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INDICE

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ANIEM WEB

04/09/2014 www.guidaedilizia.it

Aniem: segnali positivi dal decreto Sblocca Italia per il rilancio del settore edile7

SCENARIO EDILIZIA

05/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale

Uno sconto sulle tasse a chi sistema vie e piazze9

05/09/2014 Corriere della Sera - Brescia

Cemento, terra e resina Pareti che fanno design11

05/09/2014 Il Sole 24 Ore

«Piastra Expo pronta all'80%»12

05/09/2014 La Repubblica - Firenze

LAVORO E SICUREZZA EMERGENZA CONTINUA14

05/09/2014 Il Fatto Quotidiano

L'AQUILA, NELLE CASE DI CARTAPESTA È VIETATO ANDARE SUI BALCONI15

05/09/2014 QN - Il Resto del Carlino - Imola

Ossigeno per le casse della coop: da Milano arrivano due milioni17

05/09/2014 QN - Il Resto del Carlino - Imola

«L'edilizia in regione è come una sola impresa»18

05/09/2014 Il Manifesto - Nazionale

«L'esplosione della zona euro non è ancora esclusa»19

05/09/2014 Il Secolo XIX - Imperia

CRESCENT 2, VERSO LA RESA DEI CONTI: TRA UN MESE LA PRATICA ANDRÀ AIVOTI

21

05/09/2014 Il Secolo XIX - Levante

Operazione De Carlo, «titoli illegittimi»22

05/09/2014 Il Secolo XIX - Savona

Asl, super stipendi nella stanza dei bottoni24

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05/09/2014 Il Secolo XIX - La Spezia

IL CANTIERE FANTASMA DI VIA MUCCINI «SENZA GARANZIE PER ORA NON SIRIPARTE»

26

05/09/2014 ItaliaOggi

Edili, termine agevolato27

05/09/2014 QN - La Nazione - Pisa

Una casa colonica tutta di legno «Economica e pronta in tre mesi»28

05/09/2014 MF - Nazionale

Il tycoon nigeriano sceglie Saipem29

05/09/2014 MF - Nazionale

Oltre 7 mld $ allo shipping30

05/09/2014 L'Espresso

Samia Nkrumah vince il premio per la pace32

05/09/2014 Espansione

Voglia di startup Ma sarà un anno nero33

SCENARIO ECONOMIA

05/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale

ma più di così sarà difficile37

05/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale

Istituti italiani, pronti 75 miliardi38

05/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale

Il rilancio delle imprese e la corsia preferenziale aperta da Francoforte39

05/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale

Relazioni speciali fra India e Giappone con un Occhio allo Strapotere cinese40

05/09/2014 Il Sole 24 Ore

L'ossigeno non basterà senza riforme41

05/09/2014 Il Sole 24 Ore

Per investire serve più della liquidità43

05/09/2014 Il Sole 24 Ore

Se gli Abs diventano «buoni»44

05/09/2014 Il Sole 24 Ore

All'Ilva arriva il prestito-ponte46

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05/09/2014 Il Sole 24 Ore

Una boccata d'ossigeno per evitare il collasso48

05/09/2014 Il Sole 24 Ore

Da Draghi e dal dollaro una spinta in più49

05/09/2014 Il Sole 24 Ore

Un sistema che viene bocciato senza appello50

05/09/2014 La Repubblica - Nazionale

"Draghi coraggioso ma è solo il primo passo restano da abbattere le resistenzetedesche"

51

05/09/2014 La Repubblica - Nazionale

RaiWay già corre verso la Borsa "Ma dovete cedere meno del 40%"53

05/09/2014 La Repubblica - Nazionale

Agosto bagnato ma fortunato per le autostrade e gli scali romani di Atlantia54

05/09/2014 La Repubblica - Nazionale

L'azionista cinese55

05/09/2014 La Stampa - Nazionale

Così il banchiere tesse la tela contro gli ideologi del rigore57

05/09/2014 La Stampa - Nazionale

Recesso sotto i 500 milioni, via libera a Fca58

05/09/2014 La Stampa - Nazionale

Parmalat torna a crescere in Brasile Acquisizione da 610 milioni di euro59

05/09/2014 La Stampa - Nazionale

Il ritorno dei "grandi vecchi" nelle imprese di famiglia60

05/09/2014 MF - Nazionale

Saremo campioni agli stress test61

05/09/2014 MF - Nazionale

È arrivato il momento di fare chiarezza sulla politica economica del governo63

05/09/2014 MF - Nazionale

Jobs Act utile solo se aumenta la produttività65

05/09/2014 L'Espresso

Sex tax falso problema66

05/09/2014 L'Espresso

aspettando la rivoluzione67

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05/09/2014 L'Espresso

Quanto ci costa Putin69

05/09/2014 L'Espresso

un aiuto per la casa72

05/09/2014 L'Espresso

Di chi sarà LUXOTTICA75

SCENARIO PMI

05/09/2014 Corriere della Sera - Brescia

Fiera aeronautica, l'embargo europeo dimezza la presenza delle imprese russe78

05/09/2014 La Repubblica - Roma

Regione, 7,6 milioni per l'export delle imprese80

05/09/2014 Espansione

La svolta hi-tech della manifattura81

05/09/2014 Espansione

Quando l'ottimismo diventa un premio83

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1 articolo

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Aniem: segnali positivi dal decreto Sblocca Italia per il rilancio del settoreedile pagerank: 5 L'associazione apprezza un orientamento che sembra finalmente andare verso una coraggiosa innovazione

nell'approccio al settore e nella semplificazione delle regole

"Le misure varate dal Governo vanno nella direzione giusta: sburocratizzazione, idee innovative, riforme

strutturali, questa è la ricetta per far ripartire il settore". Sostanzialmente positivo il commento del Presidente

di Aniem - l'Associazione delle im prese edili manifatturiere che rappresenta circa 8.000 imprese operanti nel

comparto delle costruzioni - Dino Piacentini sulle misure anticipate dal Governo nel corso dell'ultimo Consiglio

dei Ministri di fine agosto.

"Al di là dell'ammontare degli stanziamenti e dell'incertezza permanente sul testo definitivo del

provvedimento, non possiamo che esprimere apprezzamento per un orientamento che ci sembra finalmente

andare verso una coraggiosa innovazione nell'approccio al settore e nella semplificazione delle regole",

prosegue il Presidente di Aniem.

Che continua: "Anzitutto prendiamo atto con soddisfazione del disegno di legge delega che prevede

l'abrogazione dell'attuale codice dei contratti pubblici per favorire un recepimento delle nuove direttive con

l'obiettivo di ridurre gli oneri documentali in sede di gara, semplificare le procedure di verifica da parte delle

stazioni appaltanti, rivedere il sistema di qualificazione, razionalizzare ed estendere le forme di partenariato

pubblico privato.

Purtroppo in queste ultime ore sembrano essere saltate le disposizioni sull'abrogazione della responsabilità

solidale tra appaltatore e subappaltatore e sullo sblocca cantieri minori che avrebbe consentito un regime

semplificato per gli appalti di importo complessivo compreso tra i 200.000 euro ed 1 milione di euro senza

varianti in corso d'opera. Ci auguriamo che queste misure fortemente richiesta da Aniem possano essere

recuperate dal Governo perché potrebbero dare ossigeno al mercato delle piccole opere".

Il Presidente di Aniem sottolinea che "Anche sull'edilizia privata ci sembra che ci sia la volontà di

sperimentare percorsi nuovi: la possibilità di eseguire lavori in casa con semplice comunicazione (Scia), le

agevolazioni in caso di acquisti immobiliari destinati all'affitto a canone concordato, lo sconto sulle imposte

immobiliari per i privati che rottamano casa a bassa prestazione energetica, sconto esteso anche in caso di

permuta a impresa di costruzione che si impegna riqualificare l'immobile vecchio con miglioramento del

consumo energetico anche in caso di interi edifici. Su quest'ultimo aspetto, assolutamente condiviso,

invitiamo il Governo ad avere ulteriore coraggio stimolando anche progetti di demolizione e ricostruzione".

"Abbattere schemi consolidati, rendite e posizioni di privilegio, guardare agli interessi effettivi delle imprese e

dei lavoratori, è questo - conclude Piacentini - il vero choc per l'edilizia".

04/09/2014 Sito Webwww.guidaedilizia.it

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ANIEM WEB - Rassegna Stampa 05/09/2014 7

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SCENARIO EDILIZIA

18 articoli

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Le misure Per gruppi di cittadini e associazioni Uno sconto sulle tasse a chi sistema vie e piazze LORENZO SALVIA Gruppi di cittadini avranno diritto a un taglio delle tasse comunali se si prenderanno cura del territorio. A

stabilirlo è il decreto sblocca Italia, che lascia ai sindaci la scelta di varare lo sconto. C'è anche un incentivo

per chi compra una casa e la dà in affitto. A PAGINA 6

ROMA - Un gruppo di condomini riesce miracolosamente a trovare un accordo. E decide di risistemare la

strada davanti al palazzo: chiude le buche, cancella le scritte sui muri, magari compra un paio di fioriere. Il

Comune ringrazia e in cambio concede uno sconto sulla Tasi, la nuova tassa sulla casa. I negozianti che

affacciano su una piazza si fanno carico della manutenzione di quel pezzo di città: aggiustano il marciapiede,

sistemano le aiuole, sullo slancio mettono persino un piccolo palco per i concerti. Il Comune ringrazia pure

loro e rinuncia per qualche mese alla «tassa sui tavolini», quella per l'occupazione del suolo pubblico. Se per

un nuovo taglio delle tasse bisogna aspettare ancora, almeno diventa possibile il pagamento in natura. O

meglio, sotto forma di interventi fai da te per la cura del territorio.

La piccola devolution del decoro urbano è contenuta nello «sblocca Italia», il decreto legge approvato dal

Consiglio dei ministri una settimana fa e ormai alla fine di un lungo lavoro di limatura. La norma ballava in

attesa delle osservazioni del ministero dell'Economia. Ma alla fine è passata perché non c'è un impatto

immediato sulle casse dello Stato. Lo sconto sulla Tasi non è automatico, la sospensione della tassa sul

tavolino non scatta dall'oggi al domani. Saranno i Comuni, con apposita delibera, a decidere a chi fare lo

sconto, in cambio di cosa, per quanti mesi e in quale percentuale. Lo «sblocca Italia» si limita a fissare il

principio generale. Dice l'ultima versione dell'articolo 26 che «l'esonero dal pagamento del corrispondente

tributo» può essere concesso a «comunità di cittadini, associazioni non profit, rappresentanze di categorie

economiche che abbiano presentato un progetto di riqualificazione». E che il progetto può prendere diverse

forme, come la «pulizia di una limitata zona del territorio, la manutenzione e l'abbellimento di aree verdi,

piazze o strade anche mediante le collocazione di elementi di arredo urbano o la realizzazione di eventi». Le

buche, le fioriere, i concerti: tutto in cambio di uno sconto che però «deve riferirsi a un periodo limitato di

tempo». Saranno i sindaci, dunque, a capire se il gioco vale la candela: se cioè possono rinunciare ad una

parte dei soldi frutto delle tasse locali in cambio di interventi che loro non riescono a fare, proprio per

mancanza di fondi. C'è il rischio che tutto si trasformi in un cane che si morde la coda: meno soldi, meno

interventi, meno soldi, meno interventi. Ma se il meccanismo funziona potrebbe aiutare quel «rammendo delle

periferie» (copyright Renzo Piano) di cui c'è tanto bisogno.

«L'idea viene dalla Gran Bretagna - racconta il viceministro per le Infrastrutture Riccardo Nencini - faceva

parte delle riforme presentate dal premier David Cameron all'inizio del suo mandato». L'obiettivo è

moltiplicare quegli interventi spontanei dal basso che già oggi si muovono nell'ombra. E che in cambio non

ottengono nulla se non una piccola pubblicità e una strana sensazione di orgoglio civile.

Nell'ultima versione del decreto «sblocca Italia» ha resistito anche un altro sconto sulle tasse, pure questo in

bilico fino all'ultimo. E cioè la possibilità di dedurre dalla dichiarazione dei redditi il 20% del prezzo d'acquisto

di una casa nuova o completamente ristrutturata, fino ad un massimo di 300 mila euro. Un bonus che può

essere incassato se la casa viene data in affitto a canone concordato per otto anni. Nel governo c'era chi

giudicava questa misura un favore ai costruttori, perché alleggerisce il carico degli immobili invenduti che

affossa i loro bilanci. Ma è stato direttamente il premier Matteo Renzi a insistere, convinto che il meccanismo,

già applicato in Francia dove proprio in questi giorni è stato potenziato, serva a far ripartire il settore più

colpito dalla crisi di questi anni. Nell'immediato, tra imposta di registro e Iva aggiuntiva portata dagli acquisti, il

bonus dovrebbe addirittura aumentare il gettito per lo Stato. Tra cinque anni invece, visto che lo sconto è

spalmato su un periodo di otto, lo Stato ci rimetterebbe qualcosa.

05/09/2014 1Pag. Corriere della Sera - Ed. nazionale(diffusione:619980, tiratura:779916)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 9

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Lorenzo Salvia

@lorenzosalvia

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ILLUSTRAZIONI DI ROBERTO PIROLA

I provvedimenti principaliAl premier poteri di azione nelle Regioni inadempienti1

Per lo «sblocca Italia» il premier potrà esercitare «potere sostitutivo» nei confronti delle Regioni inadempienti

nell'avviare e portare a termine opere finanziate, anche in parte, con fondi Ue di loro competenza

Finanziamenti svincolati:sì ai cantieri in 6 aeroporti 2 Si avviano le opere già finanziate in 6 aeroporti,

superando ostacoli e ricorsi: 2,1 miliardi di euro svincolati per Fiumicino, 890 milioni per Malpensa, 360 per

Venezia, 20 per Genova, 280 per Firenze e 40 per Salerno Nuovi immobili in locazioneUn bonus del 20 per

cento 3 Sconto sull'Irpef per chi compra una casa nuova e poi la dà in affitto a canone concordato per otto

anni. Sarà possibile dedurre il 20% del prezzo d'acquisto con un tetto di 300 mila euro Stanziamenti sbloccati

per le scuole innovative 4 Le procedure sull'edilizia scolastica rientrano tra quelle d'urgenza: 300 milioni di

euro Inail potranno essere usati se si progetta almeno una scuola innovativa e didatticamente all'avanguardia

in ogni provincia

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 10

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Imprese Da Gussago i rivestimenti Hd sul mercato globale Cemento, terra e resina Pareti che fanno design Innovazione a 3D Fra i nuovi prodotti formelle capaci di illudere la vista con effetti tridimensionali Marco Taesi Le superfici di un'abitazione ne sono la pelle. Colori, atmosfere, sensazioni visive e tattili sono elementi

cardine che contribuiscono a fare di un immobile un oggetto di design. Meglio ancora se made in Italy. E

allora, perché non fare di una passione un business? È il ragionamento che ha trasformato la bresciana

Chimica Italia in Hd Home Design lungo un percorso dinamico iniziato nei primi anni '80.

Saltando al 2014, oggi Hd è una società con sede a Gussago e showroom in più paesi, che progetta e

produce rivestimenti unici fatti di materiali innovativi per l'edilizia di fascia medio-alta mixando con estro e

ingegno paste di cemento colorate, terre e resine per il mercato internazionale. È nata dall'evoluzione di

Chimica Italia che era specializzata nella produzione di prodotti chimici per l'edilizia. «L'input che ha

innescato il cambiamento - racconta il socio fondatore Ruggero Caratti - ci fu quando ci interfacciammo con

una società che realizzava superfici in battuto di coccio e finitura in grassello di calce rifacendosi alla tecnica

del pastellone veneziano». Per i non addetti ai lavori, superfici caratteristiche degli edifici rinascimentali.

Qualità eccelsa e realizzazione 100% artigianale, ma prodotto decisamente elitario. «Da lì nacque l'idea -

continua - di declinare le nostre conoscenze in fatto di materiali e rivestimenti in un prodotto comunque di

pregio e di alta valenza estetica, cucito sulle esigenze del singolo cliente, ma realizzato su base cementizia

con l'innesto di terre e resine. Ovvero, più semplice da posare e più trasversale».

In effetti, i prodotti di Hd sono rivolti alle pavimentazioni di ogni locale, pareti, soffitti e piscine compresi. E il

mercato ha recepito, tant'è che oggi, dopo il baricentrico showroom di Milano, la società - i cui soci sono

Caratti, Liliana Piozzini e Pierpaolo Smussi - ha punti vendita firmati dall'archistar irachena Zaha Hadid a

Roma, Como, Lugano, Londra e, da questo mese, anche in Polonia grazie alla collaborazione con il gruppo

Kopp, primo distributore locale di superfici pregiate.

Tra i clienti nomi pesanti. Troviamo questi rivestimenti al Palatino, al Lido Palace Hotel di Riva del Garda

(unico pentastellato del trentino), nelle Case Italo (i centri servizi dove fa tappa l'omonimo treno), ai magazzini

Peck di Milano. Senza dimenticare il Medio Oriente dove «stiamo al lavoro in sette megaville», ma dove la

cultura sta cambiando perché «cercano prodotti Made in italy di alta qualità, ma posabili da manodopera

locale meno specializzata».

Da qui la capacità di seguire, se non anticipare, il mercato. Ecco quindi la nascita del prodotto Geotexture per

un'edilizia sostenibile che vuole minimizzare gli scarti di lavorazione, o l'utilizzo di elementi naturali come terre

e quarzi. Ma non basta. Hd è già proiettata al futuro, direzione 3D con formelle che, una volta posate, sono

capaci di illudere l'occhio con ottiche tridimensionali. Anche questo è design.

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Foto: Clienti a 5 stelle L'esterno del Lido Palace Hotel di Riva del Garda

05/09/2014 9Pag. Corriere della Sera - Brescia(diffusione:619980, tiratura:779916)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 11

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Verso il 2015. Alla presentazione del Padiglione cinese, il commissario Sala fa il punto sull'andamento deilavori LOMBARDIA «Piastra Expo pronta all'80%» «Aiutiamo i Paesi ospiti a sveltire le procedure, vogliamo 24 milioni di visitatori» LE GARE MANCANTIGiovedì prossimo incontro con Cantone per decidere sull'affidamento diretto dei servizi bar e ristorazione esull'Albero della Vita Giovanna Mancini MILANO.

Tutta l'attenzione, adesso, è concentrata sulla partecipazione dei Paesi stranieri a Expo 2015. Intesa tanto

come presenza di Paesi partecipanti, sia come arrivi di visitatori all'Esposizione universale. «Per quanto

riguarda la Piastra sono sereno - ha detto ieri il Commissario Unico per Expo Giuseppe Sala durante la

cerimonia per l'avvio dei lavori del padiglione cinese -. L'80% dei lavori è completato. Ora dobbiamo

concentrare tutti gli sforzi per accelerare e agevolare la realizzazione dei padiglioni dei Paesi ospiti». Paesi

che, ha aggiunto il Commissario, «sono preoccupati per alcune procedure farraginose e complesse che

rischiano di rallentare i lavori». Nessuno ha chiesto deroghe al protocollo di legalità, ha precisato Sala: «ci

chiedono però di affiancarli e aiutarli per evitare ritardi di natura amministrativa e burocratica». Proprio per

questo il prossimo 1° ottobre ci sarà un incontro tecnico con i Paesi, in cui discutere anche questi aspetti

organizzativi e procedurali.

Sul fronte visitatori, invece, si procede spediti: «È tutto pronto per far partire la vendita diretta di biglietti - ha

spiegato Sala -. Dal prossimo 20 settembre sarà attiva la piattaforma per la vendita online», che si

aggiungerà a quella avvenuta fino ad ora tramite tour operator. L'obiettivo è vendere 24 milioni di biglietti per

un controvalore di mezzo miliardo di euro. Al momento siamo a quota 5 milioni di biglietti venduti tramite

pacchetti e agenzie, di cui un milione ai cinesi (ma altre trattative sono aperte). Il ruolo della Cina è cruciale

per il successo di expo, per questo l'inaugurazione, ieri mattina, dei cantieri per la realizzazione del padiglione

cinese è stata vissuta come un momento importante anche dal punto di vista simbolico. Si tratta infatti, dopo

quello tedesco, del padiglione estero più grande (quasi 4.600 mq per 60 milioni di investimento), frutto della

collaborazione tra i due Paesi sia per la fase di progettazione, sia per quella di esecuzione. La Cina (che

partecipa con un padiglione istituzionali e due corporate) è il Paese che ha investito di più in Expo 2015. Per

promuovere l'evento, il prossimo 22 ottobre prenderà il via un Road Show nel Paese asiatico: partenza da

Pechino, per poi raggiungere otto città cosiddette di seconda fascia, nella provincia. «L'importanza della Cina

per l'economia del nostro Paese è ben nota - ha detto Sala - ma è un Paese enorme ed è strategico riuscire a

raggiungere e stabilire contatti nelle province».

All'arrivo di visitatori stranieri - in particolare dall'Oriente - guarda anche la partnership con Alitalia ed Etihad,

che dovrebbe essere siglata in ottobre e prevede al momento l'utilizzo del logo di Expo su due aerei, ma

soprattutto, in prospettiva, «stiamo lavorando al tema delle rotte, per far arrivare a Milano il maggior numero

possibile di voli», ha detto Sala.

Al momento sono 34 i padiglioni dei Paesi partecipanti di cui sono iniziate le fondamenta o le costruzioni. Sul

Padiglione Italia, invece, pende ancora la questione dell'Albero della vita, la cui gara non è stata ancora

bandita ed è all'esame del presidente dell'Autorità anticorruzione Raffaele Cantone, che giovedì prossimo

incontrerà il Commissario Sala. Sarà un incontro «decisivo», durante il quale si dovrà dare un parere

definitivo sulla possibilità di un affidamento diretto dei servizi di bar e ristorazione nel sito, dopo che la gara è

andata deserta due volte. In discussione, ha precisato Sala, non ci sarebbe «il principio della trattativa

privata», su cui Cantone sarebbe d'accordo, ma le modalità di questo passaggio, su cui il magistrato è al

lavoro, «per proporre grazie alla sua esperienza suggerimenti sulle modalità con le quali ci siederemo al

tavolo con gli operatori», ha concluso Sala.

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05/09/2014 16Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 12

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I NUMERI500 milioni

I biglietti

Il 20 settembre parte la vendita diretta di biglietti online che, assieme a quella tramite tour operator e

sponsor, punta all'obiettivo di 24 milioni di biglietti e 500 milioni di euro

60 milioni

Dalla Cina

Investimento di Pechino per la costruzione del suo padiglione, il secondo più grande (con quasi 4.600 mq)

tra quelli esteri, dopo la germania

34

Lavori in corso

Numero di padiglioni esteri di cui sono già iniziati i lavori per le fondamenta o la costruzione

Foto: Rendering. Il padiglione cinese

05/09/2014 16Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 13

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LAVORO E SICUREZZA EMERGENZA CONTINUA MARCO BENATI LE ULTIME settimane sono state drammatiche per i lavoratori edili, sette infortuni mortali tra cui quello di

Maurizio Benassi, morto nel cantiere A1, dell'impresa Pavimental. In questi ultimi giorni in Toscana si sono

verificati due infortuni gravi, due lavoratori sono precipitati dal tetto di capannoni sui quali stavano operando,

l'ultimo a Figline.

Le cause sono purtroppo sempre le stesse, folgorazione, cadute dall'alto, esplosioni; rischi tipici del cantiere

che come tali dovrebbero essere adeguatamente gestiti. Altre vite perse da inserire nei freddi numeri delle

statistiche, che ci dicono, ad esempio, che dall'inizio della crisi (2008) la frequenza degli infortuni è aumentata

del'11% per gli edili dipendenti (del 50% per gli artigiani). Da anni denunciamo lo stato di emergenza della

sicurezza e della regolarità del lavoro nei cantieri, senza ottenere politiche adeguate, anzi.

Si è risposto alla crisi abbassamento l'asticella della sicurezza e della regolarità di chi lavora. Così è stato

per tutti i governi che si sono succeduti in questi anni e che si sono ben guardati dal modificare la legge degli

appalti al massimo ribasso, che hanno indebolito la forza del DURC (che è il documento di regolarità

contributiva). Durante gli anni, in sostanza tutti i governi hanno paradossalmente indebolito gli organi di

controllo pubblici piuttosto che rafforzarli, come avrebbero dovuto, con adeguate assunzionie più importanti

risorse. Purtroppo, il governo in carica ci sembra proseguire sulla stessa strada.

E così troppe imprese, grandi e piccole, si sono ampiamente adeguate scegliendo di licenziare, spesso

giustificandosi con la crisi,i propri dipendentie hanno preferito ricorrere ai subappalti, hanno scelto di utilizzare

il lavoro flessibile e spesso irregolare, e di ridurre drasticamente pericolosamente la formazione.

Sta accadendo a Firenze, anche nei grandi cantieri. La situazione è peggiorata, il confronto sindacale per

l'organizzazione del lavoro (sicurezza, orari, regolarità) è difficile se non impossibile, la contrattazione di

anticipo nei cantieri è una chimera (vedi tramvia), pur avendo dato importanti risultati negli anni passati (vedi

Cavet).

Chiediamo al governo, a tutte le istituzioni locali e alle parti sociali impegnate di voltare pagina.

Gridino con noi basta e agiscano di conseguenza. L'uscita dalla crisi non può che partire dalla centralità del

lavoro, abbattere diritti e tutele rende tutti responsabili delle conseguenze sulla vita dei lavoratori e nega una

ripresa qualitativa dell'economia in generale e del settore edile in particolare. L'autoreè il segretario generale

Fillea Cgil Firenze

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L'AQUILA, NELLE CASE DI CARTAPESTA È VIETATO ANDARE SUIBALCONI GLI APPARTAMENTI COSTRUITI DAL GOVERNO BERLUSCONI DOPO IL SISMA NON SONO AFFATTOSICURI. DOPO IL CROLLO DI TRE GIORNI FA, IL SINDACO HA EMANATO UN ' ORDINANZA DI DIVIETOIL RACCONTO Un ' inquilina del palazzo: " Ero appena rientrata, ho sentito un boato che ci ha riportato a 5anni fa. " L' ira dell ' assessore al Bilancio: " Da Renzi niente risorse " Sandra Amurri Inviata a L ' Aquila APreturo, a soli undici chilometri da L ' Aquila, una delle frazioni devastate dal sisma del 2009, di

finanziamenti pubblici ne sono arrivati molti per l ' aeroporto, dove sono sbarcati i Grandi della Terra, ma oggi

di aerei che decollano e atterrano neppure l ' ombra. Mentre, anche per mancanza di manutenzione, crollano,

come fossero di carta pesta, i balconi delle C.a.s.e. costruite per dare un tetto agli sfollati. " Abbiamo sentito

un boato e la prima cosa a cui abbiamo pensato è stato il terremoto e siamo usciti in strada " raccontano i

condomini di via Volonté, una delle 19 new town volute dall ' allora premier Silvio Berlusconi, che ospitano

oltre 16 mila famiglie. MOLTE DI LORO, da ieri, come recita l ' ordinanza emessa dal sindaco, non potranno

più affacciarsi sui balconi finché non terminerà il sopralluogo che ne dovrà constatare la non pericolosità. La

causa? " Tut ta da accertare " ci spiega il Procuratore capo Fausto Cardella che ha assegnato il fascicolo dell

' inda gine appena aperta alla dottoressa Roberta D ' Avolio. Reato ipotizzato: crollo colposo di costruzioni.

Nel frattempo che vengano accertate le responsabilità penali, il sindaco Massimo Cialente punta il dito sulla

mancanza di risorse per la manutenzione delle C.a.s.e. realizzate con 500 milioni di finanziamento dell '

Unione europea che dallo Stato sono passate di proprietà del Comune. A realizzare i 23 palazzi dislocati tra

Preturo, Collebrincioni, Sassa e Arischia era stato un raggruppamento di imprese su bando indetto dalla

Protezione civile allora capeggiata da Bertolaso. Ma " la ditta che ha realizzato la palazzina dove è avvenuto

il crollo del balcone è fallita " come fa notare il sindaco. Tra i condomini c ' è chi ancora ricorda quel 19 agosto

2009 quando Silvio Berlusconi con le braccia aperte rivolte alla folla al di là delle transenne " benedì " il

cantiere incassando un fiume di applausi. " Eravamo disperati e lui ci restituiva una casa, dovevamo

fischiarlo? Ma se tornasse oggi la musica sarebbe diversa " . Erano quelli i tempi della distribuzione delle

dentiere e dello spumante sul tavolo della cucina da stappare appena varcata la soglia della nuova vita

offerta dal governo Berlusconi. L ' importante è fare e il " come " lo vede chi si trova di nuovo senza una casa.

Monica spinge il passeggino della sua piccola Cristina, nata tre anni dopo il terremoto. È giovane ma i suoi

occhi sono tristi nel guardare il palazzo dove è venuto giù il balcone a pochi metri da quello dove abita lei.

Occhi che la morte l ' han no vista troppo da vicino, sotto le macerie ha perduto la sua più cara amica, per

poterla dimenticare: " Sono indignata e allo stesso tempo stanca di indignarmi " . Rabbia e rassegnazione

due sentimenti che si respingono e si mescolano fino a togliere la forza per sperare ancora in una vita

dignitosa e soprattutto sicura. Ne sa qualcosa il signor Leonardis, 88 anni, che dorme nella camera che dà

sul balcone su cui si è schiantato quello del piano di sopra. " Era appena mezzogiorno quando sono rientrata

in casa e poco dopo un boato ci ha riportato indietro di cinque anni " racconta la figlia Luciana Leonardis

proprietaria di un noto ristorante. " MIO PADRE È VIVO per miracolo, era stato sul balcone fino a qualche

minuto prima come fa ogni giorno per annaffiare le piante. Questo è quello che dobbiamo continuare a

sopportare, un ' angoscia senza fine " . Due famiglie di nuovo sfollate e molte altre costrette a vivere con la

paura finchè tutti i sopralluoghi disposti non accerteranno che non vi è pericolo di altri crolli. E dire che sono

state realizzate senza guardare a spese visto che le C.a.s.e., acronimo di antisismiche, sostenibili,

ecocompatibili, sono costate 2.800 euro al metro quadrato. Case dove vengono giù i balconi, dove anche le

caldaie non sono a norma, dove volano via pezzi di tetto, dove gli isolatori antisismici (cilindri posti alla base

delle case per rafforzare l ' effetto antisismico) sono difettosi come ha dimostrato l ' inchiesta sui Grandi

Rischi. A Sassa, altra frazione terremotata, ne sono state evacuate 30 perché ritenute inagibili. Un dono della

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Protezione civile di Guido Bertolaso, costruite attraverso un bando di 500 milioni di euro finanziato dall '

Unione europea. È una furia l ' assessore al bilancio Lelio De Santis: " Il crollo conferma quello che in tanti

avevano detto sul progetto C.a.s.e.: costi pesanti, realizzazioni superficiali e fatte con i piedi, sicurezza poco

e nulla e affari per le imprese " che pensa a come mettere in sicurezza le persone prima che vengano giù altri

balconi visto che la pioggia continua a cadere e le previsioni non sono benevoli. E infine si rivolge al governo,

reo di non aver stanziato risorse per la manutenzione: " Noi abbiamo messo in bilancio un milione di euro, ma

c ' è bisogno di fondi straordinari. Poi dobbiamo accelerare le procedure per il soggetto che deve gestire per

una manutenzione seria altrimenti il patrimonio cadrà a pezzi " . Manutenzione ordinaria che il Comune aveva

affidato alla società Manutencoop e che richiede almeno nove milioni. Mentre il tempo continua a dimostrare

che il terremoto non è stata la sola disgrazia che si è abbattuta su L ' Aquila.

Foto: Il crollo del balcone a Preturo (L ' Aquila) Ansa

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Ossigeno per le casse della coop: da Milano arrivano due milioni Altre risorse dalla vendita di alloggi in costruzione nel Bolognese CRISTINA DEGLIESPOSTI di CRISTINA DEGLIESPOSTI QUASI due milioni di euro. Sono quelli che entro il mese Cesi potrebbe

incassare nella partita Euromilano, partner della coop edile imolese in Abi Merlata. Il nodo è quello del maxi

intervento milanese ribattezzato Cascina Merlata, in cui troveranno posto quasi 4mila alloggi, un maxi centro

commerciale (Merlata Mall), aree verdi e servizi, il tutto a ridosso dell'area dell'Expo. In Abi Merlata,

proprietaria del futuro centro commerciale Merlata Mall, Cesi è socia con il 34,5 per cento, pari a 1.794.000

euro di quote nominali. Però le difficoltà finanziarie in cui versa Euromilano nell'ultimo periodo hanno convinto

i meneghini a iniziare a cedere assets. Tra questi proprio il centro commerciale (un gruppo francese sarebbe

interessato) ma ma la liquidazione coatta di Cesi sarebbe un impedimento non da poco. Così il liquidatore di

Cesi, Antonio Gaiani, ha ricevuto nei giorni scorsi un'offerta da Euromilano, ora la vaglio dei periti, che

vorrebbe chiudere la partita con Cesi pagandole le quote: circa 1,8 milioni di euro. LA PARTITA Merlata

dovrebbe chiudersi entro fine mese, incassando così i primi due milioni di euro. Ooggi si terrà ai cancelli della

coop edile un'assemblea sindacale per indicare ai lavoratori le linee d'azione dei prossimi mesi, intanto ieri

altre importanti novità sono arrivate anche da altri cantieri in corso nel Bolognese. Nell'incontro con la Galotti

spa, Gaiani ha affrontato il nodo delle tre società compartecipate al 50 per cento da Cesi e corrispondenti ad

altrettanti interventi residenziali: Meridiana a Casalecchio, Unicum a Bologna e Lexus a Castel Maggiore.

Come già annunciato dal gruppo Galotti, che si era detto intenzionato a proseguire gli interventi (la vendita

degli appartamenti continua con la Galotti Agency), Cesi beneficerà della vendita degli immobili in quota

parte. A Casalecchio di Reno verrano consegnati e stipulati i definitivi di vendita di tutti gli alloggi per i quali

erano già stati firmati dei preliminari. A Castel Maggiore, verranno completati i lavori del Lotto 13 per le unità

residenziali in costruzione (sono 20), ma saranno anche consegnati e stipulati i definitivi di vendita delle 10

unità con già i preliminari in essere. In più verranno consegnati e rogitati gli alloggi con i preliminari sottoscritti

negli altri lotti già realizzati. Discorso diverso, invece, per Unicum, al Navile. A tutti gli acquirenti sono state

già rimborsate le caparre versate a causa del temporaneo fermo del cantiere. Secondo la società, i lavori

riprenderanno una volta conseguite e realizzate, da parte del consorzio per le opere di urbanizzazione,

alcune opere sostanziali nell'area in grado di riqualificare e rigenerare la zona, come chiesto dal Comune di

Bologna.

05/09/2014 3Pag. QN - Il Resto del Carlino - Imola(diffusione:165207, tiratura:206221)

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L'APPELLO I SINDACATI PROPONGONO PROCESSI DI FUSIONE PER 'STRAPPARE'AMMORTIZZATORI PIÙ LUNGHI «L'edilizia in regione è come una sola impresa» ACCORPARE più realtà produttive possibile. Questo l'appello lanciato dai segretari di Feneal-Uil Riccardo

Galasso, Filca-Cisl Cristina Raghitta e Fillea-Cgil Maurizio Maurizzi intervenendo sul comparto dell'edilizia

regionale. «La crisi della cooperazione edile in Emilia-Romagna ha assunto dimensioni ed effetti che non

possono più essere gestiti affrontando le singole vertenze aziendali senza una visione strategica di insieme»,

dicono i sindacalisti ricordano che a rischio ci sono 6.500 posti di lavoro più l'indotto. «La riorganizzazione

della cooperazione edile emiliano-romagnola deve intendersi come un unico processo che coinvolga l'insieme

delle cooperative del settore della regione - continuano -. E' necessario pertanto un progetto industriale

organico che preveda la concentrazione nel numero dei soggetti economici, producendo percorsi di

accorpamento e nel contempo di specializzazione: tra le specializzazioni di filiera e di settore è prioritario

partire da quelle già presenti in regione (ad esempio le produttrici di infissi)». COME? «Il piano industriale

dovrebbe essere supportato da un accordo quadro sottoscritto tra sindacati, associazioni della cooperazione,

Regione, Ministeri - spiegano i segretari -. L'accorpamento può avvenire per fusioni o attraverso la

costituzione di nuovo soggetto che, attraverso le norme che regolano le procedure concorsuali e le cessioni

(che non possono essere derogate), funge da "coordinatore" del sistema cooperativo edile». Ma perché il

tutto sia sostenibile «questo progetto ha bisogno di essere accompagnato da un sistema di tutele sociali per

gestire gli esuberi, la ricollocazione e la riqualificazione delle lavoratrici e dei lavoratori interessati. Riteniamo

che sia indispensabile trattare la crisi della cooperazione edile dell'Emilia-Romagna come un'unica grande

riorganizzazione d'impresa, riteniamo che possano essere utilizzati gli strumenti applicabili a questa

fa t t i spec ie». C ioè la poss ib i l i tà d i accedere a cassa in tegraz ione s t raord inar ia per

ristrutturazione/riorganizzazione "complessa" che prevede un periodo iniziale di 24 mesi, prorogabili di 12

mesi in 12 mesi per altri 24 mesi; inoltre «anche attraverso la fusione in una newco che rileva le attività

nell'ambito delle procedure concorsuali eventualmente attive».

05/09/2014 3Pag. QN - Il Resto del Carlino - Imola(diffusione:165207, tiratura:206221)

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«L'esplosione della zona euro non è ancora esclusa» Intervista a Dominique Plihon, professore di economia finanziaria e portavoce di Attac France. Il suo è unosguardo molto pessimista sulla situazione in Francia e in Europa. «I MOVIMENTI SOCIALI, I SINDACATI, LEONG CHE SI BATTONO PER I DIRITTI HANNO UN RUOLO IMPORTANTE DA SVOLGERE, PERSVEGLIARE LA POLITICA. IN FRANCIA, LA CRISI POLITICA STA DIVENTANDO UNA CRISIDEMOCRATICA» Anna Maria Merlo Manuel Valls applaudito con una standing ovation all'Università d'estate del Medef (la Confindustria francese)

per aver proclamato «Io amo l'impresa», il ministro del lavoro che annuncia controlli più severi sui disoccupati

che prendono il sussidio, la conferma del Patto di responsabilità, che prevede 50 miliardi di tagli alla spesa

dello stato e 40 miliardi di sgravi per le imprese. E la nomina di un ex banchiere, Emmanuel Macron, a

ministro dell'Economia. La relativa resistenza francese di fronte al diktat del rigore è ormai sconfitta, ad opera

di un governo socialista? Siamo alla rinuncia dichiarata di ogni speranza di miglioramento delle condizioni

sociali? L'economista sgomento Dominique Plihon, professore di economia finanziaria e portavoce di Attac

France, ha uno sguardo molto pessimista sulla situazione, in Francia e in Europa. Il governo Valls II

rappresenta la svolta dell'austerità? Finora la Francia aveva già applicato il rigore, ma è vero in modo meno

violento di Spagna, Portogallo, Grecia, anche Italia. I salari dei funzionari, per esempio, non sono stati

diminuiti. Ma adesso, il governo Valls II rappresenta una nuova tappa in questa deriva di austerità: se il piano

economico di 50 miliardi di tagli verrà applicato, ci sarà un impatto considerevole su molte persone, sul livello

del reddito, aumenterà il precariato, avremo una diminuzione del numero degli occupati, con effetti diretti sulla

funzione pubblica e indiretti sul settore privato, a causa di un calo nelle ordinazioni pubbliche. Ma io non

credo che questo piano potrà essere applicato, perché scatenerà un circolo vizioso con il rigore, freno

all'economia che rallenta, maggiore disoccupazione, rischi di deflazione. In Francia, più che altrove, sono

possibili reazioni forti. Il governo ha paura. La domanda è: chi paga il fardello dell'aggiustamento? Come

viene ripartito tra i diversi settori economici, le classi sociali ecc.? Hollande, con il Patto di Responsabilità,

accentuato con Valls II, propone un trasferimento di risorse verso le imprese. Il ragionamento è che le

imprese hanno perso competitività, perché non investono abbastanza, e non lo fanno perché i margini di

profitto sono insufficienti. Bisogna quindi ricostituire i margini per avere investimenti, competitività e poi

occupazione. Lo diceva già il tedesco Helmut Schmidt ai suoi tempi: i profitti di oggi sono gli investimenti di

domani e l'occupazione di dopodomani. Ma trasferimenti massicci verso l'impresa sono illusori in un contesto

di crescita debole se non eguale a zero. Gli acceleratori per gli investimenti sono la domanda e i profitti, m a

tutti gli studi lo dicono, in Europa e negli Usa: il principale è la domanda. In Francia ci sono due tipi di

imprese, quelle lavorano a livello internazionale, che vanno bene e difatti hanno aumentato del 30% i

dividendi distribuiti, sono i campioni del mondo. Poi c'è una parte della piccola e media impresa che non va

bene. Ma il Patto di responsabilità non fa distinzione, non si concentra sulle imprese in difficoltà. Gli aiuti alle

imprese avrebbero dovuto essere condizionati, in settori strategici e con obiettivi di occupazione. Anche la

Bce dovrebbe porre condizioni alle banche che finanzia. Macron afferma che si po' essere di sinistra e avere

buon senso. C'è uno slittamento del linguaggio per imporre Tina, There is no Alternative? Al di là dell'idea di

competitività c'è un'alleanza di classe tra un governo che si dice socialista e non lo è, con il padronato e le

banche. E molti ci cascheranno, crederanno che non ci s i a - no altre alternative per risanare i conti. Ma è

una cattiva psicologia. Oggi c'è un rischio di deflazione, la gente non spende. Ma il governo non ha fatto

nessuna dichiarazione, neppure simbolica, per ridare fiducia a lavoratori e imprenditori. Bisognerebbe, per

esempio, aumentare i salari, almeno al ritmo dell'aumento della produttività, che è intorno allo 0,7-1% l'anno.

Rilanciare gli investimenti privati anche attraverso gli investimenti pubblici. Varare programmi per le energie

alternative, per trasporti ecologici ecc. In Francia si dovrebbe incidere sui settori costosi, come i prezzi dei

medicinali o l'edilizia - in Francia la casa pesa al 40% sul bilancio delle famiglie. Ma si tratta di lobbies, che

05/09/2014 10Pag. Il Manifesto - Ed. nazionale(diffusione:24728, tiratura:83923)

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hanno grandi poteri. L'edilizia in Francia è dominata da 4 o 5 società, e nessun governo osa affrontarle,

hanno fatto anche saltare il blocco degli affitti. Per quanto riguarda la casa, Tina è un falso. L'idea di Hollande

non era di rimettere i conti a posto a casa, ma avere il rilancio attraverso l'Europa? La proposta di 300 miliardi

del nuovo presidente della Commissione Juncker è un segnale positivo? 300 miliardi sono pochi, più o meno

l'1% del pil europeo. Ce ne vorrebbe dieci volte tanto, per p r o g e t t i di transiz i o n e energetica, trasporti,

investimenti p u b b l i c i . Ma in Europa ognuno fa da sé. La crisi ucraina, per esempio, potrebbe essere

l'occasione per reagire: sappiamo che Putin userà anche l'arma del gas. Invece di nuove sanzioni contro la

Russia, perché non rispondiamo con un programma di investimento sulle nuove energie? Ma Merkel ha una

visione mercantilistica, l'unica cosa che conta è l'export tedesco. L'Europa è in una situazione eterogenea. Ci

sono paesi in grave recessione, come Spagna, Portogallo, Italia, senza margini di manovra e paesi che

possono agire, come gli Scandinavi, l'Olanda, l'Austria, la Germania, anche se ha ormai un tasso di crescita

negativo. Francia, Italia, Spagna dovrebbero aumentare la pressione su Merkel, arrivare a uno scontro

deciso, denunciare con decisione questa politica che sta soffocando l'uscita dalla crisi. Arrivare anche a

boicottare i vertici. La Francia è la seconda economia della zona euro, l'Italia la terza. La Germania da sola

non ce la farà a rilanciare l'Europa e anche se Berlino esporta nel mondo, restiamo i suoi principali partner.

Tutti sono paralizzati dalla paura dello spread sui tassi di interesse. Intanto i mercati sono più intelligenti di

quello che si crede e se vedessero tre grandi paesi che cambiano rotta e che a termine puo' rilanciare

l'economia possono capire. Poi c'è l'interessante progetto degli Eurobonds, rifiutato dalla Germania.

Attenzione, lo scenario di un'esplosione della zona euro non è ancora escluso del tutto: tensioni interne,

eterogeneità tra paesi, disoccupazione in crescita, rischio di deflazione, possono portare a una crisi sociale

grave. Siamo sicuri di poter sopportare altri cinque anni di recessione? Non ci scommetterei. Come uscire

dalla paralisi, in un momento in cui il Fronte nazionale si presenta come il "socialismo" dei petits blancs e

seduce le classi popolari impaurite? Credo che i movimenti sociali, i sindacati, le ong che si battono per i diritti

abbiano un ruolo importante da svolgere, per svegliare la politica. La crisi politica sta diventando una crisi

democratica, in Francia Hollande sta facendo una politica opposta a quella per cui è stato eletto.

05/09/2014 10Pag. Il Manifesto - Ed. nazionale(diffusione:24728, tiratura:83923)

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I VOLUMI RESIDENZIALI IN DARSENA SONO ALL'ORDINE DEL GIORNO DEL PROSSIMO CONSIGLIO CRESCENT 2, VERSO LA RESA DEI CONTI: TRA UN MESE LA PRATICAANDRÀ AI VOTI S. SCH. SAVONA. La resa dei conti, per la pratica edilizia di cui si è più parlato negli ultimi anni, è il 25 settembre. Ma

potrebbe anche slittare al consiglio comunale successivo, a ottobre. Dipenderà da come andranno gli incontri

di maggioranza che in queste settimane si svolgono sull'argomento. Parliamo del Crescent 2, il volume

residenziale previsto in darsena, davanti al Crescent. L'edificio, già autorizzato dal Puc vigente, doveva

essere una Rta, Residenza turistico alberghiera, ma il privato ha chiesto di fare alloggi. Inizialmente il

Comune sembrava dell'idea di concedere questo uso diverso, a patto di una riduzione del 20 per cento dei

volumi. E invece, in giunta, il progetto è passato svincolato dall'uso Rta e al 100 per cento dei volumi. Già in

giunta, quel giorno, ci sono stati seri mal di pancia: gli assessori Sergio Lugaro (Sel) e Jorg Costantino (Rc)

avevano votato contro la pratica. E l'esecutivo cittadino è stato ad un passo dalla crisi. Ora la battaglia sarà ai

voti del parlamentino savonese. Dove molti consiglieri, non solo dall'opposizione, si sono da anni professati

contrari ad un simile intervento edilizio accanto al Priamar. I consensi necessari, insomma, sono contati; e un

singolo cambiamento di orientamento potrà far approvare, o bocciare, il discusso palazzo sul mare. Va detto

che, per scampare alla riduzione del 20 per cento dei volumi (e ottenere comunque lo svincolo della struttura

a residenziale puro, più appetibile per il mercato del mattone) il privato costruttore, Dellepiane, ha messo sul

piatto una consistente offerta di oneri di urbanizzazione: 3,5 milioni di euro. Nel dettaglio, a questa cifra si

arriva così: 2,3 milioni di euro per il recupero dell'antico fossato, per la sistemazione dell'area tra Priamar e

Crescent 2, con la realizzazione di verde, alberature, ed eliminazione del park Ata sotto alla fortezza, e lavori

di riqualificazione dell'ostello. Per completare quest'ultimo intervento, l'ostello, l'accordo iniziale era che il

Comune dovesse mettere una sua parte, circa 400 mila euro: la controproposta di palazzo Sisto è stata

quella di chiedere a Orsa 2000 di coprire interamente i costi dell'opera, quindi di sborsare altri 400 mila euro.

Si arriverebbe così a 2,7 milioni di euro: i restanti ottocentomila per arrivare a 3,5 milioni sono rappresentati

dal valore di mercato della quota di edilizia sociale a cui l'imprenditore è tenuto a concorrere per legge in virtù

di cosa sta costruendo: nel caso del Crescent 2 il valore percentuale equivale a 6-8 alloggi (a seconda della

metratura) che Orsa 2000 acquisterà in città e cederà gratuitamente a palazzo Sisto - o direttamente a Arte -

perché siano utilizzati con i criteri dell'edilizia residenziale popolare.

Foto: Una rappresentazione del Crescent 2

05/09/2014 23Pag. Il Secolo XIX - Imperia(diffusione:103223, tiratura:127026)

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L'ARCHITETTO: L'INTERVENTO METTERÀ IN SICUREZZA L'AREA E DARÀ LAVORO A 10 PERSONEORA IN CASSA INTEGRAZIONE Operazione De Carlo, «titoli illegittimi» La Provincia "congela" il piano per il nuovo stabile e verifica l'iter e le richieste di varianti dal 2004 DEBORA BADINELLI CHIAVARI. Nuovo stop all'operazione De Carlo di Chiavari. Per la Provincia sono illeggittimi molti titoli edilizi

per le varianti al progetto di costruzione di un'autorimessa interrata pertinenziale all'ex convento delle clarisse

di via Entella. Palazzo Spinola analizza tutte le tappe della vicenda e verifica progetti e varianti dalla

costruzione, nel 2004, di circa novanta box sui quali l'impresa De Carlo vorrebbe realizzare venti

appartamenti. Garage sotterranei (venduti) per i quali il via libera è stato rilasciato poco prima che entrasse in

vigore il piano di bacino e gran parte della città venisse classificata a rischio esondazione. L'esame della

Provincia, sottoscritto dal geologo Agostino Ramella e dal dirigente Maria Traverso della "Direzione

pianificazione generale e di bacino, servizio controllo e gestione del territorio", chiama in causa i proprietari

dell'immobile, i proprietari dei posti auto, l'impresa De Carlo, il responsabile dell'ufficio tecnico edilizia privata

del Comune di Chiavari e sfocia in un procedimento del Comitato tecnico urbanistico provinciale. Il fascicolo è

stato aperto d'ufficio a seguito dell'istruttoria dell'ufficio opere idrauliche relativa alla costruzione di un edificio

residenziale e dei relativi posti auto pertinenziali al civico 109 di via Entella, intervento previsto in variante al

piano regolatore, discusso vivacemente dal consiglio comunale di Chiavari del 16 dicembre 2013, approvato

dalla sola maggioranza, e al centro della conferenza dei servizi referente dello scorso 8 gennaio. L'istruttoria

aveva evidenziato criticità sotto il profilo idraulico e da un esame approfondito sono emersi dubbi dei tecnici

sulla capacità della soletta di copertura dell'autorimessa di reggere il peso del terrapieno, sopraelevazione

prevista per la costruzione del nuovo stabile. La Provincia giudica illegittimi i titoli edilizi del 2005, 2006, 2007,

2009, 2011. Titoli rilasciati durante la permanenza a Palazzo Bianco di amministrazioni comunali di diverso

colore: fino al 2006 la giunta del sindaco Sergio Poggi e dal 2007 al 2011 l'ultima amministrazione di Vittorio

Agostino. Tuttavia, non chiede la demolizione del costruito, ma opere che mettano in sicurezza l'area da

eventuali pericoli per la pubblica incolumità. «Il danno urbanistico alla zona in cui ricade l'autorimessa - si

legge nel documento della Provincia - è individuabile nella compromissione, in termini di sicurezza, della

fruibilità della stessa, in quando detto pregiudizio è strettamente connesso all'incremento di vulnerabilità

dell'area sotto il profilo idraulico, dovuta principalmente alla demolizione del terrapieno, non prevista a

progetto, che ha comportato l'estensione verso monte delle aree inondabili previste dal piano di bacino». La

Provincia rileva che «con la sequenza dei titoli abilitativi in variante si è pervenuti a un risultato finale

peggiorativo rispetto all'originaria progettazione, peraltro, già caratterizzata dalla mancanza di condizioni di

sicurezza idraulica». Da qui la richiesta di mitigare il rischio. «L'autorimessa è legittima - assicura l'architetto

Enrico De Carlo - Sono interessati titoli edilizi marginali, approvati in corso d'opera. Risponderemo alla

Provincia, con i cui tecnici confidiamo di avere a breve un incontro. Il nostro progetto mette in sicurezza

anche l'autorimessa: la speranza è che venga approvato velocemente anche perché ci sono 10 persone in

cassa integrazione che hanno bisogno di lavorare». Il sindaco, Roberto Levaggi, precisa che i ritardi nella

pratica De Carlo non ricadranno sulla costruzione della nuova scuola (contropartita richiesta dal Comune per

il via libera alla variante) giacché la vendita della Colonia Fara consente a Palazzo Bianco di investire 1,3

milioni nel nuovo plesso. «Se l'operazione De Carlo si sbloccherà destineremo gli oneri d'urbanizzazione ad

altre opere da realizzare nella zona», dichiara . [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA

Il progetto

20160 mq

550.000 euro alloggi in un nuovo edificio su tre livelli (alle spalle dell'ex convento delle clarisse), parcheggi

pertinenziali in parte sotterranei e aree scoperte sistemate a giardino con piante d'alto fusto la superficie per

05/09/2014 21Pag. Il Secolo XIX - Levante(diffusione:103223, tiratura:127026)

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alloggi destinati ad edilizia sociale ceduti dal privato all'amministrazione comunale la somma a carico

dell'impresa, oltre agli oneri di urbanizzazione, per l'ampliamento della scuola Mazzini in via Mafalda di

Savoia

Foto: Qui sopra, un'immagine virtuale del nuovo edificio. Sotto, l'area dell'intervento e l'ingresso dei box

interrati

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 23

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IL CASO DOPO I CAMICI BIANCHI, ECCO QUANTO GUADAGNANO I DIRIGENTI DELL'AZIENDASANITARIA Asl, super stipendi nella stanza dei bottoni Alle donne le buste paga più alte, Neirotti a parte MARIO DE FAZIO SAVONA. Il potere è donna. Almeno a giudicare dal peso delle buste paga dei dirigenti dell'Asl 2 savonese.

Fatta eccezione per il direttore generale Flavio Neirotti, primo in classifica in virtù del ruolo apicale che svolge

sulla poltrona più importante di via Manzoni, nella top ten degli stipendi dei piani alti dell'Azienda sanitaria ci

sono solo altri due uomini e ben sette donne. I compensi lordi annui dei medici e amministrativi che ricoprono

incarichi diregenziali nell'Asl 2 savonese sono stati pubblicati - così come per primari, "mini-primari" e medici -

nella sezione trasparenza del sito dell'Azienda. Le variazioni rispetto all'anno precedente non sono

particolarmente significative. Ma, anche nel caso dei dirigenti, nel passaggio da un anno all'altro si è

risparmiato qualche decina di migliaia di euro. È l'equivalente di tre stipendi che, al momento, non sono

erogati perché quanti ricoprivano quel ruolo sono andati in pensione e non sono stati sostituiti. Si tratta di

Angelo Canepa, ex responsabile dell'Ufficio relazione esterne e di Marco Molinari, fino a poco tempo fa

direttore alla guida del Bilancio e contabilità. Due incarichi che sono stati accorpati, mentre quello di Giacomo

Marenco, ex direttore del presidio ospedaliero di Pietra-Albenga è andato, in attesa del concorso che si è

concluso da poco e per il quale si attende solo la nomina di uno dei candidati, verrà rimpiazzato a breve. La

classifica, come detto, è guidata da Neirotti con i suoi 134.801 euro. A seguire, al secondo posto, si piazza la

prima donna tra i dirigenti che guadagnano di più. Si tratta di Marinella Bedo, direttrice del dipartimento

Farmacia per il presidio ospedaliero di Levante e Ponente, che lo scorso anno ha percepito un compenso di

111.568 euro. Terza un'altra appartente al gentil sesso: è la direttrice del presidio ospedaliero Savona-Cairo,

Antonella Piazza, con i suoi 110.709 euro. Quarto è il responsabile dei servizi tecnici, edili e impiantistici,

Cesare Branchetti, a quota 108.153 euro. La quinta postazione è condivisa, ex aequo, dalla direttrice

sanitaria Claudia Agosti e dalla direttrice amministrativa Graziella Baldinotti: entrambe percepiscono 107.838

euro lordi. Settimo Antonello Mazzone, direttore dell'Area approviggionamenti-logistica e Provveditorato, con

105.565 euro. Si scala di una posizione e la classifica torna "rosa": ottava per compensi lordi annui tra le

posizioni apicali dell'Asl 2 savonese è Maria Beatrice Boccia, responsabile dell'organizzazione, gestione e

formazione del personale, con 105.482 euro. al nono posto ancora una donna. È Maria Enrica Auteri, che in

virtù della sua esperienza come infemeria professionale, guida il settore della pianificazione e coordinamento

professioni sanitarie, che nello scorso anno ha incamerato la somma annua lorda di 97.945. Ultimo nella top

ten Luca Garra, Luca Garra, responsabile del Centro controllo direzionale, con 95.116 euro.

I REDDITI DIVISI PER DIPARTIMENTI DIRETTORE GENERALE Flavio Neirotti 134.801 DIRETTORE

AMMINISTRATIVO Graziella Baldinotti 107.838 DIRETTORE SANITARIO Claudia Agosti 107.838

DIREZIONE SANITARIA Antonella Piazza (direttore del presidio ospedaliero Savona-Cairo) 110.709 Maria

Enrica Auteri (direttore pianificazione e coordinamento professioni sanitarie) 97.945 Marinella Bedo (Direttore

Farmacia presidio ospedaliero di Levante e Ponente) 111.568 Marco Bessero (Farmacia territoriale) 80.149

DIPARTIMENTO DI STAFF Luca Garra (Centro controllo direzionale) 95.116 Paolo Pavan (Controllo di

gestione) 69.283 Paolo Patetta (Bilancio e contabilità) 86.509 Anna Maria Barbiso (Prestazioni sanitarie)

69.795 Angelo Interguglielmi (Sistemi informativi aziendali) 83.015 DIPARTIMENTO GIURIDICO E RISORSE

UMANE Fulvio Damonte (Affari generali) 92.297 Stefania Romano (Contratti e patrimonio) 68.954 Antonio

Pipicelli (Affari legali) 89.544 Antonella Calò (Gestione privacy) 69.055 Maria Beatrice Boccia

Organizzazione, gestione e formazione del personale) 105.482 Michele Conterno (Gestione economica e

previdenziale) 69.192 Antonella Moretto (Gestione giuridica) 69.055 DIPARTIMENTO TECNOLOGICO

Cesare Branchetti (Servizi tecnici, edili e impiantistici) 108.153 Franco Traverso (Ingegneria clinica) 90.597

Gualtiero Zanetti (Gestione impianti termotecnici) 69.309 Aldo Oriti (Manutenzione edile e gestione immobili)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 24

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69.584 Antonello Mazzone (Area approviggionamenti-logistica e Provveditorato) 105.565

Foto: Flavio Neirotti

Foto: Antonella Piazza

Foto: Claudia Agosti

05/09/2014 17Pag. Il Secolo XIX - Savona(diffusione:103223, tiratura:127026)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 25

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PROGETTO BOTTA, TUTTO FERMO DAL 20 LUGLIO IL CANTIERE FANTASMA DI VIA MUCCINI «SENZA GARANZIE PER ORANON SI RIPARTE» E DAL 20 luglio scorso invece è fermo, sempre drammaticamente fermo, il cantiere della riqualificazione di

via Muccini. Quando sarà riaperto? Il successivo 29 luglio, quando improvvisamente il lavoro si fermò, cosa

notata da tutta la cittadinanza - che non smette di criticare l'intervento in particolare sui social network: se ci

fosse stata questa spinta popolare a favore del Comitato Sarzana Che Botta, forse le cose avrebbero potuto

prendere una piega diversa cinque anni fa -, il presidente di AbitCoop che comprende le società "Primo

Maggio" e "Due Dicembre" Mattia Rossi aveva detto testualmente: «E' una scelta di responsabilità che

abbiamo immediatamente comunicato alle ditte che lavorano in cantiere: non voglio nascondere nulla ed

evidentemente abbiamo un problema. Non ce la siamo sentita di proseguire le opere in un momento in cui

non c'è la certezza economica. Ma stiamo parlando con Carige in queste ore: spero di poter riprendere e

avviare nuovamente il cantiere domani». E' stata la conseguenza del caos di Banca Carige, principale

finanziatore che aveva appena deciso di rivedere gli asset - ergo i milioni di euro in giro per prestiti - a creare

questa situazione. Che non si sblocca. «E' passato troppo poco tempo - ha detto ieri Rossi al Secolo XIX -

no, non ci sono novità se non che stiamo quotidianamente lavorando alfine di riprendere i lavori al più presto

possibile». Intanto in questo periodo, con i sindacati che hanno portato i lavoratori a protestare anche

vivacemente, senza i soldi dell'istituto bancario, rimangono per il momento e desolatamente scheletri i sette

condomìni dell'altezza di sei piani in costruzione che prevedono 144 alloggi suddivisi tra appartamenti liberi,

social housing e edilizia a canone convenzionato. La stessa cosa dicasi per i 1800 metri quadrati di superficie

commerciale e la nuova segnaletica che ancora non si vede neanche con il binocolo. Il blocco dei lavori è

qualcosa di inaspettato, e imprevedibilmente prolungato per quello che di fatto l'ex "Progetto Botta".

Ricordiamo che lo stesso archistar svizzero Mario Botta proprio al Secolo XIX ha dichiarato di «non

riconoscere più mio, tanto è stato cambiato», e c'è sempre la storia dei 480mila euro di onorario che pretende

dal comune, il quale comune ha più volte ribadito che proprio in virtù della gara andata deserta, questa parte

di piano va radicalmente cambiata. Insomma, è il caos.

TRATTATIVE CON CARIGE

Rossi (AbitCoop): «Stiamo parlando con Carige per riprendere i lavori al più presto possibile»

05/09/2014 21Pag. Il Secolo XIX - La spezia(diffusione:103223, tiratura:127026)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 26

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Nota del ministero del lavoro per le imprese di nuova costituzione Edili, termine agevolato Il tetto calcolato al momento dell'assunzione CINZIA DE STEFANIS Più facile stipulare contratti a termine per le imprese edili neocostituite. Al fi ne di rispettare la percentuale

massima di lavoratori a tempo determinato (20% dei dipendenti assunti a tempo indeterminato), nel caso in

cui abbia iniziato la propria attività durante l'anno, infatti, è tenuta a verificare quanti rapporti di lavoro

subordinato a tempo indeterminato siano vigenti alla data di assunzione del primo lavoratore a termine. In

mancanza di una disciplina contrattuale che regolamenta la specifi ca fattispecie le imprese edili possono

applicare tale criterio pur osservando tuttavia i diversi limiti eventualmente individuati dal Ccnl (più alta o più

bassa del 20%). Di conseguenza se esiste una disciplina contrattuale in materia, questa troverà applicazione

a partire dall'anno successivo a quello di avvio della nuova realtà imprenditoriale. Lo sostiene il ministero del

lavoro con la nota 1° settembre 2014, n. 14974, in risposta a un quesito posto dall'Ance, spiegando la diversa

modalità di computo, al fi ne di rispettare la percentuale massima di lavoratori a tempo determinato, nel caso

in cui il datore di lavoro abbia iniziato la propria attività durante l'anno. Il ministero del lavoro con la nota in

commento sostiene che le imprese edili avranno una facilitazione nella sottoscrizione dei contratti a tempo

determinato anche se il contratto nazionale del comparto non disciplina tale fattispecie. Ricordiamo che il

ministero del lavoro, con circolare del 30 luglio 2014 n. 18 ha fornito alcune indicazioni operative per il

personale ispettivo sulla nuova disciplina del contratto a termine, in vigore dal 20 maggio 2014. In particolare

ha chiarito che «il datore di lavoro, in assenza di una diversa disciplina contrattuale, è tenuto a verificare

quanti rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato siano vigenti, alla data del primo gennaio

dell'anno di stipula del contratto o per le attività iniziate durante l'anno, alla data di assunzione del primo

lavoratore a termine». Le neocostituite imprese costruttrici, pertanto, alla luce di tale dettato interpretativo,

possono fare riferimento a un termine diverso da quello del primo gennaio dell'anno stabilito per legge, per

l'assunzione di personale a termine, e cioè a quello della sottoscrizione del contratto a tempo determinato. Si

ricorda, infine, che alle imprese che non raggiungono i cinque dipendenti a tempo indeterminato (al primo

gennaio o alla data di costituzione) è comunque consentito di stipulare un contratto a termine. ©

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05/09/2014 22Pag. ItaliaOggi(diffusione:88538, tiratura:156000)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 27

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L'INVENZIONE LA PRIMA SARA' COSTRUITA A CAPANNOLI DA EXIT BIO ABITARE Una casa colonica tutta di legno «Economica e pronta in tre mesi» NASCERA' a Capannoli la prima casa colonica in legno realizzata dalla Exit Bio Abitare di Pontedera: 350

metri quadri con due piani, garage interrato e piscina esterna. Avrà pareti esterne con contrafforti, la gronda

con travicelli e mezzane e in più godrà della vista sulle colline della Valdera. Tutto in perfetto stile green

sposato con lo stile dei cascinali toscani con pareti, solai, tetto, scale esterne e terrazza in legno, mentre le

pavimentazioni interne e i rivestimenti dei bagni saranno in pastellone di calce naturale. LE PARETI di legno,

che all'interno ospiteranno materiali naturali come il sughero per aumentare i coefficienti energetici, saranno

rivestite prima da un cappotto in fibra di legno e poi intonacate con finitura rustica, per rispettare lo stile delle

case coloniche. Per questa costruzione sarà utilizzato il sistema costruttivo Steko, che offre la stessa

resistenza dei muri in mattoni tradizionali, con i vantaggi delle costruzioni in legno ed è composto da moduli

che si possono affiancare e sovrapporre. IL CANTIERE della cascina green sarà inaugurato il 15 settembre e

durerà poco più di tre mesi. «I tempi di costruzione sono certi -assicura l'architetto Stefano Lori, che cura il

progetto - come lo sono anche i costi. Un vantaggio notevole visto quanto gravano le spese impreviste

nell'edilizia tradizionale». Gli altri vantaggi sono la resistenza antisismica della struttura, data dal peso

inferiore rispetto a una normale casa in cemento armato, e il risparmio energetico con valori che si avvicinano

all'auto sussistenza. «La fase di progettazione è un momento delicato. Rispetto all'edilizia tradizionale il

progetto richiede più tempo e più attenzione - spiega Francesco Barro, socio della ditta - perché è proprio in

quel momento che si stabiliscono tutti i dettagli nella casa tra cui le tracce di tubi e fili. Le tubazioni, infatti,

passano all'interno dei muri portanti per favorire le alte prestazioni energetiche». LA CASA colonica di Santo

Pietro Belvedere sarà costruita con materiali vivi, come il legno e il sughero, con tutta la bellezza e la poesia

di una casa che vive assieme a chi la abita. Una casa attiva nel preservare la temperatura, fresca d'estate e

calda d'inverno, tanto che non ci sarebbe neanche bisogno di riscaldamento. Domani sera, nella notte bianca

in via della Misericordia, si potranno conoscere da vicino le soluzioni abitative bio della giovane realtà

pontederese Exit Bio Abitare. Sarah Esposito Image: 20140905/foto/5682.jpg

05/09/2014 16Pag. QN - La Nazione - Pisa(diffusione:136993, tiratura:176177)

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LA CONTROLLATA DELL'ENI SI AGGIUDICA IL PROGETTO PER UN IMPIANTO PETROLCHIMICO Il tycoon nigeriano sceglie Saipem Jim Ovia, banchiere multimilionario e fondatore del gruppo Quantum Petrochemical, investirà 1,5 miliardi didollari per il nuovo sito industriale. La società ingegneristica è project developer Angela Zoppo Per Saipem il committente è insolito, ma ha le carte in regola: Jim Ovia, tra i venti uomini più ricchi d'Africa

secondo la classifica di Forbes, con una fortuna personale stimata in 900 milioni di dollari messa insieme

grazie alla Zenith Bank, che ha fondato nel 1990 e che oggi capitalizza circa 4,2 miliardi di dollari. In anni più

recenti il 60enne multimilionario nigeriano ha deciso di diversificare il business allargandosi al petrolio e alla

raffinazione con la sua Quantum Petrochemical. Ora Quantum sta per realizzare un impianto da 1,5 miliardi

di dollari e la scelta per la consulenza e l'ideazione del progetto è caduta sulla società guidata da Umberto

Vergine. L'impianto petrolchimico sorgerà a Ibeno, nello Stato nigeriano del Akwa-Ibom. Il contratto prevede

per Saipem il ruolo di project developer. Anche il governo nigeriano segue da vicino l'operazione targata

Quantum Petrochemical. Il presidente della Repubblica nigeriana Goodluck Jonathan, ha presenziato alla

cerimonia per la posa della prima pietra insieme col ministro delle Risorse petrolifere. Diezani Alison-

Madueke. Quando verrà completato, l'impianto sarà in grado di produrre polimeri e prodotti di sintesi come

polietilene, polipropilene e metanolo. In base ai termini del contratto, secondo quanto si apprende da fonti di

mercato, Saipem avrebbe la prelazione per assicurarsi la commessa finale, con l'opzione cosiddetta del last

refusal. Oltre all'attività offshore in Nigeria la controllata di Eni è già attiva in alcuni cantieri. Un progetto simile

a quello di Quantum, per esempio, è Dangote, con la costruzione di un impianto per la produzione di

ammoniaca e urea per Dangote Fertilizer. Lo scopo del lavoro include l'ingegneria, l'approvvigionamento e la

costruzione di due treni di produzione gemelli e dei relativi impianti di servizio, comprese le infrastrutture

esterne all'impianto. L'altra analogia che lega Dangote a Quantum è che anche in questo caso il committente

è un multimilionario, Alhaji Aliko Dangote, considerato da Forbes l'uomo più ricco della Nigeria. Viaggia su

ordini di grandezza simili anche il controvalore del contratto per la costruzione dello stabilimento, circa 1,9

miliardi di dollari. I lavori sono iniziati nel 2012 e dovrebbero concludersi il prossimo anno. (riproduzione

riservata)

SAIPEM 4 giu '14 4 set '14 15 19 17 21 quotazioni in euro 17,7 € -0,45% IERI Quotazioni, altre news e analisi

su www.milanofinanza.it/saipem

Foto: Umberto Vergine

05/09/2014 10Pag. MF - Ed. nazionale(diffusione:104189, tiratura:173386)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 29

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MF SHIPPING & LOGISTICA / Pagine a cura di Nicola Capuzzo/ È QUANTO HANNO INVESTITO IPRIVATE EQUITY TRA GENNAIO E LUGLIO Oltre 7 mld $ allo shipping Secondo Gibson questo importo è destinato a raddoppiare a livello globale entro fine 2014. Per i piccoliarmatori rischia di esserci sempre meno spazio Pagine a cura di Nicola Capuzzo Chi opera nel business dello shipping sta imparando a fare i conti con i fondi d'investimento. L'attenzione

degli investitori istituzionali verso l'industria del trasporto marittimo è evidente ormai da alcuni anni ma,

diversamente da quello che molti pensavano e si auguravano, questa tendenza sembra non esaurirsi. Nel

biennio 2012-2013, secondo le stime di Tufton Oceanic, sono stati investiti circa 32 miliardi di dollari nello

shipping mentre nei primi sette mesi di quest'anno, secondo la società londinese di brokeraggio navale

Gibson, dal mondo finanziario sono arrivati almeno altri 7 miliardi di dollari per investimenti in navi e altrettanti

sono attesi entro la fine del 2014. Insomma, volenti o nolenti bisogna fare i conti con il fattore investitori

istituzionali e a farne le spese rischiano di essere soprattutto i piccoli armatori. Eugenio Tuillier,

amministratore delegato della società monegasca Arminter, a MF Shipping & Logistica spiega: «Purtroppo

dal punto di vista del piccolo armatore il mestiere è molto cambiato visto il proliferare di grandi società

quotate. Queste realtà investono enormi quantitativi di denaro pubblico in programmi faraonici di nuove

costruzioni con coinvolgimenti economici minimi da parte dei loro promotori e con, presumo di non sbagliare,

grandissimi ritorni sui servizi offerti da parte dei loro promotori». Tra i servizi offerti rientrano in primo luogo la

gestione tecnica della flotta e la sorveglianza delle nuove navi in costruzione. Arminter opera una flotta di due

navi bulk carrier ma una di queste, la Red Iris (unità Panamax da 75.730 tonnellate di portata del 2003), sarà

ceduta ad acquirenti greci per circa 15,5 milioni di dollari. Tuillier guarda a nuovi investimenti («in futuro

potrebbero esserci opportunità interessanti nelle bulk carrier Kamsarmax e Ultramax con consegna 2016 e

2017 da cantieri asiatici di qualità») ma la liquidità immessa sul mercato dai fondi spaventa. Il numero uno di

Arminter dice infatti: «Tutto ciò falsa il mercato e ci vorrà parecchio tempo prima che lo shipping possa

riprendersi dall'eccessivo numero di ordinativi. Se si guarda in generale il track record di queste società

partecipate dai fondi sono più quelle in procedura Chapter 11 (insolventi, ndr) che quelle che hanno fatto

guadagnare gli azionisti ottenendo i ritorni promessi». Di sicuro, spiega l'analisi di mercato di Gibson, «il

private equity ha quasi completamente preso il posto del credito bancario nei finanziamenti allo shipping» e

aggiunge poi che «il denaro investito da questi fondi nello shipping è una goccia nel mare rispetto alla loro

capacità finanziaria». Basti pensare, giusto per citare i più attivi nel business del trasporto marittimo, a

Golden Tree Asset Management che gestisce un patrimonio di circa 21 miliardi di dollari oppure Oaktree

Capital management che dispone di 80 miliardi di dollari. Gli altri nomi che gli armatori tradizionali hanno

imparato a conoscere sono Blue Mountain Capital Management e York Capital Management, quest'ultimo

partner dell'italiana Augustea nella società maltese ABY Group e nella Heron Ventures che si è aggiudicata il

ramo dry bulk della flotta Deiulemar. Sempre York Capital Management, insieme a Monarch Alternative

Capital e BHR Capital, sono fra gli sponsor più esposti anche nel capitale delle società Scorpio Tankers e

Scorpio Bulkers protagoniste negli ultimi cinque anni di imponenti progetti d'investimento. A completare il

quadro rimangono infine gli hedge fund che fanno shopping dei crediti in sofferenza dalle banche

tradizionalmente più esposte nei finanziamenti al mondo armatoriale. Lloyds Banking Corporation e Royal

Bank of Scotland hanno ad esempio ceduto importanti pacchetti di prestiti incagliati a diversi fondi tra cui

Davidson Kempner Capital Management, Oaktree, Transportation Recovery Fund e Centerbridge Partners.

Un altro fondo hedge, Elliott Management Corporation ha investito 50 milioni di dollari nella ristrutturazione

della shipping company giapponese Sanko. In Italia è finora emerso che Goldman Sachs ha rilevato da

Unicredit l'esposizione debitoria in RBD Armatori ma altre operazioni simili potrebbero aver riguardato anche

altre società. Secondo Wilbur Ross, noto finanziere Americano a capo dell'impero WL Ross & Company e

05/09/2014 16Pag. MF - Ed. nazionale(diffusione:104189, tiratura:173386)

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specialista di ristrutturazioni aziendali (ha recentemente investito in società armatoriali acquisendo Navigator

e Diamond S Shipping), «l'ingresso del private equity nello shipping accelererà il necessario consolidamento

del mercato». Gibson conclude però la sua analisi di mercato sottolineando che il modello «investire con i

soldi degli altri» (dei fondi d'investimento, ndr) adottato da molti player sul mercato «sta portando a un

eccesso di nuove costruzioni in determinati segmenti di mercato finendo per posticipare la ripresa dei noli e la

strategia di wayout dei fondi che dovranno attendere più a lungo per i loro ritorni sugli investimenti».

(riproduzione riservata)

Foto: La nave Red Iris di Arminter

05/09/2014 16Pag. MF - Ed. nazionale(diffusione:104189, tiratura:173386)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 31

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Società Samia Nkrumah vince il premio per la pace V.P. Il 12 settembre Khalida Brohi parteciperà a Venezia al Pilosio International Building Peace Award, il premio

creato nel 2011 (pilosioaward.com) da Pilosio, industria di materiali per le costruzioni fondata nel 1961. La

protagonista dell'edizione 2014 però sarà Samia Nkrumah, fglia del primo presidente del Ghana, Kwame

Nkrumah, e prima donna leader di partito nel suo Paese. Assieme a lei e a Khalida (che partecipa al dibattito

sulle "Donne costruttrici di pace"), ci saranno l'exsegretario dell'Oni Kof Annan, Emma Bonino, la CEO di

Save the Children Carolyn Miles, la Nobel per la pace 1976 Betty Williams e la regista e scrittrice iraniana

Siba Shakib. Una vera festa con circa 300 ospiti internazionali, in gran parte legati al mondo dell'edilizia.

«Quando abbiamo cambiato modello di business, abbiamo capito che bisognava alzare il nostro proflo,

investire in relazioni e network internazionali. Il che vuol dire parlare di cultura: un'azienda di costruzioni non

può occuparsi solo d'affari», spiega Dario Roustayan, CEO di Pilosio, ideatore e presidente del Pilosio

Building Peace Award: «Le persone che invitiamo appartengono al mondo delle imprese: così hanno modo di

vivere una giornata tra ospiti di alto livello». Detta in questi termini sembra una questione, per quanto corretta,

di business: avere Kof Annan a cena può risultare utile. In realtà Roustayan, fglio di un persiano e di una

friulana, unisce un concreto senso degli affari a un concetto molto attuale d'impresa: «Inutile tornare sul

principio di quanto farebbe bene all'Italia occuparsi di cultura e quanto sia grave che non lo faccia. Il punto è:

la cultura è fondamentale anche per noi, non soltanto perché esiste una responsabilità sociale dell'azienda,

ma perché il business ha bisogno di una parte spirituale e culturale. Perché sia completo deve pensare ad

altro da sé». Con amarezza viene da pensare che le costruzioni sono le prime a crollare con i

bombardamenti, ma che costituiscono anche il grande business della ricostruzione. «Siamo il motore

dell'economia, in barba a quel che si dice. E poi io credo che sia importante vivere tra cose belle, per tutti. E

queste non vuol dire costruire case costose. Solo belle, appunto. Porta serenità e quindi pace. Con il premio

non crediamo certamente di poter risolvere il problema delle guerre nel mondo ma dimostrare che anche una

azienda medio-piccola può e deve fare la sua parte». Non soltanto con un premio: «Abbiamo 150 dipendenti

ma abbiamo mandato due persone a fare un giro nei campi profughi siriani in Turchia e Siria per capire come

possiamo migliorare le loro condizioni di vita. Non serve essere una grande azienda: guardi che cosa fa la

Nonino per la cultura». E così, anche quest'anno, al Pilosio International Building Peace Award non si parlerà

solo di pace in senso stretto, ma di come rendere più accettabile la vita di chi vive in zone disagiate e in

guerra. Per questo è stata premiata Samia Nkrumah: «per il suo straordinario impegno nel portare avanti il

progetto intrapreso dal padre, fondatore del Ghana libero e indipendente nel 1957, per realizzare una unità

panafricana all'insegna della pace e della prosperità, oltre che per il suo ambizioso progetto della costruzione

di una biblioteca nazionale intitolata alla memoria di Kwame Nkrumah».

05/09/2014 116Pag. L'Espresso - N.36 - 11 settembre 2014(diffusione:369755, tiratura:500452)

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SCENARI FARE IMPRESA Voglia di startup Ma sarà un anno nero Nonostante le prospettive di ripresa, le condizioni del mercato sono incerte. Senza norme precise e snelle, lavena imprenditoriale italiana rischia di esaurirsi FRANCO LEONE Si scrive startup, si legge azienda in difficoltà. È questa, almeno in Italia, la realtà più diffusa tra le nuove

imprese che aprono i battenti e sono subito costrette a fare i conti, oltre che con la crisi, con la burocrazia e

con uno Stato assente praticamente in ogni circostanza. Fatta eccezione per il fisco: le tasse sono sempre

puntuali e restano nel nostro Paese tra le più alte in Europa. Così non stupisce come mai, nonostante le

realtà imprenditoriali italiane continuino a brillare per la loro carica innovativa, le aziende restano comunque

in grande difficoltà. Anche nel secondo trimestre del 2014, la musica non è cambiata: tra aprile e giugno i

registri delle Camere di Commercio hanno ricevuto quasi 97mila domande di iscrizione, dato più basso tra

quelli registrati nel secondo trimestre degli ultimi 10 anni, a fronte di poco più di 61mila richieste di

cancellazione da parte di imprese esistenti. Il saldo del secondo trimestre del 2014 è comunque positivo per

35.704 unità, 9.619 in più (il 37%) rispetto al secondo trimestre del 2013. In termini percentuali, tra aprile e

giugno lo stock delle imprese registrate ai registri delle Camere di commercio è cresciuto complessivamente

dello 0,59% (contro lo 0,43% del secondo trimestre 2013), attestandosi, al 30 giugno, al valore di 6.039.837

unità, di cui 1.390.774 artigiane. Il saldo maggiore, in termini assoluti, si registra al Sud (12.106 imprese in

più), quello in termini relativi al Centro (+0,70%). In tutte le regioni, il trimestre si è chiuso comunque con

segno positivo: dalla Lombardia (5.861 imprese in più all'appello), alla Valle d'Aosta (87). Anche a livello

settoriale, tutte le principali attività fanno registrare un'espansione della base imprenditoriale: 10.813 in più

nel commercio, 6.055 nella ristorazione e alloggio, 3.523 nei servizi alle imprese. In ripresa anche le

costruzioni (+2.875 unità) e le attività manifatturiere (+1.155). Un segnale positivo per il presidente di

Unioncamere, Ferruccio Dardanello: «Le imprese cominciano ad avvertire che il vento dell'economia sta

cambiando e cercano di restare aggrappate al mercato per cogliere le opportunità di rilancio dei consumi. È

evidente, però, che l'incertezza del quadro complessivo resta elevata e induce ancora tanti italiani a

rimandare i loro progetti imprenditoriali. I provvedimenti economici in via di definizione devono sgombrare il

campo da questa incertezza e restituire fiducia a chi vuole scommettere sull'impresa. Agli imprenditori di oggi

e di domani, più che gli incentivi, servono norme più stabili e più semplici. Solo così si torna ad avere fiducia e

dunque a investire, a creare occupazione e a crescere». La situazione non consente facili entusiasmi. Anche

perché se è vero che il bilancio della natalità-mortalità delle aziende è meno nero dello scorso anno, è

altrettanto evidente che l'emergenza resta: il dato sulle iscrizioni del primo trimestre del 2014 è

statisticamente il peggiore dell'ultimo decennio. Segno che, nonostante le prospettive di ripresa

dell'economia, le condizioni del mercato non sono ancora tra le migliori per chi nutre progetti imprenditoriali.

La riscossa della manifattura Se ci si sofferma sull'analisi dei singoli settori, il saldo negativo del trimestre è

spiegato per oltre il 50% dalla sola agricoltura, che tra gennaio e marzo di quest'anno, ha visto ridursi il

proprio tessuto di imprese di 11.536 unità. Al contrario, la sorpresa più grande potrebbe arrivare dalla

manifattura, come è emerso nel World Manufacturing Forum 2014, meeting tenutosi a Milano l'I e il 2 luglio e

a cui hanno partecipato importanti rappresentanti del mondo politico, industriale, accademico e di business

(leggi l'articolo a pagina 12). In quella sede, tutte le discussioni hanno avuto un comun denominatore: il

manifatturiero è una forza trainante per la crescita economica. Un trend che dovrebbe accomunare l'Italia alla

lontana America. Tra le nuove sfide che si profilano all'orizzonte per le nuove imprese che nasceranno, la

formulazione e l'istituzione di standard tecnici, sociali e ambientali che possano essere applicati a livello

globale sia ai sistemi manifatturieri sia ai prodotti che ne derivano e la protezione dei sofisticati sistemi

cibernetici, che sono sempre più diffusi in ambito manifatturiero. Per non parlare della formazione della forza

lavoro, che rimane un tema sempre più cruciale. Insomma, anche in una realtà complessa e difficile come

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quella attuale, ci sono ancora spazi per aprire una nuova azienda. Ma la domanda è: come si muove oggi chi

avvia una startup? Il profilo delle nuove startup Per comprendere meglio la direzione delle giovani matricole,

la Holding LVenture Group, quotata in borsa e attiva nel Venture Capital, ha dato vita insieme a Swg, attiva

nelle indagini di mercato, all'Osservatorio Startupper's Voice, punto di raccolta delle opinioni degli imprenditori

italiani. L'ultimo bollettino, che raccoglie i dati relativi alle aspettative, impiego, necessità di un campione di

circa 200 startup italiane, rivelano uno spaccato molto interessante della realtà imprenditoriale italiana.

Cominciamo dalla domanda di lavoro. Secondo i numeri raccolti da Swg il 40% delle startup sta cercando

risorse-uomo; a queste si va ad aggiungere il 38% di quelle che prevedono assunzioni nei prossimi sei mesi.

La domanda non è però supportata dall'offerta, che viene ritenuta carente dagli imprenditori: solo il 15% di

questi sostiene di avere trovato le competenze richieste e il 65% lamenta che, tra i candidati, il tasso di know-

how è rarefatto. Dal rapporto emerge dunque una ridotta possibilità di occupazione qualificata che frena lo

sviluppo imprenditoriale. «Va però puntualizzato - si legge nel sondaggio - che non riuscire a trovare

competenze non significa che queste non ci siano; potrebbe essere indice del fatto che chi possiede capacità

specifiche sia già professionalmente accasato». Quanto ai profili professionali più gettonati, quattro startup su

cinque necessitano di programmatori senior, poi social media marketer ed esperti in amministrazione e

finanza, profili quindi più trasversali. Tra questi sono i programmatori e gli amministratori i più difficili da

reperire sul mercato del lavoro. Non manca, per fortuna, la caratteristica centrale di ogni buon imprenditore:

l'ottimismo e la voglia di farcela restano il faro di chi apre una nuova impresa. L'indagine registra chiaramente

un «clima di convinzione», tanto è vero che se l'avventura aziendale degli startupper italiani dovesse

naufragare, «più della metà di questi non si darebbe per vinto e tenterebbe un'altra impresa». D'altro canto,

però, in molti scelgono l'estero per avviare una nuova attività: le mete preferite per iniziare un'attività sono

Londra, San Francisco, Berlino e poi New York. Si comincia a diffondere la più idonea mentalità secondo cui

un fallimento non è per forza di cose la fine. In Italia il non riuscire è ancora vissuto come un'onta mentre ad

altre latitudini (Usa soprattutto), il fallimento è qualcosa che assomiglia a un prezzo da pagare per

raggiungere i propri obiettivi. E veniamo agli ostacoli: la scelta di andare Oltreconfine è spesso una necessità.

Per Luigi Capello, Amministratore delegato di LVenture Group, «La voglia di fare impresa è forte, ma perché

questa spinta porti a risultati concreti serve un contesto che fornisca il proprio contributo: risorse qualificate,

capitali privati e supporto pubblico». Il sondaggio rivela che gli imprenditori desiderano un minore peso della

burocrazia (nel 63% dei casi), l'aumento degli investimenti privati (27%) e lo sviluppo del sistema Italia (16%).

Il valore della coesione C'è però un comune denominatore tra le storie di successo del made in Italy. Se è

vero che la crisi uccide tante piccole imprese appena nate, c'è una sorta di selezione naturale che promuove

le aziende in grado di fare sistema con la comunità. Le cosiddette imprese 'coesive' - quelle fortemente legate

a comunità di appartenenza e territorio in cui operano, che investono nel benessere economico e sociale,

nelle competenze e cura dei propri lavoratori, nella sostenibilità, nella qualità e bellezza, radicate nella filiera

territoriale e tese a soddisfare le esigenze di fornitori, clienti e stakeholder in generale, che hanno relazioni

con il non profit e le istituzioni territoriali - hanno infatti una marcia in più che permette loro di andare lontano.

Anche in questo caso, i numeri parlano chiaro: secondo l'ultimo rapporto "Coesione è competizione"

realizzato da Consorzio Aaster, Fondazione Symbola e Unioncamere, le imprese coesive del made in Italy

hanno registrato nel 2013 aumenti del fatturato nel 39% dei casi, mentre fra le imprese «non coesive» tale

quota si ferma al 31%. Più ricavi corrispondono poi a una maggiore dinamicità sul fronte dell'occupazione: il

22% delle imprese coesive ha dichiarato un aumento degli occupati tra il 2012 e il 2013, contro il 15% delle

altre imprese. Insomma, che siano Enti locali o Camere di commercio, le realtà produttive che hanno saputo

costruire rapporti solidi con tali istituzioni hanno registrato un aumento degli occupati nel 24% dei casi, contro

il 15% delle imprese non coesive. Il 59% delle prime, inoltre, prevede aumenti di ordinativi esteri per il 2014,

contro il 53% delle seconde. Ed è anche grazie a queste realtà dinamiche se l'Italia è oggi uno dei

protagonisti mondiali del reshoring, il ritorno in patria di aziende che avevano delocalizzato. Nel rapporto si

legge che siamo uno dei cinque paesi al mondo insieme a Cina, Germania, Giappone e Corea del Sud ad

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avere un surplus manifatturiero sopra i 100 miliardi di dollari. Dall'inizio della crisi il fatturato estero della

nostra manifattura è cresciuto più di quello tedesco: +16,5% contro +11,6% (mentre quello interno ha subito

un crollo drammatico). Ancora più eclatanti le performance dell'export legato a cultura e creatività: +35% tra

2009 e 2013. «Sulla nostra capacità di competere non c'è da discutere», ha dichiarato il segretario generale

di Unioncamere, Claudio Gagliardi. «La buona riuscita di un'iniziativa economica non si gioca più soltanto sul

prezzo di un prodotto o servizio ma soprattutto su aspetti qualitativi di ciò che viene offerto. La coesione tra

impresa, lavoratori, territorio, istituzioni, mondo del non profit sta sempre più diventando un elemento

vincente della competizione economica nei Paesi evoluti. A differenza di altri Paesi, la forza dell'Italia non è

nella standardizzazione dei grandi numeri, ma nella qualità di un'offerta altamente specializzata di filiere e

distretti che ci fanno grandi nel mondo». I »

Foto: ANCORA IN CALO

Foto: Tra aprile e giugno le Camere di Commercio hanno ricevuto quasi 97mila domande di iscrizione, dato

più basso degli ultimi 10 anni

Foto: LA PAURA PERICOLO NUMERO UNO «I provvedimenti del governo devono spazzare l'incertezza»,

auspica Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere

Foto: La formazione del personale determinante per il successo

Foto: AGRICOLTURA NEI GUAI Tra gennaio e marzo di quest'anno, l'agricoltura ha visto ridursi il proprio

tessuto di imprese di 11.536 unità

Foto: CAMBIO CULTURALE In Italia, a differenza che negli States, il fallimento è considerato come una

spada di Damocle che perseguita l'imprenditore 1140% delle startup sta cercando personale

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SCENARIO ECONOMIA

27 articoli

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Forza e limiti della banca centrale ma più di così sarà difficile DANILO TAINO Ieri sera, un importante banchiere svizzero diceva che Matteo Renzi è un ragazzo fortunato. Le misure di

politica monetaria annunciate da Mario Draghi, in effetti, sono il massimo che ci si potesse aspettare: anzi,

vanno al di là delle aspettative della gran parte degli economisti. Attraverso misure convenzionali e non

convenzionali - cioè ordinarie e straordinarie - e anche dividendosi al proprio interno, la Banca centrale

europea ha ridotto al minimo possibile i tassi d'interesse; si prepara a comprare debiti degli operatori

economici (raccolti in pacchetti) per liberarne i bilanci e spingerli a chiedere credito; fornirà denaro alle

banche a costi che più bassi non potranno mai essere in modo che li prestino a imprese e famiglie. È lo

stimolo monetario più poderoso che i Paesi dell'Eurozona abbiano mai avuto: quel Quantitative Easing

(allentamento monetario) teso a spingere la crescita, a creare inflazione e a indebolire il cambio dell'euro.

Renzi è un ragazzo fortunato nel senso che nessun presidente del Consiglio ha mai avuto un aiuto del

genere dalla Bce. Questo però significa che non potrà chiedere più nulla a Draghi: il governatore è arrivato al

limite estremo (salvo un difficile, eventuale programma di acquisto di titoli di Stato) a cui poteva arrivare.

D'ora in poi, tutto è nelle mani dei governi. E, anche da questo punto di vista, Draghi è stato esplicito nel

chiarire il suo pensiero su cosa occorre fare, pensiero in una certa misura distorto dalle letture che del suo

discorso al seminario dei banchieri di Jackson Hole (Wyoming), a fine agosto, avevano dato alcuni media (ad

esempio il Financial Times ) e alcuni leader europei (ad esempio il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang

Schäuble).

Il governatore ieri ha chiarito ancora una volta che dei tre strumenti per rafforzare la crescita - politica

monetaria, politica di bilancio, riforme strutturali finalizzate a liberare l'offerta - «il primo e prioritario» è quello

delle riforme strutturali. Senza un'economia efficiente, ogni stimolo finisce nella sabbia. In più, ha precisato di

non avere mai messo in discussione il Patto di stabilità europeo, che anzi ritiene «l'àncora per la fiducia»

economica. Le flessibilità di cui ha parlato - ha detto - sono interne al Patto, non ne devono «danneggiare

l'essenza» e, affermazione non secondaria, ha spiegato che nella politica di bilancio il taglio delle tasse

stimola (sempre mantenendo i conti in ordine) l'economia più di quanto non faccia l'aumento della spesa

pubblica. «Il punto chiave - ha ribadito - sono le riforme strutturali», che devono essere «ambiziose,

importanti e forti». Inoltre, ha voluto fare un'aggiunta che va inevitabilmente letta come indirizzata all'Italia: dal

momento che le basse aspettative sul futuro e sulle prospettive dell'economia limitano le possibilità di ripresa,

sarebbe bene recuperare la fiducia con «prima una discussione molto seria sulle riforme strutturali e dopo

sulla flessibilità».

Draghi e la Bce hanno dunque preso tutte le decisioni di politica monetaria possibili. Ora, le scelte cadono sui

governi nazionali. In Italia, significa che Renzi e il governo devono realizzare riforme economiche vere e

serie; almeno una, ad esempio quella del mercato del lavoro, in fretta, prima del vertice europeo sulla crescita

del 7 ottobre. Non può essere come nella canzone di Jovanotti, dove al «ragazzo fortunato» di dieci cose

fatte (o dette) ne è «riuscita mezza».

@danilotaino

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 37

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Istituti italiani, pronti 75 miliardi MARIO SENSINI Le nuove mosse della Bce, e in particolare la penalità alle banche che non prestano alle aziende, potrebbero

valere fino all'1% di Pil in più in due anni.A PAGINA 3

ROMA - L'effetto sui tassi di interesse sarà positivo, come pure sui cambi, e il bilancio pubblico ne trarrà

benefici. Ma più che sulla riduzione dei tassi, le attese del ministro dell'Economia che ha «molto apprezzato»

la manovra di ieri della Bce, e del presidente del Consiglio, secondo il quale «un altro tassello è andato a

posto», sono rivolte ai nuovi meccanismi di rifinanziamento della banca centrale. I disincentivi previsti per le

banche che non "girano" il denaro raccolto dalla Bce alle imprese, e la volontà di acquistare anche Abs e

covered bond, prodotti finanziari emessi dalle imprese, dicono a via XX settembre e a Palazzo Chigi,

potrebbero essere decisivi per l'economia reale e far ripartire la crescita.

Le penalità per chi non impiega i fondi raccolti, per il governo, sono la miglior garanzia che la nuova liquidità

finisca davvero al settore produttivo. Le banche italiane hanno prenotato 75 miliardi di euro presso la Bce da

qui alla fine dell'anno (200 miliardi nel prossimo biennio). Sarebbero una boccata d'ossigeno preziosissima

per la ripresa dell'economia, capace di smuovere anche il prodotto interno lordo. Secondo il governatore della

Banca d'Italia, Ignazio Visco, se tutti i fondi chiesti dalle banche italiane finissero nell'economia reale, sarebbe

lecito attendersi un incremento aggiuntivo dell'1% del pil nel biennio.

Il governo, che sta giocando tutte le sue carte sul rilancio della crescita, ci spera ardentemente. Inutile dire

che per Renzi e Padoan la manovra varata ieri da Mario Draghi è anche un punto d'appoggio politico

fondamentale per spingere in Europa l'idea di politiche di bilancio meno restrittive accompagnate da

investimenti e grandi riforme strutturali. «Bene così» dice Renzi a proposito di Draghi, mentre il Tesoro

sottolinea come anche «la reazione positiva dei mercati e del cambio» dimostri l'efficacia dell'intervento.

Anche dal deprezzamento dell'euro rispetto al dollaro, che la riduzione dei tassi della Bce accelera, il governo

si attende effetti positivi sull'economia reale. Una crescita importante delle esportazioni e del loro contributo al

prodotto interno lordo, ma anche un po' di inflazione importata attraverso gli acquisti sui mercati esteri.

Al di là dei risvolti politici e degli effetti sull'attività economica, le mosse della Bce avranno comunque anche

una serie di conseguenze sulla politica di bilancio. La riduzione dei tassi ed il suo impatto sui cambi e sul

differenziale di interesse tra i titoli di Stato modificheranno in modo importante il quadro macroeconomico, e

le previsioni sulle quali si costruirà la legge di bilancio del 2015.

Nel vecchio Documento di Economia di aprile il livello dei tassi di interesse sui titoli a dieci anni, per il 2014-

15, era stimato al 3,6%. Già nei mesi scorsi, però, i tassi erano scesi più in basso, e dopo gli annunci di

Francoforte ieri sono ulteriormente diminuiti, con il rendimento dei Btp al 2,3%. Stesso discorso per i titoli a

breve. Per il bilancio pubblico significa una minor spesa per gli interessi. Solo tra gennaio e fine luglio sono

stati risparmiati 1,1 miliardi di euro rispetto alle attese iniziali, ma la flessione potrebbe accelerare con

un'ulteriore riduzione dello spread. Nello scenario di aprile il governo lo prevedeva intorno ai 250 punti base

per il 2014. Ma nel corso dell'estate era già sceso intorno a 150 (il livello medio previsto per il 2015), e ieri ha

rotto anche quell'argine.

Mario Sensini

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200Miliardi di euro la liquidità che le banche italiane hanno prenotato presso la Bce per il prossimo biennio. Altri

75 miliardi sono attesi per la fine di quest'anno

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Il rilancio delle imprese e la corsia preferenziale aperta da Francoforte STEFANIA TAMBURELLO Non è un'arma potente come il Quantitative easing per combattere la stagnazione. Ma il nuovo programma di

acquisto di titoli bancari cartolarizzati annunciato da Mario Draghi è comunque uno strumento che potrebbe

risultare - ed è lo stesso presidente della Bce a dirlo - molto efficace. «Molto simile a ciò che la Federal

Reserve fece qualche anno fa» ha precisato. La Bce non riverserà nell'economia moneta preziosa

comprando massicce quantità di titoli privati e soprattutto pubblici ma acquisterà titoli bancari cartolarizzati

che rappresentano prestiti a famiglie, compresi i mutui immobiliari, e imprese, anche piccole e medie. E così

facendo libererà, da una parte di rischi, l'attivo delle banche che avranno a disposizione più risorse da

prestare. Si tratta di uno strumento di credit easing, di sostegno al credito, come ha detto Draghi, che si unirà

al significativo programma di prestiti alle banche destinati ancora ad imprese e famiglie (Tltro).

La Bce, in altre parole, sta puntando ad un allargamento imponente delle risorse da far transitare dal sistema

del credito, che ha in mano circa l'80% dei finanziamenti all'economia, al mondo delle imprese e delle famiglie

per superare le strozzature ed arrivare per quella strada al rilancio degli investimenti, della produzione, dei

salari e dei prezzi. Se c'è un interrogativo, in particolare in Italia, riguarda la capacità dell'impresa, soprattutto

se piccola o media di impegnarsi in progetti di investimento e di assorbire i finanziamenti disponibili.

I particolari del piano sugli Abs verranno resi noti al termine della prossima riunione del Consiglio direttivo ma

già il banchiere centrale italiano ha detto che la Bce si muoverà ancora prima che siano risolti i molti problemi

regolamentari, da parte dei paesi, per rilanciare il mercato delle cartolarizzazioni, crollato dopo la crisi

finanziaria. Proprio a causa della zavorra dei titoli cartolarizzati che impacchettavano di tutto. Ora però,

assicura Draghi, questi titoli saranno «semplici, trasparenti e reali»

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Relazioni speciali fra India e Giappone con un Occhio allo Strapoterecinese Guido Santevecchi I cinque giorni di visita sono cominciati a Kyoto con un abbraccio davanti ai fotografi: il premier indiano

Narendra Modi e il giapponese Shinzo Abe si stimano e hanno molto in comune, essendo etichettati come

riformisti e nazionalisti. Lo scopo della missione del nuovo leader di New Delhi è soprattutto economico: il suo

Paese ha bisogno di tecnologia e investimenti nelle infrastrutture, due campi nei quali l'appoggio di Tokyo

può essere pesante e vitale. Abe ha subito promesso l'intervento in progetti per 35 miliardi di dollari in cinque

anni. Sta nascendo una nuova «relazione speciale» in Asia? Le due democrazie, oltre a interessi economici,

potrebbero condividere anche una strategia geopolitica di contrasto alla Cina?

Modi, parlando davanti a una platea di businessmen a Tokyo ha lanciato un monito a Pechino, pur senza

citare il potente vicino. «È il momento che le nazioni scelgano tra sviluppo ed espansionismo, non è più il

tempo di avventurarsi in sconfinamenti territoriali e intrusioni nei mari di altri Paesi», ha detto. Cina e India

sono divise da un contenzioso di frontiera sull'Himalaya e soldati di Pechino sconfinano regolarmente. In

mare è acceso il confronto sino-giapponese per le isole Diaoyu/Senkaku. Una relazione speciale indo-

giapponese potrebbe effettivamente arginare la nuova aggressività cinese.

Ma anche il presidente cinese Xi Jinping ha già incontrato faccia a faccia Modi a luglio (i due Paesi fanno

parte dell'alleanza economica dei Brics con Brasile, Russia e Sud Africa) ed è atteso a New Delhi a fine

mese.

La stampa di Pechino ha commentato abbondantemente il vertice Modi-Abe e ha scartato le speculazioni

secondo cui India e Giappone potrebbero costituire un blocco per contenere la Cina. Secondo gli analisti

cinesi è la stampa di Tokyo che «si è fatta cogliere da questa frenesia». Per la Cina, nei rapporti conta

soprattutto il peso economico e quello della Repubblica popolare cinese è enorme. In questi giorni si stanno

concludendo accordi per la costruzione di cinque linee ferroviarie ad alta velocità in India: le commesse

dovrebbero andare ai cinesi che hanno la tecnologia e i fondi. La diplomazia corre anche sui binari.

@guidosant

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05/09/2014 58Pag. Corriere della Sera - Ed. nazionale(diffusione:619980, tiratura:779916)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 40

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LA MANOVRA BCE/1 L'ossigeno non basterà senza riforme Donato Masciandaro La Banca centrale europea (Bce) ha dato ulteriore ossigeno all'Unione: una ulteriore espansione monetaria,

che però potrà dare risultati solo se i governi nazionali - a partire da quello italiano - non metteranno in campo

gli unici due bazooka che possono davvero funzionare: da un lato politiche fiscali disciplinate ma orientate

alla crescita; dall'altro politiche strutturali che rendano tutti i mercati più competitivi ed integrati, a partire da

quello del lavoro.

La Bce, di fronte al peggiorare delle prospettive congiunturali, ha annunziato una ulteriore espansione

monetaria, mettendo in campo uno strumento tradizionale - l'abbassamento di fatto a zero dei tassi di

interesse sui prestiti alle banche - ed uno non tradizionale - l'acquisto di titoli privati cartolarizzati. Una scelta

che si pone di fatto in mezzo al guado rispetto ai due diversi orientamenti che si possono individuare sulla

strategia ottima che la nostra banca centrale dovrebbe adottare: l'orientamento attendista e quello

interventista.

L'orientamento attendista è convinto che ogni intervento di politica monetaria sia oramai inefficace, anzi

l'attivismo della banca sarebbe addirittura controproducente. Gli attendisti si basano sull'idea che l'economia

europea sia in una situazione di perfetta trappola della liquidità. Per uscire dalla trappola della liquidità ci sono

due strade. Da un lato, ci sono le politiche strutturali che aumentano la competitività e l'integrazione in tutti i

mercati di beni, servizi e fattori produttivi, inclusi i mercati del lavoro. Le politiche strutturali irrobustiscono

l'offerta aggregata, ed hanno effetti benefici sulla produttività, quindi sulla crescita, ed in più creano la

disinflazione "buona", cioè le cadute dei prezzi che nascono dalla maggiore concorrenza e vanno a favore dei

consumatori.

Donato Masciandaro

Dall'altro lato ci sono le politiche fiscali che possono aumentare la domanda aggregata, a patto che non

peggiorino i conti pubblici di un Paese, creando così un effetto moltiplicativo sulla crescita economica. Quindi

la ripresa economica è esclusivamente nelle mani dei governi nazionali e di Bruxelles.

In questa visione la Bce non può far nulla. Essendo la trappola della liquidità perfetta, ogni intervento della

banca centrale, tradizionale e non, è inutile. Il sistema economico - a partire da quello bancario - è come una

spugna: data l'avversione al rischio, assorbe tutta l'offerta di liquidità. I tassi si schiacciano a zero, ma senza

effetti né sulla crescita né sui prezzi al consumo. Non solo: le politiche non convenzionali, attraverso i

massicci acquisti di titoli pubblici e privati, aumentano la propensione al rischio sia degli Stati che dei privati. Il

risultato finale? Maggiore indisciplina fiscale e finanziaria, che inibisce ulteriormente le capacità di crescita. Le

decisioni di ieri della Bce hanno sicuramente indispettito gli attendisti.

L'orientamento interventista è all'opposto, convinto che la politica monetaria possa essere ancora efficace,

soprattutto attraverso gli interventi non convenzionali, mentre è l'attendismo della banca che è la vera

tossina. Gli interventisti si basano sul presupposto che la banca centrale possa eludere la trappola della

liquidità, attraverso operazioni di mercato aperto in titoli pubblici e privati. Le operazioni di mercato aperto, a

differenza di quelle bilaterali con le banche commerciali, aumentano le possibilità che la liquidità primaria

creata dalla Bce cresca. La crescita della liquidità primaria può avere ha effetti moltiplicativi sugli aggregati

monetari e creditizi. Di riflesso anche le aspettative inflazionistiche si possono nutrire di segnali inequivocabili

di crescita della liquidità. Non basta: le operazioni di mercato aperto aumentano le possibilità di

indebitamento sia degli Stati che dei privati. La politica monetaria ha effetti fiscali e finanziari positivi, quindi

effetti espansivi sulla crescita economica e sui prezzi, scongiurando il rischio deflazione. Se cosi è, le

decisioni di ieri della Bce hanno sicuramente contrariato anche gli interventisti: la politica monetaria continua

ad essere troppo timida, non usando il bazooka delle operazioni di mercato aperto.

05/09/2014 1Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)

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Perché Draghi è rimasto nel mezzo, annunziando decisioni prese - guarda caso - non all'unanimità? La

ragione è in una visione dell'economia europea che si colloca a metà tra gli opposti: la nostra Unione può

uscire dalla trappola della liquidità, e la banca centrale può dare un contributo, ma solo se le altre politiche

economiche faranno la loro parte, e non per un tempo indefinito. L'ulteriore espansione monetaria può

contribuire a sbloccare il meccanismo della moneta e del credito, rassicurare le aspettative, rafforzare i

mercati finanziari, contribuire ad una stabilizzazione del tasso di cambio. Ma da sola la politica monetaria non

va lontana.

Draghi non poteva essere più chiaro: tanto più le necessarie politiche fiscali e strutturali tarderanno, tanto

minore sarà l'efficacia della politica monetaria, a partire dalla capacità di rispettare lo stesso mandato di

tutelare la stabilità dell'euro. Una affermazione così decisa dovrebbe far riflettere tutti. l'Unione è come una

macchina impantanata; ha almeno quattro ruote motrici - moneta, fisco, concorrenza e lavoro - ma solo una

sta girando. In simili situazioni, la macchina rischia di affonda. Anche in meno di mille giorni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA LE PAROLE CHIAVE Abs o strumenti finanziari, emessi a fronte di

operazioni di cartolarizzazione, del tutto simili alle normali obbligazioni. L'acronimo sta per asset-backed

securities, ovvero obbligazioni garantite dalle attività, dagli asset dell'ente che li emette. Banche o società

finanziarie creano gli Abs attraverso società Spv, special purpose vehicle, alle quali conferiscono una serie di

crediti, per esempio mutui. Le Spv, a loro volta, emettono obbligazioni usando a garanzia proprio i crediti loro

conferiti.

Covered bond Sono obbligazioni garantite emesse da banche o istituzioni finanziarie. Questo tipo di

obbligazione è di solito caratterizzata da un profilo di rischio basso per l'investitore. I covered bond si basano

sulla garanzia che sta alla base della loro emissione: un insieme di attività ben definite e di un valore certo.

Vengono emessi per finanziare un progetto, e chi li sottoscrive affronta un livello di rischio inferiore ad altre

emissioni. Il rating assegnato è superiore di quello dell'emittente.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 42

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LA MANOVRA BCE/2 Per investire serve più della liquidità Alessandro Plateroti «Oggi è una grande giornata per gli investitori in euro-bond!». Tra i tanti commenti entusiastici degli analisti

sulla manovra di Mario Draghi, il più appropriato sembra proprio questo. Perché ancora una volta dalla

grande crisi del 2008, le massicce iniezioni di liquidità hanno stabilizzato il sistema finanziario ma non hanno

rilanciato quello industriale, il lavoro e i redditi delle famiglie. Sono le banche e i grandi intermediari finanziari,

che oltre a beneficiare di tassi di interesse a zero, avranno la possibilità di fare cassa sui derivati che hanno

in portafoglio, dai cosiddetti Abs (cartolarizzazioni di prestiti alle imprese) ai Covered bond (obbligazioni

garantite da mutui fondiari): per loro, come dimostra il volo spiccato in Borsa dai titoli finanziari e bancari, si

profila un lungo periodo di raccolta a basso costo e di maggiore disponibilità di contanti e titoli di Stato da

contabilizzare nel patrimonio di vigilanza.

Non che tutto ciò non sia importante: un sistema bancario e finanziario ben capitalizzato e con abbondanza

di risorse da impiegare è nell'interesse di tutti gli attori del mercato, dalle aziende industriali e di servizio che

hanno bisogno di finanziamenti fino alle famiglie che vogliono chiedere prestiti e mutui. Ma il problema di

fondo che ha provocato la paralisi degli investimenti industriali in Italia e nelle altre economie deboli

dell'Eurozona, l'aumento della disoccupazione, la caduta dei consumi, la frenata dei redditi e in ultima analisi

il palese rallentamento della crescita economica in mezza Europa non è risolto affatto: il denaro non si chiede

se mancano le condizioni per remunerare gli investimenti o per indebitarsi per la famiglia. In altre parole, la

disponibilità di denaro in quanto tale serve a ben poco se le economie non ricominciano a crescere.

Alessandro Plateroti

Non è un caso se le stesse banche ripetono da tempo che il vero problema non è la prudenza nella

concessione del credito, ma la domanda stessa di credito. E come è noto, solo un miglioramento delle

aspettative economiche può rimettere in moto la domanda di credito e quindi riavviare la crescita in modo

generalizzato.

Inquadrata in questi termini, dunque, la manovra della Bce ha cambiato ben poco nelle aspettative degli

imprenditori e delle famiglie. Certo, il taglio dei tassi e le altre misure di aumento della liquidità hanno favorito

immediatamente una caduta del cambio euro/dollaro - condizione necessaria per recuperare competitività

nell'export extra-europeo - ma alle imprese servono oggi segnali ben più forti. E questi non possono che

venire dalla politica: da quella europea, in primo luogo, ma anche anche dalle politiche fiscali nazionali. Ormai

è chiaro a tutti che per uscire dalla recessione, sbloccare la stagnazione o recuperare slancio nella crescita,

le misure «straordinarie» varate dalla Bce devono essere accompagnate da misure altrettanto «straordinarie»

da parte di Bruxelles: dare maggiore flessibilità ai governi che hanno l'economia nel tunnel nel rigido rispetto

dei parametri imposti dal fiscal compact e dal tetto nel rapporto deficit/pil; varare politiche coraggiose di

investimenti europei nelle infrastrutture e nel sostegno delle aree ad alta crisi occupazionale. Tutto ciò non

per tornare alle spese pazze e alla finanza pubblica allegra, ma per liberare risorse ormai più che mai

necessarie da destinare agli investimenti e soprattutto al cuneo fiscale, che in Paesi come l'Italia è ormai a

livelli insostenibili.

Non si capisce per quale motivo la flessibilità che i Governi dell'Eurozona hanno garantito fino all'azione della

Bce non possa essere estesa anche alle politiche di bilancio nazionali, vista l'emergenza economica che

riguarda ormai anche i paesi più forti come la Germania. Ciò non significa accantonare le riforme, anzi: una

maggiore flessibilità a fronte di impegni precisi nell'attuazione delle riforme significa entrare in percorso di

ripresa a breve, a medio e soprattutto a lungo termine, quando ciò gli effetti benefici delle riforme strutturali si

dovrebbero manifestare nella loro pienezza.

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L'ANALISI Se gli Abs diventano «buoni» Isabella Bufacchi Dalle cattive cartolarizzazioni alle buone cartolarizzazioni. Dai Cdo squared sintetici, le famose salsicce di

mutui subprime che misero in ginocchio il mondo finanziario, agli Abs "trasparenti e chiari" di Mario Draghi

acquistati dalla Bce per aumentare il credito all'economia. Ebbene sì, per rilanciare occupazione e crescita

tutti dovranno fare la loro parte, persino le asset backed securities.

Per rafforzare la crescita dove langue, o per farla tornare dove non c'è più, si bussa a tutte le porte. Anche a

quella delle cartolarizzazioni, sofisticati strumenti di finanza strutturata che però nell'immaginario collettivo

sono ancora visti male, sono più cattivi che buoni, sono inaffidabili.

E invece non c'è da sorprendersi se si torna proprio lì, alle asset backed securities, con il bollino blu della

Bce. Tecnicamente, si tratta di titoli obbligazionari come tanti, con rating dalla "AAA" alla "B" che pagano

cedole e che vengono emessi solitamente da società-veicolo, vere scatole vuote. La spv acquista portafogli di

asset (da qui asset backed securities) come i prestiti alle Pmi, i mutui residenziali o commerciali ipotecari, i

contratti di leasing. Acquista asset con il ricavato dell'emissione degli Abs e poi paga cedole e rimborso del

capitale con i flussi di cassa generati dagli asset stessi. La rivitalizzazione delle cartolarizzazioni avrà un

duplice effetto benefico: libera spazio nei bilanci delle banche e nei portafogli a reddito fisso dei grandi

investitori istituzionali e dunque crea liquidità che va reimpiegata. E contribuisce alla disintermediazione del

sistema bancario. Il secondo obiettivo è più nobile del primo.

Una delle carenze strutturali dell'Europa e dell'Italia è la dimensione troppo piccola del mercato dei capitali

rispetto al Pil e un eccessivo "bancocentrismo": l'economia viene finanziata principalmente dalle banche,

meno da bond ed equity. Dopo il crack di Lehman e il fallimento di decine di istituti bancari europei, le banche

si sono dovute assoggettare a più regole, più vincoli. Il trend che ne è conseguito è il cosiddetto deleveraging,

i bilanci bancari sono più solidi con più capitale e meno rischi. Il mondo è un posto più sicuro rispetto al 2007,

è questa la tesi, ma questa evoluzione è traumatica per un sistema economico bancocentrico e genera

un'aggravante in recessione: il cavallo non beve ma in aggiunta chi deve portare l'acqua al cavallo non ha

mezzi (o voglia) per farlo.

La parola d'ordine è dunque disintermediare le banche, in qualsiasi modo: ecco allora che al fianco delle

obbligazioni societarie spuntano i mini-bond, e con le cartolarizzazioni la Bce ritorna sui covered bond

(speciali cartolarizzazioni od obbligazioni bancarie garantite perchè contano su una doppia garanzia, il

portafoglio degli asset cartolarizzati e il patrimonio delle banche che le emettono). Per le infrastrutture si

scommetterà sempre di più sui project bonds, e per il mercato immobiliare si sta finalmente mettendo il turbo

alle SIIQ. Draghi è stato esplicito. Rispondendo a un giornalista ha spiegato che lo strumento delle

cartolarizzazioni è di per sè buono ma può diventare cattivo per colpa del tipo di asset cartolarizzato. O per

l'opacità, mancanza di standardizzazione. Ed è stato ancora più esplicito quando ha affermato che la Bce

acquisterà per esempio mortgage-backed securities (cartolarizzazioni di mutui per l'acquisto di abitazioni o

altro) e lo farà dalle banche e dagli investitori istituzionali: la liquidità così creata, però, non si sa dove andrà a

finire, se tornerà al mercato immobiliare o prenderà altre strade.

La porta delle cartolarizzazioni si apre su un mercato di finanza strutturata da rivitalizzare e che avrà bisogno

di lunghi anni per riaffermarsi e per fare veramente la differenza. Gli importi al decollo sono incerti. E la Bce

dovrà risolvere entro i primi di ottobre il problema dei criteri di acquisto, in quanto il mercato è molto

frammentato, gli abs e i covered bond sono popolari in alcuni paesi, meno in altri, in alcuni casi la Germania

la fa da padrone, proprio lei che non soffre di credit crunch. A fare veramente la differenza sarebbero gli

eurobond, i titoli di debito europeo emessi con un budget europeo e frutto di quella fiscalità condivisa comune

europea a cui Draghi ha fatto riferimento ancora una volta ieri: ma quella porta, la porta degli eurobond, resta

chiusa. Perchè nessuno ci si avvicina e prova a bussare.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 44

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Germania 452 Fonte: Ecbc

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La crisi dell'acciaio. Le banche concedono 250 milioni in due tranche da 125: la seconda quando sarà definitoil socio PUGLIA All'Ilva arriva il prestito-ponte Ammessa alla due diligence anche Jindal, interesse di Emirates Steel Industries IL FINANZIAMENTO AIA Ilcommissario Gnudi ha attivato la procedura per poter utilizzare i fondi sequestrati alla famiglia Riva a Milano Domenico Palmiotti TARANTO

Sbloccato. Nell'incontro di ieri a Milano col commissario Piero Gnudi, cinque banche (tra cui Intesa e

UniCredit) hanno detto definitivamente sì al prestito ponte all'Ilva. Nel frattempo, l'azienda ha deciso di

pagare il 12 settembre, insieme allo stipendio di agosto, anche la rata trimestrale del premio di risultato che

va in scadenza lo stesso giorno. L'altro ieri aveva invece proposto ai sindacati metalmeccanici uno

slittamento a dicembre.

I primi 125 milioni arriveranno intorno al 12 settembre e a breve la seconda tranche di pari importo, dicono

fonti aziendali. E proprio questo avrebbe spinto l'Ilva a mettere in pagamento anche il premio. L'operatività

aziendale, con le due tranche in sequenza, sarebbe assicurata. In realtà, pare che la seconda tranche possa

arrivare quando l'investitore estero interessato all'acquisizione dell'azienda, avrà meglio specificato la sua

offerta. Che potrebbe essere Arcelor Mittal, gruppo franco indiano oggi in pole position, ma anche il gruppo

indiano Jindal, ammesso ad effettuare la due diligence sull'Ilva come ha confermato Gnudi agli istituti di

credito. In verità, il commissario ha parlato anche di un terzo investitore ma non ha fatto nomi al riguardo. Da

fonti sindacali si apprende però che potrebbe trattarsi di Emirates Steel Industries, produttore siderurgico

degli Emirati Arabi, che peraltro a giugno ha annunciato di aver ottenuto nuove linee di credito per un valore

complessivo di 1,3 miliardi di dollari da 19 banche nazionali ed internazionali. Ed una di queste linee andrà a

rifinanziare una già attiva, mirata a supportare i piani di espansione della società. Le stesse fonti, tuttavia,

ritengono poco probabile che Jindal, in corsa anche per la Lucchini di Piombino, ed Emirates Steel possano

essere della partita. Si attende perciò di vedere le nuove mosse di Arcelor Mittal che, dopo aver confermato

la propria manifestazione di interesse a Gnudi e al Governo, si è impegnato a presentare il piano industriale

entro fine mese. Tra l'altro Arcelor Mittal è stato il primo a vedere gli impianti di Taranto con una sua

delegazione di tecnici e l'impressione ricavata è stata positiva.

Tornando invece al prestito ponte, 250 milioni è la cifra che Gnudi, a due mesi dalla nomina da parte del

Governo, porta complessivamente a casa. Il commissario aveva chiesto molto di più nell'incontro della prima

metà di luglio: 650 milioni. E lo aveva fatto sulla base di un calcolo che metteva insieme necessità operative

della società, arretrato da pagare ai fornitori, lavori di risanamento ambientale del sito di Taranto. Ma si capì

subito che le banche quella somma non gliel'avrebbero data perchè lo scenario dell'Ilva era ancora nebuloso,

nè Arcelor Mittal aveva esplicitato meglio il suo interesse come ha poi fatto in seguito.

La partita del prestito non comincia con Gnudi ma con l'ex commissario Enrico Bondi nell'inverno scorso.

Bondi incontrò più volte le banche (inizialmente si parlò di 300 milioni, poi di cifre superiori) ma non ottenne

nulla. Le banche non erano convinte del piano dell'ex commissario e non solo per i costi che presupponeva

(4 miliardi tra risanamento ambientale e investimenti industriali), seppure spalmati sino al 2020, ma anche per

la scelta di Bondi di puntare sul preridotto di ferro e sul gas in alternativa all'agglomerato di minerali e alla

cokeria. Arrivato poi Gnudi, ha cominciato a lavorare su due fronti: il prestito, perchè nel frattempo la crisi di

liquidità dell'azienda si era aggravata, e la cessione dell'azienda. Ricostruendo però al tempo stesso, con una

serie di nomine, anche un vertice dirigenziale in grado di governare l'Ilva in una fase difficilissima.

Il primo obiettivo è stato centrato, ora resta l'altro, per il quale Gnudi si è dato la fine dell'anno o l'inizio del

prossimo. Parte delle risorse in arrivo andranno a coprire l'esposizione maturata verso le aziende

appaltatrici.Difficile, invece, che col prestito Gnudi riesca a finanziare parte del piano dell'Aia, che a luglio del

prossimo anno dovrà vedere l'80% delle prescrizioni eseguite.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 46

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© RIPRODUZIONE RISERVATA 2013 165 2013 311 Cina 1995 95 2030 879 2013 779 Africa e Medio

Oriente Altri Paesi asiatici 1995 22 1995 194 2030 82 2030 286 2013 I RICAVI DELL'ILVA Dati in milioni di

euro e var. % sull'anno precedente COME CAMBIA LA GEOGRAFIA DELL'ACCIAIO Dati in milioni di

tonnellate America Europa 1995 157 1995 285 2030 173 2030 305 2013 165 2013 311 Cina 1995 95 2030

879 2013 779 Africa e Medio Oriente Altri Paesi asiatici 1995 22 1995 194 2030 82 2030 286 2013 42 2013

280 3.000 4.000 5.000 6.000 4.606 3.965 4.229 4.468 4.880 5.032

OBIETTIVI E RISORSE1,8 miliardi

L'Aia

Il costo complessivo delle misure per il risanamento ambientale dell'Ilva ammonta a 1,8 miliardi di euro. A

questo scopo il commissario Piero Gnudi si è attivato per utilizzare i soldi sequestrati ai Riva dalla Procura di

Milano per reati fiscali e valutari

800 milioni

I cantieri da avviare

È stimata in 800 milioni la somma necessaria all'Ilva per adempiere alle prescrizioni dell'Aia fino al giugno del

2015

125 milioni

Nuove risorse

Una tranche, pari a 125 milioni, delle nuove disponibilità garantite dal prestito ponte con le banche

arriverànelle casse dell'Ilva già la prossima settimana. La seconda tranche, di pari importo, sarà versata

quando l'investitore estero interessato all'azienda formalizzerà la sua offerta

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L'ANALISI Una boccata d'ossigeno per evitare il collasso Paolo

Bricco Pochi (e quasi) subito. Alla fine, le banche hanno fatto quello che dovevano fare. Ma non hanno

rinunciato alla prudenza con cui avevano ascoltato, a fine luglio, la richiesta del commissario Gnudi (650

milioni di euro) chiarendo da subito che non avrebbero fatto affondare l'Ilva in un mare di debiti, ma che

nemmeno avrebbero corso rischi impropri. Duecentocinquanta milioni di euro sono la cifra base per evitare -

sul breve periodo - l'asfissia finanziaria. In realtà, però, l'ossigeno subito pompato in vena all'Ilva equivale al

50% di questo importo. Centoventicinque milioni. Sarà questa la cifra che, la prossima settimana, verrà

accreditata sui conti della società commissariata. Se pensate che il debito consolidato verso i fornitori

ammonterebbe ormai a 350 milioni di euro, ecco che questa prima somma appare - in tutta sua evidenza -

quella che è: il minimo per evitare che tutto vada a rotoli, per ridare un poco di fiato al circolante, per saldare

le prime fatture e (soprattutto) per accompagnare la ricerca di un investitore straniero. Soltanto quando ci

sarà un passaggio effettivo - concreto, con numeri e piani industriali - legato a quest'ultimo, le banche

accrediteranno all'Ilva gli altri 125 milioni. L'auspicio - e la fiducia del commissario - è che questo avvenga

prima possibile. In un contesto segnato così dalla prudenza i dirigenti di Unicredit, Intesa Sanpaolo e Banco

Popolare hanno accolto con interesse l'informazione che altri due gruppi stranieri sono intenzionati a fare una

due diligence sull'Ilva. Arcelor Mittal, dunque, non è la sola. Pare scontato che un gruppo interessato all'Ilva

sia Jindal: la visita attesa per questa settimana in acciaieria è stata rimandata per un problema di visti dei

suoi tecnici. Vedremo chi altro, nelle prossime settimane, busserà a Taranto. Di certo, l'esistenza di un

interesse concreto per rilevare l'acciaieria restituisce un minimo di serenità. Anche se la prudenza dei

banchieri dimostra quanto ci sia ancora da fare - sul piano del capitale e della finanza di impresa - per

mettere del tutto in sicurezza uno dei cardini della siderurgia (e della manifattura) del nostro Paese.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 48

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L'ANALISI Da Draghi e dal dollaro una spinta in più Marco

Ferrando Proprio un mese fa, il 5 agosto, il titolo Fiat si preparava a precipitare verso quota 6,4 euro,

toccando i minimi dell'anno. Ieri invece ha chiuso a 7,68 euro, riportandosi sui valori di luglio, prima che - con

l'assemblea straordinaria - si aprisse il bailamme

sul recesso.

Evidentemente ora soffia un'aria diversa sul Lingotto, e non solo perché intanto lo spauracchio del recesso è

scacciato; tra le novità degli ultimi giorni che potrebbero tradursi in effetti positivi per Fiat ci sono anche i piani

della Bce, con l'accelerazione data ieri da Mario Draghi che - prevedono gli analisti - potrebbe spingere al

rialzo i listini europei: se il titolo Fiat si stabilizzerà oltre quota 7,7 euro, il prezzo a cui il gruppo dovrebbe

riacquistare le azioni oggetto di recesso, sarà altamente improbabile che si trovi a doverlo fare. Altro punto, la

corsa del dollaro: per un gruppo che nel 2013 ha registrato oltre la metà degli utili in area Nafta e che

compilerà i suoi bilanci in euro almeno fino al 2015, non c'è che da guadagnarci da un biglietto verde un po'

più forte di oggi.

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L'ANALISI Un sistema che viene bocciato senza appello Giorgio

Santilli Non sono pochi coloro già al lavoro in queste ore per sminuire il valore storico della pronuncia della

Corte Ue che spazza via le tariffe obbligatorie (travestite da costi minimi) per l'autotrasporto. Soprattutto sul

versante delle associazioni di autotrasportatori si sostiene infatti che la sentenza è relativa a un sistema

ormai superato, in quanto è stata cancellata dalla legge italiana la procedura che affidava all'Osservatorio per

l'autotrasporto la definizione dei costi minimi e addirittura è stato soppresso l'Osservatorio, riportando la piena

titolarità in capo al ministero dei Trasporti. Ma questa valutazione è sbagliata perché si regge

sull'enfatizzazione dei dettagli e ignora la sostanza della sentenza. Se è evidente che la norma di legge

impugnata e condannata è quella vigente in quel momento, è altrettanto chiaro dal dispositivo che il sistema

delle tariffe obbligatorie travestite da costi minimi viene messo radicalmente in discussione. La

determinazione dei costi minimi d'esercizio - scrive la Corte - «impedendo alle imprese di fissare tariffe

inferiori a tali costi, equivale alla determinazione orizzontale di tariffe minime imposte». E ancora: «La

determinazione dei costi minimi di esercizio per l'autotrasporto, resa obbligatoria da una normativa nazionale

quale quella controversa nei procedimenti principali, è idonea a restringere il gioco della concorrenza nel

mercato interno». Quanto al legittimo obiettivo di tutelare la sicurezza stradale, «la determinazione dei costi

minimi di esercizio non risulta idonea né direttamente né indirettamente a garntirne il conseguimento». Una

bocciatura senza appello del sistema dei costi minimi, non della procedura di definizione.

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L'intervista "Draghi coraggioso ma è solo il primo passo restano da abbattere leresistenze tedesche" Nouriel Roubini L'economista della New York University: "La vera soluzione della crisi di Eurolandia soloquando la Bce acquisterà titoli di Stato" La Bundesbank fa un'opposizione preconcetta. La Merkel è piùrealista, ma ha problemi interni "Le riforme di Renzi? Misure così strutturali che hanno bisogno di due-tre anniper registrare effetti" Ora le nostre previsioni sull'Italia sono peggiorate: chiuderete anche quest'anno inrecessione EUGENIO OCCORSIO "CERNOBBIO. «Il giudizio sulle misure intraprese da Draghi non può essere che positivo. Ha avuto coraggio,

ha fatto un passo nella direzione giusta. Però una vera svolta, e la possibile soluzione duratura al dilemma

della crescita europea, verrà solo in presenza di un vero e proprio quantitative easing , l'acquisto massiccio e

generalizzato di titoli privati e pubblici da parte della Bce». Nouriel Roubini, il guru della New York University,

è arrivato ieri sera a Villa d'Este dove da stamattina si confronterà con i governanti di tutta Europa nel forum

di AmbrosettiThe European House.E terrà fermo il punto: l'eurozona è tuttora in una crisi gravissima, per cui

serve una totale rivoluzione sia nelle politiche dei governi che in quelle monetarie. E la combinazione delle

due. «Occorre passare senza più reticenze né preoccupazioni a un mix decisamente espansivo, in una

misura mai vista prima».

Però non negherà che c'è stato un grosso passo in avanti.

Draghi poteva fare di più? «Non è un caso che abbia ripetuto due volte nella conferenza stampa che il voto

nel board non era unanime. Inutile dire chi si era opposto. Dobbiamo rassegnarci: la Bundesbank fa il suo

mestiere di controllore della mo neta con un'opposizione che definirei preconcetta a qualsiasi iniziativa che

crei anche un minimo di rischio. Non dimentichiamo che dietro lo stendardo dell'indipendenza si oppose alla

riunificazione tedesca, al cambio uno-uno del marco, perfino alla costruzione dell'euro. Il fatto che Draghi

abbia sfidato questa posizione è importante. E indica che tutto sommato la Merkel non si era dimostrata

troppo contraria a Draghi nelle famose telefonate post-Jackson Hole».

Vuol dire che la Cancelliera recita due parti in commedia? «Semplicemente, è una politica: deve fronteggiare

intanto un'economia tedesca in semirecessione, e non ci facciamo illusioni che qualche dato positivo appena

uscito (gli ordini nel settore manifatturiero sono cresciuti del 4,6% contro un consensus dell'1,5%, ndr )

significhi cheè già tornato il sereno. Poi deve vedersela con un'opposizione interna sempre più fortemente

antieuropea, e ci sono i falchi nel governo e nella Bundesbank, e poi ancora la Corte di Karlsruhe, e tutti si

oppongono sempre e comunque a qualsiasi misura che abbia minimamente il sentore della solidarietà. Lei

personalmente è molto più realista, costruttiva e aperta al dialogo». E l'Italia? «Purtroppo qui non ci sono

neanche quei dati estemporanei positivi. Le nostre previsioni sono peggiorate: dai calcoli prospettici basati sui

vari indici di fiducia delle imprese e dei consumatori, appena tornati sotto il livello di guardia di 50 dopo che in

primavera erano arrivati a 54, deduciamo che l'Italia chiuderà l'anno in recessione. Non c'è nessun segnale

che faccia sperare in una chiusura positiva di questo trimestre e tutt'al più si registrerà un +0,2% nel quarto.

Non basterà per riequilibrare la pessima prima parte dell'anno. Nel 2015 ci dovrebbe essere una lieve ripresa

nell'ordine dello 0,60,7%». Ma come giudica il passo del governo Renzi sulle riforme? «C'è qualche lentezza,

però siamo onesti: sono misure così strutturali che hanno bisogno di due-tre anni, non di qualche mese, per

dispiegare i loro effetti, Certo, prima si comincia...» Torniamo alla Bce: quello varato ieri è un quantitative

easing sotto mentite spoglie? «Per ora è un credit easing.

Anche se non è proprio un bazooka , le misure sono coraggiose e vicine ai limiti: -0,2% nei depositi per

esempio è ad un passo dalla soglia del -0,25% oltre la quale c'è il disordine monetario.

E poi Draghi ha sciolto bene l'equazione delle asset backed securities. Il dibattito era sull'opportunità di

rendere retroattive le misure, il che poneva il pericolo di trattamenti privilegiati per questa o quella banca. L'ha

risolto garantendo la massima attenzione su questo punto cruciale. Però, rendendosi conto dell'urgenza

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 51

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dell'intervento, non si può non comprare qualche titolo preesistente, sennò c'è da aspettare troppo per

redigere eventuali nuovi regolamenti, fare i finanziamenti, cartolarizzarli e rivenderli. Inoltre ha esteso la

misura ai covered bonds costruiti tra l'altro con i mutui immobiliari, ampliando così il raggio d'azione. Con tutte

queste misure si potrà arrivare ad un trilione di moneta fresca entro un anno. E non dimentichiamo che fra

poco ripartiranno gli Ltro, i finanziamenti agevolati alle banche che non avranno più scuse per non

interrompere il credit crunch ».

Ma questo benedetto quantitative easing che sarebbe il colpo finale, vedrà alla fine la luce o no? «Credo di

sì. Quella di ieriè stata una mossa di avvicinamento.

Per fine anno, la Bce comincerà a comprare titoli». PER SAPERNE DI PIÙ www.confcommercio.it

www.economonitor.com/nouriel

Foto: ECONOMISTA USA Nouriel Roubini è nato a Istanbul, ma ha vissuto a lungo in Italia. È cittadino

americano e insegna alla New York University

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 52

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PRIVATIZZAZIONI/ PRONTA LA DOCUMENTAZIONE PER CONSOB, VIA LIBERA A NOVEMBRE RaiWay già corre verso la Borsa "Ma dovete cedere meno del 40%" Anzaldi (Pd): "Viale Mazzini ha subìto tagli per 150 mln, non ecceda nella dismissione" VITTORIA PULEDDA MILANO . Il processo di privatizzazione delle torri di trasmissione della Rai entra nel vivo. Il cda della società televisiva

ha dato il via libera alla vendita di una quota di minoranza di RaiWay finalizzata alla quotazione. Inoltre i

consiglieri hanno approvato - all'unanimità dei presenti - i documenti per il filing presso Consob e Borsa

Italiana.

Insomma, la macchinaè stata avviata. Non senza immediate polemiche: il deputato del Partito democratico e

segretario della commissione di Vigilanza Rai, Michele Anzaldi, ha criticato che si voglia mettere sul mercato

una quota valutata circa 400 milioni (di cui si è parlato sulla stampa) quando invece alla Rai sono stati tagliati

fondi per 150 milioni (ed è quello l'importo che teoricamente andrebbe recuperato con la vendita di RaiWay).

Critiche e richieste di incontro urgente con il direttore generale Luigi Gubitosi anche da parte dell'Usigrai (il

sindacato giornalisti Rai).

L'obiettivo comunque è di fare in fretta, presentando quanto prima il filing alla Consob, per arrivare entro la

prima metà di novembre in Borsa. Nel frattempo sono già partite le operazioni propedeutiche ad avere il disco

verde da parte dell'Authority, comprese una serie di nomine (interne) per coprire ruoli esecutivi finora

esercitati dalla controllante Rai. Allo stesso modo, il debito ora infragruppo (un centinaio di milioni) dovrebbe

passare direttamente alle banche.

Se il quadro è chiaro, sui dettagli della quotazione non sono ancora state prese decisioni vincolanti,

dall'azienda e dalle banche collocatrici (Banca Imi, Mediobanca e Credit Suisse, mentre Bnp e Citi faranno da

joint bookrunner): a quanto risulta il decreto della presidenza dei ministri parlerà infatti di una quota compresa

tra il 25 e il 49% dell'azienda. E' probabile che ci si indirizzi verso una quota importante da offrire sul mercato,

intorno al 40%, di cui una parte significativa ma non preponderante andrà ai risparmiatori.

L'obiettivo, infatti, resta quello di tenere l'enfasi sulla componente istituzionale (e in particolare estera) anche

se verrà riservata molto probabilmente una percentuale ai dipendenti (che in genere in occasione di società

privatizzate vengono incentivati dalla distribuzione di bonus). Tutti dettagli ancora allo studio e che devono

ancora passare il vaglio dei consulenti finanziari ma anche, vista la specificità della società (una controllata

Rai) trovare il gradimento del mondo politico. In termini di capitalizzazione si sta ragionando su un valore che

dovrebbe oscillare trai 900 milionie il miliardo, sulla base di un multiplo vicino a 10-12 volte l'Ebitda (in linea

con i competitor). Il punto di forza della società è il contratto, appena confermato per sette anni e rinnovabile

per altrettanti, con la Rai, per 170 milioni annui. Un flusso di cassa certo, quindi, ma sulla base di un accordo

flessibile, con clausole che dovrebbero permettere, negli anni futuri, altri possibili accordi per la vendita del

segnale a terzi (oltre che alla stessa Rai).

150 mln FONDI PUBBLICI Dopo il taglio dei fondi statali, la Rai quota Raiway (ripetitori)

05/09/2014 26Pag. La Repubblica - Ed. nazionale(diffusione:556325, tiratura:710716)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 53

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IL PUNTO Agosto bagnato ma fortunato per le autostrade e gli scali romani diAtlantia La società proprietaria di Asi e Adr aumenta il traffico dei due settori ben al di sopra delle previsioni SARA BENNEWITZ MILANO. A dispetto del maltempo, della crisi, e delle cassandre, Atlantia annuncia un traffico in forte crescita

sia sulle autostrade che negli Aeroporti di Roma. Eppure in agosto ha piovuto in tutta l'Italia e le temperature

fredde e i portafogli magri hanno portato milioni di cittadini a cancellare le vacanze. Gli analisti non se

l'aspettavano, per il mese stimavano un calo del traffico autostradale dell'11,5% e una crescita degli scali

romani di oltre tre punti percentuali, grazie al contributo del turismo. Invece il gruppo guidato da Giovanni

Castellucci ha annunciato che nel solo mese di agosto il traffico nelle autostrade è salito dello 0,7% e nel

periodo di esodo estivo (28 luglio/31 agosto 2014) è aumentato dell'1,6%.

Complessivamente, nei primi otto mesi del 2014 sulla rete di Autostrade per l'Italia i chilometri percorsi sono

cresciuti dell'1% rispetto al 2013. Meglio è andata ad Adr, che nel bimestre luglio-agosto ha registrato un

incremento dei passeggeri del 6,9% rispetto allo stesso periodo dell'anno prima. Nelle giornate di punta

l'aeroporto di Fiumicino ha raggiunto un picco di 150mila persone, mai registrato in precedenza. Nei primi otto

mesi del 2014 i passeggeri sono saliti a 29milioni, il 5,3% più dell'analogo periodo 2013. Con questi numeri il

titolo ha guadagnato in Borsa quasi il tre per cento sfiorando quota 20 euro e registrando in una seduta gli

stessi scambi collezionati in tutta la settimana di Ferragosto. Da inizio anno la capitalizzazione di Atlantia è

cresciuta del 22% a 16,3 miliardi, valore quasi da bolla che sottende che gli investitori sono disposti a pagare

le azioni del colosso delle infrastrutture ben 23 volte gli utili attesi nel 2014 dalla media degli analisti finanziari.

Non c'è che da sperare che il maltempo continui, forse questa è la ricetta per far aumentare il traffico e

permettere alle azioni Atlantia di rivedere i massimi storici del 2007 (a quota 23,7 euro). Basta che a piovere

non siano i realizzi, dopo i guadagni collezionati negli ultimi due anni dal gruppo anche grazie al matrimonio

con Gemina-Adr.

Foto: IL MANAGER Giovanni Castellucci, ad di Atlantia che controlla Autostrade per l'Italia e anche AdR

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 54

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R2 L'azionista cinese Fiat, Generali, Telecom, Eni, Enel, Prysmian, ma anche Snam e Terna I fondi, guidati dalla banca centrale diPechino hanno puntato su Piazza Affari circa 5 miliardi. Alleati ingombranti o salvatori? Di certo promettono dirimanere a lungo PAOLO GRISERI IL SIGNOR Zhou Xiaochuan, figlio di un vice ministro dello Sviluppo degli anni di Mao, ha sposato Li Ling,

funzionaria del ministero del Commercio di Pechino, personaggio chiave nelle trattative con Washington al

Wto. Cinque anni fa Forbes aveva definito Zhou e Li «la coppia che l'amministrazione Obama dovrà tenere

d'occhio quando gli Stati Uniti dovranno difendere il loro ruolo negli scambi mondiali». Quel momento è

arrivato. Non solo per gli Stati Uniti.

Negli ultimi giorni di luglio gli uomini di Zhou hanno delegato la filiale torinese di State Street Bank and trust a

presentarsi all'assemblea straordinaria Fiat del primo agosto con due distinti pacchetti di azioni: il più piccolo

ha votato sì alla fusione con Chrysler. Il pacchetto più grande ha votato no. Soprattutto, la stragrande

maggioranza delle azioni Fiat possedute dal signor Zhou non è intervenuta in assemblea.

Perché Zhouè un uomo al di sopra delle beghe dell'alta finanza, è una istituzione: è il governatore della

People's Bank of China, la banca più grande del mondo. Da solo possiede il 2% di Fiat. Non solo di Fiat. In

Italia l'istituto del governatoreè azionista di Telecom, Prysmian, Eni, Enel e Generali.

Negli ultimi mesi ha speso circa 3 miliardi di euro e si sta insinuando nei gangli vitali dell'economia della

Penisola raccogliendo partecipazioni in quello che un tempo era il salotto buono della finanza nazionale. Non

per caso l'istituto guidato dal signor Zhou è entrato nella top ten dei paperoni della Borsa italiana: è all'ottavo

posto con 3,116 miliardi di euro investiti, poco sotto la famiglia Agnelli che ha proprietà per 3,456 miliardi.

People's Bank of Chinaè il principale ma non l'unico grande investitore che si è mosso negli ultimi mesi in

Italia. Il 31 luglio scorso State Grid Corporation of China, la più grande compagnia di servizi pubblici del

mondo, ha acquistato il 35 per cento di Cdp Reti, la holding della Cassa Depositi e prestiti che controlla il

30% di Snam, la società che distribuisce il gas in Italia e il 29,8% di Terna, l'ente gestore della rete elettrica

italiana. I cinesi nomineranno un consigliere di amministrazione nelle due società e due consiglieri su cinque

in Cdp Reti. Per l'operazione il colosso di Pechino (un gruppo da 1,5 milioni di dipendenti che gestisce l'88%

della rete elettrica cinese) ha speso 2,1 miliardi di euro. Tra pochi mesi la distribuzione di energia in Italia

parlerà cinese per un terzo. Qual è l'interesse cinese ad investire in un Paese tanto vituperato, almeno a

parole, dagli investitori e i guru delle borse occid e n t a l i ? « I l r a p p o r t o qualità/prezzo», è la prima

risposta di Cesare Romiti. L'ex presidente di Fiat è oggi alla guida della Fondazione Italia-Cina: «Il made in

Italy è molto apprezzato a Pechino - spiega Romiti - e non stupisce che gli investitori cinesi trovino

conveniente investire da noi. Dirò che le operazioni viste in questa estate saranno seguite a breve da altri

investimenti molto importanti». Certo, il fascino commerciale del made in Italy può spiegare interventi in

campi come la modaoi vini doc. Da maggio la presidente del consiglio di amministrazione di Krizia non è più

la fondatrice, Mariuccia Mandelli, ma la signora Zhu Chon Un di Shenzen Marisfrolg Fashion che ha rilevato

la casa milanese in aprile. E nel Chianti la cascina Casanova-La Ripintura è stata venduta con 5 ettari di

vigneto a una casa farmaceutica di Hong Kong.

«Le classi benestanti cinesi - spiega Romiti - cominciano ad apprezzare le bellezze italiane».

Ma che cosa spinge invecei fondi cinesi ad acquistare quote di Eni, Enel, Generali, Telecom? Non si può

certo sostenere che si tratti di brand identificati con il fascino del Made in Italy. Giuseppe Berta, professore

alla Bocconi e storico dell'industria, invita a non lanciarsi in dietrologie: «Non ci vedrei dietro nessuna

strategia particolare. In questo periodo il mercato internazionale offre agli investitori di Pechino occasioni di

acquisto migliori di quanto non possa proporre il mercato interno cinese». Insomma, anche se si tratta di

investimenti in settori certamente strategici, sono il frutto di scelte finanziare e non i carrarmatini di un risiko.

05/09/2014 32Pag. La Repubblica - Ed. nazionale(diffusione:556325, tiratura:710716)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 55

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Tra gli «importanti annunci»a breve di cui parla Cesare Romiti, potrebbe esserci un rilevante investimento

nel settore dell'automobile. Il 16 ottobre sarà in Italia il premier cinese, Li Keqiang, che insieme a Matteo

Renzi firmerà una serie di accordi commerciali.

Sarà l'occasione per discutere dell'offerta della Brilliance, la casa automobilistica che in Cina produce su

licenza Bmw. Brilliance ha annunciato di voler produrre auto in Italia. Nella sua recente visitaa Termini

Imerese Renzi ha ipotizzato che Brilliance possa subentrare a Fiat per far tornare a funzionare le linee di

montaggio nello stabilimento siciliano. Altre ipotesi parlano di un interesse del costruttore per rilevare la ex De

Tomaso di Torino sfruttando la presenza nell'area piemontese di un vasto indotto dell'automotive che già da

tempo lavora per i costruttori di Pechino. In ogni caso potrebbe essere cinese il primo costruttore di

automobili a rompere il decennale monopolio della Fiat nella Penisola.

Quel cheè comunque evidente è il clamoroso salto di qualità seguito dagli investimenti negli ultimi mesi. Non

sempre però l'iniziativa parte da Pechino. Nel caso di Brilliance, ad esempio, è stato Renzi, nel recente

viaggio in Cina, a sollecitare l'intervento per risolvere la grave crisi di Termini Imerese. Perché, questa è una

delle novità, i capitali cinesi cominciano a funzionare come per decenni hanno funzionato quelli arabi:

intervengono approfittando delle situazioni di crisi scambiando liquidità con ruolo nei consigli di

amministrazioni. Una strada che aveva iniziato proprio la Fiat, nel 1976, quando aveva accettato i capitali di

Gheddafi (salvo poi pagare a peso d'oro la loro uscita di scena nel 1986 per le accuse di terrorismo al

governo di Tripoli) e che è proseguita con altri interlocutori fino a questi mesi: l'ultimo esempio è l'alleanza-

salvataggio di Alitalia da parte degli sceicchi di Ethiad. Gli stessi che negli anni scorsi entrano entrati in

Ferrari quando il Lingotto era in grave crisi. I cavalieri bianchi di domani verranno invece da Pechino? Romiti

si mostra prudente: «Non li chiamerei cavalieri bianchi. La strategia dei cinesi è quella di investire a lungo

termine, anche approfittando di situazioni vantaggiose dovute magari alle difficoltà di qualche società».

Insomma, pare di capire che, una volta arrivati, gli investitori cinesi non se ne andranno tanto presto.

La Banca centrale cinese in Italia * dati in milioni di euro 2,10 % 21 marzo Enel 2,07 % 21 marzo

Telecom 2,08 % 29 luglio Fca 2,0 % 29 luglio quota data di comunicazione valore*

Investimenti cinesi nel mondo (2009-2014) valore di 255 miliardi di dollari, di cui spesi: Operazioni in

Europa da 48,4 miliardi di dollari in Asia Nord America Europa Inghilterra tra Germania, Austria e Svizzera

Francia Benelux Italia Europa del Nord Europa dell'Est Spagna altre nazioni Oceania Africa 26 19 % 15 % 24

% 23 % 11 % 11 % 8 % 8 % 8 % 5 % 2 % 9 %

05/09/2014 32Pag. La Repubblica - Ed. nazionale(diffusione:556325, tiratura:710716)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 56

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Analisi Così il banchiere tesse la tela contro gli ideologi del rigore Gli incontri con Renzi e Hollande e il pressing su Berlino Perdere il controllo dell'inflazione: lo scenariopeggiore [T. MAS.] DALL'INVIATA A BERLINO Mario Draghi è in modalità «whatever it takes», ma basterà? Come nell'estate del

2012, quando l'euro rischiava di saltare e lui sfoderò il «bazooka », lo scudo anti-spread Omt, il presidente

della Bce è perfettamente consapevole della preoccupante traiettoria su cui si è infilata l'eurozona. Stavolta

c'è un rischio di «scenario giapponese», di una stagione di deflazione. E anche se nella conferenza stampa di

ieri lo ha escluso, l'italiano ha ammesso che quando l'inflazione resta bassa per troppo a lungo, le aspettative

sull'andamento dei prezzi rischiano di deancorarsi. I banchieri centrali, cioè, rischiano di non avere più il

controllo sull'evoluzione del principale indicatore cui fanno riferimento e su cui è improntata la loro azione.

L'incubo peggiore, per un guardiano della moneta. Questo spiega i toni preoccupati di Draghi sul

peggioramento del quadro, la sua accelerazione sulle misure e un certo attivismo politico che negli anni

passati ha sempre teso a mantenere riservatissimo: basti pensare agli incontri recenti con Matteo Renzi e

François Hollande. Ma anche ai messaggi recenti, anzitutto nel discorso di Jackson Hole, alla Germania,

azionista di ma g g i o r a n z a dell'azione politica in Europa e soprattutto a Francoforte. Tanto che uno dei

principali passaggi di ieri era rivolto proprio a Berlino: il presidente della Bce ha ricordato che rientra anche

nel mandato dell'Eurotower rendersi conto che l'inflazione «core», quella depurata dalla componente

energetica, è crollata dall'1,7 per cento di luglio del 2012 allo 0,9 di adesso. C'è un rischio concreto di

fallimento delle politiche monetarie. La differenza con l'estate in cui si sfiorò la fine della moneta unica, è che

allora i governi agirono, decidendo a giugno l'unione bancaria e Draghi annunciando a luglio e approvando a

settembre lo scudo antispread. La crisi passò. Il messaggio che il presidente della Bce sta mandando da

qualche settimana è che la Bce non basta, non può far fronte da sola al pericolo di deflazione e prolungata

stagnazione nell'eurozona. Sono scenari troppo complessi per essere debellati soltanto attraverso le politiche

monetarie, persino con un quantitative easing. Sono i governi, ora, che devono affiancare l'Eurotower per

evitare anzitutto un «triple dip», la caduta in una terza recessione in pochi anni e lo scivolamento nell'incubo

dei prezzi negativi. Per mantenere l'obiettivo a medio termine dell'inflazione al 2%, Draghi ha detto ieri

esplicitamente che «le politiche monetarie non bastano: serve la crescita». E per rimettere in moto il Pil, il

presidente della Bce ha indicato a Jackson Hole, il 22 agosto, e ribadito ieri, qual è la tabella di marcia.

Occorre agire attraverso la leva fiscale, insomma creare stimoli. Draghi ammette che c'è un problema di

domanda, non solo di offerta, e suggerisce ai governi di fare investimenti, abbassare le tasse e sfruttare

appieno - previa realizzazione delle riforme strutturali - i margini di flessibilità del Patto. Così ilbanchiere tesse

la tela contro gli ideologidel rigore Gli incontri conRenzi eHollande e il pressing suBerlino Analisi

DALL'INVIATA A BERLINO Draghi, che ha battezzato nel 2011 il «fiscal compact», il simbolo più potente del

rigore à la Merkel, la briglia che costringe i Paesi europei al pareggio di bilancio costituzionale, si è reso conto

che si è in parte trasformata in un cappio. Fare in modo che i Paesi tengano i conti a posto e inondare i

mercati di liquidità non è sufficiente a far ripartire la crescita. Il suo invito di JacksonHole, ribadito ieri, è

dunque anzitutto ai Paesi come la Germania, che hanno trasformato quel rigore in un principio ideologico,

che potrebbero spendere di più e non lo fanno per un impegno puramente formale, quello del primo pareggio

di bilancio dagli anni 60. Meglio, è il messaggio di Draghi, guardare agli anni 30, quelli successivi alla grande

crisi del '29, ed evitare che si ripetano quelli. [T. MAS.]

05/09/2014 2Pag. La Stampa - Ed. nazionale(diffusione:309253, tiratura:418328)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 57

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IL GRUPPO AUTOMOBILISTICO HA ANCHE DECISO DI AUMENTARE IL PRESTITO OBBLIGAZIONARIODA 850 MILIONI DI EURO Recesso sotto i 500 milioni, via libera a Fca Fiat pagherà 463,6 milioni ai soci che chiedono il rimborso delle azioni. Più vicine le nozze con ChryslerGiovedì il lancio del suv Jeep Renegade A ottobre al Salone di Parigi debutta la 500X TEODORO CHIARELLI Alla fine non è stata una vittoria sul filo di lana. Ammonta infatti a 463,6 milioni di euro il controvalore

complessivo del diritto di recesso esercitato dagli azionisti Fiat contrari alla fusione con Chrysler: ben al di

sotto della soglia massima di 500 milioni posta dal cda del Lingotto per la convalida dell'operazione. La

fusione fra le case di Torino e Detroit è dunque sempre più vicina: entro metà ottobre nascerà Fiat Chrysler

Automobiles, la sede verrà trasferita in Olanda e la nuova società sarà quotata al Nyse, la Borsa diNewYork.

La data, come ha detto sabato scorso al Meeting di Rimini l'amministratore delegato Sergio Marchionne,

dovrebbe essere lunedì 13 ottobre. Fiat pagherà agli azionisti che hanno esercitato il diritto di recesso 463,6

milioni di euro, sotto la soglia di mezzo miliardo che, se superata, avrebbe allungato i tempi dell'operazione.

Sono in tutto circa 60 milioni le azioni restituite con un valore di liquidazione di 7,727 euro. Ora ci sono 30

giorni di tempo, da oggi fino al 6 ottobre, per offrirle in opzione agli altri soci. La Fiat ha anche deciso di

incrementare il prestito obbligazionario da 850 milioni di euro con cedola fissa al 4,75% e scadenza luglio

2022, emesso il 15 luglio dalla controllata Fiat Finance and Trade. L'operazione, che è subordinata alle

condizioni di mercato, rientra nel programma Global Medium Term Notes garantito da Fiat Spa. In caso di

riapertura, Fiat Finance and Trade Ltd S.A. richiederà la quotazione dei nuovi titoli emessi, nonché

l'ammissione alle contrattazioni presso il mercato regolamentato irlandese (Irish Stock Exchange). A Piazza

Affari ieri il titolo Fiat ha chiuso con un incremento dell'1,3%. Formalmente c'è ancora un piccolo passo da

fare per completare la procedura verso la fusione: è fissato per il 4 ottobre il termine per le eventuali richieste

dei creditori (il tetto di 500 milioni comprende anche queste, ma il Lingotto ha già detto che non sussiste alcun

rischio). I vertici Fiat, il presidente John Elkann e l'ad Marchionne, non hanno nascosto nei giorni scorsi,

anticipando l'esito delle richieste di recesso, la loro soddisfazione. «Mi rassicura il fatto che la stragrande

maggioranza dei nostri azionisti abbia scelto di continuare nel proprio impegno di azionisti fedeli», ha

commentato il manager italo canadese. L'esponente della famiglia Agnelli, a sua volta, ha spiegato: «La

quotazione sul Nyse darà rà il giusto rilievo all'importanza delle attività del gruppo sul mercato statunitense e

renderà più efficienti le nostre attività di finanziamento». Ora gran parte del lavoro "finanziario" messo in

cantiere da Marchionne sull'asse TorinoDetroit è fatto. Una volta realizzata la quotazione a Wall Street, il 13

ottobre, l'amministratore delegato del Lingotto tornerà a dedicarsi soprattutto al piano industriale, presentato

a maggio a Auburn Hills, in Michigan. L'obiettivo è produrre sette milioni di auto, con 50 miliardi di

investimenti per arrivare nel 2018 all'utilizzo del 100% della capacità produttiva negli stabilimenti in Italia e in

Europa. Dopo il piccolo suv Jeep Renegade, prodotto a Melfi e in commercio a fine mese (l'11 ottobre a

Balocco il lancio con la stampa internazionale), gli occhi sono rivolti alla 500X che verrà presentata a inizio

ottobre al Salone di Parigi. Confermati gli investimenti a Mirafiori per l'avvio della produzione del suv Maserati

Levante a fine 2015, la grande scommessa si chiama Alfa Romeo. Nel capannone "fantasma" di Modena

centinaia di ingegneri sono al lavoro per mettere a punto i nuovi motori "griffati" Biscione e per definire gli

ultimi dettagli dei modelli destinati a far concorrenza alle tedesche nel segmento premium.

Foto: ANSA

Foto: Sergio Marchionne, amministratore delegato del gruppo Fiat­Chrysler

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RILEVATI 11 STABILIMENTI DI UN GRUPPO SUDAMERICANO Parmalat torna a crescere in Brasile Acquisizione da 610 milioni di euro Ma il tribunale chiede a Collecchio di risarcire Citi per 330 milioni LUIGI GRASSIA La Parmalat torna e crescere nel mondo e punta sul Brasile, comprando la divisione latte e derivati del

gruppo Brf per 610 milioni di euro. Per il rinato gruppo di Collecchio è la prima vera e propria acquisizione

dopo il crac dei tempi di Tanzi (che era stato seguito da alcune cessioni) se si esclude il tormentato acquisto

di Lactalis of America nel luglio del 2012. La nuova operazione in Brasile riguarda 11 stabilimenti che nel

2013 hanno fatturato 880 milioni di euro. Così la Parmalat torna a giocare all'attacco in Sud America, dove

(fra l'altro) di recente è tornata proprietaria del marchio - perché il marchio era stato fra le cose che nel

momento più buio aveva dovuto cedere. Il gruppo aveva tentato l'avventura in Brasile già l'anno scorso,

puntando a Lacteos, che era (appunto) titolare del marchio Parmalat nel Paese; ma il gruppo Parmalat non

se l'è sentita di rischiare, a causa delle difficoltà finanziarie in cui versava l'azienda alimentare sudamericana.

Il dossier però si è riaperto recentemente e l'offerta presentata dalla controllata di Parmalat, Lactalis do Brazil,

per acquisire a 83 milioni di euro alcune unità produttive, compresi i marchi, il personale e gli uffici

amministrativi di Lacteos (attualmente in procedura concorsuale), è stata approvata dall'assemblea dei

creditori lo scorso 22 agosto. Riconquistata la piena titolarità del marchio, Collecchio potrà fare leva sui

grandi numeri con Brf Diary. Nel frattempo però arriva una tegola giudiziaria. La Corte d'Appello di Bologna

ha validato per l'Italia una sentenza della Superior Court of New Jersey su richiesta di Citibank. Nel 2008 la

Banca Usa si era rivolta alla Corte contro il gruppo emiliano in seguito al crac. Come risultato, Collecchio

dovrà risarcire gli americani 431 milioni di dollari (ciorca 330,85 milioni di euro). La Borsa non ha gradito: il

titolo, in una seduta euforica sui mercati, ha terminato invariato.

Foto: Collecchio verso il Sud America

05/09/2014 21Pag. La Stampa - Ed. nazionale(diffusione:309253, tiratura:418328)

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il caso Il ritorno dei "grandi vecchi" nelle imprese di famiglia Da Bloomberg a Del Vecchio, così i fondatori riprendono il comando I giovani non fanno squadra e la crisiimpone prudenza SANDRA RICCIO Mr Bloomberg torna di nuovo al timone di Bloomberg. Dopo oltre un decennio di lontananza, il 72enne

fondatore dell'omonimo impero mediatico si riprende il comando del gruppo che aveva creato nel 1981 e che

l'ha reso uno degli uomini più ricchi d'America con un patrimonio stimato in 33 miliardi di dollari. Nel 2002,

dopo aver lasciato l'azienda per fare il sindaco di New York, aveva detto che non sarebbe più tornato sui suoi

passi. Dopo la politica voleva dedicarsi alla beneficenza. E invece, neanche un anno dopo aver lasciato la

poltrona di sindaco della "Grande Mela", ha ripreso l'attività di manager. Le tentazioni del resto non

mancavano. Bloomberg si era sistemato l'ufficio a un passo dalla scrivania dell'attuale ad, il 58enne Dan

Doctoroff, che ha gestito tutto il gruppo dopo la sua uscita. Il ritorno dell'ex sindaco coincide quindi con

l'uscita dell'attuale numero uno e amico di lunga data perché al comando per tutti e due non c'è posto.

Michael Bloomberg non è l'unico a riprendersi le redini. Altrettanto ha fatto, pochi giorni fa, il 79enne

Leonardo del Vecchio che è tornato ai vertici di Luxottica. Un altro irriducibile è l'89enne Bernardo Caprotti. Il

fondatore della catena di supermercati Esselunga si è ripresentato al comando togliendo la poltrona al figlio.

All'estero poi ha fatto parlare la vicenda del fondatore dell'Ikea, Ingvar Kamprad. A 87 anni, l'uomo che ha

arredato milioni di case in tutto il mondo, è ritornato all'ovile. Stessa strada che sta tentando Sergio Tacchini ,

i l 76enne stilista e fondatore dell'omonimo marchio che sta cercando di ricomprarsi l'azienda ora in crisi -

finita in mano ai cinesi. I "seniores" si riprendono le poltrone. Spesso perché non riescono a separarsi dalle

loro creature. Anche la crisi fa però la sua parte. Di questi tempi, ogni mossa sbagliata può significare un

fallimento. Meglio affidarsi alle vecchie volpi che finora non hanno fatto passi falsi. Specie se si tratta di

grandi brand e gruppi quotati come Luxottica o Bloomberg. Il non ritorno del vecchio fondatore, specie nei

passaggi difficili della vita della società, potrebbe mettere in cattiva luce l'azienda davanti ai mercati.

L'impressione è però che ci sia anche un fallimento della generazione dei manager over 40. Di fatto sono

messi senza difficoltà in disparte dai veterani e non riescono mai a scardinarli dalla poltrona. «Il fenomeno nel

nostro Paese, va letto guardando alla capacità di fare gruppo delle generazioni più giovani - racconta Luisa

Bagnoli, ad di Beyond International, società di consulenza direzionale con focus sull'Executive Search -. Non

fanno squadra e per riuscire a soppiantare i leader che hanno posizioni consolidate, di potere, occorre agire

insieme. Invece succede che chi è bravo tende a chiudersi in se stesso e a muoversi con le proprie forze e

basta. Senza fare network». I vecchi leader spesso si sono fatti da soli e mantengono quella vena combattiva

che li ha portati in alto. «Molte volte più che tornare in azienda, non se ne vanno proprio da questa. E' un po'

la prassi nel nostro Paese - dice Luisa Bagnoli -. Da noi una spinta al ringiovanimento sarebbe servita già 30

anni fa e purtroppo non c'è stata. E quindi spesso i manager di oggi, anche se anagraficamente più giovani,

sono già vecchi ancora prima di compiere i 50 anni».

Quando il patron torna al timone n Michael Bloomberg , 72 anni, aveva lasciato l'azienda nel 2002 per

assumere il ruolo di sindaco di New York: ora torna al timone del suo impero dei media creato nel 1981 n

Leonardo Del Vecchio , fondatore di Luxottica, ha lasciato il ruolo di ad nel 2004. Ha ripreso il timone assieme

a due amministratori delegati, il top manager Andrea Guerra è andato via n Ingvar Feodor Kamprad ,

fondatore di Ikea, è ritornato a guidare il colosso dell'arredamento all'età di 87 anni dopo essersi fatto da

parte per lasciare spazio ai figli Peter, Jonas e Mathias

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INTERVISTA PARLA IL CEO DI INTESA, MESSINA AGLI ESAMI LA BANCA RISULTERÀ LA MIGLIORED'EUROPA Saremo campioni agli stress test L'istituto è al top per liquidità, capitale e leverage nel continente. Ed è anche quello dalla dinamica dei ricavipiù forte grazie al lavoro portato avanti con coesione, motivazione e responsabilità dai nostri dipendenti.Draghi è il vero salvatore dell'Europa, ieri ha dato l'ennesima lezione di psicologia Angela Antetomaso e Caroline Roth «Le mosse di Mario Draghi, combinate a quelle ventilate dalla Fed in termini di Qe e di rialzo dei tassi di

interesse, porteranno a un'ulteriore svalutazione dell'euro. Una manna per la nostra economia dominata da

imprese che sono collegate con l'export». Il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, plaude al

coraggio del presidente della Bce che ha voluto prendere il toro per le corna. Domanda. Dottor Messina, le

decisioni della Bce di ieri seguono quelle sui finanziamenti T-Ltro. Che cosa cambierà davvero per le imprese

e per una banca come Intesa? Risposta. La nostra banca ha erogato credito a medio-lungo termine per circa

20 miliardi. Con i T-Ltro ne chiameremo altri 13 miliardi ma, questa volta, con un diverso pricing

consentendoci di dare alle aziende un contributo anche in termini di riduzione del costo del funding: si parla di

40-45 punti base contro uno spread di circa 140. C'è però un'attenzione molto forte alla domanda di credito e

alla sua qualità in un momento in cui il pil è in flessione. D. Mi sembra sia molto positivo su questo aspetto.

Nel Regno Unito, però, l'Fls offriva condizioni molto favorevoli per il credito, ma ciò non ha mai portato grandi

benefici all'economia reale. Come lo spiega? R. Sono convinto che l'iniezione di liquidità alle banche abbia in

generale effetti positivi, ma resto comunque dell'idea che il punto sia la richiesta di credito. Questi strumenti

non possono essere utilizzati per l'acquisto di titoli di stato, ma solo per garantire credito all'economia reale.

Quindi penso che ci potrà essere un aumento della domanda sfruttando anche il programma TLtro. D. Che

cosa sta frenando la domanda? R. In Italia il problema è dovuto alla dinamica interna che è pressoché ferma.

Nel nostro Paese, infatti, sono le famiglie a rappresentare il nostro target principale e la nostra crescita è

principalmente legata alle richieste dei nuclei familiari. In questo periodo, però, i consumi stanno avendo un

brusco calo, la domanda interna non cresce e questo limita le possibilità di un aumento del pil e della

domanda di credito. D. Non solo pil negativo, ma anche deflazione e mancanza di fiducia. R. Forse stiamo

esagerando in termini di pessimismo. Non c'è dubbio che i dati siano diversi rispetto alle aspettative ma

quello che rimane molto solido in Italia è il risparmio delle famiglie, che è il principale pilastro del sistema.

Intesa Sanpaolo ne gestisce circa 800 miliardi, un toccasana per i nostri conti. Una volta passata l'incertezza,

le famiglie torneranno verso i consumi e in questo modo spingeranno il pil. Quindi sono preoccupato ma non

drammatizzo. Anzi, sono moderatamente ottimista. D. C'è la famosa luce in fondo al tunnel, allora? R.

Cominciamo a mettere a frutto la manovra degli 80 euro, che prima o poi avrà un impatto sui consumi. Se

Renzi accelererà, come promesso, nell'azione di governo, nei prossimi sei mesi potremo avere veramente un

recupero nelle condizioni dell'Italia. D. In questo scenario ancora precario i vostri conti semestrali sono stati

positivi ma resta il rebus crediti deteriorati. R. Abbiamo sfruttato la crescita del risparmio gestito e il nuovo

modello incentrato sullo sviluppo del wealth management che ha dato sostegno ai ricavi. Oltre a essere la

miglior banca in Europa, per capitale, liquidità e leverage, oggi siamo la miglior banca proprio per tasso di

crescita dei ricavi. D. Qual è il punto più significativo della gestione Messina? R. C'è stato un fortissimo

coinvolgimento delle persone che lavorano in Intesa nell'ideazione dei progetti, nella loro messa in atto e

nella condivisione dei risultati. E la responsabilizzazione e la motivazione di tutti ci ha consentito di viaggiare

a ritmi molto alti, anche superiori rispetto alle nostre aspettative. D. Per quanto riguarda le partecipazioni,

venderete tutto? Lascerete Telco anche se entrasse Vivendi? R. Il nostro piano è molto chiaro. Vogliamo

uscire da queste partecipazioni perché spesso oscurano quanto facciamo per l'economia reale. Abbiamo 400

miliardi di affidamenti ma sembra che abbiano un valore inferiore. Quindi è assolutamente indispensabile che

la banca esca da tutte le sue partecipazioni, Telco compresa. D. Come vi state preparando all'Asset quality

review, agli stress test e a tutti gli altri appuntamenti importanti nei prossimi mesi? R. Sono convinto che al

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termine di Aqr e stress test, Intesa Sanpaolo risulterà la miglior banca d'Europa. È un messaggio che ripeto

da mesi e del quale sono sempre più convinto giorno dopo giorno. D. Non molto tempo fa si parlava di aiuti

della Bce alle banche italiane. Era un pericolo concreto? R. Per noi no. Abbiamo portato avanti un

programma molto duro di rafforzamento: crescita della liquidità, del capitale e delle riserve. Quello che

abbiamo costruito negli anni di crisi è quello che ci consente adesso di avere vantaggi nel caso in cui il

mondo, e l'Europa in particolare, tornasse a crescere anche leggermente. Le aziende che lavorano

duramente durante le fasi difficili, di solito scattano subito dai blocchi quando il trend generale si inverte.

Quello che per noi è importante è lo spread Btp/Bund: se rimane nel range 150-200 o meno avremo un

fortissimo vantaggio sul fronte del wealth management e quindi una robusta crescita dei ricavi. Questa è

l'area strategica della banca, dove stiamo investendo e da dove incameriamo i migliori risultati. D. Che cosa

cambia col tasso sui depositi al 0,2%? R. Poco o nulla sui conti, molto sotto il profilo psicologico perché

dimostra la volontà di adottare una politica monetaria finalizzata a frenare l'euro. Di questo sono

assolutamente convinto. D. Da banchiere, come si sta comportando il banchiere centrale Draghi, che in

quanto italiano è stato inizialmente accolto con un pochino di pregiudizio ma che adesso effettivamente

piace? R. Sono convinto che durante questi anni che ha passato l'Europa, l'istituzione che ha gestito meglio

la crisi sia stata la Bce in generale e Mario Draghi in particolare. Tutti i governi non hanno svolto un ruolo

decisivo nell'azione di contenimento della crisi. L'unica sicurezza, l'unico faro che è sempre rimasto alla guida

dell'Europa è stato Draghi. D. A suo avviso, dunque, Draghi è stato il vero salvatore della patria Europa. R.

Credo che Draghi sia stato l'unico protagonista della politica e dei mercati che ha gestito la crisi in Europa.

Penso sia una persona intelligente e molto capace quando si tratta di prendere decisioni così importanti. D.

Che cosa pensa della deflazione che adesso comincia a preoccupare nonostante gli interventi di Draghi? R.

Credo sia necessario attendere ancora qualche trimestre prima di parlare di deflazione. Ci sono elementi

congiunturali collegati con l'energia, ci sono altri elementi che ancora richiedono un check della gravità del

problema. Poi che sia un problema che vada gestito è indubbio, ma non credo in una spirale alla giapponese.

L'Italia, ad esempio, ha ancora nel caricatore le riforme strutturali e azioni più incisive sul livello della spesa e

insieme agli altri Paesi potremo utilizzare la flessibilità che è garantita dal Fiscal compact e la possibilità della

Germania per investire di più. D. Come vede il futuro dell'Italia? R. In questo momento siamo in una

condizione di un consenso verso il governo e verso la persona che lo conduce. E il sistema bancario è

assolutamente solido. Sarebbe delittuoso sprecare un momento come questo che ci può consentire di

ritornare a essere un motore dell'economia in Europa. Sono convinto che ce la faremo. D. Quanto ci sta

aiutando questo semestre italiano anche a livello di visibilità? R. L'immagine dell'Italia si sta rafforzando

anche nei confronti degli investitori internazionali, checché se ne dica. D. La situazione geopolitica la

spaventa? R. Da questo punto di vista gli impatti certi che si avranno ancora non sono chiari, è sicuramente

una fonte di ulteriore preoccupazione, potrebbe accentuarsi in autunno quando l'impatto del petrolio, come

del gas, potrebbe essere più significativo, però anche qui la ragionevolezza porterà a ricondurre questa crisi a

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COMMENTI & ANALISI È arrivato il momento di fare chiarezza sulla politica economica delgoverno Angelo De Mattia Lunedì prossimo, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan,

incontreranno tutti i ministri per decidere tagli alla spesa del 3% in ciascun dicastero, in previsione della

formazione della Legge di stabilità, che dovrebbe contemplare riduzioni di spesa per 20 miliardi, di euro

anziché dei17 miliardi di cui finora si era parlato. Poiché l'evocazione di una percentuale uguale per tutte le

funzioni di governo evoca subito la vexata quaestio dei tagli lineari d'infausta memoria, sarà fondamentale

conoscere sulla base di quali criteri di selettività e vincoli (che non potranno essere definiti soltanto dai singoli

ministri interessati per le rispettive materie) questa operazione si svolgerà e quale sarà il rapporto della

stessa con il lavoro finora compiuto per la spending review. Resta poi evidente la necessità di conoscere

come i tagli in questione si inquadrino nel disegno di politica economica sul quale si dovrà fondare la predetta

legge e, prima ancora, come sarà sistemata la partita per l'anno in corso in relazione ai dati dell'economia

peggiori di quelli in precedenza previsti, alla base della manovra di bilancio. Nonostante il sempre più

evidente quadro deflazionistico-recessivo, il governo continua ad affermare di non avere alcuna intenzione di

superare il 3% del rapporto deficit/pil, ma semmai di puntare sulla flessibilità per l'ottemperanza al Fiscal

compact, come ha detto Renzi, pensando al pareggio di bilancio, ma anche alla riduzione annuale prescritta

dalla regola del debito. Se così stanno effettivamente le cose, allora se ne deve dedurre che tutta la

questione della flessibilità nell'applicazione delle norme europee (la cui discussione nelle sedi comunitarie è

stata presentata come un successo dal nostro esecutivo) si concentri sullo slittamento dell'osservanza della

predetta intesa, non potendosi ascrivere alla flessibilità, come però viene fatto, il progettato piano di

investimenti per 300 miliardi di cui ha parlato senza particolari specificazioni il neopresidente della

Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, certamente di non ravvicinata attuazione, né ovviamente gli effetti

delle decisioni della Bce. In ogni caso, il continuo ribadimento del rigoroso rispetto del 3% (a meno che non

accada come per la proroga del blocco degli aumenti degli stipendi degli statali, più volte negata nelle scorse

settimane, ma adesso formalmente annunciata dal governo come inderogabile) esclude che si possa

ipotizzare una pur parziale introduzione della golden rule, non computando alcune spese ai fini del rapporto

con il prodotto, o altre misure, quale potrebbe essere quella suggerita da Francesco Giavazzi e Alberto

Alesina, consistente in uno sconfinamento dal 3% per esempio per due anni, secondo un programma

rigoroso di abbassamento della pressione fiscale, con un parallelo taglio della spesa e un netto avanzamento

delle riforme strutturali. Sul debito, come si è accennato, quella della procrastinazione dell'osservanza del

Fiscal compact sarebbe la sola misura prevista, dal momento che Renzi ha dichiarato di escludere

un'operazione di taglio che, secondo lui, avrebbe negativi impatti reputazionali. È bene, tuttavia, precisare

che le principali ipotesi di taglia-debito, in questi mesi oggetto di dibattiti e approfondimenti (una delle quali,

che mutua molti elementi da quella sostenuta da Class editori e da questo giornale, è presente anche in

Parlamento), nulla hanno a che vedere con il consolidamento o la vera e propria ristrutturazione del debito

che, questi sì, provocherebbero deleteri effetti di immagine e di credibilità per il nostro Paese. Del resto, un

debito che procede verso il 135% del pil è già elemento non propriamente favorevole sul piano reputazionale

e della solidità del governo della finanza pubblica. Sarebbe bene, allora, che, prima di emettere un giudizio

definitivo di chiusura, si riflettesse ancora sulle proposte anzidette che, con un'operazione di carattere

finanziario e senza forme di coazione, aprono a una significativa riduzione del debito sovrano, necessaria per

concorrere alla rialimentazione della crescita. In definitiva, dai diversi pronunciamenti di questi giorni e, in

specie, dalle dichiarazioni e dalle interviste del premier, non emerge un disegno chiaro di politica economica;

né se ne ricava la piena consapevolezza delle gravi difficoltà in cui l'economia, ovviamente non solo italiana,

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si trova; né, ancora, appare sufficientemente determinata l'iniziativa riformatrice nei confronti dell'Europa, per

ora concentrata solo nella deroga a un accordo, il Fiscal compact, del quale più volte si è ricordata la

sostanziale illegittimità per il contrasto con i Trattati fondativi. È naturale, dunque, esigere, a mano a mano

che il governo completerà le sue valutazioni, un ampio chiarimento, necessario non solo per i mercati, ma

anche per tutti i cittadini. In questa parte dell'anno, è spesso accaduto che i capi dei governi intervenissero al

periodico seminario Ambrosetti sull'industria e, in quella sede, esponessero le linee programmatiche di

politica economica. Renzi, invece, ha anticipato che non vi parteciperà. Vi è, indubbiamente, una sorta di par

condicio da osservare, non avendo egli preso parte finora a convegni sindacali o della Confindustria. Ma la

sua decisione è apprezzabile anche perché non può essere quella la sede, un seminario, cioè, con

partecipanti per di più a pagamento, per indicazioni di carattere istituzionale di interesse per il Paese. Ciò,

però, non fa venir meno l'esigenza di essere informati adeguatamente e fondatamente sulle linee di politica

economica e di finanza pubblica, per di più in un momento assai delicato. (riproduzione riservata)

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COMMENTI & ANALISI Jobs Act utile solo se aumenta la produttività Edoardo Narduzzi Travolti dalla messe di notizie economiche negative, come la deflazione per la prima volta dal 1959 e la

recessione, gli italiani e il dibattito che ne accompagna la giornata hanno perso di vista la principale criticità

della loro non soddisfacente situazione: la stagnazione della produttività dei fattori produttivi, cioè la cartina di

tornasole della scarsa competitività globale dell'Italia. Ed è curioso che, pur discettando quasi

quotidianamente di Jobs Act e di riforma del mercato del lavoro, mai o quasi viene sottolineato il fatto che si

tratta di una riforma che dovrebbe favorire, prima di tutto, la crescita della produttività. Perché l'Italia abbia il

tasso di produttività tra i peggiori dei Paesi Ocse è cosa nota: la rigidità in uscita dal mercato del lavoro

disincentiva gli investimenti in nuove tecnologie perché troppo costosa è la riconversione a queste da parte

del capitale umano più anziano; la rigidità in uscita dal mercato del lavoro produce un effetto «Club Med»,

soprattutto nelle organizzazioni più sindacalizzate e pubbliche, col quale la rilassatezza derivata dalla

sicurezza occupazionale prevale sulla necessità di dover fare ogni giorno meglio per garantirsi il lavoro; la

rigidità del mercato del lavoro rende, poi, nei fatti impossibili le ristrutturazioni e le riorganizzazioni radicali

finalizzate, quasi sempre, a recuperare competitività e produttività. L'Italia ha scelto una disciplina dei contratti

di lavoro che poco si sposa con l'anima più profonda del capitalismo, quella che spinge verso la crescita e il

continuo miglioramento della produttività. Un mercato deve essere rischioso e anche un po' ingiusto, nel

senso che non deve offrire polizze assicurative implicite totali a chi vi lavora e non deve mirare a conseguire

utopistiche situazioni di giustizia sociale. Utopistiche perché è ingiusto comunque condannare le coorti più

giovani alla disoccupazione di massa per garantire diritti antiproduttività a quelle più anziane. Nella

globalizzazione il mercato del lavoro è stato standardizzato nella propensione al rischio e nel livello di

giustizia ritenuto ottimale soprattutto dalle decisioni del Partito comunista cinese. In Cina il mantra è la

crescita e nessun dirigente si sogna, pur dichiarandosi ancora marxista-leninista, di proporre un mercato del

lavoro all'italiana. Perché per crescere nella contemporaneità servono moderate protezioni e un qualche

livello di potenziale ingiustizia a danno dei lavoratori. Lo dicono i comunisti, cioè quelli che governano

nell'esclusivo interesse dei lavoratori, non sono i Chicago boys a fare questa predica. (riproduzione riservata)

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Provocazioni Sex tax falso problema alessandro de nicola SIAMO PIU RICChI? Grazie all'inserimento come componenti del Pil di attività fnora escluse, quali lo spaccio

di stupefacenti, il contrabbando e la prostituzione, potremmo avere la fugace ed erronea impressione che i

nostri defcit e debito pubblico siano meno minacciosi, in quanto rappresenteranno una percentuale minore

rispetto alla ricchezza prodotta dal Paese. È facile capire invece che queste attività esistevano già prima, solo

che non erano contabilizzate, e il cambio è solo statistico. Perché è stata inserita la prostituzione e non per

esempio l'estorsione o il sequestro di persona? Il primo è un mestiere che seppur non dia diritto

giuridicamente al pagamento (né a chiederne la restituzione una volta effettuato) è pur sempre volontario; i

secondi no. A questo punto potrebbe sorgere spontanea la domanda (in realtà antichissima): perché allora

non legalizzare il meretricio? In effetti, vari Paesi l'hanno fatto, seppur in forme diverse. Germania, Svizzera,

Olanda e Austria sono esempi a noi vicinissimi. In Italia, poi, in un sondaggio televisivo in cui si chiedeva

dell'utilità di tassare la prostituzione, un incredibile 96 per cento ha risposto affermativamente. Quali sono gli

argomenti contrari? Prima di tutto quello etico: il fatto che sia il mestiere più antico del mondo non signifca

niente. Se è per quello il furto della mela nel Paradiso terrestre avvenne anche prima, eppure i ladri sono

fuorilegge. Che tipo di messaggio si darebbe alle giovani generazioni se la legge stessa considerasse come

normale il far uso del proprio corpo a pagamento? Il meretricio comporta comunque uno sfruttamento delle

donne dietro il quale prosperano traffco di persone, schiavitù, abusi sui minori e in alcuni Paesi dove si è

introdotta la legalizzazione non sono diminuiti i casi di violenza. Le ragioni favorevoli a riportare nell'ambito

della legalità la professione partono dal presupposto che lo Stato non può intromettersi nella scelta effettuata

da adulti consenzienti: scambio di prestazioni sessuali in cambio di denaro. D'altronde dove passa il limite? È

legittimo flmare due persone che interpretano una pellicola pornografca pagandole, versando le relative tasse

e poi distribuire il flm e non fare altrettanto con due prostitute per il proprio piacere se il flmato non viene

commercializzato? Le situazioni di "tolleranza", come quella della legge italiana, che non proibisce la pratica

ma lo sfruttamento, il favoreggiamento, la gestione di case di piacere e persino l'adescamento volgare, sono

ambigue e controproducenti. Le prostitute vivono in un limbo ai margini della legge, non possono reclamare

diritti, né avere controlli sanitari sul luogo di lavoro, né organizzarsi in forma cooperativa. È esattamente la

semiclandestinità che favorisce la tratta delle schiave (diffcile si rivolgano alla polizia, con il rischio di beccarsi

il foglio di via), la violenza di clienti e protettori, nonché l'utilizzo di minori, una vera e propria violenza carnale

retribuita. Le forze dell'ordine farebbero bene a concentrare tutte le loro forze su questi fenomeni che sono

piaghe intollerabili. Peraltro non bisogna illudersi che la legalizzazione risolverebbe tutto. In molti casi lo

stigma sociale sarebbe tale da far rimanere la prostituzione (maschile e femminile, ricordiamoci che non è un

mestiere monogenere) clandestina. La criminalità non verrebbe del tutto fermata: come le gang controllano

attività lecite in altri settori, così continuerebbero a farlo anche in questo e le cronache giudiziarie della

Germania, ad esempio, forniscono sfortunatamente molti esempi. L'"Economist" recentemente ha dedicato

un numero al tema e, anche sul presupposto che ormai gli affari si concluderanno sempre di più via Internet,

ha sostenuto che è giunto il momento di legalizzare la professione. Mi sembra una conclusione che trascura

la realtà odierna, dove decine di migliaia di persone sono oggetto di traffco umano sia dove la prostituzione è

legale sia dove è solo tollerata. Il principio per il quale un atto consensuale, che non danneggia terzi e

produce reddito, vada ricondotto nell'alveo della legge e tassato è corretto: non ci si illuda che questo da solo

risolva tutti i problemi. [email protected] Twitter @aledenicola Agf (3), Imagoeconomica, P. Tre - A3,

R. Caccuri - Contrasto

05/09/2014 19Pag. L'Espresso - N.36 - 11 settembre 2014(diffusione:369755, tiratura:500452)

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Dossier economia e lavoro aspettando la rivoluzione Molti annunci, buona volontà e iniezioni di fiducia. Ma non basta se non ci sono riforme che convincano imercati a darci credito. In attesa della sua prima legge di stabilità Tito Boeri Per fare una rivoluzione, anche solo la mini-rivoluzione dell'economia italiana promessa da Renzi con meno

tasse e più concorrenza, ci vogliono ben più di sei mesi. Ci vorranno anche più dei mille giorni contemplati

nella nuova strategia comunicativa del "passo dopo passo". Mentre la prima legge di stabilità del governo

Renzi non ha ancora visto la luce. Quindi è troppo presto per offrire un giudizio compiuto sulla politica

economica del nuovo esecutivo, il quarto da quando in Italia è iniziato il grande freddo. Ma è utile comunque

valutare quanto fatto in questi primi 180 giorni di Renzi a Palazzo Chigi. La crisi profonda del nostro Paese

non ci consente passi falsi e i mercati fnanziari ci hanno concesso una tregua che potrebbe rivelarsi molto

breve. Quindi bene partire col piede giusto. Il governo ha dato priorità alle riforme istituzionali rispetto a quelle

economiche. Superare il bicameralismo perfetto e ridimensionare il ruolo (e i costi) del Senato è importante

anche dal punto di vista economico perché velocizza i processi decisionali e taglia i costi della politica.

Tuttavia le riforme istituzionali richiedono molto capitale politico e tempi lunghi e l'economia non aspetta,

mentre il governo non ha potuto sin qui presentarsi a Bruxelles e di fronte ai mercati con almeno una

importante riforma economica realizzata. Quella fessibilità nell'interpretare le regole fscali dell'area euro che il

governo ha spesso invocato negli incontri europei richiede all'Italia di esibire risultati concreti. La cosiddetta

"clausola di riforma" (articolo 5.1. della riforma del Patto di Stabilità e Crescita del 2005) permette, infatti, di

chiedere, per un massimo di tre anni e in via preventiva, di rallentare il processo di avvicinamento al pareggio

di bilancio strutturale (l'obiettivo di medio periodo per l'Italia) nel caso in cui un Paese avesse realizzato (con

tutti i decreti attuativi varati) riforme strutturali che portino a un miglioramento futuro dei conti pubblici. Se

fosse partito dalle riforme economiche anziché dal Senato, Renzi avrebbe potuto ottenere concessioni

dall'Europa e, alla luce di queste, affrontare le riforme istituzionali da una posizione di forza. Quindi la

sequenza di misure non sembra sia stata quella ottimale. Il provvedimento più importante in materia

economica è stato sin qui il bonus di 80 euro. Va nella direzione giusta di ridurre prioritariamente il cuneo

fscale sul lavoro. Il proflo distributivo lascia a desiderare perchè rimangono fuori coloro che hanno redditi

troppo bassi per pagare le tasse, i cosiddetti incapienti, oltre che i disoccupati, tra cui si annida la povertà. Ma

soprattutto si tratta di una grande incompiuta. A tutt'oggi non sono infatti ancora state trovate le coperture

strutturali per il bonus e questo ne compromette l'effcacia nel sostenere i consumi. Le famiglie, infatti, si

chiedono se, come spesso avvenuto in Italia, quel che viene oggi dato con una mano, verrà un domani tolto

con l'altra, se lo sgravio fscale si tradurrà in nuove tasse, magari con acronimi fantasiosi. Poteva il bonus

almeno servire per raccogliere il consenso, costruire una constituency per sostenere la spending review,

mostrando agli italiani cosa si può fare quando si riesce a ridurre la spesa pubblica. Invece Renzi non ha

voluto sin qui approfttare della luna di miele della vittoria elettorale alle Europee per presentare un coraggioso

piano economico, farlo approvare a colpi di voti di fducia e poi approdare a Bruxelles forte di questo e, dati

alla mano, discutere di vincoli. Il Jobs Act doveva essere la prima riforma nello scadenzario defnito all'atto

dell'insediamento del nuovo governo. Sarebbe stata la scelta giusta perché un mercato del lavoro che

funziona meglio serve a rilanciare sia la domanda (più lavoro quindi stimolo ai consumi) che l'offerta

(stimolando maggiori investimenti esteri, come in Spagna, e aumentando la produttività). Ma sul lavoro il

governo Renzi ha solo varato un decreto sui contratti a tempo determinato che va in direzione

diametralmente opposta rispetto alle idee contenute nel disegno di legge delega che dovrebbe rappresentare

il vero e proprio Jobs Act. Il problema è che il decreto, con la nuova prova triennale, rende del tutto

improponibile un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti come quello formulato nel disegno di

legge delega. Un periodo di prova così lungo spiazza qualsiasi altra tipologia contrattuale nel periodo di

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inserimento. E dopo un periodo di prova di 3 anni, non si può immaginare di avere un contratto di inserimento

che allungherebbe la fase iniziale del contratto a 6 anni, quando l'anzianità aziendale media in Italia è attorno

ai 15 anni. Inoltre il decreto aumenta il dualismo nel mercato del lavoro e innalza le barriere che separano i

contratti temporanei da quelli a tempo indeterminato, rendendo più diffcile la conversione dei primi nei

secondi, come evidenziato dai dati sulle comunicazioni obbligatorie del Ministero del Lavoro. I fumi di parole

sulla cosiddetta Garanzia Giovani e l'impegno di prendersi in carico tutti i giovani che non hanno un lavoro e

che si registrano al portale sono rimasti tali. il decreto sulla Pa è un rinvio anch'esso a una legge delega che

deve ancora approdare in Parlamento e rinvia a 77 decreti attuativi che devono ancora vedere la luce. Simile

il caso dell'abolizione delle Province. Anche il decreto sulla giustizia civile è un guscio vuoto. Potrebbe avere

effetti economici importanti nel ridurre i costi di fare impresa in Italia se davvero riducesse l'arretrato, ma

lascia fuori le controversie sul lavoro e previdenziali che sono quelle che contano davvero. Lo sblocca-Italia

non è una riforma. Semmai rappresenta uno strascico del decreto del fare del Governo Letta, a sua volta con

molti predecessori tra cui la famosa legge obiettivo presentata da Berlusconi a Porta a Porta nel 2001. Non

servirà neanche come strumento congiunturale per scongiurare il rischio di una nuova prolungata recessione.

Gran parte delle opere, infatti, non sono immediatamente cantierabili. Tre quarti di queste potranno, nella

migliore delle ipotesi, partire nel 2018. Del resto è lo stesso proflo temporale dei fnanziamenti a certifcare che

non si tratta di misure di impatto immediato: 40 milioni nel 2014, 415 nel 2015, 888 nel 2016. Insomma I prImI

seI mesI dI matteo renzI a Palazzo Chigi sono stati per lo più la cronaca di una rivoluzione annunciata. Un

lungo elenco di riforme prossime venture, qualche decreto apripista. Per attuare questo programma molto

ambizioso, per fare delle riforme vere ci vorrà molta concentrazione e più lavoro e gioco di squadra. Il nostro

premier si è rivelato un grande solista, con eccellenti doti di comunicatore anche nello spiegare il signifcato di

misure lontane dal quotidiano di molti italiani. L'unica eccezione, forse, è stata la riforma istituzionale, perché

l'impressione è che Renzi non sia riuscito a trasmettere agli italiani il signifcato del superamento del

bicameralismo perfetto. Le riforme che servono davvero per far ripartire l'economia italiana richiedono

comunque doti non solo di comunicazione. Più che molti cinguettii, dovremo udire il cigolio dei bulloni svitati e

riavvitati e ci dovrà essere molto lavoro oscuro da parte di chi guarda ai piccoli dettagli delle norme e delle

procedure senza cadere nelle trappole tese dalle burocrazie ministeriali che mirano a mantenere intatto il loro

potere e senza troppi rinvii ai posteri di decreti attuativi. Il Paese bloccato ha bisogno di un nuovo motore.

Non basta il volontarismo. Non basta neanche una spinta di fducia, per quanto poderosa.

BONUS IRPEFMatteo Renzi

80 euro mensili a chi percepisce redditi da lavoro dipendente fino a 26 mila euro annui e categorie assimilate.

In vigore da maggio 2014, fnanziato per tutto l'anno. È stata manifestata la volontà di prorogarlo.

SBLOCCA ITALIAMaurizio Lupi

Provvedimento in più punti che secondo il premier permetterà opere pubbliche per 10 miliardi in dodici mesi.

Decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri il 29 agosto.

JOBS ACTGiuliano Poletti Modifica alle norme dei contratti a termine e l'apprendistato Decreto legge in vigore dal 16

maggio. Riforma del mercato del lavoro. Cassa integrazione sostituita da sussidi vincolati alla frequenza di

corsi, semplificazione procedure, introduzione del contratto a tutele crescenti Legge delega in discussione

alla commissione del Senato.

PIANO SCUOLEMatteo Renzi

Miglioramento dell'edilizia scolastica. Previsti 21230 interventi per un valore di 1094 milioni Annunciato a

febbraio 2014. Il 30 giugno stanziati 510 milioni. Comuni e province dovranno aggiudicare gli appalti entro la

fne del 2014 o non avranno i fondi.

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Primo Piano noi e l'ucraina Quanto ci costa Putin Grandi commesse, civili e militari. Agroalimentare e lusso. Con le sanzioni l'export italiano rischia di perdere2,4 miliardi maurizio maggi e stefano vergine Gli scontri armati non si placano e neppure quelli commerciali. È dolorosa in termini di vite umane, la crisi

russo-ucraina, e si fa sempre più cruenta anche sotto il proflo economico, con un alternarsi di ritorsioni e

sanzioni economiche, secondo una linea ormai consolidata da entrambe le parti e sposata anche dal nuovo

ministro degli Esteri europeo Federica Mogherini. Al blocco delle importazioni di prodotti agroalimentari,

deciso dalla Russia il 6 agosto, due settimane dopo è seguito lo stop alle esportazioni, stavolta dalla Russia,

delle "wet blue", le pelli conciate allo stato umido di bovini ed equini senza pelliccia. Sembrerebbe roba da

poco, ma la Russia è il quarto esportatore di pelli semilavorate in Italia, un affare che l'anno scorso valeva 74

milioni di euro. Nei giorni successivi all'embargo alimentare l'attenzione si è concentrata su lamentele e

fosche previsioni di chi in Russia vendeva, sino a un mese fa, ortaggi e frutta, formaggi e latticini, carni

congelate e salami: 51 categorie che nel 2013 hanno portato nelle casse delle aziende italiane 217 milioni di

euro. Un tesoretto che rischia di andare in fumo. Prima della stafflata sulle pelli, Mosca aveva già fatto venire

i brividi ad altre migliaia di imprese, innalzando il primo steccato in uno dei settori più caldi per l'export italiano

lassù, quello della moda. Il provvedimento vieta ai soggetti pubblici russi di acquistare prodotti tessili,

abbigliamento, calzature, valigie e pelli realizzate fuori dall'unione doganale tra Russia, Bielorussia e

Kazakistan. Quando la norma è stata messa a fuoco c'è stato un sospiro di sollievo, visto che società e

organismi pubblici non sono avidi di abiti e scarpe Made in Italy. Tuttavia, è facile intravvedere in fligrana,

dietro a questa mossa, un chiaro avvertimento: come dire, occhio a non tirare la corda, sennò colpiamo duro

il mondo della moda. Sarebbe una mazzata, per l'Italia, che nel 2013 ha esportato in Russia per circa due

miliardi. A inizio agosto, l'Uffcio studi economici della Sace, la società pubblica che assicura i crediti degli

esportatori italiani, sulla base delle sanzioni adottate da Stati Uniti ed Europa nei confronti della Russia,

aveva prefgurato due scenari. Il primo, chiamato "stabile" e considerato più probabile, immaginava uno

stazionario quadro di ripicche progressivamente limitato a colpire singoli soggetti: risultato, economia russa

debole per almeno due anni e quasi un miliardo in meno di esportazioni dall'Italia. Nello scenario

pessimistico, invece, ecco l'escalation delle violenze, la chiusura delle pipeline russe che attraversano

l'Ucraina, la fuga dei capitali e una perdita di 2,4 miliardi di export italiano. «Purtroppo, questo quadro fosco,

considerato un mese fa meno probabile, ora ha invece maggiori possibilità di accadere», spiega Alessandro

Terzulli, economista della Sace. L'inasprirsi della crisi nell'est dell'Ucraina, con l'avvitarsi di sanzioni e

ritorsioni, fa lievitare le preoccupazioni di migliaia di imprenditori e dei loro dipendenti, che oltre agli schiaff

dovuti a embarghi e sanzioni dovranno fare i conti con un Paese comunque in crisi, e meno disposto a

spendere per la merce straniera che, con il rublo in caduta libera, costa sempre di più. Così la Federazione

russa da mercato di sbocco più interessante per il Made in Italy si è trasformata in un incubo. Nel 2013 il

fusso di esportazioni dall'Italia alla Russia è stato di 10,4 miliardi di euro. Per provare a limitare

l'espansionismo dello zar Vladimir Putin nelle zone ucraine abitate da russofoni in urto con il nuovo governo

di Kiev, Stati Uniti e Unione Europea hanno dato il via a un tourbillon di botta-e-risposta. Che, lamentano tanti

imprenditori, produce pure un pericoloso fuoco amico, indirizzato su esportatori di pesche e kiwi, produttori di

formaggi e latticini, costruttori di complicati sistemi tecnologici utilizzabili per scopi militari e apparecchiature

per la perforazione petrolifera. Il divieto stabilito dalla Ue di vendere ai russi beni e tecnologie che nascono

"civili" ma fniscono "militari", potrebbe far traballare il progetto dell'aereo da trasporto Superjet 100 di

Finmeccanica e procurare qualche problema con gli elicotteri AW 139, prodotti in Russia e impiegati dal

ministero dell'Interno e dallo stesso Vladimir Putin. Rischiano anche i contratti per la fornitura di sistemi di

telecomunicazione Selex Tetra, adottati dai corpi di polizia. A fne luglio, Fincantieri ha detto addio al

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sottomarino militare S-100, un progetto nato dieci anni fa. Negli stessi giorni, il Gruppo Trevi si è aggiudicato

in Russia un contrattone per fornire un impianto petrolifero di perforazione offshore. Basterà assemblarlo

nell'impianto bielorusso del gruppo italiano per evitare la tagliola? Sostituire eventuali abbandoni obbligati in

settori ultratecnologici sarà ovviamente complicato. Nell'ortofrutta, invece, l'elenco dei panchinari pronti a

diventare titolari lo ha già messo nero su bianco lo stesso governo russo. A rimpiazzare gli occidentali nella

forniture agroalimentari saranno: Argentina, Armenia, Azerbaigian, Cile, Cina, Egitto, Israele, Marocco,

Sudafrica, Tagikistan, Turchia e Uzbekistan. L'Azerbaigian, grosso produttore di verdure, era in rampa di

lancio. Nei primi sei mesi del 2014 l'export di ortaggi in Russia era già cresciuto a 76,6 milioni, il 50 per cento

in più rispetto all'anno prima. E di sicuro nell'ultimo mese, nonostante la siccità che lo ha colpito, ha

ulteriormente accelerato. Anche la Bielorussia di Alexander Lukashenko, al potere dal 1994 e alleato fedele di

Putin, sta cavalcando la situazione. Secondo Fresh Plaza, il portale internazionale del settore ortofrutticolo,

negli ultimi giorni all'aeroporto di Minsk, la capitale del Paese, gli arrivi di frutta e verdura sono aumentati alla

grande. Pare ci siano anche limoni, pompelmi e ananas etichettati come "made in Bielorussia". Una

stranezza, visto il clima non proprio mediterraneo di un Paese che, pur privo di sbocchi sul mare, ora esporta

in Russia pure ostriche e gamberetti. La grande benefciaria dell'embargo dovrebbe essere tuttavia la Turchia,

fno a oggi il maggior esportatore di prodotti agricoli in Medio Oriente e Nord Africa, e ora candidata a

diventarlo anche in Russia. Prima dell'embargo alcuni produttori turchi utilizzavano l'etichetta "Made in EU"

per elevare la percezione di qualità delle proprie merci. Adesso sono i produttori europei "embargati" che

vorrebbero appiccicare sulle loro cassette di frutta il timbro "Made in Turchia" per farle entrare in Russia. Ma

se Ankara ha la sua produzione da esportare, gli esperti sostengono che chi ha più interesse a essere

utilizzata come sponda è la Serbia, che già non paga dazi per vendere in Russia. Le triangolazioni sono

possibili ma sempre rischiose, anche perché far transitare le merci da un Paeseintermediario aumenta del 15-

20 per cento i prezzi. Si frega le mani pure la Svizzera, che della neutralità ha fatto un dogma: non avendo

aderito pienamente alle sanzioni, Berna non ha subito la controffensiva del Cremlino. Morale, l'export

alimentare della Confederazione, basato su caffè e formaggio (nel 2013, un fusso complessivo di 165 milioni

di euro), quest'anno potrebbe esplodere. Quelli di InterCheese, per esempio, sono stati contattati

recentemente da aziende russe per importare Emmental, Gruyere e Appenzeller in sostituzione dell'italica

mozzarella o dell'olandese Gouda. «Era il mercato più promettente per noi, adesso cerchiamo di compensare

le perdite puntando sull'Estremo Oriente», racconta Fausto Turcato della Latteria Sociale di Mantova, 180

dipendenti e 19 mila forme di Grana Padano vendute in Russia nel 2013. L'azienda fa parte del Consorzio

Grana Padano che, sostiene il presidente Stefano Berni, a fne anno avrà perso 50 milioni: «Gli aiuti europei

per tutto il comparto del cibo sono di 125 milioni. Poca cosa. Speriamo che la Russia tolga davvero l'embargo

ai prodotti privi di lattosio», è la sua preghiera. Non prega ma tuona Giacomo Ferri, presidente di

Euronaturitalia, consorzio di aziende ortofrutticole: «Non sappiamo più cosa fare, più passano i giorni più le

cose si complicano. Cercheremo di piazzare in Europa l'uva che fno all'anno scorso spedivamo in Russia, ma

il mercato è saturo e quindi i prezzi caleranno. Temiamo pure che quando l'embargo fnirà, i russi si saranno

abituati ad altri produttori e da noi non torneranno più». Secondo Citibank, il cibo vale un quinto di tutte le

importazioni russe. «Ora gli scaffali dei supermercati si riempiranno di merce di produttori locali», ha gonfato

il petto Dimitri Medvedev. Intanto, l'effetto più evidente dell'embargo è stato un altro: nelle zone più remote

del Paese i prezzi sono schizzati verso l'alto, racconta il quotidiano economico "Kommersant". Sull'isola di

Sakhalin, a due passi dal Giappone, il pollo è aumentato del 60 per cento, e nella regione di Primorsky la

carne rossa si è apprezzata di un quarto e il pesce del 40 per cento. Agroalimentare, abbigliamento,

calzature, trivelle ed elicotteri: perdere pezzi di questi business preoccupa. Ma a terrorizzare davvero, in

prospettiva, è la chiusura del rubinetto energetico. «Se la Russia dovesse interrompere le forniture di gas

verso l'Europa per più di 10 giorni, per l'Italia sarebbe un disastro», avverte Davide Tabarelli, presidente di

Nomisma Energia.«In Europa siamo i più dipendenti dal metano per produrre elettricità, e un quarto del

nostro import di gas arriva proprio da Mosca. Nel 2006 e nel 2009 le crisi le abbiamo superate con gli

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 70

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stoccaggi, ma se il blocco dura a lungo diventa diffcile compensare. Anche la Russia però non ha interesse a

interrompere il fusso, non se lo può permettere, le vendite di gas rappresentano tra il 7 e l'8 per cento del Pil.

Dipendiamo gli uni dagli altri: loro hanno l'energia, noi la tecnologia». Intanto tuona il cannone e il piatto

piange. P.Horak-Anzenberger/Contrasto, pag 36-37:Sasha Mordovets/Getty Images

Patate alle stelle a San Pietroburgo Importazioni milioni Totale milioni di euro Saldo bilancia commerciale

italiana milioni di euro milioni Interscambio commerciale Italia-Russia (Dati 2013. Valori in milioni di euro)

Esportazioni

Fonte: Elaborazione Ice Mosca su dati delle Dogane Russe Altro 17% Meccanica strumentale 27% Prodotti

alimentari 6% 10.409 milioni Apparecchiature elettriche 6% Moda 21% Principali settori dell'export italiano in

Russia (Dati in %) Mobili e altri manufatti 8% Autoveicoli e altri mezzi di trasporto 8% Metallurgia e prodotti in

metallo 7% Fonte: Istat

Foto: VlADiMiR pUTin inAUgURA Un MonUMEnTo Ai SolDATi RUSSi nEllA pRiMA gUERRA MonDiAlE

Foto: Un GASdotto. lA rUSSIA FornISCe Il 25% del GAS ItAlIAno

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 71

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Economia emergenze un aiuto per la casa stefano vergine In tutta Europa fioccano sconti fiscali e incentivi per dare ossigeno al mattone. L'Italia non decide nulla. Così i

prezzi continuano a perdere terreno Afftto con riscatto? Roba da case popolari, si diceva una volta, mica da

stelle dell'architettura come Libeskind o Isozaki. Fino a qualche anno fa, infatti, gli alloggi di cui l'inquilino

poteva diventare proprietario, dopo averci abitato per svariati anni e pagando una cifra minima o nulla, erano

un'esclusiva delle periferie più povere. Capita invece che oggi, causa prolungata crisi del mercato

immobiliare, anche un progetto lussuoso come CityLife, il quartiere che sta sorgendo al posto della vecchia

Fiera di Milano, stia puntando sull'afftto con riscatto. Per 240 appartamenti, quasi la metà del totale. La

formula scelta dal costruttore, una società controllata da Generali e Allianz, prevede un afftto di quattro anni

entro i quali l'inquilino può esercitare il diritto a riscattare l'appartamento. Il vantaggio è che, se alla fine si

sceglie di comprare, i soldi sganciati fno ad allora non vanno tutti persi: nel caso di CityLife, il 75 per cento dei

canoni versati viene infatti conteggiato come anticipo per l'acquisto. Quello dell'ex fera meneghina è un

esempio particolare, dato che parliamo di appartamenti da un milione di euro l'uno. Ma l'afftto con riscatto sta

prendendo piede un po' ovunque. «Il nostro portale quest'anno ha registrato un incremento medio delle

offerte di afftto con riscatto pari all'11,4 per cento», dice Daniele Mancini, amministratore delegato di Casa.it.

E questo nonostante il recente rialzino delle compravendite, aumentate dell'1,6 per cento nel primo trimestre

dell'anno rispetto allo stesso periodo del 2013. E malgrado il calo dei prezzi, che dura da sette anni e

promette di proseguire: secondo i dati eleborati per "l'Espresso" dal centro studi Scenari Immobiliari nei

prossimi dodici mesi, in media, i prezzi nelle grandi città accuseranno un'ulteriore fessione dell'1,7 nei centri,

del 5,9 nelle zone semicentrali e del 9,3 per cento nelle periferie (vedere il dettaglio, città per città, nel grafco

in basso). Il paradosso è che, nonostante il ribasso delle quotazioni, il bene più amato dagli italiani risulta

sempre meno abbordabile. Gli ultimi dati della Banca d'Italia, relativi al 2012, dicono che le famiglie

proprietarie di un'abitazione rappresentano il 67,2 per cento del totale, in calo dell'1,2 per cento rispetto al

2010. Visto che nel frattempo le cose non sono migliorate, anzi l'occupazione è diminuita e i risparmi delle

famiglie pure, c'è da credere che oggi i proprietari siano ancora meno. L'Italia attuale è dunque un po' più

simile a quella del dopoguerra. O, se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, stiamo emulando la ricca

Germania, dove la quota dei proprietari non supera il 44 per cento. Una cosa è certa: da noi il numero delle

compravendite si è più che dimezzato rispetto al 2006. Lo dimostrano i dati (vedere il grafco), ma anche le

tante agenzie immobiliari che un tempo si dedicavano solo alla vendita e oggi restano in piedi grazie agli

afftti. Prospettive? Tutti gli esperti dicono che, dopo anni di discesa (che ha fatto perdere alle periferie, in

media, quasi un quinto del valore), nel 2014 gli acquisti dovrebbero tornare a salire: più 7,6 per cento,

sostiene Nomisma nel suo rapporto di luglio. Per Guido Lodigiani, direttore di Immobiliare.it, la ragione del

rimbalzo è duplice: «Il continuo calo dei prezzi e l'incremento, seppur contenuto, dei mutui erogati,

dovrebbero fare del 2014 l'anno della svolta». Insomma, chi compra lo fa perché ottiene qualche aiuto in più

dalla banca, ma soprattutto perché i prezzi calano. E la tendenza ribassista, dice Nomisma, s'invertirà solo

nel 2016. Sempre che l'economia italiana non peggiori ancora. Basterà un altro anno e mezzo di prezzi in

discesa per rimettere in sesto il mercato? «Molto dipenderà dalle banche», dice Mario Breglia, presidente di

Scenari Immobiliari, che per dimostrare la tesi cita il caso degli stranieri: «Fino al 2006 gli immigrati

compravano 120-140 mila case all'anno, mentre oggi siamo sulle 30-40 mila: colpa della stretta sul credito,

visto che questa fascia di popolazione ha un reddito ma non un patrimonio». Ragionamento allargabile ai

tanti giovani italiani che lavorano, ma in banca hanno accumulato poco e ormai possono contare su un

finanziamento massimo pari al 60 per cento del prezzo di acquisto, contro l'80 per cento medio di un tempo.

«Oltre alla questione dei mutui», aggiunge Luca Dondi, direttore di Nomisma, «per far emergere almeno una

parte della domanda latente i prezzi dovrebbero calare di un altro 10 per cento». In attesa che banche e

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costruttori seguano i consigli, il governo di Matteo Renzi sta pensando a qualche misura per rilanciare il

settore. Ma non sembra avere tutta questa fretta. La proposta più gettonata, al momento non ancora inserita

in un provvedimento ufficiale, è quella di concedere uno sgravio fscale a chi compra un appartamento per

affttarlo a canone concordato per otto anni. Idea presa in prestito dalla Francia (vedere la scheda a pagina

105), che permette in teoria di prendere due piccioni con una fava: da una parte rilanciare il mercato delle

compravendite, dall'altra aumentare l'offerta di appartamenti in afftto a buon mercato. Funzionerebbe? Male

non può fare, concordano gli esperti, ma per invertire la tendenza bisogna abbassare le tasse sugli immobili,

perché gli afftti in Italia rendono troppo poco. In effetti, al netto delle tasse e dei casi di morosità, la locazione

da noi offre un ritorno medio sull'investimento del 2-3 per cento annuo, contro per esempio il 7 per cento della

Germania. «Se l'obiettivo è quello di smuovere il mercato», ragiona Lodigiani, «lo sgravio fscale non

dovrebbe essere riservato solo a chi afftta a canone concordato, ma anche a chi lo fa a prezzi di mercato,

perché se il rendimento si riduce il risparmiatore preferisce investire altrove». Aggiunge Mancini, che così

concepito lo sgravio fscale potrebbe avere un effetto a macchia di leopardo. Secondo Soloafftti, il maggior

franchising italiano della locazione, il canone concordato arriva intorno al 50 per cento del totale degli afftti a

Firenze e Bologna, ma è quasi nullo a Milano e Napoli. Intanto, aspettando di capire se il governo riuscirà a

trovare i quattrini per fnanziare il provvedimento, agenti, costruttori e clienti s'ingegnano per ridare brio a un

mercato caduto in catalessi. Tra le formule più in voga c'è l'acquisto della nuda proprietà, opzione che però

costringe il compratore a cercarsi un'altra sistemazione in attesa che l'usufruttuario liberi l'appartamento. E

aumenta pure l'offerta di case all'asta, sintomo di crisi, ma anche di affari potenziali. Per chi non ha un

gruzzolo resta solo una possibilità. Quella dell'housing sociale, cioè case dedicate a chi è tagliato fuori dal

mercato. Gente che non riesce a pagare un afftto o un mutuo normale, ma che non ha nemmeno un reddito

così basso da poter puntare su una casa popolare. I soldi per costruire questi nuovi edifici sono pubblici: li

mette la Cassa depositi e prestiti, che si affda a fondi immobiliari per la realizzazione dell'opera. Dal 2011,

quando la macchina si è messa in moto, la Cdp dice di aver deliberato investimenti per circa 1,1 miliardi di

euro. Soldi che dovrebbero servire per realizzare 11 mila alloggi sociali. Qualche progetto è già stato

terminato. Uno dei più grandi si chiama Abitagiovani ed è stato realizzato da Polaris Real Estate, società

controllata dalla Fondazione Cariplo. «Sparse per Milano c'erano 250 case popolari inagibili», spiega il

presidente di Polaris, Carlo Cerami, «noi le abbiamo prese, riqualifcate e offerte a under 35». La formula,

come nel caso di CityLife, è quella dell'afftto con riscatto: si paga subito il 10 per cento del valore

dell'immobile, poi si versa una rata mensile compresa tra i 400 e i 600 euro, di cui la metà viene calcolata

come acconto per l'acquisto, e a partire dal quinto anno si riscatta. Risultato? «La richiesta», assicura

Cerami, «è stata quattro volte superiore alla domanda». Un successone. Peccato solo che tre quarti degli

alloggi sociali siano nel nord Italia, dove la crisi ha colpito meno duro che al sud. Foto: M. Siragusa/Contrasto;

pag 104-105: A. Gragnanin

Duomo al top 10.000 8.000 6.000 4.000 2.000 0 3.450 1.900 1.450 5.400 3.200 2.350 5.900 3.650 2.600

4.050 2.650 1.600 8.750 4.050 2.800 5.400 Andamento quotazioni residenziali nelle principali città italiane

(prezzi euro al mq; valori nominali luglio 2014) 2.250 1.600 7.700 4.300 2.600 4.250 Bari Bologna Firenze

Genova Milano Napoli Roma Torino Centro Semicentro Periferia 2.550 1.800 Fonte: Scenari immobiliari

Caduta continua 5% 0% -5% -10% -15% -0,8 -2,4 -5,0 -2,0 -7,5 -9,3 2,2 -1,5 -4,3 -3,6 -7,3 -10,4 2,0 -3,0 -7,4

Variazione % di quotazioni residenziali nelle principali città italiane tra luglio 2014 e 2015 -4,5 -8,3 -13,5 0,5 -

3,2 -6,5 -2,4 -5,6 Bari Bologna Firenze Genova Milano Napoli Roma Torino -10,3 -1,7 -5,9 Centro Semicentro

Periferia -9,3 Media Italia

Fonte: Scenari immobiliari

Mutui e compravendite in ripresa 900 700 500 300 690.478 869.308 Numero di compravendite residenziali

annuali e previsioni (in migliaia) 516.149 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 16 403.124

434.977 487.283 30,93 10,76 Erogazione di mutui (dati relativi al primo semestre, in miliardi di euro) 11,58

2007 2013 2014*

05/09/2014 102Pag. L'Espresso - N.36 - 11 settembre 2014(diffusione:369755, tiratura:500452)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 73

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Fonte: Agenzia delle Entrate; Nomisma per le previsioni *Stime. Fonte: Elaborazione MutuiOnline.it su dati

Banca d'Italia e AssofnCanoni di locazione in varie città (in euro al mq per anno) Roma Milano Venezia città

Firenze Napoli Bologna Bari Padova Torino Cagliari Genova Venezia Mestre Palermo Catania Media Italia

169 147 130 118 96 91 88 87 86 85 82 81 70 67 100

Fonte: Nomisma

Come fanno gli altri

La differenza principale è una: la legge francese Scellier, cui dice di volersi ispirare il governo Renzi per

rilanciare il mattone italico, non limita le agevolazioni fiscali agli affitti a canone concordato. Entrata in vigore

nel 2009, inizialmente prevedeva che gli acquirenti di un immobile nuovo potessero dedurre dal reddito il 25

per cento della spesa, con un massimale fissato a 300 mila euro, a patto di affittare per almeno nove anni

l'appartamento. Le condizioni sono rimaste uguali fino a oggi, a eccezione della quota deducibile, che è stata

ridotta al 18 per cento. La Francia non è però l'unico Paese ad aver cercato di resuscitare il settore

immobiliare concedendo sconti fiscali a chi compra per affittare. La Gran Bretagna, ad esempio, dal 2008

concede l'esenzione dall'Iva agli investitori istituzionali che lo fanno, mentre la Spagna, una delle nazioni più

colpite dal crollo del mattone, ha messo a disposizione una linea di credito da 3 miliardi di euro, a tasso

agevolato, per gli operatori che s'impegnano a dare in locazione per almeno sette anni una parte delle

abitazioni invendute. La vera novità emersa con la crisi dell'economia europea riguarda però i capitali

stranieri. A eccezione dell'Italia, tutti i Paesi più colpiti dalla recessione hanno introdotto leggi che permettono

a cittadini extracomunitari di ottenere il permesso di soggiorno in cambio di un investimento immobiliare.

Spagna e Portogallo chiedono di comprare case per almeno mezzo milione di euro, concedendo per questo

la possibilità di risiedere nel Paese fino a cinque anni rinnovabili. Risultato: in Spagna, secondo il portale

locale fotocasa.es, nei primi tre mesi dopo l'approvazione della legge la domanda di immobili con un valore

superiore ai 500 mila euro è aumentata del 21 per cento. Il permesso di soggiorno è ottenibile anche in

Irlanda, sborsando però un milione di euro, mentre per Cipro ne servono 300 mila e per la Grecia, fanalino di

coda dell'economia europea, sono sufficienti 250 mila euro. Tocca rinunciare al clima mediterraneo, ma se si

vuole davvero risparmiare, "Lettonia is the place to be". Nel Paese baltico un permesso di residenza costa

davvero poco: 150 mila euro se si acquista casa nella capitale Riga o nelle altre città del Paese, 75 mila se si

è disposti a comprare in campagna. Per chi non si accontenta del permesso di soggiorno, ma punta subito

alla cittadinanza, la destinazione è solo una: Malta. Qui, investendo mezzo milione nel settore immobiliare, si

diventa addirittura cittadini dell'isola. Che poi significa cittadini europei, quindi liberi di andare a vivere in

Francia, Germania o Italia. Una conseguenza che ha già creato qualche malumore all'interno dell'Ue. Intanto

La Valletta, che ha introdotto la misura a febbraio di quest'anno, ha da poco annunciato i primi risultati del

suo programma: oltre duecento domande di adesione provenienti da cittadini di trenta nazionalità, soprattutto

russi. Il premier, Joseph Muscat, ha detto che solo nel primo anno il programma genererà entrate per 30

milioni di euro. Equivalgono allo 0,3 per cento del prodotto interno lordo. Pochino anche per la piccola

economia maltese. Ma in tempi di crisi, si sa, tutto fa brodo.

Foto: Una vedUta del qUartiere di san carlo all'arena, a napoli

Foto: il nuovo quartiere residenziale di citylife, a milano

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 74

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Economia dynasty Di chi sarà LUXOTTICA Il ribaltone al vertice dell'azienda riapre il tema della successione. La holding in Lussemburgo e i piani di DelVecchio vittorio malagutti Luxottica? «Sarà del management». Nel dicembre del 2003 Leonardo Del Vecchio annunciava in un'intervista

il proprio imminente pensionamento. «Mi ritiro nel giro di due-tre anni», spiegava, «l'ho promesso alla

famiglia». Un decennio dopo Del Vecchio è ancora al timone. Non lascia. Anzi raddoppia. Ha messo alla

porta Andrea Guerra, il capoazienda in carica dal 2004, e per sostituirlo si affda a una coppia di

amministratori delegati, l'ex direttore fnanziario Enrico Cavatorta e un altro manager ancora da reclutare.

Entrambi però dipenderanno da un presidente a cui spetta l'ultima parola su tutto. Ed è proprio questo il ruolo

che Del Vecchio ha scelto per se stesso, rimandando ancora una volta il pensionamento più volte annunciato.

Tutto bene, se non fosse che il fondatore di Luxottica viaggia verso gli 80 anni (li compirà il 22 maggio del

2015) e gli investitori ancora attendono di conoscere quali sono i piani per la successione al vertice di una

delle poche aziende italiane davvero globali: oltre 7 miliardi di ricavi, attività nei cinque continenti, quotazione

in Borsa a Milano e anche a Wall Street. La questione è doppiamente importante, se si considera che il

gruppo nato ad Agordo, in provincia di Belluno, è la proiezione su scala mondiale di un'impresa padronale di

successo, legata a flo doppio all'immagine del suo fondatore. Nell'intervista al "Sole 24Ore" pubblicata

martedì 2 settembre Del Vecchio ha dichiarato che la sua idea di «rientrare personalmente nella gestione»,

maturata alla fne del 2013, serve per preparare l'azienda al futuro. Il patron di Luxottica non ha forinito

dettagli. Cioè non ha spiegato in che cosa consiste questa preparazione e come si concilia con il suo ritorno

al comando. Fatto sta che Guerra avrebbe dato le dimissioni proprio perché, dice Del Vecchio, non accettava

il nuovo ruolo, e i nuovi poteri, dell'azionista. In attesa di maggiori informazioni sull'assetto di vertice

annunciato il primo settembre, gli analisti continuano quindi a chiedersi quali sarebbero i piani di successione

predisposti dal fondatore di Luxottica. Il quadro è complicato. Del Vecchio ha sei fgli nati da tre unioni diverse.

Il più anziano, Claudio, ha 57 anni. Il più giovane, Clemente, ne ha 11. Gli altri eredi sono Marisa (56 anni),

Paola (54), nate come Claudio dal primo matrimonio con Luciana Negro. Poi Leonardo Maria, fglio della

seconda moglie Nicoletta Zampillo e infne Luca (13 anni), nato, come Clemente, dal rapporto con Sabina

Grossi. Solo Clau dio, in passato, ha avuto un ruolo nella gestione del gruppo, ma già dal 2001 ha scelto di

mettersi in proprio, rilevando il controllo del famoso marchio di abbigliamento americano Brooks Brothers.

Tutti gli eredi sono rappresentati nel capitale di Delfn, la holding con base in Lussemburgo che controlla la

quota di maggioranza di Luxottica. Nel Granducato il libro soci è un segreto ben custodito, ma secondo le

notizie diffuse negli anni scorsi, il fondatore si è riservato l'usufrutto e i diritti di voto per l'intero capitale della

Delfn. La nuda proprietà dei titoli sarebbe però già stata trasferita ai sei fgli in parti uguali. Per facilitare il

passaggio definitivo delle consegne, nel 2010 Del Vecchio annunciò la creazione di una fondazione di diritto

olandese, la Delfn 1, a cui trasferire il controllo della omonima holding lussemburghese. Secondo questo

progetto, alla morte dell'imprenditore la gestione della nuova cassaforte sarebbe stata trasmessa ai fgli

maggiorenni, affancati dai rappresentanti di quelli ancora minorenni, che avrebbero avuto pieni poteri di

amministrazione solo al compimento della maggiore età. Il riassetto, presentato a suo tempo anche alla

Consob per le necessarie autorizzazioni, è però rimasto sulla carta. Nel mondo fnanziario alcuni osservatori

hanno collegato lo stop al nuovo matrimonio di Del Vecchio, che dopo il divorzio del 2000, nell'ottobre 2010 si

è risposato con la sua seconda moglie, Nicoletta Zampillo. Niente da fare, allora. La successione al vertice di

Luxottica, un gruppo che vale in Borsa quasi 20 miliardi, il doppio della Fiat, torna d'attualità solo adesso, per

spiegare l'improvvisa uscita di scena dell'amministratore delegato Guerra. L'azienda ora è «pronta per i miei

fgli», ha commentato Del Vecchio svelando la nuova organizzazione. Il rischio concreto è che questa

dichiarazione d'intenti non sia suffciente a convincere gli investitori, perplessi dopo il ribaltone. Lo capiremo

05/09/2014 106Pag. L'Espresso - N.36 - 11 settembre 2014(diffusione:369755, tiratura:500452)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 75

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nelle prossime settimane. Foto: D. Brogioni/Contrasto, Olycom, FotoA3

Foto: LEOnArDO DEL VECChIO. In SEnSO OrArIO: LO StABILImEntO DI AGOrDO E AnDrEA GUErrA

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2014 76

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SCENARIO PMI

4 articoli

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L'evento A Montichiari, dal 10 al 12 settembre, un'occasione di diversificazione per l'industria meccanica Fiera aeronautica, l'embargo europeo dimezza la presenza delle impreserusse Il presidente di Airet: rischiamo di perdere importanti commesse Massimiliano Del Barba Fra le molte - e spesso imprevedibili - ripercussioni economiche generate dalla strategia occidentale di

isolamento commerciale della Russia, anche la perdita di una serie di importanti commesse aeronautiche

che, nel complesso sistema di forniture e subforniture, si sarebbero potute perfezionare nel corso di Airet, la

fiera dell'industria aeronautica che ha scelto Montichiari per la sua terza edizione, dal 10 al 12 settembre

prossimi.

«Su una cinquantina di società presenti - spiega Emanuele Rimini, presidente di Airet Exhibitions - venti sono

italiane e 18 russe. Ebbene, di queste ultime, la metà hanno già dato forfait. Si tratta in parte di industrie

aeronautiche attive anche nel settore militare, quindi escluse a priori dall'area europea dopo l'embargo Nato,

e in parte di attività legate alle realtà aeroportuali della zona del Volga. In particolare la delusione si concentra

su queste ultime». La minaccia da parte di Fifa, Europa e Stati Uniti di boicottare i mondiali in Russia del

2018 ha indotto i sei aeroporti dell'area a disdire la loro presenza a Brescia». Non so se i nostri governanti se

ne sono resi conto, ma stiamo parlando di un investimento di 9,3 miliardi di dollari fra strutture immobiliari e

infrastrutture viarie».

Lo staff di Rimini, insieme a Guido Baruffi, presidente dell'Agenzia per la Russia, sta cercando di correre ai

ripari, anche se è evidente come il danno non potrà essere completamente riparato: «Stiamo organizzando a

breve una missione speciale a Niznij Novgorod, ma è chiaro che stiamo perdendo un'occasione importante

per aprirci a un mercato emergente come quello orientale».

L'idea di fondo di Airet, in effetti, è proprio questa: aiutare le piccole e medie imprese italiane nel difficile

percorso di accreditamento in mercati certo molto più complessi rispetto a quelli occidentali ma con

prospettive di crescita difficilmente immaginabili. «A Torino - prosegue Rimini - ogni anno si svolge

l'Aerospace & Defense Meeting. Si tratta di un evento che si rivolge all'area Nato. Il nostro obiettivo, invece, è

ruotare di 180 gradi l'interesse del business. La Russia ma non solo, anche la Turchia, il Kazakistan e,

dall'altra parte del mondo, il Sudamerica, soprattutto il Cile, che sta cercando di scardinare il monopolio

brasiliano nel comparto. Certo, rispetto al passato abbiamo avuto altri importanti defezioni, come le

delegazioni libiche, egiziane e ucraine. Diciamo che la situazione geopolitica non ci sta favorendo».

Guai, tuttavia, a chiamarla fiera: «Airet è un evento B2B, ed è la puntualità e la specificità degli incontri

bilaterali in programma che ci interessa. Ecco il perché della relativa esiguità delle imprese invitate». Fra cui

anche l'Omr del presidente di Aib Marco Bonometti e il gruppo Camozzi. «Dopo i due anni alla fiera di Rimini -

puntualizza il presidente di Airet - abbiamo scelto Brescia su suggerimento di Bonometti perché crediamo che

questo sia un territorio interessante per costruire occasioni di collaborazione industriale. Le aziende

bresciane, infatti, devono incominciare a capire che il passaggio dall'automotive all'aeronautica dal punto di

vista tecnologico è meno difficile di quanto si creda. Si tratta di un settore in continua crescita e esistono già

alcuni casi di diversificazione di successo, penso ad esempio alla Omi di Lacedonia, in provincia di Avellino,

che dalla meccanica ora lavora con Alenia».

Defezioni a parte, il momento clou sarà la cena di gala di martedì 9 settembre: un centinaio di invitati - fra cui

anche il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi - e, fra un brindisi e una tartina, quell'informalità necessaria a

stringere le mani giuste.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Le aziende provenienti dalla Federazione russa che si erano accreditate alla terza edizione di Airet. Diqueste, nove hanno disdetto la loro presenza 18

05/09/2014 9Pag. Corriere della Sera - Brescia(diffusione:619980, tiratura:779916)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/09/2014 78

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Miliardi di dollari . A tanto ammonta il volume di investimenti che saranno messi in campo per lapreparazione dei mondiali in programma nel 2018 9,3

05/09/2014 9Pag. Corriere della Sera - Brescia(diffusione:619980, tiratura:779916)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/09/2014 79

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DALLA PISANA DUE BANDI INTERNAZIONALI E UN MASTER Regione, 7,6 milioni per l'export delle imprese ANNA RITA CILLIS BANDI per le aziende del Lazio che vogliono allargare gli affari ai mercati esteri. E poi un master per formare

gli export-manager, più un contributo per il Vino Forum Trade, la prima fiera aperta ai grandi compratori esteri

che si terrà dal 12 novembre a Roma. Il tutto con il supporto economico della Regione che "investirà" per

questa operazione 7,6 milioni.

E agli oltre 900 imprenditori che hanno gremito la Regione, per la presentazione di questi nuovi bandi, il

governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, ha ricordato come solo «un anno fa il Lazio aveva zero centesimi per

l'aiuto alle imprese mentre oggi abbiamo 50 milioni in cinque anni per aiutare le piccole e medie imprese del

Lazio a essere più forti nel mondo». Poi ha aggiunto: «La cosa più bellaè che le imprese hanno risposto e

stiamo vincendo la scommessa di dimostrare che lo "Stato innovatore" può esistere. Solo un anno e mezzo fa

questa era un po' la Regione simbolo del malaffare ma vederla oggi piena di persone che producono

ricchezza è il modo migliore di aprire questo nuovo anno».

05/09/2014 1Pag. La Repubblica - Roma(diffusione:556325, tiratura:710716)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/09/2014 80

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SCENARI WORLD MANUFACTURING FORUM La svolta hi-tech della manifattura Fotonica, stampanti 3D robotica. E poi cloud, big data e cyber security. Ecco la cura degli esperti per farripartire la vocazione industriale europea ROBERTO AMAGLIO Più delle parole, contano i dati, snocciolati dal rapporto The European House Ambrosetti. Dal 2008, l'industria

europea ha perso 3,4 milioni di posti di lavoro, con un crollo nella produzione intorno al 10%. Ma, soprattutto,

ciò che colpisce è il minor peso del comparto sull'economia del Vecchio Continente. Se nel 2000 il peso del

settore manifatturiero era del 18,5%, nel 2011 era sprofondato a 15,6%, con la sola Germania ben al di sopra

della media (23%). Insomma l'Europa, non solo a causa degli ultimi anni di recessione, ha perso la sua

vocazione manifatturiera, come dimostra la contrazione del 2,5% dei fondi destinati. Eppure il potenziale del

settore è elevato. E potrebbe da solo risollevare l'Unione Europea dalle sabbie mobili della crisi economica.

Per questo motivo all'interno del programma Horizon 2020, è stato inserito un vero e proprio piano di

reindustrializzazione, che vuole riportare il peso del comparto industriale al 20% del Pii comunitario nel giro di

soli 6 anni, con la creazione di 7 milioni di posti di lavoro e un valore aggiunto da generare di 790 miliardi di

euro. Se si pensa che la leva occupazionale della manifattura è stimata intorno a due (ogni posto di lavoro

creato nel settore ne genera due nei servizi), si può capire perché si sia data molta enfasi al progetto Horizon

2020. Ma se dal Parlamento europeo parlano di obiettivo ambizioso; gli analisti più realistici credono che un

tasso di crescita del 5% annuo sia utopistico, anche qualora vengano messi in campo interventi massicci: il

miliardo e 150mila euro stanziato dalla Commissione europea per rilanciare il manifatturiero avanzato sembra

una goccia nell'oceano, anche perché il settore è alle prese con quella che molti definiscono la terza

rivoluzione industriale. Fabbrica intelligente Cambiare per sopravvivere. Questo il motto che una cinquantina

di esperti internazionali del mondo accademico, industriale ed economico hanno utilizzato nel corso della

terza edizione del World Manufacturing Forum, svoltosi l'I e il 2 luglio a Milano e incentrato sulle prospettive di

rilancio del settore. Alla base delle loro convinzioni l'idea che la manifattura sia in grado di risollevare le sortì

italiane, europee e, in generale, dei Paesi occidentali. A patto che l'innovazione ne caratterizzi il rilancio. «Per

questo motivo la defìscalizzazione degli investimenti sulla ricerca e sviluppo, anche in ambito universitario, è

il primo passo da fare», ha affermato Marco Taisch, direttore scientifico dell'evento e professore al Politecnico

di Milano, che ha sottolineato anche la necessità di valorizzare i giovani talenti facendo in modo che non

siano costretti ad andarsene all'estero e di creare un mercato del lavoro più fluido e flessibile di quello attuale.

Ma, soprattutto, a cambiare devono essere i processi produttivi, le tecnologie e le merci. Fotonica,

automazione, robotica, stampanti 3D, nano tecnologie sono i rami di mercato che stanno crescendo e su cui

bisogna puntare per innovare le attività produttive. E le imprese non possono fare a meno di strumenti di

condivisione dei dati e di creazione di valore come il Cloud, i Big data, la Cyber security e l'internet of things;

strumenti indispensabili per efficientare i processi e personalizzare il prodotto. Mercato meno globale Se la

tecnologia e l'innovazione dei processi sono stati i temi portanti della due giorni di lavoro, nel World

Manufacturing Forum di Milano è stata sottolineata un'altra interessante tendenza: il ritorno al mercato locale.

Secondo Thomas Kurfess, professore del Geòrgia Institutes of Technology degli Stati Uniti, «C'è un trend in

atto nell'economia mondiale, che sposta i centri di produzione manifatturiera più vicino alla domanda». Niente

più delocalìzzazione verso paesi dell'est a caccia di un costo del lavoro più basso. In futuro il valore aggiunto

sarà rappresentato dalla vicinanza al cliente. «C'è una nuova attenzione alla prossimità», spiega Maurizio

Gattiglio, vicepresidente di Prima Industria e presidente dell'Effra, ossia dell'European factories of thè future

research association. «Il modello di produzione di beni da esportare in tutto il mondo è andato in crisi. Basti

pensare all'automotive cinese, diventato il primo produttore mondiale grazie alla domanda interna. Oppure al

caso di Adidas, che è tornata a produrre le sue scarpe in Germania», i ?

05/09/2014 12Pag. Espansione - N.9 - ago/set 2014(diffusione:154456, tiratura:179408)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/09/2014 81

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Le priorità delle aziende del settore 1. Investimenti in infrastrutture 2. Sostegno alle filiere dei settori basati

del sulle nuove tecnologie 3. Armonizzazione norme fiscali tra Paesi concorrenti 4. Trasparenza del quadro

giuridico 5. Rafforzamento degli strumenti di difesa commerciale 6. Creazione di un mercato unico per la

formazione, la ricerca e l'innovazione 7. Abbassamento (in Italia) del costo dell'energia) 8. Semplificazione

del mercato del lavcoro 9. Snellimento della burocrazia 10. Diversificazione delle fonti di finanziamento

Chi ha partecipato al Forum Alla seconda edizione del World Manufacturing Forum di Milano hanno

partecipato una cinquantina di relatori internazionali, provenienti dal mondo accademico, produttivo,

scientifico e politico. Tra questi; Galina Antova, Global head industriai security di Siemens; Dean Bartles,

direttore esecutivo di Digital manufacturing and design innovation; Jordan Brandt, portatore d'innovazione di

Autodesk; Philippe Chalès, Ceo di Delmia; Dianne Chong, vice presidente di Boing Engineering; Clara de la

Torre, direttore responsabile della

commissione europea per la ricerca e innovazione; Valerio De Molli, manager di The European House -

Ambrosetti; Guillermo Fernandez de la Garza, Ceo della Fondazione messicana della scienza; José

Ferdando Figueiredo, predidente di Aecm; Francesca Flamigni, direttore generale della commissione

europea per la comunicazione e tecnologia; Peter Frise, Ceo di Auto21; Zoran Stancic, vicedirettore

dell'Agenda digitale della Commissione europea; e Maurizio Gattiglio, vicepresidente di Prima Industria e

presidente dell'Effra.

Foto: TERZA EDIZIONE Dopo gli incontri a Stuttgart nel 2012 e a Washington (saltato per il default

economico degli Stati Uniti), quella milanese è la terza edizione del World Manufacturing Forum

05/09/2014 12Pag. Espansione - N.9 - ago/set 2014(diffusione:154456, tiratura:179408)

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MERCATI & BUSINESS VALORI POSITIVI Quando l'ottimismo diventa un premio II primo Positive Business Award ha dato visibilità alle storie di successo di 21 aziende italiane, che si sonomesse in luce per la capacità di innovare e pensare positivo. Anche durante la crisi CHIARA OSNAGO GADDA Una consacrazione di quelle realtà re aggiunto del proprio stile. E proprio per "Positive Business Award",

ideato e orgache, nonostante le difficoltà, fanno della pò- questo innovano, si distinguono, crescono; nizzato

dalla Scuola di Palo Alto (la Busisitività il valore fondante della loro organiz- diventando esempi per le altre

imprese. ness School non accademica, principale rezazione, il motore della produttività, il vaio- Questo

l'obiettivo della prima edizione del ferente italiana nella Positive Education) con il supporto organizzativo di

Dlb Group Italia (agenzia di consulenza creativa e di marketing, parte del network internazionale Dlb

Worlwide), in partnership con Confimprese e con Carter & Benson. Ventuno le punte di diamante che sono

state premiate il 4 giugno scorso, in una serata di gala condotta da Enrico Banchi, Ceo di Profiles

International Italy, e da Angela Maria Scullica, direttore di Espansione, BancaFinanza, II Giornale delle

Assicurazioni, davanti a un parterre eccellente di imprenditori, giornalisti, manager, professionisti, head

hunter, sportivi, uomini di cultura e dello spettacolo. «Abbiamo voluto dare un riconoscimento a quelle realtà

che indicano come rotta della loro business la cura delle persone, lo sviluppo delle relazioni, la circolazione

delle idee, e per le quali la visione positiva delle cose e del futuro sono il vero carburante», afferma Marco

Masella, presidente della Scuola di Palo Alto. «Felicità, fiducia e futuro sono tutto ciò che serve nel mondo del

business per prosperare: ci auguriamo che questo evento sia di buon auspicio per la ripartenza del nostro

Paese». Come nasce l'idea del Positive Business Award? «Il Positive Business Award nasce per dare

continuità al messaggio lanciato nel corso del primo Positive Business Forum del marzo 2013: "Be Positive,

Be Solid", affermarono in quell'occasione alcuni dei rappresentanti internazionali più autorevoli del positive

thinking. L'intento del premio, che avrà la sua seconda edizione nel corso di Expo 2015, è stato quello di

approcciare la scienza positiva come strumento per affrontare le difficoltà che le aziende stanno vivendo,

provando a individuare una soluzione pragmatica, creativa e innovativa. È questo lo stile con cui sono state

valutate le case history delle aziende candidate al premio, decretando poi quelle vincitrici nelle diverse

categorie. E assegnando, infine, il Positive Business Award al Gruppo Servizi CGN». Perché la giuria ha

scelto proprio CGN? «Perché rappresenta un'azienda dove i risultati sono solo la naturale conseguenza del

lavoro che si fa sulle persone. I suoi valori etici vengono condivisi con i collaboratori: la cura delle persone, lo

sviluppo delle relazioni, la circolazione delle idee, la crescita continua in tutti i settori diventano la

preoccupazione dei dirigenti di CGN; la visione positiva delle cose e del futuro è la molla che lo induce a

investire in nuovi progetti, in persone, in idee anche in tempi problematici come quelli attuali. Non a caso,

negli ultimi 4 anni, CGN è passata da 70 collaboratori a 190 e continua ad assumere. Sta investendo in 5

startup per sviluppare nuovi business; ha completato nel 2013 una nuova sede da 4.000 mq e, in generale, è

una realtà che non si fa contagiare dalla negatività che molti mettono in circolo nei momenti di crisi: al

contrario, considera i momenti di crisi come colossali opportunità per vincere nuove sfide. Lo dimostra il

bilancio 2013, chiuso con un +30% rispetto all'anno prima». A sentire parlare Giancarlo Broggian, fondatore e

titolare del Gruppo Servizi CGN, non si fatica a capire il perché della scelta della giuria. All'idea innovativa

che è alla base dell'iniziativa imprenditoriale, alla visione, al carisma, alla leadership, alle doti professionali e

umane ha saputo affiancare nel tempo due abilità fondamentali che oggi stanno facendo ancor di più la

differenza, amplificando i successi del gruppo: la capacità di creare un'organizzazione guidata dai valori e la

capacità di lavorare sulla crescita delle persone come elemento indispensabile per ottenere i successi futuri.

«In tutto, e anche nel lavoro, devi essere vero e tirar fuori il cuore», afferma Broggian. «Da sempre mi sono

occupato di risorse umane, ma fino a quattro anni fa a tempo perso. In azienda non c'era neppure l'ufficio del

personale. Poi mi sono convinto che il numero uno di un'azienda si deve occupare di persone. E così ho fatto

05/09/2014 34Pag. Espansione - N.9 - ago/set 2014(diffusione:154456, tiratura:179408)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/09/2014 83

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la rivoluzione: ho impiegato un anno per trovare la persona giusta. Una donna di 38 anni che aveva girato il

mondo. Abbiamo stravolto la nostra strategia, mettendo "dentro all'azienda" i talenti, ogniqualvolta li

trovassimo e non all'occorrenza, con il risultato finale che, in quattro anni, le persone nel reparto di gestione

del personale sono passate da una a quattro. Mi sono spostato in quel reparto per quattro anni, senza

scrivania mettendomi dove c'è il vero "capitale": quello umano. La nostra è un'azienda dove le persone, la cui

età media è di 35 anni, vengono selezionate al 51% se sono belle dentro, e al 49% se sono brave. Questo

perché per cambiare il loro carattere occorre un lavoro lungo e questo è possibile solo se c'è consapevolezza

da parte del collaboratore. Lavoriamo tutti in team e in condivisione. Io non sono al comando, ma sono il

coordinatore dei gruppi di condivisione». Perché ha fatto questa rivoluzione? «Perché per realizzare qualcosa

nella vita devi avere un sogno e, soprattutto, ti devi sbilanciare e dire cosa vuoi. La rivoluzione è nata perché

eravamo un'azienda che andava bene, ma dentro a un'area di confort: crescevamo al massimo all'8%. C'era

qualcosa che non andava. Abbiamo così cercato di capire se potevamo cambiare metodo, strategie e

prodotti, facendo il piano triennale. Abbiamo ridefinito la strategia ponendoci una meta, la motivazione delle

persone, l'asse temporale, gli obiettivi e, in generale, il sogno dell'imprenditore, che era poi il mio: creare il più

grande network di professionisti, possibilmente collegati in rete. E ce l'abbiamo fatta! Ora, non abbiamo

dipendenti ma solo collaboratori con cui stabiliamo relazioni vere. Il mio ruolo consiste nel far crescere le

persone prima dal punto di vista personale e poi da quello professionale, obiettivo realizzabile solo in un

ambiente sereno e stimolante. Infine, dopo 14 anni, cominceremo a riscrivere il codice etico, con la

partecipazione di circa 200 persone e lo faremo in otto sabati, dove andremo ad approfondire il tema del

valore dell'etica e dell'appartenenza». Perché avete deciso di partecipare al Positive Business Award?

«Perché è un premio nel quale ci ritroviamo totalmente. La positività è la chiave di svolta per l'Italia, è un

elemento strategico e fondamentale. In sintesi, è la benzina dell'azienda». Su questa lunghezza d'onda

anche Mario Maiocchi, amministratore delegato di Mondadori Retail, la società del gruppo Mondadori, leader

nello scenario editoriale e dei periodici italiano, che opera con un network di 600 punti vendita tra librerie

dirette, in franchising, multicenter ed edicole. «Le aziende devono innovare; fare cose nuove. Da anni si parla

di crisi e di problemi e un'iniziativa come il Positive Business Award da valore alla strategia d'impresa. Fare

comunicazione positiva, dentro e fuori l'azienda, è la filosofia a cui ci ispiriamo in Mondadori: dare ai nostri

clienti un mondo di cultura ed emozioni, invitarli a vivere un'esperienza d'acquisto unica, grazie a spazi

multifunzionali e all'ampiezza dell'offerta culturale e di intrattenimento. I driver che ci ispirano sono quelli di

fare strategia commerciale in termini di prodotti, economics, people, innovazione (di prodotto e di servizi) nel

format di vendita, rinnovando cioè la shopping experience, che deve essere sempre un'emozione. Il

protagonista all'interno del punto vendita è il cliente, e ogni ambiente e servizio è pensato su misura». Le

persone al centro sono l'elemento differenziante che fa grandi le aziende. Di questo ne è convinto Dario Villa,

direttore generale di BlueSpirit che, con 200 gioiellerie, dirette e in franchising in Italia e all'estero, è un

multimarca con forte rilevanza del brand di prodotto Bluespirit, accompagnato dai top brands nel mondo del

gioiello e orologio. «I nostri store si propongono come un luogo accogliente e positivo, quello cioè in cui i

clienti possono avere una shopping experience appagante e soddisfacente, soprattutto grazie alla

preparazione del team di vendita. Da anni, abbiamo un claime in azienda che si chiama "Noi abbiamo lo

Spirito Blu": la peculiarità di essere convinti di fare bene le cose, attraverso l'empatia di tutte le ragazze di

fleld, le vere autrici di una positiva shopping experience. Per questo abbiamo creato un laboratorio di

formazione, "Blue Spirit Academy", dove si formano le risorse affinchè siano in grado di trasferire al

consumatore empatia e simpatia, riuscendo a entrare in sintonia con il consumatore, creando engagement».

Alla luce di queste dichiarazioni è chiaro che il Positive Business Award sia stato una manifestazione che ha

dato il via a un'idea di ripresa delle aziende, con una visione che mira alla volontà di fare business. Questo è

anche il parere di Monica Melani, conduttrice del programma Forum delle Pmi, l'unica trasmissione tv ad

approfondire i problemi delle Pmi. Il format è semplice: dare consigli agli imprenditori, in un clima di positività,

raccomandando, per esempio, di perseguire sempre l'innovazione del proprio prodotto/servizio e

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l'internazionalizzazione. «Le aziende del Made in Italy, al di là di Expo 2015, sono sempre attive, attente al

nuove e molto mirate a creare nuovi prodotti e nuovi business», spiega Melani. «La positività legata al

business consiste proprio nel rendere felici le persone. E il concetto è trasversale a tutti i comparti: le società

che si occupano di arredamento danno felicità, così come quelle delle moda, ma anche quelle degli

elettrodomestici o del food. In generale il segreto è mettere al centro la soluzione positiva del problema,

risolvendo sempre tutto bonariamente, rispettando le persone. E questo è anche lo spirito del Positive

Business Award». I denominatori comuni del premio sono dunque le persone e il Made in Italy. Anche

Phonetica SpA, protagonista nel mercato da oltre 15 anni nell'offerta di soluzioni di Business Process

Outsourcing nelle comunicazioni insieme a PhoneticaLab (sua società di ricerca e sviluppo), crea e sviluppa i

suoi servizi sulla persona. Phonetica progetta i suoi servizi di relazione con nuovi canali di contatto e di

condivisione, dai servizi social alla video assistenza "Human to Human". E sull'ascolto dei fabbisogni formativi

costruisce i percorsi di empowerment e li realizza valorizzando le proprie competenze interne. PhoneticaLab

invece, partendo dall'esperienza maturata in ambito tecnologico e nel service design, nell'ottica di aumentare

la profittabilità dei servizi erogati, ha lanciato sul mercato alcune soluzioni di totem video assistiti, tra cui

V.ERA Suite, un network commerciale video - assistito da remoto (gestito cioè da una persona reale), in

grado di accogliere, informare, assistere e promuovere servizi e prodotti nei confronti di utenti / clienti, per

migliorare le abitudini di acquisto nel retail market. «Il Positive Business Award», afferma Marco Durante, Ceo

di Phonetica e di Phonetica Lab, «ha lanciato un forte segnale di positività in un momento in cui di positività

ce n'è poca. Le aziende stanno cercando di salvare il salvabile e non è facile mettere in piedi servizi nuovi e

prodotti nuovi. Avere avuto un riconoscimento alla positività in un momento in cui questa non è un tema di

tutti, ci da una spinta ulteriorre per il futuro. Dopo il successo di questo evento, mi aspetto per l'edizione del

2015 una cassa di risonanza ancora maggiore, con tante, anzi, tantissime aziende che parteciperanno al

premio». Di questo ne è convinto anche Eusebio Gualino, amministratore delegato di Gessi Spa, l'azienda

costituita nel 1992 da Umberto Gessi con il figlio Gianluca che è divenuta in pochi anni la prima azienda

italiana nel settore della rubinetteria - arredobagno. «Noi ci consideriamo un'azienda positiva e siamo convinti

del fatto che la positività in parte deve essere scritta nel dna, ma bisogna anche ricercarla e coltivarla. Anche

nei momenti negativi è importante vedere il bicchiere mezzo pieno, accendendo gli abbaglianti e facendo luce

sullo scuro. Ecco perché ritengo il premio fondamentale per dare benzina al nostro paese e la prossima

edizione dovrà essere ancora più grandiosa. Il nostro Paese ha bisogno di rendersi conto del bello che ha,

l'area wellness a cielo aperto, un'agricoltura meravigliosa, un'artigianalità unica al mondo». Di aziende che in

Italia funzionano, innovano e "fanno" ce ne sono. E anche tante. Anche perché il Made in Italy è da sempre

tradizione e qualità, capace di trasferire emozioni. Il gruppo alberghiero italiano Planetaria Hotels, per

esempio, nato a metà degli anni '90, ha mosso i suoi passi con l'obiettivo di creare una nuova proposta nel

panorama dell'hotellerie. Proprio per la sua capacità di proporre nuovi format esperienziali, la giuria

dell'Award le ha riconosciuto il Positive Travelling Experience. «Questo riconoscimento per noi è molto

importante», afferma Damiano De Crescenzo, direttore generale del gruppo. «La nostra filosofia è quella di

fare cose semplici che stimolino la positività del cliente, indipendentemente dal fatto che sia un manager, un

imprenditore o un ragazzo. La positività è l'elemento che porta a far star bene una persona. Dunque è su

questa direttrice che tutti dovremmo concentrarci: abbiamo ingegno e cultura ma sfruttiamo poco la nostra

potenzialità, le nostre eccellenze e il nostro patrimonio artistico. All'estero sono più bravi, in quanto riescono a

fare sistema non privilegiando l'interesse di una categoria. Siamo forti nelle tutele, ma debolissimi nel

sistema. Per quanto ci riguarda, stiamo facendo attività sull'accoglienza a 360°, dotando tutti i nostri alberghi

di 4 e 5 stelle di Spa, ma anche con la cultura del food e dell'energia, alla base del futuro e del presente del

nostro paese, anche con interlocutori come associazioni professionali e scuole di formazione, per far

accogliere le persone in modo speciale». Dunque, in definitiva, come si può sintetizzare la prima edizione del

Positive Business Award? «È stato un segnale di fiducia in un mondo di difficoltà», risponde Giorgio Restelli,

direttore delle | tq risorse artistiche di Mediaset. «Il fatto di puntualizzarlo in un momento come questo non

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può che far bene. Il premio che mi è stato assegnato nel corso dell'evento, lo tengo in bella mostra dietro la

mia scrivania, perché rappresenta un riconoscimento del singolo che però appartiene al gruppo. Un gruppo di

persone positive, con le quali lavoro quotidianamente. La positività che ritrovo in me appartiene a una qualità

genetica, al mio Dna. Ma ritengo che bisogna saperla individuare, sfruttandone la potenza. Anche la

comunicazione positiva crea immediatamente un humus nella proposizione di un prodotto e nel successo di

un programma. Un bel sorriso, un atteggiamento aperto, una parola rotonda e calda non possono che creare

positività. Il 2015 sarà l'anno di Expo, che rappresenterà un appuntamento importante non solo per Milano

ma per l'Italia intera. Auspico sia una porta che si apre verso una nuova vita», is

Premi Positive Business Award 2014 Agema Corporation (Young Talent) BlueSpirit (Team) California

Bakery (Food Experience) CarGlass (People) CloudTel (Innovation) Collegio San Carlo di Milano (Children

Education) "Eyes" di Elite Shopping TV (Happy Start Up) Forum delle Piccole e Medie Imprese (Media) Gessi

S.p.A. ( Company) . Ironia Design ( Sustainibility) Le Fablier (Image) Mediolanum Corporate University

(Training)

•• Mondadori Retail (Customer Esperience) 14. Originai Marines (Baby thinking Company) li», Penta

(Technology) 16. Phonetica (Vision) 17. Phonetica Lab (Product Launch) 18. Planetaria Hotels (Travelling

Experience) 19. Servizi CGN (Business Network) 20. Sperlari (History) 21. Thun (Communication)

L'ultimo trofeo del capitano Nel corso della serata sono stati assegnati anche tre premi speciali. Il "Positive

sport leader award" è andato a Javier Zanetti, il grande capitano dell'lnter che la scorsa stagione ha chiuso la

sua gloriosa carriera; il "positive media manager award" è andato a Giorgio Restelli, direttore delle risorse

artistiche di Mediaset; mentre il "Positive photography award" è stato consegnato al maestro della fotografia

Gianni Rizzotti.

Foto: IL PAESE PIÙ BELLO DEL MONDO «L'Italia è un museo che vanta un'artigianalità unica al mondo.

Serve solo sponsorizzarla con positività», sostiene Eusebio Gaulino, amministratore delegato di Gessi Spa

COCCOLIAMO IL CLIENTE «II protagonista nel punto vendita è il cliente: ogni ambiente deve essere

pensato su misura», dice Mario Malocchi, amministratore delegato di Mondadori Retail VINCERE LE SFIDE

CON UN SORRISO II Positive Business Award vuole dare continuità al messaggio del primo Positive

Business Forum del marzo 2013

Foto: Condivisione e teamwork le chiavi del successo IL MARKETING DELL'ALLEGRIA «Entrare in sintonia

con il cliente per fidelizzarlo», dice Dario Villa, direttore generale di Blue Spirit FATTORI DI CRESCITA

«Felicità, fiducia e futuro sono tutto ciò che serve nel mondo del business per prosperare», dice Marco

Masella, presidente della Scuola di palo Alto

Foto: OTTIMISTI, ANCHE PENSANDO A EXPO «L'Award è un segnale di fiducia in un momento di crisi»,

dice Giorgio Restelli, direttore risorse artistiche di Mediaset PARTERRE DE ROI Al Positive Business Award

hanno partecipato imprenditori, giornalisti, manager, head hunter, sportivi, uomini di cultura e dello spettacolo

Foto: VALORIZZIAMO IL PERSONALE «II vero capitale dell'azienda è quello umano. E più talenti ci sono,

meglio è», sostiene Giancarlo Broggian, fondatore e titolare del Gruppo Servizi C6N

Foto: LO STIMOLO DELL'OTTIMISMO «Creare servizi e prodotti nuovi non è facile in tempi di crisi. Questo

premio è uno stimolo in più», afferma Marco Durante, Ceo di Phonetica e di Phonetica Lab Fare sistema non

privilegiando l'interesse di una categoria è il primo passo

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