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ANIEM Rassegna Stampa del 14/02/2017 La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio.

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ANIEM

Rassegna Stampa del 14/02/2017

La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o

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INDICE

ANIEM WEB

13/02/2017 molisenetwork.net 17:03 8

EDILIZIA - L'Acem Molise a Roma per il contratto nazionale di lavoro

13/02/2017 quotidianomolise.com 9

L'Acem Molise a Roma per il rinnovo del CCNL

SCENARIO EDILIZIA

14/02/2017 Il Sole 24 Ore 11

Su pensiline, gazebo e pergolati la guida del Consiglio di Stato

14/02/2017 La Repubblica - Torino 12

"La politica snobba il settore dell'edilizia Ma l'effetto è una città ferma"

14/02/2017 La Stampa - Nazionale 14

Debito, tasse e burocrazia i mali dell'eterna Cenerentola

14/02/2017 La Stampa - Torino 16

Però il mattone resta in crisi In 8 anni bruciato un posto su due

14/02/2017 Il Giornale - Nazionale 17

Muri storici degradati: le soluzioni per il restauro

14/02/2017 QN - La Nazione - Viareggio 18

Edilizia pubblica La graduatoria provvisoria

14/02/2017 Il Mattino - Salerno 19

Scure sul monte salari, 5 milioni in meno agli edili

14/02/2017 Il Tempo - Nazionale 20

«Faccia ripartire i cantieri e vedrà che le buche le ripariamo noi»

SCENARIO ECONOMIA

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14/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 22

L'equilibrio (instabile) tra meno deficit e taglio del debito pubblico

14/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 24

Vertice Generali, soci a consulto La Borsa torna a scommettere (+2,57%)

14/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 25

Marchi e de Vido, la pace dopo lo scontro

14/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 27

La maxifusione sotto Atlante Pronti a cedere Arca e Bim

14/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 28

Alitalia, diffida dei sindacati sulle modifiche al contratto

14/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 29

Pitruzzella: liberalizzazioni, avanti con la legge

14/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 30

Crapelli: troppo pessimisti sull'Italia Le imprese si sveglino, più Europa

14/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 32

Banca d'Italia, l'esordio di Cariplo e Compagnia San Paolo

14/02/2017 Il Sole 24 Ore 33

«L'incertezza politica un freno agli investimenti»

14/02/2017 Il Sole 24 Ore 35

Piano Sud innovativo, ma ora correre

14/02/2017 Il Sole 24 Ore 36

Il «fil rouge» fra Italia e Francia

14/02/2017 Il Sole 24 Ore 37

Il banale 0,2% e la vera emergenza

14/02/2017 Il Sole 24 Ore 39

«Pil 2017 fermo a 0,9%, rischi da banche e politica»

14/02/2017 Il Sole 24 Ore 41

Alle infrastrutture il 30,5% del budget

14/02/2017 Il Sole 24 Ore 42

Mifid2 spingerà verso le gestioni patrimoniali

14/02/2017 La Repubblica - Nazionale 43

Pubblico impiego, accordo vicino su licenziamenti e premi produttività

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14/02/2017 La Stampa - Nazionale 45

"Banche e incertezza Ecco cosa frena Roma"

14/02/2017 La Stampa - Nazionale 46

British Telecom in Italia Sette anni di conti in rosso

14/02/2017 Il Messaggero - Nazionale 48

Pa, piani triennali per assunzioni e mobilità

14/02/2017 Il Messaggero - Nazionale 50

Lotta all'evasione e tagli è la strategia anti-accise

SCENARIO PMI

14/02/2017 Corriere della Sera - Nazionale 53

Il «made in Italy» cresce e assume 350 offerte tra funivie e manichini

14/02/2017 Il Sole 24 Ore 54

Start up a crescita record: In Italia sono quasi 7mila ma attirano pochi capitali

14/02/2017 La Stampa - Torino 55

La Comoli Ferrari fa da tutor alle aziende che non trovano credito

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ANIEM WEB

2 articoli

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ANIEM WEB - Rassegna Stampa 14/02/2017 8

13/02/2017 17:03

Sito Web

EDILIZIA - L'Acem Molise a Roma per il contratto nazionale di lavoro

EDILIZIA - L'Acem Molise a Roma per il contratto nazionale di lavoro Di Aldo Ciaramella 13 Feb 2017 |

Nessun commento Nella categoria: Economia, News, News dal Molise Autorizzo l'utilizzo dei Cookie

Autorizzo CAMPOBASSO - Si terrà domani mattina a Roma il primo incontro operativo per il rinnovo del

Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro settore edile sistema Aniem Confimi che interesserà quasi 8 mila

imprese di tutta Italia. Importanti gli argomenti che saranno affrontati nel corso della trattativa: dal sistema

della bilateralità in edilizia, alla formazione e sicurezza, dal mercato del lavoro e degli appalti alla lotta al

lavoro nero, oltre agli aspetti economici. Nell'occasione, parteciperà domani alla riunione con le Segreterie

Nazionali di FILCA CISL, FILLEA CGIL e FENEAL UIL anche il Presidente dell'ACEM Corrado Di Niro, il

quale è stato di recente confermato quale membro della Commissione Sindacale Nazionale dell'ANIEM che

si occuperà della trattativa. Acem Edilizia Molise Autorizzo l'utilizzo dei Cookie Autorizzo Autorizzo l'utilizzo

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ANIEM WEB - Rassegna Stampa 14/02/2017 7

13/02/2017

Sito Web

L'Acem Molise a Roma per il rinnovo del CCNL

L'Acem Molise a Roma per il rinnovo del CCNL Postato il 13 febbraio 2017 da News in Attualità Tweet Si

terrà domani mattina a Roma il primo incontro operativo per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di

Lavoro settore edile sistema ANIEM CONFIMI, che interesserà quasi 8mila imprese di tutta Italia.

Importanti gli argomenti che saranno affrontati nel corso della trattativa: dal sistema della bilateralità in

edilizia, alla formazione e sicurezza, dal mercato del lavoro e degli appalti alla lotta al lavoro nero, oltre agli

aspetti economici. Nell'occasione, parteciperà domani alla riunione con le Segreterie Nazionali di FILCA

CISL, FILLEA CGIL e FENEAL UIL anche il Presidente dell'ACEM Corrado Di Niro, il quale è stato di

recente confermato quale membro della Commissione Sindacale Nazionale dell'ANIEM che si occuperà

della trattativa. Vuoi ricevere questa ed altre notizie direttamente sul tuo cellulare? Semplice! Invia il testo

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SCENARIO EDILIZIA

8 articoli

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 11

14/02/2017

Pag. 39

diffusione:105722

tiratura:156556

Permessi edilizi. Su terrazzi e balconi

Su pensiline, gazebo e pergolati la guida del Consiglio di Stato

Rosario Dolce

Pergolati, gazebo, tettoie, pensiline e, più di recente, le pergotende, sono opere, normalmente di limitata

consistenza e/o di limitato impatto sul territorio, di cui non è sempre agevole individuare il limite entro il

quale esse possono farsi rientrare nel regime dell'edilizia libera o per i quali è richiesta una c omunicazione

all'amministrazione preposta alla tutela del territorio o addirittura necessitano del rilascio di un permesso di

costruire. Spesso sono i regolamenti edilizi comunali che dettano le regole, cui si aggiungono poi, per le

aree sottoposte a vincolo paesaggistico o ad altri vincoli, ulteriori limitazioni. A fare un po' di chiarezza

sull'argomento ha recentemente pensato il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale con la sentenza

306/2017. Vediamo caso per caso le definizioni. Il pergolato, per sua natura,è una struttura aperta su

almeno tre lati e nella parte superiore. Esso costituisce una struttura realizzata al fine di adornare e

ombreggiare giardinio terrazze e consiste, quindi, in un'impalcatura, generalmente di sostegno di piante

rampicanti, costituita da due (o più) file di montanti verticali riuniti superiormente da elementi orizzontali

posti ad una altezza tale da consentire il passaggio delle persone. Normalmente il pergolato non necessita

di titoli abilitativi edilizi. Quando il pergolato viene coperto, nella parte superiore (anche per una sola

porzione) con una struttura non facilmente amovibile (realizzata con qualsiasi materiale), è assoggettata

tuttavia alle regole dettate per la realizzazione delle tettoie. Il gazebo, invece, nella sua configurazione

tipica, è una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore e aperta ai lati,

realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati

da tende facilmente rimuovibili. Spesso è utilizzato per l'allestimento di eventi all'aperto, anche sul suolo

pubblico,e in questi casiè considerata una struttura temporanea. In caso contrario, se infisso al suolo,

dovbrebbe essere richiesto il permesso di costruire La veranda è stata recentemente definita come un

«locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazzao portico, chiuso sui lati da

superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili» (si veda

l'intesa sottoscritta il 20 ottobre 2016 tra Governo, Regioni e Comuni sul regolamento edilizio•tipo). La

veranda, realizzabile su balconi, terrazzi, atticio giardini,è caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate

che all'occorrenza si aprono tramite finestre scorrevolioa libro. Per questo la veranda, dal punto di vista

edilizio, determina un aumento della volumetria dell'edificio e una modifica della sua sagoma e necessita

quindi del permesso di costruire. Infine, la pergotenda è qualificabile come mero arredo esterno quandoè di

modeste dimensioni, non modifica la destinazione d'uso degli spazi esterni ed è facilmente ed

immediatamente rimovibile, con la conseguenza che la sua installazione si va ad inscrivere all'interno della

categoria delle attività di edilizia libera e non necessita quindi di alcun permesso (Consiglio di Stato,

sentenza 1777/2014).

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 12

14/02/2017

Pag. 1 Ed. Torino

diffusione:239605

tiratura:340745

I NUMERI DI UNA CRISI

"La politica snobba il settore dell'edilizia Ma l'effetto è una città ferma"

Lo sfogo del leader dei costruttori STEFANO PAROLA

A PAGINA XI «SONO in carica da nove anni e non ho visto altro che dati negativi.

Ai colleghi l'ho detto: forse è l'ora di cambiare presidente, magari è una questione personale», scherza

Alessandro Cherio, numero uno del Collegio costruttori edili di Torino. Tra le mani ha l'ultima indagine

congiunturale della sua esperienza da leader dell'associazione, perché in estate il suo mandato terminerà e

non potrà più essere rinnovato. Dopo tutti questi anni, in lui prevale un sentimento: «È difficile spiegare

cosa ho dentro con termini da Accademia della Crusca. Mettiamola così: sono inca...to nero».

Da dove viene tutta questa rabbia? «Dal fatto che il mondo delle costruzioni ormai non viene più

considerato strategico, soprattutto dalla politica. Dal governo Monti in poi, tutti i provvedimenti sono stati

dannosi per il settore. Il valore degli immobili è sceso tra il 30 e il 50 per cento, i volumi di vendita sono

crollati e il recente aumento non riguarda comunque le nuove costruzioni. A tutto questo si aggiunge il

drastico taglio agli investimenti nel settore pubblico». Sono calati così tanto? «A Torino e provincia sono

scesi del 53 per cento negli ultimi nove anni, con un meno 22 per cento solo nel 2016 causato dal nuovo

codice degli appalti.

È il frutto di una politica debole, che non programma ma risponde solo al consenso elettorale a breve

termine. Al tempo stesso, sul fronte degli investimenti privati i metri quadri di superficie per cui è stato

chiesto il permesso di costruire sono crollati».

Però negli ultimi anni Torino è cambiata molto: la nuova stazione di Porta Susa, il passante ferroviario, il

grattacielo di Intesa, la Nuvola di Lavazza. Insomma, qualcosa si è mosso, non crede? «Parliamo di

investimenti che sono stati programmati vent'anni fa. Una barca, anche con i motori spenti, continua ad

andare avanti ancora per un po'. Si chiama abbrivio. A un certo punto, però, si ferma. È da due decenni che

si dice che il Piano regolatore è da rifare, su questo tema si fa un convegno a settimana, poi però non

accade mai nulla».

Quindi dal suo punto di vista Torino è ferma? «È innegabile che la città sia migliorata dopo le Olimpiadi,

ma la situazione delle manutenzioni è drammatica. Basta guardare le strade, o anche solo le parti bassa

dei condomini tutte pasticciate. Questo è un Paese che si sta impoverendo. Da quanto tempo a Torino non

si costruisce una scuola o un ospedale? Ormai è tutto decadente». Scusi, però l'ospedale arriverà: la

Regione intende costruire il nuovo Parco della salute nell'area ex Fiat Avio.

Non basta? «Da ragazzo andavo ai comizi dei politici e si parlava di costruire la tangenziale est di Torino,

che poi non si è mai vista.

Ecco, non vorrei che il Parco della salute diventasse la tangenziale est del terzo millenio. Nel mio discorso

di insediamento, nove anni fa, auspicavo che venisse realizzata. Solo ultimamente si è deciso in che luogo

costruirla». Neanche la nuova giunta comunale è riuscita a invertire la rotta? «A oggi il Comune non ha

appaltato nulla. A luglio abbiamo incontrato il vicesindaco Montanari, che ci ha presentato un piano di 172

milioni di investimenti nel 2017. A oggi non c'è nulla, se non un paio di bandi da qualche centinaia di

migliaia di euro. Siamo distanti anni luci da quanto annunciato».

Ma a Torino non c'è già troppo cemento? «Non credo ci sia necessità di nuove costruzioni, ma al tempo

stesso non possiamo pensare che tra 50 anni la città sia sempre questa. Altrimenti non avrebbe più senso

neppure parlare di urbanistica».

IL COMUNE

A luglio Montanari ci ha annunciato un piano di opere pubbliche da 172 milioni: che fine ha fatto?

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 13

14/02/2017

Pag. 1 Ed. Torino

diffusione:239605

tiratura:340745

LA REGIONE

Spero che il Parco della Salute non faccia la fine della Tangenziale est che deve ancora essere costruita

adesso

IL COMPARTO

Negli ultimi 10 anni gli investimenti pubblici sono stati dimezzati così come il numero degli addetti del

settore

L a crisi dell 'edilizia OPERAI ISCRITTI ALLA CAS SA EDILE DI TORINO E P ROVINCIA 18.147 16.835

15.003 15.850 13.712 2008 2010 2012 2014 2009 2011 2013 BANDI DI GARA DI EDILIZIA PUBBLICA

NEL TORINESE 2015 2016 201 169

Importo complessivo (in milioni)

Foto: Alessandro Cherio

Foto: DIECI ANNI DI MANDATO Alessandro Cherio si appresta a concludere il mandato da leader del

Collegio dei costruttori

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 14

14/02/2017

Pag. 7

diffusione:154324

tiratura:222715

Analisi

Debito, tasse e burocrazia i mali dell'eterna Cenerentola

Gli economisti: manca la spinta delle riforme, le imprese faticano ad andare all'estero e pesa anche l'invecchiamento della popolazione PAOLO BARONI

ROMA Sono i mali cronici dell'Italia a tarpare le ali al Paese, da un debito pubblico monstre a tasse troppo

alte, da una macchina pubblica che non funziona ai ritardi delle imprese. Manca la spinta delle riforme. E

tra quelle varate negli ultimi anni, dalla scuola al lavoro, sono troppe quelle già messe in discussione.

«Sono almeno 10-15 anni che cresciamo in media meno del resto d'Europa» ricorda il direttore del centro

studi di Confindustria, Luca Paolazzi. «Crescevamo un punto in meno all'anno degli altri anche prima della

crisi». «Un Pil che sale dell'1% all'anno è un dato fisiologico per un paese che presenta i problemi

dell'Italia», sostiene Paolo Onofri, vicepresidente di Prometeia ed ex consigliere economico di Amato, Prodi

e Ciampi. «Non dico che dobbiamo essere contenti, ma neanche meravigliarci troppo». A suo parere su

tutte sono due le «zavorre» che ci frenano: «il debito pubblico, che ci obbliga a politiche di bilancio molto

rigorose; e l'invecchiamento della popolazione, che comporta una domanda che cresce di meno ed una

formazione di risparmio più consistente, perché c'è incertezza sul futuro». Il misero +0,9% di Pil che

Bruxelles ci assegna per il 2017, insomma, non sorprende gli esperti. «Se guardo ai nostri dati - commenta

da Parigi Jean-Paul Fitoussi - non vedo una situazione molto diversa: la Francia cresce appena di più, ma

non sono pochi decimali a fare la differenza. Il male è comune e conosciamo bene la sua origine: viene

dalle politiche di austerità attuate in questi anni». Dall'altra parte della Manica il giudizio di Alberto Gallo,

che a Londra è a capo delle strategie macro di Algebris Investments e gestore del fondo Algebris Macro

Credit, è invece senza appello: «L'Italia arranca, come una squadra affannata che spera di arrivare ai rigori

per un'ultima chance. Ma stavolta non vale più puntare il dito contro la crisi: Spagna e Irlanda, entrambe

colpite più duramente di noi, si sono rialzate grazie a riforme e investimenti esteri. C'è poco tempo: il

salvagente della Bce non ci proteggerà a lungo». I problemi delle imprese Secondo Paolazzi l'Italia paga le

«difficoltà di adattamento al cambiamento del contesto. Colpa sia dei problemi strutturali esterni, quelli noti,

che dei problemi interni alle imprese, come il sottodimensionamento, la scarsa internazionalizzazione

(almeno quella diretta), la difficoltà nello sfruttare le nuove tecnologie e la scarsa capitalizzazione. Tutte

cose che frenano lo sviluppo e su cui occorre lavorare tutti». «Quando un fenomeno come quello della

bassa crescita si verifica per 10-15 anni consecutivi spiega il direttore del centro studi di Confcommercio,

Mariano Bella - non possiamo più parlare di vuoti di domanda o di effetti ciclici. Dobbiamo vedere cosa non

funziona dentro il motore, che poi è la ragione che ci ha portato a fare le riforme strutturali. Il problema è

che ne abbiamo fatte troppo poche e quelle poche, purtroppo, stiamo pure tentando si distruggerle, come

sta accadendo con La Buona scuola, col dietrofront sul trasferimento degli insegnanti, e col Jobs Act. Ma

come fa una impresa a investire o assumere se il diritto cambia sempre? Non si può. Le riforme del lavoro

hanno bisogno di sedimentazione e non di continui attacchi». I mali cronici dell'Italia Il risultato finale di

questa incompiuta è che ancora oggi l'Italia si misura con una pressione fiscale sempre molto alta (almeno

4 punti sopra la media europea) ed un prelievo altrettanto pesante su costo del lavoro e imprese, un debito

pubblico tra i più alti al mondo, la cronica carenza di infrastrutture (che penalizza soprattutto il Sud), un

sistema educativo inadeguato, una giustizia ancora troppo lenta, una pubblica amministrazione inefficiente,

con tempi di risposta incerti ed una legislazione elefantiaca e spesso contraddittoria sempre molto difficile

da applicare. Senza contare poi sprechi, corruzione ed evasione fiscale. Il futuro? «Non ci sono più miracoli

- sostiene Fitoussi -. Gli unici fattori che potevano essere di aiuto, come il prezzo del petrolio ed il

deprezzamento dell'euro ormai sono alle nostre spalle. Ed ora se non si torna a investire non ci sono motori

di crescita. E senza investimenti in un mondo così incerto non ci si può aspettare una crescita forte».

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 15

14/02/2017

Pag. 7

diffusione:154324

tiratura:222715

•600 mila Sono i posti di lavoro che, secondo l'Ance, si sono persi nell'edilizia dal 2008 al 2016 4 punti È la

differenza in percentuale tra la pressione fiscale italiana e quella europea Crescevamo un punto in meno

all'anno degli altri anche prima della crisi. Sono almeno 10•15 anni che è così Luca Paolazzi Direttore Ufficio

Studi Confindustria Un Pil che sale dell'1% all'anno è un dato fisiologico per un Paese che presenta i

problemi dell'Italia Paolo Onofri Vicepresidente Prometeia I dati francesi non sono molto migliori La causa

dei mali è comune: le politiche d'austerità Jean Paul Fitoussi Economista francese

Foto: MICHELE D'OTTAVIO/BUENAVISTA

Foto: La crisi dell'edilizia Mattone e grandi opere faticano a ripartire (nella foto, lo spogliatoio vuoto di un

cantiere)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 16

14/02/2017

Pag. 58 Ed. Torino

diffusione:154324

tiratura:222715

I costruttori: ora il Comune di Torino investa

Però il mattone resta in crisi In 8 anni bruciato un posto su due

federico callegaro

«Non c'è bisogno di essere favorevoli a teorie come quella della "decrescita felice", perché la decrescita sta

arrivando da sola - afferma Alessandro Cherio, presidente del collegio costruttori Edili di Torino mentre

mostra i dati annuali del settore e le previsioni per il 2017 - Dire che ci troviamo davanti a una crisi del

mercato è riduttivo e il futuro non promette meglio. Il comune ad oggi non ha appaltato nulla per il 2017 e

anche i 172 milioni di investimenti in opere pubbliche di cui ci aveva parlato a luglio il vicesindaco Montanari

non si sono visti». Per Cherio, però, il periodo negativo vissuto dai costruttori torinesi è ben radicato nel

tempo. Negli ultimi otto anni l'occupazione nel settore è calata del 50%: «Da 18mila occupati nel 2008

siamo arrivati a 9mila - spiegano dall'Ance - Un trend negativo che abbraccia anche le imprese, passate da

500 a 300». A salvare gli affari, secondo i costruttori, non basteranno le grandi opere: «Le piccole imprese

vivono di piccole opere quotidiane - spiega Cherio - E' su quelle che vorremmo vedere le istituzioni

impegnate».

Se il presente è grigio, il futuro non promette meglio: da un'indagine condotta dal collegio costruttori, infatti,

emerge che l'84% non ha in previsione di fare nuovi investimenti per il 2017 e, anzi, il 40% delle aziende

prevede una riduzione dell'occupazione. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 17

14/02/2017

Pag. 27

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EDILIZIA

Muri storici degradati: le soluzioni per il restauro

Mapei mette in campo una linea di nuovi prodotti per battere l'azione di agenti atmosferici e umidità Alessio Giannullo

Un problema dell'edilizia, recente costruzione e storica, è il degrado delle murature per agenti atmosferici o

azioni disgreganti prodotte da sali e umidità. Questi casi richiedono adeguate operazioni di risanamento e,

per eseguire un intervento corretto, con la giusta tecnologia, è necessario individuare con precisione le

cause del problema, con un'attenta analisi visiva accompagnata, se necessario, da indagini diagnostiche.

Mapei ha studiato una linea di prodotti, Mape-Antique, completamente esente da cemento, a base di calce

ed Eco-Pozzolana, ideale per consolidare, risanare, deumidificare e intonacare edifici in muratura esistenti,

anche di pregio storico e artistico sotto tutela delle Soprintendenze per i Beni architettonici ed ambientali.

L'uso della calce nelle malte da muratura e da intonaco risale ai tempi antichi. Prima i Fenici ne hanno

scoperto le potenzialità, poi i Romani ne hanno fatto largo impiego per realizzare strade, ponti e acquedotti,

oltre a ville e monumenti, opere ammirabili ancora oggi. I prodotti della linea Mape-Antique possiedono

caratteristiche elasto-meccaniche del tutto simili a quelle delle malte da muratura e da intonaco impiegate

in passato e, quindi, risultano essere compatibili con qualsiasi tipo di muratura originale. Al contempo,

presentano elevate resistenze chimico-fisiche alle azioni aggressive sia ambientali che interne alle

murature, prodotte dai sali solubili e dall'umidità di risalita. La gamma dei prodotti Mape-Antique, è frutto

degli studi di Mapei nel campo del consolidamento e risanamento delle murature degli edifici, è ampia e

articolata, e punta a soddisfare sia le moderne esigenze applicative sia i principi fondamentali di eco-

sostenibilità a salvaguardia dell'ambiente, e di bio-compatibilità, a tutela della persona e della sua salute, in

termini di traspirabilità, porosità, conducibilità termica e bassissima emissione di composti organici volatili

(VOC). Appartengono a questa linea Mape-Antique Rinzaffo, Mape-Antique MC e Mape-Antique MC

Macchina, prodotti indicati per realizzare intonaci deumidificanti macroporosi da applicare su murature

interessate da umidità di risalita capillare o da efflorescenze saline. L'utilizzo di questi prodotti è consigliato

per edifici posti anche in zone lagunari o vicino al mare, dove è presente un'elevata azione dell'aerosol

marino. Inoltre, possono essere impiegati per ricostruire quelli esistenti a base di calce, su murature in

pietra, mattoni, tufo e miste di edifici, anche di pregio storico e artistico sotto tutela. Mapei ha studiato

un'altra linea, PoroMap, per risanare e deumidificare superfici e ambienti moderni o recente costruzione,

interessati dall'umidità e dai sali solubili. Prodotti a base di leganti idraulici a reattività pozzolanica, con

bassa conducibilità termica e discreto potere isolante. Entrambe le linee sono conformi alla norma EN 998-

1, malte per intonaci interni ed esterni. E sono malte eco-sostenibili, in quanto sono certificate dal GEV

Institut come EC1 R Plus, per essere a bassissima emissione di sostanze organiche volatili.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 18

14/02/2017 Pag. 8 Ed. Viareggio

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VIA AI RICORSI

Edilizia pubblica La graduatoria provvisoria

PUBBLICATA ieri mattina la graduatoria provvisoria per l'assegnazione di alloggi di edilizia pubblica del

Comune di Viareggio: l'atto è stato contestualmente trasmesso alla segreteria del 'Lode' lucchese e rimarrà

pubblicato all'albo Pretorio per 15 giorni, dopodiché, entro ulteriori 15 giorni, potranno essere presentati

eventuali ricorsi. I ricorsi avverso l'esclusione o la collocazione nella graduatoria dovranno essere

presentati alla commissione istituita presso il 'Lode' lucchese che si riunisce entro i 10 giorni successivi ed

ha a disposizione, per concludere i lavori, 30 giorni dalla prima seduta. Sarà la Commissione, dopo l'esame

dei ricorsi, a formare la graduatoria definitiva e a trasmetterla ai Comuni. In occasione della pubblicazione

della graduatoria provvisoria relativa al bando di concorso pubblico per l'assegnazione di alloggi di edilizia

residenziale pubblica anno 2016, l'ufficio casa del Comune di Viareggio, dal 13 al 20 febbraio, rispetterà il

seguente orario di apertura al pubblico: dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle 12 e dalle 15 alle 17.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 19

14/02/2017

Pag. 28 Ed. Salerno

diffusione:40854

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Il sindacato

Scure sul monte salari, 5 milioni in meno agli edili

Crisi comparto costruzioni allarme della Feneal Uil «Opere pubbliche, è coma»

Diletta Turco Poco meno di cinque milioni di euro non sono entrati nelle tasche degli operai edili della

provincia di Salerno. E' questa l'entità economica del calo del monte stipendi, relativo al 2016, registrato

dalla cassa edile salernitana. Si tratta di soldi che, fino al 2015, arrivavano agli operai del settore perché

impegnati nei cantieri del territorio. Ma che, l'anno appena trascorso, non sono stati proprio maturati perché

di lavoro ce ne è stato molto di meno. A dirlo è Patrizia Spinelli, segretario provinciale della Feneal Uil di

Salerno. «I numeri vanno letti con attenzione -dice la Spinelli - soprattutto quando si prendono in

considerazione le dinamiche di un comparto come l'edilizia che sta pagando un prezzo salatissimo alla crisi

recessiva degli ultimi anni. Il conto sta gravando sicuramente sulle spalle delle imprese, ma ad analizzare

bene le cifre di fonte Cassa Edile vengono i brividi a pensare che rispetto a dicembre 2015, nel mese di

dicembre dell'anno da poco concluso (2016) gli operai delle costruzioni in provincia di Salerno hanno perso

qualcosa come 4 milioni e 899 mila euro, un calo netto del 45,64 per cento». Sebbene preoccupante, la

percentuale citata dal segretario provinciale della Feneal Uil è inferiore a quella registrata nel comparto

dell'edilizia pubblica, che, almeno sul territorio provinciale di Salerno, vive una stasi prolungata. «Nel

settore dei lavori pubblici - puntualizza la Spinelli - la riduzione della massa salariale è stata molto grave: -

63,52 per cento, pari ad una contrazione delle retribuzioni in termini assoluti di 2.169.183 euro. Ma il trend è

estremamente negativo anche nel settore privato: -37,31 per cento, pari a - 2 milioni e 720mila euro».

Un'emorragia finanziaria vera e propria, che è lo specchio della progressiva perdita del controllo dei cantieri

del territorio. Tra opere iniziate e bloccate, per via dei finanziamenti che arrivano in ritardi, interventi

infrastrutturali fermi al palo per questioni burocratiche o giuridiche. Fino ad arrivare i tanti cantieri aperti solo

sulla carta, ma per i quali non è stata posta nemmeno la prima pietra. Da qui, la necessità, per il segretario

della Feneal Uil, di un intervento diretto delle istituzioni locali: «Provincia e Comune di Salerno dedicano

grande attenzione giustamente - prosegue Spinelli - al momento delicato che sta attraversando il porto di

Salerno, ma non convocano, per esempio, imprese e sindacati edili come abbiamo richiesto fin dallo scorso

mese di novembre. Sul tavolo istituzionale si potrebbe parlare, sempre per esempio, di varare misure

aggiuntive in termini di fiscalità regionale e locale al fine di spingere ancora di più sulla leva delle

ristrutturazioni in materia di sicurezza sismica e di efficientamento energetico, l'unico segmento delle

costruzioni - come spiega l'Osservatorio nazionale Ance - che lascia aperti ampi margini di crescita positiva

nel 2017». Per questo motivo, il sindacato degli edili salernitani si dice pronto ad «attivare - conclude la

Spinelli - un presidio non di protesta ma di proposta sotto le sedi di Comune e Provincia di Salerno al fine di

sollecitare un tavolo di confronto operativo. Se ci si mobilita giustamente per altri comparti, è altrettanto

giusto farlo per le costruzioni: occorre studiare un piano immediatamente attivabile di micro/interventi in

grado di dare ossigeno alle imprese della nostra provincia che, lo ricordiamo, sono per circa l'85 per cento

collocate nel segmento di fatturato fino a 5 milioni di euro».

Foto: Il pressing La segretaria Spinelli a Comune e Provincia «Basta ritardi aprire i cantieri o sarà il caos»

Foto: Sindacalista Patrizia Spinelli, segretaria della Feneal Uil

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 20

14/02/2017

Pag. 18

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La lettera alla Raggi del responsabile edilizia di Confartigianato

«Faccia ripartire i cantieri e vedrà che le buche le ripariamo noi»

La difesa della categoria «Basta con i preconcetti Siamo persone oneste» Sullo stadio della Roma «L'opera può generare un indotto che farà crescere tutta la città» A cura di Damiana Verucci

Caro Sindaco, Le vorrei sottoporre alcune criticità e domande, che come responsabile della categoria

Edilizia di Confartigianato Imprese Roma, mi arrovellano la testa. Si discute da molto forse anche troppo

tempo di questo famoso stadio, che indipendentemente dalla fede sportiva, è sicuramente un bene per

questa città. Come lei sa bene non è solo la realizzazione in sé che può essere utile ma soprattutto l'indotto

che un'opera di questo genere può dare. Certo, sarebbe fantastico che le due squadre romane avessero

uno stadio di proprietà ma intanto cerchiamo di r e a l i z z a r n e uno, sentendo tutti, ma la prego di

prendere una decisione a sua coscienza. Mi domando ancora perché alla fine non siano state fatte le

Olimpiadi a Roma visto che alcune città hanno già fatto il secondo giro. Me lo chiedo in quanto sarebbe

stato un fantastico volano per l'economia romana, che come Lei ben sa, è gestita per il 70% da imprese

edili. Non si può pensare che siano tutti ladri, bella macchina, barca e mare; c'è gente che lavora, ed è la

maggior parte di noi, che sputa sangue in cantiere dove come lei immagina, d'inverno si muore di freddo e

d'estate si muore di caldo. Certo, capisco che la lotta alla corruzione è uno dei vostri cavalli di battaglia, ma

è vero anche che ammazzare il cavallo prima di curarlo è una follia. Vorrei anche sapere perché Lei non

intende investire sugli imprenditori romani che da più parti Le danno la loro disponibilità. Roma è piena di

buche e se un costruttore potesse trattare il rifacimento di alcuni tratti stradali potendo contare su premi di

cubature o su congrui e stabiliti compensi, non credo che direbbe di no, anzi, sarebbe motivo di lavoro e di

orgoglio. D'altronde sono sicuro che potremmo avviare una proficua collaborazione con Lei per permettere

a questa città di non essere più buia come lo è in alcuni quartieri. Cerchiamo di dialogare in maniera

proficua perché vorrei che Lei non guardasse alla nostra categoria solo come a figli di papà ricchi o

arricchiti che non guardano più in là del loro naso, ma a gente che ha voglia di lavorare, produrre e

soprattutto di dare una speranza a questa città ed ai cittadini che la abitano. Il settore è in crisi e immagino

che non occorra fornirle dei dati per crederci. È in crisi ormai da tempo e certo non intendiamo addossarne

tutte le responsabilità a Lei e alla sua giunta. Ma in questi giorni leggiamo una serie di notizie sul vostro

operato che non ci rendono per nulla sereni. Vorremmo parlare di progetti, di iniziative, vorremmo rivedere

le gru che lavorano nei cantieri e nelle strade, segno di una città che vive e non di una Capitale che,

nonostante le enormi potenzialità, è in agonia. La ringrazio e ringrazio Il Tempo per questo spazio che ci ha

concesso, con la speranza di poter avviare al più presto un dialogo proficuo. Con ossequi Marco Matteoni

responsabile edilizia di Confartigianato

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SCENARIO ECONOMIA

20 articoli

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 22

14/02/2017

Pag. 9

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L'analisi

L'equilibrio (instabile) tra meno deficit e taglio del debito pubblico

I sacrifici Negli ultimi 22 anni l'Italia ha chiuso venti volte il bilancio con un attivo primario, anche superiore a Berlino. Ma il rapporto debito/Pil continua a salire Federico Fubini

Così simili in superficie, eppure così diverse a un secondo sguardo: Italia e Francia escono dall'ultimo

rapporto della Commissione Ue come i due Paesi tenuti sotto esame, quelli che rischiano di non uscire mai

o di ricadere in una procedura europea sui conti. Entrambe con livelli di deficit pubblici superiori a quanto

avevano promesso, entrambe in ritardo sulla Germania praticamente in ogni indicatore, entrambe

schiacciate da una disoccupazione troppo alta da molto tempo. Entrambe - ma questo nelle analisi di

Bruxelles resta implicito - minacciate dalla marea populista proprio perché non hanno sciolto i loro nodi

economici e sociali.

Per l'Italia trovarsi incasellata con un partner così potrebbe essere tutto sommato consolante: vista con

sospetto a Bruxelles, ma pur sempre alla pari con un grande sistema dotato di notevole influenza politica in

Europa. Basta però grattare sotto la patina del linguaggio tecnocratico europeo i parallelismi non tengono

davvero. Francia e Italia, a ben vedere, da tempo sono due vicende economiche lontane e continuano a

esserlo. Parigi si trova in una crisi di bilancio pubblico ormai cronica, il debito di Roma è invece solo il

sintomo di un problema anche più serio: da due decenni, da prima dell'euro, l'Italia non ha più un modello di

crescita.

Nei dati, le realtà dei due Paesi risultano quasi opposte. Negli ultimi 22 anni solo quattro volte la Francia ha

chiuso il bilancio pubblico in un (piccolo) attivo «primario», cioè prima di pagare gli interessi sul debito;

l'Italia invece lo ha fatto per venti anni su 22. La media dei surplus primari di bilancio dell'Italia negli ultimi

due decenni è stata di varie volte superiore a quella della stessa Germania, mentre la Francia ha registrato

in media disavanzi primari e questi sono, incredibilmente, pari a quella della Grecia.

Eppure tutto questo non sembra servito a molto all'Italia. Fra i due è quest'ultima ad avere oggi un debito

pubblico del quale ormai la Banca centrale europea è, quasi da sola, l'ultima compratrice netta; persino gli

istituti di credito italiani, decisivi nel finanziare il Tesoro negli anni della grande crisi, oggi sono

relativamente in ritirata: fra giugno e novembre dell'anno scorso hanno ridotto del 7,7% la loro esposizione

sul debito pubblico nazionale, 32 miliardi di meno.

Anche il debito di Parigi naturalmente è salito in questi anni, dal 55% a quasi al 100% del reddito del

Paese. Ma naturalmente il fattore che ha permesso alla Francia di tenere la rotta e non ha sciolto i timori

attorno all'Italia è l'altra grande differenza fra le due: dal 1995 a oggi l'economia di Oltralpe è cresciuta di

oltre tre volte più di quella italiana, a un ritmo medio annuo dell'1,5% contro lo 0,5% scarso che ormai è la

normalità in questo Paese.

Senza una stretto controllo del bilancio, l'Italia sarebbe drammaticamente saltata. Ma la lezione del passato

è che tale controllo non è bastato del tutto e soprattutto non basta proprio più. I nodi sono tutti al pettine, lo

mostrano le previsioni che ieri ha presentato la Commissione. Da oggi al 2018, fra i Paesi a alta

disoccupazione l'Italia viene vista come quello che la riduce di meno (un decimo della Spagna); fra quelli a

alto debito è il solo con la Francia che lo aumenta, e comunque più di questa; fra tutti i Paesi dell'euro, è

quello dove ormai anche il deficit pubblico aumenta di più, al netto dei fattori ciclici o transitori; ed ancora

una volta è il Paese che cresce meno, quest'anno e il prossimo.

Solo previsioni, naturalmente. Ma un Paese che ha bisogno di finanziatori per 450 miliardi l'anno, mentre la

Bce inizia a ritirarsi dai mercati, è anche ciò che gli altri vedono in lui. Dalle banche, alla giustizia, dalla lotta

all'evasione, alla burocrazia: c'è troppo da ristrutturare al più presto per poter perdere anche solo un altro

giorno, se c'è ancora qualcuno in Italia che non pensa solo alla data delle prossime elezioni.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 23

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© RIPRODUZIONE RISERVATA

Le previsioni d'inverno dell'Ue (dati in %) Fonte: Commissione europea Corriere della Sera Italia 0,9 1,1

133,3 133,2 11,6 11,4 Francia 1,4 1,7 96,7 97 9,9 9,6 Germania 1,6 1,8 65,5 62,9 4,1 4,1 Spagna 2,3 2,1

100,0 99,7 17,7 16,0 La crescita del Pil Il debito/Pil La disoccupazione 2017 2018

La parola

Fiscal Compact

È il trattato di Stabilità dell'Ue firmato da 25 Paesi nel marzo 2012. Prevede l'inserimento in Costituzione del

pareggio di bilancio (già fatto dall'Italia). Il vincolo dello 0,5% per il deficit strutturale di bilancio (quindi non

legato a emergenze). L'obbligo di mantenere al massimo al 3% il rapporto tra deficit e Pil. Infine - per i

Paesi come l'Italia con un rapporto tra debito e Pil superiore al 60% - l'impegno a ridurre tale rapporto di

almeno un ventesimo l'anno.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 24

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Vertice Generali, soci a consulto La Borsa torna a scommettere (+2,57%)

L'arrocco del Leone, domani il consiglio di amministrazione del gruppo assicurativo Paola Pica

Torna a correre Generali in Piazza Affari accompagnata da nuove indiscrezioni che vogliono la compagnia

di Trieste impegnata nella difesa della propria indipendenza anche attraverso il rafforzamento patrimoniale.

Dopo l'acquisto in chiave anti-scalata del 3% di Intesa Sanpaolo, la prossima mossa potrebbe essere un

irrobustimento dei tagli ai costi già decisi nel piano industriale presentato lo scorso novembre dal ceo

Philippe Donnet, mentre nelle sale operative c'è chi si spinge a ipotizzare un aumento di capitale. Un'ipotesi

fin qui senza riscontri.

Nel giro di alcune settimane, secondo indiscrezioni entro fine mese, Intesa Sanpaolo potrebbe aver sciolto

la riserva sull'operazione oggetto di valutazione da parte del management e degli advisor. Ma come

l'amministratore delegato Carlo Messina ha ribadito ancora la scorsa settimana agli investitori internazionali

incontrati a Londra, l'eventuale offerta dovrà rispettare condizioni «irrinunciabili»: la remunerazione agli

azionisti e il livello di patrimonializzazione e solidità della banca tra i più elevati in Europa.

E tuttavia, almeno nelle sale operative, Generali non perde il fascino della «magnifica preda» come pare

Enrico Cuccia definisse la compagnia triestina della quale Mediobanca è azionista storico e stabile. La

quota di Mediobanca scenderà dal 13 al 10% ma non sarà alienata, secondo le ultime dichiarazioni

dell'amministratore delegato Alberto Nagel. Così, dopo qualche giorno di tregua il Leone che domani riunirà

il consiglio (per l'ordinaria amministrazione, spiegano fonti di Trieste) è ripartito tra fiammate anche

superiori al 3% per poi chiudere in progresso del 2,6% a 14,77 euro. Il titolo Intesa Sanpaolo ha chiuso

anch'esso con segno positivo (+ 0,5%) a 2,14 euro.

Nel corso degli incontri con i grandi gestori tenuti la scorsa settimana nel road show sul bilancio 2016

chiuso con 3,1 miliardi di utile netto Messina, secondo quanto scrive il Financial Times, avrebbe parlato di

(eventuale)«fusione amichevole», preceduta dall'apertura di un canale di dialogo con i principali soci della

compagnia, inclusa Mediobanca, e «diversi industriali miliardari italiani». Per il quotidiano finanziario

londinese, Generali sarebbe intanto pronta a intervenire con un'accelerazione sui risparmi, indicati

nell'ordine del 4% dei costi e per 200 milioni nelle strategie al 2019. Un'ipotesi che gli analisti sembrano

apprezzare, mentre resta più di un punto di domanda su un'eventuale acquisizione, così come su una

ricapitalizzazione. Quanto alla possibilità di un matrimonio con la prima banca italiana, restano intatte le

perplessità di diversi analisti sull'esposizione complessiva in Italia: i due gruppi totalizzerebbero titoli di

Stato italiani per 160 miliardi di euro, l'8% del debito pubblico. Da valutare anche le limitazioni Antitrust:

Intesa e Generali avrebbero oltre il 30% del mercato vita, le dismissioni sarebbero inevitabili.

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Un anno in Piazza Affari 2016 2017 maggio settembre gennaio 15,44 GENERALI INTESA SAN PAOLO

14,08 12,72 11,37 10,01 8,652 +2,57% 14,77 euro 2016 2017 maggio settembre gennaio 2,418 2,695

2,142 1,866 1,589 1,313 Corriere della Sera +0,47% IERI 2,144 euro IERI 13% La quota

che Mediobanca detiene nelle Assicurazioni Generali. L'istituto ha deciso nei mesi scorsi la cessione del

3% delle azioni 3% La quota che le Generali hanno rilevato in Intesa SanPaolo, appena si è ipotizzato un

piano di integrazione tra la banca e la compagnia

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 25

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diffusione:238671

tiratura:333841

Marchi e de Vido, la pace dopo lo scontro

Il patron di Finint rileva l'intera quota. La liquidazione e la possibile Opa su Save con il riassetto Il socio La partita per lo scalo veneto e l'ingresso di Atlantia con il 21,3% delle azioni Francesca Basso

MILANO Dopo mesi di tensioni, Enrico Marchi e Andrea de Vido nel fine settimana si sono stretti la mano

trovando l'accordo su Finint, ponendo così fine a un sodalizio durato 37 anni. L'assemblea del gruppo di

Conegliano in programma per oggi sarebbe a questo punto destinata a un rinvio per limare i dettagli

contrattuali.

La soluzione trovata per liquidare de Vido comporta un impegno finanziario importante per Marchi, che però

può contare sulle partecipazioni in Save, la società che gestisce gli Aeroporti di Venezia e Treviso. Finint

controlla il 59,6% di Save insieme a Morgan Stanley attraverso la scatola Agorà, di cui ha la maggioranza.

Il sistema aeroportuale Venezia-Treviso fa gola a molti, ha chiuso il 2016 con un tasso di crescita del 10%,

il doppio rispetto alla media nazionale. Save non manca dunque di pretendenti: almeno quattro fondi

infrastrutturali internazionali si sarebbero fatti avanti per affiancare Finint nell'azionariato. Una soluzione

che consentirebbe a Marchi di mantenere il controllo della società aeroportuale, che ha guidato in questi

anni con passione e dedizione, facendola crescere.

La fiducia tra Marchi e de Vido era venuta meno da tempo. Già due anni fa si era incrinata quando i due

avevano introdotto la firma condivisa per tutte le operazioni: fino ad allora ognuno era libero di muoversi

senza chiedere l'approvazione dell'altro. Del resto Finint era nata così, tra due amici che fuori di un bar di

Milano - dove entrambi hanno studiato - avevano deciso di creare un gruppo finanziario nel cuore del

Nordest in grado di competere sui mercati internazionali. E ci sono riusciti. Finint, che occupa 700 persone

ed è il primo datore di lavoro di Conegliano, è il primo operatore in Italia nelle cartolarizzazioni, è attivo

anche nell'Asset management, da due anni ha la licenza bancaria con Banca Finint e dopo aver completato

la svalutazione di alcune partecipazioni importanti come Mps, si è ritagliata un ruolo di rilievo nel mercato

degli Npl e dei minibond. Ma alcune scelte di de Vido hanno portato al progressivo deterioramento dei

rapporti, con un'escalation di tensione che è sfociata nel divorzio. Lo scorso 2 febbraio Marchi ha chiesto,

senza ottenerlo, il sequestro conservativo della quota di de Vido per evitare che potesse cederla ad altri. Il

Tribunale ha fissato un'udienza per metà marzo. Pochi giorni dopo l'ex ceo di Generali Giovanni

Perissinotto, chiamato nel board della finanziaria veneta in luglio per cercare di mediare tra i due soci storici

e riportare la pace, ha dato le dimissioni a sorpresa facendo decadere il consiglio. Da mesi de Vido

chiedeva a Marchi di essere liquidato o di cedere alcune attività (tra cui Save) per fare cassa in modo da far

fronte ai debiti personali, che si aggirano sui 100 milioni, legati a operazioni con Popolare Etruria finanziati

da Veneto Banca. De Vido aveva dato in pegno 26,34% delle azioni di Finint. Finalmente i due soci hanno

trovato un'intesa sulla cifra. Ma ogni variazione per liquidare de Vido facendolo uscire da Finint potrebbe far

scattare un'Opa obbligatoria su Save perché si configurerebbe un «cambio di controllo».

E così a cascata l'attenzione ora si sposta su Save, dove a settembre, nel pieno del caos tra i soci di

Finint, ha fatto il suo ingresso Atlantia rilevando in blocco il 21,3% dal fondo Amber e poi salendo a

dicembre di un altro 0,8% in mano alla Fondazione di Venezia che è rimasta socia con l'1,5%. Secondo

alcuni osservatori il gruppo dei Benetton, che controlla anche Aeroporti di Roma e che in più occasioni ha

detto di voler investire di più sugli aeroporti (a luglio ha acquisito lo scalo di Nizza in consorzio con Edf

Invest) potrebbe puntare a diventare socio di controllo nel 2018, quando Morgan Stanley potrà esercitare il

proprio diritto d'uscita mettendo nuovamente in discussione gli assetti di controllo di Save. L'aeroporto

«Marco Polo» di Venezia, come dimostrano anche gli ultimi dati, è uno dei più efficienti d'Italia. Non sarà

facile provare a sfilarlo a Marchi .

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 26

14/02/2017

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La vicenda

Accordo trovato tra Enrico Marchi e Andrea de Vido per l'uscita di quest'ultimo da Finint, il gruppo di

Conegliano.

I rapporti erano deteriorati da tempo Da mesi de Vido chiedeva

a Marchi di essere liquidato o di cedere alcune attività (tra cui Save) per fare cassa in modo da far fronte ai

debiti personali, sui 100 milioni di euro, legati a operazioni con Popolare Etruria finanziati da Veneto Banca.

Aveva dato in pegno il 26,34% delle azioni di Finint

700 le persone

che lavorano

in Finint,

il gruppo finanziario di Conegliano. È una holding di partecipazioni

59,6 per cento

La quota

di Finint

con Morgan Stanley nel capitale di Save (scali Venezia

e Treviso)

Foto: A sinistra Enrico Marchi, a destra Andrea de Vido. Con il divorzio tra i due soci della Finint si chiude

un sodalizio durato 37 anni. Finint, che è il primo socio di Save, in questi mesi è stata al centro di movimenti

azionari che hanno portato all'ingresso

di Atlantia del gruppo Benetton

con il 21,3%

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 27

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Il cantiere Vicenza-Veneta e i rapporti con la Bce sull'aumento di capitale

La maxifusione sotto Atlante Pronti a cedere Arca e Bim

Fausta Chiesa

Arca Sgr. E ora anche Bim. Il dossier delle cessioni di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza entra nel

vivo. Anche perché è cruciale nell'interlocuzione con la Bce ai fini dell'ammontare dell'aumento di capitale

(si è parlato finora di circa tre miliardi, ma questo prima che uscissero i rumors sui conti del 2016, con

l'ipotesi di un rosso da 1,8 miliardi per la vicentina e di un miliardo per Montebelluna) che l'Autorità di

vigilanza di Francoforte chiederà. Entrambi gli asset sono appetibili, perché il settore del risparmio gestito è

quello su cui puntano tutti, in un'epoca in cui la redditività delle banche è data dalle commissioni di

gestione. Su Arca sgr, di cui i due istituti veneti detengono il 19,9% ciascuno, ha dichiarato il suo interesse

Bper, che con una quota del 32,7% ne è già il primo socio. Lo ha detto il ceo Alessandro Vandelli venerdì

scorso nel corso della conference sui risultati. «Arca è strategica per Bper. Siamo il maggiore distributore di

prodotti Arca e il principale azionista. Spero di avere l'opportunità per analizzare il potenziale deal in

futuro». Il nodo principale del deal è il «quantum» e sulla base di altre proposte fatte un anno fa si può

ipotizzare un valore complessivo di Arca compreso tra i 600 e gli 800 milioni di euro. Il punto - a parte il

prezzo - è anche commerciale e cioè: le venete continueranno a collocare i prodotti?

Modena, come la Popolare di Sondrio (21,1%), ha un diritto di prelazione. Ma a guardare il dossier non è la

sola. Anima sgr, che aveva già presentato un'offerta nel dicembre del 2015, si vede ancora come «polo

aggregante». Il prossimo consiglio di amministrazione sarà ai primi di marzo.

Altro asset che opera nel mercato italiano sotto dimensionato del risparmio gestito è la Banca Intermobiliare

di Investimenti e Gestioni, di cui Veneto Banca detiene il 71,4 per cento. Qui, in caso di cessione, sarebbe

più facile stabilire un prezzo in quanto la banca torinese è quotata in Borsa dove capitalizza 227 milioni di

euro. Montebelluna aveva annunciato che Bim era tornata strategica a settembre del 2016, in occasione

della presentazione della semestrale. Ma in logica di fusione delle due venete (con la regia di Fabrizio

Viola), adesso, è tornata in vendita.

Alessandro Penati, presidente di Quaestio che gestisce il fondo Atlante, azionista con il 98% del capitale,

l'aveva annunciato due mesi fa: «Puntiamo a scorporare Bim da Veneto Banca e ad averne il controllo

diretto». Detto e fatto. L'istituto presieduto da Massimo Lanza prima ha annunciato l'uscita dal board di

Giorgio Girelli (al suo posto è stata cooptata Paola Pierri), che gestirà direttamente proprio Banca

Intermobiliare, e poi ha dichiarato che «ai fini della realizzazione del piano strategico nell'ambito della

prospettiva di fusione, il consiglio sta attivamente valutando la possibilità di realizzare, a fronte degli

approfondimenti da compiersi nelle prossime settimane e soggetta ad autorizzazione di Bce, una

ridefinizione del perimetro del gruppo che preveda il deconsolidamento». Bim, che detiene Symphonia sgr,

in occasione dell'annuncio dei conti 2016 venerdì scorso (in perdita di 90,8 milioni a causa di rettifiche sui

crediti e accantonamenti), ha detto che il board ha definito le «linee guida del piano strategico di Bim quale

piattaforma di private banking di fascia alta».

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19,9 per cento ,

la quota che Veneto Banca

e la Popolare

di Vicenza detengono, ciascuna, in Arca sgr

71,4 per cento , la partecipazione che Veneto Banca ha in Banca Intermobiliare, che capitalizza 227 milioni

Foto: Fabrizio Viola ( nella foto ) è amministratore delegato della Popolare di Vicenza e consigliere di

Veneto Banca

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 28

14/02/2017

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La compagnia

Alitalia, diffida dei sindacati sulle modifiche al contratto

Andrea Ducci

Lettera con diffida. La tensione tra Alitalia e sindacati non accenna ad affievolirsi e ieri gli uffici legali delle

segreterie nazionali di Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Ugl Ta hanno inviato una diffida formale alla

compagnia area. I rappresentanti dei lavoratori chiedono all'azienda il rispetto dei contratti e degli accordi,

invitando Alitalia a recedere dall'applicazione delle misure unilaterali assunte nelle settimane scorse. Le

misure adottate dalla compagnia, per fronteggiare l'emorragia di perdite, prevedono già il congelamento

degli scatti di anzianità a partire dal 2017.

Non a caso, la trattativa finora non ha registrato progressi. Le posizioni restano distanti e in sede di

discussione sul rinnovo del contratto le proposte della società sono state respinte e definite irricevibili dai

sindacati. In ballo, oltre ai punti e alle misure su cui trovare un'intesa per disciplinare i nuovi contratti, c'è

l'urgenza da parte di Alitalia di individuare quanto prima una soluzione. Di qui ciò che agli occhi dei

sindacati si configura come un ultimatum: il termine del 28 febbraio per definire il nuovo contratto. Un

contesto che porta dritti alla conferma dello sciopero indetto per il prossimo 23 febbraio.

Nella diffida i legali dei sindacati ribadiscono che «non c'è ragione di carattere giuridico per limitare

l'efficacia delle disposizioni contrattuali in essere fino al 28 febbraio, dovendosi necessariamente applicare

gli accordi preesistenti fino alla sottoscrizione di un nuovo contratto». Un passaggio giustificato dal fatto che

Alitalia ha specificato che, in assenza di un accordo, a partire dall'inizio di marzo introdurrà unilateralmente

nuove regole contrattuali. La lettera chiede il rispetto della contrattazione collettiva e di tutti gli accordi

sindacali siglati e non disdettati, oltre che «l'immediato ripristino degli scatti contrattuali illegittimamente

sospesi». Nell'elenco delle contestazioni anche la tempistica e la prassi dei rinnovi, con la mancata

presentazione della piattaforma aziendale. Sul tavolo incombe comunque la necessità di arginare le perdite

da parte del vettore, con tanto di annunci che prospettano significativi tagli di personale. In attesa del nuovo

piano industriale il 16 febbraio potrebbe tenersi un incontro tra sindacati e azienda.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 29

14/02/2017

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Il presidente dell'Antitrust

Pitruzzella: liberalizzazioni, avanti con la legge

Rita Querzé

«L'

Italia è sul punto di completare un percorso importante in materia di liberalizzazioni e concorrenza. Mi

auguro che, dopo un percorso lungo due anni, la legge sulla concorrenza all'esame del parlamento sia

presto approvata». Ieri il presidente dell'Antitrust Giovanni Pitruzzella ( foto ) è intervenuto a Milano a un

convegno in Assolombarda. Titolo che è già un auspicio: «Scateniamo l'Italia, più concorrenza, più

mercato, più liberalizzazioni». «Forse in prospettiva bisognerebbe valutare interventi settoriali al posto delle

leggi omnibus - auspica il presidente dell'Autorità -. O anche lo strumento del decreto legge». Per

Pitruzzella la concorrenza non deve essere vista soltanto come una leva per abbassare i prezzi ma anche

come elemento in grado di stimolare l'innovazione. «L'importante - ha chiuso il presidente dell'Antitrust - è

che il sistema delle regole non sia caotico. Ma, al contrario, ben chiaro e trasparente per gli attori del

mercato».

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 30

14/02/2017

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INDUSTRIA & BORSA Roland Berger

Crapelli: troppo pessimisti sull'Italia Le imprese si sveglino, più Europa

La reciprocità «Sulle aziende strategiche necessaria una ragionevole reciprocità» Fabio Savelli

MILANO Roberto Crapelli, amministratore delegato di Roland Berger Italia, ritiene sia appena cominciata

l'epoca delle «acquisizioni convergenti». Tra aziende della stessa filiera. Da monte a valle della catena del

valore. L'ultimo esempio? L'operazione di fusione tra due colossi dell'occhialeria come Luxottica ed Essilor.

Tra chi fa montature e chi produce le lenti e apparecchiature ottiche. «Con l'obiettivo dichiarato di realizzare

un campione europeo. In questo caso persino mondiale - dice Crapelli -.L'unica strada per non perdere

quote sui mercati globali ad appannaggio della Cina, la fabbrica del mondo, e degli Stati Uniti, campioni

dell'innovazione tecnologica».

Non si rischia di sembrare nostalgici dell'industrial compact europeo. Formula buona per i convegni, ma al

momento senza grosse ricadute pratiche?

«È l'unica direzione possibile. Già delineata sulla carta, ma vittima di steccati nazionali e politiche di corto

respiro. Vede, in Europa siamo fortunati. Abbiamo già filiere produttive eccellenti. Dobbiamo soltanto fare il

passo successivo. Favorire i processi di aggregazione tra le aziende, come quella tra Luxottica ed Essilor.

Tra i fornitori e le imprese capofila. Ne va della stessa sopravvivenza del nostro sistema manifatturiero.

Senza la creazione di campioni europei in ogni settore produttivo il rischio è che comincino a saltare per

aria gli indotti e con loro migliaia di posti di lavoro. Ecco perché vanno incentivate, sponsorizzate tramite

convinti e ravvicinati dialoghi tra i governi, le operazioni di fusione societaria di questo tipo. Anzi auspico

che comincino ad aggregarsi anche le imprese fornitrici».

Due obiezioni. La prima: non c'è il rischio che le fusioni portino anche importanti tagli al personale con

pesanti ricadute sociali?

«Il rischio c'è, ma bisogna trovare dei contrappesi . La gestione di questi processi va demandata

direttamente ai governi. Soprattutto quando ci sono di mezzo aziende strategiche. C'è bisogno di una

ragionevole reciprocità. Con l'utilizzo degli ammortizzatori sociali laddove è necessario. E di politiche attive

per ricollocare i lavoratori spostandoli in funzione della domanda mutevole di competenze richieste dal

mercato».

La seconda: non le sembra che il mondo stia andando verso un'altra direzione, attratto dalle sirene del

protezionismo?

«È l'effetto transitorio di una globalizzazione piena di storture. I mercati globali sono talmente interconnessi

che una guerra senza quartiere basata sui dazi tra Paesi non conviene a nessuno. Semmai conviene

attrezzarsi per non perdere il treno della competitività dove le nostre aziende sono delle best practice

mondiali. Penso ad esempio alle macchine utensili e all'alimentare. Ciò che scontiamo è il nanismo

dimensionale delle nostre imprese. E un sistema troppo bancocentrico che le penalizza nell'accesso al

capitale».

Anche la nostra piazza finanziaria sta diminuendo di taglia con alcuni delisting. Quello annunciato di

Luxottica, ma anche Parmalat, Italcementi e Pirelli. Non è una controindicazione?

«Non mi preoccuperei troppo. Anche in questo settore sono cominciate le aggregazioni. Basti pensare al

London Stock Exchange che controlla Milano. E la fusione con Francoforte. È auspicabile invece la nascita

di fondi di filiera. Che emettono obbligazioni o raccolgono capitale» .

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L'occupazione industriale negli ultimi 15 anni I dati sono in milioni di persone crescita negativa 2000 2014

Fonte: Roland Berger su dati Ilo Corriere della Sera crescita positiva 2000 2014 Usa Regno Unito Spagna

Francia Germania Cina ITALIA 18,5 13,4 4,7 3,4 3,1 2,4 4,6 3,7 5,1 4,4 9,1 8,3 162,2 2231,7 -27% -27% -

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23% -20% -12% -9% +43%

Il profilo

Roberto Crapelli, amministratore delegato

di Roland Berger Italia La società

di consulenza strategica

è tra le più importanti nella stesura

di piani industriali

per le aziende Roland Berger è ora consulente

di Alitalia

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Sussurri & Grida

Banca d'Italia, l'esordio di Cariplo e Compagnia San Paolo

( m. ger. ) La Banca d'Italia ha formalmente convocato per il 31 marzo alle 10 l'assemblea dei partecipanti

al capitale che vedrà l'esordio tra i soci della Fondazione Cariplo e della Compagnia di San Paolo. L'ordine

del giorno, firmato da Ignazio Visco ( foto ), è già stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Oltre alla relazione

del Governatore, del collegio sindacale e l'approvazione del bilancio è prevista anche «l'istituzione di una

posta speciale per la stabilizzazione dei dividendi». Cioè somme che garantiscano una continuità nella

politica dei dividendi, con una distribuzione compresa tra 340 e 380 milioni per i prossimi anni,

subordinatamente alla capienza dell'utile e alle esigenze di patrimonializzazione. La certezza sul flusso

cedolare futuro è stata la chiave che ha aperto la porta all'ingresso nel capitale delle due maggiori

fondazioni bancarie italiane, dopo quindici anni dalle prime valutazioni. Fino a oggi la normativa delle

Fondazioni sulla redditività degli investimenti era di ostacolo all'operazione. La Compagnia di San Paolo e

la Fondazione Cariplo hanno acquisito buona parte della quota Bankitalia (4,88%) che il cda di Intesa

Sanpaolo ha deliberato di cedere a inizio febbraio al prezzo di 366 milioni. La sola Fondazione Cariplo

avrebbe rilevato il 2% per 150 milioni. La vendita, al valore nominale (25mila euro ogni quota per 300mila

quote complessive pari ai 7,5 miliardi di capitale di Via Nazionale), dovrebbe perfezionarsi a breve. È

possibile che entrambi gli enti puntino poi a raggiungere il limite statutario del 3%. Intesa dopo l'operazione

scende al 27,8% di Bankitalia (tre anni fa deteneva il 42%) ma intende ridurre entro il tetto del 3% previsto.

Dal 31 dicembre 2016 le quote eccedenti non potranno votare né incassare dividendi.

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Italfondiario, rating confermato

( f. ch. ) Fitch ha confermato a Italfondiario il rating di «Special Servicer» a CSS1 sui mutui commerciali e

RSS1 sui mutui residenziali. L'agenzia ha confermato il rating di «Primary Servicer» a CPS2 sui mutui

commerciali e il rating di «Primary Servicer» a RPS2+ sui residenziali. Per il 9° anno consecutivo la

controllata di doBank mantiene il rating più alto d'Europa.

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Avvocati, intesa italo-francese

( f. ch. ) Mentre continuano le acquisizioni cross-border tra Italia e Francia , lo studio italiano Cba ha siglato

un accordo con i francesi di Fidal per collaborare su operazioni corporate. Con 1.400 professionisti Fidal è il

primo studio di avvocati d'affari in Europa. «L'accordo costituisce un tassello nella realizzazione della

strategia di sviluppo di relazioni internazionali», ha commentato il managing partner di Cba Angelo

Bonissoni.

Aams: 19 miliardi spesi nel gioco

L'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli rilevano che la spesa degli italiani per il gioco è stata nel 2016 di

19 miliardi di euro. La raccolta complessiva, l'insieme delle puntate, è invece di 96 miliardi. Le vincite

ammontano a 77 miliardi

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L'INTERVISTA. JYRKI KATAINEN, VICEPRESIDENTE DELLA COMMISSIONE UE

«L'incertezza politica un freno agli investimenti»

Beda Romano

Nel pubblicare la sua analisi trimestrale sull'economia dell'Unione, la Commissione europea ha fatto notare

ieri che, per la prima volta in quasi 10 anni, tutti i Paesi membri dovrebbero registrare crescita economica

quest'anno. Eppure, «le prospettive sono più incerte del solito», si leg• ge nel rapporto. In una

conversazione con Il Sole 24 Ore, il vice presidente dell'esecutivo comunitario Jyrki Katainen, 45 anni, ha

sottolineato come l'incertezza politica - dall'uscita della Gran Bretagna dalla Ue alle prossime presidenziali

francesi fino al possibile voto anticipato in Italia- stia pericolosamente pesando sugli investimenti. Continua

pagina 2 BRUXELLES. Dal nostro corrispondente u Continua da pagina 1 pL'ex premier finlandese, che ha

affrontato anche l'ipotesi di una tassa all'importazione (border tax) negli Stati Uniti, è il primo responsabile

del Fondo europeo per gli investimenti strategici (l'EFSI o Fondo Juncker). Per lungo tempo, nel pieno della

crisi debitoria e finanziaria, era l'incertezza economica a pesare sugli investimenti. Nel frattempo, il periodo

più acuto della crisi è passato, l'economia si sta ripendendo, ma gli investimenti restano deboli. Come mai?

Vi è stata una ripresa degli investimenti, ma non quanto sperato o previsto. Nei fatti, quello degli

investimenti è ancora un anello debole dell'economia europea. L'incertezza economica è stata superata. Le

riforme strutturali in molti paesi sono state adottate e la crisi esistenziale della zona euro appare almeno in

parte risolta. La ragione della debolezza degli investimenti è a questo punto legata all'incertezza politica.

Quali sono i timori più evidenti, che gli investitori internazionali le riferiscono più spesso? I rischi politici

sono difficili da analizzare e da prevedere. C'è chiaramente preoccupazione per le scelte politiche della

nuova amministrazione americana. Sul fronte commerciale, ci si interroga su come potrebbe concretizzarsi

il protezionismo americanoe quale sarebbe il suo impatto sul commercio internazionale. Sul versante

europeo, la situazione è senza precedenti per quanto riguarda il populismo. Ci si chiede come evolverà la

tassazioneo come si svilupperà l'assetto della società. Ci sono dubbi poi sul comportamento dei

consumatori. Lo sguardo di molti osservatori corre alla scelta britannica di lasciare l'Unione o alla Francia e

alle prossime elezioni presidenziali che Marine Le Pen, leader del Fronte Nazionale, potrebbe in effetti

vincere. Attualmente, il livello degli investimenti in Europa è inferiore di 300 miliardi di euro ai livelli medi di

lungo termine. All'incertezza economicaè subentrata l'incertezza politica. Per colmare questo scarto,

dobbiamo ridurre l'incertezza per incoraggiare gli investimenti privati perché attualmente non è un problema

di denaro, quello non manca, è un problema di allocazione dei fondi. Cosa risponde ai suoi interlocutori

stranieri quando le chiedono del futuro della zona euro? Faccio loro notare che le sfide non mancano:

l'esito di incerte elezioni politiche; l'emergenza immigrazione; il rapporto con la Russia. Al tempo stesso,

sottolineo come l'Europa si stia integrando sempre più. Ricordo le misure per completare il mercato unico

digitale, il mercato unico dei capitali, il mercato unico energetico. Per non parlare della nascita di un Corpo

europeo di guardie di frontiera o dell'annunciata cooperazione nel campo della difesa. Può l'Europa fare di

più per compensare gli effetti nefasti sugli investimenti dell'incertezza politica? La Commissione europea

può fare poco direttamente nei paesi membri, ma promuovendo accordi commerciali, rafforzando il mercato

unico e utilizzando appieno il Fondo Juncker possiamo sostenere l'economia e rasserenare il clima politico.

A proposito del mercato unico, vi è ancora molto potenziale tuttora inutilizzato. Possiamo creare nuovi

mercati e quindi nuova domanda. Per esempio, nel trasporto dell'elettricità o nei biocarburanti. Parliamo,

per terminare, della situazione americana e soprattuto del futuro del commercio internazionale. Gli Stati

Uniti stanno valutando se adottare una border tax, una tassa all'importazione. Cosa ne pensa? Non mi

piace parlare di guerre commercialio speculare su di esse. L'Europa vuole evitare guerre o conflitti

commerciali con qualsiasi partner, inclusi gli Stati Uniti. Poiché sarebbe molto negativo per l'economia. Ciò

detto, se qualcuno si comporta controi nostri interessio contro le regole commerciali internazionali, allora

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possiamo reagire coni nostri meccanismi. Vogliamo rispettare le regole globali quando si tratta di

commercio. Anche il rischio di una politica isolazionista da parte americana è fonte di incertezza politica.

Prima dell'arrivo di Donald Trump, il libero commercio era fonte di preoccupazione per molti in Europa e nel

mondo, associato a una globalizzazione non governata o mal governata. Si era convinti che l'assenza di

regole fosse sinonimo di perdite di posti di lavoro. Oggi l'approccio mentale è più favorevole al commercio,

per via anche della minaccia di decisioni unilaterali da parte americana. Siamo passati da una visione

negativa del libero commercio, a una visione più positiva se quest'ultimo è basato su regole certe e

condivise. Non è un caso se nelle ultime settimane i paesi del Golfo Persico, dell'Asia o dell'America Latina

ci dicono di voler rafforzarei legami con una Europa che privilegia il multilateralismo e la cooperazione

internazionale.

Economia in miglioramento

Le previsioni di crescita del Pil per il 2017 fatte dalla Commissione europea. Dati in percentuale 4 3 2 1 <1

Irlanda 3,4 Lussemburgo 4 Portogallo 1,6 Regno Unito 1,5 Spagna 2,3 Danimarca 1,5 Olanda 2 Belgio 1,4

Francia 1,4 Italia 0,9 0,9 Svezia 2,4 Germania 1,6 Polonia 3,2 Rep. Ceca 2,6 Austr ia 1,6 Ungher ia 3,5

Slovenia 3 Croazia 3,1 Malta 3,7 Finlandia 1,2 Estonia 2,2 Lettonia 2,8 Lituania 2,9 Slovacchia 2,9

Romania 4,4 Bulgar ia 2,9 Grecia 2,7 Cipro 2,5

Foto: Commissione Ue. Jyrki Katainen

Foto: REUTERS Commissione europea. Il vicepresidente Jyrki Katainen, ex premier finlandese

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RAPPORTO CONFINDUSTRIA-CGIL-CISL-UIL

Piano Sud innovativo, ma ora correre

Giorgio Santilli

La novità forte del Masterplan Sudè essere riuscitoa fare pianificazione finanziaria per 35 mi• liardi

integrando fondi Ue, cofinanziamenti nazionali e Fondo sviluppo coesione (Fsc).E di averlo fatto in tempi

rapidi. Dà atto al governo di questa innovazione il Rapporto di Confindustria, Cgil, Cisle Uil sui patti attuativi

del Masterplan. La sfida, però, oggiè tutta sull'attuazione. Sfida di velocità e qualità. Continua pagina 7 u

Continua da pagina 1 Sfida di qualità e di velocità significa anche che alla fase dell'attuazione spetta ora il

compito, delicatissimo, di correggere in corsa qualche sfasatura o errore di valutazione che sono stati

commessi, soprattutto a livello territoriale, nella prima fase. Delicatissimo perché non si può fermare il

motore della macchina che invece deve cominciare a viaggiare a pieno ritmo. Al tempo stesso, si devono

rimuovere quei problemi che possono portare a un rallentamento successivo (pensiamo a progettazioni non

sempre all'altezza) o a uno sviluppo che, sul piano qualitativo, rischia di non essere sufficentemente

innovativo come nelle premesse strategiche di questo lavoro. Servono un «monitoraggio rafforzato»,

«flessibilità di programmazione» che consenta «rafforzamenti mirati, integrazioni e rimodulazioni», dice il

documento che chiede, per esempio, più attenzione a «processi di reindustrializzazione di aree e settori

oggetto di riconversione o trasformazione e la connessa riqualificazione dei lavoratori coinvolti». Bene ha

fatto il ministro De Vincenti • che tanta parte positiva ha giocato anche da Palazzo Chigi in quella

programmazione innovativa e in quella regìa centrale dei mesi scorsi • a offrire una sponda alla richiesta di

dialogo, lanciando l'idea di un tavolo che consenta un raccordo fra la cabina di regia governativa e le parti

sociali. La richiesta che veniva da imprese e sindacati è di «accompagnare, a livello nazionale e regionale,

l'attuazione di ciascun patto». Senza commistione di ruoli ha chiarito il ministro • che appartengono ad altre

fasi e in realtà nessuno ha chiesto: piuttosto un confronto sulle cose da fare, un modo per non spegnere i

riflettori su un percorso che produrrà risultati davvero positivi sul Mezzogiorno se contribuirà a sanare i

vecchi limiti organizzativi e progettuali senza bendarsi gli occhi sui ritardi di strutture anche innovative.

Sono i territori che ancora una volta hanno dimostrato i limiti principali nel tradurre in piani e progetti gli

stimoli finanziari e le linee strategiche e programmatiche del governo. I patti sono stati spesso messi a

punto sulla base della «progettualità prevalente», cioè dello stato della progettazione sul territorio e del

livello di fattibilità esistente. Un vecchio vizio, quello di infilare nei piani i progetti che si hanno disponibili o

nei cassetti, che nasce dalla mancanza di un parco progetti di qualità. Questa è la sfida che si può e si

deve vincere.

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TITOLI DI STATO

Il «fil rouge» fra Italia e Francia

Maximilian Cellino

C'è una correlazione quasi perfetta fra gli spread di Italia e Francia nel 2017. Le prospettive sul debito dei

due Paesi restano però ben differenti. u pagina5 Per una Federal Reserve che cerca in tuttii modi di

svincolarsi all'abbraccio letale alla quale la vorrebbe sottoporre Donald Trump c'è una Bce comunque

costrettaa farei conti con la politica in un anno di sfide elettorali potenzialmente decisive anche per il

destino dell'Unione. Così, dopo l'incontro della scorsa settimana fra Mario Draghie Angela Merkel, ieriè

toccato al governatore della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau scendere di nuovo in campo per

mettere in guardia sugli insopportabili costi aggiuntivi (30 miliardi di euro l'anno) che il suo Paese rischia di

dover sborsare in caso di uscita dall'euro per pagare gli interessi sui titoli di Stato. Fa una certa impressione

sentire trattarea Parigi temi quali la sostenibilità del debito pubblico che in Italia siamo abituati nostro

malgradoa fronteggiare ogni giorno. Va detto però che quell'intervento fuori dai canoni rispecchia in pieno

la nuova realtà dei mercati, che da qualche tempo sembrano comportarsi come se non ci fossero più le

Alpia separarei due Paesi. Come faceva notare ieri Bloomberg, quella correlazione fra lo spread degli OaT

francesie dei nostri BTp nei confronti del Bund decennale cheè stata poco rilevante (0,43) finoa tutto lo

scorso annoè divenuta quasi perfetta (0,95) nel 2017. È ovvio che lo sconfinamento della Francia nella

«periferia» d'Europa sia essenzialmente legato al rischio crescente che precede le presidenziali forse più

incerte (e cruciali) degli ultimi decenni programmatea cavallo fra aprilee maggio. Così comeè altrettanto

evidente che ci sia ben poco da rallegrarsi di questa sorta di fil rouge che legai due Paesi. Almeno agli

occhi degli investitori la presenza del paese transalpino fra gli ex•Pigs è destinata con tutta probabilità a

terminare proprio con l'appuntamento elettorale: in questo modo almeno la pensa Credit Suisse, che prima

di tutto non crede fino in fondoa una vittoria di Marine Le Pene sottolinea poi come il sistema finanziario

francese sia solido, mentrei fondamentali economici dal Paese sono in miglioramento. Convinta anche dal

sostegno del quantitative easing targato Bce, Credit Suisse suggerisce quindi di «acquistare sulla

debolezza, ma non adesso»e dà idealmente appuntamentoa dopo le elezioni: un'indicazione piuttosto

ottimista che vorremmo tanto estendere anche ai titoli di Stato del nostro Paese, se non fosse da un lato

perché la nostra incertezza politica potrebbe protrarsi ben oltree dall'altro per la distanza che ancora ci

separa dai nostri «cugini» su alcune questioni basilari. Se infattiè vero che da inizio annoi rendimenti di

OaT e BTp si siano mossi quasia braccetto (34 centesimi in più per il primo, 40 per il secondo),è anche

innegabile che gli effetti complessivi sul debito siano ben differenti. Questo perché la spesa per interessi sul

nostro debito esistenteè esattamente doppia rispettoa quella della Francia (circa il 3% contro l'1,5% medio

ricordato ieri da de Galhau)e soprattutto perché il quantitativo più elevato di emissioni lordea medio•lungo

termine previsto per l'intero 2017 (255 contro 185 miliardi, secondo UniCredit) rendei nostri conti

necessariamente più sensibili al «caro tassi». Difficile, con simili premesse, sostenere stavolta chea «mal

comune» corrisponda anche «mezzo gaudio».

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BASSA CRESCITA E DEBITO

Il banale 0,2% e la vera emergenza

Guido Gentili

Ci sono almeno due passaggi, nell'analisi della Commissione europea che ha confermato le previsioni di

sviluppo dell'Italia (le più basse dell'Unione, Grecia compresa) che planano assai poco dolcemente su

Roma, dove l'ex premier Matteo Renzi ha avviato una complessa verifica congressuale del Pd, il partito sul

quale poggia il destino della maggioranza di governo. Il primo passaggio: «L'incertezza politicae il

risanamento lento del settore bancario rappresentano un rischio per la crescita economica». Il secondo,

ricavabile da una semplice tabella:a giudizio di Bruxelles, che tra una settimana presenterà sul tema

specifico un rapporto, il debito pubblico segnerà quest'anno un nuovo record al 133,3% in rapporto al Pil

mentre nel 2018 dovrebbe portarsi al 132,2%. Dati superiori alle previsioni di novembre (133,1% per il 2017

e il 2018 e ben differenti dal quelle del governo, 132,6% e 130,1%) che già avevano fatto profilare l'ipotesi

di una «deviazione significativa» dal percorso di rientro. A meno che non si voglia archiviare il tutto come

posta irricevibile per lesa sovranità, in entrambii casi si tratta di due passaggi sui quali la classe politica, di

maggioranzae d'opposizione, dovrebbe riflettere, evitando di scantonare i problemi con un dibattito fumoso

sui nuovi orizzonti della sinistra o sul ritorno (a destra, il copyright è di Silvio Berlusconi) della lira da far

circolare assieme all'euro. Il puntoè un altro. La miscela di bassa crescita e alto debito tiene inchiodata

l'Italia nelle posizioni di coda dell'eurozonae dell'Unione e alimenta la convinzione, a Bruxelles, che l'Italia

non fa abbastanza per uscire da un angolo in cui si è cacciata da molti anni. E se a questo giudizio politico

sommiamo le persistenti tensioni e volatilità sui mercati finanziari, ecco che i rischi aumentano. Continua u

pagina 3 u Continua da pagina 1 Inevitabilmente, piaccia o no, atteso anche un Paese pure straordinario

per i miracoli che sa costruire sul fronte dell'export, non può pensare di cavarsela evitando di assumersi le

responsabilità che gli competono. Al momento, la prima di queste responsabilità riguarda una cifra tutto

sommato piccola, uno 0,2% in rapporto al Pil che significa 3,4 miliardi da mettere sul piatto a titolo di

correzione richiestaci dalla Commissione per evitare una procedura d'infrazione. Il negoziato è in corso e

Bruxelles ha preso atto degli impegni assunti dal governo Gentiloni. Il ministro Pier Carlo Padoan ha messo

nero su bianco che per circa 2,5 miliardi si sarebbe agito dal lato delle entrate. È così ricomparsa la parola

"accise", un tassa buona per tutte le stagioni, a cominciare dalla guerra d'Etiopia del 1935. Forse, quei 2,5

miliardi scenderanno pure, se per esempio la crescita del Pil nel 2016 si rivelerà più forte di quanto

pronosticato e magari arriverà a quota +1%. Ma è pur sempre una tassa e questo ritorno non va giù a

Matteo Renzi, che punta alle elezioni anticipate e che sulla riduzione della tasse ha issato la sua bandiera

programmatica. Indietro non si torna, dice rivolto a Gentiloni e Padoan, «non possiamo spremere i

cittadini», affidiamoci in alternativa a «un disegno in grado di accompagnare la curva della crescita». D'altra

parte, lo stesso Renzi nota che la procedura d'infrazione «va evitata con tutti gli sforzi possibili» e che si

troverà «un'intesa» con quest'Europa «maestrina dello 0,2%», in attesa della revisione del Fiscal Compact

che il ministro Graziano Delrio ha definito un problema «grande come una casa». Così la parola ripassa al

ministro Padoan, che entro aprile, se non prima, dovrà trovare la classica quadratura del cerchio. Lo 0,2% è

in effetti molto più piccolo (che sono i 3,4 miliardi di cui si parla rispetto a 19, di cui non si parla, previsti

dalla clausole di salvaguardia fiscali a titolo di aumenti Iva per il 2018 che il governo intende disinnescare?)

ma non per questo meno insidioso sugli sdrucciolevoli sentieri della politica italiana. La stessa che dal lato

della spesa pubblica tende sempre a gettare la spugna. Che l'altro ieri, in ossequio al Fiscal Compact, infilò

in Costituzione il pareggio di bilancio a tempi di record e senza quasi discuterne con spirito critico e

autocritico. Che oggi prova a smussare ogni angolo scomodo catapultandosi di fatto in una nuova stagione

elettorale. Quando la Commissione osserva che «l'incertezza politica rappresenta un rischio» dice, in

fondo, una banalità. Ma è ormai diventata banale anche la constatazione che l'Italia cresce meno di tutti gli

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altri Paesi d'Europa e che, nonostante i progressi degli ultimi anni, il debito pubblico resta altissimo. I

numeri dicono questo e le mappe colorate diffuse ieri dalla Commissione confermano un'emergenza che è

divenuta banale e per questo più pericolosa.

Foto: .@guidogentili1

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Le vie della ripresa LE PREVISIONI DELLA COMMISSIONE UE

«Pil 2017 fermo a 0,9%, rischi da banche e politica»

Rischio infrazione Il 22 febbraio il rapporto sull'indebitamento da cui dipende la decisione sulla procedura Dombrovskis «Paesi con elevati deficit e debiti devono continuare a ridurre i rispettivi passivi» La Ue rivede al rialzo il debito - Moscovici: «Nessun ultimatum all'Italia, bene gli impegni di Padoan» L'OCCUPAZIONE Per la Commissione Ue l'occupazione in Italia continuerà a crescere in termini di ore lavorate, non di nuovi occupati Beda Romano

BRUXELLES. Dal nostro corrispondente pL'economia italiana rimane drammaticamente lenta e fragile,

secondo le ultime previsioni economiche della Commissione europea pubblicate ieri. L'esecutivo

comunitario prevede una crescita dello 0,9% nel 2017 e dell'1,1% nel 2018. Sono le stime più basse di tutta

l'Unione. Nella sua analisi della congiuntura, Bruxelles ha accolto positivamente l'impegno del governo di

correggere la traiettoria dei conti pubblici entro aprile, ma nel frattempo ha rivisto al rialzo le sue stime di

debito pubblico. «L'incertezza politica e il risanamento lento del settore bancario rappresentano un rischio

per la crescita economica», scrive la Commissione europea nel suo rapporto pubblicato ieri mattina quia

Bruxelles. «Ciò detto, non si può escludere un impulso più forte del previsto proveniente dalla domanda

esterna». La presa di posizione sulla situazione politica giunge mentre in Italia la maggioranza governativa

dibatte nervosamente di elezioni anticipate. Le nuove previsioni di crescita sono piùo meno in linea con le

stime comunitarie dell'autunno scorso. In novembre, la Commissione prevedeva un'espansione

dell'economia dello 0,9% nel 2017 e dell'1,0% nel 2018. Sempre in autunno, Bruxelles stimava il debito al

133,1% nei due anni. Le stime pubblicate ieri sono leggermente peggiori sotto questo profilo. L'esecutivo

comunitario si aspetta un de• bito al 133,3% del Pil nel 2017 e al 133,2% del Pil nel 2018. La questione delle

finanze pubbliche è sempre delicata. La Commissione europea ha chiesto all'Italia di correggere

l'andamento del bilancio 2017, adottando misure strutturali per lo 0,2% del Pil (si veda Il Sole 24 Ore di

sabato). «L'esecutivo comunitario accoglie positivamente l'impegno pubblico del governo di adottare queste

misure (...) entro aprile». Aggiunge Bruxelles: «Queste saranno prese in considerazione non ap• pena

sufficienti dettagli saranno disponibili per analizzarle». La presa di posizione è freddae distaccata,

nonostante l'eccitabilità con la quale l'establishment italiano segue la vicenda. La Commissione deve

decidere sulla base delle scelte politiche del governo italiano se aprireo meno una procedura per debito

eccessivo. Un rapporto sull'evoluzione dell'indebitamentoè previsto il 22 febbraio. A questa relazione

dovrebbe essere associata - non necessariamente in modo contestuale - la decisione dell'esecutivo

comunitario su una eventuale procedura. «Noi incoraggiamo il gover• no italiano ad adottare queste misure -

ha detto in una conferenza stampa qui a Bruxelles il commissario agli affari monetari Pierre Moscovici •, ma

è assolutamente sbagliato parlare di ultimatum da parte nostra. Stiamo discutendo in modo costruttivo e

positivo con le autorità italiane (...). Non c'è alcun ultimatum, vogliamo vedere quali saranno le misure». La

parola ultimatum è un riferimento agli articoli fuorvianti di alcuni giornali nei giorni scorsi. Sul fronte della

congiuntura, la Commissione è dell'avviso che l'occupazione in Italia continueràa crescere, ma non in

termini di nuovi occupati quanto di incremento delle ore lavorate. In questo senso, nel futuro prevedibile la

disoccupazione dovrebbe rimanere sopra all'11%. Sul fronte della zona euro, la Commissione ha rivisto al

rialzo la crescita economica che dovrebbe essere dell'1,6% nel 2017, dall'1,5% in autunno, e dell'1,8% nel

2018, dall'1,7% in novembre. In un comunicato, il vice presidente della Commissione europea Valdis

Dombrovskis nota che «la ripresa economica continua per il quinto anno consecutivo», precisando che

«paesi con elevati deficit e debiti devono continuare a ridurre i passivi». Quanto alla possibile vittoria del

leader del Fronte Nazionale Marine Le Pen nelle presidenziali francesi della primavera questa sarebbe,

secondo il commissario Moscovici, «una tragedia per l'Europa e una catastrofe per la Francia».

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Così cambiano le previsioni Ue sull'Italia Le nuove stime della Commissione europea a confronto con

quelle di autunno 2016 1,2 1,0 0,8 0,6 0,4 PIL Var.% Vecchie previsioni NOV 2016 0,9 1,0 2017 2018

Nuove previsioni FEB 2017 0,9 1,1 2017 2018 134 133 132 131 130 DEBITO/PIL In % Vecchie previsioni

NOV 2016 133,1 133,1 2017 2018 Nuove previsioni FEB 2017 133,3 133,2 2017 2018 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0

DEFICIT/PIL In % Vecchie previsioni NOV 2016 2,4 2,5 2017 2018 Nuove previsioni FEB 2017 2,4 2,6

2017 2018 12,0 11,5 11,0 10,5 10,0 DISOCCUPAZIONE In % Vecchie previsioni NOV 2016 11,4 11,3

2017 2018 Nuove previsioni FEB 2017 11,6 11,4 2017 2018

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I macrosettori. Regioni in ordine sparso nella ripartizione delle risorse, poco spazio ai progetti integrati

Alle infrastrutture il 30,5% del budget

LO SCENARIO Previsti 10,7 miliardi per l'ambiente, attenzione per sistemi idrici e dissesto geologico Turismo e cultura: 2 miliardi N.P.

pUna serie di macro•capitoli: infrastrutture, ambiente, sviluppo economico e produttivo. Su queste tre voci si

concentra l'82% degli oltre 35 miliardi di euro dei Patti regionali del Masterplan per il Sud. Il documento

delle parti sociali analizza la ripartizione delle risorse. Le infrastrutture, con 10,7 miliardi assorbono il 30,5%

del totale. In questa macroarea il settore strade, con 5,2 miliardi ne assorbe una fetta consistente. A

seguire vengono le ferrovie, con 2,3 miliardi, con una distribuzione che vede differenti scelte regionali. La

Campania da sola ha scelto di investire ben 1,4 miliardi su questa voce (il 60% di quanto investito da tutte

le regioni), mentre la Sicilia non ha dedicato alcuna risorsa al trasporto su ferro, puntando tutto sulle strade

come fa anche la Basilicata. Un miliardo è convogliato sugli aeroporti (67% del totale per la Campania), 780

milioni sui porti (53% in Calabria). Emerge, dice il testo, una visione d'insieme degli interventi che rischia di

cogliere solo parzialmente le esigenze di sviluppo dei singoli settori produttivi e di mobilità integrata di

persone e merci, specie quelle legate all'interregionalità degli interventi. Altro settore importante, con

altrettante risorse, 10,7 miliardi, è l'ambiente: gli interventi sono concentrati soprattutto nel settore idrico,

3,8 miliardi, cioè il 10,9% del totale, e nel dissesto idrogeologico, 2,5 miliardi, ovvero il 7,4% dei fondi. Una

quota consistente è destinata ai rifiuti, 1,5 miliardi, e agli interventi di bonifica, 1,3 miliardi. Alla voce sisma

sono diretti 263 milioni distribuiti tra Calabria e Basilicata (167 e 96 milioni). Su base territoriale tutte le

Regioni, anche se con intensità diverse, hanno puntato sul settore idrico e, con la sola eccezione

dell'Abruzzo, sul dissesto idrogeologico. La macrovoce Sviluppo economicoe produttivo ha la netta

predominanza di interventi classificabili come incentivi (in particolare credito d'imposta per gli investimenti),

che mobilitano 5 miliardi su 7,4, con percentuali importanti in Campania (2,8 miliardi) e Puglia (più di 1

miliardo). Ci sono poi altri segmenti di spesa: le Politiche sociali raccolgono 1,7 miliardi; Turismo e cultura 2

miliardi; Edilizia pubblica 2,4 miliardi. Al turismo e alla cultura dedicano risorse principalmente la Puglia,

472 milioni, seguita dalla Campania,383 milioni,e Sicilia, 320 milioni. Mentre la Sardegna non ha dedicato

risorse.

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PRIVATE BANKING RAPPORTI 24 / IMPRESA Maurizio Grigolo Partner PwC INTERVISTA

Mifid2 spingerà verso le gestioni patrimoniali

Gaia Giorgio Fedi

Torna in auge la gestione patrimoniale, quella formula con cui il risparmiatore affida tramite mandato il

proprio patrimonioa un gestore.I dati di Assogestioni hanno evidenziato nel terzo trimestre 2016 una

raccolta netta positiva per 824,9 milioni di euro per le gestioni patrimoniali in fondie di 158,4 milioni per le

gestioni patrimoniali mobiliari. I numeri di Aipb invece mostrano che le gestioni patrimoniali sono rimaste

stabili nei portafogli private, dove si rileva una maggiore propensione a investire in questo servizio da parte

dei clienti delle banche specializzate. Un trend in crescita, quello delle gestioni patrimoniali, anche perché

legato alla Mifid 2, che entrerà in vigore a gennaio 2018, commenta Maurizio Grigolo, partner di PwC.

Infatti, «la gestione patrimoniale risponde già alle regole imposte dalla Mifid, e questo comporterà anche

che con l'entrata in vigore vera e propria della normativa non ci dovrebbero essere significative modifiche di

prodotto», aggiunge Grigolo. Dottor Grigolo, quali sono in particolare le sfide poste dalla Mifid2? Con la

Mifid2 sarà necessario fare i conti con una minaccia di riduzione dei ricavi per i distributori di prodotti

finanziari, per una maggior pressione regolamentare e per il fatto che una fetta sempre maggiore di

clientela tende a fare investimenti con il fai•da•te. È inoltre prevedibile un aumento degli investimenti

informatici per fabbriche prodotto e distributori per un sempre più spinto grado di interazione tra gli stessi e

per adeguare le informative ai clienti che dovranno essere sempre più dettagliate. Da questo discende la

necessità di individuare prodotti semplici e a larga diffusione, per i quali quindi i costi di adeguamento alla

Mifid2 saranno più sostenibili. E questo andrà a beneficio delle gestioni patrimoniali? Sì. I principali

operatori stanno già rifocalizzando la propria attenzione sulle gestioni patrimoniali e sul relativo modello di

compenso, che essendo già allineato a Mifid2 potrà essere più agevolmente supportato. Si parla di una

commissione che va dall'1% in su, già in uso e compresa dalla clientela. Sarà di più facile attuazione anche

il necessario reporting sulle gestioni stesse. Questa appare la via maestra soprattutto per gli operatori di

dimensione ridotte. Ma le gestioni patrimoniali sono un servizio che va bene a tutti? Qual è il cliente ideale

per questo servizio? Si tratta di un servizio che andrebbe consigliato alla clientela con una disponibilità

superiore ai 100mila euro • mentre in Italia la media dei risparmi è sotto quella soglia - e che non essendo

sofisticata preferisce affidare il proprio patrimonio ad un professionista. La clientela "semplice" infatti,

difficilmenteè in grado di apprezzare i benefici derivanti da una una consulenza indipendente che con

Mifid2 sta cercando un proprio spazio. Si noti che con Mifid2 si nota una graduale "clusterizzazione" della

clientela dei servizi di investimento. Quindi per i clienti con disponibilità inferiori potrebbe affermarsi la

consulenza indipendente? No, per la ragione appena citata. Per i clienti con risparmi sotto i 100mila euro è

probabile si affermi una consulenza semplice non indipendente, con un portafoglio di pochi prodotti, una

consulenza magari robotizzata, ove il distributore continuerà ad avere un riconoscimento basato sulle

retrocessioni dalle case prodotto. Mentre la consulenza avanzata probabilmente si affermerà per clienti con

patrimoni rilevanti ed esigenze allargate a immobili, successione, finanza d'impresa.

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R2

Pubblico impiego, accordo vicino su licenziamenti e premi produttività

Rush finale tra sindacati e governo per sciogliere gli ultimi nodi e applicare la riforma Madia Cgil, Cisl e Uil chiedono di ridurre il ruolo della legge e accrescere quello della contrattazione ROSARIA AMATO

ROMA. Corsa contro il tempo di sindacati e governo per raggiungere l'accordo sulla riforma del pubblico

impiego. Domani le parti torneranno a negoziare e venerdì il Consiglio dei ministri dovrebbe dare il via

libera definitivo al testo. Resta ancora un nodo centrale da sciogliere: quello sul ruolo della contrattazione.

Cgil, Cisl e Uil puntano a rafforzare il peso dei negoziati riducendo così quello della legge, il tutto in linea

con l'intesa quadro raggiunta il 30 novembre. Il governo ha espresso alcune perplessità.

La richiesta dei sindacati è di modificare diversi articoli (il 2, il 5 e il 40): nella sostanza si tratta di ridare alla

contrattazione gli spazi sottratti e recintati dalla legge Brunetta. Un principio che i sindacati contavano di

avere affermato una volta per tutte con l'accordo quadro firmato faticosamente a pochi giorni dal

referendum costituzionale, ma che con una certa delusione ritengono che non si rifletta abbastanza nel

nuovo Statuto dei lavoratori pubblici. In particolare si parla di restituire alla contrattazione materie come la

mobilità, l'inquadramento, l'organizzazione e la flessibilità: «Non devono rimanere competenza esclusiva

dei dirigenti e dell'amministrazione», dice il segretario confederale della Cisl, Maurizio Bernava. I sindacati

chiedono inoltre di «liberare da ogni vincolo la contrattazione di secondo livello, con il superamento del

meccanismo delle fasce di merito imposto dalla legge Brunetta», spiega il segretario confederale della Uil

Antonio Foccillo. Modifiche importanti vengono chieste inoltre sulle sanzioni e sui licenziamenti, ritenuti

«eccessivi» dai rappresentanti dei lavoratori. E c'è anche un problema di metodo: «Un altro nodo

importante - sottolinea il segretario confederale della Cgil Franco Martini - è determinare nella Pubblica

amministrazione un sistema di relazioni sindacali che preveda il confronto preventivo». Accordo spettato

invece per quanto riguarda l'estensione della normativa alla scuola: infatti all'incontro oltre alla delegazione

della Funzione Pubblica era presente una delegazione del Miur. I sindacati chiedono l'estensione al

pubblico impiego dei premi per la produttività e del welfare aziendale, un modo «per recuperare potere

d'acquisto e migliorare la performance», osserva Bernava.

Nessuna rottura però: il confronto è proseguito per tutta la giornata, e il ministero ha chiesto del tempo per

valutare le modifiche richieste dai sindacati.

Oggi solo contatti informali, si dovrebbe tornare al tavolo domani, per l'intesa definitiva. Il ministero guidato

da Marianna Madia mostra una certa apertura verso la richiesta di garantire un ruolo maggiore alla

contrattazione su diverse materie, dalle carriere alla mobilità, ma minore disponibilità a offrire ai sindacati

uno spazio in materia di organizzazione degli uffici, attualmente di esclusiva competenza dei dirigenti.

Prima del Consiglio dei ministri il governo dovrà anche cercare l'intesa con le Regioni.

L'accordo del 30 novembre, oltre che intervenire sulla parte normativa, pone anche le basi per il rinnovo

dei contratti di lavoro: da indiscrezioni emerge che oltre ai 300 milioni stanziati dalla legge di Stabilità ci

sarebbero sul piatto 900 milioni per il 2017 e 1,2 miliardi per il 2018. L'obiettivo rimane quello stabilito a

novembre: un aumento medio di 80 euro lordi in busta paga.

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I PUNTI

SPAZIO AL CONTRATTO Il nuovo Testo Unico del pubblico impiego rivede la logica della riforma Brunetta,

restituendo ampi spazi alla contrattazione

PIÙ MERITOCRAZIA I contratti dovranno garantire una differenziazione delle valutazioni, per porre fine alla

distribuzione a pioggia dei premi e misurare i risultati STOP AI FURBETTI Affidata ai contratti la formula per

colpire le assenze "sospette".

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Le competenze sulle visite fiscali passano dalle Asl all'Inps, con nuove fasce di reperibilità di 7 ore

La distribuzione dei dipendenti pubblici

38.661 3.150.469 P.A. Bolzano TOTALE P.A. Trento Valle d'Aosta Lombardia Friuli V.G.

Veneto Piemonte Liguria Emilia R.

Marche Toscana Umbria Abruzzo Sardegna Lazio Molise Campania Basilicata Puglia Calabria Sicilia

39.683 11.519 401.936 82.380 221.623 213.994 95.021 222.358 79.855 205.463 49.242 70.203 109.036

380.284 18.425 282.098 33.747 203.981 113.521 269.909 ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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BRUXELLES

"Banche e incertezza Ecco cosa frena Roma"

Marco Bresolin

A PAGINA 6 "Banche e incertezza Ecco cosa frena Roma" C'è un messaggio impietoso sulla cartina che

ha fatto da sfondo alla conferenza stampa del commissario Pierre Moscovici, quella in cui i 28 Paesi Ue

sono divisi in quattro fasce in base al loro tasso di crescita nel 2017. Due (Lussemburgo e Romania) vanno

oltre il 4%, sei superano il 3%, undici fanno almeno il 2% e otto sono sopra l'1%. Uno solo non raggiunge

l'unità: l'Italia. Le previsioni di Bruxelles dicono che la nostra economia resterà inchiodata al +0,9% nel

2017, lo stesso dato previsto in autunno. Un valore che è esattamente la metà di quello dell'Ue nel suo

complesso (+1,8%, rivisto al rialzo di due decimali) e di gran lunga inferiore a quello della zona euro

(+1,6%, in rialzo di un decimale). Il ritmo della crescita italiana è «costante», ma «moderato». E deve far

fronte a due insidie: «L'incertezza politica e il lento aggiustamento del settore bancario - scrive la

Commissione - pongono rischi al ribasso alle prospettive di crescita". Come anticipato da La Stampa ieri,

dietro quell' "incertezza politica" si nascondono i timori per le elezioni anticipate. Ma se con una mano

suona il campanello d'allarme e avverte chi vorrebbe fughe in avanti verso il voto prima dell'estate, con

l'altra la Commissione accarezza chi sta al governo in questo momento. Dice di aver «preso nota» e di aver

accolto in modo «positivo» gli impegni pubblici presi dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan in merito

alla richiesta di migliorare il deficit strutturale con un intervento sulla manovra pari allo 0,2% del Pil (3,4

miliardi). Certo, a oggi non ci sono ancora atti legislativi concreti (solo la lettera del 7 febbraio scorso), per

questo le misure annunciate «saranno prese in considerazione non appena verranno resi disponibili

sufficienti dettagli». Ma Bruxelles è disposta a concedere tempo (non spazio) all'Italia ed evitare così una

procedura di infrazione. L'importante è che all'orizzonte spariscano le nuvole dell' incertezza politica. I

tecnici della Commissione hanno già stilato il 90% del rapporto sul debito italiano. La data fissata per la

pubblicazione è il 22 febbraio ed entro quel giorno si attendono segnali tangibili. In caso contrario?

«Nessun ultimatum» dice Moscovici. Perché ci sono ben due tipi di dilazione possibili (e uno non esclude

l'altro): il primo potrebbe portare a uno slittamento del cosiddetto Rapporto 126.3 sulla violazione della

regola del debito, anche fino a marzo. Il secondo prevede invece che il rapporto venga stilato, ma che si

lasci comunque aperto un canale di credito all'Italia, evitando di prendere subito una decisione su

un'eventuale procedura. Certo i numeri dell'economia italiana fanno poco sorridere. Non ci sono solo la

peggior crescita d'Europa e una disoccupazione che non scende sotto l'11,6% (nel 2017). Il deficit sarà al

2,4% del Pil nel 2017 e le stime prevedono un rialzo al 2,6% l'anno prossimo. In aumento anche il debito

pubblico: dal 133,1% stimato in autunno al 133,3% finito nelle tabelle diffuse ieri. Questo a causa delle

"risorse usate per sostenere il settore bancario e gli investitori al dettaglio". Il vice-presidente della

Commissione, Valdid Dombrovskis, parlando in generale dei dati europei, sottolinea la necessità di "sforzi

costanti di riforme strutturali" e invita i Paesi con alto livello di deficit e di debito a ridurli "per rafforzare la

loro capacità di resistere a eventuali choc economici". Per la Commissione ci sono ben tre "rischi

eccezionali" in questo 2017: i negoziati per la Brexit, le incognite che arrivano dalla Casa Bianca e le

elezioni nei vari Paesi Ue. Su quest'ultimo punto, Moscovici ha indicato nel crescente "populismo anti-euro"

la principale minaccia.

Le previsioni di crescita nel 2017 Portogallo Danimarca Germania Regno Unito Spagna Olanda Irlanda

Belgio 2,4 1,5 2% 1,4 Lussemburgo 1,6 Francia ITALIA Svezia % 2,3 1,4 0,9 % % Malta % 1,6 % 1,5 % %

3,4 % % % 4% 3,7 % AREA EURO Fonte: Commissione Europea 1,6 < 1% > 1% > 2% > 3% > 4% % EU

28 1,8 % 2,2 3,5 2,7 3,1 % 3% 1,2 % 2,8 2,9 3,2 % 4,4 % % % % 2,6 2,9 % 2,9 % % % % 2,5 1,6 Finlandia

Estonia Grecia Croazia Slovenia Lettonia Lituania Polonia % % Repubblica Ceca Slovacchia Ungheria

Romania Bulgaria Cipro Austria

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 46

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Inchiesta

British Telecom in Italia Sette anni di conti in rosso

Allarme dei soci ignorato dal 2008. Lascia il presidente Sciolla Riscritti i bilanci del gruppo Bt: 200 milioni di utili in meno GIANLUCA PAOLUCCI

Un allarme scattato già nove anni fa e finito presumibilmente dimenticato. Una società che per oltre un

decennio ha accumulato centinaia di milioni di euro di perdite senza ripercussioni sostanziali né sul modello

di business né sulla struttura manageriale. Uno scandalo contabile che quando deflagra porta alla luce

numeri che mal si accordano con i valori dei bilanci. Nella vicenda di Bt Italia, scoppiata il mese scorso, ci

sono ancora molte cose che non tornano. Non tornano neppure per i circa settemila piccoli azionisti rimasti

incastrati con un titolo illiquido in mano dopo l'opa di Bt su I.net, che era quotata a Piazza Affari. E per i 953

dipendenti, che qualche domanda se la stanno facendo. L'ultimo sviluppo di questa vicenda si è registrato

appena qualche giorno fa, quando il presidente Corrado Sciolla ha lasciato il gruppo. Il manager, a lungo

amministratore delegato, poi presidente e da novembre scorso tornato anche ad dopo l'allontamento di

Gianluca Cimini, «ha deciso di dimettersi per perseguire nuove opportunità professionali». Colpisce il

tempismo: sullo scandalo contabile sta indagando la procura di Milano, mentre l'allarme utili lanciato da Bt

ha affondato il titolo alla Borsa di Londra e bruciato in un giorno oltre 8 miliardi di sterline di capitalizzazione

che il gruppo non ha più recuperato. Bt Group è un colosso delle tlc con oltre 22 miliardi di euro di fatturato

e 7,6 miliardi di margine operativo nell'esercizio chiuso il 31 marzo scorso. Bt Italia ha un fatturato più o

meno costante negli ultimi nove anni, tra 900 milioni e 1,2 miliardi. Tra i suoi clienti ci sono grandi gruppi

industriali come Eni e Fca, amministrazioni pubbliche e procure della repubblica. Il problema è che ha

sempre perso soldi a rotta di collo: tra il 2008 e il 2014 ha accumulato perdite per 242 milioni di euro, con

una costanza impressionante: 33 milioni nel 2008, 39 nel 2009, 29 nel 2010 e così via, con i costi operativi

che superano spesso i ricavi ed è già singolare, dato che il settore delle tlc ha solitamente margini molto

elevati. La svolta c'è nell'esercizio chiuso al 30 marzo 2015, quando si registra per la prima volta un piccolo

utile di 1,6 milioni, che diventano 35,5 nell'esercizio successivo. Poi una fonte confidenziale, nell'estate

scorsa, spiega alla casa madre che nella controllata italiana le cose non vanno e il castello crolla, con

conseguenze ancora tutte da chiarire. La prima e più visibile è l'allarme utili lanciato il 24 gennaio scorso. Bt

stima oltre 500 milioni di sterline di impatto sugli utili della controllata (che utili non ne faceva) per «un certo

numero di anni». E circa 300 milioni di ricavi operativi per il gruppo rispetto alle previsioni. La motivazione:

«Transazioni improprie su vendite, acquisti, leasing e factoring». Ieri escono i bilanci riscritti degli ultimi due

anni di Bt Group: l'impatto sull'utile operativo è di 200 milioni tra 2015 e 2016. A novembre erano stati

allontanati in fretta e furia l'ad Cimini e altri due top manager e consiglieri, entrambi da lungo tempo alle

dipendenze della società. Ma che qualcosa non fosse chiaro nei conti di Bt Italia qualcuno lo aveva

sostenuto da tempo. Nel luglio del 2008 c'è l'assemblea dei soci che deve approvare i conti. Bt Italia ha da

poco assorbito I.net, gioiellini hitech, con i conti in utile e una ricca dotazione di cassa, quotato in Borsa. Ma

l'opa del gruppo britannico è andata pressoché deserta. I soci di I.net chiedono un prezzo più alto e tra

questi due sono particolarmente battaglieri, Tamburi Investment Partners e il fondo Trafalgar. Tra molte

questioni sollevate dal rappresentante di Tamburi c'è anche una tornata d'attualità in questi giorni: il ricorso

«sistematico» al factoring. «Una politica priva di giustificazione, se quella di far figurare (...) un effimero

miglioramento della posizione finanziaria e della liquidità». La risposta della società è secca: si tratta di una

«operazione ordinaria». Tamburi e Trafalgar troveranno poi un accordo per uscire dall'azionariato e loro

azioni verranno acquistate per un ammontare non reso pubblico. Ma la questione del factoring si riaffaccia

anche l'anno successivo. Rispondendo alle domande di un azionista, l'allora direttore finanziario Cristofori

spiega i contratti di factoring in essere sono due, entrambi pro-soluto, per 105 milioni di euro, con Ifitalia

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(gruppo Bnl) e Serfactoring (gruppo Eni). In quegli anni, l'amministratore delegato era Corrado Sciolla, poi

arrivato fino al vertice delle attività in Europa continentale fino all'addio di qualche giorno fa.

7000 i soci Dopo la fusione con I.net (2007) sono rimasti nell'azionariato migliaia di soci che non avevano

aderito all'Opa di Bt sulla società italiana

953 i dipendenti Dopo una serie di dimagrimenti, i lavoratori italiani di Bt sono poco meno di mille, circa due

terzi dei quali al Nord

Foto: In uscita L'ex presidente e ad, Corrado Sciolla

Foto: Il quartier generale di British Telecom a Milano

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LA TRATTATIVA

Pa, piani triennali per assunzioni e mobilità

Proseguono oggi le trattative con i sindacati sulla riforma del pubblico impiego. Il contratto potrà derogare alla legge Le amministrazioni dovranno dire di quali professionalità hanno bisogno. Trasferimenti per il personale in esubero Andrea Bassi

ROMA Lo si potrebbe definire come un piano industriale per la pubblica amministrazione. Un progetto di

ristrutturazione. Ogni tre anni verranno definiti dei piani di fabbisogno del personale. Saranno cioè,

superate le rigide piante organiche che esistono oggi. Le amministrazioni dovranno dire di quali

professionalità hanno effettivamente bisogno per svolgere il loro lavoro. La predisposizione di questi piani

potrebbe comportare degli «esuberi» di personale, che verranno gestiti attraverso le procedure di mobilità,

le stesse già applicate per le Province, e che permettono il ricollocamento dei dipendenti in altre

amministrazioni entro 50 chilometri. La novità è contenuta nelle bozze di riforma del pubblico impiego

discusse nella riunione fiume di ieri tra il governo e i sindacati. Il passaggio dalle piante organiche ai

fabbisogni, dovrebbe comportare una riorganizzazione complessiva della macchina burocratica, spostando

le persone dove effettivamente servono. LE ALTRE NOVITÀ Non solo. Le norme prevedono anche la

possibilità di effettuare assunzioni mirate. Se dai piani triennali dovesse emergere la necessità per le

amministrazioni di dotarsi di nuove competenze o di nuove figure professionali, potrebbero utilizzare gli

spazi che si creano dalla riorganizzazione per effettuare questi concorsi mirati. Per mettere il dipendente

giusto al posto giusto, sarà anche predisposto un «sistema informativo nazionale sul lavoro pubblico». Un

archivio elettronico che raccoglierà i dati sul personale delle amministrazioni, comprese le professioni e le

competenze. I NODI DA SCIOGLIERE Ieri, intanto, nel lunghissimo vertice con Cgil, Cisl e Uil, alcune

questioni poste dai sindacati sarebbero state risolte. A cominciare dal rapporto tra il contratto di lavoro e la

legge. I sindacati chiedevano che le regole inserite nel primo, prevalessero in ogni caso sulle previsioni

normative, comprese quelle in vigore e non solo quelle future. E soprattutto che il contratto facesse premio

sulla legge anche quando quest'ultima prevede una «inderogabilità». Un tema che riguardava soprattutto la

riforma della "Buona Scuola", nella quale il governo aveva inserito, appunto, il divieto per la contrattazione

collettiva di derogare alle norme inserite nel provvedimento. Questo significa che il futuro contratto del

comparto «istruzione» potrà rivedere alcuni dei punti previsti dalla legge. Anche un altro nodo considerato

essenziale dai sindacati, è stato sciolto. Si tratta delle cosiddette «gabbie» della legge Brunetta, quelle che

prevedono che i premi debbano essere distribuiti in una maniera estremamente selettiva: il 50% delle

somme disponibili al 25% dei dipendenti più bravi, il restante 50% al successivo 50% di dipendenti e, infine,

nulla all'ultimo 25% di statali, quelli giudicati «peggiori». L'accordo, recepito nella bozza del provvedimento,

prevede che sarà il contratto collettivo nazionale a stabilire la quota di risorse destinate a remunerare,

rispettivamente, la performance organizzativa e quella individuale, fissando dei criteri idonei a «garantire

una significativa differenziazione dei giudizi» e «un'effettiva diversificazione dei trattamenti economici

correlati». Oltre a Cgil, Cisl e Uil, ieri è stata ascoltata anche la Confsal, altri sindacato rappresentativo.

Oggi il confronto proseguirà e domani ci dovrebbe essere un vertice finale con i segretari per chiudere

l'intesa in tempo per la conferenza con le Regioni, il cui via libera è necessario per portare il provvedimento

venerdì in consiglio dei ministri. Intanto scendono in campo anche i dirigenti. «Non è vero che i dirigenti

pubblici italiani sono i più pagati: sono i meno motivati, i meno incentivati e privi di un meccanismo premiale

che li stimoli», hanno fatto sapere Direr e Direl, le organizzazioni che rappresentano la dirigenza regionale

e locale, confederate nella Codirp, che domani presenteranno le loro proposte per «una riforma della

Pubblica amministrazione che valorizzi merito e competenze».

VIA LIBERA ANCHE AL SUPERAMENTO DELLE "GABBIE" DELLA LEGGE BRUNETTA SULLA

VALUTAZIONE DEI DIPENDENTI

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L'intesa sugli statali Blocco del rinnovo dei contratti della pubblica amministrazione, rinnovato dalle

manovre successive La Cor te Costituzionale dichiara illegittima la prosecuzione del blocco Un incontro

ministero-sindacati avvia incontri tecnici all'Aran Lug 2016 L'intesa governo-sindacati 30 Nov 2016

Aumento medio mensile Distribuzione dell'aumento 200.000 beneficiari bonus 80 euro Premi, salario

accessorio, welfare integrativo almeno 85 euro si favorisce chi ha di meno non penalizzati affidati alla

contrattazione (non per legge)

Foto: Il ministro della Funzione Pubblica Marianna Madia

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Le misure LA MANOVRA

Lotta all'evasione e tagli è la strategia anti-accise

Dopo lo stop di Renzi il governo cerca risorse finanziarie alternative Si studia l'ulteriore potenziamento del recupero di Iva sottratta al Fisco NEL MIRINO PROGRAMMI DI SPESA INEFFICACI DA RIVEDERE DAL PD ARRIVANO DUBBI ANCHE SULLE PRIVATIZZAZIONI Luca Cifoni

ROMA L'unica cosa certa è che l'impegno a correggere i conti resta. Non lo ha messo in discussione

nemmeno Matteo Renzi, riconoscendo alla direzione Pd, in presenza di Pier Carlo Padoan, che la

procedura per deficit eccessivo va evitata, pur senza pigiare sull'acceleratore delle tasse. Dunque la

manovra si fa, anche se non è detto che debbano essere per forza 3,4 miliardi. Oggi l'Istat diffonde le stime

preliminari sull'andamento del Pil nel quarto trimestre 2016: la crescita annuale dovrebbe toccare lo 0,9 per

cento, ma con un risultato congiunturale particolarmente brillante si potrebbe arrivare a un più tondo 1. Una

crescita più robusta potrebbe rendere legittima una stima un po' più generosa delle entrate tendenziali,

contribuendo così a limare di qualche centinaio di milioni il conto effettivo. I BOLLI Questa circostanza

favorevole, se si concretizzerà, lascia tuttavia al ministero dell'Economia un compito impegnativo: sostituire

almeno una parte di quello 0,09 per cento di Pil (1,5 miliardi nella valutazione originaria) che come garantito

alla commissione europea nelle due lettere del ministro dovrebbe essere recuperato con aumenti di accise

e altre imposte indirette. Il ritocco politicamente più indigesto, e quindi se possibile da rimuovere per primo,

sarebbe quello della benzina, mentre il prezzo delle sigarette è forse un po' meno sensibile ma lascia

anche minori spazi finanziari. Un contributo potrebbe arrivare anche da una revisione di quelle imposte di

bollo rimaste ferme per molti anni: si tratta però sempre di entrate. In ogni caso volendo ridurre al minimo la

voce accise le strade possibili sono due: o ampliare la quota di entrate che deve invece arrivare dal

contrasto all'evasione fiscale o andare direttamente sui tagli di spesa, che nell'impostazione già abbozzata

della manovrina avevano un valore pari a circa 800 milioni. Nel primo caso l'esecutivo dovrebbe allargare il

ricorso allo split payment , ovvero alla procedura per cui già attualmente i fornitori dello Stato perdono

subito la disponibilità dell'Iva relativa alle transazioni, dirottata su un apposito conto. Questo meccanismo

ha garantito un gettito molto robusto ma non piace alle aziende interessate che devono in pratica anticipare

i soldi in attesa di poterli parzialmente recuperare in una fase successiva. Lo split payment potrebbe essere

esteso alle società pubbliche; e forse verrà valutata la possibilità di potenziare anche il reverse charge

(inversione contabile per cui in determinati l'obbligo dell'Iva è in capo all'acquirente invece che al venditore).

In ogni caso tutte le novità dovranno avere il parere favorevole di Bruxelles, visto che l'Iva è un tributo

regolato a livello europeo. Sul fronte della spesa l'esecutivo potrebbe tentare di individuare programmi

scarsamente efficaci e dunque sacrificabili. Il rischio in questo caso è incidere sugli stanziamenti per

investimenti: ipotesi quanto mai indigesta per il Tesoro, proprio nel momento in cui la stessa commissione

europea nelle sue valutazioni diffuse ieri riconosceva la spinta positiva arrivata da questa voce. Sul tavolo

c'è anche l'ipotesi di sfruttare eventuali maggiori risparmi sul fronte delle società partecipate, anche se una

scelta del genere richiederebbe di adottare comunque altre misure a garanzia di una riduzione dei costi che

potrà manifestarsi solo in un secondo momento. LE PERPLESSITÀ La direzione Pd ha visto poi l'apertura

di un altro fronte di finanza pubblica, quello delle privatizzazioni. Alle perplessità sull'operazione Poste

espresse già nei giorni scorsi dal sottosegretario Giacomelli si sono aggiunte quelle di Delrio su Fs e quelle

ancora più generali espresse dal presidente del partito Orfini. Dal punto di vista del Mef però il capitolo

dismissioni resta importante per garantire quella discesa del rapporto debito/Pil messa in cantiere per la

fine del 2017. © RIPRODUZIONE RISERVATA centimetri

Il debito pubblico italiano Andamento da inizio crisi e previsioni del Governo (dati in % del Pil) 135,0

127,6 120,2 112,8 105,4 98,0 Dati consuntivi Programma '15 Programma '16 99,8 102,4 112,5 115,4 116,5

123,3 131,9 132,3 129,0 132,8 131,4 132,6 127,9 130,1 123,7 126,7 119,8 2007 2008 2009 2010 2011

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 14/02/2017 51

14/02/2017

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tiratura:158020

2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 Fonte: Eurostat (consuntivi); Dbp 2015 e Dbp 2016

(programmi Governo)

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SCENARIO PMI

3 articoli

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 14/02/2017 53

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Il «made in Italy» cresce e assume 350 offerte tra funivie e manichini

Le figure? Ingegneri, esperti di produzione e qualità, impiegati e neodiplomati Laura Bonani

Persone che con intuito, tenacia ed entusiasmo son diventate artefici di aziende leader nel mondo. E

offrono lavoro. Ecco alcuni casi. Il gruppo Leitner di Vipiteno (Bz) si è affermato nella produzione d'impianti

da sci e, da cinque anni, anche negli impianti a fune per il trasporto urbano. Una «nicchia» che cresce al

ritmo del 30%. «La tecnologia è la nostra ispirazione - nota il presidente Anton Seeber - e gli ingegneri

meccanici/elettrici sono le figure chiave: abbiamo un centro R/D che pullula di giovani dei 5 continenti». Le

funivie trasportano 4-35 passeggeri; il fattore sicurezza, quindi, è primario. Ma si studiano pure sistemi per

abbattere i consumi energetici e i rumori. Il design delle cabine è firmato Pininfarina. Il gruppo cerca 150

ingegneri.

Non solo moda

Un altro campione nascosto è Bonaveri. Se tutti conoscono Armani, Dior e Gucci, anche i manichini

Bonaveri definiscono i trend della moda. Sono fatti in BPlast, un materiale biodegradabile e vengono

prodotti al 100% in Italia, nel ferrarese. Proprio lì c'è un atelier con un gruppo di creativi che plasma

«sculture» con argilla/gesso/ resine. Sono affiancati dagli art director che hanno svolto ricerca fotografica

per catturare posture e atteggiamenti. Le assunzioni previste sono 15 tra produzione/R&S/qualità.

Poi Selle Royal, un marchio vicentino caposaldo dei grandi produttori di bici. Tutto è partito dal fiuto di

Riccardo Bigolin che (già farmacista) decise nel 1955 di scommettere nell'azienda di famiglia. Produceva

feltro per scarpe e selle di bicicletta e lui volle tentare di vendere i sellini in Germania e nel Regno Unito: ha

fatto centro. Oggi, a monte del ciclo produttivo, lavora un gruppo di progettisti/biomedici/ ingegneri e

collabora sia con l'università dello Sport di Colonia sia con lo studio di design Ideo di New York. Entro il

2018, per via del crescente trend del bike sharing, si calcolano 150 ingressi tra manifatturiero e

impiegatizio.

Academy del buon gusto

Dulcis in fundo, Carpigiani, un nome legato all'inventore delle prime macchine per la gelateria artigianale.

Nel 2003 nel bolognese, l'azienda ha fondato la «Carpigiani Gelato University» per formare i professionisti

del settore. È attiva anche in altri 11 Paesi. Nel 2013 è stato varato il «Gelato World Tour»: una gara

itinerante di gelateria artigianale. Per il 2017 le vacancy sono 40: neodiplomati in meccatronica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

4.100 e oltre, le opportunità dal settore legato all'oro fino al mondo dei videogiochi

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STARTUP CON IL SOLE

Start up a crescita record: In Italia sono quasi 7mila ma attirano pochi

capitali

Marzio Bartoloni

pagina 27 Start up a crescita record In Italia sono quasi 7mila La dimensione resta modesta: solo 300

fatturano più di 500mila euro pIl boom delle start up in Italia non si ferma, ormai sono quasi 7mila, oltre il

doppio rispetto a due anni fa. Complice del fenomeno una normativa all'avanguardia, fatta di

sburocratizzazione e incentivi fiscali sempre più aggressivi. Ma a oltre 4 anni dallo startup act introdotto nel

2012 e aggiornato poi con nuove misure la finanza, gli investitori istituzionali, le grandi imprese e anche le

Pa non sembrano essersi accorte di questo fenomeno imprenditoriale: poco ancora il capitale di rischio

investito nelle startup. Gli investimenti sono ancora molto "family&friends" (il 70%) nonostante i bonus

fiscali sempre più forti. E non è solo un problema di venture capital che in Italia resta molto basso (solo 217

milioni gli investimenti in Vc nel 2016, contro i 3,2 miliardi del Regno Unito), quanto di una difficoltà a

trovare mercato e una domanda, ad esempio tra le imprese. A rendere poco attraenti molte di queste

aziende innovative è il basso fatturato: meno della metà è intorno ai 30mila euro, solo 300 start up fatturano

più di 500mila euro con un capitale complessivo che in media è di 52mila euro. Luci e ombre sul pianeta

start up arrivano dalla Relazione annuale 2016 sullo stato d'attuazione e sull'impatto delle policymesso a

punto dal ministero dello Sviluppo economico e presentata ieri a Roma nella sede dell'acceleratore Luiss

EnLabs in collaborazione con LVenture. Al 31 dicembre 2016 sono 6.745 le startup innovative iscritte al

Registro, con una crescita senza sosta: +12% in sei mesi, +31% in un anno e ben 112% in più in due anni.

Guardando alla distribuzione sul territorio, emerge il primato del NordOvest (30,7%), con la Lombardia in

testa tra le Regioni (22,5%) e Milano prima tra le province (15%). Lo 0,42% delle società di capitali italiane,

spiega il rapporto, è una startup innovativa, ma in alcuni settori queste rappresentano una quota molto più

elevata: il 25,6% tra quelle di ricerca e sviluppo, l'8% nella produzione di software e lo 0,6% nel

manifatturiero. In ogni caso, gran parte delle startup (75%) opera nei servizi, mentre il 18% è attiva

nell'industria. Anche per quanto riguarda la forza lavoro viene tracciato un quadro di piena salute: tra soci e

dipendenti il totale è di poco meno di 35mila persone (+44% in un anno), di questi la maggioranza (25622)

sono soci. Dalla relazione emerge anche che le startup sono "dure a morire" con un tasso di sopravvivenza

a 3 anni del 95,1% Sembra funzionare poi la leva finanziare del Fondo di garanzia il cui accesso per le

startup è gratuito: in 1117 ne hanno fatto ricorso per un valore complessivo di credito mobilitato di 357

milioni. Resta invece molto circoscritta la platea di chi investe nelle startup: si tratta soprattutto di persone

fisiche vicine allo startupper, anche se il 31% ha almeno una persona giuridica come socio. «Si è partiti nel

2012 con il decreto crescita poi, nel 2015 con l'investment compact e nell'ultima legge di bilancio c'è stato

un rafforzamento degli incentivi agli investimenti in equity», ha spiegato ieri Stefano Firpo, dg per la politica

industriale del Mise. Che sottolinea come se da una parte «l'ecosistema delle startup sta diventando

sempre più visibile grazie a questi strumenti che vengono utilizzati in modo importante dall'altro restano

troppi colli di bottiglia nell'accesso al mercato; credo ci sia ancora un problema di domanda di

innovazione». Per Luigi Capello, fondatore di Luiss Enlabs e ad di LVenture, «bisogna far in modo che

anche le Pa acquistino servizi dalle startup per farle crescere e che si incentivino le acquisizioni da parte

delle imprese».

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 14/02/2017 54

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 14/02/2017 55

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Pag. 59 Ed. Torino

diffusione:154324

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Novara, l'impresa ha anche completato l'acquisizione del gruppo Mauri

La Comoli Ferrari fa da tutor alle aziende che non trovano credito

MARCELLO GIORDANI

La Comoli Ferrari, leader nella distribuzione di materiale elettrico, dà una mano alle piccole e medie

imprese del settore che hanno l'obiettivo di innovare i macchinari ma non riescono ad avere finanziamenti

dalle banche. L'azienda ha inoltre completato l'acquisizione del gruppo Mauri.

Comoli Ferrari ha avviato un piano di «tutoraggio» per le imprese che vogliono innovare ma hanno

difficoltà a ottenere finanziamenti dalle banche. La società novarese sta svolgendo un'azione di «garanzia»

e supporto nel rapporto tra imprese del settore e istituti di credito. Un'indagine dell'Ucimu, l'associazione dei

costruttori italiani di macchine utensili, robot e automazione, emerge che l'80% delle aziende italiane

utilizza macchinari ormai vecchi che sarebbero da sostituire. Comoli Ferrari fornisce un contributo

all'innovazione del settore aiutando a facilitare l'erogazione del credito.

La società in questo periodo sta anche completando un piano di digitalizzazione dell'industria 4.0 ed ha

concluso l'acquisizione del gruppo Mauri. Mauri porta in dote un fatturato annuo di 90 milioni di euro e 26

filiali in Emilia-Romagna e nell'est Lombardia, oltre a 280 dipendenti. In questo modo Comoli Ferrari va a

coprire in modo capillare il Nord e il Centro Italia, mentre nel Veneto l'espansione verrà completata nell'arco

dei prossimi anni.

Fotovoltaico e domotica

Oltre all'espansione geografica, l'acquisizione rappresenta un incremento del know-how grazie alle nuove

tecnologie: dall'automazione ai sistemi antifurto, dal fotovoltaico alla domotica per la casa e all'illuminazione

intelligente delle strade nelle smart cities.

Con l'acquisizione di Mauri, sale a 880 dipendenti. La fusione non solo non ha ridimensionato l'organico,

ma ha portato al suo potenziamento. Paolo Ferrari, amministratore delegato di Comoli Ferrari, sottolinea

che «non ci sono stati licenziamenti» e che «avendo ripulito il fatturato dei clienti insolventi, il 2016 sarà un

anno di consolidamento». Insieme, Mauri e Comoli Ferrari hanno un fatturato 2015 di 375 milioni di euro,

contano 114 filiali in Italia e mille dipendenti tra diretti e indiretti. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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