraverso l’assieme dei sensi
fisici: gusto, olfatto, tatto, vista e udito. Gli uni (quelli interiori,
dell’anima) sono come una fonderia e raffineria interna, che
preparano la mercanzia nel porto, gli altri (quelli fisici) come una
flotta di navi che distribuisce nei vari porti umani… l’espressione.
Bisogna quindi custodire ciò che è la sorgente di tutto. Per
questo Gesù disse che i poveri in ispirito sono beati e puri di
cuore vedranno Dio. Quelli che custodiscono il loro cuore, ossia
lo spirito, lo tengono povero dalle tante ricchezze umane. Dai
tanti pensieri e ispirazioni che sporcano il nostro cuore. In questo
senso il cuore diviene puro. Così, il puro di cuore, che si tiene
povero dal superfluo e apparente bene, vedrà Dio. Custodiamo il
nostro cuore in questo senso. Un altro esempio lo abbiamo in
Davide, quando si sedette davanti a Dio. Cioè si riposò nel
cospetto di Dio. Si sedette per contemplare ciò che Dio gli aveva
dato, fatto e che farà ancora nel futuro come discendenza, in
merito al Cristo.
“Allora il re Davide andò a sedersi davanti all’Eterno e disse: Chi
sono io, o Signore, o Eterno, e che cos’è la mia casa, da farmi arrivare
fino qui? Ma questo era ancora poca cosa ai tuoi occhi, o Signore, o
133
Eterno, perché tu hai parlato anche della casa del tuo servo per un
lontano futuro; e questa è la legge dell’uomo” (2 Sam 18-21).
L’unica realtà che aveva davanti in quella posizione era
quella della visone della sua discendenza in quella “legge
dell’uomo”. Davide vedeva il Cristo nei doni di Dio a lui. Che
potrebbe dirti di più Davide? Disse. L’uomo cosa può desiderare
di più? Per questo, su questa base, il Signore disse a Paolo: La mia
grazia ti basta.
Essa è il centro della tua fede, della tua ricerca. Non farti
distrarre da altre cose. Vi sono momenti e circostanze in cui la
liberazione dall’oppressione non sembra mai arrivare, ma
dobbiamo respirare quell’unica realtà che ci rimane, ciò che è la
legge dell’uomo, ciò per cui vive e dipende l’uomo; la grazia di
Dio. Vista nel fatto che Lui è attento a noi perché ci ama.
Se le prove durano, sai che la Sua grazia ti basta a continuare
ad andare avanti, sperando e credendo in questo atto d’amore.
Nella Sua grazia vi è un piano che deve tornare a beneficio tuo,
Egli farà cooperare tutto al bene. Tieni libero il tuo cuore,
custodiscilo, per consacrarti alla grazia che Dio ha per te. Fallo
andare in questa direzione. In effetti la grazia di Dio è
l’espressione del Suo cuore, del Suo amore. Riposa.
***
IN CERCA DEI SUOI PASSI
Scoprire i passi del Signore nei metodi di Lui. Questo è il
linguaggio supremo della grazia. Di Gesù fu detto che, “nessuno
parlò giammai come costui” (Giov 7:46). Da Lui uscirono parole di
grazia (Lc 4:22), cioè che aiutano a vedere il rimedio per
134
conseguire risultati. Scoprire i Suoi passi nei Suoi metodi è il
procedere del redentore per lasciarti le suo orme, come impronte
da seguire. Lui stesso essendo l’impronta dell’essenza del Padre
(Ebrei 1:3). Quando Davide dovette far battaglia ai Filistei, vide
la sua debolezza ed inefficienza di fronte al nemico, ma vide anche
la forza di Dio nel aprire i varchi. Da lì la frase vittoriosa:
“L’Eterno ha aperto un varco tra i miei nemici davanti a me, come un
varco aperto dalle acque” (2 Sam 5:20). Questo era in relazione con
la successiva battaglia contro di loro, quando il Signore gli disse
che non doveva fronteggiarli nello stesso modo, ma aspettare un
segnale particolare: “Quando udrai un rumore di passi sulle cime dei
balsami”(v.24). Qualcuno avrebbe camminato innanzi a lui, e
“allora” doveva muoversi. Gesù disse che il pastore va davanti alle
pecore e le conduce (Giov 10:4). In conclusione, il Suo santo
camminare è la via nell’aprire i varchi, i metodi (passi) attraverso
cui ci raggiunge con la sua grazia.
***
I RISVEGLI
(dal punto di vista di Dio, e di quello dell’uomo)
Tutti i movimenti religiosi sono nati da un risveglio suscitato da
Dio per mezzo di un uomo, un angelo terrestre. Invero, sono
anche molti i risvegli nati in modi isolati. Nasce così, dopo la
morte del ministro, una sorta di fossilizzazione dottrinale da
parte degli adepti. Si perde di vista la continuazione che io
chiamo: continuazione genealogica, una vera e propria staffetta
spirituale ereditaria che avanza da una generazione ad un'altra, o
da un risveglio al suo sviluppo. Quando il Signore suscita un
135
risveglio lo fa per raggiungere uno scopo preciso. Quindi: lo
inizia, lo sviluppa e lo porta a destinazione, al suo compimento.
Un risveglio che nasce senza una provenienza, ossia, collegato ai
movimenti precedenti, di altri servi di Dio, potrà essere anche
glorioso alla sua nascita, ma si perderà o rovinerà col tempo. Lo
stesso se non continua secondo lo scopo di Dio, con ministri
adeguati. Un risveglio isolato, è come una grande onda d’acqua
nel deserto; sarà grande e forte nel suo impeto ma si spargerà
nella sabbia arida e sarà presto assorbita. Questo se, più che la
provenienza collegata ad altri ministeri precedenti, non si
permetta al Signore di prendere in mano la situazione ponendo
servi preparati a tale scopo, cioè di continuare lo sviluppo di quel
risveglio e condurlo a buon fine. I risvegli sono di vario tipo e
livello. Sono articolazioni attraverso cui Dio raggiunge i savi
secondo il mondo, oppure gli ignoranti per mancanza di
istruzione, delinquenti, religiosi o spiritisti. A seconda delle classi
da raggiungere il Signore ha un servo adatto a tale scopo. Sempre
per portare le anime a un certo livello; un livello base, un piano su
cui cominciare a costruire in modo stabile, e a quel punto
subentra un altro servo di Dio adatto per quel lavoro.
Le onde del mare hanno tanta forza perché hanno alla base
ancora più acqua di quella che sollevano. Lo stesso di un
risveglio: quando inizia e si solleva deve avere alla base o almeno
collegarsi alla linea ministeriale precedente. Tanto che il ministro
in carica, impara e prende dal precedente. Continua quell’onda da
dove si era interrotta, e la porta avanti o a compimento.
Purtroppo alcuni, non considerando queste cose, si sono
isolati, rispetto ai movimenti precedenti e hanno addirittura fatto
nascere nuove linee di fede, o per meglio dire religiose.
136
Il male in queste sprovvedutezze è che, rimanendo nella
stessa condizione di quando “il servo dell’inizio risveglio” passa,
com’è sempre successo, i continuatori tendono a differenziarsi
dagli altri movimenti, anche se della stessa origine evangelica.
Questo in particolari sfumature dottrinali, o che le fanno
diventare tali. Il risultato, alla fine, è quello di un nuovo
movimento isolato dagli altri già esistenti suscitati da altri servi
di Dio, differenziandosi solo da qualche dettaglio dottrinale su cui
farne il proprio cavallo di battaglia. Invero, è nota una sottile
rivalità fra i diversi movimenti religiosi evangelici. Questo è quel
che rimane, potremmo definirlo come una sorta di cadavere
monumentale. La differenza fra un risveglio ad un altro consiste
in dettagli di vedute. La cosa più triste è la nascita di nuove
dottrine inconsistenti dal punto di vista spirituale.
L’originale modello di Dio, è nella continuazione! Dio suscita
un risveglio tramite un servo; quando questi passa, Dio ne suscita
un altro con caratteristiche diverse, adatte alla crescita del
gregge. In genere, i tanti risvegli sono nati da un evangelista, il
quale trovandosi di fronte ad un popolo crescente, prenderà
iniziative sull’insegnamento. Da qui nasceranno delle
impostazioni errate sulla base dell’insegnamento stretto, mentre
sulla base evangelistica, circa il ravvedimento iniziale, il perdono
dei peccati, l’invito alla nuova nascita ecc. tenderà a fortificarsi e a
progredire. Tutto ciò è normale, per quanto possa sembrare
strano, Dio sa come e quando intervenire con l’invito al
ravvedimento e l’insegnamento che porta le anime a maturazione.
Il problema, come è sempre stato in tutti i tempi, è quello di
fermarsi alla fase precedente. Anche Israele fece questo errore
quando venne Gesù. Rimase nell’antico patto e rifiutò il nuovo.
137
Quelli che avanzarono e che divennero cristiani, dimostrarono di
aver compreso il piano di Dio.
***
IL NATURALE VIENE PRIMA
<< Prima viene il visibile, il naturale, poi lo spirituale. Prima che Israele entrò
nella terra promessa, ci furono gli stranieri. Prima di Abele fu Caino ad offrire
il sacrificio. Esaù, invitò Giacobbe a seguirlo, mettendosi come guida >>.
Queste note introduttive sono importanti a visualizzare il
carattere della testata: Il naturale viene prima. L’apostolo Paolo
disse a riguardo:
“Ma lo spirituale non è prima, bensì prima è il naturale, poi lo spirituale” (1
Corinzi 15:46). Gesù parlando con Nicodemo disse: “Se vi ho parlato
di cose terrene e non credete, come crederete se vi parlo di cose celesti?”
(Giovanni 3:12).
Possiamo vedere come il Signore, attraverso queste parole, da a
conoscere la struttura di come è costituita questa condizione e
come funziona. Il naturale viene prima. Fa pensare come ad un
“primo strato”, che ha il compito di proteggere il significato
intimo, affinché rimanga protetto, nascosto, dietro il velo
dell’immagine naturale. Quel che è caratterizzato come significato
intimo di una espressione di Dio, non è per tutti. Intendo, è dato,
offerto a tutti, ma solo chi ama veramente la verità, nella sua
integrità e santità, si prenderà cura di esaminare, meditare,
cercarne l’aspetto intimo, il segreto. Questa in genere è l’attitudine
e la posizione di Dio verso noi, e noi verso Dio.
Da un altro lato, impariamo che in ogni cosa facciamo o
affrontiamo, in tutto quel che riguarda la nostra vita interiore
138
personale, troveremo prima il naturale. Per chiarire, dal momento
che ti sei convertito, racconti agli altri che hai incontrato Gesù; sei
felice di questo evento e con gioia lo racconti agli altri come un
testimone. Nel corso degli anni, le prove, le difficoltà che incontri,
le perplessità della scoperta di un sempre più fare i conti con la
realtà, ti ha come deluso. Spaventato, smarrito; dici a te stesso:
Non credevo fosse così il cristianesimo… Non ti sorprendere! Non
è perché Gesù ti delude, ma semplicemente hai incontrato e
trattato con la prima impressione delle cose, il naturale viene
prima. Come tutti, ti sei aggrappato e fortificato in quella fase, che
possiamo definire “iniziale”, hai costruito su di essa, ma poi hai
visto e realizzato che Dio scuote i cieli e la terra. Da qui il senso di
smarrimento e quello spegnersi nello spirito.
Molti rimangono addirittura delusi, brutta condizione… La
delusione è un amaro veleno che uccide la passione innocente per
le cose che ami. Stai sereno, è tutto a posto! E’ un bene che Dio
scuote cieli e terra, ossia, le costellazioni spirituali sotto le quali
amavamo riposare, utili si, ma solo per un tempo; cose, esperienze
di passaggio. La terra rappresenta tutto ciò che è grossolano,
visibile: Peccati, cattive azioni, legami. Questo è più semplice
riconoscerlo, perché grossolano.
Questo ci serve semplicemente per misurare fedelmente la
nostra posizione davanti a Dio. Spesso si ricevono forti scossoni
quando passiamo dalla disillusione del visibile, alla realtà
dell’invisibile. Il passaggio è stretto. E’ un po’ il riflesso di quelle
sante parole: “Bisogna che Egli cresca e che io diminuisca” (Giovanni
3:30). Anche la costituzione del tempio vede un ingresso largo, e
man mano che ci si inoltra verso il luogo santissimo, che è la parte
riservata, la parte intima, diviene sempre più stretto. Ciò che
diviene più “stretto” è ciò che ha più “largo” significato ed
139
importanza. La realtà è che non sono tutti che vogliono prendere il
volo. Tanti preferiscono rimanere nello spazio delle infantili
libertà. L’uomo non ama essere ristretto. Iddio porta l’uomo a
diminuire, perché il cammino dei santi è un cammino di riduzione.
Perdere nel visibile per guadagnare nell’invisibile.
Ma guardiamo qualche esempio in cui “ciò che viene prima”,
si manifesta per sedurre ed imbrogliare: di Caino è detto: “Col
passare del tempo, avvenne che Caino fece un’offerta di frutti della terra
all’Eterno; or Abele offerse anch’egli dei primogeniti del suo gregge e il loro
grasso. E l’Eterno riguardò Abele e la sua offerta, ma non riguardò Caino e la
sua offerta.” (Genesi 4:3-5). Vediamo come Caino agì per primo,
quasi come ad anticipare Abele. L’interessante è che tutt’e due
offrirono le loro offerte al Signore. Questo ci dice che quando viene
il tempo di offrire a Dio, l’empio è più veloce del giusto! Questa
scena antica si ripete sotto i nostri occhi continuamente. Nelle
diverse chiese, c’è una rincorsa alle testimonianze, ai locali più
belli, a una manifestazione carismatica sempre più appariscente e
attrattiva. Ricerca per le cose che piacciono, che attirano. Il tutto
per sembrare più “puntuali” con quel tenore di “cammino cristiano”
che avevano gli apostoli e Gesù stesso. Miracoli, svenimenti, canti
ed esultanze. Dare, insomma, l’impressione di “apparire prima”,
“apparire meglio”. Certo che non è così in tutte le chiese, grazie a
Dio! Ma è giusto per significare un po’ quel che queste espressioni
bibliche ci rappresentano. L’empio (il falso religioso) è più
puntuale e preciso del giusto ed innocente. In effetti, per fare quel
che è giusto davanti a Dio, fare la volontà di Dio, non bisogna
essere più veloci degli altri, non bisogna precedere nessuno;
semplicemente seguire la Voce del Padrone. Questa è la puntualità
che si richiede (Giovanni 10:4).
140
Israele quando uscì dall’Egitto passò, per la sua incredulità,
quarant’anni nel deserto, fra prove di vario genere sofferenze e
perdite. Sapeva comunque che l’aspettava una terra che sarebbe
stata solo sua, terra, Dio diceva, dove scorreva latte e miele. Però,
anche lì, Israele trovò altri popoli che l’abitavano. Lottare fino
all’ultimo… Prima d’Israele vi erano altri popoli. Quei popoli erano
pagani, idolatri; nemici di Dio. Per questo Dio li sterminò tramite
Israele stesso. Invero, in tante occasioni della vita, dove dovremmo
esserci “noi”, ci sono “già altri” ad occupare il nostro posto.
Sappiamo come Saul fu eletto re d’Israele e fu accettato facilmente
dal popolo, mentre Davide, fu unto una volta per essere re di
Giuda, e una seconda volta per essere re di tutto Israele. Dovette
combattere molte battaglie, dovette girovagare ed anche fuggire.
Era re, ma ancora c’era un falso al suo posto legittimo. Che forse,
Davide doveva chiedersi se Dio era con lui? Forse Dio non era così
forte da riuscire a dargli il suo posto? Tante domande sorgono
nella debole mente umana; ma questo è per dire che in tante
occasioni simili, anche tu magari ti sei sentito così. A dover
aspettare che chi occupa illegittimamente, il tuo posto legittimo,
doveva sparire dalla scena. Questo dovrebbe darci speranza al fine
di ottenere pazienza per saper aspettare che Dio faccia girare le
cose fino ad essere presi e messi al nostro posto.
Esaù, dopo che raggiunse Giacobbe e Dio diede grazia di
chiarire e riappacificarsi; propose di seguirlo per il suo cammino
verso Seir; e così disse: “Poi Esaù disse: Partiamo, incamminiamoci e io
andrò davanti a te” (Genesi 33:12).
Partiamo e incamminiamoci, sono al plurale. Fin qui vi è
uguaglianza, ma subito si distinse in quel: “E io andrò davanti a
te!”. Il parlare del religioso sembra volere includere il prossimo in
un cammino alla pari, ma presto o tardi viene manifestato che egli
141
vuol essere la guida e precedere tutti. Aimè quante volte altri
l’hanno fatto con noi, e noi agli altri… Possa Iddio darci sapienza e
discernimento per riconoscere il falso dal vero. Il naturale viene
prima.
Se diamo uno sguardo ad Eliseo, vediamo come si esprime
l’evoluzione dal visibile all’invisibile, dal naturale al
soprannaturale. Quando Elia apparve con il suo ministero, chiamò
Eliseo a seguirlo. Di lui fu detto che versava l’acqua sulle mani di
Elia, praticamente lo assisteva e serviva. Intanto nell’osservarlo,
imparava il timore del Signore. Quanto è utile avere davanti una
figura umana, che rifletta l’immagine e il carattere di Cristo…
Tutto quel che vedeva, non lo mise su un piano di invidia, ma
nutriva in lui lo stesso desiderio del suo maestro, ricevere e avere
comunione con l’Iddio di Elia. Così era conosciuto “per lui”; per gli
altri il Signore era solo l’Iddio d’Israele; per Eliseo era l’Iddio di
Elia. Egli desiderava che l’Iddio di Elia potesse essere anche il
“suo” Dio. Arrivò il tempo in cui Elia doveva essere trasportato
nell’invisibile, e con quel parlare che stimola le buone intenzioni,
Elia gli disse ripetutamente di lasciarlo andare solo. Eliseo lo
seguì; il desiderio in lui di ricevere quello spirito che era su Elia,
non vide ostacoli. Quando giunse il momento di essere rapito, Elia
chiese cosa Eliseo volesse. Eliseo rispose che voleva la doppia
porzione dello stesso spirito che era su Elia. Elia gli disse: “Tu hai
chiesto una cosa difficile; tuttavia, se mi vedrai quando sarò portato via da te,
ciò ti sarà concesso, altrimenti non l’avrai” (2 Re 2:9,10). Il “quando” non
indica “solo” il momento in cui Elia veniva rapito (sebbene è
incluso), come a dire che Eliseo doveva guardare il momento
esatto del rapimento. Questo ha anche un suo ruolo e importanza,
“vedere il momento del cambiamento”; ma non ci soffermiamo su
142
questo adesso. Le più antiche traduzioni hanno: “Dopo che sarò
portato via da te”. Quindi, cos’è questo vedere “dopo” che la persona
non c’è più? Invero, la realtà del “quando” implica il momento del
rapimento (cambiamento, trasformazione), e il continuare a
vedere la persona anche dopo ch’è sparita. E’ quel vedere in
ispirito; se entrerai in quella ottica, dimensione spirituale; se non
farai idolo dell’uomo, se non mi considererai più secondo la carne;
riceverai doppia potenza. Se non entrerai in quella dimensione di
fede e visione spirituale, non potrai ricevere il doppio, che
significa “intero”, rimarrai solo con quella considerazione
sentimentale, naturale, mentale della situazione (2 Corinzi 5:16).
Prima venne per Eliseo il naturale (diciamo, Dio attraverso Elia),
dopo venne lo spirituale, dove Dio si rivelava a lui direttamente.
Se riprendiamo le parole di Gesù a Nicodemo, potremmo
scrivere molto sul significato intero della sua espressione: “Se vi ho
parlato di cose terrene e non credete, come crederete se vi parlo di cose
celesti?”. Ciò riguarda al significato, e al modo di cosa e come
proporre le cose. Gesù utilizzava un parlare pedagogico, cioè, così
come si parla ai fanciulli, un linguaggio semplice che “aiuta a
capire”. Quindi, non solo la semplicità nel linguaggio, ma anche
quel soccorso, quel calore covante che permette al fanciullo di
ascoltare con interesse ed amore, perché si “sente aiutato”.
Gesù fece sempre riferimento al naturale come sponda per
elevare l’animo al soprannaturale; dal visibile all’invisibile, dal
poco al molto. Così fece anche con la moltiplicazione dei pani;
spezzò il “poco”, che significa “del nostro poco”, le nostre buone
intenzioni ad ubbidire; e lo trasformò nel “molto”; nella sua
risposta alla nostra predisposizione all’ubbidienza, alla sua
ricchezza e potenza. L’uomo insensibile nella sua natura
143
peccaminosa, soprattutto quando il Padre non ha ancora scavato
quell’anima portandola alla “speranza”, attraverso la santa
“vocazione” che attira verso lo spirituale, non comprende
nemmeno quel linguaggio. Come potrete comprendere se vi parlo
delle cose celesti? Disse Gesù. Per potere intendere le cose celesti,
bisogna essere preparati nello spirito, essere abilitati ad ascoltare
ogni mattina… (Isaia 50:4,5). Di grado in grado, grazia sopra grazia
(Giovanni 1:16,17), da fede a fede (Romani 1:17). L’opera che porta
dallo stato di “capra” (l’uomo naturale) all’aquila (uomo
spirituale) (Giobbe 39), è lunga e combattuta (Atti 14:22); e solo
Iddio può fare questa trasformazione (Giobbe 32:13). La
definizione, “naturale”, non significa precisamente peccaminoso,
piuttosto semplicemente umano, così com’è nelle sue possibilità e
capacità. In casi generici significa anche “peccaminoso” perché
puramente carnale, diabolico. Dobbiamo avere una concezione
completa di questo termine, considerando entrambi gli aspetti. Il
Signore ci parla incominciando dal naturale per portarci allo
spirituale. Parlare di cose celesti? Intendiamo, “direttamente” di
cose celesti? Solo a chi è stato preparato. Cerchiamo dunque di
non sminuire il linguaggio semplice di Dio, che si unisce ed
armonizza in un opera preparatoria del terreno del cuore, a
“ricevere” le cose celesti.
Pochi esempi per riflettere come non dobbiamo scoraggiarci
di fronte a tale esperienza, quando incontriamo e conosciamo le
nostre illusioni. Coraggio! Affrontiamo il passaggio stretto! E’ nella
strettoia che Gedeone conservava il grano raccolto, per
nasconderlo dai madianiti. Per prendere il cibo del Signore, quello
che ci fa crescere, dobbiamo passare per strettoie. Esso non è nelle
praterie larghe, dove troviamo anche i lupi e le serpi. Riconosci
che i servi del Signore, quelli da Lui ammaestrati, non si pongono
144
come guida da se stessi. Muovono decisi, guardano in alto col
cuore, ma in basso (verso la terra della umiliazione) con gli occhi,
con il volto. Come ci dice l’Ecclesiaste: “La terra ha più vantaggi di
ogni altra cosa, e il re stesso è servito dal campo” (Ecclesiaste 5:9). La
terra rappresenta l’umiliazione. Riguardando alla nostra
umiliazione, inteso come umiltà nella consapevolezza di quel che
siamo senza di Lui. E riguardando alla Sua umiliazione (del
Cristo), Dio nella carne (1 Timoteo 3:16), Dio nella terra;
impariamo l’umiltà, il timore, l’assoluta dipendenza dallo Spirito.
Raccoglieremo i frutti dal campo, saremo serviti in quanto al
beneficio che essa (la terra, questa consapevolezza) ci darà.
Possa Iddio aiutarci in questo cammino: Prima il naturale poi
lo spirituale. Amen!
*§*
LA CINTURA DI LINO
Noi tutti, come una cintura, abbiamo abbracciato molte
teorie, molte ideologie di vario genere. Ma un giorno abbiamo
sentito una voce, un richiamo, e perché l'abbiamo udita abbiamo
potuto ascoltarla, cosa ancora più importante. Ci siamo quindi
potuti convertire dalla nostra vanità ascoltando quella voce.
Nell'occasione del lavaggio dei piedi, Il gran maestro prese
uno straccio (precisamente un asciugatoio), e se ne cinse i
fianchi. Un giorno vidi questa scena nello mio spirito, mentre
vedevo il grande personaggio che stendeva la mano per prendere
145
l'asciugatoio, ciò era così evidenziato come se in ciò Dio volesse
dirmi qualcosa. Sentii all'improvviso una profonda scossa
entrarmi nel cuore, e quasi a non poter trattenere le parole dissi:
“Come vorrei essere io quello straccio mio Signore, afferrami con
la tua mano, portami vicino ai tuoi fianchi affinché possa
abbracciarti, dimorare quivi fino a quando, tu possa servirti di
me per lavare i piedi ai tuoi figliuoli...”. Quando lo Spirito tocca
lo spirito nostro, si entra in comunione con una dimensione
Divina; così ridotti in umiliazione, da non aver più nulla da dire
e da dare. Tutto quello che conosciamo è dimorare vicino ai suoi
fianchi, e imparare a farci prendere dalla sua mano quando lui si
compiace di prenderci e di usarci per il suo servizio.
Molto prima dell’evento del lavaggio dei piedi, nel giardino
dell'eden, Adamo quando si rese conto di aver sbagliato, si cinse
di una cintura di foglie di fico. Qual era il motivo? Usare tale
cintura per la gloria di Dio o per coprirsi della sua vergogna?
Invero, ognuno che non ha ancora conosciuto Cristo, o che
comunque è sulla via di conoscerlo o che l'ha conosciuto, userà
all'occorrenza queste foglie di fico per coprire, per
sdrammatizzare, qualche colpa ancora approvata nel segreto del
cuore. Ma perché le foglie di fico? Esse, ossia il fico stesso,
rappresenta il segno della venuta dell'estate, della bella stagione.
Vuole significare che la stagione del ristoramento è vicina. E'
comodo cingersi di questo pretesto per giustificarsi di qualcosa in
cui potremmo essere in torto davanti a Dio o alla fratellanza.
Adamo era in torto, ma ciò nonostante volle provare a
rappezzare la situazione. Lui non conosceva ancora le infinite
capacità di Dio, e non comprendeva di quali danni è capace il
peccato; non ne conosceva la forza e gli effetti. In tutti i tempi
l'uomo ha fatto uso di foglie di fico per mascherarsi, per essere
indisturbato nel suo commercio, per passare inosservato.
146
Nessuno che vedendo un sacerdote nel tempio a svolgere il
servizio santo, penserebbe che sotto quella tonaca possa
nascondersi un delinquente; tranne che sia smascherato. Così era
per quei farisei ai quali Gesù pronunciò quelle parole sul fico:
“Ora, imparate dal fico questa similitudine; quando ormai i suoi
rami si inteneriscono e le fronde germogliano, sapete che l'estate
è vicina”(Matteo 24:32). Come abbiamo detto: Segno che l'estate
è vicina. Quel intenerire dei rami, e il germogliare delle fronde,
vuole illustrare quel atteggiamento pietoso e artefatto per
dimostrare quel senso religioso di commozione. Vi è anche il suo
senso positivo.
Non vogliamo cingerci in questo modo, con pretesti religiosi; non
siamo chiamati ad impressionare la gente ma ad illuminarle.
I pretesti religiosi di ubbidienza sono velenosi. Si rilegga
Colossesi 2:18. Tanto velenosi che possono derubare del premio.
Quale che sia il premio a cui si riferisce Paolo, vogliamo
concentrarci sulla nostra responsabilità nell'ubbidienza a Dio.
Ricordiamo la veste di Giuseppe nelle mani della moglie di
Potifar, aveva il pretesto nelle sue mani (Genesi 39:12-18). Per
noi, rappresenta quelle occasioni in cui si ha una testimonianza
scritturale, si, ma senza la guida dello Spirito. La fine a cui mena
è il traviamento della verità. Ancora, ci ricordiamo di Davide, di
quando poté uccidere Saul ma non lo fece; tagliò semplicemente
il lembo del suo mantello e al suo risveglio glielo presentò.
Questo, come non è difficile di capire, è un fatto comunque
positivo ma che può essere usato anche nel negativo. Tanti sono
conservatori di segni con cui possono sempre testimoniare una
loro innocenza e così pensano di scagionarsi sempre in merito
alle loro responsabilità, di fronte la croce di Cristo, (1 Samuele
24.5-11). Natanaele era sotto il fico. Come è l'istinto di chi è un
vero Israelita in cui non vi è frode.
147
Aspettava il Salvatore sotto quella pianta che ha in se il segno
della venuta della bella stagione. Riposava sotto il segno della
venuta della bella stagione, il ristoramento, la resurrezione; e la
resurrezione lo fece chiamare da altri risorti, e Natanaele
incontrò la primavera, il Salvatore. Non è per mostra che quando
lo vide gli disse: “Ti ho visto quand'eri sotto il fico, prima che
Filippo ti chiamasse ” (Giovanni 1:48). Piuttosto per valorizzare
il suo riposo presso il fico.
Un pericolo a cui Dio vuole sottrarci è di non soffermarci
presso i segni o le testimonianze. Quando arriva Lui si avanza. E'
un segno di vera ubbidienza e rispetto. Egli è l'originale, tutto il
resto è mezzo a fine, Lui è il fine. In Giobbe 12:21 ci viene detto
che Dio rallenta la cintura ai forti. L'uomo è il forte da demolire.
Il pericolo è in ognuno di noi. Molti fanno l'errore di
sottovalutare questa realtà. Si preferisce pensare di essere al
sicuro semplicemente perché abbiamo accettato questa o quella
verità. Ci mettiamo la coscienza a posto e ci illudiamo. Questo è
l'ingresso del fallimento spirituale. Il diavolo ti anestetizza con
questa menzogna, e mentre lui ti mangia l'anima, tu non senti
nessun dolore per ravvederti. Tranne che Dio ti scuota
fortemente.
Egli dunque allenta la cintura ai forti, per svergognare la
nostra corruzione il nostro peccato: La superbia (la radice),
l'incredulità (il fusto), la disubbidienza (i rami con i frutti e le
foglie per nasconderli). Egli toglie queste cinture di fico per
coprire le vergogne affinché siano giudicate e si applichi il
rimedio: Il sacrificio. Natanaele comprese questo con quella
sapienza spirituale e non mentale; fu sapienza istintiva per lo
spirito. Non era quello il rimedio, di fatti quando fu chiamato
lasciò il segno (che era come una sala d'attesa), per incontrare il
vero rimedio (il sacrificio, il Salvatore, la risurrezione).
148
Siamo spogliati della nostra veste, che a nulla serve alla
redenzione per essere rivestiti del sacrificio e della verità: “ State
dunque saldi, avendo ai lombi la cintura della verità” (Efesini
6.14). Come avviene questo lavoro nelle mani di Dio? Proverbi
31:24 : “ Ella fa delle cinture che da al mercante “. “Ella” è la
donna saggia che rappresenta la chiesa. Vediamo quanto è
importante il ruolo della fratellanza per soccorrere coloro che si
avvicinano al regno e che cercano il regno. Ciascuno si è trovato
nei panni del mercante; sia quando ci siamo avvicinati a Gesù e
abbiamo acquistato veri legami d'amore per legarci alla salvezza,
sia quando continuiamo ad acquistare queste cinture per la
nostra crescita e compimento di fede. Compriamo le cinture che
la nostra fratellanza ci offre, per mezzo dello Spirito di Dio. La
chiesa di Cristo fa delle cinture spirituali, legami d'amore nello
spirito per legarci a Lui. Come forti (contro di Lui, nella nostra
corruttibilità), Egli allenta la nostra cintura e quindi ci spoglia
del vecchio. Successivamente, per mezzo di ministri nella chiesa
e la fratellanza stessa (anche il più piccolo membro è
importante), fa cinture cioè legami con i quali stringerci ai
fianchi di Gesù, rivestendoci del nuovo; quindi realizzare di
avere la verità a cintura dei fianchi. La chiesa dunque fabbrica
veri legami d' amore per chiunque si avvicina a Gesù. Questo ci
rappresenta la cintura di lino che Dio disse a Geremia di
comprare.
Il Signore disse al profeta di comprare una cintura, Dio
aveva un piano su quella cintura. Una lezione importante doveva
essere interpretata dal profeta al popolo. Era necessario avere
quella cintura. Dopo tempo Iddio parlò a Geremia dicendogli di
andare verso il fiume (verso il fiume), e di nasconderla nella
“fessura di una roccia”. Dopo molti giorni, il Signore disse
ancora, di ritornare sul luogo dove era stata sepolta la cintura.
Cosa avvenne? Ciò che era necessario che avvenisse.
149
Una santa espressione da quella bocca meravigliosa consolò il
profeta. “ In questo modo (da notare) Io distruggerò l'orgoglio di
Giuda e di Gerusalemme” (Geremia 13:9). Ancora: “ Poiché
come la cintura aderisce ai fianchi dell'uomo, così io avevo fatto
aderire a me tutta la casa d'Israele e di Giuda ”(v.11).
Il popolo di Dio dunque viene rappresentato da una cintura. Il
Signore voleva stringere Israele ai suoi fianchi... Proprio come si
fa con una cintura. Noi dunque siamo destinati a essere legati ai
fianchi di Gesù, come anche lo straccio di cui accennavamo
all'inizio. Se anche noi siamo paragonati a una cintura, e, siamo
come il fico, segno della venuta della redenzione, nel vederci
come la cintura che abbracciava Adamo, come possiamo slegarci
e liberarci da lui per legarci a Gesù? Nel passo di Geremia c’è la
risposta. La parola di Dio è stata parlata al profeta così: “Va e
metti la cintura nella fessura di una roccia...” (v.4). Chi ha fatto
quella fessura? In Isaia 51:1 siamo invitati a considerare la buca
della cava da dove siamo stati tagliati. Così è stata fatta una
fessura in Gesù Cristo, li sul golgota, là, dobbiamo nasconderci.
Un altro passo in Isaia 2:10 : “ Entra nella roccia e nasconditi
nella polvere...”. Dobbiamo andare alla Roccia, alla nostra cava,
considerarla ed entrare, così nasconderci. “Entrare” è una parola
di invito, “nascondersi” è una parola di permanenza; un
dimorare continuo rimanendo nascosti in quella roccia. “Così”
dimorando in quella roccia... Marciremo. Una frase simile
l'abbiamo quando Gesù parlò del seme che se non muore,
oppure, se non marcisce (sotto terra), rimane solo. Così, disse
Iddio, distruggerò l'orgoglio di Giuda e di Gerusalemme.
L'invito dunque è di andare, entrare e nascondersi
(dimorare) in quella roccia. Nel Cantico troviamo scritto: “ O
mia colomba che stai nelle fessure delle rocce, nei nascondigli
dei dirupi...” (2:14).
150
Troviamo la sposa che dimora tra le fessure delle rocce nella
figura di una colomba e colomba essa è se dimora in quelle
fessure, le ferite, le sofferenze di Cristo. La chiesa deve assumere
l'immagine dello Spirito Santo. Quando si entra e si dimora nella
roccia i nostri peccati vengono schiantati su di essa. Il verso di
Luca 20:18 non ritratta solo gli uomini ribelli, ma raggiunge
anche il peccato negli uomini. Ogni peccato che ci molesta, che
ci scoraggia e allontana dalla comunione con Dio, ogni ricordo,
possiamo schiantarlo su questa roccia, perché è il peccato che
inciampa su Cristo e che fa inciampare. Possiamo avere la
vittoria se con il Suo aiuto schiantiamo il peccato contro quella
roccia. In questo modo la roccia consuma il peccato, perché è per
via di sofferenze che pian piano veniamo liberati, purificati.
Questo ci porta ad essere ridotti in polvere. Come quella cintura
di lino marciremo, moriremo a noi stessi e com'è nel testo,
distruggerà l'orgoglio di Giuda e di Gerusalemme. Purgati da
quella pietra potremo abbracciare il nostro Salvatore. ...In questo
modo... Distruggerò l'orgoglio, Di chi? Di Giuda (lode), e di
Gerusalemme (possesso di pace). La chiesa troppe volte ha
goduto di una pace d'indolenza, su un modo sbagliato di
confidare in Dio; e su un modo eccessivo di una lode o troppo
chiassosa o troppo silenziosa. L'uomo nel ambito religioso cade
facilmente nell'orgoglio di queste cose, in questi eccessi. “Come
la cintura aderisce ai fianchi dell'uomo, cosi io avevo fatto
aderire a me tutta la casa d'Israele e di Giuda “. Nel verso nove è
menzionata prima Giuda, la lode. Nel verso undici Israele.
L'eccesso, è una lode sfrenata che ubriaca illude e stordisce. La
causa, è di aver perduto o semplicemente trascurato il riposo nel
Signore, sicuramente per qualche compromesso. Il risultato è
stato una pace fittizia. La superbia ha avuto campo libero e si è
impadronita dei tesori del Signore, e li ha amministrati. Un pò
come è successo con Ezechia quando mise in mostra i suoi tesori
151
e quelli dei suoi padri ai messi del re di Babilonia (Isaia 39). Ma,
nel momento dell'aderire ai fianchi di Dio è menzionato prima
Israele, per dire Gerusalemme. In effetti, prima la riconciliazione
(Gerusalemme: Possesso di pace, riconciliazione), poi Giuda, il
frutto della lode per la gioia di essere ritornati nel riposo e in
comunione col Signore. Come la cintura aderisce ai fianchi
dell'uomo. Se come il popolo d'Israele siamo paragonati a delle
cinture, cerchiamo di vedere chi è l'Uomo, il capolavoro di Dio.
Gesù è stato chiamato figlio dell'uomo, a costui dobbiamo
aderire ai fianchi. Colui che prese su di se la nostra
disubbidienza. Il perfetto punto d'incontro, il crocevia; colui nel
quale si incontrano l'età. Come dice in Isaia 4.1: “ In quel giorno
sette donne afferreranno un uomo ”. Prendiamo queste parole
nei limiti dello Spirito, con occhio spirituale, sebbene vi sia anche
il senso negativo. Afferriamo, abbracciamo l'Uomo.
La rivelazione di Cristo, il suo edificare, il suo schiantare il
peccato sulla roccia, il nasconderci in lui, il dimorare, il
comprare le cinture dalla fratellanza; tutto questo opera in noi:
L'essere una nuova creatura che abbraccia solo Gesù, stretti ai
suoi fianchi. Su questa pietra edificherà la sua chiesa. Man mano
che la sua rivelazione va facendo marcire le nostre idee, i nostri
complessi e ogni genere di cose che salgono dagli abissi della
nostra anima; l'orgoglio nostro è sterminato.
Voglia Iddio tenerci sempre stretti ai suoi fianchi, il suo invito è
di andare verso il fiume... Là, dimora la roccia dove dobbiamo
mettere la nostra cintura.
***
152
LA CROCE DI CRISTO, LA NOSTRA CROCE
La nostra responsabilità La croce di Cristo è un dovere, quando
accettato, che ci mette in relazione con l’opera di Dio con gli
uomini. non consisterà più solo nella nostra scelta personale in
riferimento alle conseguenze del portare la nostra croce personale,
ma nel portare i pesi degli altri, misuratamente alla responsabilità e
vocazione che Dio ci ha affidato. Quindi la croce di Cristo è
intercessione. Intercede colui che per primo entra in una condizione
di sofferenze anticipate, ossia, entra prima degli altri nella prova che
cadrà sopra il popolo di Dio. Lo scopo è quello di essere pronto,
perché scelto da Dio stesso, a portare tale peso. I servi di Dio, quelli
veri, risolvono. Chi non ha sofferto, non può aiutare nessuno. La
perfezione si raggiunge a mezzo di sofferenze. Sofferenze che sono
il giudizio del Signore in modo molto diretto su noi stessi,
attraverso cui il servo viene disciplinato e preparato, purificato e
santificato. Dio sa chi mandare. Il popolo ha certi problemi e
bisogni; il Signore che conosce tutti trasforma il servo all’immagine
del bisogno e delle sofferenze che il popolo passerà. Trasformati
all’immagine del dolore, malattia, scoraggiamento, debolezza ecc.
Solo così l’uomo di Dio potrà portare la croce di Cristo, perché la
croce di Cristo consiste nel sacrificio per gli altri. Di fatti, Gesù soffrì,
portò la croce per tutti noi, non per se.
Salmo 42 “Un abisso chiama un altro abisso, al fragore delle tue
cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde sono passati sopra di me”.
Il segno verticale delle cascate incontra il segno orizzontale delle
acque, lì lo scontro, l’impatto, e da lì il movimento delle acque che
diventano flutti ed onde che arrivano a riva dove la cerva è pronta
ad abbeverarsi… così l’anima mia anela a te. Questi due segni,
queste due linee si incrociano per formare la croce, l’incrocio
stabilisce un punto preciso che non è ne di una linea ne di un'altra.
E’ la congiunzione, il punto di incontro il centro di equilibrio, il
153
Cristo. Da quel centro esce il fragore… la voce maestosa di Dio.
Anche Gesù diede un gran grido prima di spirare, sulla croce. La
voce del Signore è come la voce delle grandi acque Ap 1:15. Sl 29:3.
Paolo diceva ai Filippesi: “Poiché molti, dei quali vi ho spesse
volte parlato… camminano da nemici della croce di Cristo” (3:18).
In Galati 6:2 dice ancora: “Portate i pesi gli uni degli altri, e così
adempirete la legge di Cristo”.
Potremmo anche chiederci, qual è la legge di Cristo? E’ esattamente
quella di portare i pesi gli uni degli altri. Cristo morì sulla croce per
gli altri, per tutti, non per se stesso. Quindi, il portare i pesi anche
degli altri significa sacrificarsi per aiutare il prossimo. Se il sacrificio
di Gesù ci ha dato la possibilità di essere liberati dai nostri pesi, il
nostro sacrificio sarà di liberazione per i pesi di altri. Questa è la
legge di Cristo, la croce di Cristo nel mistero della pietà, Dio si è
manifestato in carne, Dio si è fatto come me affinché io potessi
farmi come altri.
Veniamo ai nemici. Chi sono essi? I nemici della croce di Cristo,
sono quelli che impediscono questo sacrificio altruistico; lo
reputano perdita di tempo. Amano sentenziare un giudizio,
piuttosto che sapere aspettare, sapersi sacrificare. La croce di Cristo
è intercessione! Intercede solo chi ama veramente, cioè, ama
dell’amore di Cristo, che desidera portare i pesi del proprio fratello.
Ci ricordiamo quando chiesero a Gesù qual’era il primo e il secondo
comandamento più importante: “Ama il Signore Iddio tuo, e il tuo
prossimo come te stesso” (Matteo 22:34-40), aggiungendo che da
questi due dipendono tutta la legge e i profeti. Sempre Gesù in altra
occasione disse: “Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini
vi facciano, fatele anche voi a loro, perché questa è la legge e i
profeti” (Matteo 7:12). La causa è l’amore di Dio, la misura e
paragone è noi stessi. “Come te stesso”; dobbiamo vedere il nostro
prossimo in noi medesimi per capire che come curiamo e amiamo
noi stessi dobbiamo amare e aiutare il prossimo. Su questo principio
si basa anche il matrimonio; si rilegga Efesini 5:28,29.
154
Tutta la legge e i profeti si basano su questo principio perché la
stessa legge si adatta a seconda dei casi. Per legge intendiamo il
piano di Dio in ordinamenti regolari. Se la legge sarebbe la
protagonista, gli uomini sarebbero spacciati. Ma la sapienza di Dio
si adatta al bisogno dell’uomo fra legge e misericordia sulla base
della misura della fede di ciascuno. In Marco 5:33 è detto che Gesù
annunziava la parola secondo che le folle erano in grado di capire.
In 2Corinzi 1:13,14 è detto che Paolo scriveva le cose che erano in
grado di capire e che in parte già comprendevano. E nel capo dieci
verso sei della stessa, viene detto che era pronto a punire la
disubbidienza dei Corinzi quando la loro ubbidienza sarebbe
perfetta. Ancora nei Filippesi 3:15,16 un saggio incoraggiamento
sulla statura spirituale con la misura, come porzione, della fede che
Dio assegna; Romani 12:3.
Da questo possiamo vedere come il cuore della legge è
giustizia, che ottiene per metodi di grazia, l’amore: “Il fine (scopo)
del comandamento è l’amore” (1Timoteo 1:5). Quindi, la legge. i
comandamenti di Dio, il consiglio di Dio, che prende forma del
bisognoso.
Per la pietà di Cristo veniamo trasformati nei bisogni del
prossimo, portando i pesi, o meglio, aiutandolo a portarli
adempiamo la legge, questa legge, di Cristo. Non ci è detto di
portare la croce degli altri, ognuno deve portare la propria croce, chi
accetta la disciplina della legge di Cristo, si preoccuperà di portare
la croce di Cristo. Dalla intercessione viene il soccorso.
I nemici di questa croce, tendono al castigare, dare ultimatum,
imporre una conversione forzata sulla base di qualche apparente
disubbidienza o mancanza. Questo perché non amano di sporcarsi
le mani e perdere tempo vicino al bisognoso.
Nel libro di Ester, vediamo come Haman voleva ostacolare
l’intercessione della regina Ester per salvare il suo popolo dal
massacro.
***
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OGNUNO PRENDA LA SUA CROCE
La croce personale che ognuno deve prendere è volontaria.
Essa riguarda la responsabilità che ognuno ha nei confronti di se
stesso, ossia della responsabilità della sua personale scelta di
seguire Cristo, nei confronti delle conseguenze che ne riceverà.
Gesù stesso avvisò che chi lo avrebbe seguito sarebbe stato
perseguitato. La persecuzione quindi è un ostacolo da cui non
possiamo sottrarci. E’ insita nella propria croce, con tutte le
conseguenze che le sono legate. Questo disse pure l’apostolo Paolo:
“Ma egli mi ha detto: la mia grazia ti basta, perché la mia potenza è
portata a compimento nella debolezza” 2Corinzi 12:9,10.
Questa debolezza a cui fa riferimento, è proprio la sua croce,
che ha preso e che lo rende debole, crocifisso al mondo (Galati
6:14). “Perciò io mi diletto nelle debolezze, nelle ingiurie, nelle
necessità, nelle persecuzioni, nelle avversità per amore di Cristo,
perché quando io sono debole, allora sono forte”.
Si noti il “quando sono debole”, cioè quando rimango sulla
scelta volontaria di prendere la mia croce. Gesù disse appunto: “Se
qualcuno mi vuole seguire, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e
mi segua” (Matteo 16:24).
L’elenco fatto dall’apostolo in merito all’accettare di essere
debole, riguardano la responsabilità sulla nostra scelta di seguire
Gesù. Questa è la croce di ognuno. E’ il prezzo del proprio biglietto
di viaggio. La croce di Cristo riguarda il caricarsi delle conseguenze
di intercedere per gli altri. Paolo scrive ai Filippesi: “Ora spero di
mandarvi presto Timoteo… Perché non ho alcuno d’animo uguale al
suo e che abbia sinceramente cura delle vostre cose. Tutti infatti
cercano i loro propri interessi e non le cose di Cristo Gesù” (v.2:19-21).
“Cura delle vostre cose” Non delle sue! Tutti cercano il loro,
non quello che è di Cristo. Quel ch’è di Cristo, in questo verso, è
messo in relazione con l’avere riguardo agli altri.
156
Anche Paolo diceva che per lui desiderava andare col Signore
affrontando la morte il più presto possibile. Ma: “Il rimanere nella
carne è più necessario per voi” (Filippesi 1:21-24). Per dire queste
parole è evidente che aveva davanti agli occhi la croce di Cristo. E’
detto ancora: “Ora ricordatevi dei giorni passati nei quali, dopo
essere stati illuminati, avete sostenuto una grande lotta di sofferenza,
talvolta esposti ad oltraggi e tribolazioni (la croce personale), altre
volte facendovi solidali con coloro che venivano trattati in questo
modo (la croce di Cristo)” (Ebrei 10:32,33).
Siamo chiamati ad accettare i metodi misteriosi di Dio; anche
se ci sembrano strani a volte, dobbiamo crescere anche nel saper
soffrire. Rimanere, in questo caso, sulla propria croce. Alcuni hanno
sofferenze atroci a riguardo di qualche perdita cara. Altri, dovranno
sopportare la povertà, altri, particolari malattie (in questo caso, viste
come strumento nel piano di Dio per noi, vengono incluse nella
croce personale, altrimenti, comunemente no), altri, disastri.
Ognuno avrà a che fare con un insieme di prove che, se accetta la
sua croce, dovrà stare in una posizione di attesa per essere liberato
da Dio quand’egli vuole; se la respinge, affronterà le prove con le
proprie forze e secondo il suo discernimento. Questo non farà altro
che peggiorare le cose. Se guardiamo quando Gesù era sulla croce,
veniva provocato a scendere e far vedere se veramente era il Figlio
di Dio. Gesù rimase sulla croce, che definiamo sua, perché era anche
sua (diciamo, la responsabilità della sua scelta di ubbidire al Padre).
Non scese, non volle liberarsi da solo, con le sue forze, o ancor di
più, usando l’autorità di essere Figlio di Dio: Non reputò rapina
essere uguale a Dio (Filippesi 2:6), non fece valere, cioè, il suo
diritto. Gesù accettò e sopportò con amore le conseguenze del
portare la nostra croce, di intercedere per noi. Questo ci è
d’esempio.
Troveremo sempre nel nostro cammino, nemici, che da quella
croce, di Cristo, vorranno farci scendere. In questo modo, il
bisognoso rimarrebbe senza un aiuto. Ricordiamoci le parole di
157
Elihu a Giobbe: “Ma se presso a lui vi è un angelo, un interprete, uno
solo fra i mille, che mostri all’uomo il suo dovere, Dio ha pietà di lui e
dice: Risparmialo dallo scendere nella fossa; ho trovato il riscatto per
lui” (Giobbe 33:23,24). Mediti il lettore su queste parole, fino a
morirci sopra. In queste espressioni è il centro dell’evangelo, il cuore
di Dio.
Di fronte la tentazione dunque, rimanere sulla croce, nostra, e
quella di Cristo. Se scendiamo, diventiamo salvatori di noi stessi e
dio di noi stessi. Per quanto riguarda la croce di Cristo lasceremo
solo il debole e bisognoso; solo senza un intercessore.
***
(POESIA)
Sul tuo altare
Disteso sul tuo altare, o divin Signore accetta quest’oggi il mio dono
per Gesù tuo figliuolo.
Non ho gioielli per adornare il tuo tempio né sacrifici gloriosi da
fare;
Ma ecco , che porto con mano tremante la mia volontà. Qualcosa
che appar essere poco ; ma , tu solo, o Signore comprendi che,
quando ho arreso a te questo; ho arreso tutto.
E’ bagnata con lacrime, coperta di gemiti, stretta nelle mie mani;
finché ha perso ogni bellezza.
Ora: allo sgabello dei tuoi piedi , dov’essa giace; sottomessa, sale
una preghiera:
158
“La tua volontà sia fatta! “
Prendila o Padre, prima che , il mio coraggio venga meno e fondila
così tanto con la tua; che se anche , in qualche ora disperata ,il mio
grido prevalga e, tu mi restituisci il dono fatto: Sia esso trasformato
e purificato, così uno con te, che non lo riconosca più come mio,
ma riavendo la mia volontà ,io scopra che è la tua!
***
LA TESTIMONIANZA DI GESU’ E’ LO SPIRITO DELLA PROFEZIA
(Apocalisse 19:10)
Analizziamo queste parole preziose e ricche di significato. Due sono gli aspetti che vogliamo considerare. Uno, è nei rapporti fra Cristo e la chiesa; due, nei confronti l’uno dell’altro nella chiesa. Una è la testimonianza che Dio rende di se; l’altra è la testimonianza che noi rendiamo di Lui.
In riferimento a Cristo, la testimonianza di Gesù è la Sua personale testimonianza; quella che egli stesso rende di se. Sia in forma esteriore, quindi visibile; sia rivelazione intima; scopo principale che Dio vuole raggiungere nelle anime. Se non è Lui a confermare quello stesso che viene da lui, non troverà mai solidità nell’intimo del cuore. E’ vero che il servo ispirato da Dio parla sotto l’unzione dello Spirito, e quindi è Dio che parla attraverso di lui. Ma, è pur vero che quel che Dio dice trova una continuazione personale dentro l’anima di chi ascolta in una conferma personale. Possiamo dire che, Dio stesso colloca le pietre una ad una dentro di noi, per formare il Suo tempio. In questo caso, la mano dell’uomo non ha niente a che fare. Quel che molti cristiani non comprendono, è che Dio vuole raggiungere personalmente ogni sua creatura. Lui solo ha le chiavi dell’anima. L’ispirazione per cui i servi parlano, è per far si che chi ode possa aprire il cuore all’invito a questa esperienza, questo tocco che Dio stesso darà.
Questo vuol dire che, la testimonianza di Gesù è lo spirito di quel che la profezia è; essa è la dichiarazione ispirata di Dio sulle
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cose presenti future e passate. La testimonianza di Gesù, quella che lui rende di se, è il fondamento, la costituzione della profezia. Questo onde comprendere bene cosa sia la profezia. Molti, nell’errore, pensano che la profezia sia solo la rivelazione di segreti riguardanti il futuro. Ciò è sbagliato! La profezia è proprio questo: La testimonianza di Gesù; quella che Egli rende di se stesso. Nella profezia non vi è tempo. Che sia in riferimento al passato o al futuro e presente, non ha alcuna importanza. Quando è la testimonianza di Gesù, quando Gesù viene ritratto al vivo, quella testimonianza è il soffio, la vita, lo spirito della profezia. Tanti ripetono questa frase, come tante altre, meccanicamente, perché è scritta; ma, non ne comprendono il significato. La cosa più triste è che chi cerca di approfondire per crescere nell’intendimento, viene visto come chi vuole complicare le cose. Tutt’altro! Lo scopo di investigare è a causa di constatare quanto spesso pensiamo di comprendere le cose in maniera definitiva, giusta, e poi col tempo ci accorgiamo di aver avuto o un intendimento semplicemente parziale o addirittura contrario.
Consideriamo le parole di Paolo: “Affinché il Dio del Signor nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia lo Spirito di sapienza e di rivelazione, nella conoscenza di Lui”.
“Finché giungiamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, a un uomo perfetto, alla misura della statura della pienezza di Cristo” (Efesini 1:17; 4:13).
“Perché camminiate in modo degno del Signore, per piacergli in ogni cosa, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio” (Col 1:10).
In quella crescita ci guida lo Spirito Santo, Cristo in noi, ci chiama a conoscenza sempre più profonda e sempre più alta. La testimonianza di Gesù dunque, è il soffio, la consistenza della profezia. La parola profeta è composta da, PRO: “per conto di”, ed anche, “avanti, prima”; PHEMÌ: “io parlo”. Questo significato ci ricorda un nome che è simbolo di risurrezione: Seth, “al posto di”. Seth, è l’immagine degli eletti, la chiesa di Cristo, la sposa
160
dell’agnello. La chiesa di Cristo è ed ha spirito profetico, perché parla al posto di Dio, come rappresentandolo. Dio parla a lei, lei parla al mondo e ai religiosi. La chiesa è discendente da Seth, figlio sostituto “al posto” di Abele. In questa forma di sostituzione, è anche la chiesa riguardo a Cristo, nei confronti del mondo; sostituisce Cristo portandone l’immagine.
Non vi potrà mai essere quel parlare “al posto” di Dio, quella santa forma di “sostituzione”, quel “vedere prima”, se non vi è il “soffio” (dello Spirito), che li crea. Il soffio, lo Spirito, l’ispirazione e rivelazione, sono la testimonianza di Gesù, base ed essenza della profezia. Ricordiamo le parole di un apostolo che conosceva bene questa dinamica e realtà:
“Noi abbiamo anche la parola profetica più certa a cui fate bene a porgere attenzione, come una lampada che splende in un luogo oscuro, finché spunti il giorno e la stella mattutina sorga nei vostri cuori, sapendo prima questo: che nessuna profezia della Scrittura è soggetta a particolare interpretazione. Nessuna profezia infatti è mai proceduta da volontà d’uomo, ma i santi uomini di Dio hanno parlato, perché spinti dallo Spirito Santo” (2 Pietro 1:19-21).
Queste parole definiscono chiaramente il carattere della profezia e del suo significato. La lampada è inferiore alla luce naturale del sole, perciò essa brilla come “messaggero”, nella testimonianza umana, o “la scrittura”, ma questo è per invitare l’uditore ad aprirsi al richiamo decisivo e scopo ultimo, di ascoltare il Santo ed unico Predicatore, parlare dentro il suo tempio, noi. Quando la luce del sole sorge e si esprime, la luce minore non serve più. Non nel senso negativo, ma che sparisce dinanzi la Corte Suprema. Il significato è lo stesso che espresse Giovanni nei riguardi di Gesù: “Bisogna che egli cresca e che io diminuisca” (Giovanni 3:30). Diminuire volentieri davanti la gloria suprema del Re. Da quel momento sarà Lui a parlare. Chi è dunque il Vero Predicatore che predicherà la Parola? Si rilegga Atti 26:23. Diamo uno sguardo ancora su questa testimonianza di Cristo:
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“Colui che ha ricevuto la sua testimonianza ha solennemente dichiarato che Dio è verace” (Giovanni 3:33).
“Colui che viene dopo di me mi ha preceduto, perché era prima di me” (Giovanni 1:15).
Senza la testimonianza di Gesù, nessuno può dichiarare che Dio è verace. Questa testimonianza coincide a quella dello Spirito Santo: “Nessuno può dire: “Gesù è il Signore”, se non per lo Spirito Santo”(1 Corinzi 12:3). Nessuno può profetizzare secondo Dio, se Egli non interviene prima, per essere visto nel dopo; causa ed effetto. Come parlare di un tanto personaggio? Nella chiesa la testimonianza umana viene fraintesa continuamente. La testimonianza o predicazione, deve essere “il” testimoniare di Gesù, ossia, la Sua persona. Gesù, parlando di Isaia disse:
“Queste cose disse Isaia , quando vide la sua gloria e parlò di Lui” (Giovanni 12:41).
Paolo ci dice: “…Per illuminarci nella conoscenza della gloria di Dio, che splende sul volto di Gesù Cristo” (2 Corinzi 4:6) …Sul volto di Gesù…
Ancora: “Ogni spirito che non riconosce Gesù venuto nella carne, non è da Dio” (1Giovanni 4:3).
Questo è il modello di come si deve parlare di Gesù, di come dare la testimonianza di Gesù. Isaia vide la gloria di Dio ma non parlò di dottrine, non insistette sulla parte oggettiva, ma, parlò di Lui! Non si può parlare di Lui standogli lontano; solo lo Spirito Santo può e sa parlare di Gesù e per questo tenerci vicini a Lui. La conoscenza della gloria di Dio, splende sul volto di Gesù, non su frasi, eventi, comandi e dottrine, per quanti siano importanti; ma su quel volto benedetto. Confessare Gesù venuto in carne significa, ritrattarlo, fare il ritratto di Lui, di quel volto, vederlo nella sua umiliazione, nella sua carne. Chi si perde in altre cose, per quanto valgano, è nella scia dell’anticristo; non dico che è un anticristo, ma comincia a contrastare l’opera di Dio, anche se a quel tale pare
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che il suo operato prolifichi. Paolo rimproverò i galati per aver incominciato nello Spirito e poi essersi sviati; volendo dire ad essi che sarebbero finiti nella carnalità, schiavi del visibile. Questo perché? Era in relazione all’avergli presentato il Cristo “ritratto al vivo”, non con discorsi persuasivi di sapienza umana, come disse ai corinzi, per mettere in risalto che lui presentava (ritrattava, faceva il ritratto) Cristo, sapienza e potenza (1Corinzi 2:1-5). Così dei galati, gli era stato presentato il Cristo crocifisso e risorto, consistendo in questo il loro iniziare nello Spirito, per poi abbandonarsi in discorsi su dottrine, insegnamenti controversi su eventi, comandi, precisazioni, “…messaggio, profeta…”. Tanti pensano che i galati erano tornati nel mondo perché Paolo disse loro che: “…Vorreste finire nella carne?” (Galati 3:1-3). Ma non è così! Per “carne” in questo caso si intende sapienza umana; “discorsi” su dottrine, comandi, ubbidienze. Si rilegga bene il capo uno, il verso diciassette del capo quattro. Anche nell’assieme l’insistenza è il confronto fra la legge e la grazia. Quindi stavano cadendo nella trappola del diavolo, parlare e usare il cristianesimo per portare in definitiva la legge! Per questo l’apostolo Giovanni dichiara una tanta affermazione: Chi non confessa e non riconosce Gesù venuto in carne, è anticristo; si dimostra contro Cristo. Cari nel Signore, ricevere e credere un messaggio così importante come quello di questo tempo, il profeta, il ministero del sevo fedele, può diventare un arma a doppio taglio se perdiamo di vista il personaggio, l’Uomo Gesù. La sussistenza e consistenza della profezia, anche in questa versione (quando è l’uomo che porta la testimonianza di Gesù), è la testimonianza di Gesù, non di altra cosa; non delle cose che gli appartengono come: doni, potenza, gloria, regno dei cieli, potere ecc. Ma del conoscere Lui, la sua persona, l’agnello!
***
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LA VITE E I TRALCI
Esamineremo le parole di Gesù per coglierne l’intero significato
descritto nella lettera, per avere elementi chiari per poi estenderci
nello Spirito del loro significato.
“Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie via; ma ogni tralcio che porta frutto, lo pota affinché ne porti ancora di più”
(Giovanni 15:2).
A cosa affiancheremo queste parole? Se esaminate senza
pregiudizio, e così deve essere, danno chiaro il concetto che, si può
“essere in Lui”, e non portare frutto! La cosa più inquietante è che
se un tralcio, che “è in Lui”, non porta frutto, lo toglie via! Come
intendere queste parole? Tanti dicono che una volta salvati non c’è
più, per quell’anima, la possibilità di tornare indietro. Questo si
dice, ma la base di questo pensiero è più su un insieme di parole,
ovviamente, accompagnate da qualche scrittura, ma rimangono
concetti astratti.
Dico che è inutile cercare di spiegare, quel che non si può
spiegare o provare. Il fatto che ci sia scritto:
Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché il seme di Dio dimora in lui e non può peccare perché è nato da
Dio (1Giovanni 3:9), non dimostra che chi nasce da Dio non
possa tornare indietro. Vi sono molte espressioni di uguale portata,
questo non significa che quelle espressioni siano definitive e
assolute. Gesù promise lo Spirito santo in Giovanni 16:13, dicendo
che, quando sarebbe venuto, avrebbe guidato in tutta la verità. Lo
stesso pensiero è riportato in 1Giovanni 2:27, dove l’apostolo ci
dice che, non abbiamo bisogno che alcuno ci insegni, perché la sua
unzione ci insegna ogni cosa. Davanti a queste verità, cosa
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dobbiamo intendere? Se lo Spirito Santo guida in ogni verità, e se
ciò sarebbe assoluto per tutti, perché ci sono delle vergini stolte?
Sappiamo che esse saranno salvate comunque anche se non
saranno rapite, perché non fanno parte della sposa del Signore.
Questo indica che c’è la possibilità che lo Spirito non riesca a
guidare alcuni che rimangono in qualche idea, dottrina, o fallo, per
cui al ritorno del Signore non saranno presi. Questo non
compromette la loro salvezza, ma solo la elezione in riferimento
alla superna vocazione, il rapimento, l’essere la sposa.
Questo dico per il modo assoluto di come certi versi vengono
presi in considerazione. La Sua Unzione ci insegna ogni cosa, pur
non di meno alcuni, quelli che non saranno parte della sposa (i
primogeniti), non prenderanno quell’ogni cosa di quella
caratteristica dello Spirito Santo. Nell’Unzione c’è la caratteristica
di insegnare ogni cosa, ma si realizza solo se l’anima si arrende a
tale ricezione; costa ricevere la Sua Unzione. Vediamo la relatività
di certe affermazioni, non intendo che sono mendaci, ma relative
alla posizione dell’anima a come ubbidisce, si arrende a quella
legge, Unzione. Dio può fare tutto, anche costringerci se vuole, ma
sarebbe contro la sua natura. Lui vuole che noi lo accettiamo
liberamente, per amore, e non per costrizione. Per questo abbiamo
detto: se lo Spirito non riesce a guidare. Dipende dalla resistenza
dell’anima a quella guida amorevole dello Spirito.
Analizziamo meglio il verso di 1Giovanni 3:9. In questo verso
l’enfasi è sulla natura divina e pura del Seme di Dio, e non
sull’anima redenta. Notiamo le motivazioni: …Perché il seme di
Dio dimora in lui e non può peccare perché è nato da Dio .
Credo sia chiaro, il perché, il motivo è nelle caratteristiche del
seme e nel dimorare in tale caratteristiche. Il problema è quando
l’anima rigenerata non dimora più nel personaggio vivente e si da a
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dottrine e filosofie religiose. Si rilegga attentamente Galati 3:1-5;
4:9-11,19. Quindi è presente, magari sottinteso, un condizionale
predominante: SE DIMORIAMO NELLE CARATTERISTICHE DI
QUEL SEME, NON POSSIAMO PECCARE, OSSIA RITRARCI E
PERDERCI; QUANDO CI RITRAIAMO È’ PERCHÉ NON
DIMORIAMO PIÙ IN QUEL SEME E NELLE SUE CARATTERISTICHE.
Per questo Gesù disse: Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà
salvato (Matteo 10:22). Questo è il contesto.
Come abbiamo letto nelle parole di Giovanni 15:2; il tralcio
che non porta frutto… perché? Qual è la causa di questa
mancanza? La causa viene rivelata da Gesù stesso e riguarda il
“dimorare in Lui”! Dimorate in me e io dimorerò in voi; come il tralcio non può da se portare frutto se non dimora nella vite, così
neanche voi, se non dimorate in me (Giovanni 15:4).
Quindi non si tratta di trovarsi semplicemente “in Cristo”, ma più di
questo occuparsi di “dimorare in Lui”. Questo è il messaggio che
dobbiamo portare e insegnare. Se non dimori in Gesù Cristo, cioè,
se non ti occupi di cercare ed inseguire la sua presenza viva, nutrirti
nella preghiera, ricercare una comunione intima con Lui,
contemplarlo ed adorarlo. Studiare la sua vita, occuparti “di Lui”,
più delle “cose di Lui”; allora qualsiasi esperienza tu possa aver
fatta “in Lui”, ti sarà tolta! Bando alle illusioni!
Dice anche, nel verso due, che il tralcio che porta frutto (quindi,
che dimora in Lui), lo pota (lo taglia, lo accorcia) affinché ne porti
ancora di più. Vi è una potatura, che sembra come un taglio di
separazione; rappresenta quel lavoro profondo e tremendo, ma
curato dello Spirito, che mira a renderci ancora più fruttiferi. Due
tagli dunque: Uno è definito “togliere”, che non è un taglio. L’altro
è un vero tagliare tanti rametti. Solo che, per quanto il togliere non
genera dolore, l’altro si; e sembra, ad occhio superficiale (ed anche
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all’occhio religioso), quasi che, chi è tolto sia risparmiato, perché
lasciato integro, non toccato; chi viene tagliato in più parti, può
sembrare che viene respinto, punito. La realtà è che chi sembra
essere provato, rimpicciolito (potato), è gradito al Signore per
disciplina; chi viene tolto, non ha bisogno di essere lavorato
(potato), perché si sente già a posto. Verrà raccolto e bruciato (v.6).
Consideriamo un verso che sentiamo spesso: Se perseveriamo (un altro lato del dimorare), regneremo pure con lui; se lo rinneghiamo, egli pure ci rinnegherà. Se siamo infedeli, egli rimane
fedele, perché egli non può rinnegare se stesso (2Timoteo
2:12,13). Se noi lo rinneghiamo Lui ci rinnega! E’ un fatto
abbastanza chiaro. Se noi siamo infedeli, perché facciamo degli
sbagli, cosa normale durante il cammino, o delle mancanze, egli
rimane fedele. Lo scopo è di aiutarci a diventare fedeli in ogni cosa.
Non ci abbandonerà mai semplicemente perché cadiamo nel
peccato o per qualche mancanza, ma solo se lo rinneghiamo, ci
allontaniamo da quel dimorare. Questo significa in realtà: non
avere realmente bisogno di Lui.
Diamo uno sguardo alla lettera agli Ebrei: Quelli infatti che sono stati una volta illuminati, hanno guastato il dono celeste, sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e le potenze del mondo a venire, se cadono è impossibile riportarli un’altra volta al ravvedimento, perché per conto loro crocifiggono nuovamente il Figlio di Dio e lo espongono
ad infamia (6:4-6). Anche il seguito è interessante. Qui si parla
di: essere illuminati, gustato il dono celeste, fatti partecipi dello
Spirito Santo. Non si parla di “sensazioni” al riguardo ma di
esperienze fatte, determinanti una consapevolezza. A riguardo si
parla di “essere illuminati”. Quindi, pur essendo in Cristo, si scadere
da quella posizione.
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In Galati 5:4 è detto: Voi, che cercate di essere giustificati mediante la legge, vi siete separati da Cristo; siete scaduti dalla
grazia . Anche queste parole vanno meditate attentamente. Non
si tratta di un fatto compiuto. Spesso nelle scritture vengono dette
cose come fatti compiuti, ma non sono così poi nella esecuzione.
Questo perché, questo tipo di parlare è un parlare, per così dire,
“lungo”, ossia, possiede questa caratteristica. E’ un parlare in
lunghezza, va a definire la fine di quella particolare situazione. La
condizione in cui erano caduti i Galati, se ci avrebbero perseverato,
avrebbe conseguito quello che disse Paolo: separati da Cristo,
scaduti dalla grazia.
Tutto questo ci avverte che non dobbiamo riposare, cullarci,
sul fatto che siamo nati di nuovo, abbiamo ricevuto lo Spirito
Santo, abbiamo anche i doni dello Spirito. Come abbiamo visto, c’è
la possibilità di scadere dalla grazia. Quindi occupiamoci
principalmente di DIMORARE E PERSEVERARE IN GESU’ CRISTO.
***
L’AMORE E LA GRAZIA
L’amore è l’origine, la grazia è l’espressione e il metodo di Dio nel manifestarlo. L’apostolo Paolo diceva a Tito che la grazia salvifica di Dio è apparsa, (2:11). E’ apparsa; si è manifestata e ha manifestato Dio nel Suo amore. La grazia non può dividersi in nessun caso dall’amore, nello stesso modo in cui, ad esempio, può dividersi o separarsi dalla fede. Le parole di Paolo sono chiare a confermare questa verità:
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“Se avessi tutta la fede da trasportare i monti, ma non ho amore (o carità), non sono nulla ” (1Cor. 13:2).
Certamente mi si dirà che anche quel che appare della grazia, in quei modi gratificanti, per cui le persone ci avvicinano senza timore e con piacere, può essere senza vero amore spirituale. Ma, in tal caso è solo imitazione. Paolo, in relazione al confronto fra l’amore e la fede, non parla di una fede imitata e finta, ma di quella vera, nelle buone intenzioni. Certo, la fede genuina, la fede di Cristo, quella che è il frutto di vera arresa al Signore, viene in effetti dall’amore, per essere anche convalidata e messa in conto di giustizia. Però, la fede, essendo uno slancio personale in una qualche confidenza con Dio, utilizza in qualche modo quella porzione data da Dio stesso per camminare e affrontare la vita. Solo che viene così, auto gestita in modo arbitrario. Lo stesso è con il dono di guarigione. Lo si può utilizzare anche in modo sbagliato. Così per le lingue. In Romani 12:3 è detto: “Secondo la misura della fede che Dio ha distribuito a ciascuno”. Questa misura è come un permesso, un credito che la persona, anche se non ha ricevuto l’amore di Dio, può usare a pieno carico. Ma, rimane quel che disse l’apostolo: non sono nulla! Di fatti in altra lettera, mettendo a confronto la circoncisione e non, riguardo la vera importanza, dice:
“Ma la fede che opera mediante l’amore” (Gal. 5:6).
In questo vediamo come le fede viene convalidata, e perché si compie mediante le “opere”, Giacomo dice:
“…E per mezzo delle opere la fede fu resa perfetta” (Giac. 2:22).
Perché? “Come il corpo senza lo spirito è morto, Così anche la fede senza le opere è morta” (v.26).
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Le opere indicate non sono tanto quelle della legge Mosaica quanto quelle di Dio, come manifestazione di Lui stesso attraverso di noi. Anche Gesù disse così nei rapporti suoi con il Padre (Giov 5:17,36). Quindi vediamo che nonostante la fede sia attiva, pur senza che sia motivata e prendendo origine dall’amore (di Dio), è morta. Morta in quanto che non origina vita vera e amore a chi la riceve. La grazia, non può esistere senza l’amore, quando si manifesta in queste condizioni è perché è solo un imitazione. Quindi, grazia e carità (o amore) sono il centro della ricerca dell’uomo verso Dio. La mia grazia ti basta! Disse il Signore a Paolo. Non per dire che non voleva dargli altro, ma per insegnargli che ogni cosa la si ricerchi e si ricevi cercando prima di tutto di vedere ogni cosa attraverso la grazia e l’amore di Dio, e considerarla come origine di ogni cosa, la cosa più importante. Da questa visione partiamo per vedere come si articolano le vie di Dio nella via. La via è l’amore, tanto è vero che sempre Paolo disse in merito alla carità che: “Ora voi cercate ardentemente i doni maggiori; e vi mostrerò una via ancora più alta ” (1 Corinzi 12:31).
“Ora dunque queste tre cose rimangono: Fede, speranza e amore; ma la più grande di esse è l’amore ” (1Cor 13:13).
In 1 Tessalonicesi 5:23 è detto: “E l’intero vostro spirito, anima e corpo siano conservati irreprensibili…”.
Vi è una relazione in questi versi. Il primo parte dalla base fondamentale. Il secondo, “dall’espressione” della carità (le opere della fede compiuta in essa), penetrando fino all’origine, l’amore. Il terzo, parte dall’origine, lo spirito, fino all’esterno, il corpo. E’ semplicemente una forma espressiva descrittiva, ma ben ordinata (apparecchiata) che fa l’apostolo. Questo per dire
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che l’ordine delle cose, nella loro struttura e forma, non è a caso e fa parte della corretta espressione del linguaggio di Dio e degli apostoli. In effetti, in merito alla struttura dell’uomo, parte dalla parte più intima, lo spirito, poi l’anima e all’ultimo il corpo. Non era un espressione a caso, tanto e vero che da questo modo preciso di esprimere l’ordine o gli strati dell’essere umano, possiamo capire molto della vita interiore dell’uomo. Per quanto riguarda la fede detta per prima, è perché Paolo descriveva l’opera di Dio in noi cominciando dall’esterno, fino ad arrivare all’origine. E’ semplicemente il metodo di Dio quello di incominciare partendo dal frutto al seme, per voler dire qualcosa; e dal seme al frutto per dire altro. Sempre a seconda di cosa vuole insegnarci e per quanto sia profittevole per il nostro bene.
“Tutto ciò che non viene da fede è peccato” (Rom 14:23). In effetti, tutto ciò che non appartiene a quell’esperienza che abbiamo cercato di esprimere, sulla fede completa di opere, è peccato. Ciò che non viene dalla esperienza che origina dall’amore, parte dinamica e centrale, che accende la speranza e partorisce la fede con le sue relative opere; viene dai nostri sentimenti ed intenzioni personali, quindi peccato. Nella nostra umanità non vi è nessuna capacità a fare il bene, bene secondo Dio intendiamo. Anche se nati di nuovo, se non dipendiamo dallo Spirito, dall’ascoltare quella Voce, non possiamo fare nulla. Il nato di nuovo deve ogni giorno fare lega col Signore se vuole camminare nello e per lo Spirito. Il tutto è sulla base di un accordo giornaliero, e ancor di più, momento per momento, passo dopo passo con la Guida suprema e vivente. Lo stesso ordine avviene nell’uomo quando riceve la parola, o il messaggio che Dio gli rivolge. Se tale richiamo non accende
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lo spirito dell’uomo, se non lo Stimola e risveglia; se ne avrà una conversione sentimentale o razionale. Una conversione nell’anima, intesa come parte umana. Tali conversioni non durano e non portano frutto spirituale. Molto di umano, quindi, che appartiene al visibile senz’altro; ma di frutti spirituali molto poco. Un esempio di questo avvenimento lo abbiamo in Esdra 1:1,5:
“L’Eterno destò (stimolò, risvegliò) lo spirito di Ciro… Assieme a tutti quelli ai quali Dio aveva destato lo spirito, si levarono per andare a ricostruire la casa dell’Eterno ”.
La grazia di Dio è l’ingresso, la porta per raggiungere l’amore. L’invito è presentato a tutti! Per conoscere l’amore di Dio, che come ci dice Paolo: “Secondo il proponimento eterno che egli attuò in Cristo Gesù, nostro Signore, in cui abbiamo la libertà e l’accesso a Dio nella fiducia mediante la fede in lui ”. Parlando dell’amore, continua dicendo: “Affinché radicati e fondati nell’amore, possiate comprendere… e conoscere l’amore di Cristo che sopravanza ogni conoscenza” (Efesini 3:11,12; 18,19). Nei primi versi si legge dell’accesso e libertà in Cristo, per arrivare “al fine”, di conoscere l’amore di Dio (in Cristo) nelle sue diverse misure; per essere fondati e radicati in esso. La grazia ci dà la possibilità di entrare in questa realtà; il fine è di conoscere le misure dell’amore di Dio. Raggiungiamo l’amore eterno del Signore. Questo il messaggio che Dio desidera che gli uomini realizzino; perché essi si soffermano sulla parte ragionata, come dottrine, rivelazioni, eventi rimproveri, santificazioni esteriori ecc. Questa è l’opera del diavolo! Egli sa che l’uomo è sottoposto alla vanità del visibile e quindi ricerca sempre certezze visibili; la più ambita in alcuni è
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la sacra scrittura; in altri i segni miracolosi. Qualcosa su cui appoggiarsi senza troppo sacrificio; come nel caso più frequente, facendo appello alle parole dei servi di Dio; precisamente, ripetendo e ripetendo. Questa è una semplificazione dell’appoggiarsi alle scritture tramite altri (i ministri), ripetendo le loro parole, pensando così di essere nell’armonia delle scritture. Diranno: la parola dice, la parola, la parola. Il messaggio, il messaggio. Il profeta, il servo fedele… Nessuno di questi ciarlatani è in grado di usare ed appellarsi alle scritture per personale insegnamento dallo Spirito Santo, ma solo ripetere le scritture in quel che i ministri han già detto. Per tali imbroglioni vale la parola in Geremia:
“Come potete dire: Noi siamo saggi e la parola dell’Eterno è con noi? Ma ecco, la penna bugiarda (lo stesso che la lingua) degli scribi l’ha resa una falsità. I savi saranno svergognati, spaventati e catturati. Ecco, hanno rigettato la parola dell’Eterno (parola vivente); quale sapienza possono avere? ” (v.8:8,9).
Misericordia! Pietà Signore!
Possa lo Spirito Santo di Dio, stringerci nel suo mantello e conservarci al sicuro da tali buffonate! Vogliamo camminare nel Suo timore santo; attendendo da Lui ispirazione e guida. Amiamo i nostri fratelli che hanno ricevuto un ministero da parte di Dio, senza staccare lo sguardo dall’assoluto: lo Spirito di Cristo il vivente. Prendiamo dai ministri ma avanziamo tanto quanto Lui ce ne dà intendimento e rivelazione nel profondo.
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LA VIA E LE VIE DI DIO
Gesù disse: “Io sono la Via ” (Giovanni 14:6). Che consolazione sapere che Gesù e non altri è la Via. A Lui portano tutte le vie di Dio. La distinzione tra via e vie è nel fatto che la via è una persona, Gesù; le vie sono i metodi attraverso cui Dio ci riconduce a Cristo, la via maestra. Diamo uno sguardo alle parole di Geremia:
Fermatevi sulle vie e guardate, e domandate dei sentieri antichi, dove sia la buona strada, e camminate in essa; così troverete riposo per le anime vostre . Ma essi rispondono: Non cammineremo in essa . Ho posto su di voi delle sentinelle: Fate attenzione al suono della tromba! . Ma essi rispondono: Non faremo attenzione. (Geremia 6:16,17).
Primo passo; fermarsi sulle vie. Naturalmente ognuno cammina nelle sue proprie vie fino a quando sentiamo il richiamo dell’evangelo. A questo punto, ci viene detto di fermarci; invero, il significato fondamentale di questo fermarsi è, fare silenzio. Fermarsi non solo dal fare qualcosa, ma anche di continuare a pensare e pensare. Tutto silenzio, completamente ricettivi e in aspettazione di udire una voce dalla Sua bocca. L’invito indica una strada diversa dal cammino svolto fin ora, un'altra via è presentata. Come raggiungerla? Il messaggio implicito nell’invito e presentazione della nuova Via è chiedere dei “sentieri” antichi. Sentieri, altre vie sono presentate, diverse dalle prime, dalle nostre. Il fermarsi, guardare e domandare implica una richiesta di aiuto e una risposta. Il fallimento dei nostri sforzi, delle nostre scelte ha portato alla confusione. Quindi domandare dei “sentieri” (vie) antichi (origine), al fine di scoprire dove sia la buona strada (la Via), onde camminare per
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essa. Chiedere dei sentieri antichi, cioè il “come” (i metodi) il Signore può darci la possibilità di ritornare nella via maestra; affinché possiamo collaborare con Lui senza ostacolarlo per ignoranza. A questo insegnamento ed invito del Signore, si aggiunge la risposta dei ribelli, che è monito della reazione carnale ed istintiva di ognuno. Ma l’amore divino ci aiuta a superare le nostre ribellioni per arrenderci ai Suoi modi (metodi). Questo quadro ce lo descrive brevemente il profeta Isaia:
“Lasci l’empio la sua via (il suo io) e l’uomo iniquo i suoi pensieri (le sue soluzioni, le sue vie), e si converta all’Eterno (convergere verso Lui, la Via) che avrà compassione di lui, e al nostro Dio che perdona largamente. Poiché i miei pensieri non sono i vostri pensieri ne le vostre vie sono le mie vie dice L’Eterno ” (Isaia 55:7,8).
Quando spendiamo tempo e sforzi per ciò che non è la Via, Gesù Cristo, noi disperdiamo tutto. Chi non raccoglie con lui disperde. Alla risposta di Gesù: “Io sono la Via”; Tommaso imparò che il suo maestro era l’unica via per il Padre. Ma, questa fu una risposta a una domanda del discepolo. Gesù disse loro: “Voi sapete dove io vado e conoscete anche la via” (Giovanni 14:4-6). Fu per la domanda di Tommaso che Gesù si rivelò e dichiarò se stesso unica Via. Questo in relazione alla Sua destinazione; in previsione di ciò che doveva subire, annunciò che sarebbe andato o ritornato al Padre. Egli si è dichiarato unica Via per potere andare al Padre. I metodi di Dio bisogna pure conoscerli ed accettarli; non è facile, perché quasi sempre i suoi metodi vanno contro la nostra volontà, come abbiamo letto in Isaia.
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Se ci lasciamo lavorare dalla sua mano, Lui ci porterà sempre nella Via maestra. A questo proposito il Signore ha provveduto a delle sentinelle, attraverso le quali darci segnali ed indicazioni, come a cartelli stradali. Dice: Fate attenzione al suono della tromba. Se fosse solo per noi non saremmo diligenti al ravvedimento, e alla ricerca della via e delle vie di Dio. Per questo il Signore ci ha affiancati delle sentinelle, ministri, per aiutarci. Il monito di Gesù ai giudei era quello che non l’avrebbero più visto se prima non imparavano a dire: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Specie di questi tempi, nell’ambito fraterno vi è troppa sicurezza della propria spiritualità, tanto che non sentono il bisogno di essere ammaestrati e sottomettersi ai ministri. La scusa è sempre che ministri di Dio non ce ne sono. Ma, Dio ha sempre i suoi settemila (1Re 19:18) che neanche Elia conosceva. Così Dio, che appare come egli vuole, prova la superbia di chi trova sempre pretesti per evitare i servi di Dio. Lui si nasconde, spesso in quei servi umili, senza alcuna pretesa, parlano solo quando hanno l’opportunità rispettando anche il dono degli altri. Dio non parla necessariamente di ministri ufficiali, ma di colui che vene nel nome del Signore. Questo basta per predisporsi a relazionarsi ed ascoltare colui che Dio usa. Attenzione alle sentinelle e al loro suono di tromba. Chi si armonizza a questo procedere di Dio (che sono pure metodi, vie), trova Lui. Anche le persone sono vie. I ministri ancora di più.
**§**
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L’IMITATORE
E’ un titolo e caratteristica del diavolo. Spesso ho udito, nei sermoni di diversi predicatori, in conversazioni fraterne o nelle letture, questa frase: Il diavolo può imitare tutto tranne le stigmate di Cristo! Altri, più frequente, dicono: La Parola! La Parola intesa come la verità scritta, la Bibbia. Invero, apprezziamo queste affermazioni che hanno alla base buone intenzioni, a valorizzare qualcosa di estremamente sacro. Ma, ne l’una ne l’altra hanno un fondamento biblico, ossia, nell’armonia della testimonianza biblica. Sappiamo bene, soprattutto in questi ultimi tempi, come il diavolo si è, e si sta divertendo nell’imitare proprio queste cose. Sono venuti fuori tanti a cui si è verificato il fenomeno delle stigmate. Ma non vogliamo intrattenerci su questo perché non è il pericolo maggiore. Da sempre il diavolo ha cercato di imitare la parola. Questo è il pericolo! Egli essendo un grande teologo… I demoni credono e tremano (Giacomo 2:19). Lui disputa intorno al corpo di Mosè (Giuda v.9): Il giudaismo antico mischiato al cristianesimo e le scritture, prese senza lo Spirito, la lettera. In Apocalisse 6:6 è detto: “E udii una voce in mezzo ai quattro esseri viventi che diceva: Un chenice di frumento per un denaro e tre chenici d’orzo per un denaro, e non danneggiare ne l’olio ne il vino”. L’Agnello fu la voce che parlò e apparecchiò questa disposizione. Il piano era quello che il diavolo avrebbe falsificato il frumento (il grano), rendendolo più caro dell’orzo (che assomiglia, l’imitazione). In modo che dell’orzo se ne potesse avere una quantità superiore allo stesso prezzo.
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E’ Dio che ha permesso che il diavolo potesse fare questo. Perché diremmo? La risposta si vede ed armonizza in tutta la scrittura. Prendiamo il caso di Giobbe; Come il diavolo chiese di provarlo sulla base del dubbio. Gli amici lo intimarono a riconoscere qualche torto, chissà Giobbe avesse peccato contro l’Eterno. Questo era il messaggio degli amici e quello che essi videro in quella sciagura. Come parlarono a Giobbe? Con la parola! Intendiamo con quella scienza di Dio, e onorante Dio. Ma, quel messaggio era orzo! Orzo dato in maggiore quantità del grano (in modo più facile quindi), preso allo stesso prezzo. Ma, poi subentrò Eliuh. Li rimproverò di non essere riusciti a convincere Giobbe; perché? Perché l’orzo è una imitazione! Con una imitazione non si può risolvere nulla e neanche dare risposte guaritrici allo stanco. Eliuh,lui, parlò a Giobbe e lo mise in grado e in attesa di parlare con Dio direttamente; quello si che fu grano. Senza risparmio, ne sconto; senza scorciatoie ne facilità o raccomandazioni; solo grano originale. Amen! Con questo esempio molto forte si può vedere come e perché Dio lascia, permette che il diavolo possa manovrare la parola (il frumento), senza toccare l’olio e il vino. Essi pure elementi che si uniscono al frumento. Di essi è salvaguardato l’uso. E’ chiaro che l’olio rappresenta lo Spirito, il vino lo stimolo, la gioia della rivelazione che l’olio (lo Spirito) da. Non vogliamo inoltrarci perché sono nascoste delle verità che ci prenderebbero troppo tempo. Questi simboli ci parlano della dinamica dello Spirito come essenza e principio di ogni cosa, per e da cui viene anche la Parola; ma, anche dello Spirito manifestato come potenza di
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operazioni e di rivelazioni. Il diavolo “non poteva” toccare, o modificare l’aspetto principale, cioè la dinamica, l’origine. Perché essa è Dio stesso in Cristo, la Sua Persona. Poteva però, tramite la sua grande abilità di imitazione, e perché lui è più savio di Daniele (Ezechiele 28:3), approfittare dell’aspetto di secondaria importanza, quello della potenza espressa nei doni ed operazioni dello Spirito, con le rivelazioni intorno alla conoscenza. Di fatti attraverso i doni dello Spirito, le potenti operazioni, i miracoli ha sempre sedotto gli uomini. Con la conoscenza della parola di Dio, ha sempre ingannato e imbrogliato le carte con interpretazioni false associandole alla verità; alla verità! Perché questo successo? Perché Dio l’ha permesso? Per farci capire che la vita non è nei miracoli e in “questo aspetto” dello Spirito Santo, ma nel grano, nella Parola rivelata nella persona di Cristo. Per questo il diavolo, i miracoli, le guarigioni i doni li lascia così come sono, ma fa di tutto per valorizzare l’orzo (l’imitazione), per renderlo più vendibile (proponibile) del grano (la parola rivelata). Nel grano c’è la vita, nei miracoli no! Bando perciò a quegli ignoranti che dicono che il diavolo non può imitare la parola, perché è proprio quella che imita di più. Purtroppo l’equivoco nasce dal fatto che tanti hanno trasformato l’Uomo Gesù in un libro. Essi dicono: la parola, la parola! Gesù è la parola. Il problema è che non hanno capito a che si riferisce quando nelle scritture si parla della Parola. Questo è l’intoppo. Guardiamo quando il diavolo tentò Gesù. Era lui di fronte e contro la Parola fata carne. Qui impariamo una
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grande lezione. Egli usò anche la scrittura. La scrittura era giusta, tranne una piccola mancanza. E’ quel che lo caratterizza come imitatore. Lui usò la Parola di Dio, o le scritture? Riflettiamo! Egli usò le scritture. La Parola di Dio era davanti a lui… Gesù Cristo! Vediamo come si possono usare le scritture anche contro Gesù stesso. Usare le scritture senza che esse siano usate dalla Parola di Dio Vivente. L’insegnamento essenziale è che la Parola di Dio è vivente perché è Gesù Cristo. Lui solo quando parla (perché è vivente) rende viva la scrittura, altrimenti rimane semplicemente utile e giusta nei principi ma morta, ossia inefficace, nell’applicazione del momento. Quello che il diavolo non può fare, è toccare ciò che ha vita in se stesso ed è vivente, cioè Gesù, il vivente. Ciò viene caratterizzato dall’olio e il vino, inteso come Spirito e rivelazione; energia e gioia. Spirito dal punto di vista della dinamica, essenza di Dio, Dio è Spirito, insieme alla vita, energia e gioia (il vino). Da questa realtà viene quel che definiamo come “Parola”. Poteva aumentare la quantità dell’orzo (l’imitazione) in confronto alla quantità del grano, tre chenici contro una chenice, tenendo lo stesso prezzo del grano, inteso come le parole che Gesù ha lasciate, la testimonianza delle scritture. Questo può imitare e imita, proponendo orzo anziché grano, ma toccare la dinamica dello Spirito, La persona di Cristo vivente, quello non può assolutamente. I credenti hanno vinto le loro battaglie quando hanno messo davanti a loro, fra loro e il diavolo il Nome (carattere, persona) di Gesù Cristo. Oggi, di questa realtà è rimasto solo
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il nome ripetuto. Quando nelle diverse chiese, di fatti, alla fine delle preghiere e nella preghiera per una guarigione, si pronuncia il nome di Gesù, lo esprimono con una certa enfasi teatrale, come se stessero esprimendo una formula magica. Non si tratta del nome in se, ma quel che rappresenta, il significato e la persona vivente a cui appartiene quel nome. Fare ogni cosa nel nome di Gesù, secondo Colossesi 3:17, significa agire sotto la Sua unzione, perché è Lui che agisce. Il ministro deve insegnare alle anime come ascoltare la voce del Maestro. Gesù parla alle anime, nello spirito il Signore parla. I veri ministri hanno da Dio il compito di insegnare a individuare Quella Voce che si fa nello spirito di chi crede. Gesù è il predicatore, quindi la Parola di Dio. Lui predica la Sua Parola dentro di noi. Certo i ministri predicano pure la parola di Dio, sono messaggeri. Ma l’ultimo predicatore dell’anima umana è Gesù stesso come Amen (Apocalisse 3:14)! Se Lui non parla in noi non vi è certezza. Questo è un altro modo per definire la rivelazione. In Ebrei 1:1 e detto: “Dio, dopo aver anticamente parlato molte volte e in svariati modi ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo di suo Figlio…”. Sul monte della trasfigurazione apparvero Mosè ed Elia, profeti dell’antico patto. Ma una nuvola li portò via e rimase solo Gesù; la Voce di Dio parlò chiaro: Questi è il mio diletto Figliuolo, ascoltatelo! Imparate ad ascoltarlo. Questo il senso. Ha dunque Dio parlato anticamente in molti modi e attraverso i profeti, come ancora ha fatto dopo la resurrezione. Ma ha parlato in modo definitivo attraverso il
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Figlio, la Parola di Dio, la bocca di Dio. Lui è il predicatore in noi. Si consideri attentamente l’affermazione di Paolo in Atti 26:23: “Che il Cristo avrebbe annunziato la luce al popolo e ai gentili”. Quando i predicatori non aiutano le anime a comunicare con lo Spirito, la Voce del Padre in loro, vuol dire che sono indisciplinati a riguardo o falsi predicatori. Non importa quanto bene sanno spiegare la bibbia, o quanto bene conoscano il messaggio. Ogni predicatore ha il dovere severo da Dio di aiutare le anime a ritrovare la Voce di Dio in loro, nel loro spirito, per cominciare ad avere comunione con essa. L’astuto nemico, come sappiamo, si traveste da angelo di luce (2Corinzi 11:14,15). Prende le sembianze, e, come ci dice Paolo di alcuni caduti nelle sue mani, nei suoi tranelli: “Aventi l’apparenza della pietà, ma avendone rinnegata la potenza” (2Timoteo 3:5). In 2Corinzi 11:13-15, è detto del diavolo e dei suoi ministri: si “trasformano”. In 1Timoteo 3:16, è detto che: Grande è il mistero della pietà: Dio è stato manifestato nella carne”. Il mistero della pietà dunque è la trasformazione. Come Dio si è messo nei panni della creatura, si è trasformato nei bisogni e tragedie umane, così il diavolo si “trasforma”, prende i panni, il ruolo di angelo (messaggero) di luce; così i suoi ministri. La parola usata nel greco è metamorfosi. Per quanto riguarda i falsi apostoli, anch’essi come il loro vero maestro di seduzione, si trasformano in ministri di giustizia con le forme della pietà ma rinnegando la potenza. Si tratta della potenza di risurrezione. Ci ricolleghiamo a quel “non
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danneggiare l’olio ne il vino”. Come quelli rinnegano la potenza, pur avendo la forma della pietà, quegli altri non possono danneggiare l’olio ne il vino, inteso come la dinamica, l’origine. Possono proporre solo una imitazione. Quel rinnegamento è quello di cui Paolo spiega a Timoteo che se e chi Lo rinnega (al Signore), anch’Egli lo rinnegherà. Tali falsi apostoli rinnegano la potenza di Dio, e Dio rinnega loro. Ancora in Romani si parla di una forma della conoscenza e nella verità della legge (Romani 2:20). Ad essi son riferite le parole in 2Timoteo 3:7: <<Le quali imparano sempre (la forma della conoscenza), ma senza mai pervenire ad una piena conoscenza della verità>>. Quanti pericoli cari fratelli! Rimaniamo sereni nel nostro caro rifugio; prendiamo per noi quelle meravigliose parole dello sposo alla sua sposa: <<O mia colomba, che stai nelle fenditure delle rocce, nei nascondigli dei dirupi, fammi vedere il tuo viso, fammi udire la tua voce, perché la tua voce è piacevole e il tuo viso è leggiadro>> (Cantico 2:14). Rimaniamo nelle ferite di Quel costato aperto; profonde ed immense ferite. Ferite accoglienti chiunque desidera ardentemente, farsi aiutare dal grande cuore; avendo rinunciato a se stesso, confidi nel Suo aiuto. Sia questa la nostra difesa.
***
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ABRAHAMO NON FECE COSI’
Se foste figli di Abrahamo, fareste le opere di Abrahamo; ma ora cercate di uccidere me, uno che vi ha detto la verità che ho udita da Dio; Abrahamo non fece così (Giovanni 8:39,40).
Sicuramente sarebbe stato più giusto se fosse detto: “Abrahamo non avrebbe fatto così!”. Gesù, come in molte altre occasioni, parla di un fatto compiuto sebbene Abrahamo visse molto prima di Gesù. Diciamo come se Abrahamo avesse conosciuto Gesù nel suo tempo. Gesù parlava delle opere di Abrahamo, le quali, se studiate attentamente, rivelerebbero l’importante dinamica della ubbidienza e del successo in quelle opere. Quelle opere, erano la evidente manifestazione di una consacrazione e arresa al Signore e Padrone suo, per cui, rivelazione dopo rivelazione veniva lavorato e predisposto ad ubbidire, come fosse lo scoppio di una sorgente; una conseguenza. Per questo, per il fatto che quei farisei non erano in contatto, in comunione con “quella dinamica”, le loro opere non erano uguali a quelle di Abrahamo.
Abrahamo vide Gesù, vide l’Uomo. L’opera redentrice del Salvatore realizzarsi a mezzo del Verbo incarnato. Come lo vide? Ultimamente stiamo insistendo sul quel Vedere dello spirito nello Spirito, e di questo si tratta. La visione nello spirito è un concordare e armonizzare l’immaginazione, che è uno dei sensi dell’anima, con lo spirito, nella sua elevazione negli orizzonti delle altezze e il suo stato di profonda immersione, nello Spirito Santo.
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Abrahamo vide (di quel vedere) il giorno del Figlio dell’Uomo. Furono le parole di Gesù ai Giudei: Abrahamo, vostro padre, giubilò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò (Giovanni 8:56). Il profeta agì, operò in armonia a quel vedere interiore, nello spirito. Egli vide il Cristo, il suo giorno. Non solo il giorno racchiuso negli anni della sua vita, ma quel giorno di salvezza, ch’è l’anticipo di quel giorno dove fa sempre luce, e l’Agnello è il solo luminare (Apocalisse 21:23).
Lo spettacolo divino a cui era spettatore, era così gustoso (1Pietro 2:3), che per quella visione celeste, giubilò e si rallegrò. Il vino della gioia, è buono solo se viene dall’olio dell’ulivo, altrimenti inganna ed ubriaca. Abrahamo dunque in ogni tempo, pur lontano, avrebbe vissuto, non avrebbe mai fatto (operato) come quei Giudei che cercarono di ucciderlo. Così Abrahamo conosceva Gesù, Javhè in forma umana, così Gesù conosceva Abrahamo nei suoi rapporti con Javhè.
Abrahamo ospitò il Signore quando gli apparì in una forma umana, nella teofania; si umiliò dinanzi a Melchisedek, perché sapeva chi era. Non rifiutò l’unico suo figlio, l’amato suo. Definirsi figli di un tale padre, è facile, così come è facile farne vanto. Ma la realtà di questa figliolanza, costa lo stesso prezzo per cui egli diventò il padre della fede.
Adagio con le parole e i facili paragoni, studiamoci di vedere sempre davanti a noi, il giorno del Figlio dell’Uomo; il Personaggio vivente, il Protagonista.
***
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L’INTERPRETE
Il tutto è in Daniele 5.
Il re Belshatsar fece un convito ed invitò Mille dei suoi grandi,
perché a loro era dedicato. Nel mentre che bevevano il vino, il re
fece portare i vasi d’oro che il padre suo aveva rubato dal tempio in
Gerusalemme. Se consideriamo un attimo la vicenda, notiamo
simbolicamente come avviene in molte riunioni dette cristiane o
feste religiose. Fece quel convito ai mille dei suoi grandi. La
scrittura dice che Gesù è l’unico trovato fra i mille. Fra mille
uomini (cioè fra tutti i migliori, ci rappresentano le nostre forze)
Gesù è l’unico trovato, che piace a Dio. Il re Belshatsar fece il
convito ai mille dei suoi grandi uomini, quindi scelse gli uomini,
scelse l’umano.
Anche noi siamo piccoli re, o almeno, dentro di noi,
eleggiamo re, le cose che ci dirigono che ci dominano. Il Signore
aspetta che lo eleggiamo Re della nostra vita, dentro di noi e di
conseguenza anche fuori di noi. E’ l’errore di molti scegliere per le
vie dell’uomo piuttosto che per le vie di Dio, scegliere la massa, la
popolarità piuttosto che Gesù. Questo vale anche per le assemblee
religiose, e dobbiamo dire soprattutto le assemblee religiose, perché
in esse si svolgono culti all’insegna della fede e del nome di Gesù,
ma in realtà quelli che parteggiano per Cristo sono ben pochi in
confronto alla maggioranza che parteggia per gli uomini e la
popolarità, al proselitismo, lodi burrascose, canzoni mondane,
fredde, atte a stimolare più che altro sentimentalismi, oppure zelo
frenetico. Questo re era così, aveva questo spirito. Aveva anche
fatto portare dei vasi, quelli che erano nel tempio di Gerusalemme;
segno, questo, di illudersi sol perché si ha una qualche “sigla”
attraverso la quale poter coprire la coscienza e sentirsi in pace e
approvati davanti a Dio. ABBIAMO I VASI DEL TEMPIO DI
DIO! Abbiamo i “miracoli”, abbiamo un grande predicatore,
abbiamo le profezie e una lode forte, c’è potenza. Tutte queste
cose, per quanto devono esserci, e sono positive, non sono tutto,
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non sono il centro. Come quel re bevve vino, versato in “quei” vasi,
così tanti di noi; facciamo o mostriamo qualcosa che “appartiene al
tempio” ma ancora a noi “non appartiene”. In questo caso il
tempio è Gesù, “il tempio di Dio”; tale deve essere anche la Chiesa;
così come il tempio visto da Ezechiele e da Giovanni.
Difatti, nel momento che il Signore volle far risaltare il suo
pensiero e giudizio nessuno di loro e dei “mille” riuscì a capire, ma
ebbero “paura”. La paura non è una cosa positiva quando Dio
vuole parlare a noi. Come dice la Bibbia, essa rivela apprensione di
castigo. La coscienza vibra perché consapevole di qualche
mancanza davanti al Signore.
Nel mentre quindi che questa festa era, diciamo così, nel meglio del
suo svolgimento; ecco apparire una mano. Purtroppo nel momento
in cui stavano bevendo del vino da “quei” vasi, però lodando i loro
dei. Leggiamo: “In quel momento apparvero le dita di una mano
d'uomo, che si misero a scrivere di fronte al candelabro
sull'intonaco della parete del palazzo reale; e il re vide la parte di quella mano che scriveva” (Daniele 5:5).
Questa mano scrisse qualcosa che per loro era mistero, allora
fece venire i savi, i maghi del palazzo, ma nessuno riuscì a decifrare
quelle parole. Ma, a un tratto venne la regina, “in quel momento
fece la funzione di una messaggera”. Lei conosceva la fama di
Daniele il profeta, per come in passato aveva già interpretato i
famoso sogno di Nebucadnetsar, padre del re Belshatsar il re del
momento. Daniele, era stato stabilito capo degli astrologhi, dei
maghi ecc… Questo in un esperienza passata di fronte al re
Nebucadnetsar.
Così venne “l’interprete”, Daniele si presentò alla corte, il re gli
indicò lo scritto sulla parete di fronte il candelabro… Daniele
“tradusse” e il re lo “elevò” dandogli di essere “terzo” nel governo
del regno. Terzo perché il secondo era lui stesso che regnava in
quel tempo insieme a suo padre. Ora, tutto questo, ci appare come
lo scritto in quella parete. A livello spirituale è indecifrabile se
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l’interprete non lo traducesse. Anche il cibo che mangiamo, non ci
darebbe sostegno se non ci fosse un procedimento e degli organi
tali da dividere ciò che è solo polpa o massa da ciò che è vitamine
proteine ecc… cioè, quelle cose che servono al nostro corpo per
vivere ed anche mantenerci in salute. Una parte si espelle ma molta
parte rimane nel nostro corpo. Ci deve essere quindi un interprete
anche nel nostro corpo per tradurre i cibi e assimilare solo ciò che
serve. Essendo la parola di Dio, cibo per l’anima, è essenziale che
lo Spirito Santo traduca i racconti, la storia degli eventi e degli
episodi che avendo in se dei significati spirituali, questi sono il
nutrimento, quelle vitamine spirituali per l’anima nostra. Daniele
disse al re, e gli imputò come colpa, il fatto di avere fatto portare
davanti a sé i vasi rubati dal tempio e di averci bevuto il vino e poi
di aver lodato i loro dei. E’ pericoloso mischiare l’iniquità assieme
alle riunioni sacre… Isaia 1:12-13. Il messaggio era MENE MENE
TEKEL PARSIN. La prima parola, MENE, fu scritta due volte. Ci
insegna che siamo doppiamente “contati”, Dio conta e riconta, per
dire, con attenzione e scrupolo il nostro fare. Dopo il conteggio ben
misurato, ci “pesa”, TEKEL, solo dopo numero e misura, che dà la
DIMENSIONE, si può pesare; e trovati mancanti veniamo divisi…
giudicati. Soprattutto quando abbiamo a che fare con le cose
sante… Riferimento anche ai 300 di Gedeone. L’invisibile, contava
e pesava chi beveva con diligenza attenzione e “divise”… Disse
anche che nella mano di Dio c’è il soffio vitale del re. E’ “quella
mano” che ci dà la vita. E’ quella mano che “alimenta” la vita che
sempre quella mano ci ha dato. Quella mano significa:
Trasmissione, dare, donare… Quindi, quando quella mano
“appare” nel nostro spirito… come? Quando sentiamo che la
“vocazione” si muove, cioè, la vocazione è stimolazione a
predisposizione di “ricevere” il “dare” di quella mano.
Quando quella mano appare quindi, essa scrive un messaggio a
“noi”. Vi sono però dei particolari. Consideriamo la parete (del
palazzo reale) che è di fronte al candelabro. E’ chiaro che, il
candelabro faceva ben luce su quella parete perché gli era di fronte.
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Se era giorno, o sera o se era accesa o spenta il candelabro, non è
quello che conta. Ciò che conta è quel che rappresenta; il
candelabro serviva per far luce.
In coloro che sono nati di nuovo, il Signore costruisce un
muro e un candelabro. Ogni cosa ha la sua funzione. Il muro, è
citato più volte nella bibbia, con diversi significati. Due sono quelli
più palesi, muro di protezione, muro di separazione. In Zaccaria è
scritto che Dio sarà un muro di fuoco intorno a Gerusalemme. In
Geremia 15:19-20 è scritto: “Perciò così dice l'Eterno: «Se tu ritorni a me, io ti ristabilirò e tu starai davanti a me. Se tu separi il prezioso
dal vile, tu sarai come la mia bocca; essi ritorneranno… Io ti renderò per questo popolo un forte muro di bronzo;
combatteranno contro di te, ma non potranno vincerti”. Nel libro
di Ezechiele e detto di un muro che serviva a tener separato il luogo
sacro da quello profano avente quattro lati. Protezione e
separazione. Sarebbe la “determinazione” la forza con cui
“separiamo”, e “teniamo separati” il sacro dal profano, santificando
noi stessi. Quindi, questa mano, vuole trasmettere o scrivere i suoi
messaggi su questa determinazione, o volontà, cioè, la vuole
guidare.
Molto spesso succede che siamo determinati verso cose che a
Dio non piacciono. Infatti, Dio a Geremia diede i chiari
ammonimenti: “Se tu ritorni a me…Se tu separi il prezioso dal vile… Io ti renderò un forte muro di rame”.
Dio vuole guidare le nostre determinazioni, la nostra volontà con i
messaggi che la sua mano ci da.
Il candelabro che ha sette braccia e sappiamo che Gesù
cammina in mezzo al candelabro. Precisamente, porta lumi. Quelle
sette lampade sono l’epoca della grazia, il tempo della grazia,
suddivisi in epoche in sette epoche, in sette tempi. Questo è il
“lavoro di Cristo nella chiesa”, il compimento della chiesa. Anche
queste lampade portano luce, la chiesa è la luce del mondo… la
luce di Cristo.
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Praticamente, tutto quello che il candelabro rappresenta deve
trovarsi in noi per far luce nella nostra volontà o determinazione (il
muro) ed anche il continuo bruciare dell’olio in quelle sette
lampade. La riserva d’olio (onde il fuoco possa sempre bruciare e
quindi far luce) la si accumula, ricevendo quella (o quelle scritte)
scritta continuamente da quella mano. Lo scritto sulla parete è
l’intenzione, lo stimolo, il messaggio segreto che ci porta a cercarne
il senso. E’ come la cartolina di chiamata alla posta per ritirare
qualcosa che ci appartiene e che sapremo cos’è solo quando
andremo a prenderlo.
In Efesini 4:4 e scritto: “…Come pure siete stati chiamati nell'unica speranza della vostra vocazione”. In Giovanni 6:44
“Nessuno può venire a me, se il Padre… non lo attira”. Questa è
vocazione! Essere attirati da Dio, in ispirito, a Cristo la parola di
Dio. Prima, nel principio, quando Dio creò la terra, essa fu informe
e vuota, era una “massa” senza forma e oscura, poi fu creata la luce
e dopo fu separata dalle tenebre. Iddio ha un santo principio nel
modo di fare la sua opera nell’uomo e nella creazione. Prima lui
evoca con una scrittura o messaggi “indecifrabili” ai mille dei più
grandi del re e ai suoi maghi, cioè le nostre capacità migliori ma
umane e insufficienti senza l’interprete. Prima Dio ci attira con un
richiamo “sottile” un lieve sussurro, poi va chiarendo e
illuminando. Così come la terra fu creata, prima come una massa
informe (senza forma) e buia, dopo, col tempo, andrà creando luce
e comincia a “formare” (dare forma) quella massa… la terra (la
nostra anima).
La scrittura dice che il giusto ha un cuore contrito, sensibile al
dolore e al richiamo delicato e forte dello Spirito nel nostro spirito.
Contemplando il Figlio dell’Uomo nella sua umanità e nella sua
Maestà, essendo che il giusto vive una vita di contemplazione
spirituale e naturale in sé e fuori di sé, il suo contegno e attitudine
sarà spontaneamente quello di stare in una posizione di continua
RICEZIONE! Come di uno che non sa mai abbastanza, di
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continuo imparare… una continua “attesa” “da” e “in” Lui di
ricevere Lui e i suoi valori.
Quando cominciamo a distrarci da questa posizione e
andamento per tanti motivi, pur apparendo quella mano, pur
scrivendo sulla nostra determinazione e volontà, se non chiamiamo
“l’interprete” (Cristo, lo Spirito Santo) per tradurre i “Suoi”
messaggi (la sua vocazione) l’olio nel candelabro comincerà a
scarseggiare e la fiamma si indebolirà e così farà meno luce.
Abbiamo anche il racconto delle dieci vergini; coloro che presero la
scorta e coloro che pur avendo l’olio non ne scorteggiarono… le
loro lampade si spensero.
Non dobbiamo chiamare i maghi e gli astrologhi di corte (della
nostra “personale” corte) i mille dei più grandi (le nostre risorse
umane, qualità ecc. arbitrariamente). Dobbiamo invece ascoltare
quella dolce voce che dice: “chiama l’interprete”. La regina funge
da “fratellanza”. Dobbiamo, difatti, aiutare il nostro prossimo,
facendo conoscere loro a loro stessi, aiutandoli a ritrovare quella
stella, (o vocazione, in questo caso) la luce che i magi avevano
sperduta.
Non ci appoggiamo sul nostro discernimento sulla nostra corte
reale, di ciò che noi abbiamo a disposizione per affrontare la vita e
fare la volontà di Dio. Piuttosto, cerchiamo l’interprete e sentiamo
cosa vuole insegnarci.
Daniele fu stabilito al di sopra dei magi, astrologi, Caldei ecc… fu
loro capo. Perché dunque chiamare ciò che è inferiore? Cristo è al
disopra di ogni mago, è il capo. Ma, come arrivò ad esserlo nella
corte, Daniele? Sempre perché fu chiamato e cercato. Fu chiamato
la prima volta è fu “innalzato” (crebbe in gloria, prese posto) sopra i
maghi di corte (al di sopra delle nostre capacità e qualità, solo
umane). La seconda volta, con il re Belshatsar, fu chiamato ancora,
lui puntuale si presentò ed operò. Qui ottenne anche il “potere”
regale sul regno, perché il re disse: “Chiunque leggerà questa scritta e mi darà la sua interpretazione sarà rivestito di porpora, porterà
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una collana d'oro al collo e sarà terzo nel governo del regno”
(Daniele 5:7). Se alla parola “terzo”, aggiungiamo “giorno”, ci viene
in mente che al terzo giorno Gesù “risorse”, e nella resurrezione
prese il regno. Se dunque chiamiamo Gesù, lo interpelliamo
sempre, se non lo rifiutiamo mai, in ogni occasione che lo Spirito
“scrive”, cioè, avvertiamo la sua chiamata, un suo messaggio,
“allora” Lui “crescerà” in potere e in gloria, come crebbe Daniele.
Ed, ogni qual volta che Lui ci interpreta i suoi messaggi, la sua
chiamata, ci dà “resurrezione”. Il cammino dei credenti è un
cammino di resurrezione.
La nostra volontà e determinazione, cioè il muro, deve avere
pure quattro lati, come il muro in Ezechiele che serviva per
separare il luogo santo da quello profano, per tenere separato il
santo dal profano dobbiamo saldamente avere in noi quattro
“lati”… Questi sono i quattro Vangeli. Una visione evangelica
completa! Bisogna meditare cosa significhi, Vangelo “secondo”
Matteo, “secondo” Marco, “secondo”… Quando noi diciamo,
“secondo me è così!”, cosa significa? Che dal “lato” che
comprendiamo pensiamo così. Gli evangelisti hanno scritto la vita
di Gesù, ognuno secondo il “lato” “personale” di come l’hanno
vista e vissuta. Così noi, benché Paolo ci insegna che non
conosciamo più nessuno secondo la carne, abbiamo bisogno di
conoscere Cristo secondo i lati dei evangelisti, e tutta la scrittura,
per esperienza reale. Questo sarà il nostro LATO… Dobbiamo
essere, muro di separazione e di protezione. Separazione per
separare ciò che è santo dal peccato. Ma un muro di protezione per
il fratello debole o forte che sia. Dio ama il peccatore, ma odia il
peccato.
Gesù nostro interprete, nostra conferma.
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OPERE ESTERIORI SENZA LE VIRTU’ INTERIORI
(Meccanica senza la dinamica)
(1Tessalonicesi 1:3. Apocalisse 2:2,3. Osea 11:3; 12:1)
La peggiore malattia del credente, quando si ammala, è
quella religiosa. Il preoccuparsi di abbellire l’esteriore, ossia
le opere visibili trascurandone l’origine, le virtù interiori; base
e dinamica di quelle che si esprimono nell’esteriore. Il
pericolo della illusione religiosa è che essa porta il credente a
confidare nella sua ubbidienza, tanto da trasformare Dio in
un debitore, a causa delle sue promesse.
“Ricordando continuamente la vostra opera di fede, la
fatica del vostro amore e la costanza della speranza”
(1Tessalonicesi 1:3).
Certamente che Paolo offre ai lettori un quadro armonico
di valori dinamici, “interiori”, ed espressioni “pratiche”,
“esteriori”. In questo abbiamo già detto tanto. L’armonia
consiste nel fatto che, le opere esteriori siano la conseguenza
delle virtù interiori, base sopra la quale esprimersi.
Consideriamole attentamente: Opera – di – fede. L’operare
ch’è una espressione pratica, prende origine dalla fede, ch’è
una virtù interiore. A questo sappiamo, anche Giacomo
insegna:
“Tu vedi che la fede operava insieme alle opere di lui; e
per mezzo delle opere la fede fu resa perfetta” (Giacomo 2:22).
In questo insegnamento, vediamo chiaro come l’apostolo
mette in evidenza l’armonia di queste due virtù, per non
creare squilibrio. Questo il centro della predicazione
cristiana..! L’armonia. La fede opera insieme alle opere, e per
questa armonia e realizzazione, la fede viene resa perfetta,
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compiuta. Alla fine si ritorna alla importanza della fede, virtù
interiore. Il necessario è arrivare a concludere, facendo il giro
fino a ritornare al punto di partenza. Nel salmo 19 è detto:
“Esso (il sole) sorge da una estremità dei cieli (l’origine), e
il suo giro (percorso) giunge fino all’altra estremità
(compimento, conclusione, punto di partenza); niente è
nascosto al suo calore” (v. 6).
Per non allungarci in tante spiegazioni di contorno,
vogliamo andare dritti al centro ed essenziale. La fede è
l’origine; le opere, la sua manifestazione e realizzazione. La
dove la fede si perfeziona e completa, lo scopo.
“Fatica del vostro amore”. La fatica si vede, quindi è
pratica, lavoro; chi ama lavora e fatica senza lamentarsi. Dio
stesso prese Adamo e lo pose nel giardino perché lo
lavorasse. L’uomo è stato creato per lavorare. Il lavoro non è
conseguenza del peccato come alcuni pensano. Il mangiare il
pane col sudore della fronte, indica la difficoltà di
guadagnarsi da vivere; ciò a causa di una opposizione. Il
diavolo è l’oppositore. Il lavoro in se è una espressione
incondizionata di Dio. Dio stesso lavorò e si riposò; cosa che
non deve assolutamente dare il senso della fatica, perché
Gesù disse che il Padre opera fino ad ora (Giovanni 5:17).
Egli non sonnecchia e non dorme (Salmo 121:3,4). Iddio non
perde un istante della vita degli uomini. Così, il Signore ci ha
messi nel mondo per lavorare, e per sperimentare il lavoro
vero, quello fatto in Dio e con Dio. A Lui la lode di tutto.
Chi ama lavora dunque per la causa o responsabilità che
deve affrontare. Nel mondo, lavorerà con pazienza
responsabilità e sopportazione per trasmettere la buona
testimonianza di cristiano. In Dio, quindi nella chiesa,
nell’ambito della famiglia dei credenti, lavorerà nello stesso
modo, sapendo in entrambe le situazioni che Dio lo osserva
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(Colossesi 3:22-24). Si preoccuperà di essere fedele ai suoi
incarichi (in generale), e al suo incarico (nel specifico).
“La costanza della speranza”. Anche qui vi è l’unione e
relazione fra costanza, quindi perseveranza che si può
tradurre anche “insistenza”, con la speranza, che individua
la posizione interiore come motore dinamico. Se nutriamo la
speranza nella fede, in quanto che la fede che si va formando
in noi è attiva e respira, si slancia sempre verso il Suo
creatore e fattore: Gesù Cristo; quindi spera, confida in Lui;
riceviamo forza nell’essere costanti nelle varie prove e
sofferenze. Spesso si predica sulla perseveranza, ma non si
tiene conto che essa non è un valore a se, che sussiste da
sola. Prima è necessario curare e nutrire la speranza viva,
creare la condizione giusta quindi, per poi costruire la
costanza. Un atleta non può essere “resistente” (lo stesso che
dire costante) nella gara se non si “esercita”. Il messaggio
della predicazione sostanzialmente deve mirare ad accendere
la speranza, dinamica e base della costanza e resistenza.
Diamo ora uno sguardo in Apocalisse 2:2-4:
“Io conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza e
che non puoi sopportare i malvagi; e hai messo alla prova
coloro che si dicono apostoli e non lo sono, e li hai trovati
bugiardi. Tu hai sopportato, hai costanza e per amore del mio
nome ti sei affaticato senza stancarti…”.
In questo verso vediamo le stesse espressioni, le stesse
azioni, ma senza le virtù interiori corrispondenti. Si parla di
opere, ma non si dice niente della fede. Si parla di fatica, ma
non si dice nulla della virtù che riesce a sostenerla, l’amore.
Si parla di costanza, senza la speranza. Questo ci insegna
com’è facile cadere nella illusione religiosa; com’è possibile
avere le espressioni esteriori senza le virtù interiori alla base.
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Non nel senso che non ci siano in modo assoluto. Ma di
certo hanno perduto il loro posto e la loro importanza.
Questo a lungo andare allontana dal Signore, dal suo Amore
divino ed assoluto. Di fatti leggiamo nel verso quattro:
“Ma Io ho questo contro di te: che hai lasciato il tuo primo
amore. Ricordati da dove sei caduto, ravvediti e fa le opere di
prima…”
Dopo l’elenco della condizione della chiesa di Efeso, il
Signore arriva a rivelarne la causa. Qual è dunque la matrice
del problema? Abbiamo lasciato il nostro “primo amore”.
Generalmente questo pensiero espresso dal Signore,
viene presentato come lo si presenta nel senso comune dei
sentimenti. E’ diventato un modo di dire. Hai dimenticato il
primo amore… come dire: Hai dimenticato i primi momenti, il
primo modo di amare, il primo zelo, ecc. Primo, nel senso del
momento. Ciò è un errore! Non voglio dire che non sia
compreso ed implicito, sicuramente gli riguarda da un certo
punto di vista; ma non è questo il punto! Primo, nel senso di
importanza! Si ha lasciato il “Primo”, per il “secondo”. Il
centro, per il contorno. Anche in ciò che riguarda il regno di
Dio vi sono delle cose primarie e delle cose secondarie.
Cerchiamo di visualizzare questa definizione nei versi che
abbiamo presentato.
Il Signore si rivolge alla chiesa di Efeso dicendo: Io
conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza.
Attenzione alla parola iniziale: “Io conosco”. Cosa conosce il
Signore della chiesa di Efeso? Tutto ciò che è esteriore!
Conclude dicendo: Ho questo (cioè: di preciso) contro di te:
che hai lasciato il tuo primo amore. Quindi? Hai lasciato le
virtù interiori, e ti sei adoperata per quelle esteriori. Si cari,
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le virtù esteriori, possono compiersi anche senza che
nascano da quelle interiori corrispondenti. Ricordiamoci del
giovane ricco. Possiamo dire che si possono “osservare,
praticare” (termine usato dal ragazzo; Matteo 19:20), anche
senza seguire Gesù, che determina la causa di ogni virtù ed
ubbidienza. Perché dunque? Qual è l’importanza? Il male sta
nel fatto che, mentre le opere esteriori, per quanto siano
buone e necessarie, sono anche il frutto di una buona
volontà ed anche di religione volontaria e zelo religioso. Le
virtù interiori sono il frutto di una stretta comunione
spirituale con Dio. Quel: vendi tutto ai poveri e “Seguimi”.
Quell’invito di vendere tutto ai poveri, rivolto al giovane ricco,
non fu pretesa di ubbidienza, ma un misurare la realtà della
forza della confessione del giovane. “Ho osservato i
comandamenti”; disse il giovane. Gesù volle dire,
rispondendo: Bene, vediamo allora. Non dev’essere difficile
lascare tutto e seguirmi, se hai avuto “comunione con il Dio
dei comandamenti”. Era implicito nell’invito di Gesù, la
comunione spirituale con la sorgente di tutte le virtù, quelle
che poi noi distinguiamo con esteriori ed interiori.
L’importanza delle virtù interiori dunque è che esse
determinano la nostra comunione spirituale con Dio, senza
la quale non vi può essere nulla! Questo volle dire Gesù:
“Senza di me non potete fare nulla” (Giovanni 15:5). “Senza di
Me” (relazione spirituale con Lui) non potete “fare”, praticare,
(opere esteriori) nulla.
In questo senso la chiesa di Efeso, e la chiesa in
generale, ha lasciato il primo amore, il centro, il Soffio, la
Voce. E ha sostituito questa realtà “primaria”, con altre,
buone ma secondarie; e senza il primario, divenire anche
relative.
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Per comprendere bene questo principio chiamiamo in
causa anche un altro esempio. Gli scribi chiesero a Gesù
qual era il primo comandamento. Gesù rispose:
“Il primo comandamento di tutti è: Ascolta Israele: Il
Signore Iddio nostro è l’Unico Signore”, e (anche): “Ama il
Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore…” (Marco 12:28-30).
Qual è il primo comandamento, ossia, da cosa dipende
il primo comandamento? In Matteo 22:37, Gesù, alla stessa
domanda rispose (o meglio, Matteo ce lo racconta così):
“ Ama il Signore Iddio tuo…”. In Marco: Ascolta! Il Signore è
l’Unico! E (ed anche)… Ama Il Signore Iddio tuo. Cosa
significa questo? Il primo comandamento non è solo di amare
il Signore, ma anche e prima (come causa, origine) di
ascoltare l’Unico Dio! Puoi tu amare, di quell’amore richiesto
da Dio (virtù interiore), senza Ascoltare Iddio? Cioè, senza
avere contatto con Lui? Senza essere nutrito nella
comunione spirituale con Lui? Questo il Punto! Senza
quell’Ascoltare “l’Unico”, non possiamo ricevere nessuna
virtù interiore, che sarà la base dinamica di quelle esteriori
realizzate nella pratica. Il Primo comando è: Ascolta! Per
significare che è importante entrare, cercare la comunione
con Dio, ricevere da Lui forza e consiglio (Ezechiele 2:2; Isaia
9:5). Praticare, esprimere la natura divina, accompagnata
dalla Sua presenza. Alleluia!
Questo il senso di primo amore; nello stesso modo del primo
comandamento. In entrambi i significati esprime il senso di
importanza, l’assoluto, la cosa più iportante.
A quali opere doveva tornare dunque la chiesa di Efeso? Fa le
opere di prima? Quali opere? Quelle alla base delle quali vi
erano le virtù interiori funzionanti corrispondenti.
Per concludere guardiamo in Osea 11:3: “Io stesso
insegnai ad Efraim a camminare, sostenendolo per le braccia;
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ma essi non compresero che io li guarivo. Io li attiravo con
corde di umana gentilezza, con legami d’amore; ero per loro
come chi solleva il giogo dal loro collo, e mi piegavo per dar
loro da mangiare”.
In queste parole non si può fare a meno di notare come Dio
parla di un accompagnamento vicino; una relazione intima e
amorevole. Si parla di trasporto e nutrimento: Io mi piegavo
per dar loro da mangiare... Qual intima comunione!
Da questo vediamo il piano di Dio centrale per ognuno che lo
afferra. L’importanza del principio interiore (quel nutrimento)
che si trasforma dentro di noi in forza pratica, in opere
esteriori.
Nel capo 12:1: “Efraim mi circonda di menzogne e la casa
d’Israele d’inganno. Anche Giuda è ancora insubordinato nei
confronti di Dio e del Santo ch’è fedele”.
Quelle menzogne di Efraim, sono le opere esteriori senza la
funzionalità di quelle interiori. Perché, come abbiamo visto
nel capo undici, essi non compresero che Dio era quegli che
gl’insegnava a camminare e che li guariva. Avevano lasciato il
primo amore… il nutrimento. Per questo le opere di Efraim,
che significa “fruttifero”, erano menzogna. Frutti si, ma solo
esteriori. Così come Giuda, “lode”, era insubordinato. Questo
a lungo andare davanti a Dio diventa menzogna.
Concludendo, ricordiamo la parabola del gran convito.
La frase: “Venite, perché è già tutto pronto” (Luca 14:17), sta a
significare che tutto è già apparecchiato affinché noi
prendiamo ciò che è il ripristino della comunione con Dio.
Ceniamo assieme! Questo l’invito del Signore alla chiesa.
Ritroviamo la comunione dimenticata; così, e solo così
potremo esprimere le Sue opere.
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Torniamo al primo amore, a contemplare il volto
benedetto del grande Redentore. Trasformati così alla di lui
presenza, resi conformi alla sua immagine. Praticare,
esprimere la Sua natura divina a tutti. Facciamo attenzione a
non illuderci nella nostra matematica religiosa che ci fa
vedere sempre al posto giusto, nei confronti della lettera.
***
SIGILLO SOPRA SIGILLO
Ester 3:10; 8:3,8. Isaia 38:1,5.
Quando il re stabiliva un decreto, gli poneva il suo sigillo; la decisione era irrevocabile. Doveva incutere timore, dare il senso del rispetto alla somma autorità regale. In Ester 8:8 così leggiamo:
“Voi stessi scrivete un decreto in favore dei Giudei a nome del re, come meglio vi sembra, e sigillatelo con l’anello reale,, perché il decreto scritto a nome del re e sigillato con l’anello reale è irrevocabile”.
Questo quadro ci mostra come avvengono le cose nell’invisibile. Quando Dio ha stabilito qualcosa, è come se è affrancata da un sigillo reale: deve compiersi! A noi è presentata così quando la consideriamo, ma questo non deve impedirci di presentare le nostre richieste di preghiera a Dio. Spesso ci limitiamo perché sappiamo troppo e ci preoccupiamo e occupiamo di quel che non dobbiamo sapere. Tanti i discorsi e tanti i conflitti quando si
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parla di argomenti come la predestinazione, ponendo il punto su di essa in modo da poterla governare con la nostra mente. La predestinazione è un argomento interessante ma che non possiamo (e non dobbiamo) appieno spiegare. Ci basti considerarne l’utile. E’ più importante occuparsi della nostra responsabilità a riguardo, come dice Pietro (2Pietro 1:10), anziché perdersi in discorsi di cui Dio solo deve e può occuparsi, come nel caso della parabola dei talenti in Matteo 25:24. Il servo si preoccupava di com’era il suo padrone anziché trafficare i talenti. chi ha orecchi da udire…
In Ester 3:10 leggiamo: Allora il re si tolse di mano l’anello con il sigillo e lo diede ad Haman,
l’Agaghita… .
Il re accettò il consiglio di quell’uomo malvagio per lo sterminio dei Giudei, diede la sua approvazione pensando di far bene ma non sapeva quanto inganno e crudeltà erano nascosti in quella proposta distruttiva. Questo ci fa da illustrazione nei movimenti nell’invisibile; quando cioè il Signore decide qualcosa, anche in combutta con il diavolo, quando accusa i figli di Dio, o istiga a provarli, come vediamo nel caso di Giobbe (Giobbe, capitolo uno e due). A noi, possibili pedine, sembrerebbe che Dio abbia decretato la nostra umiliazione o la fine di qualcosa che amiamo, e nei casi più atroci, anche la nostra distruzione. Così
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può sembrare fin tanto che Dio non dà rivelazione o non interviene. Questo non ci deve far perdere in calcoli matematici dei fatti, ma dobbiamo perseverare nella fede e nell’amore di Dio per noi. Mai perdendo l’opportunità di continuare a pregare e a chiedere. Noi non sappiamo cosa Dio ha in definitiva decretato. Se guardiamo ad Ezechia quando il profeta Isaia andò da lui per avvisarlo di prepararsi alla morte, non si trattenne dal pregare, ne si rassegnò. Come sappiamo, non fu del tutto positivo quel prolungamento di quindici anni di vita, ma dobbiamo ammettere che da questo episodio, ne ricaviamo grande lezione. Non fermarti mai di pregare, qualsiasi sia l’apparente decreto che Dio abbia deciso, qualsiasi sembri la sorte assegnatati, non ti fermare. Non dimentichiamo le parole di Geremia:
Sieda solitario e stia in silenzio quando Iddio glielo impone. Metta la sua bocca nella polvere, forse c’è ancora speranza (Lamentazioni 3:28,29).
Non dobbiamo pensare che Dio non possa cambiare le cose, sempre considerando l’assoluta priorità alla sovrana volontà di Dio, ma siccome non sappiamo appieno quel che Dio decreta in base alla sua perfetta volontà, abbiamo l’invito di pregare e presentare le nostre richieste. Dopo ci rimettiamo alla sua sovrana volontà.
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Tornando al caso di Ester, vediamo come lei non si fermò mai di intercedere presso il re per il suo popolo, il popolo di Dio. C’era il pericolo di morte per chi si recava dal re senza essere stato chiamato entrando nel cortile interno (Ester 4:11). Ma questo non impedì a una tanta donna di persistere nella preghiera, nell’intercessione. Quando più tardi lei riuscì (grazie a Dio) a ottenere l’attenzione e il favore del re, dopo aver superato l’impedimento del nemico, continuò ad intercedere per il popolo di Dio, fino a far cambiare il decreto precedente, alleluia! Come abbiamo accennato al capo otto verso otto:
Voi stessi scrivete un decreto in favore dei Giudei a nome del re
Che risultato! E’ meraviglioso considerare che la nostra vita è nelle mani di un Dio così giusto e Santo.
Per concludere; ad Israele, nel tempo di Geroboamo 2°, poteva sembrare che Dio avesse decretato la sua distruzione a causa dei suoi peccati per l’oppressione del re di Siria, ma non era così. Egli mandò un liberatore (2 Re 14:26,27). Dio non aveva ancora detto di cancellare Israele. Il Signore può cambiare le cose, affidati a Lui sempre, non ridurlo alla tua debole vista. Tocca il cuore di Dio e vedrai come Lui sarà in grado di cambiare situazioni impossibili. Là dove le cose
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rimarranno come sono, e incorrerai in disastri, comunque, tutto coopera al bene di quelli che lo amano, perché in ogni suo decreto c’è il tuo bene, CI SEI TU, la cosa più importante!
***
IL POTERE DELLO SGUARDO
Numeri 21:8,9. Cant 7:4. 1Giov 1:1,3. 2Cor 3:18.
Il potere dello sguardo è immenso. Specie se nello sguardo portiamo gli occhi di Gesù. Questo, in favore e verso le creature; ma in se stesso è dato come canale importantissimo agli uomini per comunicare e relazionarsi con le cose visibili e invisibili. Nel visibile, nei sensi fisici; nell’invisibile, con gli occhi dello spirito. Quel che fissiamo in genere, che sia con interesse o no, ci condiziona. L’uomo sottovaluta questa realtà cui è sottoposto. Ma, sa con precisione che è una somma realtà che anche gli piace. Osserviamo come l’uomo è schiavo delle cose che vede: L’amore per la televisione, i panorami, la ricerca di ciò che stimola, è tutto una conseguenza della concupiscenza degli occhi (1Giov 1:16). Questo stimola ed anche alimenta la concupiscenza della carne e la superbia della vita, causa principale del
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peccato, di ogni peccato; l’incredulità è conseguenza della superbia. Lo sguardo insomma è capace di cambiare e trasformare le realtà.
Prendiamo qualche citazione biblica: E noi tutti, contemplando a faccia scoperta come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria, come per lo Spirito del
Signore (2 Cor 3:18). In queste parole di grande realtà, Paolo, descrive se pur brevemente, due fatti particolari che vogliamo considerare: Uno, la necessità di contemplare la gloria del Signore; due, l’effetto di trasformazione ch’essa comporta. E’ dunque necessario insegnare e portare le anime in questa ottica piuttosto che perdersi in parole, dottrine, avvisi, eventi e la stretta attenzione della lettera della sacra scrittura. Attenzione che dev’esserci, ma senza confondere il giudaismo (il letteralismo) con la rivelazione vivente dello Spirito; lettera vivente e ben compresa. Questo sentiero è sottile ed affilato; severo è l’avviso che la lettera uccide. Aimè, pochi hanno capito il significato e l’importanza di queste parole. Verso dove dirigiamo lo sguardo e cosa manteniamo davanti agli occhi, ci trasforma alla sua immagine. Qualsiasi cosa sia. Per questo fondamentalmente l’apostolo
Giovanni disse: Quel che era dal principio (il
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personaggio vivente), quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della parola
della vita… (1 Giov 1:1). Vediamo l’accenno al personaggio principale ed unico, Gesù Cristo, e l’attenzione conseguente da parte nostra nel dirigere precisamente verso Lui il nostro occhio. L’occhio è la vista; vista che ci viene data dallo Spirito Santo al nostro spirito per contemplare il personaggio. La visione spirituale, cioè nel nostro spirito, favorisce una posizione, uno stato di arresa, di ammirazione e abbandono, tanto che possiamo entrare in contatto, il toccare con mano. Questa è l’esperienza ch’è preparata al credente da Dio. Tanti preferiscono a questo tipo di meditazione e preghiera, una preghiera chiassosa e lodi estreme, manifestazioni esplosive di zelo. Pochi hanno l’occhio innamorato dell’Uomo Gesù, Dio nell’Uomo. Nel caso di Numeri 21:8,9, abbiamo lo stesso significato in forma figurativa e pratica. Il popolo d’Israele fu vittima delle serpi velenose per il loro mormorare. Dopo il loro grido di aiuto Dio diede loro la soluzione, che, ricordiamo sempre, non fu la distruzione dei serpenti ma l’istituzione di un punto di riferimento. Innalzarono un serpente di rame. Il rimedio era semplice, quando morsi, guardare a quella insegna, quella immagine piena di significato.
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Quanto potere ha lo sguardo? Bastava guardare come a un rivolgersi in richiesta d’aiuto, sapendo che era il rimedio dato da Dio. In virtù di questo quel segno aveva potere. La soluzione centrale della consacrazione del credente, è una posizione; quella posizione in cui ci mettiamo per stare in comunione ricettiva con Lui. In quella posizione riposare contemplando il nostro rimedio. Man mano che facciamo questo si realizzano, senza che neanche ce ne accorgiamo, le promesse di redenzione che Dio ci ha date. Per questo si parla di trasformazione in 2 Corinzi 3:18. Le promesse quali realtà dello Spirito. E’ come un passaggio, una reale pasqua, di valori, di virtù del Cristo nella nostra vita. Viene chiara la visione di quello sguardo… quando gli occhi dell’eternità fissarono Pietro in un momento cruciale della sua vita; quando attraverso quegli occhi, il fragile stimatosi forte vide la sua debolezza (Luca 22:61). Attraverso gli occhi, sguardo, del Figlio dell’Uomo, vediamo chiara la nostra vita.
***
SOGGETTO, OGGETTO
Meditiamo le parole di Paolo ai Romani. “Il Regno di Dio non consiste in vivande”. Per vivande dovremmo intendere cosa l’apostolo voleva indicare. Le sacre scritture sono scritte
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in modo meraviglioso, esse sono concepite da Dio in tal modo che solo Lui può rivelarne il senso. Lui ha le chiavi del mistero. Di Lui è detto che è un Dio che si nasconde, cioè misterioso; Si nasconde non per capriccio, ma per farsi trovare. Si nasconde per guidare i nostri passi verso di lui. Lui cela la cosa per essere lui solo a poterla rivelare.
“E’ gloria di Dio nascondere una cosa, ma è gloria dei re investigarla”. (Proverbi 25:2).
Sebbene Dio abbia rivelato il suo piano, i suoi misteri alla chiesa, rimane sempre il metodo di come li compie. Anche nella rivelazione dei misteri che furono a loro tempo insabbiati, da quando poi ebbe inizio il periodo dell’oscurantismo, nonostante che Dio abbia riportato la rivelazione al suo posto, è sempre per dare una base; il completamento viene nel cammino attraverso altri elementi che si aggiungono, o meglio vengono messi in rilievo in modo più chiaro. Il piano e le dottrine di Dio non sono un pacchetto enciclopedico, in tal maniera da sfogliarlo “per argomenti” quando serve. La rivelazione del piano di Dio è sempre sostanza vivente. Essa si adatta ai bisogni dell’uomo, secondo la capacità di comprensione. Per questo è detto che la dottrina è secondo pietà (1Timoteo 6:3). Nonostante la conoscenza della rivelazione che per mezzo del profeta (di questo tempo) abbiamo ricevuto, circa le dottrine manomesse nel corso della storia, sebbene chiarite formano una base ancora elementare dopo che sono state capite. Avere la chiarezza dei così detti misteri, porta più che beatitudine, grande responsabilità. Intendiamoci, E’ come avere tutti i pezzi di una macchina con le relative spiegazioni; l’assemblaggio però è opera individuale, ed è lì che si vede quanto veramente compreso dei tanto vantati misteri. L’applicazione è un mistero che passo
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passo dev’essere rivelato individualmente, altrimenti rischiamo, con quella che chiamiamo verità, rovinare le anime. Dio si diletta nella misericordia. Quando vediamo che Dio accetta la nostra limitazione, comprendiamo il vero senso della dottrina. Non dimentichiamo che anche gli angeli imparano da quest’opera, lavoro di misericordia. Gli angeli imparano quando vedono un uomo derelitto nei suoi peccati, nell’orrore delle sue rovine, piangere per il pentimento della sua condizione. Il modo in cui il Signore prenderà quella causa, come la risolverà, diviene grande lezione agli angeli. Nessuno avrebbe potuto trovare una via d’uscita, solo Iddio. Nessuno avrebbe potuto e voluto aver a che fare con quella persona, magari nauseante, mostruoso e magari anche pericoloso. Ma come avviene nella vita umana così in queste cose: di fronte a un orribile criminale, un mostro di miserie umane, nessuno proverebbe pietà e sentirebbe compassione; solo una madre… Questo il ritratto della misericordia, in questi termini si visualizza. Di fronte a tanto spettacolo, la orgogliosa ed elevata onda del peccato e della miseria umana, contro la potente roccia della misericordia divina. Dicevamo che Dio si diletta nella misericordia. Questo ci dice la scrittura. Per diletto però, dobbiamo comprendere a cosa è riferito. Questa parola ci fa risalire al significato di Eden, diletto, delizia. Questo il Signore preferisce, gradisce più di ogni altra cosa. In questo consiste la sapienza dell’onnipotente. La stessa Sua sapienza e diletto è il suo giardino dell’Eden. Così anche per noi.
***
Veniamo alle parole di Paolo. Nella testata abbiamo scritto: Soggetto, oggetto. Sostanzialmente di questo si tratta; la differenza ed importanza tra l’uno e l’altro.
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Le persone tendono nella maggioranza a farsi conquistare il cuore dalla visione oggettiva delle cose. La guida dello Spirito invece, ammaestra a visualizzare per bene il personaggio, visione soggettiva (la persona di Gesù). Gli insegnamenti, le regole, le dottrine, vengono dopo, cioè come una conseguenza di sante ed intime conversazioni, una adorazione vissuta con il personaggio vivente Gesù Cristo.
Imparare ed imparare, senza la di Lui persona come guida vivente, calda e profonda Voce dello Spirito, mena a sicurezze religiose sulla base di calcoli; lo stesso di come quando si osserva l’essenziale delle regole della legge umana. Ci si sente forti e sicuri perché si può dire che siamo in regola. Non c’è da meravigliarsi che anche gli imbroglioni e criminali sanno fare lo stesso, e, come si sa, la fanno franca perché la legge non ha prove per giudicarli. Il diavolo mira a questo tipo di sicurezza, dimostrabile sempre con confessioni di fede sulla base di comandi, regole, dottrine, il famoso: “perché sta scritto”. Una sorta di ricevuta che dimostri che essi sono sempre in regola con la dottrina e il messaggio. Le verità dottrinali senza di Lui sono pericolose. Anche s.Paolo ci avvisa:
“Come non ci donerà anche tutte le cose con Lui? ” (Romani 8:32).
Il regno di Dio non consiste in vivande dunque. Consiste; parola che vuole mettere in chiaro che vi è un centro di maggiore attenzione. Diciamo anche riassume nel centro. Mentre gli uomini ci mostrano “pietanze” (argomenti), il credente maturo deve rifiutarle e tirare dalla parte del centro, della consistenza, l’utile, la parte profittevole. Giustizia, pace e gioia nello Spiriti Santo, perseguendo “le cose” che contribuiscono alla pace e alla edificazione reciproca (Romani 14:17,19).
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Il serpente fece così con Eva; mostrò pietanze, ragionamenti interessanti. In Romani 14:1 ci viene detto: “Or accogliete chi è debole nella fede, ma non per giudicare le sue opinioni”.
“Le sue”, non è nel testo; e come viene tradotto da altre versioni, il centro non sono necessariamente le opinioni del debole, ma “sulle opinioni” in generale, comprese le sue.
“L’uno crede di poter mangiare d’ogni cosa, mentre l’altro, che è debole, mangia solo legumi” (v.2).
Il problema sono i discorsi sulle opinioni, precisazioni speculative nella forma di regolamenti e ubbidienze esteriori. Si rilegga Ecclesiaste 7:29. Gesù stesso parlò nello stesso modo con la folla dichiarando se stesso il Pane della vita e dicendo che, chi non avrebbe mangiato la sua carne e bevuto il suo sangue, non avrebbe avuto la vita (Giovanni 6:51,53). La grande differenza fra il linguaggio di Paolo e quello di Gesù è, che per cibo e vivande si distinguono in questo senso: il necessario e utile, con l’ingordigia del gusto raffinato del vario. Mangiare per piacere. Gesù fece riferimento al pane come cibo essenziale; alla sua carne e sangue come necessario, per avere la vita. Se consideriamo il riferimento, altro che piacere… altro che cibo succulento e ben adornato. Mangiare la sua carne e bere il suo sangue, non ha nulla di piacevole dal punto di vista culinario. Sempre Paolo disse:
“Le vivande (i discorsi, le argomentazioni) sono per il ventre (il gusto, il piacere, il prurito di udire) e il ventre per le vivande. Dio distruggerà queste (plurale; i discorsi, la conoscenza) e quello (singolare; il gusto, il piacere).” (1Corinzi 6:13). Sempre lui al suo figlio in fede: “Ma evita i discorsi vani e profani, perché fanno progredire nell’empietà” (2Timoteo 2:16).
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A conferma per concludere: “L’orecchio non è mai sazio di udire” (Ecclesiaste 1:8).
I discorsi sono le vivande, la carne e il sangue di Cristo, la sua persona, sono il cibo necessario per avere la vita. Amen!
***
INVECCHIAMENTO
Ogni cosa invecchia. E’ qualcosa che sappiamo bene. L’invecchiamento porta alla morte, ma per la grazia di Dio vi è una risurrezione a nuova vita. Da questo comune principio, anche le cose o situazioni hanno lo stesso processo. Se consideriamo che l’invecchiamento è la conseguenza del peccato, iniziando dal giardino dell’Eden, comprendiamo che tutto ciò che passa o che viene dalla corruzione invecchia, perché nasce dal peccato. Da questo impariamo che ogni cosa, ogni azione, ogni opera di mano d’uomo fallisce, quando non origina da Dio.
I movimenti religiosi, i risvegli avvenuti nelle diverse epoche, ci raccontano il fallimento dell’uomo; il suo intervento su di essi. L’uomo non è in grado di gestire movimenti e risvegli che nascono dallo Spirito; come interviene per cercare di controllare l’evento, restringe le immense dimensioni dell’operato di Dio in sistemi, recinti, statuti. Prendendo le verità rivelate dallo Spirito e fossilizzandole in statuti e sistemi. Nelle diverse religioni esistenti, sia del ramo evangelico o non, hanno, nel tempo, fatto questo errore. Non vuol dire che ministrano cose nettamente sbagliate, almeno non in tutto, ma che quel poco o tanto che hanno ricevuto di buono lo hanno trasformato in statuto e sistema; esattamente
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come un vestito da indossare. La verità nel suo insieme è diventata un “oggetto”, perdendo la sua caratteristica principale e predominante: La verità persona; io sono la via, la “verità” e la vita.
Il risultato qual è? Invecchiamento! La verità quando viene imprigionata e trasformata in regolamento diventa argomentabile. E’ come catturare un raro esemplare di uccello in via di estinzione, vantarsi di averlo nella “propria gabbia”. Cosa succederebbe? Il volatile non volerebbe più, tranne che lo decida il padrone, così essendo “volo condizionato”, e non più volo libero. Non avrebbe la possibilità di riprodursi e si estinguerebbe. Così della verità quando la rinchiudiamo e imprigioniamo nelle nostre ansie e paure, divenendo intransigenti e impazienti con altri e tolleranti con noi stessi. La verità, che da principio era vista nella persona di Gesù, man mano prese forma di “cosa”; identità oggettiva. Schiavi di parole ripetute quali: sta scritto! E’ scritto così, la parola, il messaggio, il profeta dice, ecc.
…Dio ci aiuti! Le verità contraffatte divengono astratte, perdono la vita e divengono ibride. Da qui l’invecchiamento e la morte. Cosa si attende dopo? La risurrezione, cioè un nuovo principio con un altro risveglio, con un altro servo che porti ordine ed equilibrio. Rimetta le cose a posto, e faccia risplendere il personaggio in mezzo alle dottrine, come leggiamo in Apocalisse 1:12,13. La verità rimanga sempre vivente; lasciamola parlare dentro di noi, avremo la giusta medicina secondo i bisogni opportuni.
***
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“SPINE E TRIBOLI”
Vi sono molte spine nella nostra vita. Tante da
danneggiare – se esposte – coloro che ci stanno vicino. Le spine sono soltanto un simbolo, di ciò che è realtà in noi che gli assomiglia. Un giovane savio disse: “La tua malvagità non nuoce che al tuo simile, e la tua giustizia non giova che ai figli degli uomini” Giobbe 35:7. Possiamo dire che questo è il
punto. Questo verso è una luce intorno a queste spine, che con
l’aiuto di Dio dobbiamo tagliare e bruciare. L’anima è un labirinto cieco, un mistero; se Dio non illumina. L’uomo stesso non si conosce a fondo, ha bisogno di colui che l’ha creato. Quegli occhi benedetti, che scavano infondo all’essere nostro, fanno luce, e rivelano noi a noi stessi. Quindi, se noi
facciamo il male, che sono spine, nuociamo non solo a noi stessi, ma molto anche agli altri. La superbia e l’incredulità sono le spine che abbiamo e che manifestiamo nei nostri rapporti con gli altri. Anche perché, più realizziamo rapporti ravvicinati con gli uomini e più abbiamo occasione di scoprire le loro spine, le quali pungono e ci stimolano a
reagire e a mostrare le nostre. Dopo che Adamo peccò, Dio gli disse che la terra avrebbe prodotto spine e triboli Genesi 3:18. Questa terra che siamo noi (in senso spirituale), produce spine e triboli. Anche l’apostolo Paolo diceva, che il bene che vorrebbe fare non lo fa e il male che non vuole fare “quello fa”. L’anima nostra, continua a produrre queste
spine. E’ una conseguenza della nostra natura nella sua corruttibilità; come invece, la natura Divina produce l’amore e ogni cosa spirituale ed eterna. Perciò abbiamo bisogno di ricevere volta per volta, lo Spirito di Dio, la sua santa natura nella nostra. Intendiamo di ricevere quella realizzazione progressiva del Suo Spirito, man mano che riceviamo il Suo Soffio.
Le nostre spine, le ha portate Gesù sul suo capo quando fu crocifisso. “Quelle” spine, portarono la sua carne;
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possiamo dire che, le spine nei cuori del popolo ribelle, si sono materializzate sul capo di Gesù. Tutto il popolo disse ad una sola voce: “Crocifiggilo! Ricada il suo sangue su noi e sui nostri figliuoli ”. Così avvenne! Il
popolo d’Israele ha passato molti martirii da allora… da quella frase. “Dissodatevi un nuovo terreno”, disse il Signore a Geremia, “non seminate fra le spine” Geremia 4:3. Non è
saggio seminare fra le spine… E’ stoltezza. Il seme, viene soffocato dalle spine, come nella parabola del seminatore. Qualcosa di simile è scritta anche in Proverbi 26:9 “Una massima in bocca agli stolti è come un ramo spinoso in mano a un ubriaco”. Bisogna prima togliere le spine. Non però con
rimproveri severi di prudenza umana, o volendo infarcire di conoscenza la persona, o ancora spiandola e obbligandola. Occorre una santa disciplina, una santa disposizione, uno spirito di abnegazione, per rinunciare a tutto ciò che attira i nostri occhi, quindi possiamo così, una volta addomesticati
dalla mano di Dio, togliere le spine, prima da noi poi dagli altri.
Non seminagione fra le spine, ma cure. Come fece l’operaio al fico sterile. Lo scalzò, cioè, scavò intorno, “scoprì” le “radici” e le curò. Se il lavoro porta frutto allora si può seminare
(ammaestrare)… Togliere le spine dai cuori. Una illustrazione l’abbiamo in 2 Samuele 23:1-7, espressioni che possono gradevolmente illuminare. Nel primo verso è scritto: “…Così dice l'uomo che fu elevato in alto, …il dolce cantore d'Israele”. In primo luogo diciamo, che Davide è un
uomo di Dio, cioè appartiene a Dio, e perché gli appartiene, da Lui è stato innalzato ad alta dignità. Dio ha innalzato Davide, l’ha fatto essere una colonna, un esempio. Il popolo disse in una occasione, che tutti loro erano osso delle sue ossa e carne delle sue carne. In altri termini, Dio l’ha paragonato a Cristo, come figura. Sappiamo bene che la chiesa di Gesù è ossa delle sue ossa e carne della sua carne.
Per fare parte del suo meraviglioso corpo. Parte esteriore e parte interiore. Ossa e carne. Questo è essere elevato in
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grande dignità, quando cioè possiamo testimoniare e manifestare Gesù Cristo. Si è nominato il cantore d’Israele. Un uomo che alle sue parole aggiungeva la musica; non solo parole, ma anche melodia. Non solo predicazione o insegnamenti, ma anche e soprattutto l’unzione: “Lo Spirito”.
Sono le parole unte che introducono l’unzione, l’atmosfera dello Spirito. Una conferma la troviamo nel verso seguente, nel verso 2, dove lui stesso dice che lo Spirito di Dio ha parlato per suo mezzo e la “sua” parola è stata nella sua bocca. Se la parola di Dio è sulle nostre labbra e lo Spirito Santo ci usa per i suoi santi fini, allora veramente saremo
uomini di fede che sanno ascoltare la voce suprema del maestro e quindi essere così, elevati in alta dignità. Questa è alta dignità. Prelevando valori dopo valori da quel costato aperto, ricevendo grazia per avere i suoi comandi, ciò può elevarci in alto.
Quando si è in alto, se manteniamo la posizione di seguire la giustizia e il timore di Dio allora potremo: “Regnare sugli uomini con giustizia e col timore di Dio” (v. 3) si intende,
un regnare perché in prima abbiamo eletto Gesù Re, nella nostra vita. Lui ci fa re e sacerdoti. Quindi “amministratori” del regno, con giustizia e timore, che fa pensare al sacerdozio… “Intercessione”. Chi vive e realizza “questa altura” “sarà come la luce del mondo al sorgere del sole, in un mattino senza nuvole, come lo splendore dopo la pioggia, che fa spuntare l’erbetta dalla terra” (v. 4). Saremo “come la luce” del sole (non il sole),
“quando” il sole (cioè Cristo) si alza, “dopo” la pioggia. La pioggia è un opera dello Spirito, quando Egli stesso, parla
nello spirito e nella coscienza degli uomini. Perciò, dopo che la pioggia, vale a dire: “Gli avvisi, i moniti, gli avvertimenti che lo Spirito dà a ognuno”, bagna la coscienza allora, la luce del sole (i Suoi servitori) risplende, quando? Quando il sole (cioè Cristo) si alza. Lui comanda e i suoi servi, risplendono la Sua luce, “dopo” che la Sua stessa pioggia, ha adacquato
l’anima nel segreto. Impariamo a far risplendere la Sua luce,
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solo quando Cristo si leverà cioè comanderà. Così l’erbetta nei campi dei cuori può crescere.
Molte volte vogliamo far risplendere la luce di Dio, senza che il sole si alzi. Così, non facciamo altro che, affrettare i tempi e
magari anche di essere noiosi. VOI SIETE “LA LUCE” DEL MONDO (Matteo 5:14; Efesini 5:8). Nel verso 5 è detto: “Non è forse così la mia casa davanti a DIO? Poiché egli ha stabilito con me un patto eterno ordinato in ogni cosa e sicuro. Non farà egli germogliare la mia completa salvezza e tutto ciò che io desidero? ”.
Il patto che Dio ha fatto in Cristo, per noi, con noi, è “ben regolato” in tutti i punti, per dire che, in Cristo non vi è superficialità, ma ogni cosa del suo regno è giustizia in tutti i punti, non vi è nulla di poco importante nel patto che Dio ha fatto in Gesù Cristo. Egli pure provvederà ad una completa salvezza. Quella dove l’opera di redenzione trova il suo
compimento. Solo colui il quale si disporrà a lasciare tutto, sarà provveduto di una completa salvezza.
Venendo alla parte conclusiva, troviamo il verso che più fa parte del soggetto: “Ma gli scellerati saranno tutti quanti buttati via come le spine, perché non si possono prendere con le mani. Chi le tocca si arma di un ferro o di un'asta di lancia, esse sono interamente bruciate sul posto col fuoco” (v. 6-7).
Degli scellerati è detto che saranno “buttati via come le spine”. Vi sono due cose da notare. Una è che costoro saranno buttati via, poi viene il paragone: “COME le spine”. Saranno buttati via sicuramente, ma non è tutto. Il “come” le spine, fa pensare più che altro alla cura con cui bisogna “prenderle” o “toccarle”, com’è nel testo. E’ ovvio che parliamo sempre di spine che rappresentano il peccato nella nostra vita. Quando ci troviamo a confronto con le spine di qualche fratello o sorella, come è scritto, dobbiamo munirci di un ferro, o di un asta di lancia, il fuoco lo manda solo “Lui”.
Altro modo non vi è. Il ferro rappresenta la parola di Dio, con l’autorità, Apocalisse 12:5. L’asta di lancia è una rivelazione
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dall’alto in merito alla volontà di Dio. In Giobbe 37:3-4 è scritto: “Egli lo lancia sotto tutti i cieli e il suo lampo guizza fino alle estremità della terra. Dopo il lampo, una voce rugge; ...quando si ode la voce, il fulmine non è già più nella sua mano.” Il lampo viene "lanciato" per fare LUCE breve nella
notte, per preparare ad "udire" la VOCE del tuono. Si noti la frase finale: "Il fulmine non è già più nella sua mano..." come
ad indicare una lancia. Forse si potrà dire che vi è un solo dardo, ed è quello del peccato e della morte. Ma proprio per questo è vero che Dio ha le Sue lance; perchè il nemico è un imitatore e le armi che Dio usa per il bene, l'avversario le usa nel male. Con una lancia colpì Gesù sulla croce, cioè con una “falsa rivelazione nel popolo”. Colpiti dal dardo della morte, hanno scagliato quello che avevano nel cuore… 2 Tessalonicesi 2:2; Ezechiele 13:3; Colossesi 2:18; accennano chiaramente a false ispirazioni e rivelazioni. Così fu pure delle spine. Le
spine nei cuori del popolo, si materializzarono sul capo del trafitto. Vogliamo considerare un particolare ancora di questa lancia.
E’ scritto: “Un ASTA di lancia”. Curioso vero? Ciò significa testualmente. “Una lancia capovolta”. La punta, verso colui che la impugna, l’asta verso colui che ha le spine. La punta che trafigge, taglia, giudica, verso te stesso, che come quella cena, mangi un giudizio verso “te stesso”. Bisogna essere giudicati dal Signore e conoscere i suoi giudizi, allora avremo il coraggio di dire come il salmista: “Giudicami secondo la tua giustizia” (Salmo 35:24). Si rilegga anche Salmo 119:20-26.
E’ un modo “responsabile” di tenere la rivelazione nelle nostre mani, perché spesso, quando abbiamo un qualche intendimento delle spine degli altri, tendiamo a usare la punta verso o contro gli altri e l’asta, la parte meno pericolosa, verso di noi. Prima dobbiamo avere giudicate le nostre spine, poi le spine degli altri. E’ lo stesso con la trave del nostro occhio, in confronto al bruscolo nell’occhio del nostro prossimo. E’ una questione clinica, addirittura
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chirurgica. Ci vuole la massima cura e serietà. Perché dunque la punta non è verso le spine del prossimo? Perché quel prossimo potrebbe correre il rischio di divenire una vittima, di una qualche nostra disattenzione o imprudenza. Quante persone aimè, col pretesto che lo dice la Scrittura,
hanno fatto male alle anime, usando la punta della lancia verso di loro ferendole; mentre per se stessi impugnavano la parte comoda o innocua? Basti ricordare la donna adultera in Giovanni 8. Accuse di morte da parte dei Farisei, col pretesto che lo diceva la Scrittura, esattamente come si è continuato fino ad ora negli ambienti religiosi. Per loro non vi
era nulla, tranne che Gesù, girando la lancia verso di loro, disse che se alcuno è “senza peccato o colpa” scagli pure la pietra o giudizio. “Allora”, e non prima, cominciarono a sentire la responsabilità, di tenere in mano qualcosa che se non facevano attenzione, potevano ferire. Incominciando dal più anziano se ne andarono. Vi è un giusta maniera di tenere
la lancia dello Spirito. Giudizio e responsabilità per noi, che impugniamo la lancia, è misericordia verso gli altri. Non parliamo solo di accuse pesanti, ma anche di riprensioni e rimproveri. Quando ci troviamo a correggere qualcuno, dobbiamo farlo con massima cura… “l’asta”; con molta responsabilità, sapendo che abbiamo anche il dovere poi, di
curare il terreno… “La punta” verso di noi. Prima dobbiamo morire noi sotto i colpi di questa lancia, dopo, sempre con la punta verso di noi, spostare le spine con l’asta togliendole dal terreno buono, così, quando il Signore vorrà manderà il Suo fuoco per divorare “là, dove sono state spostate”. Vi è anche l’avviso di non toccarle prendendole con
le MANI (v. 6). Non è con mano d’uomo che si possono togliere quel genere di spine… “Anche per quelle che sono dentro di noi medesimi”. Cosa sanno fare le mani d’uomo? Esse HANNO MESSO LE SPINE SUL CAPO DI GESU’. Quindi, ci vogliono altri mezzi per poterle togliere dai cuori. I mezzi umani… Oh, quando l’uomo ha la pretesa di fare con
le sue mani… Non è a caso che, ritornando a Giobbe 37:7
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troviamo la frase: “ARRESTA LA MANO di ogni uomo, affinché tutti i mortali possano conoscere le sue opere”.
Arresta la mano di ogni uomo, dal tirare le sue saette. Solo Gesù può fare luce, tirando le Sue lance come raggi di luce,
non l’uomo.
La sua mano in noi le tira. Usiamo i suoi mezzi. Amen!
* * *
SULLA VIA DI EMMAUS
(Luca 24: 13-32)
Questa meditazione è molto importante per mettersi nelle
condizioni di sempre riconoscere il Signore, in qualunque modo egli
voglia contattarci e presentarsi a noi.
Vogliamo considerare questo episodio della vita di Gesù, dal
punto di vista di come Lui si presenta a noi in forma non ufficiale,
diremmo non consueta. Questo per dire che Dio ha dei modi ch’Egli
stesso ha insegnato alla chiesa in generale, ed ha pure delle
speciali confidenze con alcuni secondo la loro crescita. Iddio vuole
portare tutti quelli che desiderano intima comunione con Cristo, ad
una speciale intimità ed arresa, annullamento di se. Per gli uni, il
Signore si presenta in modo ufficiale o convenzionale; diciamo
secondo l’insegnamento ricevuto. Gli altri, in modo imprevedibile,
per spingere il credente ad una più profonda relazione ed intimità
con Lui. Per elevarci a stature più alte, Iddio deve sorprenderci in
cose che noi non possiamo prevedere, visitazioni e modi in cui noi
non lo aspettiamo. Questo genera una sempre nuova conoscenza,
mantenuta sempre nuova e fresca, dal rinnovamento dello Spirito
Santo. Dal momento in cui Egli ci sorprende, inizia un nuovo
principio di conoscenza spirituale a speciale crescita e statura.
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Vediamo subito il “come Gesù apparve” ai discepoli che
erano sulla via. Il cammino era lungo, sessanta stadi. Lo stadio
equivaleva a 185 metri; siamo ad un percorso di 12 km. circa.
Sappiamo che il numero sei è numero d’uomo, in questo caso, là
dove vediamo risaltare l’umanità debole dei due discepoli.
Avevano bisogno di aiuto per vedere e ritrovare quello che
avevano perso.
Come avviane per qualunque viaggiatore, intrattenevano dei
discorsi, e l’argomento era, quel che era successo riguardo alla
morte di Gesù e alle voci che asserivano una sua risurrezione
difficile a credersi.
Qui compare il personaggio: “Or avvenne che, mentre
parlavano e discorrevano insieme, Gesù stesso si accostò e si mise a
camminare con loro” (v. 15).
Senza fare rumore, come la neve, senza prepotenza, si
accostò. Cosa ci faceva Gesù da quelle parti? A causa della sua
risurrezione, siamo portati subito ad immaginare che Lui, per
muoversi in quelle apparizioni, compariva e scompariva. Quindi
non aveva bisogno di essere in un posto tempo prima di un evento.
Ma, consideriamo le cose e i fatti gradatamente. Se consideriamo
le cose sempre dal lato della sua potenza divina, non impariamo
nulla circa quel che concerne la Sua umiliazione. Cioè, il modo di
come l’Iddio invisibile e onnipotente ci ha raggiunti mediante
l’umiliazione di Cristo. Dio manifestato nella carne. Quindi, se
consideriamo il primo verso di questo capitolo, vediamo che Gesù
apparve ai due discepoli nello stesso giorno in cui risuscitò. Dal
verso uno al dodicesimo, abbiamo la narrazione della risurrezione.
Dal verso tredici, da dove l’evangelista Luca ci parla dei due
discepoli, è detto: “In quello stesso giorno”. Quindi, quando Gesù
risuscitò, andò sulla via di Emmaus. Perché? Per aspettare ed
incontrare dei discepoli che erano sulla via dei loro pensieri umani.
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Egli invero, è ancora su quella via, aspettando anche te, quando
cammini in essa per le tue confusioni. Egli vuole incontrare ognuno
su quella via di “sessanta” stadi… Là, dove facciamo i conti del
nostro smarrimento e confusione. Gesù aveva ed ha un
appuntamento per ciascuno, che come quei discepoli hanno di
passare per quella via, “molto lunga” senza di Lui. Gesù apparve
per riempire quel vuoto, tanto è vero che chiese subito:
“Che discorsi sono questi che vi scambiate l’uno l’altro cammin
facendo? E perché siete mesti?” (v. 17).
Notiamo come fece riferimento al cammino? Mentre
camminate… Che discorsi state facendo? In questa strada di
sessanta stadi…? Nel vostro modo umano di considerare le cose
sebbene siete stati avvisati. Prima di queste parole, il narratore
dice che i discepoli non riconoscevano che era Gesù, descrivendo il
perché: I loro occhi erano impediti (v. 16). Cos’era questo
impedimento? Loro si aspettavano una vittoria diversa, accettando
pure una certa umiliazione, ma non fino a quel punto… Erano
rimasti impressionati fino a quale grado di umiliazione dovette
patire dagli uomini. Erano impauriti, smarriti. Non riuscivano a
credere che Lui sarebbe risorto, nonostante qualcuno già
raccontava di aver visto qualcosa. Il fatto avvenne nel mattino
presto, le donne videro la visione d’angeli e tornando la
raccontaron loro. Questo fatto ancora non fu sufficiente a destare
la fede; piuttosto meraviglia e perplessità. La morte e la sepoltura,
aveva lasciato delusione nel cuore di quei discepoli, tanto che
probabilmente Gesù andò prima da loro, per incontrarli su quella
via di sessanta stadi… In altri termini: “la via dei conflitti umani, i
dubbi”. Tanta necessità, tanto soccorso. Il Signore recuperò la fede
di ciascuno andata a brandelli. Egli stesso ebbe a dire che, i
discepoli si sarebbero scandalizzati di Lui.
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Il fatto è che gli uomini si aspettano che Gesù venga secondo
la propria impressione. E’ bastato che Gesù apparve in una forma
semplicissima, che già essi non lo riconoscevano. Questo il
problema di tutti i tempi, soprattutto di oggi. Il Signore aveva loro
lasciato gli insegnamenti in merito alla risurrezione, ma non
bastarono. Ci volle la sua venuta, la sua apparizione nella
risurrezione che, avrebbe “rinnovato”gli insegnamenti dati. In
Giovanni 2:22, è detto:
“Quando poi egli fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si
ricordarono che egli aveva loro detto questo e credettero alla
scrittura e alle parole che Gesù aveva detto”.
Ci volle la risurrezione per destare il ricordo e la fede. Se non
vi è la risurrezione, l’apparizione di Lui, il personaggio vivente, non
vi è fede e vero intendimento sulle sacre scritture. Il fatto di non
riconoscerlo, significa che il modo di attenderlo è stato “passivo” e
quindi stagnante. Quando Lui viene in modo nuovo, non si è in
grado di riconoscerlo. Questo vale anche per noi oggi, quando il
Signore si presenta in una sua visitazione, se il nostro modo di
attenderlo è stato passivo, riposandoci (illudendoci) sulle sue
parole come se ciò bastasse, non saremo in grado di riconoscerlo.
Gli insegnamenti invero sono importanti, ma essi non hanno vita
“attiva” in sé, se la risurrezione, che è lo stesso che dire
“rivelazione”, non fa opera di rinnovamento. Paolo parla del
rinnovamento dello Spirito Santo in Tito 3:5, accoppiando la
rigenerazione, nuova nascita, al rinnovamento dello Spirito. Questo
perché anche la nuova nascita, sebbene “fatto” compiuto in se, si
atrofizza come stato, se non viene rinnovata dallo Spirito Santo. Il
rinnovamento è essenziale per ogni esperienza e virtù spirituale. Il
rinnovamento dello Spirito è l’ossigeno, la vita di ogni virtù.
Ciò che ha dato modo ai due discepoli di intendere le
scritture, è stato proprio il fatto che “il grande sconosciuto” che con
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loro camminava, gli andava spiegando. Il primo motto fu un
rimprovero; questo per scuoterli da quella posizione di stordimento
in cui erano. Questo sicuramente accese la loro attenzione. Poi il
Maestro sconosciuto cominciando da Mosè e da tutti i profeti,
tracciò un cammino nelle scritture, le spiegò, rivelò, “apocalisse”.
Alla fine, dopo lo spezzare il pane, gesto per cui lo riconobbero,
confessarono che nel mentre egli spiegava, il loro cuore ardeva (v.
32). Gesù aveva già spiegato in grandi linee cosa il Figlio
dell’Uomo doveva passare, ma avevano bisogno della risurrezione
per vedere per intero. Questo ci riguarda molto da vicino. Se non
viviamo nella risurrezione, nella vita del personaggio, in comunione
con Lui, quel che abbiamo imparato, si ferma; causando così quella
condizione in cui l’uomo decide di prendere la situazione in mano e
gestirsi da solo. In pratica comincia a manovrare gli insegnamenti
da solo, con la propria abilità. Questo porta soltanto a rovine!
Se vogliamo camminare con Lui in ogni passo, riconoscerlo in
qualunque modo egli venga a noi e nella chiesa, dobbiamo
attenderlo sempre e concentrarci sulla sua persona vivente;
credere veramente nella risurrezione.
Anche i due discepoli indirettamente, dissero una grande
verità nella constatazione che le donne avevano avuto una visione
d’angeli, il sepolcro vuoto ma...? Lui non l’hanno visto! (v. 23, 24).
Possiamo vedere sepolcri vuoti, visioni di angeli e quant’altro;
ma se non vediamo Lui nella sua risurrezione, nulla è verità.
Giustizia forse si, se sappiamo mantenerci in essa, ma verità no. La
Verità è Gesù stesso nella risurrezione (Giovanni 14:6; 8:31,32;
Apocalisse 3:14). Questo ci stimola a ricercare sempre più in modo
attivo la Verità vivente di ciò che abbiamo imparato degli
insegnamenti.
Nel cammino dei dubbi e dell’incertezze, Gesù ammaestrò i
discepoli, che all’inizio della loro conversazione ardirono dirgli:
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“Sei tu l’unico forestiero in Gerusalemme che non conosca le cose che
vi sono accadute in questi giorni?” (v. 18).
Mentre Egli parlava loro, si sentirono nutrire l’anima e
infiammare lo spirito. Questo è quando diamo luogo alla Sua
apparizione, cioè, alle sue visitazioni a noi per chiamarci a nuove
alture. Questa la lezione; se impariamo ad attendere il Suo
rinnovamento dello Spirito, riceveremo sempre nuova luce e nuova
vita. Questo porta ad essere nutriti dalla Sua mano generosa.
Quando erano arrivati lo trattennero. Egli faceva come di andare
oltre; non era perché non voleva rimanere, è ovvio, ma quel savio
procedere stimolava ancora quegli istinti spirituali in loro un pò
dormienti a reagire. Lo trattennero e rimase. Quando spezzò il
pane è detto:
“E come si trovava a tavola con loro, prese il pane, lo
benedisse e, dopo averlo spezzato, lo distribuì loro. Allora si
aprirono gli occhi e lo riconobbero; ma egli scomparve dai loro
occhi” (v. 30).
Queste quattro tappe, se lette lentamente e viste nello spirito,
fanno ardere davvero il nostro cuore. Solo quel Maestro Unico
prende il pane, lo benedice, lo spezza e distribuisce in quel modo
unico. Da questo Egli si fa riconoscere! Egli è il Pane VIVENTE.
Questo ci dice che, anche se Lui ci parla attraverso chi noi non
dovessimo stimare come servo ufficiale, siamo chiamati a saper
riconoscere lo Spirito di Cristo attraverso quello spezzare il Pane,
anche attraverso chi “per noi” è uno straniero. Da meditare!
Nel verso 31 è detto: “Allora si aprirono loro gli occhi e lo
riconobbero; ma egli scomparve dai loro occhi”. Qual strana
combinazione di parole. Ha fatto tanto per farsi vedere, per poi,
quando aprirono i loro occhi egli scomparve ed è ripetuto: dai loro
occhi. Quegli occhi che furono aperti per riconoscerlo nella sua
apparizione, ancora in un corpo, dovettero perderlo ancora “dai
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loro occhi”, occhi materiali. Ed è proprio questo il punto; Gesù
apparve in forma visibile per aiutarli e portarli a credere
nell’invisibile. I loro occhi furono aperti per riconoscerlo nel visibile
per poi perderlo, cioè, perdere quel modo di vederlo, onde
acquistare occhi spirituali e vederlo nell’invisibile.
Egli si fa conoscere o riconoscere in modo graduale, così come
anche Parla al nostro cuore. I suoi metodi sono a fini educativi e
formativi. Attraverso quel procedere, Gesù portò i discepoli ad
invitarlo in casa, con lo scopo di relazionarsi al pane. Dal modo in
cui Gesù maneggia il pane, figura del suo corpo, in quel modo
unico, si fa riconoscere dai suoi. Per noi è stimolo di osservare come
i tanti predicatori maneggiano le sacre scritture. Se le raffiguriamo
al pane, come figura visibile della parola di Dio, possiamo
riconoscere lo spirito che è all’opera dietro quel ministro, o
ciarlatano. Osserviamo se vi sono quelle sante tappe e
caratteristiche nello spezzare il pane di “quell’occasione”,
osserviamo se chi maneggia le scritture si preoccupa di prendere
con timore, ringraziamento e benedizione le sante scritture. Se lo
scopo è nutrire le anime affamate o gonfiarle di teorie. Possa
Iddio renderci come quel Maestro Unico. Quando quel spezzare
non sia con violenza e disonore, ma con amore e tenerezza,
sapendo che le scritture sono Sue… Sue le parole, Suo il modo di
distribuirle nei cuori. Amen.
***
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UN LUOGO PER PREGARE
La preghiera è ossigeno per l’anima. In qualsiasi luogo ci troviamo possiamo pregare, se non a voce, almeno nel pensiero. Vi sono anche luoghi spirituali, dove abbiamo grandi ostacoli da superare, a causa di chi li abita… spiriti seduttori. E’ scritto nel Salmo, che nello Sceol (il soggiorno dei morti), “non si loda” il Suo nome (Salmo 115:17). I riferimenti sulla preghiera nella scrittura, non sono per insegnarci che la preghiera consiste in una ritologia di posizioni da tenere. Mettersi in ginocchio, prostrarsi genuflessi, pregare ad occhi chiusi o a bassa voce ecc… Sono cose che hanno la loro importanza relativamente a come ci sentiamo guidati da “Lui”. In Esdra 9:5 e Daniele 6:10 troviamo la preghiera fatta in ginocchio. Nel Salmo 35:13 è indicata la preghiera col capo curvo sul petto. In 1Re 1:47 è detto: “pregò prostrandosi sul letto”. Nel Salmo 6:6 si parla di pianto sul letto. Nel Salmo 4:4 di meditare sul proprio letto. Giovanni 17:1 Gesù alzò gli occhi al cielo e pregò… Non vi è una posizione precisa, ma ve ne sono diverse per esprimere stati d’animo, ed esigenze particolari. Vi è diversità e distinzione anche nello spirito. La lode è un esultanza, la preghiera è orazione, cioè parlare con Dio, dialogare. La supplica è basata su una forte richiesta. Possiamo dire: “La massima espressione dell’anima, di una richiesta fatta con la massima intensità”. Così come vi sono preghiere veloci,
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sbrigative; o come qualcuno le ha definite: “Preghiera Freccia”, Nehemia 2:4. Vi è la preghiera contemplativa dove è attiva in noi quella facoltà ricettiva e visiva che si occupa di osservare “l’immagine” di Cristo nelle sue “figure”, come riportatoci dalle sacre scritture. Lo scopo è di INTERIORIZZARE ciò che lo Spirito di Dio vuole darci, perché esso dà l’immagine viva delle cose. Interiorizzando, entriamo nell’adorazione in Ispirito e verità. La forma di culto più alta e più intima, che Dio vuole dagli uomini.
Dio vuole veri… (si suppone che vi siano dei falsi) adoratori, in ispirito e verità, Giovanni 4:23. Dio vuole che il credente sia spirituale, che viva nello spirito e nello Spirito di Dio. Anche Paolo diceva: “Perché Dio, a cui io servo nel mio spirito ”. Si! Paolo serviva Dio nel suo spirito umano, illuminato da Dio. Questa è la nostra stanzetta o luogo di preghiera. Le parole di Gesù in Matteo 6:6 hanno anche l’immagine dello spirituale: “Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta, chiudi la tua porta e prega il Padre tuo nel segreto (camera nella camera); e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà ”. E’ importante vivere come il figlio dell’Uomo. Giovanni 3:13 ci dice che Gesù era in cielo e sulla terra nello stesso tempo.
La cameretta indicata da Gesù è la comune cameretta di ognuno nella propria casa, là dove dovremmo ritirarci. Più di quella però, Gesù, vuole dare l’idea di una stanza spirituale che è il nostro spirito. L’anima deve abitare nello spirito, chiudere la…
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TUA PORTA, cioè, l’intelligenza, la volontà, decisioni. Vivere sempre in questa condizione, tra cielo e terra. Siamo nel territorio dello spirito, quindi come dice Paolo: “Se dunque siete risuscitati con Cristo cercate LE COSE DI LASSU’… Abbiate in mente le cose di lassù, non quelle che sono sulla terra”. Gesù e la sua chiesa conoscono lo scopo della preghiera. Siamo sempre meno attirati, o per meglio dire, distratti dalla carne e preda dei suoi stimoli. La carne rimane quella che è, ma nello spirito ci si eleva al di sopra d’essa e si è più e più assorbiti dal grande personaggio, che interviene con sospiri ineffabili. Così pregando diveniamo veri adoratori in ispirito e verità. Egli veggendo nel segreto ci trasporta, dalla realtà pregustata, alla realtà effettiva. Trasportati in ispirito nel territorio dello Spirito di Dio. Lo spirito dell’uomo è il punto di incontro fra l’anima e il creatore dell’anima. Da lì parte il viaggio nel mondo dello Spirito. Lo spirito umano è il nostro luogo di preghiera. La preghiera non è preghiera solo quando si fa orazione a voce e a mente, oppure, in un momento particolare della giornata. Ma, la preghiera in ispirito, deve essere adorazione sempre, in ogni luogo e tempo.
Nel visibile dunque, possiamo pregare in ogni luogo, nello spirito, nel invisibile non è così. Salmo 6:5, ci dice che nei luoghi spirituali, dove regna la morte non si celebra il Suo nome. Il Padre, vede nel segreto e dà ricompense. Lui vuole che viviamo in questa condizione, per essere nascosti, immersi in Lui, onde far risaltare Lui solo. Questo vivere, è un vivere segreto, quel segreto
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che il Padre vede. La chiesa ha un luogo per pregare: “Il suo spirito umano, santificato e controllato dal Signore”. In Isaia 11 abbiamo uno dei ritratti più significativi; il monte con animali selvaggi e animali domestici. Il monte ci rappresenta lo spirito umano (le alture), che ha l’influenza del bene e del male. Anche quelli battezzati nello Spirito Santo, possono essere influenzati da spiriti seduttori. Non per sempre ovvio. Ma vi è semplicemente la possibilità. In questi casi, sono gli animali selvaggi che agiscono in noi a mezzo nostro. L’uomo dovrà imparare ad affidarsi a quella facoltà interiore che spinge a vivere verso l’alto… lo spirito umano. Lasciando che “quel bambino” metta in ordine quegli animali, perché ha l’autorità e il potere per farlo. Cristo, la “progenie”. Certo non è cosa che si capisce e si fa. Ci vuole di camminare col Signore, di stare alla Sua scuola, fare esperienza, mangiare il pane di afflizione (le sofferenze). Così l’uomo impara com’è fatto, e come deve fare funzionare le virtù che Dio ha messo in lui.
San Paolo scrive ai Corinzi che se si prega in lingue, lo spirito rimane edificato, ma la mente “rimane infruttuosa” 1 Corinzi 14:14. E’ necessario che se si prega in lingue, ci sia l’interpretazione, onde un linguaggio misterioso divenga comprensibile. Lo scopo nella chiesa è quello di comunicare, scambiare per essere edificati. Quindi il concetto è che non dobbiamo pregare “solo” con la mente e neanche “solo” con lo spirito. Tutte e due devono lavorare insieme. Nella vita di ogni
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uomo, da quando nasce, riscontra in se un disaccordo un conflitto fra anima e spirito. Ma arriva il tempo in cui anima e spirito si amalgamano, così l’affermazione di Maria quando disse: “L'anima mia magnifica il Signore, e lo spirito mio esulta in Dio, mio Salvatore” Luca 1:46-47. Anima e spirito finalmente, lavorano insieme.
Lo scopo di Dio è questo: “ciò che avviene nello spirito, ciò che Egli fa nello spirito, porti i suoi risultati nella mente, all’anima”. Una cosa da capire è che lo spirito dell’uomo, porta la mente in una dimensione diversa da quella del visibile. Innanzi tutto lo spirito è invisibile. Non è soggetto al tempo, non ha limiti di spazio. Quindi è chiaro che lo spirito è un’altra dimensione, diversa dal materiale, dal visibile. Dipende se viviamo nella dimensione del visibile, del materialismo, oppure, nella dimensione dell’invisibile, nello spirito. La chiesa vive nella dimensione dello spirito e fa servizio in ispirito, intercedendo presso Dio, portando i pesi gli uni degli altri, imparando a soffrire per divenire, o imparare, l’ubbidienza. Essa vive sul piano dello spirito. Come in ogni dimensione vi è un’atmosfera, così, pure nella dimensione dello spirito, vi deve essere un’atmosfera.
Quando entriamo in una casa, percepiamo la sensazione di che tipo di atmosfera regna in quella casa. Anche lo stile di vita caratterizza un’atmosfera. Dimensione, atmosfera, ambiente. “L’ambiente”, in ogni luogo, è il “risultato” del tipo di atmosfera che regna in quel determinato luogo. L’ambiente è il “prodotto”
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dell’atmosfera spirituale che è in un luogo, o di angeli di Dio o di quelli del nemico. Quindi, ognuno entrando in un qualsiasi “luogo” trova un “ambiente”, caratterizzato dal tipo di atmosfera che regna (positiva o negativa). Per noi è uguale. La dimensione è il luogo; il nostro spirito. L’atmosfera è caratterizzata dall’influenza che possiamo avere da quegli animali (Isaia 11), che rappresentano gli angeli del bene o del male. Così chi ci avvicina si accorge che intorno a noi c’è un “ambiente” o positivo o negativo. Anche un nato di nuovo può essere influenzato da spiriti negativi. Tanto è vero che i moniti rivolti alla chiesa, sono di guardarsi dalle false “ispirazioni”. Vegliare. Questo significa che se non vegliamo possiamo essere sedotti. Inizialmente per un breve tempo, o qualche occasione di vita. Ma se l’individuo non si ravvede la condizione peggiora. Questo significa Giovanni 3:13 “nessuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo, cioè il Figlio dell'uomo che è nel cielo ”. Vivere nella dimensione dello spirito, significa questo!
Il, nessuno è salito, “se non colui che è disceso”, rivela che si sale solo se prima si scende (l’umiliazione di Cristo), quell’uomo è nel cielo. Vivendo dunque nella dimensione dello spirito, nell’atmosfera spirituale condizionata dai santi angeli di Dio; trasmettiamo Dio al mondo e alla chiesa.
Quando, in un insieme di fratelli, quando si è in piacevole conversazione e in pace, qualcuno dovesse dire qualcosa fuori posto o inopportuna, nel nascere di una discussione, in quel
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momento, subito l’atmosfera di pace cambierebbe, per via di una forte “tensione” che l’ha “inquinata”. Dio non vuole portare tensione fra fratelli, non è da Lui. Quando succede, letteralmente “inquiniamo” l’atmosfera spirituale positiva e il suo relativo “ambiente”. Così trasmettiamo un influenza spirituale di angeli nemici. In Giobbe 26:4 è detto: “A chi hai rivolto le tue parole, e di chi è lo spirito che è uscito da te? ”. Vegliamo dunque.
Voglio specificare che, il fatto di essere influenzati o sedotti per un certo tempo da spiriti seduttori, non significa essere “posseduti” da loro. Ma, tale condizione, cioè: essere posseduti, divenire stolti, empi, iniqui; si verifica “continuando” a dare retta a queste influenze nemiche e quindi non ravvedersi.
Preghiamo dunque nella camera del nostro spirito, nella dimensione spirituale, nell’atmosfera degli angeli di Dio e trasmettiamo quella. Il profeta Eliseo, passando vicino a una Shunnamita, fu ospitato qualche volta, e lei disse a suo marito: “Ecco, io sono certa che colui che passa sempre da noi è un santo uomo di Dio ”. 2 Re 4:9. Non vi è menzione di alcun dialogo fra loro circa il ministerio profetico. Quindi cos’era che in Eliseo dava l’impressione, e addirittura la certezza, di essere un servo di Dio? Era appunto questa atmosfera spirituale che lui portava e trasmetteva a chiunque. Così era anche di Cristo. Coloro che potevano “vederlo”, in lui videro, che viveva in una dimensione
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Divina, spirituale e comunicava un’atmosfera pure angelica, Giovanni 1:51. Vedrai il Figlio dell’uomo, e gli angeli di Dio salire e scendere su di Lui.
* * * UNO IN TUTTO, TUTTO IN UNO
In questi ultimi tempi, vi è un pericolo assai grave che è quello di pendere
verso linee dottrinali, chi sulla dottrina strettamente scritturale, in genere
prevalentemente in forma esteriore, altri su linee spirituali tanto da
trascurare l’aspetto (il ruolo) e l’importanza che ha nell’esteriore. Altri,
allargandoci, seguono un cammino incompleto, basandosi solo su ciò che
hanno oggi, senza guardare a ciò che Dio si è preso cura di dare e soprattutto
di stabilire, nell’epoca precedente. Che effetto fa quando si scopre che la
nostra storia deriva da un accumulo di guerre? Quando la nostra attuale
costituzione è stata costruita sul sangue? Dico, non si può comprendere
appieno l’oggi se non si comprende la storia che gli riguarda.
Alcuni insistono a dire, che bisogna occuparsi e concentrarsi di
contemplare la persona di Cristo in una visone spirituale. Altri, su una forma
di santificazione esteriore, letteralistica, dottrinale, sulla base di eventi,
profezie, personaggi e tempi profetici. Invero, tutt’e due sono nella ragione,
solo che non si riesce ad armonizzarle!
Questo soggetto mira ad evidenziare l’importanza di vedere l’UNO, Gesù,
il personaggio, in TUTTO quel che gli riguarda e il TUTTO in e attraverso di
Lui. Di modo che non abbiamo l’UNO senza il TUTTO che gli riguarda, e il
TUTTO senza quell’UNO.
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Studiarci di essere graditi a Dio nell’esteriore, in una santificazione che
tocca l’esteriore, è importante, ma non dobbiamo trascurare l’importanza
dell’opera assoluta dello Spirito Santo che sa centrare l’obiettivo e il tempo,
ed occuparsi delle priorità dell’anima di cui affronta le rovine. Se siamo noi
che portiamo la “Sua Parola”, sbaglieremo quanto meno nei “tempi” che
riguardano l’anima verso cui pensiamo di ministrare. Se è Lui a portare noi,
il Predicatore interiore, la Parola viva, a parlare in noi, si occuperà del
bisogno imminente di chi ascolta. Iddio guarda al bisogno del momento, Egli
parla per risolvere, ed anche per preparare per il dopo. Tutto ciò, in armonia
col Suo piano di redenzione secondo la vocazione e la misura di fede di
ciascuno. Dio parlò ad Abrahamo che avrebbe avuto un figlio, ma anche, in
seguito, venne per parlare “dell’ora”. Era quello il momento, diciamo il
periodo in cui Sara doveva partorire; l’anno dopo avrebbe concepito. Iddio
aveva parlato prima, per preparare Abrahamo, ma quando giunse il tempo,
Egli venne per rinnovare la promessa e per dire il tempo in cui si sarebbe
compiuta. Iddio Parla del bisogno attuale e imminente, in ciò in cui l’anima
può aprirsi ai suoi inviti, ma anche prepara per il dopo.
Questo prende di mira il personaggio in pieno, in ciò che riguarda la
sua volontà di espressione, più che di quella scritta. Lo scritto è nell’ovvio,
ma la volontà di Dio del momento, quella del quando si esprime, è relativa al
come Iddio trova predisposte le anime. Altra cosa è il tempo in cui ha da
compiersi una profezia; nel tempo del compimento della Parola di Dio, ciò
che è stato detto, si avvererà; qualsiasi sia l’atteggiamento delle anime. Saprà
sempre di certo, come trarre il pio dall’ora oscura (Giosuè 2; Genesi 19:16).
Partiamo dal personaggio, predicando Gesù Cristo al vivo (Galati 3:1),
applicando l’immagine Sua al bisogno immediato dell’anima; di poi,
estendiamo Lui nella Sua volontà circa “tutte le cose” che gli riguardano.
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Vedere tutto in Lui (le scritture, dottrine, comandi), e Lui (la persona) in
Tutto.
A proposito, ricordiamo l’atteggiamento dell’apostolo Paolo dinanzi al
governatore Felice: “E siccome Paolo parlava di giustizia, di
autocontrollo e del giudizio futuro, Felice, fu tutto spaventato…”
(Atti 24:25). Possiamo vedere come Paolo, nel suo parlare, nel suo modo
d’insegnare, teneva conto dell’armonia delle linee della sapienza di Dio. Lo
stesso che dire, come detto da lui stesso: “Affinché, radicati e fondati
nell’amore, possiate comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza, la
lunghezza, la profondità e l’altezza, e conoscere l’amore di Cristo che
sopravanza ogni conoscenza, affinché siate ripieni di tutta la pienezza di
Dio” (Efesini 3:18,19). Sempre lui, qualche verso prima, parlò della
“multiforme sapienza di Dio” (v.10).
Cosa ci dicono queste cose? Paolo, come dicevamo, teneva conto, perché
disciplinato da Dio a proposito, della congiunzione e l’armonia delle diverse
linee di espressione di Dio. Nella somma di esse, lui trovava, realizzava la
Verità.
“Giustizia”, è il diritto, la parte dottrinale.
“Autocontrollo”, è una virtù interiore, la parte spirituale.
“Giudizio futuro”, è la destinazione, ciò che avverrà, la parte profetica.
Paolo unì queste linee, e ne ricavò l’ARMONIA, in questo modo presentò Gesù
a Felice. Quale fu la reazione? Felice fu tutto spaventato! Questo perché la
Parola del servo di Dio, era condita degli elementi necessari alla dovuta
presentazione. Certo, semplificando, possiamo dire che quel parlare fu
efficace perché Dio toccò il cuore del governatore; ma se vediamo le cose
sempre da questo punto di vista, non impariamo a conoscere quelle
“dimensioni” che abbiamo letto in Efesini capo tre.
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Vi sono dunque diverse dimensioni attraverso cui considerare Dio;
questo è meraviglioso! Egli ha pure una sapienza così elevata che può
definirsi, “multiforme”. Il punto, alla fine, è che tutto ciò ha lo scopo di
trovare l’aggancio fra loro, per ottenerne l’armonia. Dio è Armonia!
E’ nella volontà di Dio che il nostro parlare sia un parlare pieno,
compiuto di quegli elementi di considerazione che producono la divina
Sapienza, come una visione spirituale, a chi ascolta; In modo che,
l’ascoltatore, non sia solo uditore, ma anche osservatore. Portato ad osservare
ciò che la Sapienza crea in lui, in te.
Per entrare nella vera conoscenza del Signore, conoscenza Spirituale,
abbiamo bisogno di ricevere quei sette occhi esistenti e sussistenti in “quella
roccia” (Zaccaria 3:9; 4:7). Ricevere questi sette occhi è più che
semplicemente conoscere ciò che Dio ha fatto “sopra” la chiesa. Come
sappiamo, per chi l’ha realizzato, in questo brano della scrittura si parla della
visione della storia e del piano di Dio in riferimento alla chiesa. Il candelabro
rappresenta le sette epoche della chiesa in questi ultimi duemila anni. I sette
occhi, sono i veglianti, i servi di Dio, i messaggeri, uno per ogni epoca. Ma
questo non è per rimanere semplicemente così. Piuttosto, per giungere al
fine, che queste realtà devono raggiungerci nello spirito. Nella vita personale,
in una esperienza personale che fa viverre queste situazioni dentro di noi.
Quindi, personalmente, spiritualmente, i sette occhi rappresentano la
luce completa ricevuta nella rivelazione, e il modo completo di come vedere
le cose. La figura è unita al candelabro. Un candelabro ha sette bracci, così
come sono sette gli occhi. Il candelabro fa la sua luce più forte e chiara,
quando le lampade sono accese tutt’è sette.
Sono molti, la maggioranza, che vedono le cose e Dio stesso con
“pochi” occhi; in altri termini, accendono solo alcune delle lampade e non
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tutte. Come si possono vedere le cose correttamente in questo stato? Nel
regno dello spirito sussistono due principali realtà: una è Dio, l’altra sono le
cose di Dio. Quell’Uno, si è manifestato in Gesù, in Lui tutta la pienezza.
Generalmente si è portati a cercare con maggiore interesse le “cose di Dio”,
piuttosto che Dio stesso, la Sua personalità e carattere. Qui il punto. Tutto ciò
ch’è di Dio dovrà essere visto nell’Uno manifestato in carne, se vogliamo
raggiungere lo scopo che Dio stesso s’è prefissato. Il messaggio: “Ecco
l’agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo”, e, “Ecco l’agnello di Dio”,
sono un esempio esplicito a riguardo. Se non arriviamo a vedere e a
congiungere l’opera di Dio a Dio stesso, al fine di considerare l’opera, il
Tutto, in Cristo e attraverso Cristo e, Cristo nel Tutto; non abbiamo concluso il
piano di Dio per noi. Non chiudiamo il cerchio della nostra vocazione.
In questo modo saremo o troppo spirituali, o troppo materialisti. Il
Signore ci fa simmetrici, cioè ARMONICI COME DIO E’ ARMONIA! Non contrasti,
non contraddizioni, non squilibri! Solo armonia divina, la cui fonte deriva dal
creatore di tutte le cose. Nella creazione vi è l’amore di Dio; e là dov’è
l’amore non possono esserci dissonanze o stonature. Chi ha prodotto ogni
squilibrio, ogni stonatura è il diavolo! Nella vita di ogni uomo cerca di
storpiare qualche nota pulita, così come Dio l’ha creata, perché quella
stonatura possa esprimere qualche cosa negativa di lui…
E’ importante dunque entrare in questa dimensione di fede,
raggiungere l’armonia del l’Uno nel Tutto, e del Tutto nell’Uno e attraverso
quell’Uno.
Amare il Suo messaggio, amare la Sua persona.