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La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio. ANIEM Rassegna Stampa del 29/05/2017

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Rassegna Stampa del 29/05/2017

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INDICE

ANIEM

28/05/2017 L'Espresso

Le spine di Santa Chiara8

ANIEM WEB

Il capitolo non contiene articoli

SCENARIO EDILIZIA

28/05/2017 Corriere della Sera - Roma

Costruttori, scatta la corsa al potere nella crisi più nera12

29/05/2017 Corriere L'Economia

Autonomi, due settimane in più per pagare le tasse14

28/05/2017 Corriere della Sera - La Lettura

Percorsi Luoghi futuri16

29/05/2017 Il Sole 24 Ore

Distanze legali tra edifici derogabili solo per i piani19

27/05/2017 Il Sole 24 Ore

Si allenta la stretta sull'Ace In vista il «no» alla proroga per l'iperammortamento21

27/05/2017 Il Sole 24 Ore

Durc circoscritto per la ricostruzione post terremoto24

28/05/2017 La Repubblica - Bologna

La crociata dei vigili contro gli abusi edilizi un verbale al giorno25

28/05/2017 L'Espresso

Il Nepal rinasce sempre26

29/05/2017 Il Messaggero - Civitavecchia

Ater, conti ok e nuove case29

29/05/2017 QN - Il Resto del Carlino - Nazionale

Scuola, che rivoluzione dopo il terremoto «Siamo un laboratorio per il futuro»30

26/05/2017 Il Secolo XIX - Savona

Opere pubbliche, in dieci anni da 107 a 13 milioni31

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29/05/2017 Edilizia e Territorio

Imprese pronte al salto tecnologico (per la produttività)32

29/05/2017 Edilizia e Territorio

False attestazioni, l'Anac chiude anche Soa Hi Quality34

SCENARIO ECONOMIA

28/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale

Nuovi voucher, il Pd si spacca Il testo passa con i voti di FI e Lega36

28/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale

Banche venete, Atlante guarda solo alle sofferenze38

28/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale

Poste, squadra di vertice e strategie La mappa dei manager di Del Fante39

27/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale

Voucher, il governo va avanti. Mdp in trincea41

27/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale

Damiano: i buoni solo alle famiglie ma questo tema non vale una crisi43

27/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale

Campo Dall'Orto da Padoan, addio alla Rai E Fico: adesso lascino anche iconsiglieri

44

27/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale

«La diaria rimborsata due volte» Nuova indagine sui costi del Cnel46

27/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale

Gli stranieri a capo dei musei italiani? I giudici sono uguali, i giudizi opposti48

27/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale

Risorge la fabbrica dell'oro bianco50

27/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale

I laureati sognano il magazzino hi-tech52

27/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale

Ilva a Mittal-Marcegaglia-Intesa La scelta dei tre commissari55

27/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale

Sciopero Alitalia, piano straordinario per ridurre i disagi dei passeggeri57

27/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale

Opzione maxi taglio dei costi per il via libera al salvataggio58

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27/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale

Le banche venete: siamo nelle mani del governo60

29/05/2017 Corriere L'Economia

Fincantieri bono: basta lamenti L'Italia vince (ma all'estero)61

29/05/2017 Corriere L'Economia

Ha dato il lavoro ai tedeschi ora è il turno della Francia64

29/05/2017 Corriere L'Economia

Processo all'austerità Prosciolta: non frena il Pil*66

29/05/2017 Corriere L'Economia

Diciamocelo: il merito in Italia non va69

29/05/2017 Il Sole 24 Ore

Il brevetto unico Ue cerca la ripartenza «schivando» la Brexit70

29/05/2017 Il Sole 24 Ore

Lo stato delle «trasparenze»72

29/05/2017 Il Sole 24 Ore

Contratti Pa, quattro ostacoli sui rinnovi74

29/05/2017 Il Sole 24 Ore

VOLUNTARY-BIS, CORRETTIVI CON POCO APPEAL76

28/05/2017 Il Sole 24 Ore

«Legge di bilancio coraggiosa, sì al taglio del cuneo per i giovani»78

28/05/2017 Il Sole 24 Ore

Commercio, accordo in extremis80

28/05/2017 Il Sole 24 Ore

Rush finale per l'Ilva ai privati82

27/05/2017 Il Sole 24 Ore

I commissari Alitalia avviano i tagli Parte la Cigs per 1.358 dipendenti84

27/05/2017 Il Sole 24 Ore

BTp Italia, buyback e concambio record da 4,2 miliardi86

27/05/2017 Il Sole 24 Ore

Bonomi entra in corsa per acquistare il caffè di Caffitaly87

27/05/2017 La Repubblica - Nazionale

Il governo tira dritto: voto sui voucher-bis88

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27/05/2017 La Repubblica - Nazionale

Banche, il pressing del Tesoro su Atlante89

29/05/2017 La Repubblica - Affari Finanza

L'Italia torna ad attrarre gli investimenti esteri balzo del 62% nel 201691

29/05/2017 La Repubblica - Affari Finanza

Dalla Banca d'Italia alla Consob la grande battaglia delle nomine93

29/05/2017 La Repubblica - Affari Finanza

ALITALIA CHI PARLA E CHI PRENDE LE ROTTE97

29/05/2017 La Repubblica - Affari Finanza

Appalti, il cantiere c'è ma soltanto sulle leggi*98

29/05/2017 La Repubblica - Affari Finanza

Musei, olivi, ponti e centurioni l'Italia finita nella rete dei Tar *101

29/05/2017 La Repubblica - Affari Finanza

IL PROTEZIONISMO NEL CASO DELLE MACCHINE È UN'ARMA SPUNTATA104

28/05/2017 La Stampa - Nazionale

Furlan: "Incredibile scivolare adesso per un pasticcio di stampo ideologico"105

28/05/2017 La Stampa - Nazionale

Gentiloni-­Juncker, confronto sulle banche106

SCENARIO PMI

29/05/2017 Corriere L'Economia

Pmi & digitale, lavori (ancora) in corso *109

29/05/2017 Il Sole 24 Ore

Un ombrello più ampio a costi contenuti111

27/05/2017 Il Sole 24 Ore

In calo la fiducia di imprese e consumatori112

27/05/2017 Il Sole 24 Ore

Se Industria 4.0 saprà connettersi con le startup113

27/05/2017 Il Sole 24 Ore

Dada, M&A per diversificare il business115

27/05/2017 Il Sole 24 Ore - PLUS 24

«Cembre ha un track record di qualità»116

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29/05/2017 La Repubblica - Affari Finanza

L'innovazione rilancia le Pmi la prossima sfida è l'export119

27/05/2017 Il Messaggero - Nazionale

Il nuovo asse protezionista sul commercio121

27/05/2017 Il Messaggero - Nazionale

Federmanager: torna a crescere il numero dei dirigenti industriali123

27/05/2017 Il Messaggero - Umbria

Ripresa, spiragli dall'export124

27/05/2017 Milano Finanza

CHI HA GUADAGNATO IL 100% (E OLTRE) NEL 2017125

27/05/2017 Patrimoni

Fei dice sì a Hedge Invest ed entra in Hi CrescItalia Pmi129

28/05/2017 Il Giornale - Nazionale

Le banche si trasformano per vincere la sfida 4.0130

28/05/2017 Il Giornale - Nazionale

Le banche cambiano pelle e «aprono» le filiali alla città131

27/05/2017 Banca Finanza

Le sfide di Cr Savigliano133

29/05/2017 Corriere del Mezzogiorno Economia

Bpp-Fei: assunzioni e nuovi mercati «Pronti 80 milioni per il Meridione»138

27/05/2017 Espansione

Credit Data Research Italia140

27/05/2017 Espansione

Col cluster della ceramica alla conquista di Usa e Cina142

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ANIEM

1 articolo

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La mutazione grillina POLITICA Le spine di Santa Chiara Luca Piana Vede questa riga del bilancio? Sono le risorse che possiamo spendere per le attività educative estive, come

i laboratori nelle scuole per i ragazzi che restano in città. Vede la cifra? Con i tagli dello scorso luglio era

stata portata a 5.404 euro, ades so è scesa a 1.303 euro. Secondo lei, che cosa possiamo farci con 1.303

euro?». A Torino la sede della Circoscrizione 5 occupa una vecchia conceria costruita a fne Ottocento in

via Stradella, un mira bile edifcio in mattoni rossi coronato da una torre con l'orologio, che segnava la voglia

di afermazione sociale dei primi proprietari, la famiglia Durio. Nei grandi ufci, incupiti dalla boiserie d'un

tempo, il presidente Marco Novello sfoglia l'elenco con i tagli decisi per il 2017 dalla sindaca Chiara

Appendino. La cul tura? Da 24.400 a 4.633 euro. Le iniziative sportive? Da 19.950 a 4.857 euro. «Nella

narrazione della nuova amministrazione, questi contributi sono stati tagliati con la scusa che fnivano in

marchette agli amici. Non era vero, e non poteva esserlo, perché tutto viene fnanziato attraverso bandi

pubblici. E in quartieri tormentati come questi, con tanti anziani, anche solo proiettare un flm in piazza o

aiutare le persone disabili a fare sport può essere d'aiuto», racconta Novello, una lunga esperienza nel Pci,

i corsi di amministrazione alle Frattocchie, il viag gio nella sinistra fno alla simpatia per il movimento di

Giuliano Pisapia. Chiede Novello: «Ma lo sa perché l'erba nelle aiuole non viene tagliata?». Per

comprendere la risposta a una do manda in apparenza semplice serve capire che cos'è successo in questo

primo anno di guida della città da parte del Movimento 5 Stelle. Un anno fa, alle elezioni comunali, i 125

mila abitanti dei quartieri raccolti nella Circoscrizione 5 - Madonna di Campagna, Vallette, Borgo Vittoria e

altri ancora - erano stati decisivi per il successo di Appendino. Qui, al ballottaggio, la giovane sindaca

aveva quasi doppiato Piero Fassino, ottenendo un vantaggio che il voto del centro non era riuscito a

erodere e le aveva permesso di mettere fne a 23 anni di egemonia del centro-si nistra. Da candidata,

Appendino aveva battuto a tappeto questi quartieri e, anche dopo le elezioni, non ha smesso di incontrare i

residenti, per ascoltare le necessità di periferie dove la disoccupazione morde, gli spazi pubblici sono

spesso abbandonati, l'immigrazione crea disagi e necessità. Nelle urne gli slogan sulla Torino delle code

davanti alle mense dei poveri, contrapposta alla scintillante città del turismo, avevano fatto presa, ribaltando

un pronostico che dava Fassino favorito. Eppure, a distanza di un anno, se si interrogano i torinesi sui

motivi del successo di Appendino - è il sindaco più amato d'Italia, secondo il "Sole 24 Ore" - le sorprese

non mancano. E disorientano parecchio, se si ripensa al voto di un anno fa, con Appendino vincente nelle

periferie impoverite e Fassino arroccato nei quartieri tirati a lucido del centro. Una risposta che si ascolta

spesso sul perché la sindaca sta facendo bene, infat ti, è legata alla sua capacità di evitare

contrapposizioni fratricide e di collaborare con i nemici di un tempo, come il padre-padrone del Pd torinese,

Sergio Chiamparino, o come Francesco Profu mo, ex rettore del Politecnico, ex ministro del governo di

Mario Monti, oggi presidente della Compagnia di San Paolo, la ricca fondazione che custodisce la quota più

cospicua (il 9,8 per cento) nel capitale della maggiore banca italiana, Intesa Sanpaolo. Agli occhi di molti

osservatori, è stato proprio questo atteggiamento concreto, non ideologico, a permetterle di portare a casa

risultati come il boom del Salone del Libro, sopravvissuto alla fuga a Mila no dei grandi editori e rilanciato

afdandone la guida a un altro ex ministro, il dalemiano Massimo Bray. Lo stesso pragmatismo che le ha

permesso di bussare alla porta delle due istituzioni che con i loro quattrini reggono la struttura culturale e

sociale della città, la Compagnia di San Paolo e la Crt, l'altra fondazione bancaria torinese, socia di

Unicredit, per chiedere sostegno a iniziative di varia natura. Il saper rompere le righe rispetto ai diktat del

suo partito, rappresentare gli umori più sociali del movimento, contrapposti al populismo di altri esponenti,

28/05/2017Pag. 34-38 N.22 - 28 maggio 2017

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ANIEM - Rassegna Stampa 29/05/2017 8

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l'intelligenza e il sapersi rivolgere con il sorriso ai cittadini le vengono riconosciuti in modo unanime.

Eppure, basta guardare oltre i bagliori del Salone per comprendere come il suc cesso personale della

sindaca sia ofuscato da infniti problemi, grandi e piccoli. I piani di analisi sono almeno due. Il primo riguarda

le aspettative che ne avevano accompagnato l'elezione, il secondo i conti del Comune, che in queste

settima ne appaiono più traballanti che mai e che la giunta ha affrontato travolgendo i princìpi con cui aveva

vinto le elezioni. Partiamo dal primo. Una possibile lettu ra dei fatti, poco politica, riguarda l'ansia della città

nei confronti del futuro. Sotto la guida degli ultimi sindaci, un'idea Torino l'aveva seguita, ed era creare

nuove opportunità con il turismo, l'università e i centri di trasferimento tecnologico nati attorno al

Politecnico. La strategia ha funzionato solo a metà, come certifca la drammatica disoccupazione giovanile,

ma il punto è che la città si era abituata ad avere un piano d'azione, mentre la sindaca non è sembrata

fnora proporne uno nuovo. Un piccolo esempio lo fa Marco Raz zetti, presidente dell'Aniem Piemonte,

associazione che raccoglie 80 aziende di costruzioni. A settembre era andato dall'assessore all'urbanistica

Guido Montanari per presentare un'iniziativa chiamata Toc Toc. Racconta Razzetti: «Oggi c'è un elevato

numero di persone che faticano a pagarsi un aftto ma che, con un piccolo sostegno, conservano tutte le

possibilità di tornare pienamente nel ciclo lavorativo. Penso ai padri divor ziati che ci hanno raccontato le

cronache. Abbiamo deciso di lanciare un concorso per la ristrutturazione di un edifcio in stato di degrado da

destinare a abitazioni agevolate per queste persone, facendo un piano di fattibilità che prevede il contri

buto di team multidisciplinari. Credendo nei vantaggi del partenariato pubblico-privato, chiedevamo al

Comune di contribuire con un immobile in disuso da anni, di circa 1.500 metri quadri: non per averlo

defnitivamente, sia chiaro, ma per sottoporlo come caso concreto ai proget tisti. Non abbiamo avuto

risposta e, alla fne, abbiamo deciso di procedere interamente con fondi privati». Su scala più ampia,

qualche segnale sul fatto che Appendino fatichi a darsi obbiettivi di respiro più ampio arriva anche

dall'associazione degli industriali di Torino, che per l'8 giugno ha convocato un forum per sottoporre alla

sindaca rifessioni e proposte. Il presidente Dario Gallina, imprenditore plastico, dosa le parole: «Ci

interessa poco la nostalgia del passato, vogliamo guardare avanti con proposte concrete, senza fermarci

all'ovvia constatazione che i soldi non ci sono. Perché anche un tempo chiudere i bilanci non era facile e

perché se il Comune non ha risorse, possiamo cercare di mobilitare i privati, dandoci una strategia di più

lungo periodo». Quella strategia oggi manca? Gallina taglia corto: «Vogliamo riprendere il percorso defnito

dai piani strategici». Per comprendere, però, come la coge stione di Appendino con gli altri poteri cittadini

non vada giù alla base basta leggere i messaggi su Facebook di Vittorio Bertola, il consigliere grillino che

era con lei in Comune ai tempi puri dell'opposizione, poi scaricato. «A me la strategia politica del sindaco

sembra evidente: posizionarsi in quell'area moderata di piccolo progressismo borghese, condito da omaggi

ai salotti eleganti e buone re lazioni con i poteri economici cittadini, in cui negli ultimi vent'anni è stato il Pd;

un'area che da sempre ha in mano la città e che può permettere al M5S e ai suoi eredi di rimanere in sella

per i prossimi vent'anni», ha scritto Bertola a maggio. La questione dei princìpi, in politica, non è di poco

conto. E qui le ombre si in fttiscono. Gabriele Ferraris, un giornalista che tiene un seguitissimo blog

culturale, ha raccontato passo dopo passo le contorsioni della giunta sul tema della trasparenza sulle

nomine. Arrivati al potere per sciogliere il coagulo di interessi che accusavano il Pd di alimentare, i Cinque

Stelle avevano sventolato la bandiera dei bandi aperti e dei curriculum inviati per mail. Promesse spesso

tradite, con nomine fatte quando il curriculum del nominato era arrivato fuori tempo massi mo, bandi mai

lanciati e altri disattesi. In uno dei casi più importanti, quello per il nuovo direttore del Museo del Cinema,

una procedura pubblica aveva portato all'individuazione di un candidato - Ales sandro Bianchi - che la

giunta ha ritenuto troppo vicino al Pd. Così lo scorso gennaio, mesi dopo l'inizio della procedura,

l'assessore Francesca Leon si è presentata in consiglio per rimangiarsi il risultato, dicendo che lo statuto

del Museo andava ripensato. E senza spiegare perché, allora, la gara era stata fatta. Ma c'è di più, e qui si

arriva al bilancio del Comune e al motivo per cui l'erba non viene tagliata. Durante la campagna elettorale, il

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ANIEM - Rassegna Stampa 29/05/2017 9

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Movimento aveva compattato il voto dei commercianti cavalcando la protesta contro i supermercati che

fanno chiudere i piccoli negozi. Eppure nel primo bilancio previsionale frmato da lei, quello per il 2017, sono

previste entrate da oneri per urbanizza zione per 44 milioni di euro. «Una colata di cemento», l'ha definita

La Stampa. Una larga fetta di questi oneri è legata a centri commerciali e supermercati. L'e lenco

dettagliato ne prevede nove e due delle aree più grandi, in corso Bramante e verso il confne con

Grugliasco, vedranno nascere due enormi centri - il primo realizzato da Esselunga, il secondo da Dimar -

realizzati "in deroga", e cioè senza una variante al piano regolatore e senza la cosiddetta "Valutazione

ambientale strategica". Perché la deroga? L'Espresso lo ha chiesto al sindaco, senza ottenere risposta.

Certamente Appendino ha ereditato un bilancio non facile, come ammettono tutti, a causa dei debiti fatti in

passato per gli investimenti che hanno cambiato il volto della città. Sta procedendo a una ri organizzazione,

che non si sa quali risultati darà. Ma alcune scelte sorprendono. Una parte consistente di questi oneri di

urbanizzazione, 36,6 milioni, nel bilancio è previsto che copra spese correnti, di natura ordinaria: «Il fatto è

che queste entrate non sono per nulla certe. Il giorno in cui è stato votato il bilancio, il 3 maggio, ne erano

stati versati per 3,4 milioni. Fa cendo un parallelo con gli anni passati, temo che nell'intero anno non

supereremo i 20-25 milioni», dice Stefano Lo Russo, capogruppo del Pd ed ex assessore all'urbanistica. Le

voci correnti che dovranno essere fnanziate da queste entrate straordinarie sono varie, dal contratto di

servizio con l'azienda elettrica alla manutenzione ordinaria di molti edifci, impianti sportivi, scuole. Ecco il

motivo per cui nelle aree verdi di competenza delle circoscrizioni, i giardinetti più piccoli e le aiuole, l'erba

non viene tagliata. Risponde alla sua domanda iniziale Marco Novello, il presidente della Circoscrizione 5:

«I la vori sono già assegnati ma per iniziare serve la "determina di impegno di spesa". Che senza

copertura, non si può frmare». Se il bilancio 2017 appare traballante, e le periferie rischiano di scontare il

prezzo più pesante in termini di decoro e servizi, non è comunque detto che sia questo il guaio maggiore

relativo ai quattrini legati alle aree vendute. L'au tunno scorso, infatti, era emerso un caso spinoso, che ha

portato addirittura a un esposto in Procura. Appendino aveva messo nel bilancio di assestamen to del 2016

un'entrata di 19,7 milioni legata alla cessione a un nuovo compratore di un'area dove sorgeva la vecchia

fabbrica Westinghouse, senza dire che 5 milioni - in realtà - dovevano essere ri sarciti a un primo

compratore, che li aveva versati come caparra, per poi ritirarsi. Quel debito di 5 milioni, dunque, doveva

essere iscritto a bilancio, cosa che non è avvenuta e ha spinto i revisori a sollevare una riserva. Quando gli

ufci fnanziari del Comu ne fecero emergere la questione, si tentò di mettere una toppa: alla sindaca venne

recapitata una lettera da parte del creditore dei 5 milioni, la società di gestione immobiliare Ream,

controllata dalle fondazioni bancarie. La frmava il presidente di Ream, Giovanni Quaglia, che dava

rassicurazioni sulla possibilità di una dilazione del versamento al 2017. Anche nel bilancio previsionale di

quest'anno, però, di questo vecchio de bito non c'è traccia: una successiva lettera di Quaglia, recapitata il

21 aprile, rassicurava la sindaca di aver accettato un ulteriore rinvio del pagamento, al 2018. Due

osservazioni: la dirigente del Comune che sollevò la questione dei debiti fuori bilancio è stata destinata ad

altro ufficio. Perché? Anche a questa domanda dell'Espresso non è stato rispo sto. Intanto il primo febbraio

scorso Quaglia è stato nominato all'unanimità presidente della Fondazione Crt, da un consiglio in cui

siedono anche i rappresentanti del Comune. Quaglia è un politico di lungo corso, già consigliere di

amministrazione di Unicredit e di una società del gruppo autostradale della famiglia Gavio, vicino al regista

storico della Fon dazione, Fabrizio Palenzona. Chi segue i fatti da vicino, sostiene che la nomina non sia

stata pilotata da Appendino. La sindaca, però, su un incarico così "old style", non ha avuto nulla da dire.

Molto politico. Poco Cinque Stelle. Foto: M. D'Ottavio - Buenavista

Foto: Appendino è il sindaco più amato d'Italia. Ma a Torino spuntano anche i primi guai Chiara Appendino

Foto: Ha vinto nelle periferie, dove ora si abbattono i tagli. E oggi ha un buon rapporto coi poteri forti

28/05/2017Pag. 34-38 N.22 - 28 maggio 2017

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ANIEM - Rassegna Stampa 29/05/2017 10

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SCENARIO EDILIZIA

13 articoli

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Costruttori, scatta la corsa al potere nella crisi più nera All'Acer solo 120 iscritti. Erano 778 vent'anni fa Lilli Garrone L'Acer - l'associazione dei costruttori romani - si appresta ad eleggere un nuovo presidente il 13 e il 14

giugno, dopo quattro anni sotto la guida di Edoardo Bianchi. Entro il 30 maggio la presentazione dei

candidati, ma nomi e scenari già si scorgono. A contendersi la poltrona dell'associazione un tempo

potentissima e crocevia dei rapporti fra politica e affari nella capitale saranno essenzialmente in due. Nicolò

Rebecchini, che porta il cognome di una famiglia che a Roma ha costruito di tutto dal dopoguerra in poi e

che ha anche scalato il Campidoglio con un sindaco, quel Salvatore (il nonno) primo cittadino per quasi

dieci anni, dal 1947 al 1956, sarebbe portato soprattutto dalle «grandi imprese»; Giancarlo Goretti,

vicepresidente del centro studi, titolare dell'impresa «Go.Su» con l'ex presidente Silvano Susi, è invece

molto legato ad architetti e ingegneri con i quali vorrebbe fare sistema.

M a secondo le indiscrezioni che circolano da tempo altri due nomi potrebbero entrare in lizza. Il primo è

quello di Enrico Maria Antonelli, che punta a una discontinuità con l'attuale gestione, titolare della società

immobiliare Prim spa. Il secondo, quello di Paolo Buzzetti, che non solo è stato già presidente dell'Acer,

anche dell'Ance, l'associazione nazionale dei costruttori, e che in questo mondo ha una grande esperienza.

I costruttori romani vanno all'elezione della nuova guida dopo un «annus horribilis» come il 2016 e dopo

che l'associazione stessa rivela il segno di una profonda crisi. Il calo degli associati rispetto gli anni passati

è indubbio: alla fine della presidenza di Marcello Santoboni nel 1988 le aziende iscritte erano 778 e nel

1994, quando terminò quella di Erasmo Cinque si era passati a 440. Oggi gli imprenditori iscritti sarebbero

120 (150 per gli ottimisti): si vedrà al momento delle elezioni perché per votare bisogna aver versato le

quote. Al momento le imprese in regola con i pagamenti sarebbero soltanto una settantina.

Un'associazione che fra sede (adesso in buona parte anche affittata: ai piano superiori da un gruppo di

avvocati siciliani «Gemma & Partners», studio legale e tributario) dipendenti ed attività costa all'incirca 3

milioni di euro l'anno, mentre dalle quote dei soci di euro se ne ricaverebbero 300 mila: un decimo del

fabbisogno necessario al mantenimento della macchina.

Così il bilancio è in pareggio grazie ai 2 milioni e 700 mila euro che arriverebbero dalle 3500 aziende della

Cassa Edile (alcune molto piccole) per le quali l'Acer svolge numerosi servizi di consulenza, fiscali e

tributari. Oltre allo studio «Genna & Partners», il bel palazzo di via di Villa Patrizi ospita al piano terra la

sede dell' Isveur, mentre si pensa a trasferire lì anche la sede dell'Ance regionale.

Nel tracciare il bilancio dei suoi quattro anni Edoardo Bianchi ammette che «in termini di risultati forse sono

stati insufficienti ma come impegno personale non potevo dare di più». La verità è che l'edilizia, un tempo lo

scrigno del potere economico della capitale, non è più il core business di Roma.

«I numeri sono figli della realtà - spiega Bianchi - . Negli anni sessanta l'edilizia era centrale a Roma e in

Italia, oggi è rilevante, ma non più centrale. Ma la crisi oggi è determinata da una situazione di stallo

amministrativo. Roma da quanto tempo non viene amministrata? Se ne vanno Sky, Mediaset, adesso

anche la Esso e a piccoli passi l'Eni: questa è una città che non dà risposte agli imprenditori. Non soltanto

ai costruttori, non le dà a nessuno». Niente opere pubbliche, niente nuovi edifici o almeno restauri. «La

nuova edilizia è rigenerazione e riqualificazione, non consumo del suolo - aggiunge Bianchi - Ma per queste

attività serve che la mano pubblica stabilisca regole chiare. È in discussione alla Regione una legge: un'

occasione da non perdere, una prima risposta da dare alla città».

C'è poi il problema degli investimenti del Campidoglio: inesistenti. Soluzioni? «È necessario che quanto

prima il Comune finisca le procedure di condono a di affrancazione- spiega Edoardo Bianchi - . Ecco due

esempi pratici: dal condono arriverebbero un miliardo di euro; dall'affrancazione (immobili acquistati a

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 12

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prezzi agevolati, che una volta "affrancati" vanno sul mercato libero) altri 60 milioni di euro. Con queste cifre

si potrebbero fare investimenti per opere e manutenzioni. Ma al Campidoglio tutto è fermo».

«È un momento durissimo - conclude Paolo Buzzetti - non ci soldi per gli appalti pubblici. E nel 2016, la

crisi di molte banche ha bloccato il credito all'edilizia e il nuovo codice degli appalti ha paralizzato tutto. A

Roma è più drammatico per un'amministrazione che fa fatica a partire. Adesso c'è il "sisma bonus" per i

fabbricati con più di 50 anni. Un'altra occasione da non sprecare».

Lilli Garrone

© RIPRODUZIONE RISERVATA

3 milioni di euro, il costo annuale per il funzionamento dell'Acer778 le imprese iscritte nel 1988, numero sceso poi a 440 nel 1994

120 i costruttori attualmente presenti negli elenchi, di cui però solo 70 paganti

Foto: In uscita Edoardo Bianchi in procinto di lasciare l'Acer dopo quattro anni di presidenza

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 13

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Azienda Famiglia I consigli Autonomi, due settimane in più per pagare le tasse In edicola «TuttoFisco 2017», manuale pratico per affrontare la stagione del Fisco. Tutto quello che bisognasapere per non sbagliare Confermata la scadenza del 16 giugno per Tasi e Imu. Per la dichiarazione deiredditi il nuovo termine è il 30 giugno Massimo Fracaro e Stefano Poggi Longostrevi L a stagione delle tasse è ormai nel vivo. E per aiutare i contribuenti sul fronte della dichiarazione dei

redditi, e anche delle imposte locali sugli immobili, da oggi troverete in edicola con il Corriere il volume

«TuttoFisco 2017» (8,90 euro). Una guida pratica per fare il proprio dovere, con tanti consigli utili per

risparmiare sulle tasse. Ricordiamo le principali scadenze da rispettare:

16 giugno. Versamento dell'acconto Tasi e Imu;

7 luglio. Presentazione 730 al Caf o ai professionisti abilitati;

24 luglio. Trasmissione 730 precompilato (o direttamente, o con delega a un Caf o a un intermediario);

30 giugno. Versamento delle imposte risultanti dalla dichiarazione dei redditi, il vecchio termine del 16

giugno è stato spostato. Oppure si può versare entro il 31 luglio con la maggiorazione dello 0,40%.

Ecco ora la risposta ad alcuni quesiti, che possono trovare facile risposta leggendo «TuttoFisco 2017» che

contiene, tra l'altro, la mappa completa delle spese taglia tasse.

Ristrutturazioni

Le spese per ristrutturazione edilizia possono essere detratte anche dai conviventi di fatto?

Le spese di ristrutturazione edilizia possono essere detratte anche dal familiare convivente purché

sostenga le spese e siano a lui intestati fatture e bonifici. A seguito dalla legge 76/2016 sulle unioni civili e

convivenze l'Agenzia delle Entrate ha precisato che la detrazione è estesa anche al componente

dell'unione civile, e al convivente di fatto, a partire dalle spese sostenute dal 1° gennaio 2016. Ai fini

dell'accertamento della «stabile convivenza» si utilizza il concetto di famiglia anagrafica previsto dal

regolamento anagrafico.

Residenti all'estero

Mi sono trasferito in Germania per lavoro lo scorso anno e vi risiedo stabilmente. Nel 2016 ho vissuto in

Germania per più di 183 giorni, ma non mi sono ancora iscritto all'Aire. Devo fare la dichiarazione dei redditi

in Italia?

Il fatto di aver vissuto all'estero per più di 183 giorni è una condizione necessaria, ma non sufficiente per

escludere dalla compilazione della dichiarazione dei redditi in Italia. Ulteriore condizione richiesta è la

cancellazione dall'anagrafe dei residenti e l'iscrizione all'anagrafe degli italiani residenti all'estero (Aire). Di

conseguenza per il 2016 e fintanto che non perfezionerà l'iscrizione all'Aire permane l'obbligo di presentare

la dichiarazione dei redditi in Italia dichiarando anche i redditi percepiti in Germania. Se in Germania ha

pagato delle imposte sul reddito, può fruire in Italia del credito per imposte estere, nei limiti dell'imposta

italiana gravante su tale reddito.

Ambulanza

Le spese per il trasporto in ambulanza sono detraibili?

Le spese per il trasporto in ambulanza non sono detraibili, salvo quelle per il trasporto di disabili che

costituiscono spese di accompagnamento. Sono detraibili al 19% anche le prestazioni di assistenza medica

effettuate durante il viaggio (Circolare 7/E del 2017).

Assistenza personale

Sono tutore di mia madre, invalida civile, posso dedurre le spese relative ad assistenza personale?

Le spese di assistenza specifica sono interamente deducibili dal reddito complessivo se sostenute da

disabili nei casi di grave e permanente invalidità o menomazione e sono deducibili anche se sostenute dai

familiari dei disabili e anche se non fiscalmente a carico. La circolare dell'Agenzia delle Entrate 7/E del

29/05/2017Pag. 39 N.20 - 29 maggio 2017

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 14

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2017 precisa che per i soggetti riconosciuti invalidi civili occorre che venga accertata la grave e permanente

invalidità o menomazione. Se non espressamente indicata nella certificazione, tale condizione è comunque

verificata nelle ipotesi in cui sia attestata un'invalidità totale nonché in tutte le ipotesi in cui sia attribuita

l'indennità di accompagnamento (Risoluzione 23.09.2016, n. 79). Nel caso non venga accertata la grave e

permanente invalidità è possibile detrarre al 19%, nel limite massimo di spesa di 2.100 euro, le spese di

assistenza specifica nei casi di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, se il

reddito complessivo non supera i 40.000 euro.

Mutui

Oltre agli interessi passivi, quali spese è possibile detrarre relativamente al mutuo stipulato per l'acquisto

dell'abitazione principale?

Sono detraibili al 19% nel limite di spesa di 4.000 euro gli interessi passivi e oneri accessori. Vi rientrano:

- la commissione pagata alla banca per l'attività di intermediazione;

- gli oneri fiscali (ad esempio l'imposta per l'iscrizione o cancellazione di ipoteca e l'imposta sostitutiva sul

capitale prestato);

- la «provvigione» per scarto rateizzato, le spese di istruttoria e le spese di perizia tecnica;

- le spese notarili per la stipula del contratto di mutuo, iscrizione e cancellazione dell'ipoteca.

- le somme corrisposte per variazioni del cambio di valuta.

Non sono, invece, detraibili, le spese non legate al contratto di mutuo come l'assicurazione dell'immobile,

l'onorario del notaio per il rogito di acquisto e le imposte di registro, Iva e le imposte ipotecarie e catastali

connesse al trasferimento dell'immobile.

Foto: Tutte le scadenze da segnare in agenda e come correre ai ripari con le sanzioni ridotte

Foto: La mappa completa delle spese taglia tasse con gli ultimi chiarimenti del Fisco

Foto: Si avvicina l'acconto per Tasi e Imu. Confermato il termine del 16 giugno: chi paga e chi no

Torna «Filo diretto»

Nuovo appuntamento con «Filo diretto», lo sportello di consulenza telefonica organizzato in collaborazione

con l'Associazione italiana dottori commercialisti.

Gli esperti risponderanno alle domande dei lettori domani, martedì 30 maggio,

dalle ore 18 alle 20.

Il numero è: 02/29.00.07.28

Foto: La cedolare secca sugli affitti è più conveniente. Le novità per gli affitti brevi

29/05/2017Pag. 39 N.20 - 29 maggio 2017

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 15

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Percorsi Luoghi futuri dal nostro inviato a Fermo CARLO VULPIO A pensarci bene, che cosa c'è di meglio di un complesso di una ventina di capannoni ordinatamente

disposti su un'area di dieci ettari circondata da un alto e solido muro di recinzione, servita dalla strada e da

una ferrovia che vi entra dentro, sulla riva di un fiume e a dieci minuti dal mare, per farne qualunque cosa?

Qualcosa di buono e utile a tutti, certamente. Ma anche qualcosa di malvagio, che lasci un segno

incancellabile, poiché il Male sa organizzarsi come il Bene non saprebbe fare. E sa persino sfruttarne le

qualità, i risultati, le intenzioni.

Così può accadere, com'è accaduto a Fermo - città che definire industriosa come il resto delle Marche è

quasi un'ovvietà -, che quei capannoni così ordinati, costruiti negli anni Trenta del secolo scorso e destinati

a linificio, siano diventati un campo di concentramento in cui stipare i prigionieri di guerra, per lo più inglesi

e americani catturati dai tedeschi in Africa - tra la Libia e l'Egitto -, messi sulle navi e spediti qui. A far

compagnia ai loro commilitoni, quelli che il Comando tedesco riusciva ad acciuffare (pochi, la gente qui non

«collaborava») con l'incentivo di un compenso di 1.800 lire per ogni militare alleato denunciato dalla

popolazione locale o con il ricatto di un prigioniero italiano liberato dai tedeschi in cambio della delazione di

ogni angloamericano e del suo nascondiglio.

Il linificio ebbe vita breve, Mussolini non fece in tempo a inaugurarlo, nel 1938, con relativa installazione

(non rimossa, serve a ricordare meglio) di un'aquila romana affiancata da due fasci littori, che già era

scoppiata la guerra. E così i vagoni che sfilavano su quei binari, dal 1942 al 1944 non trasportarono più

balle di lino ma prigionieri. In entrata, prevalentemente dall'Africa settentrionale. E in uscita, verso i campi di

concentramento nazisti in Polonia e in Germania. La catena funzionava e nel campo, denominato PG70, si

arrivò a «sistemare» 7.500 prigionieri. Ciò che non funzionava invece era l'invito alla delazione. Come nel

caso di Ken de Souza, ufficiale dell'aviazione britannica catturato a Tobruk. Ken e un suo collega riuscirono

a scappare e vennero nascosti e protetti dai coniugi Gino e Stella Brugnoni, contadini, i quali avevano

anche loro un figlio militare, Giovanni, che era prigioniero in Scozia e che dopo la guerra sarebbe tornato a

casa, come de Souza. Questa storia, raccontata dallo stesso de Souza in un libro tradotto in italiano dalla

figlia di un partigiano, Annalise Nebbia, con il titolo Fuga dalle Marche (edizioni Affinità elettive), è ancora

oggi molto viva a Fermo, non solo per ciò che significa, ma anche perché ogni anno decine di parenti di

quei prigionieri scomparsi o ritrovati vengono qui a deporre un mazzo di fiori e a ricordare.

Come loro, anche altra gente viene nella ex conceria con le stesse intenzioni. Sono i familiari dei profughi

che il Maresciallo Tito scacciò dall'Istria e dalla Dalmazia - quegli sfollati senza patria che in Italia venivano

considerati «slavi comunisti» e nella nascente Jugoslavia titina «italiani fascisti» -, in tutto 2 mila persone. E

poi ci sono anche i parenti dei 1.800 ebrei, anch'essi profughi, sfollati, respinti da un luogo all'altro, che

come i croati arrivarono nell'ex linificio dal 1945 al 1949, grazie al lavoro dell'Organizzazione internazionale

per i rifugiati (poi assorbita dall'attuale Unhcr, l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati).

C'era già stata troppa storia triste, su questi dieci ettari così ben collocati tra il fiume Tenna, il monte Urano

e il mare Adriatico. Era il momento di cambiare, e si cambiò. Quel villaggio miserabile che era stato il PG70,

nel 1956 diventa la conceria Sacomar (Santori concerie marchigiane, dal cognome dei quattro fratelli

fondatori), uno dei «poli» conciari italiani più importanti, insieme con Santa Croce sull'Arno, Solofra in

Campania e Arzignano in Veneto. Già dieci anni dopo la nascita della Sacomar, Evoluzione del Lavoro ,

«rassegna di documentazione sul progresso e sviluppo del lavoro italiano», scrive: «La produzione della

conceria cammina accanto a quella straniera e dovrà sempre più imporsi in campo internazionale». Come

poi avverrà, almeno nei quarant'anni successivi.

28/05/2017Pag. 42 N.287 - 28 maggio 2017 Corriere della Sera - La Lettura

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Nel 2003 però l'azienda deve chiudere. La concorrenza dei Paesi emergenti, primo fra tutti la Cina, nei

quali il lavoro e la materia prima costano molto meno, è insostenibile. Centocinquanta persone restano

senza lavoro e proprio i cinesi portano via tutto. «Con un milione di euro - dice Fiorenzo Fortuna, che nella

Sacomar ha lavorato dall'età di 15 anni fino alla pensione - hanno comprato le macchine, le presse, le

smerigliatrici e 60 bottali per la concia. Un affare. Basti pensare che un solo bottale, nuovo, costa 300 mila

euro».

Per la ex conceria comincia il declino. L'usura del tempo e l'abbandono la trasformano in un luogo muto,

assente, afasico, e tuttavia non le tolgono fascino e non le impediscono di continuare a trasmettere le sue

grandi potenzialità di riuso, come se volesse dire a tutti di non lasciarla morire perché può rinascere.

L'Adriatica Spa, un gruppo di una decina di società del settore edile, intuisce la opportunità e nel 2006

acquista la ex conceria per 7,4 milioni di euro, spendendone altri 3,5 - come racconta a «la Lettura» il suo

presidente, Paolo Ulissi - per bonifica e manutenzione, e sperando nei fondi, che però poi non arrivano, di

un decreto del 2008 per la riconversione industriale. In più, esplode la crisi economica, che spezza le

gambe a ogni progetto di risanamento e ciò che è peggio alimenta una spirale di sfiducia che non si è

ancora fermata. Fino al 2015 è il coma, uno stato di pre-morte e di rassegnazione generale. Ma proprio in

quel momento comincia un'altra storia.

Casa Comune, una onlus di una trentina di volontari (insegnanti, architetti, ingegneri, piccoli imprenditori,

pensionati), lancia l'idea del progetto «Oltre Conceria», che, con la partecipazione di soggetti pubblici e

privati, tra i quali la stessa Adriatica Spa, il Comune di Fermo, l'Università delle Marche, Confartigianato e

Cna, scuole pubbliche e associazioni culturali, si prefigge l'obiettivo di recuperare l'area e le strutture della

ex Sacomar e di farla rivivere attraverso l'insediamento di nuove attività produttive, ricreative, culturali, che

creino lavoro e vengano aiutate a farlo con agevolazioni fiscali e creditizie, sostegno nella fase di avvio

delle attività e affitto gratuito dei capannoni per un anno.

Sono stati presentati venti progetti e in base al regolamento sarebbero dovuti partire subito i primi cinque

classificati: un'azienda di formazione tecnico-pratica e di costruzione di case in legno, una di recupero di

materiali di scarto industriale lavorati da persone svantaggiate, un canapificio, una fabbrica di pannelli

termici per l'edilizia, un forno-ristorante-pub pronto a trasferirsi dal litorale sulla collina. Di fatto però ne è

partito soltanto uno perché nel frattempo si è fatto sentire anche il terremoto, con una serie di scosse quasi

a cadenza di calendario, come a voler rallentare e scoraggiare ogni iniziativa. E infatti, quasi la metà dei

partecipanti al bando ha rinunciato e qualcuno è emigrato all'estero. Non hanno mollato invece Fabrizio

Torresi, Valentina Recchia, Giancarlo Valeriani, Enzo Gullà, Marilena Imbrescia e tutti gli altri che con

compiti diversi si sono impegnati in questo cammino di «piccoli passi per un grande obiettivo». E non molla

nemmeno Paolo Ulissi, che dopo il sisma sostiene con ancora maggiore convinzione l'idea di portare nella

ex conceria anche una sede distaccata della prestigiosa Scuola edile di Ascoli Piceno. «Ma non possiamo

fare tutto da soli, abbiamo bisogno - dice Ulissi - che anche lo Stato faccia la sua parte».

I cancelli della ex conceria intanto non sono più chiusi. L'impresa Ligneo, la prima classificata del bando

«Oltre Conceria», ha rimesso a nuovo due capannoni e i due soci - due ex compagni di scuola, l'ingegnere

Paride Abbruzzetti e il geometra-violinista Stefano Corsi (dieci anni di Conservatorio e due bei cd il cui

ricavato è destinato alle missioni francescane in Etiopia) - potrebbero presto diventare l'esempio di una

delocalizzazione al contrario, se riusciranno a costruire anche a Fermo le case di legno oggi assemblate a

Banja Luka, in Bosnia.

Ma la ex Sacomar ha già dimostrato la sua gratitudine in anticipo. Rendendosi utile come base logistica

per i soccorsi dopo il sisma del 28 aprile 2016 che ha colpito Amatrice, Arquata del Tronto e altri comuni di

Marche, Lazio, Umbria. È qui infatti che sono stati immagazzinati gli aiuti e da qui sono partiti i volontari

delle Bsa, le Brigate di solidarietà attiva, verso i paesi terremotati, come ci racconta il «brigatista» Enrico

Martini, pensionato, ex dirigente commerciale di una multinazionale svedese. Invece il capannone che

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fungeva da chiesa del campo profughi, con una parete affrescata da una «Madonna croata» e denominato

Capannone Zero, non produrrà nulla. Diventerà un museo della memoria. Ma in un villaggio vivo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

i La storia

La ex conceria Sacomar di Fermo, fondata dai fratelli Santori, è stata attiva dal 1956 al 2003. Occupa

un'area di 103 mila metri quadrati, dei quali 20 mila coperti (19 edifici). Nato come linificio (fu inaugurato da

Mussolini nel 1938), il complesso viene destinato dai tedeschi, dal 1942 al 1944, a campo di prigionia con

la sigla PG70 e arriva a contenere 7.314 prigionieri di guerra, per la maggior parte inglesi e americani

catturati in Africa. Successivamente e fino al 1949, l'Organizzazione internazionale per i rifugiati lo utilizzerà

come campo profughi, nel quale verranno accolti duemila croati (gli sfollati di Istria e Dalmazia cacciati da

Tito, ma anche molti ustascia nazifascisti e i loro nemici cetnici,

i nazionalisti serbi), 1.800 ebrei e alcune centinaia di altri profughi di 24 diverse nazionalità. Nel 2006, la

ormai ex conceria viene acquistata per 7,4 milioni di euro dalla Adriatica Spa, società che ne è tutt'ora

proprietaria. L'area

e le strutture vengono bonificate, ma il recupero non parte per la mancanza dei fondi previsti da un decreto

del 2008 sulla riconversione industriale. Nel 2015, la onlus Casa Comune lancia il progetto «Oltre

Conceria» e coinvolge la proprietà, l'Università delle Marche, il Comune di Fermo, imprese e associazioni.

L'obiettivo è favorire l'insediamento nella ex Sacomar di attività produttive, ricreative e culturali, destinando

uno dei padiglioni, chiamato Capannone Zero, a museo della memoria

Le immagini

In queste pagine

alcuni scorci dell'ex conceria e, in alto, uno scatto aereo. Qui a sinistra: una parete

del Capannone Zero

che è stata affrescata

con una «Madonna croata»

(servizio fotografico

di Lucia Casamassima )

Il progettoFa tappa a Fermo, nelle Marche, la terza puntata di un nuovo viaggio che «la Lettura» sta compiendo nel

patrimonio italiano, iniziato dall'ex ospedale psichiatrico di Rovigo (#277 del 19 marzo) e proseguito nell'ex

centrale termoidroelettrica di Bologna (#280 del 9 aprile). Non si tratta solo di luoghi abbandonati. In realtà

per tutti esiste un progetto di recupero: luoghi che appartengono al passato dell'Italia e aspettano di

appartenere anche al suo futuro.

Foto: Una ventina di capannoni, dieci ettari: in meno di un secolo sono stati linificio, campo di

concentramento, campo profughi, polo per la lavorazione delle pelli, archeologia industriale, speranza per il

settore edile, base per i soccorsi dopo il sisma del 2016. E, oggi, spazio per proporre attività produttive e

ricreative. A partire dalla costruzione di casette di legno

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EDILIZIA E AMBIENTE Urbanistica. Resta il vincolo dei dieci metri per le singole nuove costruzioni Distanze legali tra edifici derogabili solo per i piani La Consulta restringe ancora l'autonomia delle Regioni Guido Inzaghi Simone Pisani PAGINA A CURA DI pLe distanze legali tra edifici sono ancora inderogabili. Almeno quando il titolo

abilitativoè riferitoa edifici singoli. Dopo l'ultima sentenza della Corte costituzionale (la n. 41 del 24 febbraio

2017) alle Regioni restano pochi margini di autonomia in questo senso, nonostante il dettato letterale del

decreto del Fare (Dl 69/2013) sembrasse aver ampliato i loro poteri. La Consulta ha dichiarato l'illegittimità

costituzionale della legge del Veneto 4/2015 nella parte in cui consentiva che lo strumento urbanistico

generale derogasse ai limiti di distanza tra edifici di cui al Dm1444/1968 anche nell'ambito di interventi

«disciplinati puntualmente». La pronuncia è in linea, appunto, con una serie di precedenti sorti in relazione

all'attuazione da parte delle Regioni delle previsioni di cui all'articolo 2bis del Tu edilizia, introdotto con il Dl

69/2013. Il legislatore, con questo de­ creto sembrava aver introdotto una significativa innovazione al regime

delle distanze in edilizia. Attraverso l'inserimento dell'articolo 2­bis è infatti stato previsto che, ferma la

competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà, le Regioni e le

Province autonome avrebbero potuto prevedere, con proprie leggi e regolamenti, «disposizioni derogatorie

al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444». In attuazione di questa norma, alcune

Regioni hanno emanato norme di portata ampia che, in concreto, consentivano deroghe alle regole in

materia di distanze, sia nell'ambito di interventi assoggettatia pianificazione attuativa, sia nel caso di

interventi soggetti ad attuazione diretta, ossia al solo conseguimento del titolo edilizio. Ma il Governo ha

impugnato dinanzi alla Consulta molte di queste norme regionali, contestando la violazione della

competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e rilevando come le Regioni avessero

illegittimamente esteso al caso di interventi su singoli edifici, non oggetto di una più ampia trasformazione

urbanistica, la possibilità di derogare alle distanze. I vincoli della Consulta A fronte di queste contestazioni,

la Corte costituzionale, con la sentenza 41/2017, in linea con i principi già espressi con precedenti

pronunce (178/2016; 231/2016), ha ritenuto che anche la legge veneta 4/2015 fosse costituzionalmente

illegittima nella parte in cui consentiva che i Comuni, attraverso il proprio strumento urbanistico,

introducessero deroghe alle disciplina statale in materia di distanze anche in caso di interventi puntualie

diretti, non inclusi in un piano di attuazione riferito ad un ampio contesto territoriale. La Corte ha sottolineato

che, poiché la disciplina delle distanze attiene in via primaria ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi, non si

può dubitare che la stessa rientri nella materia dell'ordinamento civile, di competenza esclusiva dello Stato.

Gli spazi di deroga residui Nondimeno, la Corte ha rilevato che, quandoi fabbricati insistono su un territorio

ampio con specifiche caratteristiche, la disciplina che li riguarda - e in particolare quella dei loro rapporti nel

territorio stesso - esorbita dai limiti dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici, la cui cura è

affidata anche alle Regioni perché attratta all'ambito di competenza concorrente del governo del territorio.

Alle Regioni è pertanto consentito fissare deroghe alle distanze stabilite nelle normative statali, solo a

condizione che la deroga sia giustificata dall'esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del

territorio e, dunque, sempre che la stessa sia riferita ad una pluralità di fabbricati oggetto di una unitaria

previsione planovolumetrica, non invece in caso di interventi su un singolo edificio. Ebbene, alla luce di tale

lettura, la portata innovativa dell'articolo 2­bis in materia di distanze viene sensibilmente "svuotata", in

quanto la derogabilità del Dm 1444/1968 torna ad essere, o quantomeno è molto simile a, quella già in

origine prevista dal decreto stesso: l'ultimo periodo dell'articolo 9 del Dm 1444/1968 difatti stabilisce che

«sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che

formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche».

Se l'originario intento del legislatore era quello di consentire deroghe alle distanze anche in caso di

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interventi diretti su singoli edifici, subordinati al solo titolo abilitativo edilizio, l'obiettivo per ora è stato quindi

mancato. Tenendo conto delle indicazioni della Consulta, il raggiungimento richiederebbe una norma

nazionale e che, per garantire equilibrio tra gli interessi in gioco, indichi anche le condizioni che rendono

ammissibile la deroga.

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La manovra. Oggi il via libera in commissione Si allenta la stretta sull'Ace In vista il «no» alla proroga perl'iperammortamento Ancora tensione sui voucher, slitta il voto Marco Mobili Marco Rogari Parziale restyling del meccanismo delle compensazioni fiscali: è una delle modifiche alla manovra

approvate in commissione. Con l'emendamento sull'allentamento della stretta sull'Ace pronto a ottenere il

via libera, dopo tensioni politiche su alcuni nodi: su tuttii voucher. Niente proroga per l'iper ammortamento.

pagina 2 ROMA Un parziale restyling del meccanismo delle compensazioni fiscali. Un irrobustimento di 175

milioni della dote 2017 per le Province. La proroga del termine per il rendiconto dei Comuni e nuovi margini

per il turnover nelle Regioni "virtuose". Sono queste le modifiche alla manovra approvate dalla

commissione Bilancio della Camera. Con l'emendamento del Governo sull'allentamento della stretta

sull'Ace in rampa di lancioe pronto per ottenere il via libera nella tarda serata,a conclusione di una lunga

giornata caratterizzata dalle tensioni politiche su due nodi in sospeso da giorni: il cosiddetto correttivo

Federconsorzi e le misure alternative ai voucher. Il tutto mentre si azzeravano, o quasi, le chance di un

disco verde ai ritocchi all'iperammortamento: gli emendamenti che puntavano alla proroga da giugno a di­

cembre 2018 del termine per la consegna dei beni non hanno ottenuto l'ok del Mef per problemi di

copertura e il relatore, Mauro Guerra (Pd), ha così proposto l'invito al ritiro. Sul caso "Federconsorzi", dopo

un intenso pressing delle opposizioni, il Governo ha alla fine deciso di rinunciare al correttivo sui consorzi

agrari. Sui voucher fino a sera si è prolungata l'attesa per una riformulazione del relatore di un

emendamento Pd, più volte rimandata a causa della linea rigida dei "bersaniani" che hanno continuato a

minacciare di non votare la manovra nel caso in cui fossero passate misure per le imprese. Il votoè slittato

a oggi. E a ribadire il suo no è stata anche la Cgil, con Susanna Camusso che ha sostato nel pomeriggio

simbolicamente davanti all'ingresso della Commissione per seguire i lavori. Il "dopo voucher" per le

imprese, sulla base della riformulazione del relatore depositataa tarda notte, si conferma un vero e proprio

contratto di lavoro («contratto di prestazione occasionale»), ma con una serie crescente di paletti. La nuova

procedura telematica potrà essere utilizzata solo da aziende piccolissime finoa5 dipendenti, ed entro un

tetto unico di 5mila euro a singolo datore. Ogni im­ presa poi potrà retribuire ciascun addetto "occasionale"

fino a un massimo 2.500 euro. La misura minima oraria del compenso è pari a 9 euro. Resta la soglia

d'ingresso: almeno 4 ore continuative nell'arco della giornata. Regole ad hoc per le aziende del settore

agricolo: di norma sono escluse dal nuovo contratto di prestazione occasionale, salvo, però, che per attività

rese da studenti, pensionati, disoccupati. Se si violano i tetti scatta la conversione a tempo indeterminato.

Per le famiglie, confermato il libretto elettronico. Si potranno pagare piccoli lavori domestici, assistenza

domiciliare, lezioni private. E, novità dell'ultima ora, attraverso il libretto potrà essere erogato il contributo

per l'acquisto di servizi di baby sitting. Ciascun libretto famiglia contiene titoli di pagamento con valore

nominale di 10 euro, utilizzabili per prestazioni di durata non superiorea un'ora. Il ritocco dovrebbe essere

votato questa mattina. Nella notte sono arrivati altri emendamenti del relatore (in tutto 10), tra cui quello per

superare la sentenza del Tar che ha annullato la nomina di5 direttori stranieri dei musei. Atteso sempre

nella notte l'ok all'eliminazione delle mini­monete da 1­2 centesimi (ma non come valore legale) così come

quello, considerato certo, all'emendamento su cui il Governo fa leva per cambiare rotta e allentare la stretta

sull'Aiuto alla crescita economica (Ace). E lo fa abbandonando la riduzionea cinque anni del periodo di

riferimento rilevante ai fini della determinazione della base su cui determinare l'aiuto alla capitalizzazione

delle imprese. Di qui il via libera del Governo, con piena soddisfazione del viceministro Enrico Morando, al

correttivo di Sergio Boccadutri (Pd) che rimodula il coefficiente di remunerazione del capitale proprioa

partire dall'ottavo periodo d'imposta fissandolo all'1,5% mentre per il 2017 la percentuale sarà dell'1,6 per

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 21

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cento. Approvate nel pomeriggio dalla Commissione Bilancio, che dovrebbe chiudere non prima di lunedì

con il suo "sì" l'esame del maxi­decreto, alcune modifiche al capitolo delle compensazioni fiscali. Con l'ok a

un emendamento del Pd viene precisato che l'obbligo del visto di conformità scatta pure per i crediti

infrannuali Iva per importi superioria 5mila euro annuie riguarda anche l'istanza dalla quale emerge il

credito. Sono poi introdotte ulteriori limitazioni al meccanismo di compensazione con i crediti della Pa. Allo

stesso tempo, però, si accelera il dispositivo per utilizzare il credito in compensazione rispetto alla data di

presentazione dell'istanza o della dichiarazione: non occorrerà più attendere il giorno 16 del mese

successivo ma basteranno 10 giorni. Ulteriore novità lo scarto automatico del modello F24 nel caso in cui

vengano superati i tetti di compensazione. Sale poi di 175 milioni la dote per le Province nel 2017. Con l'ok

a una serie di ritocchi riformulati dal relatore le risorse salgonoa 440 milioni. In particolare per quest'anno

arrivano 70 milioni in più per coprire le funzioni fondamentali, altri 70 per la manutenzione delle strade, 15

milioni all'edilizia scolastica e 20 milioni aggiuntivi sotto forma di cancellazione delle sanzioni per le

province in dissesto dal 2015 e per quelle che non hanno rispettato il pareggio di bilancio nel 2016. Disco

verde anche alla proroga del termine per l'approvazione del rendiconto dei Comuni. Al Prefetto vengono

concessi 50 giorni, anziché i 20 giorni attuali, per la diffida all'approvazione. Slitta poi al 31 luglio il termine

per l'approvazione dei documenti di bilancio allegati. Con il via liberaa un ritocco di Rocco Palese (Gruppo

Misto ­Cor) sale dal 25 al 75% il tetto per nuove assunzioni nelle regioni che hanno un rapporto tra entratee

spesa del personale non superiore al 12 per cento.

LA PAROLA CHIAVE Ace 7 L'Ace è l'acronimo di aiuto alla crescita economica. È un'agevolazione fiscale

che premia la capitalizzazione delle imprese introdotto dal decreto salva­Italia della fine del 2011. Il bonus

consiste, in pratica, nella deduzione dal reddito imponibile per un importo corrispondente all'incremento di

capitale proprio moltiplicato per un rendimento nozionale prestabilito. Quest'ultimo rendimento è stato

oggetto di una limatura al ribasso nell'ambito della legge di Bilancio 2017. La manovrina è intervenuta

ulteriormente in senso restrittivo.ma ora la conversione potrebbe limitare la stretta.Le modifiche in arrivo

AGEVOLAZIONI FISCALI

Per l'Ace stretta meno rigida Si profila un dietrofront sulla riduzionea cinque anni del periodo di riferimento

rilevante ai fini della deteminazione della base su cui determinare l'aiuto alla capitalizzazione delle imprese.

Parere positivo anche del Governo (il viceministro all'Economia Enrico Morando ha espresso

soddisfazione) al correttivo di Sergio Boccadutri (Pd) che rimodula il coefficiente di remunerazione del

capitale proprioa partire dall'ottavo periodo d'imposta portandolo all'1,5% mentre per il 2017 sarà dell'1,6%

VOUCHER Procedure telematiche Il dopo voucher dovrebbe essere caratterizzato (il votoè slittatoa oggi)

da un veroe proprio contratto di lavoro. La nuova procedura telematica potrà essere utilizzata solo da

aziende piccolissime finoa5 dipendenti, ed entro un tetto unico di 5mila euroa singolo datore. Ogni impresa

poi potrà retribuire ciascun addetto "occasionale" finoa 2.500 euro. La misura minima oraria del compensoè

paria9 euro. Per le famiglie si profila il libretto elettronico anche per il contributo ai servizi di baby sitting

COMPENSAZIONI Scarto automatico oltrei limiti L'obbligo del visto di conformità scatterà pure peri crediti

infrannuali Iva per importi superioria 5mila euro annuie riguarda anche l'istanza dalla quale emerge il

credito. Si accelera il dispositivo per utilizzare il credito in compensazione rispetto alla data di

presentazione dell'istanzao della dichiarazione: non occorrerà più attendere il giorno 16 del mese

successivo ma basteranno 10 giorni. Ulteriore novità lo scarto automatico del modello F24 per il

superamento dei tetti di compensazione PROVINCE La dote cresce di 175 milioni In arrivo una dote

aggiuntiva di 175 milioni la dote per le Province nel 2017. Le risorse salgono complessivamente a 440

milioni. Nel dettaglio, arrivano 70 milioni in più per coprire le funzioni fondamentali, altri 70 per la

manutenzione delle strade, 15 milioni all'edilizia scolastica e 20 milioni aggiuntivi sotto forma di

cancellazione delle sanzioni per le province in dissesto dal 2015 e per quelle che non hanno rispettato il

pareggio di bilancio nel 2016 COMUNI Rendiconto prorogato Dalla commissione Bilancio della Camera

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arriva anche il via libera alla proroga del termine per l'approvazione del rendiconto dei Comuni. Al Prefetto

vengono concessi 50 giorni, anziché i 20 giorni attuali, per la diffida all'approvazione. Subisce poi uno

slittamento al 31 luglio il termine per l'approvazione dei documenti di bilancio allegati. Per quanto riguarda,

invece, le Regioni sale dal 25 al 75% il tetto per nuove assunzioni se il rapporto tra entrate e spesa del

personale non supera il 12%

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 23

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Inps. Verifica di regolarità per il singolo cantiere Durc circoscritto per la ricostruzione post terremoto LA PROCEDURA Le imprese dovranno aprire una posizione contributiva ad hoc, con data di iniziocoincidente con quella del cantiere Barbara Massara Tutti i lavori di riparazione, ripristino e ricostruzione degli edifici privati danneggiati dai terremoti che hanno

colpito Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria potranno essere effettuati e finanziati solo in presenza di Durc

regolare. È questa l'indicazione principale fornita dall'Inps con il messaggio 2174/2017, in si cui chiarisce

che sia le imprese affidatarie dei lavori di ricostruzione che i professionisti abilitati dovranno essere sempre

in possesso della regolarità contributiva. Questo messaggio ha la sua fonte nel Dl 189/2016, recentemente

modificato dal Dl 8/2017, che, nel disciplinare gli interventi di immediata esecuzione per favorire il rientro

nelle unità immobiliari, obbliga gli interessati ad affidare i lavori solo a imprese e professionisti che abbiano

la "generale" regolarità contributiva ai sensi dell'articolo 8 del decreto del ministero del lavoro del 30

gennaio 2015. Allo stesso modo, in base all'articolo 34 del Dl 189/2016, potranno essere conferiti incarichi

di progettazione o direzione dei lavori solo a quei professionisti abilitati iscritti nell'apposito elenco speciale

e conseguentemente titolari della regolarità contributiva. L'articolo 35, sempre del Dl 189, subordina

l'erogazione del contributo pubblico per gli interventi di riparazione ripristino e ricostruzione, all'integrale

osservanza dei trattamenti econo­ mici e normativi previsti dai Ccnl, al possesso di un Durc generale ex Dm

30 gennaio 2015, ma anche a una verifica puntuale della regolarità contributiva con riferimento ai lavori di

ricostruzione eseguiti e al periodo di esecuzione degli stessi. In pratica, per consentire l'erogazione dei

finanziamenti agevolati, gli uffici speciali della ricostruzione dovranno richiedere il Durc per singolo cantiere.

Al fine di poter effettuare questa verifica circoscritta (che richiederà l'implemen­ tazione della procedura

Durc), l'Inps obbliga le aziende affidatarie a richiedere l'attribuzione di un'apposita posizione contributiva

con data di inizio coincidente con quella del cantiere, che sarà contrassegnata dal codice di autorizzazione

7U. In caso di presenza di più cantieri nell'area del sisma, fermo restando l'unicità della posizione

contributiva, le imprese affidatarie dovranno procedere con l 'apertura delle relative unità

produttive/operative, secondo le istruzioni fornite con il messaggio 1444/2017, e riportare questi elementi

all'interno del flusso uniemens.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 24

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La crociata dei vigili contro gli abusi edilizi un verbale al giorno In un anno 311 denunce, la crescita è dell'11 per cento Alcuni casi clamorosi e tante piccole irregolarità MARCELLO RADIGHIERI CASE costruite senza concessione edilizia, e quindi totalmente irregolari. Parcheggi fantasma su terreni

agricoli. Magazzini e cantine in centro storico trasformati in appartamenti per studenti. Benvenuti nella

Bologna dell'abusivismo edilizio, una città nella città tirata su in barba a qualsiasi legge o regolamento. Un

fenomeno tutt'altro che estraneo al nostro territorio, a giudicare dai dati del Comune: solo l'anno scorso le

squadre della polizia municipale hanno stilato ben 311 «verbali di violazione urbanistico edilizia». In pratica

quasi uno al giorno, in aumento dell'11% rispetto a cinque anni fa. Ma sia chiaro: gli ecomostri o i casi

davvero eclatanti sono assai rari.

A PAGINA II QUALCUNO si è costruito una casa senza alcuna concessione edilizia, e quindi irregolare

dalle fondamenta fino alle tegole del tetto. Qualcun altro ha cercato di trarre vantaggio dal caos parcheggi

in zona Aeroporto, realizzando un'area di sosta a pagamento su un terreno destinato ad uso agricolo. E

altri ancora hanno ben pensato di riconvertire magazzini interrati e cantine del centro storico in "comodi"

appartamenti per studenti, con buona pace delle norme di igiene e sicurezza. Benvenuti nella Bologna

dell'abusivismo edilizio, una città nella città tirata su in barba a qualsiasi legge o regolamento. Un fenomeno

tutt'altro che estraneo al nostro territorio, a giudicare dai dati del Comune: solo l'anno scorso le squadre

della polizia municipale hanno stilato ben 311 «verbali di violazione urbanistico edilizia». In pratica quasi

uno al giorno, in aumento del 11% rispetto a cinque anni fa.

Sia chiaro: gli ecomostri o i casi eclatanti in stile via del Rosario (dove una villa è stata protagonista di una

lunga battaglia legale tra la proprietà e il Comune) sono più unici che rari. L'abusivismo sotto le Due torri è

soprattutto «micro»: metrature che non trovano riscontro sulle mappe catastali, locali registrati come uffici e

riciclati in appartamenti, terrazzini e verande che spuntano come funghi per recuperare un po' di spazio.

Fino ai tanti dehors di bar e ristoranti divenuti installazioni permanenti, e alle ville costruite sui colli

ignorando i vincoli paesaggistici. Abusi piccoli e grandi, insomma, che vengono scoperti un po' grazie agli

esposti dei vicini (174 nel 2016) e un po' con l'attività di controllo dei vigili urbani (un migliaio di sopralluoghi

all'anno). E in parte anche a seguito delle segnalazioni degli stessi proprietari di casa. Secondo i tecnici del

Comune, infatti, l'aumento degli abusi scoperti a partire dal 2015 è riconducibile da un lato agli effetti della

crisi, che ha portate le famiglie a sistemare il patrimonio, e dall'altro alla legge regionale 15 del 2013.

La quale, da parte sua permette di sanare una serie di piccoli abusi - se risalenti a prima del 1977 - con un

notevole risparmio per il portafoglio. Cosa significa in soldoni? Che un'irregolarità che prima valeva

150/200mila euro ora viene sistemata con sanzioni da 60/70mila euro.

Una novità che, a parere degli esperti, dovrebbe portare alla luce tutta una serie di piccole anomalie

realizzate in pieno boom economico e mai regolarizzate.

IL PUNTOLE DENUNCE Sono stati 311 i verbali di violazione urbanistico edilizia elevati lo scorso anno dai vigili

urbani incaricati di indagare sugli edifici abusivi fra centro storico e periferia LA CRESCITA Rispetto a

cinque anni fa, il tasso di violazioni edilizie riscontrate dalla polizia Municipale è aumentato dell'11%: in

pratica i vigili hanno elevato quasi un verbale al giorno GLI ESPOSTI Sono state ben 174 nel 2016 le

segnalazioni formali di abusi edilizi fatte dai cittadini. Ma in molte occasioni i "peccati" vengono scoperti

nelle attività di strada

28/05/2017Pag. 1 Ed. Bologna

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 25

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REPORTAGE Asia Il Nepal rinasce sempre Un popolo abituato da millenni a superare ogni tragedia. E due anni dopo il devastante terremoto, nelpiccolo Paese sotto l'Himalaya sono tornati i sorrisi Alessandro Gilioli foto di Massimo Berruti per L'Espresso Il Nepal rinasce sempre Il Nepal rinasce sempre IL NEPAL RINASCE SEMPRE. È rinato dalla mattanza

della sua famiglia reale, 16 anni fa, quando un fglio impazzito (o un complot to, chissà) inondò di sangue il

palazzo dei sovrani. È rinato dalla sua lunga guerra civile - dieci anni, 10 mila morti - e quelli che prima si

sparavano tra loro sulle montagne oggi siedono accanto in Parlamento. Non poteva che rinascere anche

dal deva stante terremoto di due anni fa - 8.000 vittime, valanghe sull'Everest, centinaia di villaggi distrutti,

un patrimonio storico artistico fnito in polvere. Sorride oggi Lawang, leccandosi le mani appiccicose di dal-

bhat, riso e lenticchie speziate, cibo povero e quotidiano di tutti i nepalesi. Poi guarda giù, verso i sassi del

fume che dalle montagne dell'Himalaya scende ancora impetuoso verso il Terai. «Quel giorno eravamo tutti

dentro casa», ricorda sua madre, Sarasoti Khadra, sulla trentina, una cicatrice che dalla spalla arriva al

polso: «Per un istante ho pensato di scappare nei campi ma poi sono rimasta immobile, impietrita; con i

bambini ci hanno tirato fuori cinque ore dopo». Lei si è rotta il braccio mentre Lawang e le sorelle - otto, sei

e due anni - sono rimasti illesi. Quasi un miracolo, quello avvenuto a Sindhupalchowk, il distretto sulla via

della Cina, il più colpito dal sisma del 2015. Ma un miracolo tipico di questo Paese che non si arrende mai,

che ricomincia sempre. Che interpreta ogni giorno, quando si sveglia, la flosofa orientale dell'imper

manenza e della rinascita. Sarasoti ci offre tè caldo con sale, latte e burro di bufalo, segno di benvenuto.

«Da un mese sono rimasta sola», spiega: «Mio marito è andato a lavorare in Arabia Saudita per ripagare i

debiti della casa nuova». Nelle settimane dopo il terremoto è stata aiutata dal Community Self Reliance

Center, una delle associazioni locali della rete di ActionAid. «Così abbiamo potuto comprare qualche capra

e mettere su un piccolo allevamento», dice: «Insie me con il granturco e il riso, ci ha permesso di andare

avanti». ActionAid ha progetti in 21 distretti del Nepal ma dopo il terremoto gli interventi si sono concentrati

nella regione che dalla val le di Kathmandu sale verso Sindhupalchowk. In meno di un anno sono stati

costruiti 7.000 rifugi e 10 mila scuole provvisorie, mentre a più di 20 mila persone sono stati garantiti cibo e

co perte, nei mesi peggiori. Oggi l'emergenza è lontana, ma le difcoltà del Nepal sono quelle di sempre: il

reddito pro capite resta sotto i cento dollari al mese, i ragazzi lasciano le campagne per fnire sfruttati nelle

fabbriche tessili e nei cantieri edili in città, nei villaggi si campa come un secolo fa e spesso si fanno decine

di chilometri a piedi per raggiungere il fume più vicino dove prendere acqua. Kathmandu, che era un

magico paeso ne di templi di pietra e di case di mattoni rossi, meta prediletta di tanti hippy, si è trasformata

negli anni in una caotica metropoli di cemento e smog, dove i tuc-tuc hanno lasciato il posto alle automobili

di fabbricazione cinese. Eppure è ancora la quarta città più economica del mondo, dove si può vi vere con

qualche centinaio di rupie al giorno, insomma poco più di niente. E anche dopo il terremoto il Nepal si porta

dietro le sue infnite contraddi zioni. Da un lato ci sono le piazze antiche ricostruite come prima e tornate allo

splendore lasciato dagli antichi newari, e c'è il grande stupa di Bodnath appena restaurato che brilla del suo

bianco sgargiante e dei suoi occhi di pinti di blu. Dall'altro lato ci sono le mille oscurità che il Paese ha nel

sangue: un terzo delle donne che si sposa prima di aver raggiunto i 18 anni, gli uomini spesso costretti in

semi-schiavitù negli Emirati o in Qatar, dove hanno costruito gli stadi che ospiteranno i mondiali di calcio. E

poi i bambini, i bellissimi bambini del Nepal, frutto del più riuscito incro cio tra le etnie indoariane e quelle di

origine tibetana, i bambini che giocano su altalene di bambù in montagna o si rincorrono nei vicoli dietro

Durbar Square a Kathmandu. I bambini che al mattino sflano nelle loro divise azzurre verso la scuola,

«anche cinque ore al giorno tra andare e tornare», come ci spiega Chhenjangiby Prado, preside a Timbu,

un villaggio aggrap pato all'Himalaya che a giorni le piogge monsoniche renderanno irraggiungibile: «Negli

28/05/2017Pag. 70 N.22 - 28 maggio 2017

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 26

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zainetti portano gli avanzi del giorno prima e in un caso su due arrivano già con lo stomaco vuoto e non

riescono a concentrarsi, sui banchi». Poi ci sono altri bambini, quelli che vengono venduti a migliaia per i

traffici più immondi, così come immondo e intoc cato è il business della compravendita di reni che ancora

cresce nel Paese, complici gli acquirenti occidentali e gli ospedali indiani in cui gli organi ven gono

espiantati. Infne, però, ci sono anche i bambini salvati, come quelli del Children Village di Bhakunde, vicino

a Pokhara, alle pendici del Machapu chare. Un luogo dall'aria tersa dove l'Annapurna si specchia nel lago

Fewa, base di partenza per tanti trekker, dove una dozzina d'anni fa un tedesco matto e generoso,

Alexander Schmidt, decise di comprare un terreno e costruirci una casetta per dare un alloggio a una

bimba sottratta alle ruote di un'automobile mentre gattonava per strada. Un salvataggio che avrebbe dovuto

concludersi rimettendo la bimba tra le braccia di una madre, un padre, qualcuno: se qualcuno ci fosse

stato, ma non c'era. Poi a poco a poco al Children Village i ragazzini si sono moltiplicati, le casette anche: e

oggi questo ostello rappresenta una case history d'eccel lenza, che ofre non solo un tetto ma anche scuola,

cure mediche e afetto agli ormai oltre cento bambini che vi abitano, sostenuti dalle donazioni di una rete

che dalla Germania è arrivata all'Italia grazie all'impegno di una ma tematica e scrittrice romana, Patrizia

Bisi, che ormai trascorre una parte del suo tempo in Nepal. Così come italiana è un'altra Ong che è

diventata un punto fermo in Nepal, la romagnola Apeiron, che a Kathmandu vive grazie al lavoro di Barbara

Mona chesi, una ragazza arrivata qui per caso una dozzina di anni fa. Anche lei poi ha deciso di restare: è

avvenuto dopo l'incontro con Pramod, un bambino di strada diventato suo fglio adottivo. La famiglia di

Barbara si è poi allargata (un marito nepalese e altre due figlie) e oggi lei contribuisce con i suoi progetti a

far uscire le donne del Paese da una sudditanza antichissima e radicata: si pensi che fno a pochi anni fa

non ave vano neppure il diritto di proprietà, tutto ciò che avevano apparteneva per legge o al padre o al

marito o ai fratelli. E italiano trasferito da molti anni in Nepal è anche Francesco Sardano, che invece il suo

aiuto allo sviluppo del Paese lo ha dato aprendo con un socio locale la più familiare guest-house di

Bhaktapur, antica città newari appena a est della capitale, patrimonio dell'U nesco e anch'essa rinata dopo i

danni del terremoto. Quello che all'inizio era poco più di un semplice albergo, il suo Nepal Planet, è

diventato negli anni una comunità mista di ragazzi nepalesi - i "planetini", li chiama Francesco - e di italiani

innamorati dell'anima di que sto Paese, dove ritornano ogni volta che possono e spesso si sentono a casa

più qui che nelle loro città. Italiana infne è anche la Cmc di Ravenna, cooperativa di muratori che grazie a

un fnanzia mento della Banca asiatica di sviluppo sta scavando un tunnel di 27 chilometri per portare

l'acqua buona della valle del Melamchi a Kathmandu, metropoli in espansione dove ogni anno con i mon

soni rischia di arrivare anche il colera. Ma il Nepal è anche, o soprattutto, un paese di migranti - terzo al

mondo per valore delle rimesse inviate dall'e stero rispetto all'economia nazionale e per evitare che il

Paese si svuoti, che diventi solo un fornitore di manodopera a basso costo per le avide economie arabe del

Golfo, il governo guidato dall'ex guerrigliero maoista Prachanda punta sullo sfruttamento della maggior

risorsa naturale (l'idroelettrico) e sul turismo. Con qualche ragione, in efet ti, essendo il Nepal paese piccolo

ma variegatissimo, che offre al sud una giungla salgariana di elefanti, rinoceronti e tigri (Chitwan, nel Terai)

e al nord le vette più alte e spettacolari dell'Himalaya, dove la notte le stelle appaiono in cielo grandi come

palle da tennis ebbre di luce. In mezzo, tra que sti paesaggi così diversi tra loro, la valle di Kathmandu,

punteggiata di antichi templi ignoti di campagna o famosi di città: come Pashupatinat, con le sue pire

silenziose, dove i nepalesi afdano le ceneri dei loro defunti alle acque incerte del Bagmati, fume sacro a

induisti e buddisti che molto più a sud andrà a ingrossare il Gange. Questo è il Nepal, con i suoi tesori.

Anche se forse quello più prezioso resta sempre il suo popolo: così me scolato e sorridente, così capace di

rinascere sempre. ha collaborato Vincenzo Giardina

Foto: Gli alunni di una scuola di Sindhupalchowk, un centinaio di chilometri a nord della capitale

Kathmandu

28/05/2017Pag. 70 N.22 - 28 maggio 2017

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 27

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Foto: Fuori dalla capitale, nei villaggi dal Terai all'Annapurna, si vive ancora come si è sempre fatto,

cibandosi di riso e lenticchie

Foto: Sopra: contadini nel Nepal del nord. A sinistra: omaggi a Shiva nella Durbar Square di Kathmandu, la

piazza dei templi

Foto: Sopra: ragazzi tornano da scuola verso il loro villaggio nella valle di Kathmandu, attraversata dal

fiume Bagmati. Nell'altra pagina, in alto: una famiglia in una casa di lamiera. In basso, da sinistra: ragazzi e

anziani nella capitale; una veduta di templi a Kathmandu; una scuola elementare in una zona di montagna

Foto: Il primo ministro è l'ex capo della guerriglia maoista. Ma ora il Paese è pacificato e ha aperto ai

capitali stranieri. Obiettivo: sviluppo

Foto: Sopra: una casa in lamiera nella valle di Kathmandu. A sinistra: la ricostruzione di una casa distrutta

dal terremoto

28/05/2017Pag. 70 N.22 - 28 maggio 2017

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 28

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Ater, conti ok e nuove case EDILIZIA POPOLARE

Bilancio risanato e nuovi alloggi finalmente in procinto di essere assegnati. E' stato approvato pochi giorni

fa l'esercizio finanziario 2016 dell'Ater Civitavecchia. In un contesto territoriale nel quale gli enti pubblici

accertano buchi di bilancio sempre più preoccupanti, vedi i comuni di Civitavecchia e Santa Marinella, un

trend che non risparmia nemmeno l'Autorità di sistema portuale, alle prese con una parte corrente di

difficile gestione e contenziosi che rendono incerto il futuro, l'Azienda per l'edilizia residenziale pubblica si

conferma virtuosa e molto solida.

«Quest'anno siamo riusciti a risanare completamente il bilancio - afferma il commissario dell'Ater Antonio

Passerelli - l'obiettivo che ci eravamo prefissati è stato centrato, ora portiamo avanti tutte le altre istanze,

cercando sempre di fare meglio». La perdita del 2015 di 663.893 euro è stata quasi completamente

azzerata, essendo pari a 6.772 euro nell'anno 2016: «Con un risultato ante imposte positivo pari a 9.584

euro - spiega il direttore generale Emiliano Clementi - si può quindi affermare che si è raggiunto un

sostanziale pareggio di bilancio. Siamo riusciti nel risultato grazie a una pulizia contabile significativa, alla

revisione finanziaria degli anni passati, a un recupero di più di 200 mila euro di contributi Inps versati in

eccesso negli ultimi anni, dal 2014 in poi e infine alla politica di gestione del commissario che ci ha

permesso di lavorare senza pressioni. Il 2016 è stato l'anno del risanamento, il 2017 sarà quello

dell'efficientamento grazie ad accordi importanti da poco sottoscritti e a nuove iniziative».

Dunque, l'azienda che gestisce le case popolari si conferma in salute e ha sempre circa 20 milioni di euro

di tesoretto in cassaforte. Conti in ordine, ma l'attualità registra anche nuove disponibilità di alloggi. «Sono

finalmente pronti i locali di viale Lazio - annuncia Passerelli - in tutto sei appartamenti che verranno presto

assegnati. Inoltre si è chiusa la manifestazione d'interesse per ciò che riguarda l'acquisto di alloggi da

destinare all'edilizia agevolata con canone concordato. Sono arrivate due proposte, una dal comune di

Santa Marinella, l'altra da Civitavecchia».

Pierluigi Cascianelli

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29/05/2017Pag. 29 Ed. Civitavecchia

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 29

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Scuola, che rivoluzione dopo il terremoto «Siamo un laboratorio per ilfuturo» di VIVIANA BRUSCHI 'LA campanella non ha mai smesso di suonare'. La frase, cara ai sindaci dei centri

del cratere emiliano e al Commissario straordinario per la Ricostruzione e presidente della Regione Stefano

Bonaccini, rimanda alla grande spinta propulsiva messa in atto da presidi, studenti, professori subito dopo

le scosse sismiche, che hanno reso inagibili i centri della cultura e del sapere. Il polo scolastico di

Mirandola rinato dalle macerie, la Casa della Musica a Pieve di Cento, luoghi dove farà tappa oggi il Capo

dello Stato Sergio Mattarella, testimoniano la volontà di restituire alle comunità, in tempi esemplari, la

scuola, le biblioteche, l'università. A scuola e impresa, cultura e lavoro, era stata data priorità assoluta.

Oggi, cinque anni dopo, il modello Emilia è da esportare, non solo sotto il profilo culturale, ma come

efficienza e sicurezza degli edifici scolastici antisismici. Se la ricostruzione è frutto delle risorse finanziarie

stanziate dalla Regione, la scuola rinata dal sisma è anche e soprattutto merito loro: dei 'Ragazzi del 2012'.

Li definisce così Giorgio Siena, preside dell'Istituto Luosi di Mirandola. «Con grande maturità - racconta -

assieme a docenti e dirigenti scolastici hanno 'costruito' e organizzato la didattica 2.0. Il passaggio delle

classiche aule scolastiche agli ampi spazi agibili di apprendimento ha sviluppato - spiega - l'idea formativa

basata sul sapere aperto, orientato allo sviluppo di competenze. Con assoluta certezza, possiamo dire di

aver anticipato l'alternanza scuola-lavoro' resa obbligatoria dalla legge 107/2015 sulla 'Buona Scuola'. In

quei giorni - continua - fu chiaro che dovevamo inventare una scuola diversa in funzione degli spazi fruibili;

organizzammo così laboratori teatrali, stage all'estero, nei ristoranti agibili, nelle tende, nei prati;

improvvisammo classi di 700 studenti al Palazzetto dello Sport, rimasto agibile. Per lunghi mesi, prima di

entrare nei prefabbricati, avevamo classi di centinaia di studenti, responsabili, maturi. Abbiamo compreso in

quei giorni, dalle lacrime versate al ricordo delle 'nostre vecchie aule scolastiche', l'amore dei ragazzi per la

scuola. E' nata nel 2012, quando la terra tremava, la scuola del futuro» conclude Siena. Dalla scuola nei

prefabbricati alla rinascita degli edifici scolastici, laboratori, biblioteche, palestre il passo è stato breve con

l'invidiabile risultato che non è stato perso un solo giorno di scuola. Nelle quattro province emiliane colpite,

Modena, Bologna, Reggio, Ferrara, le scuole nate ex novo o restaurate sono tutte antismiche. Per il settore

dell'edilizia scolastica il Commissario ha impegnato risorse finanziarie per 344.503.360,64 euro, destinate a

569 edifici. Per 417 di questi i lavori sono conclusi. Centodiciotto sono gli edifici scolastici ricostruiti ex

novo; 285 gli edifici oggetto di primi interventi per il ripristino dell'agibilità e la riparazione dei danni per una

spesa di 21 milioni di euro. Per altri 39 edifici (48 milioni) gli interventi sono stati più consistenti, facendo

conseguire agli immobili un elevato livello di sicurezza. Sono stati realizzati direttamente dal Commissario

28 edifici scolastici oltre a 23 palestre scolastiche per una spesa di 116.500.000. Come ultimo

provvedimento, la Regione sta procedendo all'attuazione del Piano dell'Edilizia Scolastica nell'ambito del

Programma delle Opere pubbliche e dei Beni culturali. Contenitore nel quale sono inseriti gli edifici

scolastici presenti nei centri del cratere e in quelli confinanti colpiti dal sisma. Le risorse a disposizione sono

122.629.568 euro per 162 interventi.

Per il settore dell'edilizia scolastica sono state impegnate risorse finanziarie per 344.503.360,64 euro,

destinate a 569 edifici. In 417 casi lavori conclusi Il piano La Regione ora sta procedendo all'attuazione di un Piano dell'edilizia scolastica che mette a disposizione,

per 62 interventi, 122.629.568 euro

29/05/2017Pag. 7

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 30

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I DATI DEL SETTORE EDILE FORNITI DALL'UNIONE INDUSTRIALI Opere pubbliche, in dieci anni da 107 a 13 milioni Imprese in calo del 3,7%. Nel 2016 chiuse altre 19 aziende, dal 2007 perse 500 circa SAVONA . Un altro anno nero per il settore edile. I dati di Ance-Unione Industriali della provincia di Savona,

settore edile, mettono a fuoco, per il 2016, una serie di difficoltà che non mostrano all'orizzonte la ripresa di

cui si parla in altri settori. Se, per il quadro nazionale, il presidente provinciale Alberto Formento parla di

"chiaroscuro", per il territorio savonese il saldo è ancora negativo. Diminuiscono nel 2016 le imprese con

dipendenti del 3,7 per cento rispetto allo scorso anno. Chiuse altre 19 imprese, per un saldo, negli ultimi

dieci anni, che va da 998 a 493 realtà con dipendenti. Diminuiti, di conseguenza, i dipendenti. Calo ulteriore

dello 0,6 tra il 2015 e il 2016: su dieci anni sono stati persi 2.033 lavoratori. Pressoché dimezzati. Ancora, le

ore lavorate sono passate da quasi 6 milioni (2007) a meno di tre (2016). Per quanto riguarda il mercato

delle opere pubbliche, il deficit infrastrutturale del savonese è sempre più grave. Dai 107 milioni del 2007 si

è passati a 13 milioni. Un territorio dove gli enti pubblici non investono più sul proprio patrimonio. La

situazione provinciale non si differenzia da quella regionale, "maglia nera" dell'Italia per l'edilizia. Nel 2016

gli investimenti in costruzioni hanno rappresentato il 7,8 per cento dell'economia ligure, contro la media

nazionale, assestata sul 9 per cento. Male, infine, il mercato immobiliare, con compravendite legate, nella

maggior parte dei casi, a urgenza di liquidi da parte del venditore.

26/05/2017Pag. 20 Ed. Savona

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 31

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Indagine Ance Giovani: chi innova guadagna valore aggiunto Imprese pronte al salto tecnologico (per la produttività) MAURO SALERNO Un'iniezione di tecnologia per andare a caccia della produttività perduta. È la proposta che arriva dai

giovani costruttori dell'Ance , rilanciata in una giornataevento, tenutasi la settimana scorsa a Roma. Alla

base delle idee della nuova generazione di imprenditori edili non c'è però solo la volontà di mettersi a pari

con le novità della quarta rivoluzione tecnologica, cui ha guardato anche il governo quando ha deciso di

lanciare il pacchetto di incentivi di «Indusrtia 4.0». Le ambizioni e il messaggio lanciato dai giovani

imprenditori partono proprio dal confronto con gli altri settori industriali, in particolare la manifattura che ha

saputo rinnovare meglio di altri i propri processi produttivi. «Tutti i dati disponibili dimostrano che innovare è

un dovere per le imprese ha spiegato la presidente dei Giovani Ance, Roberta Vitale -. La nostra

responsabilità è aprire la mente ai costruttori, ai politici e a tutti gli operatori della filiera, mettendo in luce i

vantaggi che la tecnologia può darci in termini di produttività, qualità e sicurezza». I numeri contenuti

nell'indagine realizzata dai giovani dell'Ance partono da un dato di fatto. In tutto il mondo le costruzioni si

collocano al gradino più basso degli investimenti destinati all'innovazione. Dunque l'Italia sarebbe in buona

compagnia, se non fosse che le nostre costruzioni hanno fatto peggio della media e portato l'Italia nella

fascia dei Paesi che non solo «sono arretrati da questo punto di vista, ma sono addirittura in regresso»,

sottolinea Vitale. Un dato diffuso dai giovani Ance dimostra quanto l'equazione «poca innovazione uguale

poca produttività» sia attuale. Mettendo a confronto i vari settori industriali, si è scoperto che anche nel

periodo della massima crisi (gli anni compresi tra il 2008 e il 2015), le imprese innovative hanno sempre

aumentato il proprio valore aggiunto. Anche nelle costruzioni, dove le imprese tradizionali hanno lasciato

per strada quasi un quinto del proprio valore aggiunto (-19,6%), mentre quelle con caratteri di innovazione

hanno guadagnato il 4,6 per cento. «Il nostro primo obiettivo - ha spiegato la presidente di Ance Giovani,

Roberta Vitale - è far capire quanto la digitalizzazione conta nel rapporto tra imprese e produttività. In

questo senso per noi diffondere l'innovazione è cruciale nel nostro settore». Si parte da una situazione non

proprio brillantissima. Nonostante sia il canale preferito per la promozione delle attività aziendali, Internet

viene usato ancora poco e male dai costruttori. L'indagine sottolinea che il 77% delle imprese possiede un

sito ma l'aggiornamento e il controllo accessi sono ancora bassissimi. L'82% delle imprese che possiede un

sito effettua un aggiornamento con cadenza ultra-settimanale. Il 74% non sa quanti sono gli accessi

giornalieri. Va un po' meglio sulle nuove tecnologie di gestione dei progetti o delle aziende. Più di un terzo

delle imprese utilizza sistemi di project manager e di controllo di gestione. Di qui, anche la valutazione

almeno in parte positiva del pacchetto di incentivi previsto dal decreto «industria 4.0». «È un primo passo

importante, ma è necessario che allarghi lo sguardo all'edilizia», dice Vitale. Super e iper ammortamento

sono strumenti utili anche nel campo dell'edilizia, ma sarebbero più efficaci se «legati anche alla

formazione del personale». Bisogna spingere sul Bim (il 92% dei costruttori lo conosce, il 13% dice di

usarlo, l'11% di aver partecipato a una gara che ne richiedeva l'utilizzo). La sua diffusione, oltre a

consentire una gestione molto più efficiente di progetti e opere non solo pubbliche (vedi anche l'altro

articolo in pagina) permetterebbe l'analisi digitale di edifici e infrastrutture. Incoraggiando lo sviluppo di una

sorta di fascicolo del fabbricato virtuale, che Ance Giovani chiede di inserire tra le attività incentivabili

all'interno degli sgravi fiscali dedicati all'edilizia (ecobonus e sismabonus). «Le moderne tecnologie - ha

sottolineato la presidente dei Giovani Ance possono fornirci indicazioni dettagliate sullo stato di salute degli

edifici e delle infrastrutture, per poter intervenire tempestivamente con un piano di manutenzione o

agevolare la ricostruzione a seguito di crolli o danneggiamenti. Per fare ciò occorre rendere obbligatoria la

redazione del fascicolo digitale del fabbricato, per gli immobili privati, e redigere un data base completo del

patrimonio pubblico in collaborazione con le università italiane». Ultimo punto: lo stato della pubblica

29/05/2017Pag. 4 N.21 - 29 maggio 2017 tiratura:25000

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amministrazione che secondo i costruttori nel nostro Paese, rimane lontano dai livelli di innovazione e

modernizzazione già realizzati altrove. «Noi siamo pronti a raccogliere la sfida dell'innovazione - ha

affermato Roberta Vitale ma con noi deve farlo la pubblica amministrazione. Perché se da una parte le

nostre imprese sono costrette ad essere sempre più qualificate, non possiamo pensare che uffici comunali

e stazioni appaltanti siano a malapena adeguate alla seconda rivoluzione industriale». Per la presidente dei

giovani industriali «serve una profonda riforma della pubblica amministrazione». «Bisogna trovare degli

strumenti per interfacciarci - ha concluso - altrimenti rischiamo di trovarci di fronte a un muro».

SI PARTE DAI GRADINI PIÙ BASSI Il rapporto tecnologia­costruzioni

Foto: Roberta Vitale, 40 anni

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 33

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False attestazioni, l'Anac chiude anche Soa Hi Quality Mau.S. Dopo il caso Axsoa, la scure dell'Anticorruzione si abbatte su un'altra società di attestazione delle imprese

edili. A finire nel mirino dell'Autorità guidata da Raffaele Cantone questa volta è la Soa Hi Quality, società

con sede legale a Roma, direzione generale a Gioia Tauro (Reggio Calabria) e basi a Catanzaro e Brescia.

Come con Axsoa, il procedimento dell'Autorità si è concluso con la revoca dell'autorizzazione a rilasciare i

certificati alle imprese edili. . Insieme alla revoca la Soa (cui resta ora la strada del ricorso al Tar) ha anche

ricevuto una "multa" da 30mila euro. Con un'attività di indagine svolta in proprio e basata in aggiunta sugli

elementi forniti dalla Guardia di Finanza (anche in merito a un'inchiesta penale parallela) l'Autorità ha

contestato ai vertici della Soa un sistema di false attestazioni legato al "business" della compravendita dei

requisiti per permettere l'accesso al mercato dei lavori pubblici anche a ditte che non ne avrebbero avuto

titolo. Il meccanismo, ormai noto, è quello delle false cessioni di ramo d'azienda. Nel procedimento portato

avanti dall'Autorità sono stati anche mossi pesanti rilievi sull'attività svolta da una rete di promotori, in

violazione delle regole del codice appalti a presidio dell'indipendenza e della trasparenza delle società di

attestazione. Un peso non marginale nelle valutazioni dell'Anac ha avuto poi il tema del conflitto di interessi

rilevato in capo a una serie di consiglieri di amministrazione (e soci della Soa) risultati anche titolari di quote

di capitale di imprese attive nel settore delle costruzioni. Alla luce di queste risultanze il Consiglio

dell'Autorità ha deliberato (con il provvedimento n. 493/2017, depositato giovedì 18 maggio) di togliere alla

Soa la possibilità di continuare a lavorare nel campo delle certificazioni per i lavori pubblici, revocando

l'autorizzazione rilasciata nel 2001 dalla vecchia Avcp. In base agli ultimi dati disponibili, alla Soa Hi Quality

fanno ancora riferimento i certificati di oltre 800 imprese edili. Un numero sufficiente a farne una delle prime

dieci realtà di questo particolare mercato.

29/05/2017Pag. 5 N.21 - 29 maggio 2017 tiratura:25000

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SCENARIO ECONOMIA

38 articoli

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Nuovi voucher, il Pd si spacca Il testo passa con i voti di FI e Lega Sì in commissione, Mdp contro e gli orlandiani escono. La Cgil: ricorso alla Consulta Enrico Marro ROMA Alla fine l'emendamento che reintroduce i voucher è stato approvato in commissione Bilancio alla

Camera, ma con i voti di una maggioranza diversa da quella di governo. Hanno infatti votato a favore, oltre

a Pd, Ap e Scelta civica, anche Forza Italia e Lega. Insomma, una maggioranza che ricorda quella che si

profila sulla riforma della legge elettorale. Contro si sono espressi i 5 Stelle, Mdp e Sinistra italiana. Gli

orlandiani (sinistra pd), sono usciti dalla commissione Bilancio al momento del voto. L'emendamento,

riformulato dal relatore Mauro Guerra (Pd) sul testo presentato da Titti Di Salvo (Pd), è stato approvato con

19 sì e 6 no.

Ora il confronto si sposta nell'aula di Montecitorio, dove il decreto sulla manovrina bis, che contiene

appunto il contestato emendamento sul lavoro occasionale, dovrebbe arrivare martedì. Il voto finale è

atteso entro il 2 giugno e si dà per certo che il governo porrà la questione di fiducia. Poi il decreto passerà

al Senato, dove l'esecutivo sarà costretto a richiedere la fiducia per assicurarsi che la manovrina venga

definitivamente approvata senza modifiche. Ma a Palazzo Madama la maggioranza è molto meno ampia di

quella della Camera. Per questo, se Mdp confermerà il proprio no, i riflettori si accenderanno sugli

orlandiani (che comunque non faranno mancare il sostegno al governo) e soprattutto su Forza Italia e Lega.

Che, anche se non hanno interesse a far precipitare la situazione, certamente non voteranno la fiducia.

Una soluzione per dare indirettamente una mano all'esecutivo potrebbe essere quella di uscire dall'Aula al

momento del voto.

Appresa la notizia dell'approvazione dell'emendamento sui voucher, la Cgil ha dato il via alla controffensiva.

«Non c'è dubbio che faremo ricorso alla Corte costituzionale», dice la segretaria generale, Susanna

Camusso, annunciando anche una manifestazione nazionale a Roma per sabato 17 giugno. La Cgil è

infuriata perché ritiene di essere stata ingannata dal governo che prima, per evitare il referendum sui

voucher promosso dallo stesso sindacato, ha fatto un decreto per cancellare completamente i buoni lavoro

e poi, approfittando della manovrina, ha fatto passare un emendamento che, sia pure in forma diversa, li

reintroduce. Del resto, una misura del genere è stata invocata dalle imprese, da una parte dello stesso

sindacato (Cisl, Uil) e perfino la Carta dei diritti della Cgil, cioè la proposta di legge di iniziativa popolare

portata in Parlamento da Camusso prevede, agli articoli 80 e 81, la «disciplina del lavoro occasionale»

limitata a pensionati, studenti e disoccupati per un massimo di 2.500 euro l'anno. Ma, secondo la Cgil,

l'emendamento approvato, è «una norma sbagliata e peggiorativa, in sfregio a milioni di lavoratori che

hanno firmato i referendum». Sinistra italiana annuncia che chiederà un incontro al Quirinale. Difende

l'emendamento Titti Di Salvo: «Colma un vuoto normativo e con la totale tracciabilità combatte il nero».

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Le posizioniEttore Rosato Capogruppo del Pd alla Camera, 48 anni, ha escluso che al

Senato - nel caso non ci fossero

i numeri dopo lo strappo di

Mdp sui voucher - ci saranno «prove di larghe intese»: «Assolutamente no»

Roberto Speranza Coordinatore di Mdp, 38 anni, dopo il via libera in commissione Bilancio della Camera

all'emendamento sui voucher, ha detto: «Non voteremo l'eventuale fiducia che il governo chiederà sulla

manovra»

Stefania Prestigiacomo Deputata di Forza Italia, 50 anni, ha motivato così il voto favorevole

all'emendamento sui voucher: «Uno strumento reintrodotto in maniera maldestra è meglio del nulla o del

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 36

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caos»

Laura Castelli La deputata del M5S, 30 anni, contraria alla reintroduzione dei buoni lavoro, ha detto,

attaccando la Camusso per aver assistito ai lavori parlamentari: «È indegno usare i voucher per una guerra

da cortile»

Foto: Tutte le notizie di politica

con gli aggiornamenti in tempo reale, le fotogallery,

i video, le analisi e i commenti

Lo scontroCon un decreto dello scorso aprile il governo cancella lo strumento dei voucher contro cui la Cgil aveva

raccolto 3,3 milioni di firme per un referendum abrogativo La decisione annulla la consultazione elettorale

che era fissata per il 28 maggio L'esecutivo propone comunque la reintroduzione dello strumento, anche se

con caratteristiche diverse rispetto ai voucher precedenti La scelta causa uno scontro politico con Mdp che

minaccia di lasciare la maggioranza

28/05/2017Pag. 8

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 37

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Banche venete, Atlante guarda solo alle sofferenze Il fondo non prevede ricapitalizzazioni. Bruxelles: contatti costruttivi con l'Italia Vicenza e Veneto Secondo ilsottosegretario Baretta «la soluzione dovrà arrivare entro l'estate» Marco Sabella MILANO I finanziatori mancano e il governo tratta con Bruxelles e Francoforte per trovare una soluzione

per il salvataggio delle banche venete. «Commissione europea, meccanismo di vigilanza unico e autorità

italiane lavorano mano nella mano. Sono in corso contatti costruttivi», rassicura un portavoce della

Commissione.

Per puntellare il capitale di Popolare di Vicenza e di Veneto Banca è necessario trovare qualche privato che

investa un miliardo di euro. E il Fondo Atlante non ha più soldi. O meglio, ce li ha, ma può usarli solo per

acquistare sofferenze. Un intervento di quel tipo sulle venete è allo studio. Ma niente di più. Pare quindi

destinato al flop l'esito del mandato agli amministratori delegati di Popolare di Vicenza, Fabrizio Viola, e

Veneto Banca, Cristiano Carrus, di sondare il gestore del Fondo, Quaestio Sgr, per rinforzare le casse.

Popolare di Vicenza farà il punto martedì, in un consiglio riunito a Milano e, probabilmente, anche Veneto

Banca farà lo stesso.

Il fatto è che Atlante I ha investito tutti i suoi 3,5 miliardi nella ricapitalizzazione delle due banche, e i suoi

soci non sembrano intenzionati a investirci altre risorse.

Mentre Atlante II, nato con una dotazione di 2,2 miliardi, ne ha già spesi 500 mila per le sofferenze delle tre

good bank acquisite da Ubi Banca. Gli restano 1,7 miliardi ma, a differenza di Atlante I, per regolamento

può usarli solo per acquistare crediti deteriorati (npl) salvo cambi di direzione.

I contatti fra Tesoro e autorità europee sono frequenti, anche se, al momento, non sono previsti faccia a

faccia. L'azione del governo sulla Ue mira infatti a «rivedere» l'ammontare del fabbisogno delle due banche

o la natura strettamente «privata» del soggetto che dovrà mettere quel miliardo in più. Una deroga, infatti,

aprirebbe le porte ai 20 miliardi stanziati dal Tesoro a dicembre con il decreto salva-risparmi.

Il Tesoro, comunque, ripete che quello di qualche giorno fa a Bruxelles fra la Dg comp e gli ad delle banche

venete è stato solo «uno dei numerosi passaggi previsti dalla consueta interlocuzione tecnica». Mentre il

sottosegretario all'Economia Paolo Baretta assicura: «Non molleremo al loro destino Banca Popolare di

Vicenza e Veneto Banca». Secondo Baretta la soluzione dovrà arrivare entro l'estate, perché «non

possiamo permetterci tempi lunghi».

Quanto al Monte dei Paschi di Siena, l'iter che porterà la banca senese al salvataggio pubblico è in dirittura

d'arrivo.

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1 miliardo di euro la quota di capitale da reperire dai privati1,7 miliardi

i fondi residui che Atlante II può utilizzare per gli «npl»

Il profiloFabrizio Viola, 59 anni, amministratore delegato della banca Popolare di Vicenza da dicembre 2016 È stato

ceo di Montepaschi

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 38

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Il documento Poste, squadra di vertice e strategie La mappa dei manager di Del Fante Il Ceo: via i vicedirettori generali, sarà un team di dieci persone a preparare il piano Le consegne Sul tavolola possibile ridefinizione dell'intesa per il recapito postale a giorni alterni PosteVita Il neo presidente BiancaFarina dovrà lasciare il vertice dei servizi assicurativi Andrea Ducci ROMA Un documento di tre pagine per tracciare il corso di Poste Italiane. È il primo ordine di servizio

firmato da Matteo Del Fante, dopo l'ingresso al vertice del gruppo postale. Le caselle da riempire erano

tredici, con l'obiettivo di segnare la discontinuità rispetto alla precedente gestione affidata a Francesco

Caio. Il nuovo amministratore delegato ha optato per un'organigramma senza la figura dei due vice direttori

generali Paolo Bruschi e Pasquale Marchese, voluti dal suo predecessore. Mentre il primo è destinato a

uscire dall'azienda, Marchese, seppure ridimensionato,è stato confermato a capo della funzione «mercato-

privati», il governo cioè sulla rete di quasi 13 mila uffici postali a cui è delegata la vendita di prodotti e

servizi finanziari. La novità principale riguarda l'innesto di Giuseppe Lasco a capo delle funzioni «corporate

affairs» e «corporate assurance e affari legali». Ruolo di peso, analogo a quello già rivestito in Terna,

azienda da cui proviene lo stesso Del Fante.

Tra le conferme si segnalano Marco Siracusano alla guida del BancoPosta, così come Antonio Nervi al

«coordinamento gestione investimenti». Una casella strategica come la direzione «posta comunicazione e

logistica» resta, al momento, nelle mani di Massimo Rosini, già in Merloni e Ilva, chiamato da Caio a

guidare i servizi postali, dove lavorano oltre 60 mila persone. L'ordine di servizio segnala anche gli interim

di Del Fante in due importanti strutture come «amministrazione finanza» e «immobili e acquisti». La ricerca

per sostituire l'ex direttore finanza Luigi Ferraris (nominato amministratore delegato di Terna proprio al

posto di Del Fante) è a buon punto, così come procede l'analisi per individuare un sostituto di Bianca Maria

Farina, nella veste di amministratore delegato di PosteVita. Farina è stata, infatti, nominata presidente del

gruppo Poste e dovrà lasciare la guida delle attività assicurative. Strategiche, alla luce dei 15,4 miliardi di

euro di premi netti, indicati nel bilancio 2016. Una ricognizione sarebbe in corso anche per la direzione del

personale (Poste è la più grande azienda del paese con 141 mila dipendenti), dove intanto è rimasto

Pierangelo Scappini. Le manovre di aggiustamento sulla squadra si confermano, del resto, in corso «nelle

more di affinamenti successivi degli assetti organizzativi», come specificato nella nota di servizio.

Documento di per sé ordinario nella vita aziendale, quanto cruciale in questa fase di transizione. Il gruppo è

reduce da un triennio contrassegnato da una quotazione in borsa - che ne ha mutato in parte la storica

natura- , da una controversa gestione con tanto di mancata conferma di Caio, da fibrillazioni sindacali che

hanno incrinato la pace sociale interna (lo scorso 4 novembre si è tenuto uno sciopero generale, evento

mai accaduto nei 15 anni precedenti). Un contesto dove la politica e gli stessi sindacati non hanno mai

abdicato al ruolo di impegnativi stakeholder. Del Fante e la sua squadra di 10 manager dovranno navigare,

indicando la rotta nel nuovo piano industriale, già in fase di elaborazione, e atteso per l'autunno. Sul

tappeto alcune questioni cruciali. L'ipotesi di predisporre la quotazione di una seconda tranche del gruppo

sembra tramontata (buona parte del Pd e lo stesso Renzi non la vedono di buon occhio), ma la necessità di

remunerare adeguatamente il capitale, pagando dividendi al Tesoro e ai risparmiatori, resta prioritaria.

L'ultimo trimestre targato Caio evidenzia la flessione di ricavi (-2,3%), ebitda (-6,3%), utile netto (-4,4%) e la

frenata dei servizi finanziari (il risultato operativo segna -14,6%). Nel frattempo il patrimonio netto è sceso

dai 9,6 miliardi del 2015 a 7,3 miliardi (-23%).

Sul versante sindacale nell'agenda della relazioni industriali le priorità riguardano l'eventuale ridefinizione

dell'accordo per il recapito postale a giorni alterni, il rinnovo del contratto e la mission della rete

commerciale. A breve dovrebbe tenersi il primo incontro tra azienda e sindacati. La sigla più

rappresentativa è Slp Cisl, l'obiettivo è prima di tutto il ripristino del dialogo.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 39

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Ricavi totali per settore operativo Ricavi totali 2015 e 2016 (in milioni di euro) 72% Servizi assicurativi e

risparmio gestito Corriere della Sera 11% Servizi Postali e com. 16% Servizi finanziari 1% Altri servizi

30.739 33.112 anno 2016 2015 2016 +7,7% Utile netto del gruppo (in milioni di euro) 552 622 2015 2016

+12,7% 2015 2016 Numero dipendenti I conti 143.700 141.246

Il profiloMatteo Del Fante, il nuovo amministratore delegato del gruppo Poste Italiane Ha ricoperto il ruolo di Ceo di

Terna. Un passato in Jp Morgan e Cdp

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 40

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Voucher, il governo va avanti. Mdp in trincea Depositato l'emendamento con i nuovi buoni. Riguarderanno anche le imprese sotto i 5 dipendenti Gli exscissionisti: così la fiducia sulla manovrina non la votiamo. Pd diviso, i numeri in bilico del Senato Il leaderdem Renzi smentisce di cercare il casus belli : «Gentiloni mi ha chiesto una mano» L. Sal. ROMA L'emendamento della discordia viene depositato alla Camera alle undici di sera. Non porta la firma

del governo e nemmeno del relatore, Mauro Guerra del Pd, nel vano tentativo di proteggere l'esecutivo

dalle polemiche già ampiamente in corso. È la riformulazione di una proposta di modifica già presentata dal

Pd. La sostanza, però, non cambia. I nuovi voucher - sparito il nome PrestO, da prestazione occasionale -

non riguardano solo le famiglie ma anche le imprese con meno di 5 dipendenti. Ci sono limiti più severi

rispetto ai vecchi buoni, cancellati per decreto dal governo appena due mesi fa per stoppare il referendum

della Cgil che si sarebbe tenuto domani. Ma per lo scontro politico sono solo dettagli.

Mdp, il partito di Bersani e D'Alema nato dalla scissione del Pd, dice no senza se e senza ma. «Se c'è il

ritorno dei voucher, la fiducia non la votiamo», avverte Arturo Scotto. Perplessità anche nella corrente del

Pd che fa capo al ministro Andrea Orlando, che però, sul voto di fiducia, finirebbe per dire sì. La Cgil parla

di «gran pasticcio» e minaccia il ricorso alla Corte costituzionale. Mentre i centristi della maggioranza

premono per un intervento che riguardi anche le imprese. Alla fine la linea del Pd, e del governo, sembra

questa. Anche se sorprese e cambi di direzione sono sempre possibili.

Il voto di fiducia è scontato perché la manovrina sui conti pubblici - che contiene la norma sui nuovi voucher

- è un decreto legge e i tempi sono già stretti. Alla Camera i numeri per passare ci sono, anche senza Mdp.

Al Senato il margine è molto più risicato. Ed è lì che, in caso di vittoria del no sul voto di fiducia, si potrebbe

aprire la strada per la crisi di governo e le elezioni anticipate. Il segretario del Pd, Matteo Renzi, smentisce

di essere lui a voler usare i nuovi voucher come casus belli per far cadere il governo di Paolo Gentiloni e

ottenere il voto a ottobre. «Paolo mi ha chiesto una mano, dopo aver deciso di tirare dritto, per chiudere

sulla soluzione trovata dal governo e il Pd ha lavorato in questa direzione, altro che sfasciare». Ma il caso

ha lasciato il segno.

Salvo sorprese, sembra ormai archiviata l'idea di sospendere tutto, limitare i nuovi voucher solo alle

famiglie. E discutere della misura dedicata alle imprese insieme ai sindacati per poi procedere con un

nuovo decreto legge che però non avrebbe la certezza di arrivare a destinazione, vista la paura estiva, la

Legge di Bilancio che impegnerebbe il Parlamento alla ripresa e, naturalmente, l'incognita del voto

anticipato. Anche se Renzi, a giochi fatti, rimprovera al ministro Giuliano Poletti di non aver coinvolto

abbastanza i sindacati.

Nel merito, i nuovi voucher riguarderebbero le aziende al di sotto dei cinque dipendenti, con l'esclusione

dell'edilizia. Prevedono un tetto di pari a 5 mila euro l'anno per la singola impresa e di 2.500 euro l'anno per

il singolo lavoratore. In caso di sforamento dei limiti, scatta l'obbligo di assunzione con contratto stabile. Il

valore è di 12,50 euro lordi l'ora, leggermente più alto dei 10 euro l'ora dei vecchi voucher.

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La vicendaPer l'abrogazione via referendum dei voucher, insieme alla reintroduzione della responsabilità solidale negli

appalti e una formula allargata dell'articolo 18, la Cgil nel 2016 raccoglie 3,3 milioni di firme I voucher, nati

nel 2003 e diffusi dal 2008, nel 2016 ammontano a 134 milioni, registrando un aumento esponenziale

rispetto agli esordi. Secondo la Cgil, si tratta di un uso improprio di questo strumento, che avrebbe fatto

crescere la precarietà Il referendum viene fissato per il 28 maggio 2017, ma a metà aprile viene approvato il

decreto che abolisce i buoni e reintroduce la responsabilità solidale negli appalti. Pochi giorni dopo, la

Cassazione stabilisce lo stop ufficiale della consulta-zione Il governo prende comunque in considerazione

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la possibilità di introdurre dei surrogati dei voucher, da prevedere per le sole imprese. Le caratteristiche

sono in parte diverse dai voucher precedenti, ma scoppia la polemica Mdp minaccia di uscire dalla

maggioranza. L'accusa è che con il decreto si reintroduca uno strumento che era stato già cancellato dal

governo

Foto: Presidio

Sotto, il presidio della Cgil il 19 aprile scorso al Pantheon, in occasione del voto al Senato per convertire in

legge il decreto per abrogare i voucher (Ansa)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 42

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L'intervista Damiano: i buoni solo alle famiglie ma questo tema non vale una crisi L'ex ministro pd: «Voterei la fiducia. In tanti cercano l'incidente» Lorenzo Salvia ROMA «La tensione c'è. Mi auguro che l'incidente non si cerchi sui voucher. Si tratta di un argomento

importante ma non a tal punto da far cadere il governo». Anche stavolta Cesare Damiano - Pd, tendenza

Orlando, - si trova nei panni del mediatore.

Lei, l'emendamento sui nuovi voucher lo voterebbe?

«No. Per me nella manovrina il lavoro occasionale deve riguardare solo le famiglie e le Ong ma non le

imprese. Se ci sono le imprese non voto e credo sia un orientamento comune tra quelli che voi chiamate

orlandiani».

Ma se il governo porrà la fiducia, come appare scontato visti i tempi stretti?

«La fiducia è un'altra cosa. Dentro la manovrina ci sono i soldi per il terremoto, quelli per Alitalia. Il giudizio

complessivo sulla manovrina è positivo. Quindi la fiducia la voterei. Ma questo non mi impedisce di

esprimere il mio dissenso su uno dei punti contenuti in quel testo».

Mdp, il partito nato dalla scissione del Pd e guidato da Pier Luigi Bersani, dice che la fiducia non la

voterebbe. Compagni che sbagliano?

«Una cosa è manifestare con chiarezza il proprio disaccordo. Un'altra è mettere in crisi il governo, creando

un danno al Paese».

Sta dicendo che Mdp ci dovrebbe ripensare?

«Non chiedo nulla, avranno modo di fare le loro riflessioni. Ma stiamo attenti a non renderci complici di

coloro che cercano l'incidente».

E chi sono quelli che cercano l'incidente?

«Vedo, variamente distribuiti, diversi appassionati delle elezioni in autunno».

Il più appassionato pare Matteo Renzi. Allora è lui che cerca l'incidente?

«Non sono abituato a immaginare le persone ancora più diaboliche di quello che sono. Ma ripeto: una crisi

di governo, in questo momento e su quell'argomento, sarebbe un errore».

Ma perché voi non volete sentire parlare di voucher?

«Così come sono fatti sono solo una scusa per abbassare il costo del lavoro. E comprimere i diritti delle

persone».

Il segretario della Cgil Susanna Camusso ha voluto essere alla Camera durante i lavori in commissione.

Dicono che sia stato il primo passo per una candidatura con Mdp.

«La fantasia corre troppo».

Ma non sarebbe un buon leader per quel partito?

«Non so se è interessata. Certo, i sindacalisti non possono essere gli unici a cui impedire di fare politica. Il

passaggio dalla Cgil alla politica l'ho fatto io, l'ha fatto Cofferati, e anche Epifani».

Lei lo rifarebbe?

«Certo, perché l'esperienza da sindacalista mi è stata utilissima sia per fare politica sia per fare il ministro

del Lavoro».

Gliel'ha detto alla Camusso?

«Non credo ci sia bisogno».

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Chi èCesare Damiano, di Cuneo, 68 anni, ex sindacalista, è presidente pd della commissione Lavoro della

Camera deputati

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 43

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Campo Dall'Orto da Padoan, addio alla Rai E Fico: adesso lascino anchei consiglieri Ieri il faccia a faccia: mandato rimesso, le dimissioni saranno presentate in cda. Non chiederà buonuscite Itempi Il dg resterà probabilmente altre due settimane per concludere l'iter L'attacco di Anzaldi «È una presain giro, se vuole dimettersi convochi il consiglio e lo dica alla presidente» P. Co. ROMA «In un incontro molto cordiale, il ministro Padoan ha preso atto della decisione di Antonio Campo

Dall'Orto di rimettere il suo mandato di Direttore generale Rai. Lo si legge in una nota di Viale Mazzini».

Con queste due scarne righe dattiloscritte, frutto di una intesa Rai-ministero dell'Economia, è finita ieri,

poco dopo le 17, l'era di Antonio Campo Dall'Orto al settimo piano di viale Mazzini, cominciata il 6 agosto

2015.

Pier Carlo Padoan lo ha incontrato alle 15, i due hanno parlato per poco più di un'ora e mezza. Il tempo

necessario al direttore generale (che ha, secondo la riforma voluta dal governo Renzi, i poteri da

amministratore delegato) di illustrare la situazione del servizio pubblico al ministro dell'Economia, l'azionista

della Rai, titolare del 99,9% delle azioni. Padoan ha «preso atto» della decisione perché non può

formalmente accogliere né accettare le dimissioni che saranno presentate al Cda (privo già di un pezzo,

dopo l'addio del consigliere Paolo Messa) e alla presidente Monica Maggioni, probabilmente la prossima

settimana.

Padoan e Campo Dall'Orto hanno concordato un'uscita non traumatica: ancora quindici giorni di

permanenza a viale Mazzini per concludere le procedure. Cioè iter delle dimissioni (lettera alla Maggioni e

ai Consiglieri), accordi economici sull'uscita (capitolo complesso e delicato), firma degli ultimi atti aziendali.

Padoan avrebbe riconosciuto a Campo Dall'Orto i risultati positivi raggiunti sia dal punto di vista economico

che dei contenuti del servizio pubblico. Campo Dall'Orto ha fatto sapere di non voler accettare alcuna

possibile buonuscita né il pagamento dello stipendio fino a fine 2017. Intende ricevere solo il dovuto fino al

suo ultimo giorno di lavoro. E con il suo staff ha poi aggiunto: avrei voluto continuare, ma così non si

poteva.

Immediata, e durissima, la reazione della Federazione Nazionale della Stampa e dell'Usigrai, il sindacato

interno dei giornalisti Rai: «Antonio Campo Dall'Orto non è l'unico responsabile del fallimento di questi due

anni di mandato. Auspichiamo ora che l'azionista agisca con rapidità per restituire con urgenza alla Rai una

guida autorevole, sicura e stabile». Anche Roberto Fico, M5S, presidente della commissione parlamentare

di Vigilanza, è sulla stessa linea: «Ora non credano di lavarsi le mani. Queste dimissioni costituiscono un

fallimento di Matteo Renzi e del Pd, è evidente che dopo le dimissioni di Dall'Orto dovrebbero arrivare

anche quelle di tutto il Consiglio di amministrazione, sempre che qualcuno non stia già programmando

l'ennesimo inciucio».

Ma da Arturo Diaconale, consigliere di amministrazione di area centrodestra, arriva una risposta immediata

che svela il clima nel Cda: «Noi dimetterci? Ma che logica è? A questo punto perché non si dimette Fico?

Ora in Consiglio si può fare tutto: si possono mettere a punto il regolamento sul tetto ai compensi e i

palinsesti, anche in attesa del prossimo direttore generale possiamo operare ugualmente». Silenzio dal Pd.

Solo Michele Anzaldi, segretario della Vigilanza, precisa che Campo Dall'Orto «se vuole dimettersi deve

convocare il Consiglio o inviare una comunicazione urgente alla presidente, quella del direttore generale è

una presa in giro». Diretta a far perdere tempo prezioso.

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I nodi e i voltiFoto: Le nomine dei dirigenti

27/05/2017Pag. 13

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 44

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Nel 2016 l'Anac di Raffaele Cantone ha contestato le modalità con cui sono stati assunti 21 dirigenti

esterni, riscontrando irregolarità, conflitti di interesse e il mancato rispetto delle norme sul job posting

interno

Foto: I compensi degli artisti

A febbraio il cda fissa un tetto di 240 mila euro ai compensi dei collaboratori. Ad aprile lo stesso cda ha

sospeso la delibera per gli artisti (Fabio Fazio minac-cia di andarsene) e invitato il dg a presentare un piano

con criteri e parametri

Foto: Il piano per le news

A gennaio Carlo Verdelli, direttore editoriale per l'offerta informativa, si dimette dopo che il cda boccia il suo

piano per riformare la struttura dell'informazione. Pochi giorni prima aveva lasciato anche Francesco Merlo

Foto: La bocciatura del cda

Lunedì scorso il cda a larga maggioranza (due astensioni), compreso il voto della presidente Monica

Maggioni, dice no al piano per le news che il dg Dall'Orto aveva ereditato da Verdelli e voleva portare a

compimento

Foto: Dimissionario Antonio Campo Dall'Orto, 52 anni, nominato dg della Rai ad agosto 2015, nei giorni

scorsi ha deciso di lasciare

La parola

servizio pubblicoIl servizio pubblico radiotv è affidato per concessione a una spa che lo svolge sulla base di un contratto

nazionale triennale con il ministero dello Sviluppo economico e di contratti di servizio regionali e per le

Province autonome.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 45

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«La diaria rimborsata due volte» Nuova indagine sui costi del Cnel Dopo il caso consulenze, i sospetti della Corte dei conti su un'altra «speciale immunità» Le verifiche Igiudici contabili intendono procedere a ritroso fino al 2005: non c'è prescrizione Ilaria Sacchettoni [email protected] ROMA Dopo le consulenze d'oro, la diaria superstite. Sopravvissuto al referendum che proponeva la sua

cancellazione il Cnel rischia di essere travolto da una nuova inchiesta. Il magistrato della Corte dei conti

Tammaro Maiello che ha già chiamato in causa l'ex presidente Antonio Marzano e i suoi consiglieri per la

vicenda delle nomine illegittime - costate 800 mila euro di danno erariale - sta lavorando a un nuovo

capitolo di spese fuori controllo del Cnel. Quello che riguarda le trasferte in Italia e all'estero di consiglieri e

funzionari dell'ente «sottoposto a tutti gli effetti alla legge della Repubblica italiana».

Si tratta di un approfondimento piuttosto ampio che potrebbe portare a contestazioni più gravi delle prime e

che riguarda i viaggi (singoli e in pool ) finanziati negli ultimi dieci anni. Per la precisione dal 2005 ad oggi.

Perché proprio a partire da questa scadenza? Perché è quella la data che avrebbe cambiato la voce

trasferta nella pubblica amministrazione. Fino ad allora la diaria conviveva con il rimborso delle spese

sostenute per il viaggio (mezzi di trasporto, hotel, ristoranti) mentre da quel momento in poi questa

franchigia è stata cancellata definitivamente dal protocollo contabile della burocrazia e sostituita con dei

comuni rimborsi spese. E questo ovunque. Ovunque ma, hanno scoperto ora alla Corte dei conti, non al

Cnel. Dove i consiglieri si sarebbero ritagliati ancora una volta una speciale immunità.

Mentre approfondiva la vicenda collegata alle consulenze d'oro il pubblico ministero Maiello si è imbattuto

in un'antologia di trasferte piuttosto insolite. Giorni e giorni di convegni, spesso in folta delegazione,

remunerati alla vecchia maniera. Una spesa doppia che, alla fine, moltiplicava i costi per un soggiorno fuori

sede.

Dopo il primo stupore il pubblico ministero contabile si è rivolto agli stessi consiglieri (già indagati per la

vicenda delle consulenze) per chiedere informalmente la restituzione del dovuto, secondo un ammontare

parziale, limitato a pochi anni in questione (quelli già approfonditi per le consulenze d'oro).

I nomi sono quelli del capitolo consulenze. Antonio Marzano, Michele Dau, Salvatore Bosco, Bernabò

Bocca, Giuseppe Acocella, Giorgio Alessandrini, Edoardo Patriarca, Vittorio Fini, Enrico Comes, Costanzo

Jannotti Pecci, Cesare Regenzi, Marcello Tocco, Benito Santalco, Giovanbattista Fazzari, Giuseppe

Carlino. Purtroppo però nessuno ha accettato la richiesta. A quel punto Maiello ha concluso il capitolo

consulenze e aperto un nuovo fascicolo.

E poiché la Corte dei conti non ha i problemi di prescrizione della magistratura penale l'intenzione è quella

di procedere a ritroso con i conteggi. E risalire nel tempo al 2005, anno in cui al Cnel ci si sarebbe ritagliati

una speciale immunità dal resto della pubblica amministrazione.

Con una mossa particolarmente «odiosa» secondo la Corte dei conti che sottolinea come «proprio per

l'importante funzione rivestita il Cnel doveva essere di esempio a tutte le altre amministrazioni nella

puntuale osservanza delle norme volte alla tutela del pubblico erario e degli altri principi sanciti nella carta

costituzionale della Repubblica italiana».

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Che cos'è IL NOME Cnel sta per Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro È previsto dall'articolo 99

della Costituzione per fornire consulenza a governo e Parlamento su questioni economiche e sociali e

proporre disegni di legge LE INDENNITÀ Presenti fino al 2014, il Cnel chiede di ripristinarle (con gli

arretrati). Dati in migliaia di euro lordi l'anno Più i rimborsi per le spese di missione. Gli arretrati al momento

valgono in tutto circa 4 milioni di euro Danno erariale da 800 mila euro Lo contesta la Corte dei conti a 15

consiglieri per un'inchiesta su consulenze assegnate in violazione delle regole PERSONALE A TEMPO

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INDETERMINATO Dati riepilogativi del triennio 2013-2015 QUANTO COSTA Dati in milioni di euro l'anno

Fino al 2011 era composto da 121 membri, poi dimezzati a 64 e infine ridotti a 24 121 64 24 72 70 65 2013

2014 2015 7 totale 5 per gli stipendi 2 per la sede 25 42 215 Consiglieri Vice presidenti Presidente

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Il caso Gli stranieri a capo dei musei italiani? I giudici sono uguali, i giudiziopposti Le nomine bocciate dal Tar avevano avuto il parere positivo di un magistrato del Consiglio di Stato Ilparadosso Il verdetto smentito in via preventiva: «La giurisprudenza della Corte Ue prevale» Sergio Rizzo «Per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano». Nessuno può dire con certezza se

Giovanni Giolitti abbia mai pronunciato questa frase che da un secolo o giù di lì viene a lui attribuita. Di

sicuro, però, l'aforisma (forse) giolittiano contiene una verità: che nel Paese considerato patria del diritto le

leggi soprattutto si interpretano.

E poco importa se per gli amici o i nemici, perché si possono interpretare in un senso oppure nel suo

opposto. Indifferentemente. Anche da giudici della stessa magistratura. L'ultimo straordinario esempio di

strabismo interpretativo ci viene offerto dalla bocciatura inflitta dal Tar del Lazio alle nomine fatte con le

selezioni internazionali fortemente volute dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini che per la prima

volta aveva aperto le porte dei musei italiani a direttori stranieri. Come l'austriaco Peter Assmann, da oltre

un anno e mezzo alla guida del Palazzo Ducale di Mantova, e ora prontamente finito in naftalina.

Argomentano senza dubbio alcuno i giudici del Tribunale amministrativo del Lazio Leonardo Pasanisi,

Stefano Toschei e Francesco Arzillo, che «il bando di selezione non poteva ammettere la partecipazione al

concorso di cittadini non italiani». Dunque la nomina di Assman è illegittima.

Altrettanto chiaramente, però, il capo dell'ufficio legislativo dei Beni culturali, in una nota per il ministro

Franceschini propedeutica a quella selezione firmata insieme al suo collega della Pubblica amministrazione

Bernardo Mattarella, dice l'esatto contrario: «Non solo non sussiste alcun impedimento giuridico al

conferimento dell'incarico di direttore di museo statale a stranieri, ma in base a giurisprudenza consolidata

della Corte di giustizia dell'Unione Europea sarebbe in violazione del diritto europeo e nazionale riservare

detto incarico a cittadini italiani».

E si dà pure il caso che l'estensore di questo parere insieme a Mattarella sia il consigliere di Stato Paolo

Carpentieri. Dunque un magistrato amministrativo, collega di Pasanisi e degli altri giudici del Tar. Non solo:

in quanto consigliere di Stato, potenzialmente giudice d'appello del medesimo Tar. E dunque per coerenza,

se gli dovesse mai toccare un ricorso contro questo pronunciamento del Tar Lazio, non potrebbe che

ribaltarlo.

Il punto di contrasto è l'articolo 38 del decreto legislativo 165 del 2001. Lì c'è scritto che i cittadini dell'Ue

possono, sì, accedere alle amministrazioni pubbliche. Ma con l'eccezione di quelle che «non attengono alla

tutela dell'interesse nazionale». Ebbene, nella bocciatura del bando Franceschini, il Tar sostiene che i

cittadini stranieri non potevano essere ammessi alla selezione perché «nessuna norma derogatoria

consentiva al ministero dei Beni culturali di reclutare dirigenti al di fuori delle indicazioni, tassative,

espresse» da quel famoso articolo 38.

Proprio l'opposto di quanto affermato, due anni fa, da Carpentieri insieme a Mattarella, secondo cui quella

deroga esiste, ed è nel decreto legge 83 del 2014 sulla riforma dei musei statali. Dove l'articolo 2-bis

prevede testualmente di «adeguare l'Italia agli standard internazionali in materia di musei». Ciò basta,

scrive Carpentieri, per rappresentare «un'eccezione alla disciplina italiana come stabilita dall'articolo 38 del

decreto legislativo 165 del 2001». La deroga, in sostanza, eccola qui. Ma i giudici del Tar contestano

l'interpretazione del consigliere di Stato, con la motivazione che «se il legislatore avesse voluto estendere

la platea» agli stranieri «lo avrebbe detto chiaramente».

E per pietà dei lettori, nonché carità di patria (sempre la patria del diritto, ovvio, anche se non proprio della

sua certezza), ci fermiamo qui.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 48

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Foto: Il consigliere di Stato

Foto: Il Tar del Lazio

Foto: A confronto I giudizi sulle nomine

di stranieri

a capo di musei italiani: a sinistra, la nota dei capi degli uffici legislativi del ministro della Semplifi-cazione e

del ministero dei Beni culturali (il consigliere di Stato Paolo Carpentieri); a fianco, quello del Tar del Lazio

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 49

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La storia Risorge la fabbrica dell'oro bianco Per iniziativa di Fai ed Eni ristrutturate (e aperte al pubblico) le Saline Conti Vecchi, in Sardegna. Un ritornoal sogno del fondatore Alberto Pinna CAGLIARI «Promuove l'amore per l'ambiente, vigila sulla tutela dei beni paesaggistici, cura in Italia luoghi

speciali...», è scritto nella carta fondativa del Fai. E accostare il Fondo Ambiente Italiano all'Eni può

apparire come mettere insieme acqua santa e diavolo. Invece da ieri le Saline Conti Vecchi ad Assemini -

fra le più grandi d'Europa - sono un esempio, rarissimo, di un luogo di produzione industriale che convive

con la natura. Aperto da subito al pubblico, con percorsi guidati, suggeriti o liberi fra chiuse, argini, enormi

montagne di «oro bianco» e stormi di fenicotteri rosa.

Le Saline sono un sito speciale. Tutto ciò che l'uomo ha costruito intorno alla laguna di Santa Gilla (più di 5

mila ettari) è il contrario di ciò che aveva sognato il fondatore, Luigi Conti Vecchi. Generale dell'Esercito,

finita la Grande Guerra, a 70 anni si presentò al governo con un progetto ardito: bonificare lo stagno,

sconvolto dalle inondazioni, impiantando una fabbrica di sale. Quel «pazzo visionario» riuscì ad avere dallo

Stato 2,5 milioni di lire e la concessione per 90 anni di 2.700 ettari, terreni e stagni. Le Saline cominciarono

a produrre nel 1931, il generale morì qualche anno prima e scrisse nel testamento che aveva concepito il

suo progetto perché «gli uomini vivessero secondo natura».

Ma dopo gli anni d'oro (500 addetti, mille stagionali, un villaggio modello intorno alla fabbrica con case e

servizi d'avanguardia per gli operai) la decadenza e verso il 1960 l'era del «dio petrolio». Lo stagno di

Santa Gilla è diventato uno dei simboli, assieme a Porto Torres e Ottana, di uno sviluppo senza controlli,

con spreco di denaro elargito ad «avventurieri predatori di soldi pubblici e ambiente», parole del presidente

della Regione Sardegna Francesco Pigliaru. A Santa Gilla «la Sir di Rovelli ha inquinato quanto poteva

inquinare», così Marco Magnifico, vicepresidente esecutivo del Fai. Rovelli ha anche «divorato» le Saline

Conti Vecchi, acquistandole nel 1974 per un pugno di denari per utilizzare la soda nelle produzioni

petrolchimiche del vicino stabilimento Sir Rumianca, poco tempo prima che il suo impero fosse travolto dai

debiti.

«Abbiamo investito 400 milioni in bonifiche per problemi creati da altri» ha voluto rimarcare l'amministratore

delegato di Eni Claudio De Scalzi, che per le Saline Conti Vecchi (controllate da Syndial, a sua volta

posseduta da Eni) ha tracciato un futuro ecosostenibile: ancora sale, oltre 400 mila tonnellate di produzione

annua, sempre più per uso alimentare e poi fotovoltaico e solare a concentrazione.

Sarebbe un ritorno al sogno del generale fondatore: mare e vento, il maestrale che asciuga l'acqua delle

chiuse, una «fabbrica» pulita. E anche sana, 50 milioni di fatturato e l'equilibrio di bilancio nel 2018. Il Fai

farà la sua parte: racconterà la storia (multimedialità, accesso a laboratori, officine, archivi, ricostruzione

degli edifici con arredi originali) di questa parte della Sardegna così diversa dallo stereotipo della Costa

Smeralda, farà vedere i fenicotteri e le altre 50 specie di uccelli che nidificano e svernano. E potrà mostrare

a chi visiterà le Saline ciminiere e giganteschi alambicchi delle «cattedrali del deserto» che hanno seminato

veleni nella laguna e forse, come accusa proprio in questi giorni la magistratura cagliaritana, continuano a

farlo.

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Foto: Com'erano

In questa foto d'epoca dell'archivio Conti Vecchi, i «carriolanti» alimentano

il nastro trasportatore alle Saline Conti Vecchi, entrate in esercizio nel 1931. Lo stabilimento si estendeva

su una superficie di 2.700 ettari nel territorio

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di Assemini. Si potrà visitare 10 mesi all'anno

Foto: Ieri (a sinistra) e oggi: le vecchie saline di Assemini tornano a nuova vita. Le Saline Conti Vecchi,

entrate in esercizio nel 1931, si estendono su una superficie di 2.700 ettari nei Comuni di Assemini,

Capoterra e Cagliari: Eni (la proprietà) e Fai le rendono visitabili a tutti, a partire da domani per dieci mesi

all'anno

Foto: Oggi Un'immagine attuale delle Saline Conti Vecchi di Assemini

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 51

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I laureati sognano il magazzino hi-tech A Vercelli in coda tra i 5 mila candidati per un posto di lavoro nel nuovo polo del colosso Amazon testi a cura di Marco Bardesono VERCELLI In coda per un posto di lavoro nel nuovo polo di distribuzione Amazon di Vercelli. Per due giorni

gli addetti alla selezione di Manpower e Adecco hanno raccolto candidature e sottoposto a colloquio più di

cinquemila persone. Prima sotto i gazebo in piazza Cavour, poi presso il centro d'incontro di San Pietro

Martire. Amazon assumerà seicento persone a tempo indeterminato (previsto entro un anno il raddoppio

dei dipendenti) per diverse funzioni.

Per i posti da magazziniere la ricerca è rivolta, spiega la multinazionale, a persone «senza un particolare

titolo di studio, ma che garantiscano la disponibilità a lavorare su turni e ad effettuare eventuali

straordinari». Specialistiche, invece, le altre figure professionali richieste. I requisiti sono: «Diploma o

laurea; conoscenza della lingua inglese; conoscenza dei principali sistemi informatici; capacità di lavorare

in gruppo». Ma le persone che si sono presentate alla selezione, giovani e meno giovani provenienti da

tutto il Piemonte, se laureate si sono comunque candidate per entrambe le posizioni.

Proseguono, intanto, i lavori per il magazzino da 100 mila metri quadri che il colosso statunitense sta

costruendo a Larizzate, nelle campagne vercellesi.

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Stefano, 24 anni «Non temo la gavetta Appena finiti gli studi ho già un'occasione»

Fresco di laurea, in Economia, 24 anni, buona conoscenza dell'inglese e tanta voglia di fare e di misurarsi

in una grande azienda, «che mi offra la possibilità di confrontarmi con molte persone, che mi dia

l'opportunità di conoscere altre realtà». Per Stefano Fiorentino, Amazon significa anche questo: «Se mi

assumeranno - dice -, sarà la mia prima esperienza professionale seria. Oggi a Vercelli non credo si possa

puntare ad altro. Mi interessa l'ambito internazionale, lavorare per una società presente in tutto il mondo».

Con la prospettiva di poter viaggiare per i 5 continenti: «Mi piacerebbe molto, ma ovviamente non lo posso

pretendere. Se mi impegnerò sono certo che sarò premiato. Sono convinto che ad Amazon si faccia

carriera in base alla meritocrazia. Magazziniere? Si comincia così. La gavetta la devono fare tutti e a me

non fa paura. L'ho anche detto nel colloquio, mi hanno rivolto domante precise, specifiche e ne sono uscito

ottimista. Ora non mi resta che attendere». Stefano si ritiene una persona fortunata: «Terminare gli studi e

poter aspirare subito a un posto in una multinazionale, di questi tempi e in questi luoghi, è un po' come fare

un terno al Lotto». Infine una confidenza: «Prima di venire qui, sono andato a vedere il luogo dove Amazon

sta facendo i lavori, così, per ambientarmi un po'».

© RIPRODUZIONE RISERVATA Melissa, 35 anni «Qui c'erano solo risaie Ora è arrivata l'America e io

aspiro a una carriera»

Melissa Vair ha 35 anni e una laurea in Scienze politiche, conosce l'inglese e ha sempre lavorato in piccole

ditte della sua città e nella scuola. Amazon per lei rappresenta l'occasione della vita: «Non mi sembra vero

di potermi candidare per un ruolo in una grande multinazio-nale. Di aspirare a una carriera autentica. Per

questo sono venuta a presentarmi e a sostenere il colloquio che mi sembra sia andato bene, almeno lo

spero». Ora Melissa vede a portata di mano ciò che per lei è sempre stato un sogno: «È vero, un sogno

che avevo abbandonato già da tempo. Chi non ha mai potuto o voluto lasciare questi luoghi e non ha avuto

la possibilità di accedere a un posto pubblico, si è sempre barcamenato tra piccole aziende o esercizi

commerciali a conduzione famigliare. Ogni lavoro è dignitoso, ma un ruolo in un'organizzazione come

Amazon è tutta un'altra cosa, e non importa se avrò la possibilità d'entrarci solo dalla porta di servizio,

cominciando dal primo gradino. Non temo di sporcarmi le mani e desidero essere giudicata per il mio

impegno e la mia dedizione. Per il Vercellese Amazon è una grande opportunità, specie per noi donne. Qui

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 52

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un tempo l'unica prospettiva era la risaia. Per chi ha studiato, tranne poche eccezioni, l'unica possibilità

finora è stata quella di andare via. Ma ora l'America è venuta qui, speriamo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA Alessandro, 30 anni «Non vedo raccomandati, qui conta cosa sai fare

Lascio il vecchio impiego»

Alessandro Romoli, ha 30 anni, viene dalla vicina Alice Castello e un lavoro ce l'ha: «Ma credo si debba

crescere». In Amazon si è candidato per posizioni specialistiche, «anche se sono disposto a cominciare

come magazziniere. Per me ciò che conta è la prospettiva, quella che la multinazionale americana può

offrire». La laurea per Alessandro è ormai un ricordo lontano, «e nel mio impiego attuale non ho possibilità

di crescita e di carriera. Lo stipendio per ora non è la prima preoccupazione: 1.100, 1.200 euro al mese uno

se li può far bastare se l'azienda ha un futuro, se c'è una prospettiva. Ho spiegato questo mio punto di vista

durante il colloquio e mi hanno confermato che in Amazon c'è la possibilità di crescere e che nei magazzini

di Vercelli, dopo le prime 600 assunzioni, ce ne saranno altrettante entro uno o due anni», Alessandro è

rimasto impressionato dal colloquio di selezione: «Domande a tutto campo, per conoscere chi si ha di

fronte, approfondimenti sugli studi svolti, sul lavoro attuale, sulle motivazioni a cambiare. Non è stato

trascurato nulla e poi qui non ci sono raccomandati, ognuno va avanti soltanto grazie a quello che sa fare.

Penso che la presenza della multinazionale nel Vercellese sia davvero una grande opportunità. Non a caso

ho notato che si è fatto vedere anche il sindaco di Vercelli».

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L'aziendaAmazon è un'azienda di commercio elettronico con sede a Seattle, nello stato di Washington (Stati Uniti)

Negli anni Novanta

è stata tra le prime grandi imprese

a vendere prodotti

su Internet Fondata

con il nome di Cadabra.com da Jeff Bezos nel 1994

e lanciata

nel 1995, Amazon.com ha cominciato come libreria online,

ma presto

ha allargato

la gamma

dei prodotti venduti a Dvd, Cd musicali, software, videogiochi, prodotti elettronici, abbigliamento, mobilia,

cibo, giocattoli

e altro ancora In Europa

il colosso mondiale dell'e-commerce dispone oggi di 31 magazzini. In l'Italia la piattaforma

amazon.it

è approdata ufficialmente

il 18 novembre del 2010

Vorrei misurarmi con un grande gruppoe viaggiare Se saprò dimostrare che valgo sarò premiatoFoto: Economia Stefano Fiorentino, 24 anni

Chi ha studiato finora poteva solo andare altrove Non ho paura di partire dal gradino

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 53

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più bassoFoto: Scienze politiche Melissa Vair,

35 anni

Dove sono ora non ho possibilità di crescere Pochi soldi? All'inizio te li fai bastare se l'azienda cheti assume ha un futuroFoto: ln attesa Ales-sandro Romoli (foto Anselmo Martignoni)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 54

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Ilva a Mittal-Marcegaglia-Intesa La scelta dei tre commissari La proposta all'esame di Calenda. L'acquisto per 1,8 miliardi, fino a 4 con gli investimenti Michelangelo Borrillo «Il consorzio Am Investco con Marcegaglia costituisce il miglior partner per l'Ilva». Lakshmi Mittal, uno degli

uomini più ricchi del mondo, lo ripeteva dalla presentazione dell'offerta, a inizio marzo. Ma era di parte. Alla

stessa conclusione, però, sono arrivati anche i tre commissari straordinari dell'Ilva, Piero Gnudi, Corrado

Carrubba ed Enrico Laghi: l'offerta di Am Investco (85% ArcelorMittal, 15% Marcegaglia in attesa che si

aggreghi al consorzio Intesa Sanpaolo con una quota del 5-10%) è risultata, dopo la loro valutazione,

migliore di quella di AcciaItalia (Jindal South West, Cassa depositi e prestiti, Delfin e Arvedi). L'offerta

complessiva non si limita al prezzo, ma comprende anche gli investimenti per il piano industriale e per il

programma di risanamento ambientale: ArcelorMittal ha superato la cordata concorrente, nella valutazione

dei commissari, mettendo sul piatto 1,8 miliardi più 2,5 miliardi di investimenti, di cui uno per la copertura

dei parchi minerali e per gli investimenti ambientali e 1,5 miliardi per impianti, Altoforno 5 compreso. Circa 4

miliardi complessivi che, però, sono stati preferiti agli altrettanti, ma diversamente ripartiti, della cordata

concorrente: 1,2 miliardi il prezzo e 3 gli investimenti.

La decisione definitiva sulla cessione di Ilva spetta, però, al ministero dello Sviluppo economico che sancirà

la scelta con un decreto. Poi scatterà un periodo di 30 giorni per verificare la rispondenza del piano

ambientale alle indicazioni del ministero dell'Ambiente, che entro settembre emetterà un decreto. Per

intanto il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha convocato, per il 30 maggio prossimo, i

segretari generali di Fim, Fiom e Uilm, Ugl Metalmeccanici, Cgil, Cisl e Uil per «comunicare lo stato di

attuazione della procedura relativa alla cessione degli impianti». Il ministro Calenda - ha spiegato Rocco

Palombella, segretario generale della Uilm - ha garantito ai sindacati la possibilità di esprimere un parere,

se pure non vincolante, sui piani industriali e ambientali per il risanamento dell'Ilva presentati dalle cordate,

prima dell'emanazione del decreto di assegnazione che sarà firmato dal ministro». Il confronto con i

sindacati sarà uno dei momenti decisivi dell'operazione che riporterà in mani private il gruppo siderurgico,

oggi in amministrazione straordinaria, con quasi 14 mila dipendenti (circa 11 mila solo a Taranto) di cui

3.300 in cassa integrazione: sul fronte occupazionale, infatti, nessuna delle due cordate ha esplicitamente

definito il livello sostenibile, ma lo ha sempre rapportato alle quantità di acciaio che si riusciranno a

produrre. Il piano di Am Investco prevede in una prima fase la produzione di 6 milioni di tonnellate di acciaio

a carbone e 4 con bramme e nella seconda 8 più 2. Di sicuro ArcelorMittal ha sempre escluso la cosiddetta

decarbonizzazione - con forni elettrici e preridotto - proposta da Jindal, che tanto piace al presidente della

Regione Puglia Michele Emiliano: ma troppo costosa, per la multinazionale con sede in Lussemburgo, da

adottare in Europa, laddove è situato il cuore di Arcelor. Circostanza, la forte presenza in Europa, che

potrebbe portare a problemi di antitrust, sebbene ArcelorMittal abbia sempre escluso che l'acquisizione di

Ilva possa far superare i limiti di Bruxelles. Nel caso l'Italia non sarà toccata. Se non ci saranno problemi, il

via libera arriverà entro 25 giorni lavorativi dalla notifica. Se il caso dovesse essere più complicato,

scatterebbe una fase più lunga.

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24,6 Arcelor Mittal Jindal SouthWest miliardi di euro all'Euronext Amsterdam 8,4 miliardi di dollari al Nse di

Mumbai 56,8 miliardi di dollari tutti dall'acciaio 8,6 miliardi di dollari di cui 6,8 dall'acciaio 6,3 miliardi di

dollari tutti dall'acciaio 1,7 miliardi di dollari di cui 1 dall'acciaio 90,8 miliardi tonnellate all'anno 18 miliardi

tonnellate all'anno 199 le migliaia di lavoratori in tutto il gruppo 40 le migliaia di lavoratori in tutto il gruppo

Valore dell'azienda Fatturato 2016 Margine operativo lordo Produzione di acciaio Dipendenti I numeri dei

due contendenti Corriere della Sera Tn

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La storiaÈ cominciata cinque anni fa l'ultima fase della vicenda Ilva: dieci decreti per guidare la transizione

continuando a garantire produzione e occupazione. L'intricata vicenda è iniziata nel 2012 quando fu

ordinato il sequestro senza facoltà d'uso di alcuni impianti. Ieri i commissari hanno indicato la cordata

Arcelor Mittal-Marcegaglia come scelta migliore per la vendita 2,3 i miliardi

messi sul piatto per gli investimenti.

In totale l'offerta arriva a 4 miliardi

di euro

Foto: L'Ilva è passata definitivamente allo Stato nel 2015 con la richiesta di amministrazio-ne straordinaria e

la nomina, da parte del Ministro dello Sviluppo Economico, di tre commissari.

Nel 2016 il bando per gli asset aziendali

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La compagnia Sciopero Alitalia, piano straordinario per ridurre i disagi dei passeggeri Francesco Di Frischia Prosegue il piano straordinario attivato da Alitalia per ridurre al massimo i disagi per lo sciopero di domani,

potenziando pure i voli su Catania in occasione del G7. Intanto il Tribunale di Civitavecchia ha accolto

l'istanza presentata dall'aviolinea per reintegrare le quote variabili dello stipendio, maturate per l'attività di

volo a aprile, che erano state congelate in seguito all'avvio dell'amministrazione straordinaria il 2 maggio: gli

emolumenti verranno corrisposti con la busta paga di giugno. Sempre dal punto di vista salariale, però, c'è

anche un'altra buona notizia per i dipendenti della compagnia: «Alitalia si appresta a dare anticipazione del

trattamento base di cassa integrazione», spiega il segretario nazionale della Filt Cgil, Nino Cortorillo. Infatti

l'azienda ha avviato la procedura di Cigs, che in questa prima fase riguarda 1.358 dipendenti (dei quali 190

piloti, 340 assistenti di volo e 828 dipendenti di terra). Ieri nella sua sede di Fiumicino, la compagnia ha

incontrato i sindacati per una prima consultazione. Il prossimo passaggio a inizio giugno sarà al Ministro del

Lavoro, come ha chiesto la stessa Alitalia. La protesta di domani è stata indetta da alcune sigle sindacali

dei controllori di volo Enav dalle 13 alle 17 e da alcune organizzazioni sindacali del personale Alitalia (Cub

Trasporti, Usb, Confael e Assovolo) dalle 10 alle 18.

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Foto: Il commissario

Luigi Gubitosi

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Lo scenario Opzione maxi taglio dei costi per il via libera al salvataggio Nella trattativa con Bruxelles coinvolto anche il premier Gentiloni Federico Fubini Il solo modo di evitare un traumatico fallimento di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, in base alle

trattative in corso, sembra ormai un taglio dei costi più profondo di quanto delineato fin qui. Le due banche,

che lavorano alla fusione, nel complesso hanno 11.600 dipendenti e il piano attuale prevede che ne escano

poco più del 20%. Ma il salvataggio con una ricapitalizzazione pubblica «precauzionale» sembra praticabile

solo se la quota di lavoratori in esubero aumenterà, forse fino a raddoppiare, in modo da far salire - in teoria

- la redditività dalla nuova azienda destinata a nascere dall'aggregazione.

Diverse persone a conoscenza delle discussioni concordano su un punto: solo se le due banche

tagliassero i costi più a fondo, si ridurrebbero le perdite prevedibili nel futuro prossimo e diventerebbe

dunque possibile una ricapitalizzazione pubblica. In base a un'interpretazione alla lettera della legge

europea, l'intervento del governo è infatti possibile a scopo «precauzionale» - senza passare da un

fallimento traumatico - solo per rafforzare una banca in caso di choc futuri. Non per ripianare perdite

passate o già in arrivo.

Per la Popolare di Vicenza e Veneto Banca lo spazio di una forte riduzione dei costi sicuramente non

manca. Entrambe hanno circa metà del personale concentrato in sedi centrali situate a poche decine di

chilometri l'una dall'altra, e molti sportelli obsoleti e sovrapposti negli stessi territori. Se però si arrivasse a

tagli più incisivi, discussi in queste ore fra Bruxelles e Roma con il coinvolgimento diretto del premier Paolo

Gentiloni, è anche perché questa è la sola scelta in grado di conciliare le logiche di ciascuno dei

protagonisti: il governo italiano, la Commissione Ue che controlla gli aiuti di Stato, la Banca centrale

europea che vigila sulla stabilità degli istituti, e il Consiglio unico di risoluzione chiamato a decidere quando

staccare la spina a una banca in dissesto, imponendo perdite su azionisti, creditori e depositanti.

Nella vicenda delle due banche venete, ciascuno di questi attori ha seguito fin qui una propria logica interna

poco compatibile con quelle degli altri. La Bce, che dovrebbe rispondere dell'eventuale dissesto della banca

nata dalla fusione di Vicenza e Veneto, mira solo alla stabilità finanziaria: per questo chiede la pulizia

immediata dei bilanci con la cessione crediti in default per il valore teorico di circa 9 miliardi di euro, più un

forte aumento di capitale per ripianare le perdite che ne derivano e per costituire un patrimonio ben al di

sopra i requisiti minimi regolatori; ma proprio i tempi stretti imposti dalla Bce nella vendita dei prestiti di

cattiva qualità ne deprimono i prezzi, fanno salire le perdite e dunque aumentano il fabbisogno di capitale.

La Commissione Ue segue una logica diversa, perché cerca di ridurre le dimensioni degli aiuti di Stato sui

quali vigila. Dunque mentre la Bce chiede più capitale, la Commissione ne vuole meno se questo è

pubblico. Per un mese e mezzo, sembrava soddisfatta da un'operazione di risanamento delle due banche

venete da 6,4 miliardi dei quali circa 1,5 trovati tagliando il valore delle obbligazioni più a rischio; il resto

sarebbe venuto dal governo. Poi ha cambiato rotta: ha chiesto che le perdite pregresse e prevedibili, quelle

legate alla vendita dei crediti in default, siano coperte dagli azionisti privati. Prima che parta l'aiuto di Stato

toccherebbe dunque al fondo Atlante, partecipato da tutte le banche italiane, le quali però rifiutano di

perdere altri soldi in Veneto e Vicenza.

La svolta della Commissione Ue si spiegherebbe con la pressione di Elke König, la tedesca che guida il

Consiglio di risoluzione di Bruxelles. Se infatti venissero aggirate le norme che limitano severamente gli

aiuti di Stato alle banche e ne prevedono la liquidazione immediata («risoluzione»), la sua autorità non

sarebbe più credibile. Il problema è poi esacerbato dal governo italiano, che continua a evitare misure che

accelerino con efficacia il recupero delle garanzie dei casi di insolvenza. Quelle norme farebbero salire il

valore dei crediti in default e ridurrebbe molto le perdite «prevedibili» di Vicenza e Veneto. Ma sarebbero

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 58

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impopolari fra imprese e famiglie indebitate, dunque non succede niente.

Così il compromesso può arrivare solo da un drammatico taglio dei costi, il dimezzamento di fatto della

capacità delle due banche di operare. Esso in teoria permetterebbe a tutti di salvare la faccia sostenendo

che così si riducono le perdite attese: quasi una foglia di fico in vista della scomparsa, nei prossimi anni, di

due banche ormai senza mercato.

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20% Il piano di fusione tra le Popolare di Vicenza e Veneto Banca prevede il taglio di poco più del 20%

degli 11.600 dipendenti

La vicendaElke Koenig, di nazionalità tedesca, è stata presidente della BaFin, la Consob tedesca, dal 2012 all'autunno

del 2014 Da dicembre 2014 riveste la carica di presidente del Single Resolution Board, il Consiglio di

risoluzione di Bruxelles che ha il compito di limitare le ricadute delle crisi bancarie

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 59

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Le banche venete: siamo nelle mani del governo Le parole di Mion. E Viola: auspico tempi brevi, ma niente previsioni. Popolare Vicenza e Veneto Banca: iconsigli guardano ad Atlante per l'aumento. Ma Guzzetti: dalle Fondazioni neanche più un euro Stefano Righi MILANO Ci sono volute le riunioni straordinarie dei consigli di amministrazione per placare le acque e fare

chiarezza sul futuro prossimo della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca.

Le due ex popolari sono al centro di una crisi che non trova soluzione e che alimenta, nell'incertezza, una

serie di voci spesso incontrollate. A definire l'infondatezza dei rumors che volevano Fabrizio Viola,

amministratore delegato della Vicenza e consigliere della Veneto, prossimo alle dimissioni ci ha pensato

Gianni Mion, il presidente dell'istituto berico: «Non c'è nulla di vero», ha tuonato ieri, sottolineando come le

due banche siano allineate con il ministro Padoan. «Siamo nelle sue mani - ha detto Mion -. Ci ha chiesto

fiducia e non vi sono ragioni per dubitarne. Il ministro ci sta seguendo con grande attenzione e ci rimettiamo

a lui».

Il nodo è ricapitalizzazione preventiva da 6,6 miliardi di euro che serve ai due istituti. Il governo dovrebbe

concorrere con 3,7 miliardi, il resto dovrebbe arrivare dai privati: 900 milioni dal conto futuri aumenti già

versato da Atlante; circa 1 miliardo dai subordinati. Resterebbe scoperta una cifra vicina al miliardo di euro

da trovare tra i privati, secondo le prescrizioni della Commissaria europea alla Concorrenza, Margrethe

Vestager, anche se ieri il presidente della Veneto, Massimo Lanza, ha sollevato un dubbio: «non abbiamo

ricevuto alcuna richiesta ufficiale», ha detto al termine del cda. Ma dove trovare i mille milioni mancanti? Il

territorio nordestino ha già visto distruggere oltre 11 miliardi di risparmi trasformati in azioni il cui valore si è

polverizzato. E il Fondo Atlante, di Quaestio sgr, ha bruciato la propria dotazione. «Le fondazioni hanno già

dato - ha ricordato Giuseppe Guzzetti, promotore di Atlante e presidente dell'Acri -. Non metteremo più un

euro». Linea condivisa dal presidente di Cariverona, Alessandro Mazzucco: la sua fondazione non

partecipò ad Atlante, ma ha «appena dato 40 milioni alla Popolare di Vicenza comprando una parte della

quota di Cattolica assicurazioni, avendo ben chiara la finalità di dare sostegno alla banca».

Nonostante la chiusura preventiva, dalle riunioni dei cda di ieri è uscito il duplice mandato a Viola e a

Carrus di sondare Atlante: è un iter chiaro, si torna dall'azionista principale (99%). Così diventa

determinante l'intervento del governo. «Stiamo lavorando - ha detto Viola, auspicando tempi brevi per una

soluzione - ma non posso fare previsioni».

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Chi sonoDall'alto

il ministro

Pier Carlo Padoan, la Commissaria Ue Margrethe Vestager e Fabrizio Viola

6,6 miliardi Il capitale totale necessario alle due banche venete3,7

miliardi

La quota che metterebbe la parte pubblica nelle banche

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 60

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INTERVISTA Fincantieri bono: basta lamenti L'Italia vince (ma all'estero) bono: basta lamenti L'Italia vince (ma all'estero) 8 Dario Di Vico F ai appena in tempo a girargli i complimenti per l'acquisizione del 66,6% della Stx Europe, operazione che

ha fatto della Fincantieri il campione europeo della cantieristica, che Giuseppe Bono ti coinvolge in una

riflessione ancora più ambiziosa: le strategie dell'Europa industriale. «Abbiamo fatto quello che si dovrebbe

mettere in atto in tanti altri settori. Per reggere l'urto della competizione con americani e asiatici dobbiamo

consolidare, non c'è altra strada. È possibile, ad esempio, che in Europa ci siano in attività 68 compagnie

telefoniche mentre gli Usa e la Cina ne hanno tre ciascuno?».

La politica della concorrenza è stato uno dei capisaldi dell'europeismo. L'Antitrust ha giocato un ruolo

importante nella costruzione comunitaria, lo mandiamo in soffitta?

« Sono d'accordo con lei, ma parliamo di concetti giusti per quel tempo. Guardi che anche nella

cantieristica abbiamo in Europa un competitor tedesco, fortissimo. La concorrenza c'è. E poi bisogna

guardare ai singoli mercati: le navi di cui parliamo costano un miliardo e ad esercitare il massimo potere

negoziale sono gli armatori, non chi le realizza materialmente. E allora dico che, saltato il trattato di libero

scambio con gli Usa, dobbiamo darci una strategia alternativa. Servono dei campioni europei e non penso

che vadano creati con decisioni politiche top down, devono formarsi sul mercato. E del resto nell'auto con

Opel-Peugeot non è successo proprio questo?».

In quali settori bisognerebbe applicare questa ricetta?

«Se avessimo consolidato l'industria della difesa a metà degli anni '90, oggi per la politica dotarsi di una

strategia comune della sicurezza sarebbe molto più facile. Una politica industriale delle imprese avrebbe

tolto le castagne dal fuoco agli Stati. Per questo a proposito della nostra strategia nella cantieristica mi

piace parlare di Airbus del mare».

E se i governi si mettono per traverso per malinteso patriottismo economico? Lei non teme che il

neopresidente Macron possa avere idee diverse sul futuro dei cantieri di St.Nazaire che avete acquisito?

«Con il presidente Macron avevo avuto occasione di parlare quando era ministro dell'Economia e so in

generale come la pensa. Sono tranquillo. Lo Stato francese ha un diritto di prelazione su Stx, e credo che

entro i 60 giorni previsti non lo eserciterà. Non dimentichi che abbiamo già condiviso con i francesi il piano

industriale e gli accordi che regolano la governance».

Il consolidamento europeo che lei auspica serve solo a fare economie di scala come nel Novecento?

«Non solo. Il business globale è cambiato e oggi serve una capacità distributiva che sappia rispondere sia

alla grandi commesse sia al consumatore finale. Le multinazionali alla lunga non possono avere la taglia

medium, o diventano large oppure restano comprimari».

Le sue opinioni possono causare qualche brivido in Italia. La Fincantieri è un'azienda-sistema, legata al

territorio, il timore che diventi una multinazionale come le altre può destare preoccupazioni.

« Non nego affatto il radicamento, anzi ho compreso persino la battaglia dei francesi che difendevano la Stx

come azienda simbolo. Noi esportiamo circa l'85%, ma i nostri occupati in Italia, dove abbiamo 8 cantieri,

sono il 41% della forza lavoro complessiva. Diventare globalizzati non significa perdere il contatto con i

territori anche perché possono fare la differenza: parlo delle attività del retrocantiere, l'indotto che dà vita

all'allestimento della nave. Si tratta di centrali elettriche, teatri, piscine, arredamenti e via di questo passo.

Una nave da crociera è una città viaggiante che può trasportare fino a 7-8 mila persone e Fincantieri si sta

attrezzando per far valere la qualità del manifatturiero italiano. Una nostra nave deve avere il meglio del

made in Italy, addirittura la qualità artigianale. E contando che i cinesi non hanno supply chain voglio

replicare tutto ciò anche in Asia».

29/05/2017Pag. 1 N.20 - 29 maggio 2017

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 61

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Il prossimo passo la porterà a produrre in Cina?

«Stiamo definendo una joint venture con loro e a febbraio abbiamo firmato un primo ordine per 2 navi, più 4

in opzione, da realizzare sul posto. Per ora le società crocieristiche comprano navi fabbricate in Europa da

destinare al loro mercato, ma entro il 2030 il governo di Pechino prevede 8-10 milioni di passeggeri e

bisognerà produrre per forza in Cina, perché i cantieri europei saranno impegnati a soddisfare la domanda

occidentale. E allora chiameremo i nostri fornitori per portare in Asia la loro sapienza».

Si dice che Fincantieri è un'azienda-sistema che opera in un business con volumi molto alti, ma in cui non

si faranno mai grandi margini.

«La finanza viaggia alla velocità della luce, mentre l'economia reale ha bisogno di tempi più lunghi. In

questa fase però l'aumento della domanda di nuove navi accresce il nostro potere negoziale e possiamo

quindi spuntare prezzi migliori. All'investitore, peraltro, diamo una visibilità di lungo periodo: abbiamo

commesse per i prossimi 10 anni per complessivi 24 miliardi, 36 se contiamo anche Stx, e prevediamo di

arrivare a 40 entro fine anno. Quante aziende sono sicure di esserci ancora tra due lustri?».

Nel vostro portafoglio prodotti il militare resta residuale?

«Affatto. Gli americani non costruiscono navi di taglia media, noi sì. Abbiamo comprato un cantiere nella

regione dei Grandi Laghi e anche nel grande accordo di pochi giorni fa tra il presidente Trump e l'Arabia

Saudita c'è una commessa per 4 Littoral Combat Ship, che realizziamo in Wisconsin. E poi l'acquisizione di

Stx ci consente anche sinergie con i francesi attraverso Dcns, con cui collaboriamo da anni. Lavorare con

loro ci rafforza in vista dell'auspicato consolidamento dell'industria della difesa europea».

Il vostro è un business labour intensive e vi siete trovati negli anni a gestire relazioni industriali che definire

burrascose è un eufemismo.

«Sarò esplicito: non ci possiamo permettere un sindacato antagonista. Nel 2009 volli sfidarlo rinnovando il

contratto integrativo e legando parte del salario alla produttività, ma non eravamo pronti né noi né loro, ed è

stato un mezzo fallimento. Ora le cose stanno cambiando. Sono arrivato a disdettare l'accordo e a non

pagare i premi per un anno, fino a quando ci siamo risieduti al tavolo. Alla fine abbiamo raggiunto un'intesa

innovativa recuperando parte dei premi con il welfare aziendale, vero elemento di coesione. Non sono

nemico delle confederazioni, dico solo che abbiamo bisogno di un altro sindacato, diverso dal passato. A

Monfalcone su 1.500 occupati diretti 850 sono operai, ai quali si aggiungono 5-6 mila indiretti che lavorano

principalmente all'allestimento delle navi: come facciamo a controllare che la qualità sia osservata, che i

processi produttivi rispettino i nostri standard? Abbiamo bisogno che i nostri dipendenti si sentano partecipi

della nostra avventura, guidino loro stessi il lavoro in fabbrica».

Si prende l'onere di proporre la partecipazione?

«Sì, intendo una partecipazione che parta dal basso e trovi conferme nella creazione del valore. Per

raggiungere questo obiettivo ci impegniamo a formare i lavoratori al meglio. Recentemente abbiamo

lanciato un progetto per l' assessment dei nostri operai e quelli delle ditte, e che interessa oltre 13 mila

lavoratori. È risultato che circa il 50% è adeguatamente professionalizzato, il 25% lo è in parte, mentre il

restante 25% ha bisogno di interventi formativi importanti, che vengono effettuati dal nostro personale

direttamente sui luoghi di lavoro. Bene, noi vogliamo che tutti crescano. Del resto sono un manager old

style, mi batto per portare a casa navi da costruire, ma credo fermamente nella cultura.Sono un acquirente

compulsivo di libri, anche se non riuscirò a leggerli tutti perché ci vorrebbero decenni. Continuerò

comunque a battermi nella speranza, o nella presunzione, di trovare la formula per conciliare la tecnologia

galoppante con la saggezza dell'umanesimo classico».

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di Dario Di Vico

Chi è

29/05/2017Pag. 1 N.20 - 29 maggio 2017

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 62

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Nato in Calabria nel 1944, Giuseppe Bono è laureato in Economia, è sposato e ha due figli. In

Finmeccanica dal 1993, dopo aver ricoperto la carica di direttore centrale pianificazione e controllo

amministrazione e finanza, nel 1997 diventa direttore generale e responsabile ad interim di Alenia Difesa e

Ansaldo. La nomina ad amministratore delegato e direttore generale del gruppo è dell'ottobre del 2000.

Bono manterrà questa carica fino all'aprile del 2002, quando viene nominato amministratore delegato di

Fincantieri. Nel 2006 gli viene conferita la laurea honoris causa in Ingegneria Navale dall'Università di

Genova

e nel 2014 è diventato Cavaliere del LavoroRipensamenti su Stx? Con Macron ho parlato e so come la

pensa Sono tranquillo I francesi non eserciteranno la prelazione

4,4 miliardi I ricavi 2016 di Fincantieri: per il 69,1% dalla produzione di navi da crociera, militari e off shore

30 Ordini di navi da crociera in portafoglio: comprese le 78 realizzate dal '90, è un terzo della flotta

mondiale. Un crocierista

su 3 viaggia Fincantieri 19.200 dipendenti Oltre 7.900 in Italia: gli ordini in essere garantiscono piena

occupazione nel settore cruise Le consegne arrivano al 2025

29/05/2017Pag. 1 N.20 - 29 maggio 2017

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 63

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Finanza Iniziative europee Ha dato il lavoro ai tedeschi ora è il turno della Francia Peter Hartz, l'uomo che ha permesso la piena occupazione in Germania, lancia un progetto in asse conMacron L'idea di un maxi piano per favorire l'impiego dei giovani. Per ora limitato a Parigi e Berlino, ma daestendere... Per tutta la Ue servono 215 miliardi da coprire con un fondo pubblico privato Maurizio Ferrera e Alexander Damiano Ricci «Non potrebbe esserci un progetto migliore di Europatriates sul quale trovare un accordo con il nuovo

presidente francese, Emmanuel Macron. Europatriates potrebbe diventare la scintilla di una nuova ondata

di europeismo».

Sono le parole pronunciate un paio di settimane fa, a Berlino, da Peter Hartz, ex-dirigente Volkswagen, ma

soprattutto ex-presidente della Commissione sulle riforme del mercato del lavoro tedesco, che ispirò, agli

inizi degli anni Duemila, il piano governativo «Agenda2010» dell'allora governo Schröder. Ma cos'è

esattamente Europatriates? E perché Macron è un interlocutore di Hartz?

Il progetto riguarda il lavoro dei giovani (vedi box), da promuovere attraverso nuovi strumenti e

metodologie. Le risorse necessarie si aggirerebbero intorno 40 mila euro a partecipante, tutto incluso. Una

cifra consistente. Che però riflette e quantifica lo svantaggio di cui soffrono oggi i giovani per i mancati

investimenti nell'istruzione, nella formazione, nelle politiche attive. Chi dovrebbe mettere a disposizione le

risorse? In parte, la Commissione europea, alla quale, tra le altre cose, Hartz non risparmia una stoccata:

«Ha il potere e gli strumenti necessari; ora ha a disposizione anche le idee».

Al di là degli obiettivi e dei contenuti di Europatriates, l'intervento di Hartz indica anche che il rinvigorimento

dell'asse Berlino-Parigi non passa soltanto dal canale intergovernativo. Peter Hartz intrattiene da tempo

legami con l'establishment francese. Nel novembre del 2014, l'ex presidente Volkswagen era stato ospite

del think tank francese «En temps réel», a Parigi, proprio per presentare Europatriates. In quella occasione

venne ricevuto da Hollande e si vociferò addirittura di un suo potenziale coinvolgimento nella progettazione

delle riforme francesi. Che poi però non si concretizzò. Sempre al 2014 risale il legame tra Macron e Hartz.

I due ebbero un incontro poco dopo la nomina del primo a ministro dell'Economia. In una intervista

successiva, Hartz confessò di essere rimasto impressionato dalla determinazione di Macron.

Il neo-presidente francese non è stato l'unico interlocutore di Hartz. Nel gennaio del 2015 vi fu infatti un

incontro con un esponente dell'Ump di Sarkozy (un partito che allora stava cambiando nome in Les

Republicains). Si trattava di Bruno Le Maire, attuale ministro dell'Economia nel nuovo governo di Édouard

Philippe.

Le cattive condizioni del mercato del lavoro sono uno dei principali handicap dell'economia francese. Lo ha

ribadito da poco la Commissione Ue nelle sue Raccomandazioni specifiche per Paese. Negli ultimi anni è

stato fatto più di un tentativo di cambiamento, ma senza grande successo. Macron intende riprovarci. E al

tempo stesso vuole modificare varie cose dell'agenda e della governance Ue. Per questo tuttavia occorre il

consenso della Germania. Molti politici tedeschi hanno storto il naso di fronte alle proposte di Parigi,

soprattutto i liberali e la destra dell'Unione cristiano sociale (Csu). Per aprire il dibattito sulle riforme Ue, la

Germania chiede una cosa precisa al nuovo inquilino dell'Eliseo: credibilità nelle riforme interne.

Le Maire ha già cercato di rassicurare Wolfgang Schäuble. In un recente incontro a Berlino, i due hanno

messo a punto un'agenda comune. Il ministro francese ha però espressamente dichiarato che la «Francia

rispetterà tutti gli impegni presi, alla lettera», a partire dai livelli di deficit pubblico .

Le parole di Le Maire bastano come garanzia? Forse. In caso contrario, potrebbe esserci posto per un

garante tedesco di livello, Peter Hartz appunto. Del resto, lui si è già detto disponibile. Sui temi del lavoro,

la coppia Merkron (Merkel e Macron) potrebbe trasformarsi in MacHartz. Se a beneficiarne fossero davvero

i giovani (possibilmente di tutti i Paesi), questo ménage à trois sarebbe più che benvenuto .

29/05/2017Pag. 4 N.20 - 29 maggio 2017

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La parola

«Agenda2010» è l'espressione con cui nel 2003 il cancelliere Gerhard Schröder avviò in Germania, con

Peter Hartz, una revisione dello stato sociale e la liberalizzazione dei servizi sul mercato del lavoro, che

hanno portato alla piena occupazione

Foto: Info Euvions è un osservatorio online sostenuto dallo European Research Council. Fornisce dati e

analisi sulla dimensione sociale Ue (www.euvisions.eu)

Foto: in Germania

Foto: della Francia

29/05/2017Pag. 4 N.20 - 29 maggio 2017

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 65

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Dossier i conti dei governi Processo all'austerità Prosciolta: non frena il Pil* Ci si perdono le elezioni, ha spalancato le porte ai populismi. Poi l'accusa più grave di tutte: non facrescere. Ma è andata davvero così in Europa nella Grande Crisi? Nei numeri di Veronica De Romanis tuttigli errori della vulgata anti rigore Antonio Polito «L o dico sempre ai miei colleghi in Europa: l'austerità come minimo porta sfortuna. Guardate cosa sta

succedendo a tutti i governi che si sono ispirati a una politica economica di tagli e rigore». Lo disse Matteo

Renzi nel marzo del 2016, e bisogna ammettere che da premier si è attenuto a questo principio: chi fa

l'austerità muore. Politicamente, perché perde le elezioni. E anche economicamente, perché il suo Paese

non crescerà. Ma siamo proprio sicuri che sia vero?

L'economista Veronica De Romanis è sicura del contrario. E bisogna ammettere che il suo libro, dal titolo

più che esplicito («L'austerità fa crescere. Quando il rigore è la soluzione»), qualche dubbio lo fa venire.

Perché l'autrice dimostra in maniera convincente tre fatti che contraddicono il mantra circolato ovunque in

questi anni in Europa: 1) non è vero che chi fa austerità poi perde le elezioni; 2) non è vero che è l'austerità

a produrre il populismo; 3) non è vero che l'austerità non fa crescere, semmai l'opposto.

Il paradosso di Tsipras e Costa

Il primo punto è presto detto. «Durante gli anni della crisi finanziaria, fra il 2008 e il 2015, otto governi della

Ue su un totale di ventotto sono stati rieletti (in Estonia, Finlandia, Germania, Lettonia, Olanda, Svezia,

Lussemburgo e Gran Bretagna) nonostante abbiano attuato considerevoli aggiustamenti di bilancio. Gli altri

sono stati mandati a casa e la sconfitta di due tra questi - Atene e Lisbona - è stata effettivamente

conseguenza delle misure di austerità adottate. Ma in entrambi i casi la battaglia anti-austerità dei nuovi

esecutivi sembra essere stata condotta più a parole che con i fatti». Tsipras alla fine ha dovuto attuare un

severo piano di rigore e oggi nei sondaggi è nettamente dietro il suo predecessore, Antonio Samaras, da lui

«definito alleato della Troika e uomo dell'austerità». E il premier portoghese Antonio Costa «ha ripreso nella

legge di stabilità 2017 la via del consolidamento fiscale con una discesa del disavanzo all'1,8%, in forte

calo rispetto al 4,4% del 2015». Insomma: ammesso che funzioni in campagna elettorale, l'anti-austerità di

certo non funziona per governare.

Seconda questione: è l'austerità la ragione del successo dei populisti? Se così fosse, si dovrebbe spiegare

perché il più keynesiano dei governi dell'Occidente, quello di Obama, è stato spazzato via dalla rivoluzione

di Trump. Poi si dovrebbe spiegare perché la Francia, nazione in cui «di austerità non c'è traccia, visto che

da quasi un decennio non rispetta le regole fiscali europee», abbia covato due tra i più forti movimenti

populisti di Europa, di destra (Fn) e di sinistra (Melenchon), e perché Macron abbia battuto la Le Pen pur

proponendo di attaccare il disavanzo dopo gli anni imbelli di Hollande. Infine bisognerebbe ricordare che

l'ascesa dei movimenti populisti in Europa precede di molto la crisi del debito e le politiche di austerità e

sembra piuttosto affondare le radici in altre cause, soprattutto l'immigrazione, la corruzione, la

disoccupazione giovanile.

D'altra parte in Italia, benché nei tre anni di Renzi di austerità non se ne sia vista, i Cinque Stelle hanno

vinto le amministrative mentre è stato il premier non austero a perdere il referendum. E qui arriviamo al

terzo punto: è l'austerità la causa della mancata crescita?

A guardare i dati non si direbbe. In Spagna, Gran Bretagna e Irlanda, Paesi in cui negli ultimi cinque anni la

spesa totale sul Pil si è notevolmente ridotta, la crescita nel 2016 è stata sostenuta e superiore alla media

europea (+3,2 in Spagna, +1,8 in Gran Bretagna, +5,2 in Irlanda), e la disoccupazione è scesa (anche se in

Spagna, pur essendo passata dal 21,4 al 19,6, è ancora sopra la media europea; ma in Gran Bretagna è

crollata al 4,8 e in Irlanda al 7,9). Il contrario è accaduto in Italia e Francia: nell'ultimo quinquennio è

aumentata la spesa sul Pil ma il tasso di crescita è notevolmente inferiore al resto d'Europa e la

29/05/2017Pag. 6 N.20 - 29 maggio 2017

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 66

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disoccupazione invece di calare è aumentata.

Da Monti a Renzi

Il caso italiano è controverso perché nei primi due anni di quel quinquennio il governo Monti, chiamato a

evitare il default, ha messo in atto «un pesante consolidamento fiscale». Ma fu fatto in condizioni di

emergenza e senza una maggioranza politica che lo sostenesse, e il governo tecnico non ebbe altra scelta

che ricorrere al genere dell'«austerità cattiva», per usare una definizione di Mario Draghi: e cioè composta

da troppe tasse, pochi tagli e poche riforme».

«L'analisi dei numeri rivela infatti che nel periodo 2011-2013 le spese non sono diminuite, anzi sono

aumentate in rapporto al Pil (del 3,4%)». L'unica voce di spesa tagliata è stata quella per gli investimenti

pubblici, con ulteriore danno alla crescita. Invece «dal lato delle entrate l'incremento è stato del 5,4% in

rapporto al Pil e la pressione fiscale è aumentata di oltre un punto e mezzo, passando dal 41,6% del 2011

al 43,6% del 2013».

C on Renzi c'è stata invece «una chiara inversione di tendenza»: il surplus primario strutturale, invece di

continuare a salire, è sceso al 2,5% del 2016, a riprova del fatto che il suo governo non ha adottato

interventi riconducibili all'austerità». Ciò nonostante i risultati sono stati molto deludenti perché i circa 30

miliardi di «maggiore spesa pubblica in disavanzo» (in particolare bonus e decontribuzione) non hanno

avuto l'effetto espansivo sperato; e i ben 19 miliardi di flessibilità concessi da Bruxelles sono stati «utilizzati

essenzialmente per finanziare spesa corrente», evitando le clausole di salvaguardia: si è trattato cioè di

«spesa di ieri finanziata con disavanzo di oggi da rimborsare con tasse di domani». L'unico risparmio è

dovuto esclusivamente alla minore spesa per gli interessi garantito dal Quantitative Easing della Banca

Centrale europea (dal 4,6% del Pil nel 2014 al 4% nel 2016). Se dunque oggi abbiamo più debito di tre anni

fa e un tasso di crescita che è metà di quello europeo, in un Paese dove ormai più della metà dei poveri

sono giovani fino a 34 anni, di sicuro non si deve all'austerità.

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Governi rieletti Negli anni della crisi finanziaria, fra il 2008 e il 2015,otto governi dell'Unione europea su un

totale di ventotto sono stati rieletti (in Estonia, Finlandia, Germania, Lettonia, Olanda, Svezia, Lussemburgo

e Gran Bretagna), nonostante abbiano attuato considerevoli aggiustamenti di bilancio Governi non rieletti

Sono 20 i governi mandati a casa negli anni della Grande Crisi nell'Europa a 28. Due casi, Atene e

Lisbona, sono direttamente riconducibili alle politiche di austerità adottate, negli altri le ragioni sono

molteplici. In Italia in questo periodo si sono succeduti il Berlusconi IV (maggio 2008-novembre 2011),

Monti (novembre 2011-aprile 2013), Letta (aprile 2013-febbraio 2014), Renzi (febbraio 2014-dicembre

2016) Governi che promettevano il ritorno a politiche fiscali espansive Gli elettori greci e portoghesi si sono

affidati a chi prometteva l'uso della spesa pubblica come leva per far ripartire la crescita. In Grecia Alexis

Tsipras, leader della sinistra radicale, ha preso il posto del conservatore Antonis Samaras, in Portogallo il

socialista Antonio Costa del socialdemocratico Pedro Passos Coelho. > 3 > 2 15 0,8 1,2 1,9 3,2 1,8 5,2 0,9

1,2 1,8 Spesa totale su Pil Pil 2015- Disoccupazione in % sulla popolazione attiva 2016 Pil 2016 0 10 20 30

40 50 60 Dove aumenta la spesa, il Pil non cresce e sale la disoccupazione

Foto: L'austerità «buona», nelle parole del presidente Bce, «prevede meno tasse e una spesa concentrata

su investimenti e infrastrutture»

Foto: Il suo partito Syriza

è nemico giurato dell'austerità; ma una volta al governo il primo ministro greco ha dovuto negoziare un

severo piano di rigore

Foto: L'ex presidente americano ha detto più volte che l'austerità ha bloccato l'Europa: «Non possiamo

continuare a guardare solo all'austerity come strategia»

Foto: Il premier portoghese era contro l'austerità

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in campagna elettorale; ma nella legge di Stabilità 2017 ha attuato una discesa

del disavanzo fino all'1,8%

Foto: «L'austerità fa crescere. Quando il rigore è la soluzione» (Marsilio) è l'ultimo libro di Veronica De

Romanis, economista, insegnante di politica economica europea alla Stanford University

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 68

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IL PUNTO Diciamocelo: il merito in Italia non va Daniele Manca P resi dalle grandi riforme che richiedono molto consenso, e spesso investimenti corposi, si perdono di

vista quelle azioni che non costano, ma che rendono molto in termini di modernizzazione del Paese. Non si

tratta soltanto della legge sulla concorrenza (bloccata per anni da innumerevoli lobby). Ma anche di una

scarsa attenzione al merito. C'è voluta una legge sulle quote rosa (o di gender come si preferisce e

sarebbe più giusto dire) per porre l'attenzione sul fatto che

le donne rimanevano fuori dai consigli di amministrazione delle società. O una riforma (che pian piano sta

svuotandosi, quella della «Buona scuola»), per affermare un principio all'apparenza scontato, e cioè che i

presidi negli istituti dovessero disporre di una minima autonomia organizzativa. Alla base c'è una sorta di

allergia del Paese al merito; a scegliere le persone più adatte per determinate funzioni. Al concetto di

responsabilizzazione, cioè l'avere coscienza che le proprie azioni (o non azioni) hanno conseguenze non

solo su di noi ma sulle comunità che ci circondano. Concetto particolarmente avverso alla burocrazia e ai

burocrati impegnati esclusivamente nel rispettare regole, non perché tutto funzioni meglio, ma

semplicemente per mettersi al riparo da eventuali contestazioni. Desta poca meraviglia, per questo, che

nella classifica 2017 stilata dal Forum della meritocrazia, il nostro Paese risulti essere quello dove il merito

ha meno considerazione in Europa. E che ne esca confermata la supremazia dei Paesi scandinavi e del

Nord Europa. Sono i pilastri sui quali si fonda la graduatoria a indicare i nostri limiti e possibili rimedi. Le

pari opportunità, la qualità del sistema educativo, l'attrattività per i talenti, la trasparenza, la mobilità sociale

e infine libertà e regole. Regole che significano rispetto dei diritti, sicurezza e giustizia efficiente.

Quell'ecosistema senza il quale l'economia gira con difficoltà e qualsiasi riforma è destinata al fallimento.

@daniele_manca

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 69

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Oggi il confronto al Consiglio competitività Il brevetto unico Ue cerca la ripartenza «schivando» la Brexit Chiara Bussi e Laura Cavestri Torna sotto i riflettori il brevetto unico europeo. Oggi al Consiglio Competitività a Bruxelles i 26 Paesi che

hanno aderito alla «cooperazione rafforzata» per un'unica protezione delle invenzioni verranno invitati a

scoprire le carte. L'obiettivo è accelerare i tempi di ratifica dell'Accordo sul Tribunale unificato dei brevetti,

ultimo tassello del puzzle. A complicare i giochi è però la Gran Bretagna: Londra ha deciso di aderire al

progetto nonostante i negoziati sulla Brexit ma non ha ancora completato l'iter di ratifica, indispensabile per

l'operatività.A detta del presidente dell'Epo Benoit Battistelli il decollo del brevetto potrebbe arrivare a

primavera 2018, ma restano numerose incognite. E proprio per non perdere altro tempo prezioso si puntaa

partire al più presto con la «fase 1» per mettere a punto la macchina organizzativa con la nomina dei giudici

della Corte unificata e il collaudo dei sistemi informatici. Servizio pagina9 pTorna alla ribalta il brevetto

unico europeo. Dopo mesi di attesee rinvii al Consiglio Ue Competitività di oggia Bruxellesi 26 Paesi che

hanno aderito alla "cooperazione rafforzata" per un'unica protezione delle invenzioni sul territorio europeo

saranno invitatia scoprire le carte. L'obiettivo è accelerarei tempi di ratifica dell'accordo per l'istituzione di un

Tribunale unificato dei brevetti, tassello indispensabile per completare un puzzle che sta molto a cuore al

mondo delle imprese, italiane ed europee. Una delle ipotesi allo studio è partire al più presto con la «fase

1» - forse già dopo l'estate - per mettere a punto la macchina organizzativa, con la nomina dei giudici e il

collaudo dei sistemi informatici. Mentre la «fase 2» con il decollo del brevetto unitario, come spiega al Sole

24 Ore il presidente dell'Epo, Benoît Battistelli, «potrebbe scattare nella primavera 2018». La cautela è però

d'obbligo, perché solo in seguito alle discussioni di oggi si potrà avere una maggiore chiarezza sulla

tempistica. A complicare i giochi è soprattutto la Gran Bretagna, che nonostante il divorzio dalla Ue ha

aderito al progetto del brevetto unitario. Lo stato delle ratifiche Nella riunione di oggi è prevista

un'informativa da parte della presidenza di turno maltese e delle delegazioni di Belgio, Svezia e

Lussemburgo con una fotografia aggiornata delle ratifiche. Per far partire il Tribunale unico dei brevetti ne

occorrono almeno 13, tra le quali quelle, indispensabili, di Germania, Francia e Gran Bretagna. Per ora in

12 (tra cui l'Italia) hanno ratificato e depositato il testo al Segretariato generale del Consiglio Ue, mentre

altri cinque (Germania, Lituania, Lettonia, Slovenia e Gran Bretagna) hanno ottenuto il via libera dei

parlamenti, ma non hanno ancora depositato il testo. A Londra il dossier ha subìto però un nuovo

rallentamento in seguito alla decisione della premier Theresa May di indire le elezioni anticipate il prossimo

8 giugno, mentre Berlino ha sempre dichiarato l'intenzione di essere l'ultimaa depositare la ratifica.

Mancano, poi, all'appello altri otto Paesi, mentre Spagnae Croazia non hanno aderito e la Polonia ha detto

sì alla protezione unica, ma non al Tribunale unico. Anche per questo il presidente di Epo, Battistelli- che

aveva cautamente previsto il possibile debutto del brevetto e delle relative corti entro quest'anno -, spiega

che «è solo una questione di volontà politica e che ormai si può considerare la primavera del 2018 come

potenziale periodo di entrata in vigore del nuovo brevetto unitario». In attesa di arrivare alle tredici ratifiche,

una delle ipotesi sul tavolo è quella di far entrare al più presto in vigore il cosiddetto «Protocollo

sull'applicazione anticipata dell'Accordo sul Tribunale unico dei brevetti» per partire con la macchina

organizzativae non trovarsi impreparati al mo­ mento del rilascio dei primi brevetti Ue. Questa soluzione è

condivisa anche dal governo italiano, che considera il nuovo sistema uno strumento essenziale per

sostenere l'innovazione e la competitività. Anche qui vale la regola del 13: tante, infatti, devono essere le

firme. Ma la strada appare percorribile, perché tra i nove che hanno siglato il Protocollo figura anche la

Gran Bretagna. Gli altri sono Italia, Francia, Belgio, Danimarca, Finlandia, Lussemburgo, Olanda e Svezia,

mentre tra i big manca ancora la firma tedesca. Il nodo britannico Più tortuosoè il cammino verso la «fase

2». Senza la ratifica britannica dell'accordo sul Tribunale unico il rilascio dei primi brevetti non potrà partire.

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Alcuni addetti ai lavori premono affinché Londra si adegui al più presto, perché c'è il rischio che il dossier

finisca sul tavolo delle più ampie trattative sulla Brexit per diventare eventuale "merce di scambio" od

"ostaggio" dei rispettivi veti. Nuovi problemi sorgeranno semmai in seguito, quando il Paese lascerà la Ue.

A quel punto ­ e i Paesi sostenitori della protezione unica ne sono ben consapevoli ­ per mantenere in vita il

brevetto occorrerà modificarne il Trattato istitutivo, ma questo aspetto appare per molti come "il male

minore". La Gran Bretagna, del resto, ha molto da guadagnare dall'adesione al progetto, a cominciare dal

Tribunale unico del brevetto di cui la sua capitale sarà, insiemea Monaco, una delle sezioni della sede

principale assegnataa Parigi. «Si tratta di una piena responsabilità squisitamente politica che dipende dalle

due parti al tavolo negoziale - ha precisato Battistelli - e non da Epo. Certamente dopo il voto su Brexit,

Londra ha costantemente sottolineato la sua volontà di finalizzare la ratifica». La Federazione delle

industrie tedesche (Bdi) sollecita invece a imboccare un'altra strada: «Non possiamo aspettare fino al 2019

per avviare il brevetto unico senza la Gran Bretagna. Suggeriamo un'applicazione preliminare del brevetto

negli altri Paesi, lasciando la porta aperta agli inglesi: continuiamo a credere che Londra debba aderire, ma

anche senza di loro il brevetto unicoè un grande vantaggio per le imprese europee». Il ruolo dell'Italia

L'Italia ha sottoscritto il Protocollo sull'applicazione anticipata lo scorso febbraio. Questo consente al nostro

Paese di avere voce in capitolo nella macchina organizzativa, compresa la nomina dei giudici del Tribunale

unico. Non solo: Roma ha anche ottenuto di avere una sede locale della Corte, che è già stata individuata

in via San Barnabaa Milano. Qui siederanno tre giudici (due italianie uno di altra nazionalità Ue)e le udienze

saranno in italiano. Un ultimo nodo da sciogliere resta l'assegnazione del personale amministrativo: 6­7

persone che dovranno essere distaccate dall'amministrazione pubblica peri sette anni di periodo transitorio.

L'IDENTIKIT Il brevetto unitario europeo Il brevetto europeo con effetto unitarioè un titolo di proprietà

industriale istituito nel dicembre 2012 da due Regolamenti europei (1257/2012e 1260/2012)e che entrerà in

vigore solo quando almeno 13 Stati membri dell'Unione europea (tra cuii tre Paesi dove si depositano più

brevetti europei, ovvero Germania, Franciae Gran Bretagna) ratificheranno l'accordo sul Tub, il Tribunale

unificato dei brevetti (regolamento 16351/2012) Il Tribunale peri brevetti Il Tribunale unificato dei brevettiè

un nuovo tribunale sovranazionale specializzato nelle controversie in materia di brevetti, sottoscritto da 25

Stati membri dell'Unione europea. Avrà un'ampia ed esclusiva competenza di tutelaa effetto unitario nei

casi di violazionee di convalida dei brevetti europei. Prevede l'istituzione di una Corte di prima istanza, una

Corte d'appelloe un Registro. La Corte di prima istanza sarà costituita da una sezione centrale con sedea

Parigi, sezioni "specializzate"a Londra e Monacoe numerosi uffici regionali (aree balticoscandinava, Est

Europae grecobalcanica)e locali (tra cui quella di Milano) in ciascuno dei Paesi firmatari. La Corte d'appello

avrà sedea Lussemburgo

Costi a confronto35.555158.621 Confronto sulle tasse di rinnovo in base alla durata del brevetto. Dati in euro Durata in anni 1 2 3 4

5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

Fonte: Epo Le tariffe con il brevetto unitario 0 35 105 145 315 475 630 815 990 1.175 1.460 1.775 2.105

2.455 2.830 3.240 3.640 4.055 4.455 4.855 Totale Totale Brevettare oggi in 25 Stati membri 0 0 1.298

1.874 2.545 3.271 3.886 4.625 5.513 6.416 7.424 8.473 9.594 10.741 11.917 13.369 14.753 16.065 17.660

19.197

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 71

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I TRATTATI Lo stato delle «trasparenze» Alessandro Galimberti Valerio Vallefuoco Dal 1° agosto parte la caccia all'evasore "non pentito". L'Agenzia può contare sulla collaborazione piena di

oltre 100 amministrazioni fiscali. pagina 3 pPer la seconda e definitiva chiamata all'emersione volontaria del

nero estero restano ancora due mesi e due giorni. Poi, chiusa definitivamente la finestra delle voluntary

disclosure, dal 1° agosto l'Agenzia passerà alla fase della caccia all'evasore non pentito, utilizzando in

prima battuta i trattati bilaterali (group request) e subito dopo lo scambio automatico di informazioni

(afflusso dati dal 1° settembre 2017 per gli early adopter, un anno dopo per gli altri). La stagione delle

group request ­ cioè le liste selettive di gruppo inviate alle altre amministrazioni collaborative (bilaterali), per

esempio: "chi ha chiusoo azzerato i conti in Svizzera nel 2015" durerà in sostanza il tempo necessario per

l'avvio dello scambio automatico di informazioni, che sarà la vera arma globale contro la fuga del nero (alla

rete di trasparenza internazionale aderiscono ormai più di 100 paesi). Lo scambio automatico,a differenza

delle richieste di gruppo, funzionerà senza alcun intervento di impulso "esterno": tutti gli intermediari dei

paesi aderenti al cosidetto Crs (Common reporting standard) invieranno in automatico all'Agenzia i dati dei

contribuenti con asset nelle loro giurisdizioni. Quanto al cambio di cittadinanza utilizzato per ragioni di

opportunità/fuga fiscale (e cioè sottrarsi allo scambio automatico), può diventare un indizio che l'Agenzia

sfrutterà per chiedere l'assistenza amministrativa del paese "rifugio". La tabella pubblicata a lato dimostra

che la fuga del nero è diventata molto più complicata che in passato: i 17 paesi indicati, selezionati tra i 111

delle liste Ocse, rappresentavano finoa un paio d'anni fa le mete preferite degli amanti del segreto bancario

(o meglio, del segreto fiscale), ma al più tardi tra 15 mesi dovranno svelare automaticamente al fisco

italiano nomi e capitali dei "rifugiati". Gli strumenti della trasparenza internazionale sono gli accordi bilaterali

tra cui le Convenzioni sulla doppia tassazione (Cdta) ­ che prevedono il recepimento dell'articolo 26 del

modello Ocse sullo scambio di informazioni a richiesta con l'abolizione del segreto bancario e fiduciario ­ e

gli accordi bilaterali sullo scambio di informazioni (Tiea) con la lista degli Stati convenzionati che

consentono un adeguato scambio di informazioni (cosiddetta white list) prevista dal Dm 4 settembre 1996e

aggiornata dal Dm del9 agosto 2016. Strategica, infine, è la lista Ocse dei Paesi (oltre 100) che a livello

internazionale hanno adottato il modello comune per lo scambio automatico di informazioni (Common

Reporting Standard). A fare da strumento applicativo sarà invece la Convenzione multilaterale sulla

cooperazione amministrativa (Maat), adottata da quasi tutti gli Stati già parte degli accordi bilaterali e

multilaterali sullo scambio di informazioni a richiesta e automatico. Il Maat consente la comunicazione

spontanea, a richiesta singola o di gruppo e lo scambio automatico, con la possibilità di verifiche fiscali

all'estero e la riscossione in loco dei tributi "fuggiti". Il tutto, finalmente, con modalità standard per tutti gli

Stati aderenti.La rete della trasparenza Il punto sugli accordi per lo scambio di informazioni Lie chte nstein

Dm 9 agosto 2016 (GU 195/16) 2017 01/12/2016 Stato Accordi bilaterali Scambio automati co Maat Arabia

Saudi ta Dm 9 agosto 2016 (GU 195/16) 2018 01/09/2017 Austria018 01/12/2014 Be rmuda Dm 9 agosto

2016 (GU 195/16) 2017 01/03/2014 Brasile018 01/10/2016 Canada018 01/03/2014 Emi rati Arabi Dm 25

marzo 1998 (GU 88/98) 2018 - Gi bil te rra Dm 9 agosto 2016 (GU 195/16) 2017 01/03/2014 Hong Kong

Dm 9 agosto 2016 (GU 195/16) 2018 - Israele Dm 16 di ce mbre 1998 (GU 25/99) 2018 01/12/2016 Li bano

Dm 9 agosto 2016 (GU 195/16) 2018 01/09/2017 Lusse mburgo017 01/11/2014 Mal ta017 01/09/2013

Mauri ti us018 01/12/2015 Monte ne gro Dm 9 agosto 2016 (GU 195/16) Qatar Dm 24 ottobre 2014 (GU

267/14) 2018 - Re gno Uni to017 01/10/2011 San Ma ri no Dm 29 di ce mbre 2014 (GU 6/15) 2017

01/12/2015 Si ngapore018 01/05/2016 Svi zze ra Dm 9 agosto 2016 (GU 195/16) 2018 01/11/2017 Altri

stati* Dm 9 agosto 2016 (GU 195/16) 2017/18 2011/2014

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Note: * Man, Cayman, Cook, Faroe, Turks e Cai cos, Ve rgi ni, Je rsey

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Attesa nei prossimi giorni la direttiva Funzione pubblica­Aran per avviare le trattative Contratti Pa, quattro ostacoli sui rinnovi Nodi su fondi, distribuzione degli aumenti, calendario e comparti Gianni Trovati pIncassato il sì definitivo alla riforma del pubblico impiego, si apre la stagione dei rinnovi contrattuali per i

dipendenti della Pa. Primo passaggio la direttiva della Funzione pubblica, attesaa breve. Ma le trattattive

dovranno superare quattro ostacoli: i fondi da trovare, la distribuzione delle risorse, i tempi dei rinnovie la

riforma dei comparti. Trovati pagina 5 pLa riforma del pubblico impiego, approvata in via definitiva 10 giorni

fa, era necessaria per riaccendere la macchina dei contratti. E ora si attende, nel giro di alcuni giorni, la

direttiva della Funzione pubblica all'Aran che aprirà le trattative per la Pa centrale e guiderà nei fatti le

danze anche degli altri comparti. Ma la strada peri rinnovi verie propriè ancora lunga, e complicata da

almeno quattro ostacoli principali. Le risorse Il primo sono i soldi, e non solo a causa del non trascurabile

fatto che per arrivare agli 85 euro a regime promessi dall'intesa del 30 novembre servono altri 1,2 miliardi

nello Statoe altrettanti divisi fra regioni, sanità ed enti locali. Alla prima dote dovrà pensare la manovra

d'autunno e ci riuscirà soprattutto se le prospettive di nuova flessibilità sul deficit che sembrano emergere

da Bruxelles si tradurranno in realtà; la seconda, invece, andrà trovata all'interno del fondo sanitarioe dei

bilanci locali,e qui la questione si fa un po' più complicata, anche se ovviamente nessun sindacoo

presidente di regione mostra preoccupazioni ufficiali al riguardo. Quando arriverà il nuovo decreto con gli

obblighi di stanziamento si dovranno far quadrarei conti tra nuovi contratti e l'aumento delle assunzioni

appena sancito con la manovrina di primavera. Il calendario Ma oltre che sulla spesa, la questione

economica solleva un rebus di calendario. Il rinnovo riguarda il triennio 2016­2018, e ovviamente le trattative

dovranno abbracciarlo tutto, ma la copertura piena arriverà solo dal prossimo anno se la manovra riuscirà

nell'impresa. Com'è possibile, allora, scrivere una direttiva, e soprattutto farla approvare dalla Ragioneria

generale, se vanno ancora trovatii soldi per gli aumenti a regime, quelli a partire dall'ultimo dei tre anni

contrattuali? Dopo otto anni di blocco, sia i problemi sia le procedure per ri­ solverli sono inediti, per cui la

sfida non è semplice. Per uscirne, la direttiva potrebbe seguire la strada tracciata dall'ultimo Def, che cita

l'accordo del 30 novembre, ma non ne calcola gli effetti nelle tabelle. Ottenuto il via libera della Ragioneria,

sarebbe questa la base di trattativa fra Arane sindacati. I numeri, del resto, non sono difficili da calcolare:

con i finanziamenti già decisi dalle ultime due manovre ci sono circa 10 euro di aumento medio a valere sul

2016 e poco meno di 40 su quest'anno, per arrivare il prossimo all'obiettivo degli 85 euro scritto nell'intesa.

La distribuzione Queste, però, sono le cifre medie. Ma come distribuirle fra i tre milioni di dipendenti

pubblici? La ministra della Pa, Marianna Madia, ha ripetuto in più occasioni che gli aumenti dovranno

guardare prima di tutto alle fasce di reddito più basse e la direttiva sulla Pa centrale dovrebbe confermare

questa idea della "piramide rovesciata": sul tema, però, andrà cercato un accordo preventivo con regioni ed

enti locali, perché nonè facile ipotizzare "piramidi" troppo diverse da settore a settore. I nuovi comparti Trai

compiti ambiziosi dei nuovi contratti c'è poi quello di avviare in concreto il ridisegno della pub­ blica

amministrazione, che sulla carta ha ridottoa quattro (in realtà cinque, perché Palazzo Chigi rimane

autonomo) gli undici comparti in cui era divisa finoa ieri. Per sanità ed enti territoriali cambia poco, perché i

confini sono rimasti praticamente identici, ma per il comparto della "conoscenza", che unisce scuola e

personale non docente delle università,e soprattutto per la Pa centrale, dove confluiscono ministeri,

agenzie fiscali ed enti pubblici, la sfidaè complessa. Obiettivo degli accorpamenti, decisi l'anno scorso ma

previsti dalla riforma Brunetta del 2009,è quello di armonizzare l'impianto degli stipendi, ma viste le tante

differenze è difficile che i nuovi contratti si infilino davvero in questo costoso ginepraio. Le intese si

limiteranno probabilmente a dettare poche regole comuni sulle materie che si prestano, lasciando

sostanzialmente inalterato il quadro attuale. Il quadro è complicato dal fatto che, per salvaguardare

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«specificità professionali» all'interno dei comparti, si possono istituire delle sezioni su misura. Soprattutto

nell'area della dirigenza la tentazione è forte, anche per risolvere le incognite sulla collocazione di figure

comei dirigenti tecnici della sanità o i segretari comunali. Ma l'incognita maggiore riguarda le agenzie fiscali,

che non hanno mai digerito l'assorbimento nel «compartone»e puntanoa mantenere, anzi a rafforzare con

la riforma, un'autonomia di gestione. I nodi, insomma, sono parecchi, ma il tempo per scioglierli è poco.

Molti settori, scuola in primis, premono per una trattativaa tappe forzate, con l'obiettivo di firmare i contratti

in autunno e rendene operativi gli effetti dal 1° gennaio: ma la fretta è generalizzata, anche perché la

politica parla in modo sempre più insistente di legge elettorale ed elezioni anticipate. E una chiusura

ant ic ipata de l la leg is la tura met terebbe un 'a l t ra vo l ta in fuor ig ioco i nuov i cont ra t t i .

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Le buste paga per settori La re tri buzi one me dia l orda annua nei di ve rsi se ttori della Pubbli ca a mmi

ni strazi one. Valori in euro Autorità indipendenti Presidenza Consiglio ministri Università Enti pubblici non

economici Enti di ricerca Servizio sanitario nazionale Alta form. artistica e musicale Agenzie fiscali Regioni

a statuto speciale Totale comparti Ministeri Regioni ed autonomie locali Scuola

Fonte: Conto Annuale - Rgs 84.950 57.612 43.085 42.292 41.135 38.621 36.436 35.449 35.345 34.146

29.788 29.057 28.343

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 75

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Le vie della ripresa IL RIENTRO DEI CAPITALI VOLUNTARY-BIS, CORRETTIVI CON POCO APPEAL Risultato netto Tra gli intervistati nel sondaggio del Sole 24 Ore il grado di adesione alla procedura finora èrisultato essere «molto basso» (61,5% di risposte) o «basso» (35,4%) Tra gli operatori prevale ilpessimismo: poche istanze e modifiche insufficienti per un professionista su due Cristiano Dell'Oste Michela Finizio Valentina Melis PPoche, pochissime domande.A due mesi dalla scadenza del 31 luglio per la presentazione delle istanze,

la seconda edizione della voluntary disclosure non decolla. Né sembrano destinati ad avere grande effettoi

correttivi presentati la scorsa settimana tra gli emendamenti alla manovrina, attesa questa settimana in aula

alla Camera. Tra gli operatori intervistati nel sondaggio del Sole 24 Ore del Lunedì ­ cui hanno risposto 96

professionisti­ prevale il pessimismo. Per quasi tutti gli addetti il grado di adesione alla procedura finora è

stato «molto basso» (61,5% di risposte) o «basso» (35,4%). Appena meno severo il giudizio sulle modifiche

normative in discussione: più di un professionista su due le considera inutili (7,3%) o assolutamente

insufficienti (47,9%). Con queste premesse, è quasi impossibile che l'operazione porti nelle casse

pubbliche gli 1,6 mi­ liardi attesi. E si tratta di risorse che, in un modo o nell'altro, l'Erario dovrà trovare,

perché sono state usate per giustificare il rinvio dell'aumento dell'Iva al 2018. Non è un caso che la stessa

relazione tecnica alla manovrina abbia messo le mani avanti, spiegando che gli eventuali maggiori introiti

derivanti dalla sanatoria delle liti con il Fisco (quotataa 400 milioni) serviranno a compensarei minori introiti

della voluntary. Insomma, una doppia copertura per disinnescare una clausola di salvaguardia. La

voluntary­bis era stata pensata­ soprattutto­ per convincere gli evasori a regolarizzare il contante "domestico",

anche perché chi ha partecipato alla prima edizione (130mila istanze) ora può solo far emergere attività

interne. Ed è su questo terreno che la nuova procedura sta segnando il passo. Non ci sono cifre precise,

ma si stima che in Italia ci siano almeno 150 miliardi di euro nascosti nelle cassette di sicurezza (o in altri

luoghi) e frutto di attività mai dichiarate al Fisco. Per farle emergere, però, il 78,1% dei professionisti ritiene

in­ dispensabile dare maggior appeal alla sanatoria su questo fronte. Gli altri correttivi più richiesti puntano

invecea correggere alcune spigolosità della procedura: dalla riduzione delle sanzioni o dei periodi

accertabili per i Paesi divenuti trasparenti (53,1%) alla semplificazione delle procedure di calcolo (38,5%),

che oggi richiedono una probatio diabolica sull'origine del denaro. Più criticabile in termini di equità

generale la riapertura della proceduraa chi ha già fatto la prima voluntary (indicata dal 35,4%), visto che tra

gli esclusi ci sono gli evasori più irriducibili. Senza trascurare i rapporti tra gli aderenti alle due voluntary: la

deducibilità delle imposte pagate all'estero anche in ipotesi di omessa dichiarazione, infatti,è apprezzata

dall'80,2% degli operatori, ma non era prevista nella prima voluntary. La prima tranche della procedura,

d'altra parte, ha già fatto emergere risorse rilevanti (59 miliardi). Lo si vede anche dagli importi dichiarati dai

contribuenti nel quadro RW, passati da 91 a 241 miliardi tra il 2013 e il 2015 (tra conti correntie depositi,

attività finanziarie, immobili, lingotti, yacht e altri beni). E questo ha generato anche un riflesso sulle

imposte: negli stessi anni il gettito dell'Ivafe (la tassa sulle attività finanziarie)è quasi triplicato a 93 milioni.

LA PAROLA CHIAVEVoluntary­bis 7È la nuova procedura di collaborazione volontaria per far emergere i capitali illegittimamente

detenuti all'estero dai contribuenti, introdotta dal Dl 193/2016. Chi non ha già aderito alla prima voluntary

disclosure, può fare istanza alle Entrate fino al 31 luglio, per i beni detenuti illegalmente oltreconfine o per

gli gli illeciti commessi fino al 30 settembre 2016. Il sondaggio tra gli addetti lavori Le risposte di

professionisti e operatori alle domande del Sole 24 Ore A. Qual è secondo la vostra esperienza di studio il

grado di adesione alla voluntary bis? B. Secondo voi le modifiche normative in discussione: C. Quale

modifica tra quelle proposte giudicate più efficace (al massimo due scelte) D. Quali ulteriori interventi

andrebbero previsti per incoraggiare le adesioni alla voluntary bis? (al massimo tre scelte) A1. Molto basso

A2. Basso A3. Medio ma inferiore alla voluntary 1 A4. Alto A5. Molto alto B1. Sono inutili B2. Sono

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 76

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assolutamente insufficienti B3. Sono appena sufficienti B4. Sono sicuramente sufficienti per motivare più

adesioni B5. Sono ampiamente sufficienti C1. Detraibilità imposte pagate all'estero anche in ipotesi di

omessa dichiarazione C2. Detraibilità imposte pagate all'estero per voluntary 1 ancora in corso C3.

Esonero dichiarativo Ivafe e Ivie per il 2016 C4. Riduzione delle sanzioni per chi sceglie l'adesione

forfettaria ma con importi non corretti D1. Dare maggiore appeal alle procedure per l'emersione del

contante in ambito nazionale D2. Semplificazione delle procedure per il calcolo di importi regolarizzati e

sanzioni D3. Riduzione delle sanzioni / dei periodi accertabili per Paesi divenuti "trasparenti" D4.

Semplificazione degli obblighi dichiarativi D5. Proroga del termine per la presentazione dell'istanza D6.

Possibilità di fare la VD2 senza limiti per chi ha fatto la VD1 0% 25% 50% 75% 100% 61, 5% 35, 4% 2, 1%

1, 0% 0, 0% 7, 3% 47, 9% 36, 5% 8, 3% 0, 0% 80, 2% 7, 3% 27, 1% 46, 9% 78, 1% 38, 5% 53, 1% 9, 4%

26, 0% 35, 4% I PARTECIPANTI Il Sole 24 Ore del Lunedì è tornato a interpellare un ampio campione di

professionisti e addetti ai lavori (dottori commercialisti, avvocati, esperti contabili, dirigenti di banche e

istituti finanziari) sull'efficacia della voluntary disclosure bis. Hanno risposto al sondaggio: Giovanni

Barbagelata AP LEGAL Studio Associato Federico Andreoli Chiomenti Massimo Antonini Iorio & partners

Laura Ambrosi, Antonio Iorio Abaco Commercialisti Associati Roberta Adami, Alessandro Stradi Studio

tributario Acierno Rosanna Acierno Studio Tributario Associato Facchini Rossi & Soci Abps Commercialisti

e Associati Mosè Tiziano Begotti Libra Fiduciaria Uberto Barigozzi Luigi Belluzzo, Stefano Serbini, Marzia

Toia, Daniele Trivi Belluzzo & Partners Carlotta Benigni, Andrea Di Dio, Leonardo Grassi, Antonio Longo,

Alessandro Martinelli, Christian Montinari, Alberto Sandalo, Antonio Tomassini Dla Piper Giorgio

Bommarco, Luigi Bittolo Bon, Gianluca Dan commercialista Sandro Botticelli Boscolo& Partners Eugenio

Briguglio, Massimo Foschi, Federico Innocenti, Francesco Nobili Studio Biscozzi Nobili Studio GDC TAX

Milano Davide Cagnoni Camagni e Associati Paola Camagni Commercialista Davide Campolunghi Fabrizio

Cancelliere St. Tremonti Vitali Romagnoli Piccardi e Ass. Commercialista Maria Antonietta Carta Nicola

Cavalluzzo, Tomas Corda, Valentina Martignoni, Alessandro Montinari, Saverio Riganti St. Ass. Cavalluzzo

Rizzi Caldart Unicredit Stefano Ceccacci Claudio Ceradini, Mario Cerofolini, Claudio Pigarelli, Gian Paolo

Ranocchi, Andrea Rossi Studio Slt Maisto e Associati Marco Cerrato Studio Cerati Laurini Ampollini

Stefano Colao, Veronica Molinari Sts Deloitte Maddalena Costa Stefano Grilli CGA Lex St. legale e

tributario Antonio Grasso Clifford Chance Carlo Galli GPAV commercialisti associati Alessandro Galli

Commercialista Luca Galassi Studio Baccichetto e associati Andrea Franchini, Walter Pison

Commercialista Fabio Fiorentino Studio Ferraretti Paolo Ferraretti Deotto Ferrari e associati Dario Deotto

Studio dello Preite Giancarlo dello Preite Bdc Associati Antonio Della Carità Roedl & Partners Stefano

Damagino Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners Lenzi e Associati Roberto Lenzi Commercialista

Alfredo Imparato Studio Legale e Tributario CD Massimo Ianni Paolo Lucarini TLS Associazione

Professionale di Avvocati e Commercialisti Mainini Consulting Aldo Mainini Studio Marcarini Michaela

Marcarini Marino e Associati Giuseppe Marino Studio Facchini Rossi & Soci Stefano Massarotto Mazzocchi

e Associati Stefano Mazzocchi Mercanti Dorio e Associati Giovanni Mercanti Commercialista Giancarlo

Modolo Commercialista Andrea Moiraghi Commercialista Giuseppe Napoli Kpmg Luca Nobile Sala, Noro e

associati Stefano Noro PM Dottori Commercialisti Paolo Pagani consulente fiscale Gruppo Ubi Renzo

Parisotto Legalmente.Pro- Studio Legale Matteo Pettinari Studio Piazza Marco Piazza Piccinelli, Del Pico

Pardi e partners Giusy Pisanti Studio Zucchetti Giuseppe Zucchetti Unione Fiduciaria Fabrizio Vedana

Pirola Pennuto Zei & Associati Luca Valdameri Tavecchio Caldara & Associati Andrea Tavecchio Studio

Tancredi Paola Tancredi Commercialista Luca Luigi Tomasini Studio Sironi DCA Massimiliano Sironi Studio

associato Palma Carlo Sergi Savorana & Partners Alessandro Savorana Avvocato Corrado Sanvito Studio

Rossi Fomasina Matteo Rossi Renne & Partners Francesco Renne St. Colombo Altamura Pometto

Massimo Pometto

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 77

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INTERVISTA A GRAZIANO DELRIO «Legge di bilancio coraggiosa, sì al taglio del cuneo per i giovani» Giorgio Santilli «Legge di bilancio coraggiosa, sì al taglio del cuneo per i giovani» pagina 4 «Il taglio del cuneo fiscale per

l'assunzione dei giovani lo stiamo già mettendoa punto e deve entrare nella prossima legge di bilancio:

un'alleanza fra imprenditori, lavoratori e governo oggi è più che mai fondamentale per ridare forza al

sistema produttivo italiano. Le priorità di questa alleanza non possono che essere occupazione e

investimenti». Graziano Delrio, ministro delle Infrastrutture del governo Gentilonie "renziano" di ferro,

rilancia la proposta di un patto «di scopo» per la crescita avanzata all'Assemblea di Confindustria dal

presidente Boccia e sottolinea i risultati già ottenuti con l'uscita dalla stagnazionee con la ripresa degli

investimenti, aumentati del 3% nel 2016. «È merito­ dice­ anche delle politiche messe in campo dai governi

Renzi e Gentiloni, dalla riduzione dell'Irap alla decontribuzione per le assunzioni, dai superammortamenti

alla nuova legge Sabatini al credito di imposta per la ricerca. Dobbiamo rafforzare questa linea, premiare le

imprese che investono, perchéè evidente che la crescita del Paese non basta ancora e la crescita passa di

là». A proposito di iperammortamenti, è stato appena bocciato l'emendamento alla manovra che avrebbe

dovuto prorogare a fine 2018 l'utilizzo degli incentivi fiscali. La politicaa volte ha comportamenti

schizofrenici. Ma no, il lavoro parlamentare di decreti di questo tipoè caoticoe disordinato. Avevo

sconsigliato la presentazione in questa sede di quell'emendamento che è risulta­ to senza copertura.

Questa misura va recuperata rapidamente, ma va fatto nella sua sede naturale, la legge di bilancio. Quegli

incentivi fiscali sono assolutamente prioritari per noi edè fondamentale non interrompere la pianificazione

degli investimenti delle imprese. Lei dice che queste misure devono andare nella legge di bilancio ma su

questo provvedimen­ to­chiave oggi grava una grande incognita di tipo politico, viste le tentazioni sempre più

forti di elezioni anticipate. Lei come la vede? Una legge di bilancio si dovrà faree deve essere una legge di

bilancio coraggiosa. Non solo peri conti pubblici e per i nostri rapporti con l'Europa, dove comunque penso

un aiuto possa venire dalla revisione di alcuni parametri, come l'output gap, grazie al lavoro del ministro

Padoan. Ma soprattutto è un provvedimento fondamentale proprio per continuare a rafforzare la strada

della crescita. La farà l'attuale governo? La deve fare un governo forte e nella pienezza dei suoi poteri. Se

questa maggioranza è determinata ad andare avanti in modo coesoe a varare le misure necessarie, si vada

avanti. Altrimenti la faccia un governo forte del mandato elettorale. Quello che sarebbe sbagliatoè

vivacchiare tra queste due ipotesi. Non servirebbea nessunoe non farebbe bene al Paese. L'Italia non può

trovarsi da sola, dopo le elezioni in Francia e in Germania, in una posizione di fragilità data dalla prospettiva

di riduzione del Quantitative Easing della Bce. Cosa bisogna correggere delle cose fatte? Molte cose

abbiamo fatto, lo ripeto, ma abbiamo ancora un cam­ mino molto lungo davanti a noi. Dobbiamo continuare

a premiare le imprese che investonoe creano occupazione. Vediamo, per esempio, che gli incentivi alle

assunzioni hanno funzionato bene nel Nord del Paese, ma non hanno funzionato negli ultimi tempi al Sud.

Questo significa che il lavoro si crea dove ci sono prospettive di crescita per l'impresae dobbiamo rafforzare

queste condizioni. Stesso discorso potrei fare per gli investimenti pubblici e per il contributo che danno alla

produttività del sistema i servizi. Il Nord ha una rete di aziende pubbliche o pubblico­private che garantisce

un livello di investimento e di servizio accettabile, oltre che aziende forti che possono andarea competere

fuori. Al Sud l'assenza di questa rete di aziende penalizza gli investimenti. Dobbiamo uscire da questa

situazione. Insomma pubblicoè bello? Il pubblico è bello se è leggero e orientato ai cittadini e agli

investimenti produttivi. E magari orientato alle collaborazioni con i privati. Il dato degli investimenti pubblici è

stato complessivamente deludente nel 2016e tutti guardano proprio a questo comparto come elemento

decisivo di rafforzamento della crescita. Perché non si è riusci­ ti ancora a ripartire? Il dato complessivo

degli investimenti segna nel 2016 un +3%, superiore anche alle aspettative del Def. Si deve considerare

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 78

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che in questo dato ci sono impresea controllo pubblico classificate però nel settore privato. Penso alle

Ferrovie, che sono il più grande investitore del Paesee che lo scorso anno sono arrivatia6 miliardi di

investimenti. Detto questo,è vero che il settore tradizionale della Pa ha perso 2 miliardi di investimenti che

però derivano da un aumento di1 miliardo delle amministrazioni centrali e da una riduzione di 3 miliardi

degli enti locali, comuni in primis. Non c'è stato lo sfruttamento di spazi di patto che pure avevamo aperto.

E anche qui è il Suda soffrire, dopo il balzo del 2015 per la chiusura del ciclo dei fondi Ue, siè tornati

indietro. Eravamoa 8,9 miliardi nel 2014, eravamo balzati a 10,5 miliardi nel 2015, si è tornati nel 2016a 8,9

miliardi. Però sono fiducioso che nei prossimi mesi faremo il salto. Cosa la rende così fiducioso? Abbiamo

fatto uno straordinario lavoro di programmazione che è fondamentale per dare continuità agli investimenti,

con finanziamenti costanti, e anche per dare certezze alle imprese che lavorano con quegli investimenti.

Garantire che finiremo il Brennero nel 2025e il Terzo valico nel 2022, con risorse già disponibili, vuol dire

dare continuità a tutto il sistema. Stesso discorso vale per i 4,3 miliardi statali cui si aggiungono 3 miliardi

regionali per il piano di acquisto di autobus che dura 15 anni. È una norma che è parte di una complessiva

riforma che darà efficienza al trasporto pubblico locale. Una buona pianificazione è una componente

fondamentale di una politica keynesiana che non significa finanza allegra ma dare efficienza al sistema

degli investimenti pubblici. Torniamo alla carica in Europa per la golden rule: bisogna penalizzare chi fa

spesa pubblica corrente e premiare chi fa investimenti. La spesa pubblica corrente è un fardello ulteriore

sul futuro dei giovani, quella per investimenti alleggerisce quel fardello. C'è una componente di equità

generazionale. La norma per regolare Uber è pronta o andiamo avanti con il ping pong? Aspetto la

definitiva approvazione della legge sulla concorrenza che deve essere approvata entro breve. Poi

presenterò il decreto che ho già pronto, con la convinzione che le piattaforme digitale di per sé non sono né

la modernità né lo sfruttamento di lavoratori. Bisogna dargli regole per operare in modo correttoe utile ai

cittadini.

Foto: FOTOGRAMMA Ministro delle Infrastrutture. Graziano Delrio

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 79

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Il G7 di Taormina I NODI DELL'ECONOMIA Commercio, accordo in extremis Compromesso difficile Nel documento finale anche gli Stati Uniti d'accordo nel combattere il protezionismoConcessione a Washington «Scambi e investimenti devono essere liberi, equi e reciprocamentevantaggiosi» Ma sul clima gli Usa restano fuori: «Prenderemo una decisione la settimana prossima» LEVALUTAZIONI Gentiloni: sull'accordo di Parigi c'è stata una discussione vera, in cui non ci siamo nascostile differenze Merkel: no a compromessi Alessandro Merli TAORMINA. Dal nostro inviato pSi è chiuso con una spaccatura sui cambiamenti climatici il vertice del G7a

Taormina, mentre i leader delle sette grandi democrazie industriali hanno fatto un passo avanti sul

commercio internazionale, ribadendo il proprio impegno a mantenere i mercati aperti e a combattere il

protezionismoe superando così l'impasse delle riunioni dei loro ministri finanziari. Nell'un caso e nell'altro il

vertice ha dovuto dattarsi al cambiamento dell'atteggiamento degli Stati Uniti dopo l'insediamento

dell'amministrazione Trump. Il padrone di casa, il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, ha definito il

confronto sul clima al summit siciliano, diplomaticamente, «una discussione vera, in cui non ci siamo

nascosti le differenze», mentre il cancelliere tedesco Angela Merkel ha parlato più esplicitamente di colloqui

«difficili, o piuttosto molto insoddisfacenti», in cui «sei, o sette, tenendo conto dell'Unione europea, si sono

trovati contro uno», cioè gli Stati Uniti. Altre fonti hanno riferito di un ambiente a tratti molto teso. Il

comunicato non ha potuto che prendere atto che una posizione americana per il momento non c'è: «Gli

Usa stanno rivedendo le proprie politiche sui cambiamenti climaticie l'accordo di Parigi e non sono quindi

nella posizione di unirsi al consenso su questi temi». Gli altri hanno invece riaffermato «il proprio forte

impegno ad applicare rapidamente l'accordo di Parigi». «Non faremo compromessi su una questione così

importante - ha detto la signora Merkel- non cambieremo la nostra posizione». Il presidente americano

Donald Trump, dopo la fine del summit, ha comunicato via twitter che annuncerà le proprie intenzioni la

prossima settimana, cogliendo di sorpresa i suoi interlocutori. «Non ho idea di quali siano i tempi» delle

decisioni americane, aveva detto Gentiloni in conferenza stampa. E il presidente francese, Emmanuel

Macron, uno dei più forti sostenitori dell'accordo sul clima concordato nella capitale del suo Paese con la

regia transalpina, ha detto solo di «sperare» che gli Stati Uniti siano di­ spostia sostenerlo. La posizione di

Trump «è in evoluzione», ha detto il suo consigliere economico Gary Cohn, che, insieme al segretario di

Stato Rex Tillerson e al genero del presidente, Jared Kushner, e alla figlia Ivanka,è frai sostenitori, dentro la

Casa Bianca, di un'adesione all'accordo di Parigi che venne firmato da Barack Obama. Gentiloni ha

sostenuto che gli altri hanno cercato di spiegare a Trump che l'accordo non ha solo una finalità ambientale,

ma può anche favorire innovazione tecnologicae competitività, con la sviluppo della «economia verde».

Non è bastato perché aderisse al consenso degli altri, ma in questo modo gli Stati Uniti sono tuttora

coinvolti, almeno fino alla prossima settimana. Trump sbaglia nel non voler aderire all'accordo di Parigi,

secondo Stephanie Pfeifer, che guida un gruppo di 135 investitori istituzionali (Iigcc) che chiedono ai

Governi investimenti per una rapida transizione a un'economia «dinamica a basse emissioni di carbonio».

Negli Usa, molti grandi gruppi, incluse società petrolifere come la Exxon, che Tillerson guidava prima di

assumere l'incarico di Governo, sono a favore dell'Accordo di Parigi. Il G7 ha fatto invece un passo avanti,

dopo una discussione che si è protratta fino a notte inoltrata, rispetto all'intesa che era mancata sul

commercio internazionale fra i ministri finanziari al G20 di Baden­Baden e al G7 di Bari. «Non era scontato»,

ha detto Gentiloni. Il comunicato include l'impegno alla lotta al protezionismo che il segretario al Tesoro

Usa, Steven Mnuchin, non aveva voluto accettare nelle due riunioni finanziariee insiste su un sistema

multilaterale basato sulle regole, centrato nella Wto, l'organizzazione mondiale del commercio. In una

concessione alla nuova posizione americana, il commercioe gli investimenti, «motori della crescita e della

creazione di posti di lavoro», oltre che liberi, devono essere «equi e reciprocamente vantaggiosi». Una

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«soluzione ragionevole», ha detto il cancelliere Merkel. Il comunicato sottolinea anche l'opposizione a

pratiche commerciali scorrette e la spinta a rimuovere le distorsioni, come il dumping, le barriere non

tariffarieei sussidi statali, una serie di elementi che sembrano puntare il dito soprattutto contro la Cina.

Acciaioe alluminio, due settori dove c'è eccesso di capacità produttiva, e dove i sette sono preoccupati

ancora una volta soprattutto dalla Cina, sono citati esplicitamente come aree di intervento.

Foto: REUTERS

Foto: Sigonella. Donald Trump applaude l'intervento della moglie Melania davanti al personale militare

americano

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 81

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Siderurgia. Dopo l'indicazione dei commissari per Am Investco si profila una nutrita serie di passaggi primadel closing MILANO Rush finale per l'Ilva ai privati Domani il parere del Comitato di sorveglianza - Da martedì dossier sul tavolo di Calenda LEAUTORIZZAZIONI A luglio e agosto prevista una consultazione pubblica sul piano ambientale, in vista delladefinizione del decreto che fisserà la nuova Aia Matteo Meneghello pIl giorno dopo il d­day dell'Ilva, le chiavi degli impianti tarantini sono ancora nelle mani dei commissari. Tra

Am Investco Italy e l'Ilva c'è ancora da percorrere un ultimo miglio, rappresentato da un lungo elenco di

passaggi formalie qualche ostacolo. Non c'è dubbio però che, con la decisione presentata venerdì, il futuro

del primo gruppo siderurgico italiano sia ormai targato ArcelorMittal, il primo produttore d'acciaio del

mondo. La marcia di avvicinamento all'Ilva potrà durare al massimo fino al 31 marzo dell'anno prossimo,

data in cui, dopo la proroga accordata con la procedura, scadrà lla validità dell'offerta di Am (nella cordata,

oltre ad ArcelorMittal, che possiede l'85%, anche Marcegaglia, con il 15%, e IntesaSanpaolo, che entrerà

nei prossimi giorni ad aggiudicazione avvenuta, rilevando dal gruppo mantovano una quota tra il 5 e il 10

per cento). Il commissario Enrico Laghi, nell'ultima audizione alla Camera, aveva stimato in circa sei mesi il

tempo necessario per perfezionare il programma di cessione delle attività, una volta individuato il partner

ideale. L'iterè già partito. Lunedìè previsto il parere di competenza del Comitato di sorveglianza sull'istanza

(contenente l'esito della valutazione relativa alle offerte) presentata venerdì dai tre commissari (il giudizio,

secondo quanto si apprende da fonti vicine all'operazione, è stato unanime); entro la giornata il Comitato

consegnerà al ministro dello Sviluppo Carlo Calenda le risultanze della gara. Martedì in tarda mattinata è

fissato l'incontro tra Calenda e i rappresentanti sindacali:a valle di questo vertice si collocheranno le

valutazioni del Misee l'aggiudicazione, che avverrà per decreto. Una volta sancito questo passaggio

formale, Am avrà trenta giorni per fare richiesta di una nuova Aia, sulla base del piano ambientale

presentato con l'offerta definitiva: da lì in poi si dovrà attendere un massimo di altri sessanta giorni per

pubblicare (non oltre il 30 settembre) il decreto ambientale della presidenza del consiglio dei ministri che

fisserà la nuova Autorizzazione (si prevede un tetto della produzione a 6 milioni, con la possibilità di alzare

il livello di produzione in seguito agli adempimenti ambientali). Prima, tra luglio e agosto, è prevista una

consultazione pubblica sul piano ambientale. Prima dell'acquisto va anche definito l'accordo con i

rappresentanti dei lavoratori (serve un'intesa sindacale e una sottoscrizione individuale di ogni dipendente

per il passaggio dall'amministrazione straordinaria al nuovo proprietario). In parallelo, si siederanno al

tavolo gli esperti legali, per negoziare e definire nei minimi dettagli il vero e proprio contratto di cessione (in

una prima fase in affitto) degli asset in amministrazione straordinaria. Tutto quello che è stato proposto in

sede di offerta dovrà essere disciplinato all'interno del contratto, comprese le garanzie concesse da Am

nelle ultime settimane e legate al mantenimento del perimetro dell'offerta e connesse al «rischio antitrust».

Questo è il passaggio più delicato,e investe direttamente l'istruttoria europea, che viaggerà in parallelo con

la definizione del contratto, e che richiederà un minimo di 60 giorni se non ci saranno criticità (in caso di un

allungamento dei tempi è comunque possibile porre la delibera antitrust come clausola sospensiva). A

questo proposito, in una lettera dello scorso 10 aprile la direzione generale Competition della Commissione

europea sottolinea il rischio di tempi lunghi per l'indagine su un'eventuale posizione dominante.

ArcelorMittal, aggiungono poi i funzionari Ue, ha numerose attività in Europa,e non è possibile escludere a

priori che con l'acquisizione di Ilva possa aumentare la sua posizione in alcuni mercati. I vertici del gruppo

con sede in Lussemburgo hanno pubblicamente e a più riprese escluso il rischio di concentrazione,

fornendo anche prove documentali, pur riconoscendo di essere vicini alla soglia in alcuni segmenti, come

per esempio nello zincato. Spetterà all'Ue definire con esattezza il grado di concentrazione del gruppo nel

«freddo» e stabilire se saranno necessari «rimedi» (e soprattutto se la «clausola di salvaguardia» ottenuta

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dai commissari, legata al perimetro di Ilva, comprenda anche asset già detenuti in Italia, come per esempio

la Magona di Piombino,o controllati dai partner della cordata, come per esempio il sito di Ravenna del

gruppo Marcegaglia). Per eludere il rischio di un verdetto antitrust sfavorevole, a detta di alcuni osservatori,

ArcelorMittal potrebbe accettare di abbassare la sua quota in Am sotto la soglia del 51%, magari

accogliendo nuovi partner. Si tratta di un'ipotesi che però al momento non trova conferma tra gli ambienti

vicini alle cordate.

Lo scenario dell'acciao L'ILVA La mappa dello stabilimento di Taranto N Fonte: Federacciai 5 3 4 5 1 km

0 1 2 Arc elo rMittal (Lussemburgo) Hebei Steel Gro up (Cina) Posco (Corea del Sud) Bao steel Gro up

(Cina) 1 Parchi minerali 2 Agglomerato 3 Cokeria 4 Altoforno 5 Acciaieria LE PRIME COMPAGNIE

PRODUTTRICI AL MONDO Anno 2015. Dati in milioni di tonnellate LA PRODUZIONE A TARANTO Valori

in milioni di tonnellate 10 8 6 4 2 0 4,59 7,03 97,136 47,745 Nippon Steel and Sumito mo Metal Co rpo

ration (Giappone) 46,374 8,52 8,34 5,78 6,35 4,88 2009 2010 2011 2012 2013 2014 41,975 34,938

Giappne 104,8 India 95,6 Stati Uniti 78,6 Russia 70,8 5,80 2016 2015 Valori in milioni di tonnellate LA

PRODUZIONE IN ITALIA 30 25 20 25,75 2010 '11 '12 '13 '14 23,37 '16 '15 LA PRODUZIONE DI ACCIAIO

DEI PRINCIPALI PAESI PRODUTTORI Dati 2016 e variazione % su 2015. Milioni di tonnellate Cina 808,4

+1,2% -0,3% +7,4% -0,3% -0,1%

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 83

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SUL CARBURANTE PRIMI 100 MILIONI DI RISPARMI I commissari Alitalia avviano i tagli Parte la Cigs per 1.358 dipendenti Giorgio Pogliotti pagina 19 I commissari Alitalia avviano i tagli Parte la Cigs per 1.358 dipendenti ROMA Ha prodotto cento

milioni di risparmi la chiusura anticipata dei derivati sul carburante accesi negli anni passati con diversi

isituti italiani e non (tra cui Intesa Sanpaolo e UniCredit) e rinegoziati nei giorni scorsi dal collegio

commissariale con istituti internazionali (tra i nomi, trapela quello di Goldman Sachs) sui valori correnti, con

protezione contro forti rialzi e sensibili ribassi.I Jet fuel hedging assicuravano alla compagnia la copertura

dei costi da parte delle banche quando il prezzo del carburante saliva sopra i 68 dollari, ma l'andamento

ben sotto la soglia stabilita da tempo penalizzava Alitalia. Sfruttando gli ampi poteri previsti per

l'amministrazione straordinaria, i tre commissari hanno potuto chiudere in anticipo i contratti, senza dover

pagare il corrispettivo alle banche (finiranno tra i crediti da riscuotere), conseguendo un risparmio una

tantum. Il prossimo passo riguarda la rinegoziazione dei leasing sui due terzi della flotta di 123 aerei (stime

ottimistiche parlano di 90 milioni di risparmi) e l'intervento sul costo del lavoro. L'obiettivo di Luigi Gubitosi,

Enrico Laghi e Stefano Paleari è quello di eliminare i sovraccosti che gravano sulla compagnia per renderla

più appetibile sul mercato, in previsione della presentazione delle offerte vincolanti per cui è stato

pubblicato l'avviso lo scorso 17 maggio. La lettera inviata ai sindacati lo scorso 24 maggio con la firma dei

tre commissari fa riferimento alla rivisitazione del network, ad un riequlibrio della flotta con l'eventuale

riduzione del numero di aeromobili, dovuta al taglio di voli antieconomici; tutto ciò avrà ripercussioni

sull'organico della compagnia che verrà posto in cassa integrazione straordinaria per la durata

dell'amministrazione straordinaria. Ieri si è svolto un primo incontro tecnico con i sindacati; il personale

navigante era già considerato in esubero, tanto che da dicembre del 2015 si è fatto ricorso ai contratti di

solidarietà, cessati dallo scorso2 maggio con l'inizio dell'amministrazione straordinaria. Alitalia intende

collocare in Cigs un numero complessivo di 4.716 naviganti (1.351 piloti e 3.365 assistenti di volo), anche

per effetto dei processi di rotazione eventualmente concordati. In una prima fase sono interessati 190 piloti

e 340 assistenti di volo. La Cigs riguarda anche 5.903 posizioni tra il personale di terra, 828 nella fase

iniziale. Alitalia e sindacati andranno a breve al ministero del lavoro per l'esame congiunto delle procedure

di Cigs che per questa prima tornata riguardano 1.358 lavoratori (l'intesa con il sindacato non è vincolante).

I sindacati hanno espresso qualche preoccupazione: «Stimiamo che per circa 300 dipendenti del personale

di terra possa prefigurarsi la cassa integrazione a zero ore ­ sostiene Nino Cortorillo (Filt­Cgil) ­ con il rischio

che possano in futuro essere dichiarati in esubero. Con questa prospettiva la procedura potrebbe chiudersi

al ministero con un verbale di mancato consenso tra le parti». Gli stessi sindacati hanno però accolto

positivamente tre segnali che sono arrivati ieri dall'azienda. Primo: il collegio commissariale si è impegnato

ad anticipare il trattamento base di Cigs e, insieme all'Inps, cercherà di accelerare l'operatività del Fondo

integrativo di settore che garantisce fino all'80% della retribuzione (rispetto ai 1.167 euro del trattamento

base di Cig). Secondo: il giudice delegato del Tribunale di Civitavecchia ha accolto l'istanza presentata per

Alitalia ed autorizzato l'azienda al pagamento degli elementi variabili della retribuzione (indennità di volo,

attività di notturno) maturati prima dell'ammini­ strazione straordinaria, che verranno corrisposti con la busta

paga di giugno. Terzo:è stata annunciata la revisione della policy aziendale sull'utilizzo della divisa del

personale di terrae di volo. Non saranno più utilizzate le contestate ­ da parte degli assistenti di voloe del

personale di terra ­ calze verdi e rosse,è previsto un uso più limitato di guanti e cappellino per le donne e dei

panciotti degli uomini. Dal 1° luglio, compatibilmente con i tempi tecnici di distribuzione, per la stagione

estiva le hostess torneranno a indossare le calze mediche dalle tonalità più estive. Intanto, è stato differito

lo sciopero dei controllori di volo dell'Enav in programma per domani, mentre per lo stesso giorno resta lo

stop di 8 ore (dalle 10 alle 18) indetto da Confaele Cub trasporti per Alitalia: la compagnia ha riprotetto su

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 84

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altri voli l'80% dei passeggeri. La protesta rischia di avere ripercussioni sulle partenze dopo il vertice G7 di

Taormina, visto che impatta su 12 dei 21 collegamenti giornalieri previsti da Catania, ragion per cui la

compagnia ha annunciato di aver aggiunto un volo che partirà dopo le 19 di domenica e di prevedere

l'impiego di velivoli più capienti (l'A321 al posto dei soliti A319 o A320).

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 85

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PANORAMA BTp Italia, buyback e concambio record da 4,2 miliardi Isabella Bufacchi Il Tesoro ha realizzato un buybacke concambio record (4,2 miliardi) sul BTp Italia da 22,4 miliardi in

scadenza a novembre. «Ottimi risultati», per Maria Cannata, direttore generale per il debito pubblico.

pagina 19 La più grande emissione di un titolo di Stato venduta in un unico collocamento, il BTp Italia

"monstre" in scadenza a novembre per 22,418 miliardi,è stata oggetto di un buy­back e concambio di

dimensioni record per 4,2 miliardi realizzati con il sindacato di collocamento tramite Banca Imi e UniCredit,

una formula senza precedenti per il bond quotato solo sul Mot. «Per noi si è trattato di un'operazione

impegnativae innovativa con ottimi risultatie in futuro potrebbe essere riutilizzata per altre emissioni come

per il BTp Italia scadenza aprile 2020 (emesso per oltre 20,5 miliardi di euro)»: così Maria Cannata,

direttore generale del Tesoro per la gestione del debito pubblico, ha commentato ieria Il Sole 24 Ore

Radiocor Plus. È con questa raffica di primati che il Tesoro ha infatti finalizzato un'operazione complessa

centrando una serie di obiettivi: appiattire la punta del maxi­rimborso del BTp Italia da 22,4 miliardi in arrivo

il 12 novembre; allungare la durata del debito pubblico sostituendo un titolo in scadenza tra sei mesi con la

riapertura di altri cinque titoli che scadranno tra il 2020 e il 2032; accontentare la domanda degli investitori

istituzionali che desideravano uscire dal BTp Italia per importi molto consistenti­ ma il Mot nonè l'Mts­ per

poterli reinvestire in altri bond dello Stato italiano. Il buy­back abbinato a un concambio con taglio minimo

di5 milioni di euro, una novità assoluta per il Tesoro sul BTp Italia,è stato accolto calorosamente dal

mercato all'ingrosso. «Il buy­back e il concambio nel formato standard finora utilizzato sono operazioni

riservate agli specialisti sul mercato all'ingrosso Mts ma non sono replicabili per i BTp Italia non negoziati

su tale mercato­ ha spiegato Stefano Inguscio,responsabile emissioni governative di Banca Imi (gruppo

Intesa Sanpaolo) per questo il Tesoro ha collaudato il sindacato: le dimensioni finali dell'operazione, per 4,2

miliardi, sono importanti, il collaudo di questa nuova modalità per un BTp Italiaè andato molto bene». Il

buy­back con concambio ha registrato una domanda complessiva pari a 7,1 miliardi. Stando a fonti di

mercato, la richiesta nonè stata esaudita integralmente perchè l'exchange arrivaa pochi giorni dall'astaa

medio lungo termine: il prossimo martedì il Tesoro emette BTpa5e 10 anni per un importo totale tra 4,75e

5,75 miliardi. Il privato che intende vendere BTp Italia prima della scadenza può farlo senza problemi sul

Mot, una piattaforma con liquidità adeguata per operazioni al dettaglio. Ma il retail mira al premio fedeltà.

L'ultimo BTp Italia è stato collocato in maggio al 37% presso i risparmiatori.

I collocamenti di BTp ItaliaIl bilancio delle emissioni BTp Italia 1 Mar '12 Mar '16 7,30 BTp Italia 2 Giu '12 Giu '16 1,70 BTp Italia 3 Ott

'12 Ott '16 18,00 BTp Italia 4 Apr '13 Apr '17 17,05 Collocamento BTp Italia 5 Nov '13 Nov '17 22,41 BTp

Italia 6 Apr '14 Apr '20 20,60 Scadenza BTp Italia 7 Ott '14 Ott '20 7,50 Ammontare (in mld di €) BTp Italia 8

Apr '15 Apr '23 9,30 BTp Italia 9 Apr '16 Apr '24 8,00 BTp Italia 10 Ott '16 Ott '24 5,20 BTp Italia 11 Mag '17

Mag '23 8,59

www.ilsole24ore.com Sul sito la versione integrale nella rubrica Free Lunch

Foto: .@isa_bufacchi

27/05/2017Pag. 1

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 86

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INVESTINDUSTRIAL Bonomi entra in corsa per acquistare il caffè di Caffitaly Carlo Festa pagina 20Bonomi entra in corsa per acquistare il caffè di Caffitaly Si incrociano le strade di due decani del

private equity italiano: Edoardo Lanzavecchia, a capo del fondo paneuropeo Alpha, e Andrea Bonomi,

fondatore del gruppo finanziario Investindustrial. Oggetto di discussione è uno dei maggiori gruppi tricolori

attivi nella macchine da caffè e nelle capsule, cioè Caffitaly. Da qualche mese è infatti in corso un processo

­ gestito dall'advisor Lazard ­ che dovrebbe portare alla cessione di Caffitaly, da parte del fondo Alpha, grup­

po internazionale con focus su Italia, Germania, Francia e Olanda e guidato proprio da Edoardo

Lanzavecchia. Alpha è entrata in Caffitaly nel 2013: da allora il gruppo, noto per la tecnologia proprietaria in

concorrenza a Nespresso, è cresciuto a tassi elevati fino a raggiungere un fatturato di circa 140 milioni con

una marginalità importante: con 45 milioni di margine operativo lordo. Le trattative per la vendita

dell'azienda di Gaggio Montano (in provincia di Bologna) sarebbero, secondo le indiscrezioni, entrate ora in

una fase cruciale e in corsa per l'acquisto ci sarebbe appunto la Investindustrial di Andrea Bonomi, assai

attiva in questo periodo visto che sta esaminando anche il dossier The Body Shop. Ma in corsa ci

sarebbero, secondo le indiscrezioni, an­ che alcuni fondi stranieri: cioè Partners Group, Capvest e Advent. A

fine giugno l'azionista Alpha deciderà a chi cedere l'azienda, che sarebbe valutata tra 450 e 500 milioni di

euro. Nel frattempo, proprio il gruppo guidato da Lanzavecchiae di cuiè operating partner Luca Zacchetti,

avrebbe chiuso il suo settimo fondo paneuropeo: raggiunto l'obiettivo di 900 milioni di euro, di cui almeno la

metà allocata in Italia, una dotazione che vede tra i principali sottoscrittori (circa una sessantina) i grandi

fondi pensione stranieri, europei ed americani. Il primo investimento del nuovo fondo di Alpha, appena

raccolto, è stato quello recente nella tedesca Europart, trai leader europei nel settore dei ricambi per veicoli

commerciali. L'obiettivo di Lanzavecchia, Zacchetti e del management di Alpha è quello di fare di Europart,

che vanta un giro d'affari di 500 milioni di euro, un polo aggregante e una piattaforma distributiva del settore

in Europa, sul modello di quanto già fatto nel recente passato con l'italiana Rhiag, azienda che era stata

ceduta da Alpha ad Apaxe infine finita alla multinazionale statunitense Lkq. Oggi Alpha, nel suo portafoglio,

oltre alle partecipate in Germania, Olanda e Francia, possiede diversi gruppi tricolori: Savio, Remazel,

Optima, Pavan e, appunto, Caffitaly. Per quest'ultimo gruppo emiliano si saprà entro fine mese il destino

con le chance di acquisizione divise appunto tra l'italiana Investindustrial e tre gruppi finanziari esteri come

la svizzera Partners Group, l'inglese Capvest e l'americana Advent.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 87

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Il lavoro Il governo tira dritto: voto sui voucher-bis Presentato l'emendamento con il limite a 5000 euro, oggi il testo in Commissione. Mdp: "Così non votiamola fiducia". Il sostegno della Lega e le probabili assenze di Forza Italia potrebbero servire per l'approvazioneMa il nodo rimane al Senato dove i numeri sono stretti e resta il rischio bocciatura I nuovi buoni-lavoro soloper chi ha meno di cinque dipendenti. Sì al riposo festivo ROBERTO PETRINI ROMA. Precipita nel mare agitato dei nuovi voucher il clima politico. Dopo una giornata piena di tensione,

con epicentro nella Commissione bilancio della Camera, il Pd ha deciso di tenere duro e di affidare a Mauro

Guerra, il relatore della manovra correttiva chiesta da Bruxelles, il compito di presentare l'emendamento

che regola il lavoro occasionale. Obiettivo: dematerializzare i vecchi voucher cartacei e introdurre le due

piattaforme informatiche Inps, «PrestO» (così inizialmente definita con riferimento alla Prestazione

Occasionale) e «Libretto famiglia» dove dovrebbe avvenire la «compravendita» del lavoro occasionale. La

votazione avverrà stamattina: Mdp, che ieri ha abbandonato l'aula, voterà contro, gli orlandiani non

parteciperanno, ma la Lega sembra favorevole.

Complice il sabato i ranghi potrebbero essere ridotti: dei 46 componenti della Commissione alcuni (sembra

di Fi) potrebbero lasciare i banchi vuoti. Il provvedimento resta comunque in bilico, ma anche se passerà

per 3-4 voti lo strappo politico è segnato: lo scoglio del Senato, dove i numeri sono più stretti, resterà ad

alto rischio. Il testo è simile al dettagliato lavoro tecnico fatto da Palazzo Chigi che mercoledì scorso, per

cautela, ha rinunciato ad inserire la normativa nel pacchetto dei 30 emendamenti alla manovrina. La nuova

disciplina consentirebbe di stabilire un rapporto di lavoro tra impresa e dipendente di carattere nominativo,

diretto, con minimo salariale e mansioni e dunque, si sostiene nel Pd, si tratterebbe di una vera forma di

«contratto» e non una riedizione del vecchio voucher cartaceo che si vendeva nei «Sali e tabacchi». Tesi

che tuttavia viene contestata: bersaniani, Cgil, Sinistra italiana ma anche esponenti del Pd come Cesare

Damiano sono, con gradazioni diverse, contrari. Il vero nodo tuttavia è politico e sembra superare anche il

merito: non piace la reintroduzione dei voucher dopo una legge che li aveva aboliti per evitare il

referendum.

Dura la linea di Mdp che sembra non lasciare margini: «E un vulnus democratico, non c'è fiducia che

tenga», sottolinea Roberto Speranza, mentre Sinistra Italiana parla di «presa in giro». La tensione si

scarica naturalmente nella Sala del Mappamondo dove di riunisce la Commissione Bilancio sotto la regia di

Francesco Boccia, presidiata dalla ministra per i Rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro, dal vice

dell'Economia Morando e dal sottosegretario Pier Paolo Baretta.

E' qui che si discute, tra sospensioni e tentennamenti, per l'intera giornata, finché alla ripresa a tarda notte

arriva l'emendamento-Guerra.

Non convincono i «dissidenti» della maggioranza neanche i nuovi paletti all'uso dell'e-voucher: il tetto di

5.000 euro introdotto per la prima volta alle imprese, il riposo festivo, il limite dei 5 dipendenti per le aziende

che vogliono ricorrere al "PrestO" . Meno contrasti sul libretto famiglia, con titoli di pagamento da 10 euro

più contributi. Ma la situazione, a meno di sorprese dell'ultima ora, sembra difficile da ricucire.

I PROTAGONISTI FRANCESCO BOCCIA Il presidente della Commissione Bilancio della Camera dove sì è

discusso della reitroduzione dei voucher PIER LUIGI BERSANI I bersaniani di Mdp stamattina voteranno

contro l'emendamento Guerra che reintroduce i voucher ANNA FINOCCHIARO Il ministro dei Rapporti con

il Parlamento ha sottolineato che la norma sui voucher rispecchia la posizione del governo

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 88

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I nodi del credito Banche, il pressing del Tesoro su Atlante Il governo e i cda degli istituti vorrebbero un nuovo intervento per coprire gli 1,25 miliardi chiesti daBruxelles Ma Guzzetti dice no: "Dalle Fondazioni nemmeno un euro". Nel fine settimana contatti tra Padoane la Vestager Sullo sfondo l'ipotesi di usare i 400 milioni di Atlante 2 stanziati per gli Npl delle Casseadriatiche ANDREA GRECO MILANO. Il sipario sul salvataggio delle ex popolari di Vicenza e Montebelluna, cui restano pochi giorni se

non si risolve la crisi politico-finanziaria che ne ostacola la fusione e ricapitalizzazione per 5 miliardi, chiude

per due giorni. Oggi e domani si svolge a Taormina il summit G7. Il presidente del consiglio Paolo Gentiloni

e il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan non vogliono che la polvere bancaria si sollevi mentre i fari del

mondo puntano l'Italia. Dietro le quinte però non mancheranno contatti ad alto livello, perché le istituzioni

politiche ritrovino la concordia che consenta poi ai tecnici di Bruxelles una lettura meno severa di quella

fornita settimana scorsa, quando il piano triennale di rilancio del polo veneto, inoltrato con mezzo miliardo

di capitale in eccesso, è stato riscritto dando luogo a 1,25 miliardi di deficit. E l'ingiunzione a farli versare ai

soci privati, come chiede la direttiva che vincola gli aiuti di Stato.

Il confronto politico, lontano dai riflettori, potrebbe continuare sia in Sicilia, tra i capi di gabinetto dei governi

di Italia e Germania, sia attraverso contatti telefonici tra Padoan e la commissaria al mercato europeo

Margrethe Vestager. Al Tesoro non c'è l'ombra di un dubbio sul fatto che esiste un'intesa politica per

trovare una soluzione che tenga in vita le due banche, in tempi, modi e forme necessari. Non è detto,

quindi, che il famigerato miliardo di capitale privato serva davvero: potrebbe rivelarsi l'esito parziale del

processo di accomodamento, da iscrivere in una matrice più ampia.

Sui mercati finanziari e ai vertici dei due istituti simili letture sono poco accreditate: anche perché nelle

retrovie è ripartita la moral suasion di Padoan sui soci di Atlante - Intesa Sanpaolo e Unicredit su tutti - per

ripensarci e versare un nuovo "obolo" che sistemi la doppia partita. Ieri il no esplicito è venuto da Giuseppe

Guzzetti, socio storico della maggior banca italiana e nume del fondo Atlante: «Le Fondazioni non

intendono mettere più un euro - ha detto il presidente di Cariplo ed Acri -. Chi metterà i soldi bisogna

chiederlo a Padoan. Le Fondazioni hanno già messo 538 milioni e vedremo che fine fanno. Sono molto

esplicito».

Nelle due banche, dove il rischio di defezioni è alto (il presidente di Vicenza Gianni Mion avrebbe già

deciso che comunque vada lascerà prossimamente), i cda ieri hanno almeno compattato i ranghi. E dopo le

informative dei manager hanno delegato gli ad Fabrizio Viola e Cristiano Carrus di «verificare la

disponibilità di Atlante, a partecipare alla ricapitalizzazione precauzionale». Si è creata così una procedura

per far emergere il parere di Atlante, per quanto al momento tutti i suoi pesi forti dichiarano la contrarietà a

nuovi investimenti. Una via residuale potrebbe essere dirottare i circa 400 milioni che restano ad Atlante 2

nell'aumento delle due venete, magari riservando al fondo azioni con diritti speciali meno diluibili dalla

futura ricapitalizzazione di Stato. Tuttavia quei soldi sono Quaestio li ha destinati a rilevare 2,8 miliardi di

sofferenze dalle Casse di Rimini, Cesena e San Miniato, per favorirne l'acquisizione da parte di Cariparma.

Non è detto si trovi il consenso al cambio di strategia: investire in Npl rende ad Atlante il 10%, investire

nelle banche venete farà presto perdere buona parte dei 3,5 miliardi.

Martedì i due cda veneti sono riconvocati, per aggiornamenti e per capire modalità e costi di eventuali -

scongiuratissime - risoluzioni o liquidazioni. Le stime del pollice per i due istituti sono di stralci pesanti per i

circa 35 miliardi di depositi e ancor più dei crediti ai clienti, 42 miliardi che sarebbe arduo girare su altre

banche già presenti nell'area. Poi "salterebbe" una dozzina di miliardi di bond a garanzia pubblica, che da

soli son già il doppio di quel che costa la ricapitalizzazione di Stato.

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La situazione patrimoniale di Popolare Vicenza e Veneto Banca (In miliardi di euro) Perdita cumulata 3,4

Crediti deteriorati netti 10,2 Soerenze 4,0 Capitale versato da Atlante 3,5 Bond emessi garantiti dallo Stato

6,5 Richieste di nuovi Bond 3,6 Richiesta di capitale da parte della Bce 6,4 TOTALE DIPENDENTI 11.454

Foto: Fabrizio Viola, amministratore delegato di Veneto Banca

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 90

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L'Italia torna ad attrarre gli investimenti esteri balzo del 62% nel 2016 SECONDO UN REPORT DI EY IL PAESE SI È ADDIRITTURA MOSSO MOLTO MEGLIO DELLA MEDIAEUROPEA (+15%) E IN CONTROTENDENZA RISPETTO ALL'ANDAMENTO MONDIALE CHEREGISTRA FLUSSI GLOBALI ANCORA UNA VOLTA IN CALO Christian Benna Milano Tra i grandi investitori sta tornando di moda il viaggio in Italia. Dopo anni in cui le multinazionali

estere sembravano tenersi alla larga dal Paese, oggi scelgono la penisola per trovare casa ai propri centri

direzionali dell'area Emea (Whirlpool ha comprato Indesit e preso indirizzo a Rho-Pero), espandono centri

logistici per potenziare i servizi sul mercato domestico (Amazon, Zalando, Kuehne + Nagel), aprono centri

di ricerca (Apple, Ibm), e puntano sulla manifattura d'eccellenza (Lvmh, Kering, Dana Incorporated). Tant'è

che la "calata" dei big sta riportando l'Italia verso la parte alta della classifica per attrattività dei paesi

europei. Nel 2016, secondo l'osservatorio di EY, l'Italia è salita al 16esimo posto per Fdi, Foreign Direct

Investments, quella relativa agli investimenti esteri diretti. A soffermarsi sulla posizione, a metà classifica su

28 paesi, che non rispecchia le potenzialità del paese, si rischia di vedere solo il bicchiere mezzo vuoto.

Perché la nota positiva arriva dal numero di investimenti, 89 progetti realizzati nel corso dell'anno, in

aumento del 62% rispetto al 2015. Insomma, il paese sembra aver rimesso in moto, almeno in parte, la sua

capacità di attrarre l'interesse del business d'oltre frontiera. Il tabellino di marcia dei Fdi in Italia infatti non

ha eguali in Europa, solo la Svezia viaggia a ritmo superiore (+72%), mentre la media continentale si

attesta al 15%. E si tratta del quarto miglior risultato di sempre per l'Italia che riporta il paese a livelli pre-

crisi, e che acquisisce particolare valore perché la globalizzazione si muove ormai - quasi ovunque con il

passo del gambero. Stando alle stime dell'Unctad, l'agenzia Onu per il commercio e lo sviluppo i flussi degli

investimenti globali sono diminuiti del 13% nel 2016 attestandosi a una cifra di 1,3 trilioni di dollari.

Rallentano i processi di delocalizzazione verso l'oriente, e con ogni probabilità, e si avvia la fase di

reshoring, il ritorno della produzione nei paesi industrializzati secondo il verbo dell'automazione 4.0. In

questo contesto l'Italia fa eccezione, tornando a vestire i panni di mercato appetibile, non solo per chi viene

a comprare i gioielli di famiglia (due terzi dei Fdi sono rappresentati da M&A), ma anche per chi è

interessato a conquistare il mercato interno. Spiega Donato Iacovone, amministratore delegato di EY in

Italia e managing partner dell'area Mediterranea: «Nonostante un sentimento di cautela legato alla stabilità

del quadro politico, alle pressioni sul sistema bancario e alla tassazione elevata, nel 2016 gli investitori

internazionali sono tornati ad investire in Italia. Dalla ricerca EY dedicata all'attrattività degli investimenti

esteri è emerso che gli Fdi hanno realizzato una crescita del 62% che ha contribuito a realizzare 2.654

nuovi posti di lavoro, in aumento del 92% rispetto al 2015. La qualità delle risorse che il nostro Paese offre

è considerata dagli investitori un asset vitale, ma è necessario che imprese e istituzioni sostengano gli

investimenti con azioni concrete: promuovendo la riconversione culturale e professionale, favorendo

l'incremento della produttività attraverso l'innovazione e il digitale lungo tutti i processi produttivi,

rimuovendo i freni burocratici e intervenendo sulla forte pressione fiscale». La nuova strategia è all'insegna

del "liberismo pragmatico", come affermato dal ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda nel corso

dell'assemblea di Confindustria, porte aperte quindi agli investitori pur dicendo "no a pratiche e

comportamenti predatori". Certo, gli investimenti diretti esteri in Italia devono farne ancora di strada per

raggiungere i livelli della media europea. Secondo quanto emerge da una ricerca di UHY, network

internazionale che raggruppa società di revisione, consulenza fiscale e sul lavoro, i Fdi nel nostro paese

sono pari allo 0,7% del Pil, contro il 2% in Europa. Del resto, come conferma lo studio di EY, Regno Unito,

Germania e Francia rimangono stabilmente le prime tre destinazioni europee di FDI, con oltre la metà

(51%) degli investimenti effettuati in Europa con rispettivamente 1.144, 1.063 e 779 progetti all'attivo. E,

come ha rivelato un'indagine dell'istituto Bruno Leoni, l'indice di globalizzazione dei paesi industrializzati

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 91

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vede l'Italia ferma al 17esimo posto. Tuttavia qualcosa sta cambiando. In Italia, come in Europa, le società

statunitensi sono state i maggiori investitori: nel 2016 gli investimenti Usa hanno rappresentato il 27% degli

investimenti esteri nel nostro paese (il 22% in Europa, +10% rispetto all'anno precedente). Nonostante

l'exploit degli ultimi anni, dall'acquisizione Pirelli, a quelle di Inter e Milan, e alle partecipazioni nella finanza

e nella moda, la quota di investimenti cinesi nel nostro paese è invece ancora marginale (2%), in un quadro

che, nel 2016, vede le imprese cinesi più attive in Europa: 297 progetti Fdi (25% in più rispetto all'anno

precedente) che hanno creato 7.919 posti di lavoro. La buona notizia è che gli investitori esteri non

vengono in Italia solo per fare shopping di marchi di prestigio da rilanciare sullo scenario internazionale, ma

sono interessati a fare business nella Penisola. Infatti il settore che attrae il maggior numero di investimenti

esteri è quello del Sales & Marketing (52% del totale), seguito dai progetti di Research & Development

(15%), dai progetti legati alla manifattura (13%) e da quelli di tipo logistico (11%). A livello di macro-settori

industriali, i comparti più gettonati dai Fdi sono servizi finanziari (38%), industria manifatturiera (31%) e

Trasporti e Comunicazioni (21%). S.DI MEO FONTE: EY

Foto: A lato, grafici tratti dal report EY Foreign investments back on track

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 92

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Dalla Banca d'Italia alla Consob la grande battaglia delle nomine VISCO HA CONTRO RENZI, GRILLO E BERLUSCONI. MA CON LA COMMISSIONE D'INCHIESTA,MOSTRANDO LE SUE CARTE SULLE CRISI, PUÒ RIBALTARE IL VERDETTO: VIA NAZIONALEBLINDATA DA MATTARELLA E DRAGHI Massimo Giannini Formidabili, quegli Anni '20. Alla Banca d'Italia, Tempio inviolabile e impermeabile a qualunque incursione

degli "infedeli" della politica, il governatore Stringher sceglieva il suo futuro successore al vertice della

Banca d'Italia con un "metodo" semplice. Lo racconta Guido Carli nelle sue memorie: il candidato veniva

prima torchiato a dovere dal capo del Servizio Sconti, poi sottoposto al test finale: due chiodi di ferro

intrecciati tra loro, da districare nel minor tempo possibile. Un giovanotto, Donato Menichella, se la cavò in

pochi secondi. E così Stringher decise che sarebbe diventato un grande governatore. segue a pagina 2

Sono passati quasi cent'anni. Oggi la Banca d'Italia non è più quel Tempio inviolabile. E dopodomani

Ignazio Visco leggerà le sue Considerazioni Finali senza sapere se per lui saranno le ultime, o se dopo di

lui ci sarà un altro Menichella, o se invece gli "infedeli" avranno la meglio e piazzeranno l'Alieno, cioè un

esterno di loro fiducia. Sarebbe la Caduta del Muro di Via Nazionale. La fine di un mito, l'autonomia

istituzionale come "alterità" radicale, che finora ha conosciuto la sola "eccezione" (immediatamente

metabolizzata dalla "regola") di Mario Draghi. La primavera calda Tra l'assemblea annuale della Consob

celebrata l'8 maggio, e quella di Bankitalia fissata il 31, l'autunno caldo delle nomine è già cominciato a

primavera. Giuseppe Vegas scade il 15 dicembre, e dopo sette anni non è rinnovabile. Ignazio Visco scade

il 31 ottobre, e dopo sei anni è invece rinnovabile. Ce n'è abbastanza per scatenare l'assedio di una politica

agitata dal demone populista. Non solo Grillo, il vernacoliere del Vaffa anti-élite. Ma anche Renzi, l'alfiere

della rottamazione a giorni alterni. E persino Berlusconi, il cavaliere dell'inciucio a tutti i costi. Tutti pronti a

trasformare in una Rai qualsiasi due istituzioni di garanzia, sulle quali si gioca un pezzo di credibilità del

Paese. In un'Italia "normale" non ci sarebbe nulla di scandaloso se dopo una seria e responsabile disamina

dell'operato di Vegas e Visco di questi anni il "sistema" si esprimesse per una forte discontinuità. I due

"vigilanti" avranno senz'altro fatto il loro dovere "a legislazione vigente" (e insufficiente). Ma è evidente che

nella rete dei controlli in questi anni qualcosa è sfuggito. E quindi cambiare si può. In altre democrazie

moderne, molto più stabili e attrezzate della nostra, questo succede senza che si gridi alla lesa maestà.

Accadrà alla Fed americana a febbraio, quando scadrà il mandato di Janet Yellen. Alla Banca centrale

giapponese ad aprile, quando lascerà Haruhito Kuroda. Alla Bundesbank nel 2019, quando l'uscita di scena

toccherà a Jens Weidmann. Hai fatto male? Lasci. Hai fatto bene? Raddoppi. Ma l'Italia non è un Paese

normale. Non siamo normali per ragioni economiche. Abbiamo il secondo debito pubblico del mondo. Un

sistema bancario gravato da 345 miliardi di crediti deteriorati lordi. Mps appesa a una "ricapitalizzazione

precauzionale" da 9 miliardi. Le due banche venete con più di 15 miliardi di depositi già bruciati. I mercati

che hanno già cominciato la ritirata dai titoli tricolore. La Bce che ad ottobre avvierà il "tapering", cioè la

riduzione progressiva degli acquisti di Btp. I motivi politici Non siamo normali per ragioni politiche. Abbiamo

un sistema bloccato, con una maggioranza instabile, un tripolarismo immobile e un meccanismo elettorale

ingestibile. E un governo ammaccato, che in autunno deve fare una maxi-manovra con la minaccia delle

elezioni anticipate e dell'esercizio provvisorio. In questo inquietante "sommario di decomposizione" chi si

assume la responsabilità di rivoluzionare gli assetti, non tanto in Consob, quanto soprattutto in Banca

d'Italia? Ci provano. Ma non ci riusciranno. A impedirglielo saranno i Guardiani della Continuità. Il primo (il

più potente) si chiama Sergio Mattarella. Il secondo (il suo attendente) si chiama Paolo Gentiloni. Il terzo (il

più influente) si chiama Mario Draghi. Contro la riconferma di Ignazio Visco, che dopodomani nelle

Considerazioni Finali stilerà la sua ferma auto-arringa, è all'opera una Resistibile Armata. Ne fa parte Silvio

Berlusconi, che non ha gradito la "sentenza" con cui Palazzo Koch ha imposto a Fininvest di ridurre dal 18

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 93

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al 10% la sua quota in Mediolanum. Il fronte Nazareno Ma la guida Matteo Renzi, con il suo (appassito)

Giglio Magico. Il neo-leader del Pd è partito all'attacco del governatore usando la "clava" della commissione

parlamentare d'inchiesta sulle banche. «Se c'è un motivo per cui sono contento che la legislatura vada

avanti fino all'aprile 2018 - ha detto agli amici del Foglio - è che avremo molto tempo per studiare i

comportamenti di tutte le istituzioni competenti. Cioè, competenti per modo di dire...». Più chiaro di così l'ex

premier non poteva essere. Renzi scarica su Bankitalia colpe che sono anche sue. Non ha mai digerito il

modo in cui Visco ha gestito l'applicazione della direttiva Ue sul bail in (mentre il primo a sottovalutarne o a

tacerne la portata fu proprio lui). E non ha digerito neanche il modo in cui la Vigilanza ha gestito la crisi di

Banca Etruria. Maria Elena Boschi sul Corriere della Sera ha accusato Via Nazionale che "un anno fa

suggeriva a Banca Etruria un'aggregazione con la Popolare di Vicenza" guidata da Zonin, poi quasi fallita a

sua volta. Il rilievo non è peregrino. È vero che il capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo accusò per

iscritto il cda di Etruria per aver "lasciato inevasa" la proposta di acquisizione e aver rifiutato l'integrazione

con "un partner di elevato standing". Ed è altrettanto vero che se quella fusione fosse andata in porto, visto

il crac successivo di Vicenza, il bagno di sangue per i risparmiatori sarebbe stato anche maggiore. Ma

quello che la Boschi non dice (e che ora ha meritoriamente rivelato Ferruccio de Bortoli) è il suo gigantesco

conflitto di interessi: proprio in quel periodo lei stessa chiedeva a Ghizzoni di far comprare dal colosso

Unicredit la banca aretina di cui suo papà Pierluigi era vicepresidente. Dettagli, per la Consorteria Toscana

di rito renziano. Che dunque in Banca d'Italia vorrebbe fare piazza pulita, e portare da fuori un "economista

del consenso" come Marco Fortis, il professore più "pro-ciclico" e governista in circolazione. Per riuscirci

bisogna "mascariare" Visco, e la Commissione parlamentare d'inchiesta è utile per questo. Cammino

tortuoso Ma per l'ex premier il cammino è accidentato. Come si sostiene al piano nobile di Palazzo Koch, e

come conferma uno dei più importanti rappresentanti del mondo bancario del Paese, "dalla commissione

potrebbe uscire un risultato che non indebolisce, ma piuttosto rafforza la Banca d'Italia". Senza i vincoli del

"segreto d'ufficio" (al quale è altrimenti tenuto) Visco potrà esibire tutti gli interventi di Vigilanza effettuati in

questi tre anni. Su Mps, su Etruria e le altre tre banche in risoluzione, sulle Venete, su Carige, su Bari e su

tutte le altre non transitate sotto il controllo diretto della Bce. «Lì si capiranno molte cose. E cioè che Via

Nazionale, con i poteri che la legge gli mette a disposizione, ha fatto tutto quello che poteva. La stessa

cosa, semmai, non si può dire della magistratura...». Gli esempi non mancano. Il crac di Banca Marche: la

Vigilanza segnala "gravi irregolarità" nel 2010, ma la Procura di Ancona misteriosamente apre un fascicolo

contro Massimo Bianconi solo nel 2013. Il crac Veneto Banca: i primi rilievi della Vigilanza sono del 2009, la

Procura di Treviso si muove contro Vincenzo Consoli solo nel 2016, ma nel frattempo vengono fuori viaggi

in Brasile con il comandante della Guardia di Finanza trevigiana, regali di lusso al presidente del Tribunale

Giuseppe Schiavon, ricche consulenze legali a Ippolita Ghedini moglie del procuratore Michele Dalla Costa.

Il crac Carige: Bankitalia segnala "violazioni" nel 2010, Giovanni Berneschi viene arrestato solo nel 2014,

ma intanto si scopre che l'ex procuratore capo Francesco Lalla e il giudice Roberto Fucigna avevano

chiesto più volte favori al patron della cassa genovese. L'elenco potrebbe continuare. E svelare, intorno alle

famose o famigerate "banche del territorio", un groviglio di omissioni e collusioni molto più complesso, Un

sistema di potere del quale hanno fatto spesso parte le toghe, e nel quale la Banca d'Italia non ha strumenti

per intervenire. I guardiani della continuità Visco queste cose le accennerà, con il linguaggio "cifrato" delle

Considerazioni Finali. Le dice spesso, con un più rilassato slang napoletano, agli amici che in questi giorni

gli vanno a parlare e ai quali confida "a volte mi viene davvero voglia di mandare tutti a quel paese". E

soprattutto le ha spiegate al Capo dello Stato, con il quale i rapporti sono sempre più solidi e stretti. Già a

fine ottobre 2015, nel pieno della bufera su Etruria-Marche-Carichieti-Cariferrara, Mattarella intervenne

pubblicamente per difenderlo, esaltando "la preziosa e fondamentale azione di vigilanza della Banca

d'Italia". Nell'ultimo anno il governatore ha varcato la soglia del Quirinale almeno cinque volte. L'ultima è

stata forse risolutiva. «Il presidente della Repubblica lo ha rassicurato - racconta un amico comune

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annunciandogli che ha già concordato tutto con Gentiloni: la rottamazione in grande stile non passerà...

Anche Draghi lo ha ribadito: in un momento così delicato non possiamo permetterci di cambiare i vertici

delle due più importanti autorità di controllo dei mercati: all'estero daremmo un segnale di debolezza

destabilizzante». Quindi, salvo sorprese, nessun Alieno calato da fuori. Nè Fortis né Lucrezia Reichlin (già

capo della ricerca Bce). Nè Andrea Enria (direttore dell'Eba a Londra) nè Ignazio Angeloni (membro della

vigilanza Bce). «Anche perché - come avverte un illustre ex di Via Nazionale, ora passato ad altri e alti

incarichi all'estero - io che li conosco bene vi dico che se gli imponessero un governatore 'esterno' un

minuto dopo scatterebbero dimissioni di massa...». Ma a questo punto, continuità per continuità, diventa

improbabile anche l'ipotesi di una promozione da dentro. Né Salvatore Rossi (direttore generale) né Fabio

Panetta (vicedirettore generale con delega sulle banche). Lo stesso Renzi, da quello che si capisce, se ne

sarebbe fatto una ragione. E questo spiegherebbe anche l'ultimo "cedimento" del Pd alla Camera sui tempi

di approvazione della Commissione parlamentare d'inchiesta, nuovamente slittati martedì scorso. È inutile

"armarla", se il fortino di Palazzo Koch è già blindato dai corazzieri del Colle. La prova definitiva?

Dopodomani proprio Mattarella sarà seduto al posto d'onore nel Salone dell'Assemblea, ad ascoltare le

Considerazioni Finali di Visco. Nessun presidente della Repubblica l'ha mai fatto. Più "blindatura" di

questa... Tentazione mercatista Alla Consob sembra tutto più facile. O forse tutto più difficile. Dipende dai

punti di vista. È più facile perché c'è una certezza: Giuseppe Vegas chiude il suo ciclo a metà dicembre, e

per statuto non può essere rinnovato. In giro nessuno si straccia le vesti per questo. L'ex viceministro di

Tremonti nel governo Berlusconi ha attraversato con discreti danni reputazionali sia la vicenda Etruria (con

l'autorizzazione benevolmente concessa ai rosei prospetti informativi dei bond di una banca sull'orlo del

default) sia la vicenda degli "scenari probabilistici" (inopinatamente eliminati dai prospetti sulle obbligazioni

subordinate). Vegas si è difeso attaccando, all'assemblea dell'8 maggio. Sugli "effetti distorsivi" della

direttiva sul bail in, sul decreto salvabanche del 2015 che ha "minato la fiducia nelle banche", sui maggiori

poteri richiesti e negati alla Commissione. Tutto inutile. Chi si fa un giro ai piani alti di Piazza Verdi, si sente

dire questo: "Purtroppo è vera l'accusa che ci muovono: in questi anni abbiamo tutelato più le banche dei

risparmiatori". Non c'è altro da aggiungere. In Consob la discontinuità è davvero irrinunciabile. E allora tutto

è possibile. La nomina spetta al governo, e dunque a Gentiloni e Padoan. Ma in questo caso il peso

dell'azionista di maggioranza (il Pd renziano e ormai di nuovo Nazareno) sarà determinante. La soluzione

interna porta verso uno dei tre commissari più prestigiosi e preparati, Giuseppe Maria Berruti (decisamente

in vantaggio su Di Noia e Genovese). Ma ha due "difetti": è un magistrato (voluto in Consob proprio dal

governo Renzi), e in Cassazione ha presieduto l'Ufficio Centrale elettorale responsabile della "traslazione"

del quesito referendario sulle trivelle, notoriamente inviso allo stesso Renzi. Secondo "l'esprit florentin" (e a

dispetto dei molti complimenti che gli dispensa la Boschi), potrebbe essere considerato "inaffidabile". La

soluzione esterna porta ovunque e in nessun luogo. Come teme un altro ex Grand Commis: "Può

rispuntare ancora Fortis, oppure possiamo ritrovarci un capo di gabinetto dirottato da un ministero, oppure

un bel politico trombato. Per la Consob sarebbe un suicidio, ma si sa, le esigenze di aggiustamento politico

di una maggioranza sono infinite...". Verissimo, purtroppo. E allora non resta che formulare auspici, di qui al

prossimo autunno. Sfide incrociate Il mercato finanziario e la Borsa vanno incontro a sfide cruciali. La legge

sulle banche popolari da rischedulare. Il Mifid2 che parte da gennaio 2018 con nuovi presidi a tutela dei

risparmiatori, e richiederà un sicuro braccio di ferro tra le Vigilanze nazionali e l'Esma. Se tutto questo è

vero, sarebbe ora di riportare su quella poltrona non solo un giurista, ma anche e soprattutto un economista

che conosca a menadito i mercati finanziari, naazionali e internazionali. Servirebbe un altro Spaventa, o un

altro Padoa-Schioppa. Se ne conoscete qualcuno, segnalatelo Renzi, che invece pare stia pensando a un

altro "petalo" del solito Giglio Magico: Carlotta De Franceschi, giovane bocconiana che tra i suoi titoli, oltre

a Goldman Sachs, vanta soprattutto una consulenza col governo dell'amico Matteo. Incrociamo le dita, in

attesa che venga fuori qualcuno capace di sciogliere i chiodi di Bonaldo Stringher. SALVATORE ROSSI

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FABIO PANETTA CARMELO BARBAGALLO EUGENIO GAIOTTI IGNAZIO VISCO VALERIA SANNUCCI

LUIGI FEDERICO SIGNORINI MARINO OTTAVIO PERASSII PREDECESSORI ]Luigi EINAUDI Vincenzo

AZZOLINI Bonaldo STRINGHER 5 gennaio 1945 11 maggio 1948 10 gennaio 1931 4 giugno 1944 1°

gennaio 1900 24 dicembre 1930Futuri Capi dello Stato e vincitori a sopresa dell'Oscar "valutario" È un

"cahier" di uomini illustri la galleria dei precedenti governatori della Banca d'Italia, tutti ritratti nei corridoi

della sede di via Nazionale come i regnanti di Francia a Versailles. E in molti casi protagonisti di carriere ad

altissimo livello. Qualcuno, quando ancora la carica era vitalizia, ha lasciato via Nazionale per diventare

presidente della Repubblica, come Luigi Einaudi e Carlo Azeglio Ciampi (quest'ultimo con un passaggio da

ministro del Tesoro). Altri, come Guido Carli, hanno lasciato per la presidenza della Confindustria (poi

divenne anch'egli ministro del Tesoro). Altri ancora come Menichella hanno legato il proprio nome a

prestigiosi ricoscimenti, come il sorprendente Oscar della miglior valuta assegnato alla lira dal Financial

Times all'inizio del 1960.Donato MENICHELLA 7 agosto 1948 17 agosto 1960Guido CARLI 18 agosto 1960

18 agosto 1975 Paolo BAFFI 19 agosto 1975 7 ottobre 1979 Carlo Azeglio CIAMPI 8 ottobre 1979 29 aprile

1993 Antonio FAZIO 4 maggio 1993 20 dicembre 2005 Mario DRAGHI 29 dicembre 2005 31 ottobre 2011

Foto: Ignazio Visco è Governatore di Bankitalia dall'ottobre 2011. Il 31 maggio leggerà l'ultima relazione del

suo primo mandato Foto: Nelle foto, i lingotti d'oro nei forzieri della Banca d'Italia e la stampa degli euro al

Poligrafico dello Stato; in alto Palazzo Koch

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ALITALIA CHI PARLA E CHI PRENDE LE ROTTE Fabio Bogo Le peggiori previsioni si stanno regolarmente avverando. Esaurito il pathos emozionale ed elettorale,

intorno ad Alitalia sono spariti i suggeritori e i dispensatori di soluzioni miracolistiche. Il piano salvifico che il

segretario del Pd ed ex premier Matteo Renzi aveva promesso di rivelare entro il 15 maggio non si è

manifestato; le compagnie straniere che erano state invocate come partner e fortemente interessate ad

un'alleanza sono rimaste lontane dalla partita; le forze politiche che chiedevano l'immediato intervento dello

Stato hanno riposto i bellicosi propositi sciovinisti contrari alle regole europee. Il segretario della Cisl, la

pragmatica Annamaria Furlan che si era spesa a favore dell'accordo bocciato dal referendum tra i

dipendenti, ha commentato sconfortata: «Ora sono spariti grillini, populisti e liberisti; resta la malafede

manifestata nei confronti dei lavoratori». Alitalia ha così ricevuto l'iniezione di denaro con il prestito-ponte

da 600 milioni di euro, che dovrebbe consentire di superare l'estate, ed è nelle mani dei tre commissari che

stanno preparando il malato dei cieli al suo incerto futuro: cessione a pezzi dell'azienda, oppure riduzione a

compagnia alleata/subordinata di un partner-compratore straniero. E per fare questo agiscono appunto da

commissari, intervenendo sui costi; tra i quali, ovviamente, il taglio degli stipendi: chissà se i piloti

rimpiangeranno di aver rifiutato l'8 per cento proposto dal precedente management. Intorno alla compagnia

intanto si muovono tutti coloro che sperano di trarre vantaggio da un eventuale futuro definitivo collasso. I

principali concorrenti europei hanno cominciato a valutare il dossier Alitalia, soprattutto nell'intento di

scoprire i rispettivi intenti, mentre le low cost si sono dette disposte a rilevare le rotte a breve raggio che l'ex

compagnia di bandiera dovesse dismettere. Ryanair in realtà progetta di più: asciugare anche il potenziale

rilancio di Alitalia legato ad uno sviluppo dei voli intercontinentali. Il colosso irlandese ha firmato un accordo

con la spagnola low cost Air Europa, che opera sul mercato del lungo raggio e che ha base a Madrid.

Bisogna allora fare due conti. Air Europa collega Madrid con 41 destinazioni in America del Nord e del Sud,

a cui si aggiungono 5 scali caraibici. Ryanair collega Madrid con Roma Ciampino, Bergamo, Bologna,

Napoli, Palermo, Catania, Bari e Pisa. In pratica gli irlandesi si stanno facendo una rete di collegamenti a

lungo raggio e un proprio hub, che sarà alimentato anche con passeggeri italiani, con voli di connessione

che potrebbero partire da una tariffa di appena 10 euro. Mentre ad Alitalia non resta altro che leccarsi le

ferite, Ryanair porta via altro mercato. E l'aeroporto di Madrid ringrazia.

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Appalti, il cantiere c'è ma soltanto sulle leggi* Adriano Bonafede Un nuovo Codice degli appalti, che prometteva semplificazione, legalità e maggiore celerità, entrato in

vigore soltanto un anno fa. Una settimana fa l'approvazione, con un nuovo decreto delegato, di alcuni

correttivi. Non ci sarebbe niente di male: in fondo non soltanto in questo caso ma in molti altri frangenti è la

stessa legge di delega a prevedere la possibilità di successivi decreti correttivi. Il punto, però, è che le

rettifiche contate sono ben 440. Il che significa che in sostanza il nuovo codice ne esce stravolto: è una

riscrittura. Cambiano, dopo un solo anno, tutte le norme che indicano come deve svolgersi una gara

pubblica per l'acquisto di beni, servizi e infrastrutture. Si dirà che in fondo è possibile sbagliare una legge e

rifarla a breve distanza di tempo; anzi questo andrebbe ascritto a merito di un legislatore che ammette i

suoi errori. segue a pagina 8 Ma il punto è un altro: dal 1994, anno in cui fu approvata la cosiddetta Legge

Merloni (dal nome dell'allora ministro dei Lavori pubblici) le modifiche alle norme sugli appalti sono state a

getto continuo: se ne contano, a citare soltanto le più rilevanti ben 9 secondo la ricognizione che ha fatto

per Affari & Finanza l'Ance, l'associazione nazionale dei costruttori edili. In media ci sono state modifiche

più o meno ogni due anni e mezzo. Un tourbillon di leggi Questo darebbe l'idea di un settore in continua

evoluzione, e quindi bisognoso di adeguamenti normativi. Ma se guardiamo ai risultati di tanto "movimento",

l'effetto sembra esattamente l'opposto. Fermandosi soltanto alle gare per gli appalti per infrastrutture, il loro

valore in termini reali, quindi depurato dall'effetto-inflazione, è poco più di un terzo di quello che era nel

1990. Certo, ci sono anche fattori di finanza pubblica da considerare. Ma le due cose s'intrecciano. Tant'è

che proprio nel 2016, l'anno della ripresa degli appalti, l'immediata entrata in vigore della nuova normativa,

oggi già vecchia, ha immediatamente bloccato il trend positivo. Eppure questo settore meriterebbe una

grande considerazione: complessivamente rappresenta circa il 9 per cento del Pil: i dati del 2015 elaborati

dall'Anac, l'autorità anticorruzione che vigila sui contratti, mostrano che le gare sui servizi valgono 58,2

miliardi, quelle sulle forniture 30,6 miliardi e quelle sulle infrastrutture 24. Mentre le stazioni appaltanti

pubbliche interessate, fra comuni, province, regioni, Asl ecc, sono 35 mila. Rallentamento di lunga data

Qualcuno data il rallentamento di tutto il sistema degli appalti proprio a partire dalla Merloni. «Nel 1997 -

racconta Federico Titomanlio, segretario generale dell'Igi, il "club" delle grandi imprese di costruzione -

facemmo una ricerca sul contenzioso del settore: risultò che fra l'81 e il '97 c'erano state circa 3 mila

sentenze. Le leggi del 1865 e del 1995 costituivano ancora il corpus dottrinario del sistema degli appalti e

funzionavano bene. Se io vado a vedere invece cos'è successo dal 1997 a oggi, di sentenze sugli appalti

ce ne sono almeno 150 mila». Va tuttavia ricordato, a onor del vero, che la Legge Merloni fu introdotta in

seguito a quello che fu chiamato "Tangentopoli", il vasto scandalo sugli appalti truccati che aveva coinvolto

grandi imprese, alti burocrati dello Stato, politici e anche giornalisti. «E' vero - riconosce Titomanlio - ma

non bisogna confondere i fatti penali con la normativa in sé, che invece aveva funzionato bene per così

tanto tempo». Il massimo ribasso La legge sugli appalti è una specie di cubo di Rubik: si continuano a

spostare i quadratini senza mai trovare la soluzione definitiva e tornando a volte allo stesso punto.

Emblematico è il caso della doppia strada per l'assegnazione di un appalto sui grandi lavori. La Merloni

aveva introdotto il criterio del massimo ribasso. «Con il nuovo codice del 2016 - spiega Alessandro Botto,

ex magistrato, ex componente dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (ora Anac, ndr) e ora docente

alla Luiss - si privilegiava invece l'"offerta economicamente più vantaggiosa". Con le modifiche appena

approvate, si ridà però di nuovo più spazio al massimo ribasso, la cui soglia passa da 1 a 2 milioni. Qual è

la cosa giusta? «Con il massimo ribasso - spiega Massimo Corradino, consulente dell'Autorità

anticorruzione - l'amministrazione risparmia. Ma con l'offerta economicamente più vantaggiosa c'è spazio

per una valutazione più qualitativa». Qual è la procedura migliore dovrebbe sceglierlo la pubblica

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 98

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amministrazione interessata, non la legge, ha più volte fatto sapere l'Unione europea. Solo che l'opzione

del massimo ribasso finisce con l'essere quella che i funzionari considerano più rassicurante per loro,

perché è semplice e riduce al massimo ogni possibile discrezionalità. A prescindere da tutto il resto.

L'appalto integrato C'è poi il caso dell'"appalto integrato", ovvero l'appalto in cui l'impresa offre un pacchetto

completo di progetto esecutivo (quindi immediatamente cantierabile) ed esecuzione. Era stato eliminato da

un giorno all'altro con il codice del 2016, obbligando le Pa a mettere a gara i progetti esecutivi prima

dell'appalto dell'esecuzione vera e propria, che sarebbe rimasta quindi separata. Questa norma ha però

gettato nello scompiglio le pubbliche amministrazioni che non possiedono ormai nella maggior parte dei

casi uffici tecnici di qualità. E con esse l'intero settore delle imprese, abituate a presentarsi alle stazioni

appaltanti con un proprio progetto "chiavi in mano", che aveva il vantaggio anche di risparmiare tempo,

evitando di dover effettuare due gare. I correttivi «Avevamo chiesto un periodo transitorio - dice Gabriele

Buia, presidente dell'Ance, la potente associazione dei costruttori - perché c'erano gare già pronte con quel

sistema. Del resto bisogna che l'opinione pubblica sappia che tra la definizione di un bando di gara e la fine

di un'opera passano circa 10 anni. Quel periodo transitorio ci è stato incomprensibilmente negato e un po'

per questo, un po' per la complessità delle nuove norme, il sistema degli appalti dopo l'aprile dello scorso

anno si è di fatto bloccato. Ora il legislatore ha capito che c'erano delle forti criticità ed è intervenuto». Infatti

uno dei correttivi prevede che tutti i progetti approvati entro il 29 aprile del 2016 possano essere messi a

gara per un anno, sbloccando quello che era stato sterilizzato. Avanti e indietro Si torna di nuovo indietro,

almeno parzialmente, senza mai trovare un equilibrio. Perché in fondo, qualunque sia la procedura di gara,

a mancare è poi il controllo successivo. Spiega l'avvocato Andrea Stefanelli: «Molte gare sono aggiudicate

legittimamente, ma poi a mancare è la vigilanza sull'esecuzione. È come se io perdessi un sacco di tempo

per scegliere con cura l'impresa che dovrà farmi i lavori in casa e poi me ne andassi lasciandola fare senza

controllare gli stati di avanzamento dei lavori e la loro congruità». Le Pa, sempre più impoverite di figure

tecniche e legali, non sono abituate a controllare «e molto spesso hanno scritto persino male il contratto

dove dovrebbero essere riportate le clausole per effettuare i controlli. Questi contratti hanno natura

civilistica e infatti sull'esecuzione, in caso di controversia, è il giudice civile a intervenire, che - tra parentesi

- non sempre ha il bagaglio culturale per farlo. Quello amministrativo ha competenza soltanto riguardo alla

procedura di gara». La criminalità organizzata Hai voglia a cambiare ché tanto chi ha interesse a entrare

nelle gare d'appalto un modo lo troverà. È questo il labirinto inestricabile nel quale in questi anni si è

sempre smarrito ogni obiettivo di efficienza. Ottenendo di sicuro numerosi effetti negativi, senza il beneficio

di un reale contenimento della corruzione. Da ultimo, nel Codice del 2016, per evitare che la malavita si

insinuasse nelle migliaia di bandi che si fanno ogni anno in Italia, fu inserita la "centralizzazione" degli

acquisti di beni e servizi. Le successive inchieste penali hanno dimostrato che proprio la centralizzazione

ha portato i soggetti malavitosi a cercare di insinuarsi laddove, ad esempio la Consip, venivano effettuate le

mega-gare. Morale della favola. Quello degli appalti è il settore dove le norme cambiano continuamente da

un quarto di secolo senza mai stratificarsi e diventare "automatiche" per gli operatori. Dove una Pa sempre

meno responsabilizzata e sempre più priva di figure tecniche non sa né predisporre i contratti né controllare

la loro attuazione. Dove l'attenzione del legislatore è sempre puntata sulla possibilità che la criminalità

organizzata vinca una gara quando questa stessa criminalità trova forme sempre diverse per fare il suo

gioco. Mentre diventa sempre più difficile per gli altri, pubblici operatori ed imprese, operare. Chi mai

riuscirà a spezzare questo circolo vizioso darà un contributo importante al rilancio dell'economia italiana e

al risparmio sulla spesa pubblica. ANCE SU BILANCIO DELLO STATO

440 CORRETTIVI Sono quelli apportati al Codice degli appalti entrato in vigore soltanto un anno fa,

nell'aprile del 2016. Ma è dal 1994 che si susseguono continue modifiche

112,8 MILIARDI DI EURO È il valore complessivo a base di gara, nel 2015, degli appalti relativi a servizi

(58,2 miliardi), lavori pubblici (24 miliardi ) e forniture (30,6 miliardi)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 99

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Foto: Il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio (1); Gabriele Buia (2), presidente dell'Ance,

l'associazione dei costruttori e Giuseppe Zamberletti (3), presidente dell'Igi A destra, Raffaele Cantone ,

presidente dell'Anac, l'autorità anticorruzione

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 100

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IL CASO Musei, olivi, ponti e centurioni l'Italia finita nella rete dei Tar * Marco Ruffolo L'ultimo stop in ordine di tempo è arrivato giovedì scorso: due sentenze del Tar del Lazio hanno fatto

saltare cinque delle venti nomine di direttori di grandi musei statali, mettendo a repentaglio una riforma che

stava funzionando bene. Non c'è giorno o settimana in cui l'elenco degli altolà disposti in Italia dai giudici

amministrativi di primo e di secondo grado non si arricchisca di un nuovo caso. Sotto la loro scure cadono

uno dopo l'altro lotti stradali e concorsi pubblici, riforme bancarie e lavori di messa in sicurezza di scuole e

ospedali, bonifiche di terreni e assunzioni di infermieri. segue a pagina 4 Rafforzare il personale che lotta

ogni giorno contro l'evasione fiscale è cosa buona e giusta: peccato che negli ultimi tredici anni il Tar del

Lazio e il Consiglio di Stato abbiano bloccato o sospeso tutti e tre i concorsi che l'Agenzia delle Entrate

aveva disposto per assumere centinaia di dirigenti. Basta avere un po' di buon senso per capire che le

mastodontiche navi da crociera non devono passare a pochi metri da Venezia, ma basta una pronuncia del

Tar del Veneto all'inizio del 2015 per annullare l'ordinanza con cui la Capitaneria di Porto aveva limitato il

loro passaggio nel canale della Giudecca e nel bacino di San Marco. Valorizzare o quanto meno evitare

che cada a pezzi il nostro patrimonio storico-artistico è un impegno difficilmente contestabile. Eppure capita

che all'inizio del 2016 il Tar della Campania sospenda i lavori nella "Regio I" di Pompei in seguito al ricorso

di un'azienda esclusa dalla gara, e che li sblocchi solo quest'anno, guarda caso pochi giorni dopo il crollo

del muro di una delle Domus romane. L'Osservatorio Nimby Forum (dove Nimby è l'acronimo inglese per lo

slogan "non nel mio cortile") ha calcolato che più di un terzo delle 342 opere bloccate in Italia ha ricevuto

almeno uno stop da Tar e Consiglio di Stato: si tratta di 122 impianti finiti nelle sabbie mobili dei ricorsi. Al

primo posto, nell'elenco dell'Osservatorio, gli impianti energetici, seguiti da termovalorizzatori e biodigestori

per i rifiuti, da strade e ferrovie per le infrastrutture. Il 37% di queste opere sono ferme da più di quattro

anni. Morire di diritto L'immagine di un'Italia bloccata dalla giustizia amministrativa, dove non solo le opere

pubbliche ma quasi ogni decisione politica è condannata a restare sospesa per anni o decenni, non è

certamente nuova. Già qualche anno fa era una visione così nitida da indurre un politico misurato come

Romano Prodi ad affermare, neppure troppo provocatoriamente, che l'abolizione dei Tar e del Consiglio di

Stato avrebbe favorito la crescita del Pil. "Non possiamo morire di diritto amministrativo", scrive nel suo

libro "La lista della spesa" l'ex commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, sfiancato dalla gragnuola

di veti e ricorsi piovuti su ogni atto politico. In realtà, non è un problema che si possa risolvere con una

semplice sforbiciata. Non è possibile privare i cittadini del diritto di difendersi dai possibili abusi della

pubblica amministrazione: missione affidata appunto ai giudici amministrativi. L'obiettivo è salvaguardare

questo diritto senza tuttavia bloccare l'economia di una intera nazione, senza creare quello stato di

incertezza che paralizza imprese e famiglie e allontana gli investimenti esteri. Finora però non è andata

così: assistiamo tutti i giorni a occasioni di sviluppo sacrificate sull'altare del più astratto formalismo

giuridico, del bizantinismo più esasperato. Malgrado i progressi realizzati negli ultimi anni, i ricorsi pendenti

presso Tar e Consiglio di Stato sono ancora una massa enorme, quasi 240 mila nel 2016, con forte

concentrazione al Sud, e quelli nuovi si mantengono ben sopra la soglia dei 60 mila annui raggiunta nel

2012 e poi addirittura superata. Sui tempi della giustizia amministrativa, il presidente del Consiglio di Stato,

Alessandro Pajno, ricorda che molto è stato fatto per ridurli: «Tra il deposito del ricorso e la prima decisione

collegiale passano oggi 200 giorni, contro i 700 del 2010». Ed è di comune dominio la convinzione che la

giustizia amministrativa sia comunque più veloce di quella civile. Più veloce eppure in assoluto ancora

lentissima: secondo il Justice Scoreboard della Commissione europea, edizione 2017, se si tiene conto

delle liti pendenti, ci vogliono mille giorni in Italia, ossia quasi tre anni, per arrivare alla fine del primo grado

di giudizio amministrativo, un record in Europa. In Svezia, Ungheria, Bulgaria, Slovenia e Polonia bastano

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 101

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cento giorni. In Francia e Germania meno di 500. A colpi di sospensive Insomma, il fenomeno da noi

presenta ancora tutti i crismi della emergenza. Ormai non c'è concorso pubblico, non c'è gara di appalto

senza almeno un ricorso da parte di chi è stato escluso. E dal ricorso non di rado si passa alla sospensione

temporanea da parte del Tar (che può durare anche mesi), cosicché quando arriva il giudizio (anche se è

positivo) spesso è troppo tardi. Senza contare che poi si dovrà aspettare il verdetto del Consiglio di Stato

che potrà sempre ribaltare la decisione del Tar. «La giustizia amministrativa è al timone della politica

industriale del nostro paese - commenta Alessandro Beulcke, presidente dell'Osservatorio Nimby Forum -

E' questo il dato che emerge dalle nostre rilevazioni. Riportare in seno al governo le decisioni sui progetti di

interesse nazionale è la soluzione che da tempo invochiamo, come viatico per la semplificazione degli iter

autorizzativi e per la riduzione dei contenziosi tra Stato e Regioni. La riforma del Titolo V della Costituzione

- continua Beulcke - avrebbe rappresentato, da questo punto di vista, uno strumento potente in grado di

realizzare una maggiore certezza del diritto, a beneficio di imprese, istituzioni e territori». Ultimamente,

soprattutto con il governo Renzi, si è cercato di porre un freno alla possibilità di aziende e privati di

appellarsi ai Tar, e anche al potere dei tribunali stessi di sospendere i lavori più urgenti. Eppure, non si

riesce ancora a porre fine ai casi di paradossale formalismo giuridico. Come quello raccontato da Giavazzi

e Barbieri nel loro libro "I signori del tempo perso". Dal Palladio a Pompei Bassano del Grappa, agosto

2015: il ponte degli Alpini, progettato alla fine del Cinquecento da Andrea Palladio, rischia di sgretolarsi.

Governo e Regione Veneto stanziano 3,7 milioni per i lavori. Un'azienda di Treviso vince l'appalto, ma

siccome una ditta della stessa cordata non riesce a farsi dare in tempo tutti i documenti dalla prefettura,

l'incarico viene affidato alla seconda arrivata. L'impresa trevigiana fa ricorso ma il Tar del Veneto non dà la

sospensiva. Inizio lavori previsto per il 2 maggio 2016. Nuovo ricorso al Consiglio di Stato che a sorpresa

blocca i lavori almeno fino al giudizio di merito del Tar. Il quale alla fine dà ragione alla prima azienda. E'

passato più di un anno, il ponte per fortuna non è crollato ma avrebbe avuto tutto il tempo per farlo. Così

come invece è accaduto, dopo un anno di veti e contro-veti, al muro della Domus del Pressorio di Pompei.

Il nuovo codice appalti dovrebbe d'ora in poi impedire casi come questi, ma tra il dire e il fare c'è di mezzo

come sempre l'interpretazione giuridica. E così, come spiega il presidente dell'Anac Raffaele Cantone, ci

sono imprese che ricorrono al Tar solo perché puntano ad avere con il risarcimento danni per l'esclusione

da un lavoro, più di quanto avrebbero ottenuto realizzandolo. E cita una grande impresa del Nord che,

seguendo questa strategia, è stata risarcita con 21 milioni. Le proposte di Bankitalia Con il proliferare dei

ricorsi, ogni atto politico o amministrativo viene congelato nel freezer dell'indecisione. La stessa Banca

d'Italia, in una recente audizione, si domanda se la giustizia amministrativa sia un fattore di blocco dello

sviluppo economico del nostro paese. «La risposta - spiega il direttore generale Salvatore Rossi - non può

essere netta né generale, ma l'impressione che a volte ciò accada è fondata». E tra i rimedi, suggerisce un

uso più rigoroso delle condanne alle spese di giudizio e a quelle per liti temerarie. Nel frattempo, però, la

lista degli "stop and go" (in realtà più stop che go) si infittisce di mese in mese. Infermieri e 007 del fisco Nel

regno immobile dell'Altolà entra di tutto, grandi e piccole opere: dalle fogne di Marsala ai lavori sul torrente

Bisagno (quello dell'inondazione di Genova), dalla costruzione del polo oncologico San Matteo di Pavia

all'espianto degli ulivi per il via libera al gasdotto in Puglia. Fino al lotto della strada Olbia-Sassari, la cui

aggiudicazione è stata annullata appena un mese fa. Quando non sono le opere pubbliche ad essere

sospese o cancellate, lo sono le assunzioni, come quella di 40 infermieri per il Policlinico Umberto I di

Roma nel luglio 2016, o quella di 34 impiegati alla Regione Umbria nel marzo scorso. E in tema di

personale non si può non ricordare la beffa subita dall'Agenzia delle Entrate, che, come si diceva all'inizio,

ha visto andare in fumo tutti e tre i concorsi disposti negli ultimi 13 anni, uno addirittura il giorno prima degli

orali. Nello stesso periodo l'Agenzia delle Dogane ha dovuto ingoiare l'annullamento di quattro dei cinque

concorsi decisi. In tutto, sono rimasti così scoperti 1.257 posti di dirigenti di seconda fascia. Con buona

pace della lotta all'evasione, dei controlli sulle accise alle dogane, di quelli sui giochi e sui tabacchi. Alle

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decisioni sulle materie più o meno strategiche, si accompagnano poi migliaia di micro-verdetti talvolta

bizzarri, come la sospensione del divieto di attività dei centurioni nel centro di Roma, o come lo stop

all'ordinanza con cui il Comune di Cervo Ligure aveva disposto l'abbattimento dei cinghiali. E così questo

gigantesco labirinto nonsense fatto di ricorsi, sospensioni e annullamenti acquista anche un carattere

grottesco. La riforma che non arriva Difficile pensare che in tutte le loro sentenze, i 490 giudici di Tar e

Consiglio di Stato abbiano sempre le mani legate dall'obbligo di un rigido rispetto delle leggi, che non

dispongano di un certo grado di discrezionalità che consenta loro di evitare effetti paralizzanti sull'economia

di un intero paese. Al di là delle responsabilità personali nel sospendere un'opera salva-vita o

un'assunzione urgente di infermieri, il vero buco nero sembra risiedere in un sistema giuridico che ha ormai

spezzato ogni legame con la realtà, con i bisogni di famiglie e imprese, con le aspirazioni di crescita del

nostro paese. Da anni si annuncia una riforma della giustizia amministrativa che non riesce mai a vedere la

luce, a uscire dai cassetti degli uffici legislativi dei ministeri. Uffici guidati spesso in tutti questi anni dagli

stessi giudici amministrativi del Consiglio di Stato, distaccati al governo. E alla fine tutto resta fermo.

Insomma, parafrasando lo sfogo di Carlo Cottarelli, qui rischiamo di morire tutti di diritto amministrativo.

COMUNE DI PESCARA POMPEI PEDEMONTANA VENETA LE FOGNE DI MARSALA PONTE DEGLI

ALPINI POLICLINICO UMBERTO I DI ROMA COMUNE DI CERVO LIGURE L'OSPEDALE SAN MATTEO

DI PAVIA LA STRADA SASSARI ALBIA LA SCUOLA DI CASTAGNETO DI FORMIA VILLADOSSOLA

VERBANO

Foto: Il presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno (1). Il presidente del Tar del Lazio Carmine

Volpe (2)

Foto: Nel grafico qui a lato, i ricorsi pendenti presso Tar e Consiglio di Stato. L'organico complessivo della

giustizia amministrativa è formato da 1.490 magistrati

29/05/2017Pag. 1 N.20 - 29 maggio 2017

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 103

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FAR WEST IL PROTEZIONISMO NEL CASO DELLE MACCHINE È UN'ARMASPUNTATA Federico Rampini Tra i retroscena del G7 di Taormina abbiamo avuto anche la classica tempesta in un bicchier d'acqua.

Poche ore prima che si aprisse il G7, nella riunione coi leader europei a Bruxelles, Trump ha detto quella

frase ("the Germans are bad, very bad") che riportata da Der Spiegel è stata intesa come un attacco

generale alla Germania e alla Merkel. Invece era diretta contro l'industria automobilistica tedesca. Era il bis

di un attacco che Trump aveva fatto in un'intervista alla Bild sui costruttori tedeschi: «Guardate i milioni di

auto che vendono negli Stati Uniti. Terribile. Li fermeremo». Seguì la minaccia di infliggere una sovratassa

del 35% sulle auto Made in Germany. In un altro passaggio di quell'intervista Trump disse: «Se percorrete

la Quinta Strada ciascuno ha una Mercedes di fronte a casa sua», poi aggiunse che invece non si vedono

tante Chevrolet in Germania. (L'esempio della Quinta Strada, che pure Trump conosce bene, è a

sproposito: per i divieti di sosta nessun abitante si sognerebbe di parcheggiare la sua Mercedes "davanti a

casa", le Mercedes abbondano ma sono sottoterra nei costosissimi parking a pagamento). Peraltro le case

automobilistiche tedesche da anni hanno spostato una parte della produzione diretta al mercato Usa in

alcune fabbriche situate sul territorio americano, in particolare nel Sud (Alabama), proprio per prevenire

eventuali misure protezioniste. Una strategia simile a quella che adottarono le grandi giapponesi come

Toyota quando dovettero fronteggiare il protezionismo di Reagan negli anni '80. Dunque una parte delle

Bmw e Mercedes vendute negli Stati Uniti sono Made in Usa e sfuggirebbero ai dazi. In questo caso il

protezionismo di Trump ha dunque illustri precedenti, e non solo Reagan. I cinesi si comportano allo stesso

modo, applicando superdazi proibitivi sulle auto importate. Risultato: General Motors, Ford, Audi, Toyota,

quasi tutti i grandi produttori hanno costruito in fabbriche in Cina e i modelli che vendono lì sono a

stragrande maggioranza prodotti localmente, dando lavoro a manodopera cinese. Trump non ha torto

quando invoca il principio della reciprocità. Il problema è che questo strumento di pressione - o vieni a

produrre da me oppure ti punisco con i dazi - è efficace quando viene esercitato da chi ha un mercato

domestico molto grosso. L'Italia non fa parte di quella categoria.

Foto: Donald Trump: continua a minacciare superdazi sulle auto europee ma molte sono già prodotte in

America

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 104

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Intervista Furlan: "Incredibile scivolare adesso per un pasticcio di stampoideologico" La segretaria della Cisl: "Abbiamo milioni di disoccupati e litighiamo su regole che riguardano solo lo 0,1%del lavoro" FRANCESCO GRIGNETTI ROMA Annamaria Furlan, segretario generale della Cisl, osserva allibita il dibattito sui voucher. «Non se ne può

davvero più. Sarebbe davvero incredibile che in un paese con milioni di disoccupati, che ha perso 25 punti

di produzione industriale e 9 punti di pil, che ha circa il 40% dei giovani disoccupati, dovesse cadere un

governo per uno strumento che riguarda lo 0,1% del mondo del lavoro». Eppure Furlan sui voucher si sta

combattendo la più sanguinosa delle battaglie politiche. Il governo traballa. «Guardi, non c'è paese al

mondo dove i temi del lavoro siano così ideologizzati come da noi. Così in Italia ogni volta che la politica

interviene sulla materia del lavoro senza confrontarsi adeguatamente con le parti sociali, tutto diventa un

pasticcio ideologico. Con i voucher ci siamo caduti in pieno». Il governo una volta li cancella, un'altra volta li

reintroduce... «Quando hanno deciso di abrogarli, sospinti dal referendum della Cgil, io dichiarai che era un

errore. I voucher dovevano rimanere per le famiglie e le onlus, così come erano nati. Per le aziende, il tema

invece doveva essere affidato alla contrattazione». Non andavano bene neanche alla Cisl... «Per due anni

abbiamo chiesto invano al ministro Poletti di riformarli, perché erano evidenti gli abusi. Così non è stato.

Anzi, per paura hanno deciso l'abrogazione lasciando un vuoto normativo che avrebbe riportato al nero

tanti lavori discontinui che invece avevano trovato una forma di emersione». E adesso i voucher tornano.

«Errore su errore. Seguendo le spinte politiche delle più svariate parti, il governo non ha trattato la materia

con il sindacato. E così si arriva all'emendamento che c'è e non c'è. Alla fine mi pare di capire che s'è giunti

a una soluzione migliorativa rispetto al passato, sia per retribuzione, sia per alcune forme di tutela, però in

un clima politico di scontro continuo, davvero inaccettabile». Nel merito che cosa vi convince dei nuovi

voucher, e che cosa no? «Positivo è che siano stati finalmente aboliti in edilizia: più di una volta in tasca a

un lavoratore infortunato hanno trovato il voucher. Negativo che siano rimasti in agricoltura: andavano

limitati a determinati periodi, ad esempio le vendemmie, lasciando la possibilità di utilizzare studenti e

pensionati». E ora? «Spero che il tormentone sia finito. Abbiamo problemi enormi e urgenti. Penso ai

tirocini che troppo spesso sono una forma di sfruttamento per i giovani. A quando finalmente partiranno le

politiche attive del lavoro. Va bene il piano Industria 4.0, ma serve anche Lavoro 4.0 con una formazione

adeguata ai tempi». c

Quando hanno deciso di abrogarli, dichiarai che era un errore. I voucher dovevano rimanere peronlus e famiglie Annamaria Furlan Segretaria generale Cisl

25 Punti di produzione «Abbiamo perso 25 punti di produzione industriale e 9 punti di pil», dice Furlan. E

invece si parla di voucher

Foto: Sindacalista Nata a Genova il 24 aprile 1958, Annamaria Furlan ha iniziato la sua carriera da

sindacalista nei postelegrafonici genovesi. È stata eletta segretario generale della Cisl l'8 ottobre del 2014

28/05/2017Pag. 2

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 105

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LA COMMISSIONE HA CHIESTO UN ULTERIORE TAGLIO DEL 10% DEL COSTO DEL LAVORO Gentiloni-­Juncker, confronto sulle banche Il premier chiede aiuto alla Merkel per evitare il bail­in degli istituti veneti nel mirino della Ue ALESSANDRO BARBERA GIANLUCA PAOLUCCI I problemi di Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno ampiamente superato i confini del Piave. A

margine del vertice G7 di Taormina ieri Paolo Gentiloni ne ha discusso riservatamente con il presidente

della Commissione europea Jean-Claude Juncker e Angela Merkel. La questione è ormai politica: se

l'Europa dovesse far naufragare la trattativa per il salvataggio pubblico, si tratterebbe del primo caso di

risoluzione e compiuto «bail-in» di una banca europea. «Non le molleremo al loro destino, così come non

abbiamo fatto con il Monte dei Paschi». Per capire lo svolgimento del delicatissimo dossier basta leggere in

filigrana le parole del sottosegretario al Tesoro con delega alle banche Pierpaolo Baretta. Il caso Mps è

ormai vicino a soluzione. A meno di nuovi intoppi, in settimana - al massimo entro giovedì - dovrebbe

arrivare il via libera alla ricapitalizzazione precauzionale per mano dello Stato della banca senese. Tutti i

tasselli in questo caso sono al loro posto, o quasi. Il timore del Tesoro ora è che il sì al salvataggio pubblico

della quarta banca italiana costituisca per Bruxelles la base politica per dare forza al «niet» per un

intervento altrettanto energico a sostegno delle due venete. Agli occhi della Banca centrale europea non ci

sono le condizioni per farlo: il livello delle perdite attese è troppo alto, e le regole dicono chiaramente che il

solo intervento pubblico non è possibile. Per coprire le perdite è necessario un sostegno privato per non

meno di 700 milioni di euro, ma nessuna banca italiana è più disponibile a investire «un solo euro». Il

presidente della Fondazione Cariplo Giuseppe Guzzetti ha detto proprio così. Atlante uno - il fondo creato

da banche e Fondazioni bancarie per gestire i salvataggi - ha finito il plafond, Atlante due è disposta a fare

la sua parte ma solo per partecipare allo smaltimento delle sofferenze. L'unica strada per far tornare i conti

con Bruxelles e Francoforte, ed evitare il sostanziale fallimento, è ridurre al massimo il perimetro delle due

banche, ovvero alzare il numero degli esuberi, già previsti per più di tremila persone. Fra Roma, Vicenza,

Francoforte e Bruxelles si sta discutendo di un nuovo taglio del costo del lavoro del dieci per cento oltre a

esuberi, uscite volontarie e vendita di alcune delle partecipate. «Sono in corso contatti continui», spiegava

ieri un portavoce della Commissione. I conti sono presto fatti: ai 2200 prepensionamenti già annunciati

vanno aggiunti i 1470 dipendenti che uscirebbero dal perimetro del gruppo con le cessioni della torinese

Bim e delle controllate estere, fino a BancApulia. Al momento si salverebbe invece la siciliana Banca

Nuova, che sarebbe integrata nel nuovo gruppo Veneto-Vicenza. Sugli 11.600 dipendenti di oggi

significherebbe una riduzione del trenta per cento della forza lavoro. Alla parte residua, al netto delle uscite

volontarie, secondo le richieste di Bruxelles andrebbe poi applicato un ulteriore taglio di circa il dieci per

cento. Nei giorni scorsi i sindacati di categoria hanno chiesto al governo di dire a Bruxelles «in modo chiaro

e inequivocabile che l'occupazione non può essere ulteriormente penalizzata». Alternative al momento non

se ne vedono. In ambienti politici c'è chi ipotizza una fusione a tre con il Monte dei Paschi, ma si tratta di

una mera suggestione. Nel nuovo quadro di regole europee lo spazio lasciato alla discrezionalità della

politica è molto, molto basso. Prevale la dura legge dei numeri. E ad oggi i numeri promettono per le due

banche venete un destino crudele. Twitter @alexbarbera c

700milioni di euro Il sostegno privato che sarebbe necessario a coprire le perdite Il punto della settimana Italia

FTSE/MIB ­1,66% FTSE Italia All Share ­1,27% EuroDollaro Cambio 1,1196 Petrolio dollaro/barile 49,80

All'estero Dow Jones (NewYork) +1,34% Nasdaq (New York) +2,04% Dax (Francoforte) ­0,29%

Ftse(Londra) +1,03% Oro Euro/grammo 36,7980

­40

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 106

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per cento Il taglio della forza lavoro che si prospetta per le due banche venete

Foto: La sede veneziana di Veneto Banca, uno dei due istituti in crisi terminale

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 29/05/2017 107

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SCENARIO PMI

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Osservatorio imprese innovazione Pmi & digitale, lavori (ancora) in corso * Italia carente nell'analisi dei big data. Eppure l'offerta non manca: siamo leader per le startup di «businessintelligence» Luisa Adani Il digitale può imprimere forza alle Pmi. Lo evidenziano i risultati dell'indagine Digital Transformation

condotta da Idc per conto di Sap (su 3.900 decisori di aziende di diversi settori attive in 13 paesi stranieri).

Fra le realtà che hanno avviato un percorso di trasformazione digitale, quattro su cinque hanno aumentato

le vendite, diminuito i costi, sviluppato la produttività e facilitato l'accesso alle informazioni.

Lo scenario presenta però due elementi critici: solo il 7% delle organizzazioni ha sviluppato appieno

l'integrazione; solo il 38,2% delle aziende con meno di cento dipendenti ritiene essenziale per la propria

sopravvivenza entrare nella digital economy nei prossimi tre-cinque anni.

Il service prêt-à-porter

«Il punto di debolezza che accomuna le Pmi italiane (simili a quelle spagnole considerate nella ricerca) è

che i risultati sono spesso depotenziati da interventi parziali che impattano solo su alcuni aspetti della filiera

interna e dell'organizzazione e solo in alcuni casi si estendono a considerare fornitori e clienti - commenta

Adriano Ceccherini, general business director di Sap Italia -. Si vuole intervenire in fretta su aspetti specifici,

da un lato, e contenere i costi, dall'altro. Per superare questi limiti che abbiamo sviluppato un prodotto di

software as service: una piattaforma non più sartoriale, cucita a misura sulla singola realtà, ma prêt-à-

porter, ideata sulla base delle best practice di micro, piccole e medie imprese, velocemente disponibile o

aggiornabile e dai costi ridotti».

Secondo l'Osservatorio Big data analytics and business intelligence del Politecnico di Milano (su oltre 800

imprese tra 10 e 249 addetti), le Pmi impattano limitatamente (il 13%) sul mercato degli analytics (che nel

2016 è cresciuto complessivamente del 15%, raggiungendo i 905 milioni di euro), utilizzando solo

marginalmente le opportunità offerte dai big data e concentrandosi invece più sui modelli di analisi

descrittiva che su quelli per analisi più avanzate predittive e prescrittive. Solo in un caso su tre hanno

indirizzato parte del budget Ict del 2016 a queste soluzioni. In generale le medie imprese investono più

delle piccole, ma senza significative differenze a livello territoriale.

Eccellenza lombarda

Le differenze sono invece evidenti se si considerano i settori: circa una su due appartiene a società

finanziarie e alla grande distribuzione organizzativa, seguono più distaccate la pubblica amministrazione e

la sanità, il manifatturiero, le telecomunicazioni e media, le utilities e, per ultimo, i servizi. «I dati raccolti

dimostrano quanto il mondo delle piccole e medie imprese faccia ancora fatica a comprendere le

potenzialità e le opportunità offerte dall'analisi dei Big Data - conferma Ilaria Guindani, ricercatrice

dell'Osservatorio Big data analytics business intelligence -. Se consideriamo le Pmi che hanno dichiarato di

utilizzare soluzioni di analytics, solo quattro organizzazioni su dieci hanno software avanzati di analisi

integrati con i sistemi transazionali aziendali. Negli altri casi si ricorre invece a strumenti non integrati o

software generalisti (il caso del foglio elettronico). Avviene perfino che le attività siano demandate

all'esterno: così si perde parte del controllo del processo. Perché accade? Anche per carenza delle

competenze tecniche».

Spostando lo sguardo dalle aziende utenti a quelle fornitrici, si osserva che su 229 startup che operano nei

big data e business intelligence nel mondo (con un fatturato di 3,18 miliardi di dollari), 31 operano in Italia,

soprattutto al nord (56%). Molte sono state supportate da incubatori quali PoliHub del Politecnico di Milano.

Tra le regioni, al primo posto la Lombardia con il 33% delle startup, poi Lazio ed Emilia Romagna.

29/05/2017Pag. 56 N.20 - 29 maggio 2017

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 109

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Fonte: www.osservatori.net Spazi di crescita Il mercato degli analytics in Italia PMI Grandi imprese 13%

87% 120 milioni di euro 784 milioni di euro 904 milioni di euro 2016

31 Le startup

che si occupano

di business intelligence in Italia, il 56% al Nord

Foto: Adriano Ceccherini, general business director di Sap Italia. Solo il 38% delle Pmi con meno di 100

dipendenti ritiene essenziale entrare nella digital economy

29/05/2017Pag. 56 N.20 - 29 maggio 2017

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 110

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FOCUS. I BENEFICI PER LE IMPRESE Un ombrello più ampio a costi contenuti C. Bu. L. Ca. pagina 9 Cosa potrà cambiare, in concreto, per le aziende innovatrici - grandi o piccole - che decideranno

di optare per un unico "ombrello protettivo" sui propri brevetti nell'intero perimetro della Ue? Secondo l'Epo

(lo European Patent Office di Monaco) sicuramente i costi. Se su quelli di prima registrazione di un

brevetto, tariffe (ed eventuali sconti per le sole Pmi) non sono stati ancora decisi gli importi, certamente

sarà molto più conveniente rinnovare i brevetti su un arco di venti anni. Sinora, infatti, dovendo convalidarli

individualmente in ogni Paese in cui si chiedeva la tutela, tra fee, spese amministrativee di traduzione, di

fatto le imprese finivano per proteggersi, in media, solo in3o4 Stati membri. Così siè deciso di assicurare

una protezione unica in tutta Europa al prezzo della somma delle tariffe di rinnovo attualmente versate

peri4 Paesi in cui i brevetti sono più convalidati (Germania, Francia, Regno Unito e Paesi Bassi). Una volta

operativo, il nuovo strumento coesisterà con le formule già previste. Ma se rinnovare ogni singolo brevetto,

oggi, in 25 Paesi, può arrivare a costare sinoa 30mila euro in 10 anni, con la nuova protezione unitaria il

costo sarà pari a meno di 5mila euro. E il totale complessivo da pagare per il suo mantenimento per l'intera

durata di 20 anni ammonterà a poco più di 35.500 euro (rispetto ai quasi 159mila della procedura attuale.

Con un risparmio del 78 per cento. Ci sarà una riduzione delle tasse del 15% nel caso in cui il titolare è

disponibile a concedere una licenza, mentre si stabilisce una sovrattassa del 50% per il pagamento in

ritardo delle tasse annuali. Persone fisiche, Pmi, università ed enti pubblici potranno richiedere un rimborso

(di massimo 500 euro) per i costi di traduzione. Le lingue ufficiali della procedura saranno inglese, francese

o tedesco. Se il brevetto sarà pubblicato in inglese sarà necessario produrre (ma solo per un periodo

transitorio) una traduzione in un'altra lingua ufficiale della Ue (ad esempio italiano), senza il pagamento di

alcuna tassa. Altrimenti occorrerà una traduzione in inglese se il brevetto è stato concesso in tedesco o in

francese. Per un periodo transitorio di 7 anni, infine, sarà possibile ricorrere ancora ai tribunali nazionali,

facendo richiesta di opt­out. Ma cio varrà per i soli brevetti europei "classici" e non peri nuovi brevetti unitari.

Infine, ricorrere al Tribunale per i brevetti costerà meno? Molti osservatori sostengono di no. Si prevedono

tariffe fisse cui si calcoleranno fees aggiuntive in base al valore dell'azione e alla "spendibilità" del brevetto.

Ma con un meccanismo di rimborsi e"sconti" per le parti che sapranno trovare un accordo prima di giungere

alla chiusura del procedimento. Mentre le microe le piccole imprese - battaglia che stava particolarmente a

cuore all'Italia - potranno arrivare a pagare il 60% delle tariffe, se soddisfano determinati requisiti. ©

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 111

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Maggio. Dopo il picco di aprile In calo la fiducia di imprese e consumatori GLI ANDAMENTI Nel manifatturiero, il livello medio dell'indice si mantiene su livelli storicamente altiSoffrono di più le famiglie Luca Orlando MILANO In frenata le imprese, in calo ancora più robusto le famiglie. A maggio l'indice del clima di fiducia

registrato dall'Istatè in calo per entrambe le "popolazioni", anche se i livelli raggiunti dalle aziende restano

su livelli storicamente elevati. Dopo aver raggiunto il top dal 2007, il clima di fiducia delle imprese scende di

poco meno di un punto a quota 106,2. Frenata dovuta al minore ottimismo tra le imprese manifatturieree

dei servizi, mentre guadagna posizioni il settore del commercio e restano stabili le costruzioni. Un

peggioramento nel manifatturiero legato sia ai giudizi sugli ordini che alle attese di produzione, con le

riduzioni più ampie per i beni intermedi, mentre i beni strumentali sono solo in lieve frenata e per i prodotti

di consumo si registra una crescita. In termini assoluti sono comunque ancora i produttori di beni

strumentalia realizzare le performance più robuste (indice a quota 113,2), grazie anche alla spinta sugli

ordini legata alle misure di incentivazione previste dal Governo per industria 4.0. Il livello medio dell'indice

globale (106,2) si mantiene comunque su livelli storicamente alti, appena al di sotto del picco (il massimo

dal 2007) raggiunto ad aprile: nel maggio del 2016 l'indice era a quota 104,6, un anno prima a quota 99,7.

Gli ultimi segnali in arrivo dall'economia evidenziano in effetti una fase di moderata ripresa, come

testimoniato dalla crescita di produzione industrialee fatturatoa marzo, dati a cui si è aggiunto ieri il nuovo

record per i ricavi dei servizi, in aumento nel primo trimestre dell'1,6% (crescita più ampia dall'inizio delle

serie storiche avviate nel 2010), di 4,5 punti su base annua, con appena quattro dei 22 settori monitorati in

terreno negativo. In calo più robusto a maggio è invece l'indice di fiducia dei consumatori, che cede quasi

due punti, a quota 105,4: per trovare un livello più basso occorre tornare al mese di gennaio del 2015. Tutte

le componenti del dato sono in riduzione, anche se con intensità diversa. I giudizi dei consumatori riguardo

la situazione economica del paese restano stabili mentre sono le aspettative a peggiorare. In

peggioramento, per il secondo mese consecutivo, anche le attese sulla disoccupazione.

Clima di fiducia delle imprese per settore Maggio 2015 - maggio 2017, indici destagionalizzati base

2010=100 95 100 105 110 115 120 125 130 Costruzioni Fonte: Istat 2015 Commercio Manifatturiero 2016

Servizi 2017

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 112

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Lettere Se Industria 4.0 saprà connettersi con le startup Cara redazione, pongo alla vostra attenzione un tema che come Italia Startup, associazione italiana delle

startup, gestiamo sempre più di frequentee che apre questioni di fondamentale importanza per il presentee

il futuro delle imprese italiane, siano esse aziende consolidatee manifatturiere, oppure giovani, innovative e

ad alto potenziale di crescita (startup). La domanda di fondo è: perché in Italia ancora non decolla, come in

altri sistemi, la contaminazione tra l'industria manifatturierae l'innovazione aperta portata dalle startupe dai

loro partner (incubatori, parchi scientifici, investitori)? Gli ingredienti affinché questo incontro virtuoso

avvenga, ci sono tutti: a) le imprese manifatturiere italiane investono tanto in innovazionee in R&D, prova

neè la capacità di molte di loro di essere ancora fortemente solidee competitive, nonostante la crisi

durissima che ha attraversatoi mercati mondiali dal 2008 in avanti:i dati dell'export italiano 2016

confermano l'ottima salute di cui gode la manifattura italiana; b) il sistema delle startup italiane si sta

consolidando e, nonostante il ritardo di investimenti rispetto ad altri sistemi industriali analoghi al nostro

(Franciae Germania in primis), stanno emergendo non poche eccellenze, alcune delle quali di taglio

manifatturieroe industriale,a supporto dell'innovazione sia di prodotto che di processo produttivo del nostro

sistema industriale, oltre che di quello mondiale; c) con la Legge di Stabilitàe con Industria 4.0 siè

completato un quadro normativo molto favorevole agli investimenti in innovazione industriale, in startup, in

ricercae sviluppo, ecc. Il puntoè chei pionieri, cioè le imprese maturee le startup che provanoa

contaminarsi, sono ancora pochi. Il fenomenoè ben lontano dall'essere maturo, sia quantoa numeri assoluti

(qualche centinaia di piccolee medie imprese investono in startup innovative, secondo dati Cerved­Italia

Startup), sia quantoa investimenti (qui il dato nonè rilevato, ma secondo nostre stimeè nell'ordine

complessivo di qualche decina di milioni di euro). Nel gioco della domanda (le imprese consolidate)e

dell'offerta (l'ecosistema startup) di innovazione aperta­ sia lato servizi sia soprattutto lato prodotti­ non si

capisce se è la prima che non decollao seè la seconda che non ha ancora una proposta adeguata. O forse

entrambii motivi.A cui si aggiunge quello dell'ancora ridotto utilizzo (o forse poca chiarezza?) dei

provvedimenti legislativia supporto. Mi farebbe piacere avere un vostro parere in merito. Federico Barilli

Caro Barilli, grande tema. Da un lato, bisogna ammettere che quanto è avvenuto dall'inizio della policy a

favore delle startup, avviata dal governo nel 2012e portata avanti da tutti i governi successivi è positivo: la

quantità di imprese innovative che sono partiteè significativa come il Mise non cessa di segnalare, il venture

capital resta piccolissimo per le dimensioni del Paese ma è cresciuto in termini qualitativie anche un po'

quantitativi, le grandi aziende che fanno corpora­ te venture capital si sono fatte vedere,i luoghi

dell'accelerazione si sono moltiplicatie hanno cominciato a consolidarsi. Dall'altro lato, rispetto all'economia

italiana, la dimensione del sistema delle startup resta piccola: le acquisizioni da grandi imprese non sono

all'ordine del giorno, l'innovatività dei settori forti dell'industria italiana continua ad alimentarsi molto nel

modo tradizionale. È comprensibile, in un sistema come quello italiano, dove l'innovazione è

prevalentemente finanziata con il fatturato, le dimensioni aziendali sono limitate, la cultura dell'innovazione

è portata avanti più dal talento degli imprenditori che da strutture organizzate per l'open innovation, la

finanzaè asfitticae il risparmio è predisposto più alla rendita che al rischio. Il lavoro necessario a

modernizzare il processo innovativo in Italia in modo da assorbire la logica delle startupè lungo, paziente e

serio. Il fatto che per qualche anno la questione delle startup abbia vissuto in una bolla di fuffa modaiola

non ha aiutato. Si è andati troppo a imitazione delle logiche stranieree pocoa interpretarei punti di forza del

nostro sistema produttivo, in un contesto nel quale la riduzione delle spese in ri­ cercae del numero degli

studenti universitari è andato in direzione opposta a quello che serve nell'economia della conoscenza. Ma

gli italiani maturano: c'è già meno immaginee più economia reale nelle strategie delle aziende che lavorano

con le startup e degli acceleratori che vanno avanti. C'è una potenziale crescita di interesse del mercato

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 113

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Aim alla borsa, con tutte le cautele del caso in un contesto tanto complesso,ei casi di quotazioni che

portano sviluppo comincianoa vedersi. C'è anche una fase dell'innovazione più adatta alla nostra cultura,

più manifatturiera che softwaristica. Ora è importante che le imprese vedano nelle startup altrettante

opportunità e che il piano Industria 4.0 si connetta anche all'ecosistema delle startup. Ma vale la pena di

sottolineare un dato: una policy intelligente, paziente e competente è possibile anche in Italia. In questo

caso siè visto.

27/05/2017Pag. 16

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 114

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Servizi. Il direttore generale Lepri: «Stiamo valutando acquisizioni» in Italia e all'estero Dada, M&A per diversificare il business LA STRATEGIA L'intenzione è di offrire un «portafoglio più articolato» di strumenti per le imprese checercano di espandersi sui nuovi canali online Alberto Magnani Dada, la società di servizi digitali controllata da Naguib Sawiris, sta «valutando acquisizioni» in Italia e

all'estero per diversificare il proprio business e spingere in futuro su settori come cloud e soluzioni It

managed (gestione delle infrastrutture It per conto terzi). Una strategia che conferma la via tracciata dalla

acquisizione tra 2015 e 2016 delle imprese Etinet e Sfera Networks, attive rispettivamente in creazione di

siti Web e amministrazione dei servizi It. Oggi il marchio, forte di una rete di 650mila clienti aziendali, regge

buona parte dei suoi ricavi sul core business di domini&hosting per le Pmi, cioè la registrazione di domini e

l'acquisto degli spazi per ospitare portali e annunci pubblicitari. In particolare lo stock di domini amministrati

dal gruppo è arrivato a 1,9 milioni nel 2016, con un tasso di crescita anno su anno della clientela pari al

+33%. L'intenzione dell'azienda è di offrire, in prospettiva, un «portafoglio più articolato» di strumenti per le

imprese che cercano di espandersi sui nuovi canali online. Come spiega Lorenzo Lepri, direttore generale e

Cfo del gruppo, «l'obiettivo è di integrare il portafoglio con soluzioni sempre più cloud e di It managed

services. Vogliamo rappresentare un "negozio" per le Pmi e tutte le loro esigenze - dice- Ora stiamo mo­

nitorando opportunità anche all'estero, ma nei Paesi che copriamo già (sette in totale, ndr), ad esempio nel

Regno Unito o in Spagna». Prima di sbilanciarsi su qualsiasi dossier, comunque, bisognerà sapere

qualcosa in più sul futuro della compagine azionaria. La Libero acquisition di Sawiris, socio di maggioranza

con il 69,4%, ha annunciato a marzo di essere interessata a mettere in vendita la sua quota e ha chiesto a

Dada di collaborare nel processo. «Da parte nostra aspettiamo che il socio ci dica cosa intende fare ­ spiega

Lepri - Va detto che Dada ha sempre conseguito i suoi risultati a prescindere dai vari cambi di controllo,

anche se il management ha sempre supportato la società». L'azienda, quotata sul segmento Star, ha

chiuso il primo trimestre dell'anno con ricavi per 18 milioni (+7% sullo stesso periodo del 2016), Mol a 3,2

milioni (marginalità del 18% sul fatturato, +7% su base annua), risultato operativo di 1,7 milioni e un utile

netto di 0,7 milioni che migliora gli 0,1 milioni dell'anno scorso. La posizione finanziaria netta è negativa di

26,5 milioni, un segno meno che Lepri attribuisce alla «strategia di crescita internazionale» messa in atto

con la fitta attività di fusioni e acquisizioni del gruppo. «Sono debiti contratti in passato per fare acquisizioni

ed espanderci all'estero - dice Lepri - E per quest'anno puntiamo a far crescere i margini».

Foto: IMAGOECONOMICA

Foto: Lorenzo Lepri

27/05/2017Pag. 21

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 115

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il gestore della settimana «Cembre ha un track record di qualità» In Italia le altre aziende interessanti sono Reply e Diasorin, in Europa Maison du monde e Nets Isabella Della Valle Si parla molto di small e mid cap, ma quali sono i veri i punti di forza rispetto alle big cap? In Europa

assistiamo da oltre dieci anni alla sovraperformance delle small e mid cap rispetto alle large cap. L'universo

di questa asset class offre un numero maggiore di progetti caratterizzati da forte crescita, indipendenti dal

ciclo. A nostro avviso la crescita degli utili è il primo driver della performance borsistica. Inoltre le piccole

capitalizzazioni, soprattutto negli ultimi anni, si sono rivelate meno volatili, perché non influenzate dai

movimenti provocati dagli Etf che coinvolgono le large cap e perché sono poco esposte agli emergenti, che

creano volatilità. Il segmento delle small & mid cap, che rappresentano l'80% delle società quotate in

Europa, dovrebbe confermare la propria superiorità anche nel 2017. E quali sono invece i loro limiti? Si

tratta di un'asset class meno liquida, soprattutto le small cap (con capitalizzazioni inferiori a 1 miliardo di

euro). Questo dovrebbe spingere le società di gestione, che intendono mantenere un portafoglio di

convinzioni concentrato su 40 posizioni, a chiudere il proprio fondo per tutelare i primi sottoscrittori. È

quanto abbiamo fatto di recente con uno dei nostri fondi small cap, Echiquier Entrepreneurs, al

raggiungimento dei 400 milioni di euro di patrimonio gestito. Nel caso delle mid cap, per il momento la

questione della liquidità non è un problema. Su questo segmento ci sono meno studi e analisi. Come fate a

selezionare le aziende? Che cosa guardate in particolare? Investiamo in titoli growth con una

capitalizzazione compresa tra 500 milioni e 5 miliardi di euro. Il nostro processo di investimento si basa su

una forte disciplina ed è ormai consolidato da oltre 25 anni. Consiste in tre fasi: la prima finalizzata a ridurre

le dimensioni dell'universo da 3.700 titoli a 300, con l'applicazione di filtri quantitativi su liquidità,

performance operativa e valorizzazione. La seconda si concentra sull'analisi fondamentale, basata

sull'incontro sistematico con il management delle società, dovunque in Europa, per approfondire settori di

attività, visione e strategie a 3/5 anni. Nell'ultima fase si passa alla costruzione del portafoglio secondo due

parametri che ci consentono di definire il peso di un titolo: l'upside e il momentum. I nostri portafogli sono

concentrati su una quarantina di titoli, dove i primi 10 rappresentano il 40% circa del fondo. La liquidità,

sempre compresa tra il 5% e il 10%, ci permette di essere reattivi e di gestire facilmente gli eventuali riscatti

o di concretizzare nuove idee di investimento. Che posizione avete sulle small e mid cap italiane? È un

segmento molto interessante, dove continuiamo a scoprire dei bellissimi progetti. È stato penalizzato da

uno scenario meno favorevole negli ultimi anni rispetto ad altri grandi paesi europei. Il numero di small cap

italiane si è infatti quasi dimezzato in 10 anni! Eppure, complessivamente il numero di società quotate in

Italia è leggermente aumentato durante lo stesso periodo, vista la forte crescita delle aziende di dimensioni

micro. Questo fenomeno rivela l'efficienza dell'ecosistema italiano, attrezzato per fare da alternativa a un

sistema bancario sotto pressione. Questo incremento dovrebbe favorire il mercato domestico nel lungo

termine. Inoltre il recente lancio di un contenitore fiscale a favore dell'investimento nelle Pmi italiane ha

destato autentico entusiasmo per l'asset class. Sì, certo, i Pir. Avete in previsione di lanciarli?

Recentemente abbiamo lanciato Echiquier Rinascimento che sarà disponibile in Italia dal 1 giugno, un

fondo Pir investito in small & mid cap europee growth: i titoli italiani, preponderanti, rappresentano il 33%

del fondo. Quali sono i vantaggi dei Pir rispetto a un fondo tradizionale che investe nelle small cap? Il Pir

non solo è uno strumento pragmatico e intelligente destinato a dinamizzare l'economia italiana, ma sarà

anche in grado di attrarre i risparmiatori, così come i Pea-Pme francesi. È uno strumento che favorisce

l'investimento in un'ottica di lungo termine: vantaggioso quindi sia per gli investitori, sia per le aziende. Non

temete che su questo segmento di mercato possa crearsi una bolla, vista tutta l'attenzione negli ultimi mesi

si sta concentrando sulle small cap? Non parlerei di bolla. Le quotazioni sono cresciute molto e non

27/05/2017Pag. 30 N.764 - 27 maggio 2017

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 116

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escludo un consolidamento a breve. Sarebbe ben accolto. Sul mercato italiano, la crescita degli indici small

cap è stata sostenuta dal lancio dei Pir, con delle performance superiori al 20% da inizio anno. Bisogna

tuttavia tener conto di elementi strutturalmente positivi, tra cui il miglioramento congiunturale in Europa che

va a permeare il tessuto microeconomico. I dati pubblicati al termine del primo trimestre sono buoni,

soprattutto nel segmento delle small cap. Molte società hanno pubblicato dei dati superiori alle attese e

parecchie hanno rivisto le guidance per tutto l'anno, a dimostrazione di una miglior visibilità e di un livello di

fiducia dei manager, ben direzionato. Infine, i flussi sono tornati in parte soltanto sui mercati europei e

dovrebbero essere un forte fattore di sostegno per il mercato nei prossimi mesi. Quali sono le aziende di

taglia medio-piccola che reputa più interessanti e perché? Tra le società italiane che apprezziamo, vorrei

citare Reply, operativa nei servizi informatici e posizionata su mercati di nicchia a forte valore aggiunto;

Cembre, lo specialista dei connettori elettrici guidato da un team solido, con un track record lungo e di

grande qualità; Diasorin, infine, che ha pubblicato una buona trimestrale con una crescita del fatturato del

24,1% a cambio costante. Tra quelle europee che a nostro avviso offrono buone opportunità ci sono invece

Maisons du Monde, gruppo francese nell'arredamento che vanta un posizionamento unico, oppure la

danese Nets, società leader nei servizi di pagamento in Scandinavia che dovrebbe registrare una crescita

organica del 5-6% all'anno. stéphanie bobtcheff la financière de l'echiquier Gestore Small&Mid Cap

Stéphanie Bobtcheff ha fatto il suo ingresso in La Financière de l'Echiquier nel settembre del 2013, in

qualità di gestore azionario nel team small & mid cap. Oggi gestisce diversi fondi nel segmento delle

piccole e medie capitalizzazioni, tra cui Echiquier Rinascimento. Bobtcheff ha costruito una solida

esperienza di oltre 18 anni nell'investimento in mid cap, lavorando presso note società di gestione come

Indosuez Asset Management, Crédit Agricole Asset Management, Oddo Asset Management e presso

Pascal Investment Advisers, a Ginevra. È laureata presso Sciences Po a Parigi, presso l'Università Bocconi

a Milano e ha studiato presso il Centre de Formation à l'Analyse Financière. È titolare di CFA. flash Sgr

francese partecipata al 100% dai dipendenti La Financière de l'Echiquier è una società francese di gestione

del risparmio, indipendente, partecipata al 100% dai propri dirigenti e dipendenti. Fondata nel 1991,

gestisce oltre 8 miliardi di euro e conta 100 collaboratori in Francia e all'estero. Gestisce una gamma

concentrata di fondi che investono nei principali mercati azionari e in obbligazioni corporate, con particolare

attenzione a small e mid cap. Riconosciuta per la qualità dello stock­picking, la società preferisce una

gestione fatta di convinzioni. È presente sul mercato italiano dal 2005 e da gennaio 2014 ha aperto una

sede a Milano di cui è responsabile Paolo Sarno. Lfde è presente in Germania, Austria, Belgio, Svizzera,

Italia e Spagna. Cembre andamento e volumi prezzo 22 20 18 16 13,60 12 25/05/2016 volumi in mgl

25/05/2017 175 19,79 105 70 35 Il titolo Cembre si è letteralmente impennato nelle ultime settimane, in

linea con tutto il comparto small e mid cap, raggiungendo la soglia dei 20 euro. Si tratta di un target che ha

anche una valenza psicologica e infatti è iniziato un processo di consolidamento. Per confermare un nuovo

impulso rialzista è necessario che i prezzi si portino stabilmente sopra questo livello. Una correzione in

questa fase non è da escludere. Un primo livello da monitorare nel brevissimo è rappresentato da area 18,5

euro: sviluppi al di sotto di questo supporto potrebbero accelerare nuove vendite. L'azione potrebbe

arretrare fino in area 15 euro senza compromettere il tono di fondo di medio­lungo termine. Gli scambi sono

aumentati negli ultimi mesi, ma non sono elevatissimi e questo potrebbe alimentare la volatilità. (A cura di

Andrea Gennai) i comparable società Cembre capitalizz. mercato al 24/5/2017 (mln euro) eps 2017 p/e

2017 p/e 2018 337 1,04 19,1 18,2 p/sales 2017 2,7 consensus di mercato Hold Eps = utile per azione;

(P/E) = rapporto prezzo su utile; (P/Sales) = rapporto prezzo su ricavi fonte: elaborazione Analisi Mercati

Finanziari su dati Factset Il gruppo bresciano Cembre, fondato nel 1969 e quotato al Mta - segmento Star,

è leader in Italia e detiene una posizione rilevante a livello europeo nel settore della progettazione,

produzione e distribuzione di connettori elettrici ed accessori per cavo ed è tra i principali produttori

mondiali di utensili (meccanici, pneumatici e oleodinamici) per l'installazione di connettori e la tranciatura di

27/05/2017Pag. 30 N.764 - 27 maggio 2017

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 117

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cavi. Nel primo trimestre 2017 ha conseguito ricavi in crescita del 9,4% a 33,2 milioni e una brillante

performance dei margini reddituali: l'ebit è infatti salito del 24,6% a 7,4 milioni e l'utile netto del 28,5% a 5,1

milioni. Il gruppo inoltre disponeva al 31/3/2017 di una liquidità netta di 26,7 milioni. I dati al 30/4/2017

indicavano un incremento dei ricavi pari al 7,4% su base annua e una liquidità netta di 25,2 milioni. Il

consensus di mercato su Cembre esprime il giudizio Hold Il confronto Base 26/05/2014=100 200 180 160

140 120 100 80 cembre spa stoxx europe 600 industrial goods & services eur price index ftse italia all-

share industrials index 26/05/14 2015 2016 2017 24/05

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L'innovazione rilancia le Pmi la prossima sfida è l'export Giuseppe Travaglini * Eppur si muove. Non è la Terra intorno al Sole ma la galassia delle Pmi di capitali del Centro-Nord italiano.

Il Cerved, insieme a Confindustria, ne ha fotografato la recente evoluzione. Nella definizione europea, sono

un campione di imprese del settore industriale che occupano tra 10 e 250 addetti e con un fatturato tra 2 e

50 milioni di euro. Sono prevalentemente (82%) imprese piccole da 10 a 49 dipendenti. A livello nazionale

rientrano nella classificazione europea circa 136mila imprese, di cui 111mila nel Centro-Nord. Il peso è

consistente se misurato in termini di occupati (83,2%), di fatturato (85,5%) e di debiti (84%). Sono dunque

una nutrita pattuglia nella super-galassia delle Pmi. Il dato Istat per l'intero universo di questo comparto

dimensionale offre un'immagine interessante. Le Pmi di industria e servizi - non solo quelle di capitali -

sono il 4,7% della numerosità delle aziende del settore produttivo. Occupano complessivamente il 32,7%

degli addetti. E producono il 39% del valore aggiunto del comparto consolidato. Una dimensione

importante. L'impatto della crisi economica iniziata nel 2008 è stato però duro. Ma le Pmi, specialmente

quelle di maggiore dimensione e che operano nella parte alta della scala tecnologica, hanno resistito al

terremoto. In media registrano una produttività di circa 52mila euro per addetto, quasi il doppio delle micro

imprese (1-9 addetti), anche se ancora lontano dalle unità di grande dimensione (-31%). Produttività che

deve però ancora stabilizzare la sua ripresa dopo la caduta di 7,7 punti registrata tra il 2007 ed il 2014. Tra

queste imprese emerge in crescita il nucleo delle Pmi di capitali. Le regioni del Nord-Ovest sono il loro

bacino di afferenza più importante (47 mila unità e 1,4 milioni di occupati). Segue il Nord-Est (36 mila unità

e 1 milione di occupati). E il Centro (28 mila unità e 750 mila occupati). È un gruppo di imprese che ha

vissuto una forte ristrutturazione nell'ultimo decennio e mostra segnali di rafforzamento dal 2014. Ce lo dice

il rapporto Cerved. I bilanci 2015 segnalano un consolidamento di queste imprese, specialmente nel Nord, il

cui fatturato è cresciuto del 3,2%. E delle imprese del Centro (+2,2%) anche se il divario del fatturato

rispetto ai valori pre-crisi resta ampio. Crescono anche i ricavi (+3,1%). E il margine operativo lordo (+3,9%)

che sconta però ancora la perdita di valore aggiunto del 30% registrata durante la crisi. Migliora anche la

redditività. Quella del capitale misurata dal Roe è tornata a crescere in tutte le Pmi di capitali del Centro-

Nord. Restano però inferiori alla media nazionale i dati dell'area del Centro (7,8% contro 8,6%). Le attuali

incertezze sulle prospettive della crescita economica, nazionale e internazionale, pesano invece

negativamente sulla ripartenza degli investimenti. Quest'ultima è infatti limitata al Centro, dove il rapporto

tra investimenti materiali lordi e immobilizzazioni è passato dal 5,6% al 7,1%. Primi segnali di inversione di

tendenza sostenuti in parte dalla ripresa della domanda, specialmente estera, e dal successo degli incentivi

fiscali. Ma, stabili o in calo sono i valori dei nuovi impegni in beni tangibili e intangibili per le Pmi del Nord-

Est (al 6%) e del Nord-Ovest (5,3% dal 5,5% dell'anno precedente). Perciò, un quadro in chiaro e scuro da

cui emergono differenze territoriali e settoriali, e primi segnali di ripresa per investimenti e competitività. E

tra questi segnali alcuni riguardano l'innovazione, con i suoi aspetti positivi in parte inattesi. Nel Centro-

Nord operano oltre 12mila startup e quasi 4mila Pmi di capitali innovative. Queste imprese impiegano oltre

18mila addetti, producono ricavi per 1,66 miNei grafici, elaborati dal Cerved, alcuni elementi di base sul

reddito prodotto dagli addetti all'industria in Italia liardi e investono quasi 250 milioni. Il settore prevalente è

il Mobile e Smartphone, dove si concentra anche la maggior quota di addetti e i valori più alti di fatturato.

Nelle regioni del Nord-Est e nel Nord-Ovest prevale invece il settore dell'ecosostenibilità. E nel Centro

spiccano per livello di investimenti sia il comparto software e Internet of things che quello

dell'ecosostenibilità. Nuovi settori tecnologici a notevole potenziale di crescita. Dunque? Ci sono, si dice,

due modi di fare impresa. O si è tecnologicamente avanzati e si compete sulla frontiera dell'innovazione. O

si rincorrono le produzioni a basso valore aggiunto competendo sui costi, specialmente del lavoro,

29/05/2017Pag. 10 N.20 - 29 maggio 2017

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compromettendo però la competitività, i redditi e le capacità di crescita. I dati delle Pmi mostrano che una

riqualificazione del sistema produttivo nazionale intermedio è ancora possibile a patto che il sistema politico

ed amministrativo, e le imprese medesime, siano disposte ad impegnarsi per rafforzare le condizioni di

partenza di investimenti e innovazioni destinati all'avanzamento produttivo e alla maggiore

internazionalizzazione. Con quali conseguenze? Dal punto di vista macroeconomico le proiezioni per i

prossimi anni - per esempio quelle del recente World Economic Outlook dell'Imf - non sono incoraggianti.

Le esportazioni italiane dovrebbero, secondo le stime, crescere a tassi intorno al 3%, continuando a

sostenere il surplus di conto corrente (2,6% del Pil nel 2016) manifestatosi dal 2013. Ma la domanda

interna risentirebbe del rallentamento dei consumi. In questo scenario, il rafforzamento delle Pmi sarebbe

strettamente dipendente dalla dinamica delle esportazioni. L'industria manifatturiera italiana, dove opera la

buona parte delle Pmi, compete con i paesi Ue, e l'economia tedesca in particolare, nel manifatturiero. E,

come è stato osservato (Prometeia 2017), ha aumentato nel tempo il proprio contributo alla catena del

valore in Francia (settore moda) e in Germania (settore metalmeccanico). Il riequilibrio strutturale della

bilancia commerciale tra Italia e Ue passa dunque anche per le azioni delle Pmi che rafforzano le filiere

dell'internazionalizzazione. Le maggiori esportazioni avrebbero l'effetto di rafforzare non solo i nostri flussi

commerciali. Ma si rifletterebbero anche nel riequilibrio dei flussi di risparmio e della disoccupazione che

paesi come la Germania esportano, insieme ai prodotti, verso i partner europei in deficit. A giovarne

sarebbero quindi non solo l'economia italiana e le Pmi, ma anche il sistema economico europeo in continua

tensione per le eccessive asimmetrie tra il Nord e il Sud dell'eurozona. Insomma, microeconomia delle

imprese e macroeconomia europea devono trovare il punto di equilibrio che dia in doppio dividendo della

crescita economica e della stabilità monetaria. Per questo è così importante intercettare, e potenziare

attraverso policy adeguate, le pratiche virtuose delle imprese che favoriscono l'innovazione e

l'internazionalizzazione. Tra cui anche quelle delle migliori Pmi italiane. CERVED 2017

Foto: Christine Lagarde , segretario generale dell'Fmi (1); Alberto Baban (2), capo dei "piccoli" in

Confindustria

Foto: * Ordinario di Politica Economica Università di Urbino Carlo Bo

29/05/2017Pag. 10 N.20 - 29 maggio 2017

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Quartetto pericoloso Il nuovo asse protezionista sul commercio Giulio Sapelli Le notizie che giungono da Taormina sul commercio mondiale e sui neoprotezionismi destano non poche

perplessità. E sono anche difficili da comprendere sia per l'economista sia per il cittadino che vuol vederci

chiaro sulle cose del mondo. Partiamo da un dato di fatto. Da quasi vent'anni i grandi della terra non

riescono a concludere accordi multilaterali sugli scambi, ossia quei trattati stipulati tra più Stati che

intendono abbassare le tariffe doganali o modificare i cosiddetti standard tecnici del commercio. Si tratta

delle regole che sovraintendono alla non dannosità dei prodotti scambiati, alla compatibilità delle misure

tecniche dei manufatti che debbono l'un con l'altro essere compatibili, sino a impedire i cosiddetti dumping

sociali, ossia eccessive differenziazioni tra regimi salariali e condizioni di lavoro che preformano il valore

delle merci. Questo era il cosiddetto Free Trade, ossia il libero commercio al tempo della leadership

unipolare: nell'Ottocento il Regno Unito, nel Novecento, dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti.

Nel periodo di mezzo, quando l'unipolarismo si era affievolito e gli imperi europei crollavano, nacquero i

cosiddetti nazionalismi economici. Continua a pag. 22 segue dalla prima pagina Come effetto immediato si

elevarono barriere doganali e tecniche, e questa fu la concausa più profonda che scatenò la tempesta del

1929, da cui si uscì con le riforme del New Deal e il riarmo che ci portò alla seconda guerra mondiale. Da

quel secondo dopoguerra, sino agli anni Ottanta, si procedette a fatica tra mille contraddizioni. Mentre a

livello mondiale, in una sorta di piano sopraelevato, si predicava e si operava per il Free Trade, creando il

WTO e le altre istituzioni finanziarie destinate a far circolare liberamente i capitali nel mondo, nei piani

inferiori del pianeta si crearono robusti spazi protezionisti che evitavano la concorrenza nei confronti di

insiemi di Stati, i quali tuttavia all'interno di quel perimetro abolivano dazi e ostacoli di qualsivoglia natura

per il libero scambio delle merci e dei capitali. Il più importante di questi spazi, protezionisti all'esterno e

liberisti all'interno, era il Mercato Comune Europeo, poi Unione Europea cui facevano e fanno corona i

Paesi Nafta (USA, Canada, Messico), il Mercosur (Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay) seguiti da

lontano dal tentativo di fare altrettanto con quel gran numero di Stati che si affacciano sul Pacifico, dall'Asia

al Sud America, con l'Asean. La Russia, dal canto suo, ha creato spazi simili con taluni degli Stati che

appartenevano alla dissolta Unione Sovietica. Ma la spinta del commercio mondiale, sino a circa metà del

decennio scorso, è stata tanto forte da cercare di collegare i due piani di questo mondo bipolare, ossia

quello degli accordi tra una molteplicità di Stati e quello degli accordi tra un numero limitato di Stati. La

globalizzazione finanziaria ha del resto agito in questo senso, sino a quando non ha visto esaurirsi la sua

spinta propulsiva. Durante la presidenza Obama si è cercato, senza successo, di stipulare Accordi

Transatlantici e Accordi Transpacifici, quasi come se gli Stati Uniti volessero di nuovo protendersi a un

dominio del mondo che rafforzasse il loro ruolo di esportatori della sicurezza. Quel tentativo è fallito, come

è noto, e il nuovo presidente Trump ha più volte dichiarato che vuol sostituirlo con accordi bilaterali che, in

effetti, sono la norma da molti anni su scala globale: una norma che è soprattutto frutto del pesante crollo

ventennale del commercio mondiale, per il restringimento della domanda interna, per l'inizio della

deflazione secolare, per l'instabilità delle relazioni internazionali e dei rapporti di potenza tra Stati Uniti,

Regno Unito, Francia, Germania, Russia e Cina. Alcuni di questi Stati, similmente all'India, sono tanto

esportatori di merci industriali, quanto di merci agricole, quanto di servizi al commercio virtuale attraverso le

piattaforme di Google, Amazon, eccetera. Insomma, negli scambi mondiali c'è un grande disordine sotto il

cielo e la navicella liberista veleggia a fatica, come se fosse tra un mare di ghiacci. Il punto è che talvolta la

storia si ripete, e se il commercio mondiale si blocca, il sistema arterioso della vita economica mondiale -

sottolineo mondiale potrebbe subire una serie di trombosi che porterebbero all'infarto come accadde nel

1929, quando più di un terzo del commercio mondiale assunse la forma del baratto. Trump, che ha davanti

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a sé una nazione indubbiamente impoverita dall'eccesso di export di capitali e di impianti manifatturieri, che

seminano nuovi raccolti in terre straniere e che quando rimpatriano parte dei guadagni li reinvestono nella

finanza anziché nell'industria che produce posti di lavoro, evidentemente pensa che gli Stati Uniti possono

tornare agli antichi splendori grazie a un protezionismo totale, ossia in entrata e in uscita. E crede di poter

fare ciò innalzando barriere doganali tanto tariffarie quanto tecniche. In questa scia sono da tempo anche

Francia (non è casuale la vigorosa stretta di mano fra Trump e Macron dell'altro ieri), l'India, parte del Sud

America. E non c'è da stupirsi: sono tutti paesi per tradizione statalisti sul piano del commercio e che si

ostinano a negare quella che è invece la vera dinamica degli scambi. Come ha dimostrato il Premio Nobel

Paul Krugman, essi infatti avvengono non tra Stati ma tra imprese, le quali debbono essere libere di agire e

di autodeterminare le regole dei flussi. Guai se questi flussi si dovessero interrompere per interventi

frettolosi e non coordinati tra le filiere produttive e tra i meccanismi di scambio tra prodotti finiti e non finiti,

tra catene di offerta e di domanda, tra imprese e tra cluster di imprese. Trump, Macron e gli aspiranti a un

ritorno a forme di protezionismo assoluto, sembrano non comprendere che ciò che fa girare la ruota del

commercio, e quindi della crescita, è l'interconnessione tra i reticoli produttivi e di valorizzazione dell'attività

delle imprese, tanto di quelle esportatrici quanto - anche se in misura minore - delle imprese che vivono

principalmente di domanda interna che, come è noto, subisce le influenze del commercio mondiale.

Insomma, il protezionismo selettivo, gestito dalle imprese in cooperazione con uno Stato che ne segue gli

impulsi, è in generale benefico, mentre quello assoluto, che dallo Stato promana per difendere settori che

vivono solo di protezionismo, e quindi di rendita, e così facendo producono contromisure internazionali

negative per altri settori, questo protezionismo è profondamente pericoloso. Ne sa qualcosa l'Unione

Europea che lo dispiega in modo oltraggioso dinanzi agli agricoltori piccoli e grandi di tutto il mondo da più

di cinquant'anni, e che ha indebolito e reso non sostenibile agronomicamente gran parte della produzione

europea per gli anni a venire avendo mineralizzato terreni un tempo fecondi. Questo insegnamento valga

per tutti, tanto per Trump, quanto per Juncker, Macron e compagnia.

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L'ASSEMBLEA Federmanager: torna a crescere il numero dei dirigenti industriali R O M A I manager del settore industriale guardano con un po' di speranza al futuro. Nel 2016 per la prima

volta dal 2011, il numero dei dirigenti è tornato a crescere, dell'1 per cento dopo il -6% degli ultimi cinque

anni. «Un primo segnale di ripresa, ma soprattutto un'iniezione di fiducia per lo sviluppo del Paese» ha

commentato il presidente di Federmanager Stefano Cuzzilla, che ieri ha aperto l'assemblea nazionale della

federazione. Il trend occupazionale del management risulta comunque sfavorito dalla performance delle

imprese industriali con almeno un manager in organico che complessivamente sono sempre meno

numerose ( -3,6% rispetto al 2015). Soffrono in particolare le piccole imprese, in flessione del 10% tra il

2011 e il 2016 (-0,3% nel 2016). «L'occupazione si crea con la crescita, e non si cresce se non si fa

industria» ha fatto notare Cuzzilla. Tra le priorità presentate in assemblea si trovano anche indicazioni di

politica economica: il rilancio del Mezzogiorno, attraverso un piano condiviso che istituisce "zone franche" e

hub per l'innovazione; una riforma del fisco, a partire da Irpef e cuneo fiscale; provvedimenti contro

l'evasione fiscale; maggiori investimenti pubblici in economia e in ricerca e sviluppo; adozione di misure di

agevolazione fiscale per l'inserimento delle professionalità ad alta qualifica nelle imprese.

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 123

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Ripresa, spiragli dall'export Segue dalla prima pagina

Dall'indagine congiunturale svolta su 239 imprese del manifatturiero e 151 del settore commerciale in

Umbria emergono anche altre note positive. Con il fatturato estero, anche il livello degli ordinativi tiene e tra

i settori, spiragli di ripresa arrivano dalle industrie chimiche e delle elettriche-elettroniche, con le prime tra i

pochi presidi occupazionali in terreno positivo. «I dati della regione confermano che la strada da seguire è

quella del commercio estero», ribadisce Giorgio Mencaroni, presidente regionale Unioncamere. «Lo dicono

i dati di ordinativi e fatturato e anche se si registra un lieve calo rispetto a fine anno, sono confortanti i valori

positivi rispetto al primo trimestre 2016».

Un dato comune al manifatturiero, sono le difficoltà delle piccole imprese, ma la produzione restituisce

segnali positivi anche in settori come metalli e tessile, mentre nel fatturato in discesa il dato delle imprese

alimentari. In generale il fatturato interno cresce su base annuale (+2,6%) e il calo del primo trimestre è

considerato dunque quasi fisiologico dopo le buone performance degli ultimi mesi 2016. I numeri del

fatturato estero, invece, sono positivi su entrambi i fronti temporali (bel oltre il 3%) ma a brillare di più sono

le industrie meccaniche con un +13,9% trimestrale. Dietro la lavagna, invece, il tessile (-4,1%).

Sta diventando pesante la situazione nel commercio con vendite in calo del 4,6% rispetto a dicembre, con

le perdite maggiori nel commercio al dettaglio dei prodotti alimentari e per le strutture più grandi. Più

contenuto il calo rispetto al 2016, con un timido rialzo dei non alimentari e delle imprese medie.

Capitolo lavoro. Occupazione in calo su tutti i fronti con un -1% congiunturale che scende al -3,8% annuale

nel manifatturiero e al -3,2% nel commercio.

Segnali positivi arrivano dalle chiusure con il -10,6% di scioglimenti e liquidazioni, 414 in tre mesi, che si

aggiungono ai fallimenti, anch'essi in calo ma semprein quantità consistente: 62 in 90 giorni.

Fabio Nucci

27/05/2017Pag. 42 Ed. Umbria

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 124

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AIM CHI HA GUADAGNATO IL 100% (E OLTRE) NEL 2017 Elena Dal Maso CHI HA GUADAGNATO IL 100% (E OLTRE) NEL 2017 Piove denaro sull'Aim, il segmento borsistico delle

piccole e medie imprese di Piazza Affari. Un miliardo di euro in cinque mesi, importo che il mercato delle

pmi aveva raccolto, in precedenza, in un arco temporale ben più lungo, due anni e mezzo. È l'effetto Pir, i

Piani individuali di risparmio entrati in vigore a gennaio, che prevedono benefici fiscali per chi investe a

medio-lungo termine (cinque anni) nelle società più piccole, come quelle scambiate sull'Aim e sul segmento

Star di Piazza Affari. Con l'effetto che oggi l'Aim Italia sfiora quota 4 miliardi di capitalizzazione e assiste a

rialzi stellari. Gli analisti di Intermonte advisory hanno calcolato che il governo ha appena rivisto le stime

ufficiali sulla raccolta dei fondi comuni di tipo Pir per quest'anno da 1,8 miliardi di euro a 10 miliardi. Nel

frattempo sono nati 38 fondi ad hoc, 16 dei quali investono solo in azioni e hanno un benchmark azionario

italiano, con una componente su mid-small cap più o meno importante. Regina dei rialzi sul Ftse Aim da

gennaio è Clabo, tra i leader mondiali delle vetrine per gelaterie e pasticcerie, che ha registrato da gennaio

al 24 maggio un incremento del 530% con scambi anche di 800 mila azioni al giorno, un volume inedito per

questo segmento. Clabo, quotata nel marzo 2015 a 2,7 euro, era scesa molto, fino a sfiorare quota 0,5

centesimi. Era andata in ipo con ricavi per 34,9 milioni di euro e 2,8 milioni di utile, mentre lo scorso anno

ha registrato 37,3 milioni di giro d'affari e 0,7 milioni di utile, sceso a causa di una serie di investimenti. Poi

la società ha comprato un'azienda concorrente in Cina grazie anche all'intervento del Tesoro che ha

creduto nell'operazione (attraverso Simest) e il titolo è schizzato, toccando 4 euro in poche settimane. In

volata anche Notorious Pictures, società di distribuzione e produzione cinematografica, con rialzi medi del

10% negli ultimi giorni e scambi sostenuti. Anche in questo caso il titolo era partito depresso: quotato a 3

euro nel giugno 2014, aveva toccato 0,6 euro nel novembre 2016. La società fondata da Guglielmo

Marchetti si era quotata tre anni fa con 26,8 milioni di ricavi e 6,5 milioni di utile, per scendere lo scorso

anno a 23 milioni di ricavi e 2,8 di utile. Il nomad, Banca Akros, in un lungo report uscito dopo i conti del

2016 ha fissato il target price a 1,4 euro. Giovedì 25 il titolo era andato oltre, a 1,538 euro. A fine giornata

erano passati di mano almeno 1 milione di titoli, un record per la società, che poi ha chiuso annullando i

guadagni.E il giorno dopo è sceso a 1,33 euro una seduta assai volatile. A questo punto la domanda è: la

Pir-mania sta forse creando una bolla sull'Aim e relativo spazio per speculazioni e trading sui titoli che

finora si sono visti nei mercati più maturi? E se la festa dovesse esaurirsi? Per Giovanni Natali, presidente

di 4Aim Sicaf, società quotata sull'Aim che investe proprio nelle pmi di Piazza Affari, «il miliardo che è

arrivato non resterà da solo, ne aspettiamo almeno un altro, il che significa il 60% dell'attuale

capitalizzazione». Questo perché «ormai tutti gli esperti del settore stimano che i Pir raccoglieranno oltre 60

miliardi entro il 2021. Se si tiene conto che i Piani di risparmio devono investire per legge il 21% in imprese

quotate non appartenenti al Ftse Mib, arriviamo a circa 12 miliardi». L'80% di questi soldi, secondo Natali,

«sarà convogliato verso le società quotate al segmento Star, significa quindi che 10 miliardi saranno

investiti sui titoli del segmento ad alti requisiti di Borsa Italiana, pari al 20% della sua capitalizzazione, e

oltre 2 miliardi invece sull'Aim». Tutto oro che cola? «Meglio morire di indigestione che di fame», scherza

Natali. «Questo non eviterà aggiustamenti di prezzi o ritracciamenti dei titoli in caso di eccessiva

valutazione, è il normale gioco di mercato». Tanto che Mediobanca Securities nella sua nota del 23 maggio

arriva a scrivere, in riferimento ai fondi comuni che investono nei Pir (e alle società che li colllocano), «che il

mercato non sta considerando in maniera corretta il potenziale rischio reputazionale in caso di forte

correzione del mercato». Nervi saldi, negli investimenti la prudenza è fondamentale. «I titoli sull'Aim si

strappano di mano: essendo il flottante limitato e le masse piccole, si spostano facilmente. Ci sarà una

correzione, ce lo aspettiamo, ma non penso che si possa parlare per ora di bolla speculativa», interviene

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 125

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Maurizio Napoli, responsabile advisory & corporate finance di Banca Finnat. La banca romana ha portato in

quotazione alcune delle società più innovative dell'Aim, come Bio-on, Energica, Vetrya, Smre. «È un

momento congiunturale particolarmente favorevole sui mercati mondiali, gira molta liquidità in cerca di

investimento», aggiunge Napoli. «Basti pensare che quando è stato eletto Trump alla presidenza degli Stati

Uniti i mercati valevano circa 64 miliardi di dollari, oggi sono saliti a 70 miliardi. E quello che colpisce è che

sale tutto, compreso l'oro, che di solito viaggia in controtendenza rispetto alle azioni». A questo si aggiunga

una volatilità contenuta dei mercati, prosegue l'esperto, grazie anche all'esito delle elezioni in Francia e

all'assorbimento della Brexit. Rispetto alla scorsa settimana, hanno scritto Bloomberg e Marketwatch

(gruppo Wall Street Journal) non fa più paura neanche il Russiagate di Trump, i mercati paiono in grado di

digerire tutto. Non è dunque un caso che da gennaio al 24 maggio l'indice Ftse Aim Italia sia cresciuto del

21,1% mentre nei tre anni precedenti ha perso il 19,6% e dal 2012 è in rosso per il 13,7%. Per contro

l'indice Star è salito del 29,9% da gennaio, ha fatto +95,6% a tre anni e un eccellente +243,7% a cinque.

Questo raffronto è importante perché i gestori specializzati in Piazza Affari stanno tenendo sott'occhio le

società che stanno dimostrando di fare i passi giusti per andare sul mercato principale o addirittura sullo

Star, che prevede requisiti particolari per flottante (minimo 35%), trasparenza in materia di governance e

tutela degli azionisti di minoranza, oltre all'obbligatorietà di pubblicare quattro trimestrali l'anno. «Sono

caratteristiche che piacciono molto agli investitori, anche all'estero», spiega Stefano Fabiani, responsabile

delle gestioni patrimoniali di Zenit sgr, che ricorda l'esempio di Tecnoinvestimenti, «partita dall'Aim e

passata allo Star lo scorso anno con risultati positivi». La società, specializzata in sicurezza informatica, ha

fatto il salto il 31 agosto 2016 a 3,45 euro per azione, venerdì 26 maggio scambiava attorno a 5,8 euro per

269 milioni di capitalizzazione. Alla voce di Fabiani si aggiunge quella di Luigi Degrada, responsabile fondi

azionari di Fideuram, secondo cui «questa ondata di liquidità che arriva grazie alla normativa dei Pir

contribuisce a creare un circolo virtuoso sull'Aim e ad aiutare le società mature a crescere per portarle a

fare il salto sul segmento principale». Si stanno per preparare al cambio di passo, dall'Aim al Mta e

(continua a pag. 17) (segue da pag. 15) probabilmente verso lo Star, società come Giglio group e Bio-on.

La prima è una società di trasmissione televisiva presente in 45 Paesi, compresa la Cina. Scesa a Piazza

Affari nell'agosto 2015 a 1,9 euro per azione, da inizio anno al 24 maggio è cresciuta del 122% e dall'ipo il

254,5%. È la maggiore rivalutazione registrata nell'Aim dalla quotazione. La società ha registrato ricavi nel

2016 per 34,7 milioni di euro (13,9 milioni nel 2015) e un utile netto di 1,7 milioni (1 milione l'anno

precedente). Il secondo maggiore rialzo dalla quotazione è quello di Bio-on, salita da 5 a 17,2 euro per

azione, con una rivalutazione dall'ipo del 246%. La società bolognese specializzata nella produzione di bio-

polimeri 100% eco sostenibili usati in diversi settori (dall'auto alla medicina al beauty), con oltre 50 brevetti

in mano, fondata e guidata da Marco Astorri, ha appena compiuto un passo importante, salire dal 20 al

37% di flottante attraverso l'esercizio dei warrant, che ha portato il titolo ad avere la maggiore

capitalizzazione del Ftse Aim, ben 307,6 milioni di euro, seguito da Lu-Ve (278 milioni di euro) e Orsero

(192 milioni). Bio-on ha chiuso il 2015 con 8,4 milioni di fatturato e 3,5 milioni di utile, dopo che il 2016 ha

registrato 5 milioni di fatturato (e 55 milioni di commesse da contabilizzare nel 2017) e 0,4 milioni di utile

dopo una serie di investimenti. Secondo Selfiewealth.com, società inglese di robotica applicata agli

investimenti, Bio on è anche la prima società dell'Aim per numero di scambi giornalieri negli ultimi tre mesi,

pari a 944mila euro. E nonostante il titolo abbia registrato un rialzo del 17,4% da inizio anno, l'algoritmo di

Selfiewealth, messo a punto da Edoardo Narduzzi dopo tre anni di ricerche in team, ha elaborato una

previsione di crescita per il prossimo mese con un Var (indice di rischiosità dell'investimento) contenuto,

pari al 5%. Un lavoro che il robot ha realizzato per MF-Milano Finanza su tutti i titoli dell'Aim (tabella in

pagina) abbinando a ogni società il valore quotidiano degli scambi, da cui si evince la liquidità del titolo e il

relativo Var. L'algoritmo proprietario di Selfiewealth lavora in generale su 80 mila titoli scambiati in oltre 30

Paesi del mondo aggiornando le informazioni tutti i giorni e andando indietro nel tempo fino a un decennio.

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 126

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Tratta azioni, obbligazioni, indici, valute, futures su materie prime. Il robot è stato programmato anche per

analizzare tutti i titoli di Piazza Affari, compresi i 79 del segmento Aim dedicato alle società più piccole.

Quest'anno sono state quattro, per ora, le società che si sono quotate sull'Aim di Piazza Affari: Health Italia,

Telesia, Tps e la spac Crescita, per un valore complessivo di capitalizzazione di 228 milioni di euro. E sulla

rampa di lancio ve ne sono almeno altre cinque: Wiit, che opera nel cloud computing, Culti (fragranze per la

casa), Alfio Bardolla (formazione, coaching), Finlogic (etichette adesive e prodotti barcode) e Digital 360

(offerta B2B di contenuti editoriali e servizi di comunicazione e marketing nell'ambito della trasformazione

digitale). (riproduzione riservata)

PIAZZA AFFARI, QUANTO DENARO È PIOVUTO Mercato AIM Segmento Star Titoli MF Italy40

GRAFICA MF-MILANO FINANZA Capitalizzazioni in milioni di euro 24 mag 17 30 dic 16 22 mag 14 22 mag

21 3.920 40.310 493.394 2.992 30.982 430.573 1.857 20.541 386.793 367 11.652 247.326

LE PERFORMANCE DI MILANO FTSE Italia Star FTSE MIB FTSE Italia AIM GRAFICA MF-MILANO

FINANZA Var % 30 dic 16 Var % 3 anni Var % 5 anni 2.992 30.982 430.573 1.857 20.541 386.793 367

11.652 247.326 Fonte: Bancadati Milano Finanza, dati al 24 maggio 2017

GLI INDICI AIM, FTSE MIB E STAR A CONFRONTO DA INIZIO ANNO 130 120 110 100 90 2 gennaio

2017 GRAFICA MF-MILANO FINANZA Ftse Mib Ftse Italia Star Ftse Italia Aim Base 100 = 2 gennaio 2017

26 maggio 2017

CHI HA CORSO DI PIÙ DALLA QUOTAZIONE Titoli AIM Giglio group Bio On Smre Giorgio Fedon Safe

Bag Abitare In Fintel Energia Group Neurosoft Tps Piteco Fope BioDue Modelleria Brambilla Orsero Clabo

Luve Siti - B&T Industrial Stars of Italy 2 Enertronica Elettra Investimenti MC-link Mondo Tv France Rosetti

Marino Leone Film Group Italian Wine Brands Assiteca Innova Italy 1 Vetrya Plt Energia MailUp Gpi*

Solutions Capital Manag Sim Crescita Lucisano Media Group Health Italia Expert System Energica Motor

Company Masi Agricola Digital Magics GRAFICA MF-MILANO FINANZA Data IPO 07/08/15 24/10/14

20/04/16 18/12/14 12/09/13 08/04/16 23/03/10 08/05/09 28/03/17 31/07/15 30/11/16 20/05/15 05/12/14

10/11/15 31/03/15 09/07/15 31/03/16 27/05/16 15/03/13 21/04/15 22/02/13 25/03/13 07/04/10 18/12/13

29/01/15 27/07/15 19/10/16 29/07/16 04/06/14 29/07/14 29/12/16 28/07/16 15/03/17 16/07/14 09/02/17

18/02/14 29/01/16 30/06/15 31/07/13 Prezzo IPO 1,9 5 2,5 6,36 2,25 138 2,2546 1,8106 3,2 3,3 2,9 3,55

2,5 9,0222 2,7 10 8 10 2,6 6 7,65 0,1135 30 4,8 10 1,85 10 6 2,7 1,9226 10,02 10,59 10 3,5 4 1,7923 3,2

4,6 6,967 % da IPO 254,49 246,02 200,71 99,89 90,56 90,14 71,81 64,65 58,58 51,52 49,59 47,32 44,22

42,76 38,14 38,00 27,78 25,00 23,80 14,89 13,81 13,48 12,20 7,63 7,24 6,99 5,96 4,63 3,88 2,90 1,87 1,51

1,15 0,69 0,39 0,06 -0,79 -5,27 -6,47 Titoli AIM First Capital Dominion Hosting Holding Triboo Blue

Financial Comm Cdr Advance Capital Tbs Group Telesia Bomi Italia H-Farm Frendy Energy Iniziative

Bresciane Zephyro Go Internet Tech-Value 4Aim Sicaf Cover 50 Axelero Casta Diva Group Softec Caleido

group Ecosuntek Digitouch Mondo Tv Suisse Ki Group Gruppo Green Power Imvest* Notorius Pictures

Gambero Rosso Poligrafici Printing Energy Lab Agatos Wm Capital Net Insurance Italia Independent Primi

sui motori Innovatec Gala Ambromobiliare Visibilia Editore Data IPO 22/12/10 27/07/16 11/03/14 11/12/15

30/07/12 23/12/09 20/02/17 26/06/15 13/11/15 25/06/12 15/07/14 27/12/13 06/08/14 05/08/14 29/07/16

13/05/15 11/12/14 22/07/14 05/03/12 24/03/15 08/05/14 16/03/15 13/04/15 18/11/13 22/01/14 21/04/11

23/06/14 23/11/15 16/03/10 20/05/14 11/10/13 23/12/13 19/12/13 28/06/13 26/07/12 20/12/13 10/03/14

23/12/11 16/03/10 Prezzo IPO 12,94 -2,16 39,44 -8,18 45,21 42,03 10 35,95 22,74 15,6 -11,31 0,81 11,87

2,46 -23,3 43,58 28,25 -7,28 74,39 9,24 235,11 19,64 -2,12 -1,46 61,72 21,61 62,93 34,55 28,97 18,87 -

13,83 -12,75 -7,47 -24,42 -4,41 143,5 -68,22 -8,72 17,43 % da IPO -6,80 -7,05 -7,54 -8,82 -11,60 -13,68 -

15,42 -16,15 -16,93 -17,85 -21,86 -22,00 -22,28 -22,90 -28,52 -30,90 -31,33 -33,55 -35,90 -36,67 -37,68 -

39,03 -48,02 -50,46 -54,47 -57,45 -58,75 -66,04 -67,88 -69,57 -71,59 -78,08 -79,93 -82,59 -83,10 -88,45 -

93,40 -96,13 -98,63 Fonte: Milano Finanza, dati al 24 maggio 2017

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 127

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CHI SALIRÀ ANCORA, ECCO LE PREVISIONI DEL ROBOT Nome Clabo Safe Bag Ecosuntek Innovatec

Lucisano Media Group Giglio Group Leone Film Group Digital Magics Softec Mc Link Notorious Pictures

Gruppo Green Power Cdr Advance Capital Cover 50 Ital Tbs Elettra Investimenti Triboo Bomi Italia

Gambero Rosso Biodue Siti B&t Group Poligrafici Printing Industrial Stars Of Italian Wine Brands Luve

Orsero H-farm Imvest Piteco Digitouch Energy Lab Visibilia Editore Bio-on Mailup Plt Energia Mondo Tv

France Sa First Capital Neurosoft S A Go Internet Energica Motor Company Assiteca Intrnznl Innova Italy 1

Modelleria Brambilla Tech-value Masi Agricola Gpi Zephyro Ki Group Mondo Tv Suisse Enertronica Expert

System Primi Sui Motori Casta Diva Group Net Insurance Iniziative Bresciane Ambromobiliare Wm Capital

Fintel Energia Group Spa Italia Independent Gala Spa GRAFICA MF-MILANO FINANZA Perf. % da inizio

anno 529,87% 363,86% 235,11% 143,50% 136,56% 132,43% 98,54% 74,39% 74,30% 72,35% 63,29%

61,72% 45,29% 43,58% 42,29% 41,89% 39,59% 36,07% 34,55% 34,36% 32,18% 28,97% 26,52% 26,36%

25,33% 24,23% 22,67% 21,61% 19,59% 19,21% 18,98% 17,43% 17,42% 16,57% 14,47% 13,68% 12,94%

12,73% 12,00% 11,34% 9,46% 8,21% 6,31% 2,46% 1,19% 1,03% 0,81% -1,46% -1,81% -2,67% -3,17% -

4,26% -7,28% -7,52% -7,95% -8,72% -12,75% -19,05% -24,39% -68,22% Scambi €/gg (media trim.)

323.000 302.000 6.000 61.000 34.000 315.000 28.000 106.000 21.000 67.000 81.000 7.000 30.000 89.000

107.000 26.000 92.000 74.000 24.000 62.000 399.000 14.000 172.000 362.000 318.000 671.000 38.000

54.000 61.000 61.000 33.000 3.000 944.000 54.000 48.000 29.000 26.000 67.000 92.000 89.000 13.000

121.000 21.000 7.000 54.000 163.000 19.000 8.000 22.000 38.000 79.000 37.000 8.000 3.800 14.000

15.000 14.000 7.000 30.000 66.000 Robo Previsione Up Up Up Down Up Up = Up = Up = Up Up Up Up Up

= Up = Up Up = Up = Up = Down = Up = Up = Up = Down = Up = Up = Down = Down Robo Variazione

14,36% 11,71% 10,86% 9,10% 9,09% 7,32% 6,39% 6,49% 8,15% 8,28% 7,49% 7,19% 5,79% 6,16%

3,82% 5,07% 4,60% 6,72% 6,62% 5,54% 6,51% 8,19% 2,36% 3,38% 3,21% 3,59% 4,34% 13,72% 3,21%

5,69% 12,92% 6,90% 5,00% 6,54% 4,16% 6,69% 3,12% 6,99% 5,00% 6,15% 5,63% 2,11% 4,65% 5,45%

2,99% 3,98% 3,39% 4,03% 7,14% 4,28% 3,15% 6,13% 5,04% 12,03% 3,49% 6,75% 7,02% 5,16% 7,02%

7,43% Fonte: Selfiewealth alla data del 24 maggio 2017

Foto: Maurizio Napoli Stefano Fabiani Giovanni Natali

Foto: Pierluigi Bocchini Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/aim

27/05/2017Pag. 1 N.103 - 27 maggio 2017

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 128

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GESTORI & GESTIONI Fei dice sì a Hedge Invest ed entra in Hi CrescItalia Pmi Fondo Europeo per gli Investimenti (Fei) ha stretto un accordo con Hedge Invest Sgr per entrare nel gruppo

di investitori del fondo Hi CrescItalia Pmi, veicolo che può oggi contare su un patrimonio in gestione pari a

64,5 milioni di euro ma che si propone di raggiungere una dimensione maggiore. Si tratta di un fondo

riservato di tipo chiuso, che viene gestito con la consulenza di CrescItalia Holding, ed è specializzato in

finanziamenti di lungo termine a piccole e medie imprese italiane. Punta a costruire un portafoglio

diversificato di società che si contraddistinguono per forti capacità gestionali e attivismo imprenditoriale, in

presenza di un'adeguata struttura di bilancio e di un efficace sistema di governance.

27/05/2017Pag. 38 N.201 - maggio 2017

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 129

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L'INDUSTRIA DEL CREDITO NELL'ITALIA CHE RIPARTE focus BANCHE Le banche si trasformano per vincere la sfida 4.0 Luisa Parer «Io vado in banca» a «stipendio fisso così mi piazzo e non se ne parla più» verseggiava Nanni Svampa nel

1966, quando le banche erano i motori del miracolo industriale e nell'Italia del posto fisso lavorare in un

istituto di credito significava salire nella scala sociale. Ora, a mezzo secolo di distanza, non è più così: la

crisi ha impattato sul sistema Paese e sulle banche, costrette a rivedere gli organici, a cambiare pelle per

spingere i profitti malgrado un contesto caratterizzato da tassi di interesse rasoterra, assolvendo nel

contempo alle continue richieste di rafforzamento patrimoniale imposte dalla Bce dopo i periodici stress test

. Il tutto, peraltro, reso più difficile dallo tsunami delle regole europee sul bail-in, recepite dal Parlamento

senza analizzare quanto sarebbe poi costato all'Italia e ai risparmiatori rimediare alle crisi, salvando prima

Etruria & C e poi cercando in questi giorni una soluzione con l'Europa per risollevare Mps, PopVicenza e

Veneto Banca. Il sistema Italia e il Pil stanno però ripartendo e l'industria bancaria continua a rinnovare

gamma prodotti e modello di business, per accompagnare nella ripresa famiglie e imprese. A puntare

sempre più sulla consulenza, riqualificando il personale e lasciando al web e ai dispositivi bancomat i

servizi a basso valore aggiunto prima svolti dal cassiere. È per questo che i nostri istituti - a partire dalle big

Intesa Sanpaolo e Unicredit - stanno mettendo mano alla architettura delle filiali, trasformandole in

«piazze» in cui fare affari, in luoghi interconnessi con le nuove tecnologie 4.0. In parallelo, le banche

ampliano la propria gamma prodotti, proponendo alle famiglie mutui e prestiti sempre più flessibili. Il mondo

del risparmio gestito offre un porto agli ex Bot people , inanellando record di raccorda netta e registrando il

tutto esaurito sui «Pir» (1,1 miliardi di raccolta in soli 3 mesi), i nuovi piani individuali pensati per trasferire il

risparmio privato verso le pmi e fare da volano alla ripresa. Per non parlare delle opportunità aperte dalle

nuove tecnologie, dalla possibilità di pagare con il cellulare e dalle prospettive del fintech o della sfida

lanciata dai colossi del web come Apple con la sua Apple Pay.

28/05/2017Pag. 35

diffusione:64278tiratura:125801

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 130

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IL NUOVO VOLTO DEL CREDITO IN ITALIA Le banche cambiano pelle e «aprono» le filiali alla città Basta banconi invalicabili, lo sportello diventa una piazza degli affari. E il cassiere un consulenteSTRATEGIE L'OFFERTA La relazione fisica ora va a braccetto con la multicanalità Gli istituti puntano tuttosui servizi e dichiarano guerra all'uso della carta Nunzia Pagani A pensarci per primi sono stati tedeschi. L'idea era semplice ma rivoluzionaria: il camper rosso e bianco

spegne il motore a pochi metri dai caffè del centro storico di una qualsiasi città. Si abbassa la scaletta e

scende lui: il bancario mobile. Perché il motto della Kölner Sparkasse è: se tu non vai alla banca, la banca

viene da te. Qualche anno fa la Cassa di risparmio di Colonia ha creato una piccola flotta di sportelli a

quattro ruote che girano per le città e i paesi di tutta la regione. Si fermano a orari prestabiliti e aprono la

cassa: in media, durante il paio di ore di sosta, nei minibus entra una dozzina di clienti. Molti sono anziani

che non sanno usare Internet e sono rimasti orfani della filiale sotto casa. Chissà se avvisteremo la banca-

mobile anche qui in Italia, nelle strade delle grandi città o nei borghi di provincia, dove chiudono a decine le

agenzie spuntate come funghi negli ultimi quindici anni. Secondo gli ultimi dati di Bankitalia, gli sportelli

sono scesi di circa 1.000 unità a quota 29.000 contro i 30.259 del 2015. Erano 33mila nel 2010. In

diminuzione anche il numero delle banche, sceso lo scorso anno da 644 a 600, e quello degli sportelli

postali, sceso da 129.00 a 12.500. Aumenta invece il numero di Pos attivi: quelli bancari salgono da 1,9

milioni a 2,1 mentre quelli postali da 45mila a 46mila. In riduzione gli Atm delle banche, da 35mila a 33mila

mentre quelli cash dispenser salgono da 2mila a 3.100 unità. A cambiare comunque è lo stesso modello di

filiale e con questo il lavoro del bancario, dove il «cassiere classico» - un tempo chino sul computer a

immettere bonifici e pagamenti - sta lasciando spazio alla figura del consulente, chiamato a seguire il

cliente in tutte le sue necessità. Se il core business è la relazione con il cliente, per i servizi veloci, per

versamenti e prelievi ci sono invece gli sportelli automatici dei Bancomat, aperti 24 ore su 24. Nei nuovi

sportelli del credito 2.0, accanto ai tradizionali prodotti finanziari - mutui, prestiti, conti correnti - si vendono

e si proporranno infatti sempre più beni accessori come schede sim per il cellulare, biglietti per treni, teatri o

concerti. Si offriranno servizi di consulenza avanzata, anche in campo fiscale, con un occhio di riguardo per

le partite Iva e le piccole e medie imprese. La rivoluzione è in atto: gli istituti di credito - a partire dalle due

big Intesa Sanpaolo e Unicredit - hanno già iniziato a ripensare il loro modello commerciale, studiando filiali

del futuro, aperte alla città e «paperless», libere dall'utilizzo della carta. Addio quindi grigi sportelli, addio

banconi invalicabili erti a separare bancario e cliente, addio porte-capsule claustrofobiche o armadietti

portaborse. Nei nuovi sportelli del credito la relazione fisica va a braccetto con la multicanalità: il cliente che

si collega alla banca dallo smartphone, prende un appuntamento direttamente sull'agenda digitale del suo

consulente, dialoga via Skype con gli esperti. Le vertine sono vetrine sono grandi, diventano una «finestra»

verso l'esterno, trasparente e sempre aperta al pubblico. La filiale - e questo è il modello specifico scelto da

Ca de' Sass per lo sportello di Piazza Cordusio a Milano - diventa insomma una piazza dell'economia reale,

un punto commerciale dove l'istituto vive il territorio e viceversa. All'ingresso un monitor alle spalle

dell'accoglienza integra un palinsesto definito di messaggi e una serie di informazioni personalizzabili filiale

per filiale che fungono da segnaletica digitale, evidenziando funzioni e servizi presenti in loco. Un sistema

di prenotazione evoluto distribuisce i flussi verso l'operatività di cassa o verso le nuove casse self assistite.

Nel mezzo, la «piazza», che ruota attorno a un grande tavolo di legno grezzo, condivisa e condivisibile da

chiunque. Accessibilità, trasparenza e innovazione sono anche i concetti chiave alla base del progetto di

rinnovamento strutturale delle filiali Unicredit battezzato progetto Open che prevede la massima

integrazione tra tutti i canali della banca, da quelli tradizionali all'online banking e ai bancomat

multifunzione, dal mobile alla consulenza in "remoto" tramite contact center o video room.

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1.0002,1 Nel 2016 gli sportelli bancari sono scesi di circa 1.000 unità a quota 29.000 contro i 30.259 del 2015 I

Pos attivi bancari salgono da 1,9 milioni a 2,1 milioni mentre quelli postali da 45mila a 46mila nel 2016

Foto: RIVOLUZIONI A sinistra, il presidente dell'Associazione delle banche italiane (Abi), Antonio Patuelli

Sopra, clienti a uno sportello Bancomat

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 132

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Banche & Banchieri STRATEGIE Le sfide di Cr Savigliano Il cda della cassa di risparmio piemontese ha definito i punti irrinunciabili del suo mandato: tenere i conti inordine, rimanere ancorati al territorio e restare una «banca che fa la banca». E ha preferito valutare il meritocreditizio con l'interventodi analisti certificati, piuttosto che con modelli di rating • ALBERTO MAZZA «1n questo triennio, ci siamo posti un obiettivo -ben chiaro. E cioè quello di tenere la banca con i conti in

ordine, perché i soci possano valutare il da farsi senza fretta». Lo ha sottolineato Francesco Osella,

presidente della Cassa di risparmio di Savigliano, a margine dell'assemblea annuale della banca. Finora,

ha proseguito, l'obiettivo è stato centrato. «Abbiamo comunicato ai soci che la banca è in salute e produce

reddito, come ha sempre fatto in questi 159 anni. Il 2016 si è chiuso con un utile significativo, soprattutto se

il dato è esaminato in rapporto alla situzione del mercato. Una parte di questo importo è stato erogato agli

stessi soci, mentre l'altra è stata messa a patrimonio,come chiesto da Banca d'Italia. Quindi non ci sono

esigenze particolari di cedere quote. La banca può stare da sola, finché i soci decidono che quella è la

strada. Ma l'importante è che qualsiasi opzione sul tappeto potrà essere presa con calma, con la possibilità

di ragionare serenamente e con tutti gli elementi a disposizione». VENDERE 0 NON VENDERE? Sembra,

dunque, manifestarsi un dubbio amletico: vendere (quote) o non vendere, questo è il problema... «Noi

abbiamo lavorato perché non ce ne sia bisogno», risponde Osella. «E, lo ripeto, per rendere possibile un

confronto e un ragionamento di lunga portata ai soci. Che, naturalmente, sono gli unici a decidere che cosa

fare delle loro quote. Noi possiamo solo dare un parere...». E l'avete espresso? «L'abbiamo espresso, sì»,

dice Osella. «Nel piano industriale abbiamo dato alcune indicazioni alla fondazione. Abbiamo tracciato le

opzioni percorribili e tra quelle non c'è l'ingresso in un grande gruppo. Almeno per i tre anni in cui resteremo

in carica». Chiaro. E poi? «Poi vedremo che cosa definirà la proprietà, che in questi due anni dovrà indicare

il percorso da seguire. La fondazione, che detiene il 69% delle quote, è in un momento di riorganizzazione:

presto capiremo che cosa succederà».. E Bper, che è l'altro azionista? «Bper è socia delle quattro casse di

risparmio locali», risponde Osella. «Cinque anni fa è passata in maggioranza in Cassa di risparmio di Bra e

lo scorso anno in Cr Saluzzo: deduciamo quindi che un'intenzione di lavorare in questo territorio ce l'abbia.

Dal nostro punto di vista possiamo dire che con loro c'è un ottimo rapporto: è un socio industriale con una

visione e una presenza significative nella nostra provincia. E non fa pressioni di alcun tipo». GLI ALTRI

OBIETTIVI Per farla breve, insomma, il compito del cda è mantenere la banca in salute: i soci decideranno.

Ma quello dei conti in ordine non era l'unico obiettivo che il presidente e gli altri consiglieri si erano posti

all'atto del suo insediamento. «Un altro era quello di mantenere la vocazione territoriale dell'istituto. E un

altro ancora di rimanere una "banca che fa la banca". Mantenendo gli impieghi e supportando la clientela».

Pensate di esserci riusciti? «Non lo diciamo noi, ma i numeri», risponde il vicepresidente Luca Crosetto. «Il

90% degli impieghi è rivolto a Pmi, famiglie consumatrici e produttrici. Più di 8,6 milioni spesi per produttori

della provincia di Cuneo. E nei quattro comuni "originari" abbiamo circa la metà del mercato». In un

contesto in cui le imprese (principalmente piccole e "micro") operano «soprattutto nei servizi», aggiunge il

direttore generale Emanuele Regis. «Ma anche in artigianato, commercio, agricoltura. Mentre l'edilizia,

negli ultimi anni, ha ridotto il suo peso». I DATI Ed ecco, quindi, i principali dati archiviati dalla banca

saviglianese nel 2016. A partire dall'utile, che ha raggunto 3.207.433 euro, corrispondente a un Roe che

supera il 4%, «nonostante sia stato gravato da componenti negative eccezionali quali il contributo al

salvataggio delle banche in difficoltà», afferma una nota di Cr Savigliano. Al netto dell'utile 2016, il

patrimonio dell'istituto di credito saviglianese ha raggiunto 77,6 milioni. Da dove deriva l'aumento dell'utile?

«La banca ha ridotto la raccolta diretta e lavorato molto sull'indiretta, che genera commissioni. Abbiamo

quindi riavvicinato la quantità di impieghi con quella di raccolta diretta. Migliorando le rettifiche sui crediti e

riducendo le spese amministrative». Nel dettaglio, la raccolta indiretta si è attestata sulla cifra di 612 milioni,

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in crescita del 4,26% rispetto al 2015; quella diretta ha raggiunto i 999 milioni (-5,13%); il totale complessivo

di raccolta da clientela è di 1.610 milioni, sostanzialmente stabile (il calo è dell'I,83%). Lieve decremento

anche per i crediti alla clientela, chiusi a quota 847,8 milioni di euro (-1,66%). Nello specifico, però,

crescono i prestiti a famiglie (+2,08%) e Pmi (+1,23%), mentre i mutui si attestano a quota 572 milioni,

anch'essi in aumento (+1,88%). Da cosa dipendono questi dati, che a una prima occhiata sembrano

contrastanti? «Facile: ci siamo spostati maggiormente su clientela retail. Famiglie e Pmi. In altre parole,

abbiamo deciso di diminuire i finanziamenti alla clientela corporate, quella di grandi dimensioni». Le

sofferenze lorde sono il 5,9% del totale dei crediti, quelle nette il 3%, «contro il 4,9% a livello di sistema»,

recita una nota della banca. «L'indice Texas Ratio, indicatore di solidità patrimoniale, è pari all'82,87%».

Come mai, allora, un settimanale vi ha indicato come banca a rischio? «Nelle scorse settimane, varie

testate hanno pubblicato graduatorie di questo tipo», spiega Osella. «Vengono riportati dati, a cui vengono

applicati algoritmi a noi sconosciuti. Ma, mentre in generale è legittimo riportare dati oggettivi, ritengo che

per arrivare a conclusioni, classifiche, giudizi, bisognerebbe usare un po' più di cautela. Da quattro dati di

bilancio non si può capire lo stato di salute della banca. I dati di cui parla (pubblicati d aìl'Espresso) sono a

cura dell'ufficio studi di Mediobanca. Li ha proposti anche il Sole 24 Ore. Perché per il primo le sofferenze ci

mettono a rischio e per il secondo no? Il nostro Texas ratio è dell'82%: come può essere paragonato a chi

ha il 700%? Se per assurdo Crs dovesse perdere tutti i crediti deteriorati, avrebbe il patrimonio per riuscire

a coprirli». FINANZIAMENTI Torniamo ai dati di bilancio. In che modo Crs ha raggiunto questi risultati?

Osella, Crosetto e Regis lo hanno spiegato a BancaFinanza in una chiacchierata lunga e informale, davanti

a un buon caffè e in un'atmosfera rilassata. Si è partiti, come è prevedibile, dal capitolo-finanziamenti, che è

un punto centrale - e spesso critico - del rapporto fra banche e aziende (ma anche famiglie, naturalmente).

In che modo avete affrontato questa sfida dallo scoppio della crisi? «Nel periodo compreso tra il 2009 e il

2016, i nostri crediti lordi verso la clientela sono saliti del 19%», risponde Osella. «Poi negli ultimi anni

abbiamo avuto una stabilizzazione, perché la richiesta di investimenti si è indebolita molto. C'è molta

difficoltà a trovare gli imprenditori che vogliano investire. Gli interventi più richiesti sono legati alla

ristrutturazione del debito. Ma noi stiamo cercando in tutti i modi la possibilità di effettuare finanziamenti

innovativi». Proprio su questo punto, la banca ha scelto di battere una strada molto particolare. «Abbiamo

avviato una collaborazione con il Fondo europeo per gli investimenti (Fei, istituzione Ue attiva dal 1994 per

agevolare i finanziamenti alle Pmi, che eroga credito solo tramite banche e intermedia, f r ri finanziari, ndr),

per un progetto che avrà termine nel febbraio 2018. Si tratta di un'operazione che per una banca -

soprattutto delle nostre dimensioni - è un'ottima opportunità (tra l'altro, il Fei offre una controgaranzia del

50%). Condizione per avviare l'iter è che l'imprenditore stia effettuando un'innovazione di processo. Lo

slogan del Fei è, infatti: "la tua idea innovativa è la nostra garanzia". Chiaro, no?». Come siete arrivati al

Fei? «Il primo approccio è avvenuto per il tramite di Banca Akros», risponde Regis. «Ci siamo presentati,

conosciuti. Noi siamo una banca molto piccola, loro sono abituati a lavorare con i colossi. Ma, nonostante

questo, si sono interessati a noi. Perché siamo vicini al territorio, e dal territorio nascono molte idee

innovative. Il plafond complessivo erogabile è di 30 milioni di euro. Speriamo che questo sia il primo passo

di una cooperazione di lungo periodo». La collaborazione funziona? «Si, anche se per la verità sta andando

un po' a rilento», ammette Regis. Motivo? «Facciamo fatica a trovare progetti innovativi. Finora Sono stati

erogati circa 3,8 milioni su 30 disponibili». Ancora la richiesta bassa da parte degli imprenditori. CONFIDI

Ma non c'è solo il Fei. Oltre a questa collaborazione, prosegue Crosetto, «continuiamo a stringere accordi

con le associazioni di rappresentanza delle imprese, soprattutto dei settori artigianato e agricoltura.

Mettiamo a disposizione un plafond di 5 milioni di euro, che coprono interventi non inclusi nell'area di

competenza del Fei. Come, per esempio, l'acquisto dei macchinari 0 la gestione delle scorte. Durante

l'anno la banca ha poi prorogato le moratorie sui mutui (per famiglie e aziende) ed effettuato interventi per

fronteggiare le difficoltà di alcune imprese del territorio, per non far mancare il supporto all'economia locale.

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 134

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La banca ha anche aderito ad altre iniziative per ottenere dei finanziamenti agevolati. E proseguito la

collaborazione con i confidi e Finpiemonte». Già, i confidi. Organismi che, ultimamente, alcune banche

preferiscono "saltare" per rivolgersi direttamente al Fondo centrale di garanzia... «Non noi», assicura

Crosetto. Al contrario: cerchiamo di tenere aperte tutte le porte. Per i suoi vantaggi patrimoniali, è vero, il

Fondo centrale di garanzia è diventato un interlocutore molto apprezzato. Ma questo non mette certamente

fuori gioco i confidi. Neppure il Fei li esclude: è possibile abbinare i due interventi. O incasellarli per

tipologia di richiesta: per finanziamenti fino a 30 mila euro è meglio rivolgersi a un consorzio fidi, se

l'importo è maggiore si possono cercare anche altre vie. Ma non si pensi che quella somma sia un limite

per escludere qualcuno: noi lavoriamo molto con microimprese, che hanno bisogno di finanziamenti

abbastanza limitati. E qui i confidi entrano in gioco. Lo dimostra il fatto che con loro abbiamo molte pratiche

in atto». «RATING? NO, GRAZIE » Sul merito di credito, Crs ha optato per un modello molto particolare. E

abbastanza in controtendenza. «Il cda ha fatto una scelta precisa sul modello di business da seguire», dice

a questo proposito Osella. «Abbiamo, cioè, deciso di non utilizzare i sistemi di rating per calcolare il merito

creditizio». Perché? «Glielo spiego subito. I sistemi di rating vedono tutti i clienti allo stesso modo: quindi,

chi li utilizza finisce di fare concorrenza sul prezzo. Ma una fascia di clientela viene ignorata. Con il rating,

un'azienda agricola di un certo tipo non avrebbe speranze di ottenere credito». E quindi? «Quindi»,

prosegue Regis, «abbiamo preferito definire un modello di servizio basato sull'ascolto e sulla relazione di

lungo termine. Il non utilizzare rating non ci ha certo penalizzato, sia dal lato asset quality review, che

abbiamo chiesto a Kpmg, sia dal lato Bankitalia, che ci ha visitati: entrambi hanno confermato la validità del

modello che abbiamo scelto. Inoltre questa scelta di campo, oltre a evitare giudizi troppo "meccanici" su chi

richiede il prestito, ha anche un impatto sul personale. Perché limita il più possibile la rotazione dei direttori

di filiale, pratica che, invece, in altre banche sembra ormai diventata la norma. Di solito il cambio dei

responsabili - e dei dipendenti in generale - risponde a una logica ben precisa: evitare la troppa vicinanza

con la clientela. Ma senza la conoscenza di chi richiede il prestito, come si fa a ottenere quelle soft

information che sono necessarie per comprenderne la situazione? Capirà quindi perché noi abbiamo

l'impostazione esattamente contraria: puntiamo, cioè, su risorse che conoscano bene il territorio, i suoi

imprenditori. E che sia in grado di lavorare insieme a loro e di valutarli proprio per aver approfondito il

rapporto con loro. Quando parlo di "risorse", non mi riferisco solo ai responsabili di agenzia o agli altri

dipendenti. Ma anche ai consulenti di impresa, cioè gli analisti certificati che abbiamo reclutato nell'ambito

della riorganizzazione dell'area commerciale, conclusa lo scorso febbraio». E che hanno - diciamo così

sostituito i software per il rating. «Questi esperti», approfondisce Regis, «hanno il compito di mettersi a

disposizione delle aziende clienti, fornire loro tutto l'appoggio possibile e accompagnarli al prestito. Aiutarli

a presentare una pratica. Un esempio su tutti: spesso queste aziende molto piccole non hanno la struttura

per preparare un business pian: per questo motivo, ci pensano i nostri esperti. Il nostro modo di fare

banca», prosegue Regis, «è costoso e rischioso. Costoso perché gli analisti sono persone, non un software

che ci si costruisce negli anni. E rischioso perché il programma informatico non ha alti margini di errore,

mentre l'analista è un uomo. E, in quanto tale può sbagliare. Ma riteniamo che i rischi siano molto minori

dei benefici che un sistema basato sull'ascolto del cliente, delle sue esigenze e della sua situazione è in

grado di dare». NESSUN ESUBERO La campagna di reclutamento, però, non si ferma ai consulenti

aziendali. «Nei prossimi mesi», rivela Crosetto, «dovremo fare scelte per inserire figure nuove, con una

nuova mentalità». Quindi, niente esuberi... «No», dice Osella: «E pur vero che la nostra politica è orientata

al controllo dei costi: basti dire che abbiamo ridotto del 57% quelli di governance. Ma questo non vuol dire

rinunciare agli investimenti per il nostro futuro. E ringiovanire la struttura è una scommessa sul domani.

Abbiamo solo razionalizzato il lavoro dei nostri dipendenti, incrementando il numero di part time, perché

molta operatività ha picchi di utilizzo nella mattinata. Si è anche cercato di sostituire risorse che sono

andate in pensione. Tra cinque-sei anni dovremo avere squadra con certe competenze, non si può quindi

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 135

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bloccare il turnover. Altrimenti ci si trova senza una struttura». «D'altra parte», aggiunge Osella,

«l'andamento occupazionale della nostra banca ha mostrato sempre un microincremento di dipendenti». E

le filiali? «E prevista la chiusura di due sportelli per una razionalizzazione della nostra presenza sul

territorio». FILIALI A proposito di succursali: anche la banca saviglianese è entrata nel mondo della new

branch. «Abbiamo studiato, e poi realizzato nel 2014, il nuovo layout di filiale, con area self e Atm evoluti.

Che - è una particolarità - si trovano all'interno dei locali», puntualizza Regis. «Cosi di giorno i colleghi

accompagnano i clienti e li assistono nelle operazioni self. E di sera, quando la filiale chiude, l'area viene

isolata da lastre di vetro blindato, che rendono inaccessibile gli uffici dell'agenzia. Tra le altre cose, siamo

stati chiamati a illustrarne il modello a un convegno Abi». In che modo è organizzata la vostra succursale

evoluta? «Diciamo che abbiamo cambiato la logica dello sportello tradizionale. Per esempio: alle casse

abbiamo preferito le scrivanie, per puntare su aspetti commerciali più che transazionali. Anche la gestione

degli accessi si trasforma: abbiamo infatti introdotto gli ormai usatissimi numerini tagliacode, ma con una

componente di innovazione. Saranno cioè presto legati a un'app che stiamo sviluppando». Le new branch

contengono anche dotazioni non strettamente legate all'attività core: «un'area hospitality al centro della

banca e un video collegato a Sky 24. Così al mattino una serie di persone vengono in banca, guardano la

tv ed effettuano anche le operazioni. In questo modo, la banca si trasforma in una moderna piazza. In un

centro di aggregazione dove chi vuole va anche per passare un po' di tempo», spiega il presidente. Per ora

siamo alla fase uno, con un numero limitato di sportelli innovativi. «Ma prima o poi», dice Osella, «tutte le

filiali saranno così». SUL TERRITORIO Abbiamo parlato dei finanziamenti. Ma che cosa fate, invece, per

sostenere le attività culturali e ricreative del territorio, fatto salvo che queste operazioni sono svolte

soprattutto dalla fondazione? «Nel 2016 abbiamo organizzato interventi di sostegno su 230 associazioni ed

enti tra Saviglianese, Cuneese e Torinese per un valore di 237mila euro», dice Regis. «Inoltre», aggiunge

Crosetto, «la banca è proprietaria di Palazzo Taffini, un gioiello saviglianese, e del castello di Genola. In

questi due anni stiamo rendendo accessibili alla cittadinanza entrambi gli edifici. Perché sono proprietà

della Cassa di risparmio, certo. Ma lo sono anche del territorio. La banca ha il dovere istituzionale di

evitarne il degrado: abbiamo ultimato il compito e li stiamo così restituendo ai cittadini. A Palazzo Taffini

siamo partiti con una mostra; il castello è invece concesso gratuitamente alla scuola infantile comunale che

era in difficoltà». I CONCORRENTI Per finire: chi sono i vostri principali concorrenti? «Lo scenario

competitivo è cambiato», risponde Regis. «Fino a qualche anno fa, avrei detto le piccole banche. Ora,

avvertiamo più la competizione di quelle maggiori. Ma c'è un'osservazione da fare: oggi i grandi gruppi

stanno facendo politica aggressiva, ma solo sulla clientela di standing molto elevato. Mentre lasciano un po'

in disparte le microimprese». Quindi, non sentite più in modo forte la concorrenza delle Bcc? «Oggi, sul

nostro territorio, ci stiamo misurando con Intesa Sanpaolo e Unicredit», puntualizza Osella. «Certo, le Bcc

hanno un modello più vicino al nostro. E la riforma ha dato inizio all'aggregazione delle Banche di credito

cooperativo in grandi gruppi. Ma non penso che Cassa Centrale o Iccrea, almeno per noi, possano essere

un concorrente più forte di Intesa Sanpaolo». • ALESSANDRO NICOLUCCI

Foto: UTILE

Foto: Nel 2016, Cassa di risparmio di Savigliano ha raggunto un utile di 3.207.433 euro. Sotto, uno scorcio

di Piazza del Popolo, a Savigliano, con la sede della banca

Foto: «Non ci sono esigenze particolari di cedere quote: la Cr Savigliano può stare da sola, finché i soci

decidono che quella è la strada», ha insistito il presidente Francesco Osella (secondo da sinistra). La foto

mostra la conferenza stampa organizzata dopo l'assemblea dei soci

Foto: AL VERTICE Da sinistra a destra, Emanuele Regis, Francesco Osella e Luca Crosetto,

rispettivamente direttore generale, presidente e vicepresidente di Cr Savigliano. La fotografia è stata

scattata poco dopo l'assemblea nella sede della banca; sullo sfondo, una gigantografia dei tetti di

Savigliano

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Foto: VECCHIA INSEGNA A fianco, un'insegna storica di Cr Savigliano

Foto: IMPIEGHI ALLA... GRANDA «Il 90% dei nostri impieghi è rivolto a Pmi, famiglie consumatrici e

produttrici», dice Luca Crosetto (primo da sinistra), vicepresidente di Cr Savigliano. «E più di 8,6 milioni

sono stati spesi per produttori della provincia di Cuneo»

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 137

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Bpp-Fei: assunzioni e nuovi mercati «Pronti 80 milioni per il Meridione» Da Napoli a Palermo: così saranno co-finanziati i progetti di piccole imprese e startup Salvatore Avitabile industria 4.0 è il ponte verso il futuro per le piccole e medie imprese. E i progetti di rilancio partono

soprattutto dalla capacità delle stesse di innovarsi tecnologicamente. In questo contesto Banca Popolare

Pugliese ha firmato un accordo con il Fondo europeo degli investimenti (Fei) per la copertura fino al 50 per

cento dei finanziamenti concessi alle Pmi del Mezzogiorno. Bpp, con sede legale a Parabita (in provincia di

Lecce), estende il suo operato in cinque regioni del Sud (Puglia, Campania, Basilicata, Molise e Abruzzo)

dove ha 108 filiali.

Il Fei è un organismo pubblico-privato il cui capitale è detenuto per il 62% dalla Banca europea per gli

investimenti, per il 29% dall'Unione Europea, e da 30 banche e istituzioni finanziarie europee. Obiettivo:

sostenere le Pmi con meno di 250 addetti che costituiscono la gran parte del tessuto industriale europeo. I

finanziamenti saranno concessi anche alle imprese «small mid cap», start-up, impegnate in progetti di

ricerca, innovazione e sviluppo. L'accordo stipulato con il Fei prevede la concessione di un plafond di 40

milioni di euro da utilizzare, in modalità molto semplificata, per poter garantire sino a 80 milioni di

finanziamenti che dovranno essere erogati entro 24 mesi dall'entrata in vigore dell'accordo. «Il tutto

s'inquadra nel programma dell'Unione Europea denominato Horizon 2020 e destinato a promuovere ricerca

e innovazione così come previsto dal cosiddetto "Piano Juncker"», spiegano dalla banca.

Nelle regioni dove Bpp ha le sue ramificazioni saranno operativi agenti, consulenti e strutture per aiutare gli

imprenditori «a fare il salto di qualità che poi dovrà anche riverberarsi su un aumento degli addetti,

soprattutto giovani provenienti da settori innovativi, in grado di sfruttare le opportunità che questi

finanziamenti possono procurare». Vito Primiceri, presidente di Bpp, aggiunge: «Ancora una volta la nostra

banca si fa trovare pronta per aiutare lo sviluppo del territorio. Questo accordo spero possa trovare terreno

fertile tra le piccole imprese meridionali ad alto tasso di innovazione che finora hanno sofferto per la

mancanza di finanziamenti più agevoli e alla loro portata. La garanzia del Fei serve proprio ad eliminare

queste difficoltà e la Banca Popolare Pugliese è pronta a fare la sua parte per sostenere sviluppo e

innovazione».

«Si tratta di una delle tante iniziative a cui le banche, soprattutto quelle che operano nel Meridione, sono

chiamate - ha dichiarato il direttore generale della Bpp, Mauro Buscicchio - La Banca Popolare Pugliese,

con questo accordo, intende sostenere in misura maggiore le iniziative d'investimento finalizzate

all'innovazione dei processi e dei prodotti, dando una ulteriore opportunità di realizzare progetti mirati allo

sviluppo delle attività e all'incremento occupazionale». «Questo accordo - afferma il vicepresidente della

Commissione Europea, il finlandese Jyrki Katainen, già primo ministro della Finlandia ed attuale

responsabile dei settori Lavoro, Crescita, investimenti - aumenterà le possibilità per le piccole e medie

imprese del Sud Italia ch saranno facilitate nell'accesso ai finanziamenti per l'innovazione, l'assunzione di

nuovi addetti e l'espansione dei loro mercati». L'italiano Pier Luigi Gilibert, chief executive del Fondo

Europeo Investimenti, prosegue: «Questo nuovo accordo sarà uno strumento importante in aiuto alle

piccole e medie imprese del Mezzogiorno d'Italia nel sostenere il loro sforzo di finanziare, attraverso gli

strumenti messi a disposizione dall'Unione Europea, l'innovazione e la crescita».

Negli ultimi anni la Banca Popolare Pugliese è cresciuta grazie ad una serie di acquisizioni, come i 23

sportelli dalla Banca Carime (17 nel 2007 e altri 6 nel 2015). Nel 2015 Bpp ha acquisito il 97,37% della

Banca del Lavoro e del Piccolo Risparmio di Benevento e il ramo d'azienda di Banca Carime comprendente

le filiali molisane e quella di Vasto. Il mese scorso i soci di Bpp hanno approvato il bilancio 2016 con un

utile netto di 9,35 milioni di euro.

29/05/2017Pag. 8 29 maggio 2017 Corriere del Mezzogiorno Economia

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L'istituto di credito

Banca Popolare Pugliese è stata fondata il 1 luglio 1994, in seguito alla fusione fra la Banca Popolare Sud

Puglia e la Banca Popolare di Lecce. Poi si è sviluppata con una serie di aggregazioni e fusioni. Oggi

Banca Popolare Pugliese

ha 108 filiali che operano in cinque regioni (Campania, Puglia, Molise, Abruzzo e Basilicata)

5Foto: le regioni del Sud dove Bpp è presente

108Foto: sono le filiali della banca nel Meridione

9,35Foto: i milioni di utile di Bpp nel bilancio 2016

7,5Foto: i centesimi di euro del dividendo per azione

29/05/2017Pag. 8 29 maggio 2017 Corriere del Mezzogiorno Economia

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 139

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FOCUS Credit Data Research Italia Da oltre 20 anni consulenza strategica, finanziaria e gestionale per le Pmi Se le Piccole e Medie Imprese hanno bisogno di innovare per andare lontano allora Credit Data Research

Italia (CDR Italia) è un partner di eccellenza che per primo ha innovato e che conosce le difficoltà ed insidie

del percorso molto bene. L'esperienza con il sistema bancario e l'affiancamento costante al mercato

imprenditoriale, posizionano infatti Credit Data Research Italia come un interlocutore reale, in grado di

promuovere e migliorare praticamente il dialogo e la trasparenza nel complesso rapporto banca-impresa.

La società è stata recentemente acquisita da Credit Data Research LTD, azienda inglese, partecipata da

Moody's Analytics. Alessio Balduini Presidente, Carlo Spagliarti Ceo e Stefano Piattelli sono i nuovi membri

del Consiglio di Amministrazione. Obiettivo del CdA appena insediato è quello di raggiungere un fatturato di

oltre 10 min di Euro già nel 2017 con un incremento del 16% rispetto al 2016. Nel 2018 è previsto un trend

di crescita del fatturato pari al +5% su base annua. Nel 2019 un +6%. «Siamo lieti di consolidare la nostra

presenza in Italia, paese chiave per la comprensione della Piccola e Media Impresa e soprattutto per il

contributo unico che la Pmi dà all'economia nazionale, ha dichiarato Alessio Balduini, NeoPresidente CDR

Italia e Ceo CDR Ltd. Abbiamo trovato un altissimo livello di professionalità ed esperienza ventennale che

permetterà di portare innovazione e crescita alle oltre 40mila PMI Italiane già clienti». «Questa operazione

è frutto dell'ottimo lavoro svolto assieme a Credit Data Research in questi ultimi 2 anni, ha spiegato Carlo

Spagliardi, Ceo di CDR Italia. L'unione dei nostri team tramite questa acquisizione è il primo investimento

europeo della partecipata di Moody's Analytics. Grazie agli strumenti di Moody's, uniti alla nostra rete di

consulenti esperti, offriremo un servizio di eccellenza, sempre più innovativo, aiutando le imprese nel loro

percorso di crescita e globalizzazione». Carlo Spagliardi, CEO CDR Italia, ci spie ga i passaggi che hanno

portato a questo importante closing e i vantaggi per le PMI. In cosa consiste il closing con Credit Data

Research Ltd? «Nel 2013 nasce a Londra una nuova società di servizi finanziari per le piccole medie

imprese europee. Si tratta della CDR, Credit Data Research (partecipata da Moody's Analytics) che ha

come obiettivo iniziale i mercati di Inghilterra, Francia, Germania e Italia. Proprio il mercato italiano viene

considerato da CDR quello di maggior interesse». Nel 2015 CDR inizia la partnership commerciale e nel

mese di aprile di quesfanno CDR Italia viene acquisita da CDR Ltd. Chi sono i vostri clienti aziende e dove

siete presenti in Italia? «CDR Italia è presente con un network di uffici territoriali dislocati in otto città:

Milano, Torino, Alessandria, Cuneo, Genova, Bologna, Padova e Firenze. Abbiamo una struttura territoriale

ma anche multisettoriale. I nostri clienti sono circa 40.000 equiripartiti sugli aggregati: industria, servizi,

commercio e artigiani con una presenza, sebbene minore, anche nel settore agricoltura. Questi sono anche

i vantaggi che offriamo ai nostri clienti, una struttura multisettoriale e territoriale. Sul web, ci trovate al link

www.cdr-italia.com». Quali servizi mettete a disposizione delle imprese? «Strategia d'impresa, attraverso la

quale supportiamo i nostri clienti a rendere la propria azienda ancora più redditizia sul mercato. Attraverso

un percorso veloce e pratico sosteniamo la crescita e la corretta gestione delle strategie aziendali, con

focus sulla redditività e continuità imprenditoriale. Ma non solo, supportiamo le aziende che vogliono

migliorare e certificare i sistemi di gestione qualità, ambiente e sicurezza. Finanza agevolata, ordinaria e

straordinaria: affianchiamo le imprese per accedere ai fondi stanziati dagli enti regionali e nazionali,

offriamo consulenza finanziaria su reperimento di capitali di debito, grazie a finanziamenti bancari o

emissioni obbligazionarie. Inoltre seguiamo i nostri clienti anche nelle ristrutturazioni finanziarie, nelle

acquisizioni, fusione o cessione di aziende. Outsourcing: con questo servizio ci occupiamo di seguire e

implementare, presso partners ed istituzioni finanziarie, i servizi funzionali all'analisi del credito e allo

sviluppo del business. Per le banche e gli intermediari finanziari, rappresentiamo infatti un interlocutore

privilegiato per le attività di outsourcing grazie alla capacità di analisi delle imprese e al forte radicamento

27/05/2017Pag. 24 N.5 - maggio 2017

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 140

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sul territorio. Abbiamo inoltre due strumenti innovativi ed unici nella valutazione del rating aziendale e della

capacità d'impresa: il Credit Passport e il Credit Passport Pian. Il Credit Passport è un sistema completo di

valutazione del rischio di credito delle Pmi. Utilizza una tecnologia d'avanguardia e best-practice di Moody's

Analytics e di Credit Data Research. I dati mensili aggiornati della Centrale Rischi di Banca d'Italia nonché i

dati finanziari presenti nell'ultimo bilancio disponibile rendono lo strumento in linea con la normativa

bancaria ed il più aggiornato e predittivo sul mercato. Lo strumento viene rilasciato sia in Italiano che in

Inglese congiuntamente al Credit Passport Badge, che le aziende possono apporre sul sito web per

mostrare in maniera semplice la propria qualità creditizia e aumentare così la propria visibilità a livello

globale. II Credit Passport Pian è uno strumento di analisi e valutazione del merito del credito per le

aziende che unisce alla componente economico-finanziaria una valutazione prospettica e qualitativa delle

performance e dei piani aziendali». Come è strutturato il Credit Passport e perché è così innovativo per il

mercato creditizio? «Perché è generato dalla combinazione di due algoritmi statistici testati a livello

internazionale, introdotti adesso anche sul mercato italiano. Inoltre ha un livello di intellegibilità molto

elevato: presenta una scala di valori a 7 categorie, da A++ a E. Il numero delle categorie e la loro

componente cromatica le rendono di facile lettura identificando chiaramente il rischio di credito associato ad

un'azienda». Uno strumento quindi apprezzato sia dalle aziende sia dalle banche? «Certamente! La

crescita esponenziale di aziende che utilizzano il Credit Passport, il recente accordo tra Credit Data

Research, ABI ed Associazioni di Categoria sulla raccolta ed analisi di Informazioni Qualitative e

l'incremento di Banche che utilizzano gli strumenti di Credit Data Research, hanno favorito il rapido

allargamento delle operazioni. Saremo presenti tra l'altro all'evento Abi del prossimo 14 giugno a Roma

come sponsor e relatori». Tornando a CDR Italia e alle aziende, perché un imprenditore vi sceglie? «Per i

risultati, perché siamo stati capaci di essere partner delle imprese ed ora delle banche. Per la competenza

e per la professionalità dei nostri 100 professionisti, perché siamo capaci di migliorare lo status aziendale e

le performance dell'impresa. Non lo diciamo noi ma i numeri che ci accompagnano: 3.500 aziende hanno

migliorato i propri dati finanziari nell'ultimo triennio. Siamo leader nella consulenza finanziaria e bancaria

con oltre 500 min di programmi di investimento finanziati grazie agli interventi di finanza agevolata seguiti

dalla società nell'ultimo triennio, per un totale di oltre 10.000 clienti. 18 gli Istituti di credito nazionali che

collaborano con noi. Oltre 40.000 i clienti che hanno utilizzato un nostro servizio. Oltre 400 operazioni di

consulenza direzionale gestite negli ultimi tre anni. Più di 500 aziende che hanno utilizzato le nostre

indicazioni in ambito energetico. 3000 imprese si sono certificate e hanno affidato i loro a d e g u a m e n t i

normativi ai tecnici di CDR Italia Siamo inoltre radicati sul territorio italiano da oltre 20 anni». Fidelizzazione

clienti: è importante? «Per un'azienda il cliente è il bene primario, seguirlo, capirne le esigenze, consigliarlo

negli steps aziendali è fondamentale. Ma non solo, oggi non basta più essere competitivi, perché la

concorrenza è sempre più agguerrita. Per questo abbiamo ideato per i nostri clienti il FIRST FRI DAY. Si

tratta di cicli di eventi gratuiti su tematiche business per condividere esperienze ed informazioni pratiche tra

imprenditori e esperti del settore. I prossimi incontri previsti sono calendarizzati per il 9 giugno a Bologna e

il 7 luglio a Roma. Gli argomenti che verranno affrontati sono: l'Industria 4.0, Il Credito di Imposta, la legge

Sabatini e il Credit Passport».

Foto: Alessio Balduini Presidente di CDR Italia e Ceo di CDR Ltd

Foto: tarlo Spagliardi, Ceo di CDR Italia

27/05/2017Pag. 24 N.5 - maggio 2017

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 141

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PROTAGONISTI Col cluster della ceramica alla conquista di Usa e Cina Mandarin Capital Partners e Oaklins Arietti lanciano il nuovo polo di eccellenza che punta a riunire lemigliori imprese italiane, con l'obiettivo di avviare un impianto di produzione 4.0 negli Usa e sfidare ilmercato cinese GIORGIO COURNIER L` accesso a conoscenze specializzate, la condivisione di investimenti per ridurre al minimo i rischi e

valorizzare le sinergie produttive e commerciali: oggi non si tratta più solamente di un'opportunità per le

aziende, ma di una necessità per far fronte alla grande concorrenza di mercato. Dal distretto della liuteria di

Cremona a quello agroalimentare di Parma, dalla seta a Como ai divani di Matera, la soluzione viene dai

cluster, celebre definizione del professore di Harvard Michael Porter per identificare le concentrazioni

geografiche di aziende e istituzioni che operano in certi settori in maniera interdipendente. Un modello di

business vincente che, sebbene in Italia sia conosciuto già da tempo, oggi è sempre più diffuso anche al di

fuori dei confini del nostro Paese, come dimostrato dalla grande influenza dei poli dell'alta tecnologia che

vanno aggregandosi nella Silicon Valley in California, ma anche in Inghilterra intorno al Cambridge

Technology Park o in Francia nell'area delle micro-nanotecnologie di Grenoble. Piccoli eco-sistemi dove

coesistono meccanismi competitivi e (stabilmente o episodicamente) collaborativi e la prossimità gioca un

ruolo fondamentale nell'agevolare la condivisione - di saperi, persone e risorse -, aumentando

sensibilmente la possibilità di far prosperare la propria attività senza limitare la libertà d'impresa. Se

d'oltralpe i poles de competitivite sono diventati in pochi anni uno strumento efficace per l'innovazione

collaborativa e l'aggregazione delle imprese, in Italia nonostante la nostra lunga tradizione storica non

hanno però ancora mostrato di saper sfruttare a pieno le proprie potenzialità. IL FONDO E in questo

scenario che si inserisce la recente acquisizione de La Fabbrica SpA di Castel Bolognese da parte del

fondo di Private Equity Mandarin Capital Partners II che, affiancato da un gruppo di qualificati investitori

privati ha avviato la realizzazione di un «Cluster Ceramico Alto di Gamma» per la valorizzazione dei migliori

prodotti made in Italy nel settore della ceramica italiana, con l'obiettivo di realizzare significative efficienze

nella produzione e sinergie di natura commerciale, mirando a sviluppare i mercati più sensibili allo stile e

alla qualità che hanno reso il nostro Paese celebre in tutto il mondo. A prendere le redini del nuovo gruppo,

che prevede di superare il mezzo miliardo di euro di fatturato entro pochi ne anche il brand Ava,

specializzato nella produzione delle big slabs, le grandi lastre di ceramica che negli Stati Uniti sono sempre

più richieste. Si tratta della prima operazione per riunire sotto il cappello di Italcer i gioielli della ceramica

italiana, dopo che lo scorso dicembre è stata acquisita un'opzione cali esercitabile all'approvazione dei dati

di bilancio 2017 su La Tagina, società di Gualdo Tadino con una lunga tradizione e da sempre leader nelle

produzioni ceramiche di altissimo livello. Al momento, fanno sapere da Mcp, il fondo è in fase di avanzata

negoziazione per l'acquisizione di un'altra società operante nel settore, con anni, sarà il manager Graziano

Verdi, ex l'obiettivo di chiudere il contratto nel giro amministratore delegato di Technogym, di un paio di

mesi, e una serie di trattatidei gruppo Koramic e di Graniti Fiandre, ve sono già in corso per inglobare altre

quotata nel 2001 come prima matricola società del comparto ceramico e in settonel segmento Star della

Borsa Italiana, ri contigui. Il passo successivo sarà quelCon un volume volume d'affari che sfìo- lo di aiutare

il consolidamento al di fuori ra i 45 milioni di euro e un export che si dei confini italiani, non solo oltreoceano

aggira attorno al 70%, La Fabbrica detie- ma anche in Asia, di medie imprese già fortemente votate

all'estero. «La ceramica è uno dei pochi settori in cui il nostro Paese mantiene un'indiscussa leadership a

livello globale. Sarebbe un delitto rinunciare a un grande accesso al mercato dei capitali», spiega Alberto

Forchielli, tra i fondatori di Mandarin. I NUMERI Colonna portante dei materiali dell'Abitare Italiano,

l'industria italiana della ceramica è oggi un settore che conta oltre 230 aziende e 27mila addetti: il giro

d'affari supera 5,5 miliardi di euro, derivanti per il 75% da esportazioni nei cinque continenti. Numeri che

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 142

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valgono al Belpaese una posizione di leadership nel commercio internazionale, grazie all'inconfondibile stile

e qualità che caratterizzano i nostri prodotti. Secondo i dati dell'Osservatorio previsionale per l'Industria

delle piastrelle in ceramica e bussole mercati (dicembre 2015), si tratta di un mercato in costante crescita:

se l'Italia è al quinto posto tra i maggiori produttori con 382 milioni di mq realizzati, a livello di esportazioni è

terza con 314 milioni di mq venduti all'estero, pari al 12,6% del mercato. Dal confronto dei numeri emerge

con chiarezza la differenza con i tre colossi e potenze emergenti - Cina, Brasile e India, la cui stragrande

maggioranza della produzione è destinata a un uso interno. Se si va poi a guardare nello specifico la fascia

Alto di Gamma, l'Italia è pressoché monopolista, in particolare in Usa, Francia, Germania e Regno Unito,

con un costo al mq che supera i 9 euro. La stabilità del settore e i forti margini di crescita hanno convinto

Mcp a scommettere attraverso Italcer sulla costruzione, già in autunno, di un impianto di produzione 4.0 sul

territorio statunitense, dove il mercato cresce a doppia cifra sia per consumo di piastrelle nella fascia

extralusso, sia in conseguenza dello sviluppo immobiliare e per l'effetto sostituzione. Non solo la ceramica

è in assoluto il materiale più igienico se paragonato ad altri materiali di uso comune in casa come moquette

e parquet, ma è anche preferibile per praticità, resistenza ed economicità, senza dimenticare il vantaggio

ecologico derivante dall'assenza di scarti di lavorazione. Per gli americani, da sempre più sensibili al Made

in Usa, il vantaggio è duplice: nuovi posti di lavoro e l'abbattimento della spesa e della programmazione del

trasporto transatlantico derivanti dalla produzione in loco. INVESTIMENTI A tenere le fila del futuro polo

italiano della ceramica extralusso è l'investment bank Oaklins Arietti, con il team di Michele Manetti, che ha

effettuato la ricerca dei target e collaborato all'elaborazione del business pian. «Il manager Graziano Verdi -

spiega Manetti - ci ha incaricato di ricercare in prima battuta un partner finanziario di respiro internazionale

e con una capacità di investimento superiore ai 40-60 milioni di euro, che abbiamo individuato nel fondo di

Private Equity Mcp. Lo screening si è poi concentrato sulle possibili aziende da acquisire: oltre alla qualità

del prodotto, abbiamo valutato anche la dimensione, la capacità produttiva, la solidità economica e la

propensione all'internazionalizzazione. Una volta creata una rosa di imprese d'eccellenza, nella fase

negoziale le abbiamo approcciate cercando di convincerle a sposare il progetto ed eventualmente anche a

investire nella NewCo Italcer». L'appartenenza alla fascia alta di gamma e il posizionamento commerciale

sono due requisiti fondamentali, ma non meno qualificante è lo stato dei siti produttivi e l'eventuale capacità

di adattamento dei macchinari. «L'obiettivo che ci siamo posti è quello di riuscire a specializzare i vari

stabilimenti industriali nella produzione di un unico prodotto, principalmente in termini dimensionali»,

precisa Manetti. Un progetto ambizioso, che porta con sé non pochi ostacoli, «dal convincere i fondi di

Private Equity a investire in un settore che, sebbene con forti prospettive di crescita, non ha alti margini ma

richiede invece grandi investimenti, al persuadere i proprietari delle aziende - spesso a gestione familiare -

a sposare un progetto di aggregazione che li veda si ancora protagonisti nella gestione, ma condividendo le

strategie con un azionariato diffuso». Se il track-record di un manager di comprovata capacità come

Graziano Verdi ha rassicurato gli investitori, di particolare rilievo è stato anche il confronto con l'esperienza

dei distretti, ricorda Lorenzo Stanca, Managing partner di Mandarin Capital Partners: «Si tratta di

un'operazione non replicabile in ogni tipo di filiera, ma nel caso del mercato della ceramica esistono forti

economie di scala: quando un'azienda deve produrre più formati, sarà costretta a interrompere la

produzione più spesso con un conseguente innalzamento dei costi ogni volta che bisogna fermare e

reimpostare macchinari e forni più volte al giorno. L'aggregazione di più aziende del settore ci permetterà,

invece, di specializzare i vari impianti, garantire una produzione continua e abbattere i costi». I »

Il comparto comprende 230 aziende e 27mila addettiFoto: II team di Michele Marietti (nella foto a sinistra) ha effettuato la ricerca dei targete collaborato

all'elaborazione del business pian

Foto: Di fondamentale importanza è l'appartenenza alla fascia alta di gamma

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Foto: La nascita del nuovo «polo della ceramica» rappresenta l'ennesima conferma delle potenzialità del

made in Italy, specie sui mercati mondiali

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 29/05/2017 144