Angelo Signorelli deportato a Mauthausen a 17 anni. Diceva “se … · 2018. 2. 2. ·...

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24 Le nostre storie Angelo Signorelli deportato a Mauthausen a 17 anni. Diceva “se un popolo “Ricorderò tutta la vita gli occhi di quel fascista che a diciassette anni mi ha mandato nel lager” V oglio parlarvi sol- tanto del mio arre- sto. Sono stato arre- stato alle due di notte. Si sente bussare alla porta di casa mia e mia madre, tut- ta spaventata, va giù e dice: “Chi siete? Cosa volete?” Cerchiamo Signorelli, Angelo e Signorelli Giu- seppe. Quando sono stato arrestato ero diciassetten- ne e mio fratello aveva di- ciotto anni. Sono entrati in casa mia erano otto fasci- sti con i mitra puntati e sia- mo stati costretti a seguir- li. Io abitavo a Monza. Prima mi hanno portato al- E’ scomparso recentemente (come abbiamo dato notizia nell’ultimo numero del Triangolo Rosso) Angelo Signorelli, giovane protagonista degli scioperi del 1944 a Sesto San Giovanni, deportato a Gusen assieme al fratello Angelo Signorelli ha raccolto i suoi ricordi di deportato in un libro dal titolo “A Gusen il mio nome è diventato un numero: 59141” e partecipava spesso ad incontri e dibattiti con gli studenti. In ricordo di Angelo riportiamo un brano del suo intervento pronunciato nel 2004 in un convegno sul 60° anniversario degli scioperi del 1944, organizzato a Milano dall’Ufficio scolastico regionale della Lombardia e dall’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia la caserma dei Carabinieri, dove ci hanno messi in un sotterraneo. Ci hanno te- nuti lì quella notte. Il giorno dopo siamo par- titi e ci hanno portati a Milano prima in Prefettura, poi a San Vittore. Tutto si è svolto molto velocemente. A San Vittore un paio di giorni, poi è venuto l’ordi- ne della partenza e ci han- no portati a Bergamo e quindi è iniziato il solito tragitto che abbiamo fatto noi deportati. Vi racconto un episodio di quando ero a San Vittore, il secondo gior- no in cui ero in quella cel- Io ero magrissimo, ammalato di tifo e un mio fratello era appena morto così Signorelli in una foto degli anni giovanili, prima della deportazione e in una degli ultimi tempi, nei quali continuava il suo “giro” nelle scuole, tra i giovani a raccontare come diceva sempre: “dopo tante sofferenze non odio il popolo tedesco”. Se un popolo partorisce dei mostri criminali, bisogna combatterli e impedire che si impadroniscano del potere.” Sesto San Giovanni, 4 marzo 2004. L’incontro del Presiden- te Ciampi con Angelo Signorelli, al termine del Convegno di studi storici “L’Italia alla metà del XX secolo. Conflitto sociale, Resistenza, costruzione di una democrazia”

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Le nostres t o r i e

Angelo Signorelli deportato a Mauthausen a 17 anni. Diceva “se un popolo

“Ricorderò tutta la vita gli occhi di quel fascistache a diciassette anni mi ha mandato nel lager”

Voglio parlarvi sol-tanto del mio arre-sto. Sono stato arre-

stato alle due di notte. Sisente bussare alla porta dicasa mia e mia madre, tut-ta spaventata, va giù e dice:“Chi siete? Cosa volete?”Cerchiamo Signorelli,Angelo e Signorelli Giu-seppe. Quando sono statoarrestato ero diciassetten-ne e mio fratello aveva di-ciotto anni. Sono entrati incasa mia erano otto fasci-sti con i mitra puntati e sia-mo stati costretti a seguir-li. Io abitavo a Monza.Prima mi hanno portato al-

E ’ scomparso recentemente (come abbiamodato notizia nell’ultimo numero delTriangolo Rosso) Angelo Signorelli, giovanep rotagonista degli scioperi del 1944 a Sesto

San Giovanni, deportato a Gusen assieme al fratello

Angelo Signorelli ha raccolto i suoi ricordi did e p o rtato in un libro dal titolo “A Gusen ilmio nome è diventato un numero: 59141” ep a rtecipava spesso ad incontri e dibattiti con

gli studenti.

In ricordo di Angelo riportiamo un brano delsuo intervento pronunciato nel 2004 in unconvegno sul 60° anniversario degli scioperidel 1944, organizzato a Milano dall’Uff i c i o

scolastico regionale della Lombardia e dall’IstitutoNazionale per la Storia del Movimento di Liberazionein Italia

la caserma dei Carabinieri,dove ci hanno messi in unsotterraneo. Ci hanno te-nuti lì quella notte.Il giorno dopo siamo par-titi e ci hanno portati aMilano prima in Prefettura,poi a San Vittore. Tutto si èsvolto molto velocemente.A San Vittore un paio digiorni, poi è venuto l’ordi-ne della partenza e ci han-no portati a Bergamo equindi è iniziato il solitotragitto che abbiamo fattonoi deportati. Vi raccontoun episodio di quando ero aSan Vittore, il secondo gior-no in cui ero in quella cel-

Io ero magrissimo, ammalato di tifoe un mio fratello era appena morto così

S i g n o relli in una foto degli anni giovanili, prima dellad e p o rtazione e in una degli ultimi tempi, nei qualicontinuava il suo “giro” nelle scuole, tra i giovani ar a c c o n t a re come diceva sempre: “dopo tante soff e renze nonodio il popolo tedesco”. Se un popolo partorisce dei mostricriminali, bisogna combatterli e impedire che sii m p a d roniscano del potere . ”

Sesto SanG i o v a n n i ,4 marzo 2004.L’ i n c o n t ro delP re s i d e n -te Ciampicon A n g e l oS i g n o re l l i ,al termine delConvegno di studi s t o r i c i“ L’Italia allametà del XXs e c o l o .C o n f l i t t os o c i a l e ,R e s i s t e n z a ,c o s t r u z i o n edi unad e m o c r a z i a ”

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p a rtorisce criminali, bisogna impedire che si impadroniscano del potere . ”

la. Ero molto magro, appe-na guarito dal tifo, perchésono stato malato di tifo inquegli anni di guerra.Quelle malattie lì si propa-gano molto velocementequando tutto l’impegno del-la nazione è dedicato allaguerra lasciano perdere lasanità e tutte le altre cose.Quando sono stato arresta-to ero proprio magrissimoperché il tifo era terribilein quegli anni di guerra. Un mio fratello di dodicianni era morto per il tifo,l’anno prima che mi arre-stavano. Ci hanno portati lìa San Vittore e la cosa chemi ha molto impressionatoè stata che, entrando, ci han-no messi una ventina o tren-ta per cella. Il secondo gior-

no che ero dentro a SanVittore entrano due ispet-tori fascisti a controllare lepersone arrestate. Uno deidue aveva un po’ più diumanità dell’altro. Io ero lìseduto all’interno di que-sta cella, ero molto magro,proprio magrissimo perchéil tifo in quegli anni era ter-ribile. Di questi due fascisti unomi dice: “Ma tu quanti an-ni hai?” “Diciassette anni”.Alla mia risposta questo ri-volto all’altro gli dice:“Guarda che qui c’è un mi-norenne bisogna provve-dere”. Invece l’altro ha ri-sposto con arroganza di-cendo: “Ma che minorennie non minorenni! Farannotutti la stessa fine”.

Poi ho avuto modo di cono-scere queste persone che cre-dono di saper tutto ma sonopiù ignoranti degli altri. Io miricorderò sempre di questoe p i s o d i o .Quell’uomo l’ho guardatonegli occhi. Io quella per-sona non la riconoscerei più,però io quegli occhi – sonopassati tanti anni - me li ri-cordo ancora. Non parlo del-la persona perché la perso-na non me la ricordo, peròio quegli occhi li maledicosempre perché li ritengo re-sponsabili delle grandi sof-ferenze che ho sofferto neicampi di sterminio. Fui man-

dato a Gusen, l’altro campodi Mauthausen, dove si fa-cevano lavori di manovale,ed era quasi impossibile re-sistere più di tre mesi. Io de-vo la vita al fatto che ero gio-vane. Erano dieci giorni chelavoravo in cava, ero allostremo e ormai capivo chesi avvicinava la fine. Ma unamattina, mentre eravamo in-colonnati all’esterno dellabaracca, lo Schreiber (il se-gretario) che ci contava sifermò improvvisamente da-vanti a me e disse: “Wi e v e lJahre?” (Quanti anni hai?)io risposi subito: “SiebzhenJahre” (Diciassette).Mi fe-

ce uscire dalla fila e mimandò in baracca, dicendoche, avendo meno di diciottoanni, non dovevo lavorarein cava. Tante volte ho pa-ragonato quel gesto di uma-nità compiuto dalloSchreiber tedesco nei mieiconfronti, togliendomi dal-la cava e quindi da morte si-cura, all’atto verg o g n o s odell’ispettore fascista di SanVittore che, di fronte allas o fferenza e nel grande do-lore, sentivo veramente diodiare, ritenendolo in parteresponsabile delle mie sven-ture Personalmente ho ri-tenuto lo Schreiber un uo-mo di grande umanità, l’i-spettore italiano un uomointollerante, cattivo e sen-za umanità.

Devo la vita al fatto che ero giovanee il “segretario” mi rimandò in baracca

Foto in alto: Signorelli invisita a Gusen davanti allap o rta blindata che chiudevaermeticamente la camera agas. Qui sopra l’arrivo degliamericani a Gusen.

Angelo Signorelli,A Gusen il mio nome

è diventato un n u m e ro: 59141

Aned Sezione di SestoSan Giovanni,

pagine 93

A Gusen Angelo divenne un numero, come racconta in unvolumetto, pubblicato nel 1995 a cura dell’Aned di Sesto,che ha per titolo "A Gusen il mio nome è diventato unnumero: IT 59141".Fu liberato dagli alleati, il 5 maggio 1945. Rientrato in Italiail 27 giugno dello stesso anno, dopo alcuni mesi di cure,Signorelli riuscì a riprendersi e nel dicembre tornò al suoposto di lavoro alla Falck dove è rimasto sino all’aprile del1981, quando è andato in pensione. Da anni A n g e l oSignorelli andava nelle scuole per parlare ai giovani delnazifascismo, dei campi di sterminio, della Resistenza e pereducarli alla democrazia.

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Nel 1938 Gruber a r restato dalla Gestapo e finì sotto processo “per c o m p o rt a m e

La sua abilità nei rap-porti con i giovanistudenti lo avevano

predestinato e premiato al-l’incarico di insegnante edirettore dell’orfanatrofiocattolico di Linz e contem-poraneamente docente innumerose scuole della ca-pitale. La sua competenzatecnica e la sua ecceziona-le personalità furono diesempio per molti giovanistudenti. Fu nominatoDirettore dell’Istituto perciechi a Linz, intorno allametà degli anni ’30. Personamolto attiva ha creato sva-riate riforme strutturali e

di Siegi Wi t z a n y

Uno dei personaggi della deportazione dar i c o r d a re è il sacerdote dell’AustriaS u p e r i o re, insegnante Dr. Johann Gruber(1889 – 1944), leader del fronte antinazista.

Con la precoce scomparsa dei genitori,G r u b e r deve occuparsi dei fratelli più giova-ni con non poche preoccupazioni. Nonostanteciò riesce a fre q u e n t a re la scuola superiore

Petrinum Episcopale, cioè il seminario di Linz, e suc-cessivamente l’università di Vienna ottenendo il titolodi dottore.

Nella capitale durante quel periodo, c’eranostati degli sviluppi in materia di istruzionep ro g ressista e questa situazione di diff i c o l t àlo impegnava ed esaltava particolarmente.

o rganizzative. Il suo scopoprincipale era quello di ren-dere la vita dei disabili in-dipendente e dignitosa. Acausa del suo carattere di-retto e schietto, non rispar-miava commenti ed opi-nioni a volte scomode, pro-vocando l’antipatia di al-cuni personaggi. Il suo pen-siero antinazista non era unsegreto, la sua opposizioneal governo era uff i c i a l m e n t edichiarata. Nel 1938 Gruber venne ar-restato dalla Gestapo e finìsotto processo “per com-portamento immorale”.Nonostante la difesa a spa-

Trucidato il Venerdì santoil sacerdote austriaco Johann (Papà) Gruberleader del fronte antinazi

Il paese di St. George nel cui territorio era ubicato ill a g e r di Gusen. Nel corso di lavori di scavo di uncollegamento ferroviario vennero ritrovati re s t ia rcheologici. Per la sua cultura Joahn Gruber v e n n eincaricato di sorvegliare l’ esecuzione dei lavori.

O rganizza nel campo una rete clandestina di solidarietà per i prigionieri

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nto immorale”. Deportato a Dachau, e nel 1940 in quello tanto temuto di Gusen

da tratta del suo amico av-vocato, finì prima nella pri-gione a Garsten e dopo nelLager di Dachau, e nel1940 in quello tanto temu-to di Gusen, soprannomi-nato “l’inferno degli in-ferni”. Assegnato tempo-raneamente all’infermeria,ebbe la possibilità di ac-cedere ai medicinali.Durante gli scavi per il col-legamento ferroviario trala cava di Gusen e la sta-

zione di St. Georgen sulGusen, furono trovati re-perti archeologici che fe-cero guadagnare al profes-sore una certa popolarità,sino alla nomina di KapoP r o s p e c t o r. La funzione rivestita per-mise allo stesso di averemaggiore libertà di movi-mento e la possibilità di or-ganizzare un ente per la ca-rità, per le persone in diff i-coltà. Gli incontri si svol-

gevano in un campo dovevenivano preparati pastiper gli altri prigionieri af-famati e indeboliti. Tanto era ammirato da ri-trovarsi il nome di “PapàGruber in campo”, impe-gnato nell’org a n i z z a z i o n esegreta di scuole, con l’ap-poggio di prigionieri/inse-gnanti di nazionalità po-lacca, al fine di raff o r z a r ela conoscenza e la volontàdei giovani, anche nell’af-

frontare tale situazione.Purtroppo nella primave-ra del 1944 venne scoper-to e brutalmente torturatonel bunker della sede diGusen. Il 7 aprile 1944 muore permano del capo del campo,Seidler; era il venerdì san-to. Il coraggio e la genero-sità dimostrati in vita, tut-ta la sua esistenza e la suafine violenta sono degnedi memoria.

In Alta Austria lo straor-dinario operato del dottorJohann Gruber ha lascia-to tracce indelebili nellenostre case. Dal 2007 il comitato tec-nico “Papà Gruber” dellaparrocchia di St. Georg e nsi adopera per mantenereaccesa la memoria di que-sto personaggio eccezio-nale. Nell’ottobre del 2009viene pubblicato un opu-scolo nel quale si presen-ta la vita e le azioni delprofessore suscitando in-teresse da parte del pub-blico. Nel febbraio 2010gli artisti Ulrike e Rudolf

B u rger allestirono una mo-stra dal titolo “Dr. JohannGruber” – una sfida pern o i .La vita e il lavoro del Dr.Johann Gruber è un esem-pio, che trasmette un mes-saggio a tutti noi. Che serva da incoraggia-mento per avere una so-cietà più umana e giustanella speranza di un futu-ro migliore

Mag. Siegi Wi t z a ny,m e m b ro del gru p p o“Papà Gruber”. Traduzione EdvanaGjashata.

Una fotografia vede Joahnn Gruberal centro dei suoip a r rocchiani durante una riunione primadell’avvento del nazismoin A u s t r i a .

Un disegnoeseuito dau nd e p o rtato es i g n i f i c a t i -v a m e n t eintitolato “ G r u b e rsuppe” ar i c o r d a re las o l i d a r i e t ào r g a n i z z a t adal pre l a t op e r ip r i g i o n i e r ia ffamati nelcampo diG u s e n .

N e l l ’Alta Austria il suo insegnamento è fonte di ispirazione e incoraggiamento

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Le nostres t o r i e

Una giovane nell’ex lagerscopre la maestrinaLidia Beccaria Rolfideportata a Ravensbrück

AM a r b u rg non avevoancora avuto mododi sentire nominare

Lidia Beccaria Rolfi fino aquando, rientrata in Italia,lasciai trascorrere qualchemese e decisi di ripartire percontinuare a studiare la lin-gua tedesca e approfondirele mie conoscenze in meri-to alla Deportazione; l’op-portunità di un campo di la-voro a Ravensbrück org a-nizzato da NIG mi sembra-va adatta e decisi di aderir-vi. L’obiettivo del campo eradi lavorare sulla storia diRavensbrück, attraversoun’attività di ricerca da ef-fettuarsi nella biblioteca delposto, permettendo ai vo-lontari di venire a cono-scenza della storia del cam-po di concentramento fon-

Nel luglio 2008 ho trascorso due settimanenell’ex campo di concentramento di Raven-sbrück, partecipando ad un campo di lavo-ro di storia e lingua organizzato dal NIG.

Ho sempre mostrato interesse nei confro n t idella Deportazione e nel 1997/1998, grazie alp rogramma Erasmus, avevo partecipato adun soggiorno di studio all’estero a Marburg,

in Germania. In quell’occasione ci era off e rta l’oppor-tunità di seguire un corso di arte e deport a z i o n e .

P reparai la relazione da discutere a finecorso, a Berlino, durante un intere s s a n t eviaggio di studio con lo scopo di visitare iluoghi dell’Olocausto.

dato nel 1939. Ravensbrücks o rge a 90 km a nord diBerlino, nelle vicinanze diF ü r s t e n b e rg/Havel ed eradestinato alle donne e aibambini e per molto tempoil nome del campo non furintracciabile sulle carte geo-g r a f i c h e .Eravamo una decina di gio-vani volontari, provenientidalle più disparate nazioni.Per la maggior parte giun-gevamo dall’Europa, mapartecipavano anche due ra-gazze coreane. Tra di noi do-vevamo comunicare in te-desco, ma molto utilizzatoera anche l’inglese.Alloggiavamo nell’ex cam-po di concentramento, inquelle che un tempo eranole case delle SS, trasforma-te in ostello della gioventù.

Scopo della nostra presen-za era di ricostruire la sto-ria delle donne deportate aRavensbrück e trasmettere,un domani, quanto aveva-mo imparato. A ciascuno dinoi volontari venne asse-gnato un libro nella nostralingua madre. Ogni libro rac-contava una ex-deportata ea me venne affidato U n ' e t i c adella testimonianza. La me -moria della deport a z i o n efemminile e Lidia Beccaria

R o l f i, un libro di BrunoMaida pubblicato da FrancoAngeli nel 1997.In memoria delle ex depor-tate, le informazioni che do-vevamo ricavare dal libroassegnatoci riguardavano lavita di ciascuna internata pri-ma di essere relegate dietroal filo spinato del campo, equali attività avevano svol-to dopo essere rientrate nel-le loro case in seguito allaliberazione di Ravensbrück.

Partendo da un libro con una storia per trasmettere agli altri quanto imparato

Nel maggio 1945 Lidia Beccaria Rolfi ritrovò la libertà eriuscì a tornare in Italia a settembre. La foto venne scattatatra maggio e luglio, dopo la liberazione del campo

di Gaja Busca

Un campo di lavoro di storia e lingua organizzato da Norddeutsche Jugend

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Lidia Beccaria Rolfi giun-se a Ravensbrück il 30 giu-gno 1944 e venne liberatail 30 aprile 1945. Era nataa Mondovì in una famigliadi «[…] di estrazione con-tadina […]», terminò glistudi magistrali e nel 1943iniziò ad insegnare nellab o rgata Torrette del Co-mune di Casteldelfino inValle Varaita. Durante lo stesso periodoprese contatti con laResistenza locale impe-gnandosi come staff e t t apartigiana fino a quando il15 aprile 1944 venne in-tercettata dai fascisti aSampeyre, incarcerata aCuneo, trasferita prima aSaluzzo e poi a Torino e il27 giugno il convoglio sul

quale si trovava era desti-nato al campo di concen-tramento nazista diR a v e n s b r ü c k .Terminato Un'etica dellat e s t i m o n i a n z a provavo in-teresse ad approfondire leinformazioni che avevo ri-cavato sino a quel momen-to. Domandai al mio respon-sabile di procurarmi un al-tro libro e mi si offrì l’op-portunità di leggere Le don -ne di Ravensbrück.Testimonianze di deport a -te politiche italiane s c r i t t odalla stessa Lidia BeccariaRolfi che raccontava la suaesperienza dalla sua infan-zia sino al ritorno aMondovì successivamentela liberazione del campo.

La maestrina diventò staffetta partigiananelle valli tra le montagne del cuneese

In particolare iniziava adincuriosirmi un fatto stra-no: Lidia Beccaria Rolfi nel1943 insegnava a To r r e t t e ,una piccola frazione dellaprovincia di Cuneo tra leAlpi Cozie, che il caso vo-leva, io conoscessi bene per-ché era il paese del mio non-no Felice Peyracchia. Ogniestate trascorro le vacanzeproprio in Valle Varaita, inun’altra piccola frazione. Ilfatto che reputavo ancora

più curioso era che nonnoFelice nacque nel 1936, equando Lidia insegnava nel-la borgata egli doveva esse-re un bambino di sette anni,in piena età scolare. La scuola era una semplicestruttura capace di ospitaresolo pochi studenti della fra-zione e c’è da presupporreche oltre a Lidia non vi fos-sero molte altre insegnan-ti.anni delle scuole elemen-t a r i .

Insegnava da ragazza nel paese dove da piccola andavo dai nonni

A fine luglio rientrai dalcampo di lavoro a Raven-sbrück e ad agosto, comeogni anno, trascorsi le va-canze in Valle Va r a i t a .Assieme a miei genitori mirecai a Torrette a domanda-re se qualcuno ricordava ilnome della maestra del non-no, ma le gentili signore conle quali avemmo modo diparlare erano di qualche ge-nerazione più anziane dinonno Felice.

La svolta arrivò quando in-terpellai il Municipio diCasteldelfino; la signoraAngela mi permise di con-trollare in uno scatolone en-tro il quale erano stati con-servati alcuni vecchi registridi scuola. Aprii lo scatolo-ne e, con grande emozione,svettava, in cima alla pila diregistri, quello di LidiaBeccaria, lo sfogliai e tra l’e-lenco degli alunni c’eraPeyracchia Felice, nato il 12gennaio 1936 e, nelle pagi-ne successive era segnatoanche il nome di uno dei suoitre fratelli, Chiaff r e d o .Come è possibile notare os-servando il giornale dellaclasse, Lidia Beccaria iniziòle lezioni il 15 novembre1943, la scuola rimase chiu-sa per rastrellamenti dal 26marzo all’11 aprile e le le-zioni terminarono il 31 mag-gio 1944, un mese prima cheLidia venisse deportata inG e r m a n i a .Il viaggio a Ravensbrück miha permesso di venire a co-noscenza di Lidia BeccariaRolfi, della sua vita da de-portata, del suo ritorno, delsuo timore a raccontare, mami ha permesso, con enor-me stupore, di scoprire cheLidia ebbe modo di entrarein contatto con qualcuno del-la mia famiglia, prima dicompiere il forzato viaggioin Germania.

In suoricordo èp revisto uni n c o n t ro il 16agosto 2011 a Sampeyre( C n ) :“ I n s e g n a re inv a l l e .L’ e s p e r i e n z adi LidiaB e c c a r i aRolfi dallaguerra ainostri giorni.”A l l ’ i n c o n t roi n t e r v e r r a n n oAldo Rolfi,A l f re d oPhilip e GajaB u s c a .

Il re g i s t rodelle classi I,II e IIIe l e m e n t a red iL i d i aBeccaria perl’anno 1943-1 9 4 4 .F r a z i o n eTo r re t t e .Nella fotoqui accantoLidia neglianni re c e n t i .

Le pagine 50-54 sonodedicate alla riunione delComitato Internazionaledi Ravensbrück

Lidia Beccaria Rolfi eAnna M. Bruzzone,

Le donne diR a v e n s b r ü c k,

Edizioni Einaudi,

euro 11 , 8 0

e inserito nel programma Erasmus

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Finiscono in Germania 86 persone dopo un rastrellamento dei nazisti. Te a t ro

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Dopo un paziente la-voro di ricerca pres-so l’Archivio di Stato

(Fondo Assistenza Post-bellica), negli archividell’Aned di Milano e diSesto San Giovanni, è emer-sa la documentazione di al-cuni deportati, e dopo averraccolto altre testimonian-ze e documenti, è oggi pos-sibile ricostruire quel tragi-co avvenimento del settem-bre 1943, che ha avuto co-me protagonisti gli abitantidi un quartiere della perife-ria milanese: le “case mini-me” di via Zama. Caseggiati popolari attra-versati da via Berlese, viaNorico e via Numidia, furo-no edificati nel 1933-34 peralloggiare gli sfrattati dellacittà, dopo gli sventramenti

voluti dal duce. Erano perlo più famiglie numerose,in gran parte lavoratori deivicini stabilimenti (Caproni,Piero Magni, Montecatini,Redaelli), o del mercato or-t o f r u t t i c o l o .Dopo l’armistizio dell’8 set-tembre 1943, truppe delTerzo Reich invasero il no-stro Paese. Tra il 10 e l’11settembre reparti della di-visione Wa ffen-SS “AdolfHitler” entrarono a Milanoda Rogoredo, occupando lacittà senza incontrare alcu-na resistenza. Da quel momento tutte leattività industriali e com-merciali furono assogget-tate alla legge marziale na-zista, che prevedeva la con-danna a morte o la deporta-zione per i ribelli.

All’Hotel Regina, in viaSilvio Pellico, si era inse-diato il comando da cui di-pendeva la Gestapo; il co-lonnello Theo Saevecke erail comandante in capo e re-sponsabile della sicurezzadelle truppe germaniche aM i l a n o .Il 1943 era il terzo anno diguerra: i bombardamenti di

agosto e la scarsità di vive-ri avevano piegato la citta-dinanza milanese.Domenica 12 settembre, nel-la confusione generale, grup-pi di cittadini e intere fami-glie affamate e indigenti divia Zama, Calvairate, Mor-senchio, Ponte Lambro e diLinate saccheggiarono il de-posito dell'Aeronautica Mi-

Le nostres t o r i e

Questo episodio, rimasto per t roppo temponei ricordi dei sopravvissuti e nei cassettiassieme alle fotografie ingiallite, merita die s s e re conosciuto, poiché apre un import a n t e

e finora inedito capitolo sul complesso fenomeno dellad e p o rtazione in Italia, sia per la quantità dei civilid e p o rtati, sia per la data in cui è accaduto.

Nei giorni che seguirono l’armistizio dell’8s e t t e m b re, infatti, la deportazione riguarda-va soltanto i militari arrestati, stante la sto-riografia fin qui conosciuta.

L’unico libro in cui si fa un breve cenno dell’episodio èMilano nella Resistenza, pubblicato dall’Isrmo nel1975, peraltro senza appro f o n d i re quanto in realtà èa c c a d u t o .

di Claudio De Biaggi

G u e rra e bombardamenti avevano a ffamato la cittadinanza milanese

Carri armati in PiazzaDuomo a Milano dopol’otto settembre del ‘43

Milano, 12 settembre ‘43: la prima deportazionedi lavoratori civili dalle case minime di Via Zama

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della sparatoria e dell’offensiva tedesca il quart i e re a ridosso dell’aero p o rt o

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litare di Taliedo, in viaBonfadini, abbandonato daimilitari dopo l’armistizio,impadronendosi di generialimentari, vestiario, coper-te e diversi paracadute, tra-sformati poi in ottime e re-sistenti camice.Reparti delle Wa ff e n - S S ,informati di quanto stavaaccadendo, reagirono rab-biosamente e giunti al de-posito in via Bonfadini apri-rono il fuoco sui cittadiniinermi, uccidendo uno sco-nosciuto e Bonifacio Gam-baro, operaio della Pirelliabitante in viale Molise 5,colpevoli, secondo loro, diaver compiuto un atto di sa-botaggio. Per niente appagati, cir-condarono con camion e au-toblindo il quartiere delle“case minime” di via Zama,poco distante dal depositomilitare, alla ricerca dei col-pevoli e della merce sot-tratta. Alla vista dei soldatiqualuno pensò di disfarsi di

un fucile gettandolo dalla fi-nestra, ma accidentalmentepartì un colpo. Le SS apri-rono il fuoco sventagliandor a ffiche di mitra contro i ca-seggiati. Alcuni ragazzi, ap-postati alle finestre del vi-cino oratorio, ingaggiaronoun conflitto a fuoco, subitosovrastato dalla superioritànumerica del nemico. Cessati gli spari, i militi del-le SS fecero passare un brut-to quarto d’ora al parrocoDon Cappellini, che fortu-natamente riuscì a salvarsidimostrando di non aver par-tecipato né fomentato la spa-ratoria, mentre i giovani, ab-bandonate le armi, si dile-guarono tra i campi. Seguì un feroce rastrella-mento dell’intero quartiere,con l’ordine di arrestare tut-ti gli uomini in grado di la-vorare. Al termine dell’o-perazione se ne contarono86, destinati alla deporta-zione nei campi d’interna-mento nazisti.

Ricorda Giuseppe DeZorzi, Naco: (nella fotoqui accanto) “Abitavo invia Norico al 2, e durantela sparatoria sono riusci -to a pro t e g g e re mia sore l -la Rosetta, di sette anni,ma una pallottola mi hacolpito al polso, uscendodall’altra parte senza pro -c u r a re gravi danni.

Durante la perq u i s i z i o n edei tedeschi, mio padre miha nascosto ancora san -guinante nell’armadio, equando sono entrate le SSè riuscito a raccontarequalcosa grazie alla co -noscenza della lingua te -desca salvandosi, ma nonha potuto impedire la cat -tura del figlio Pierre, di ap -pena 16 anniF o rtunatamente gli altrimaschi della famiglia quelgiorno erano lontani” .

Anche Giuseppe De Zorzi,per altri motivi, fu depor-tato a Dachau qualche me-se dopo. Ne portarono viatanti quel 12 settembre del’43. La gran parte furonoinviati nei campi di lavo-ro, in particolare alloStammlager IX A, situato aZiegenhain Bez Kassel, inRenania. Gli Stammlagererano campi principali de-stinati ai prigionieri di guer-ra, e il IX A, costruito nel1939, era affollato di soldati

Il conflitto a fuoco seguito dal rastrellamento e dalle deportazioni

Il deposito militared e l l ’ a e ronautica di Ta l i e d o ,un quart i e re ad est diMilano e vicinoa l l ’ a e ro p o rto. Il primos e t t e m b re del 1943, terz oanno di guerra e di stentila popolazione assaltò ildeposito che contenevaviveri, vestiario e copert e .La reazione tedesca fus a n g u i n o s a .In basso i lunghi ballatoidelle case minime su cui si affacciavano i piccolialloggi popolari.

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f r a n c esi: dei 35.000 prigio-nieri registrati nel 1941, ben32.000 erano di quella na-zionalità, compreso FrancoisMitterand, futuro presiden-te della repubblica. Poi giun-sero olandesi, belgi, serbi,italiani e americani. Migliaiadi russi, arrivati nel novem-bre 1941, furono segregatinel settore separato. Nel1944 i reclusi salirono a50.000. Gran parte pativa ilavori forzati in uno dei 2000kommando del distretto mi-litare IX, soprattutto nellefabbriche di armamenti del-la città di Kassel, nelle fab-briche di munizioni diStadtallendorf e nei lavoria g r i c o l i .Anche per la famiglia To n a n iquel 12 settembre si compìla tragedia: il padre Ernesto(classe 1893) e i due figliGiuseppe (classe 1923) eFranco (classe 1926) furo-

no catturati nell’abitazionedi via Norico 4. Invano lemadri e le mogli si recaro-no a San Vittore, per farliliberare. Il giorno seguentei prigionieri furono depor-tati in Germania. La lorosorte, simile a quella di mol-ti deportati, era legata alleesigenze produttive delTerzo Reich. Fu così cheGiuseppe, Ernesto e FrancoTonani, ex dipendenti dellaCaproni, finirono alloStammlager IX A, aZiegenhain. Numero 79920, questo ilnuovo ”nome” di GiuseppeTonani, assegnato al cam-po di prigionia e marchiatosul braccio affinchè non lodimentichi. E così progressivamente peril fratello e il padre: nume-ri, da impiegare come forzalavoro a fabbricare muni-zioni.

Il 9 maggio del 1944 itre erano ancora assie-me nello Stammlager

IX A. Scrissero alla madre pertranquillizzarla sulle lorocondizioni di salute:“Stiamo bene, ma man -daci ancora dei pacchi,possibilmente divisi in tre ,ne abbiamo tanto biso -gno”. Era la Croce Rossaad occuparsi della conse-gna dei pacchi con i vive-ri. Nel corso dell’estateFranco Tonani fu trasferi-to ai lavori agricoli e riu-scì a fuggire, approfittan-do della minore sorve-glianza. Rientrò a piedi in Italia e

quando giunse a casa pe-sava 35 chili, denutrito eammalato di tifo, ma ap-pena riprese le forze ini-ziò a trasportare, armi eviveri alle formazioni par-tigiane del Va r e s o t t o .E poi Filippo Greco (clas-se 1905), di professionecalzolaio, anche lui arre-stato nella propria abita-zione di via Norico 2, peraver opposto resistenza.Internato civile a Zie-genhain, matricola 79875,fu costretto a lavorare dal28 settembre 1943 al 31marzo 1945 presso la dit-ta Henschel & Sohn,(azienda meccanica chedurante la guerra produ-ceva carri armati Panzer e

Lo strazio della famiglia Tonani: “stiamo bene ma mandateci dei pacchi”

Le nostres t o r i e

Milano, 12 settembre ‘43: la prima deportazionedi civili dalle case minime di Via Zama

Le famiglie dei lavoratori dei grandi complessi industriali milanesi ridotte

Le panoramiche prese dall’aereo danno la dimensione di alcune grandi fabbriche milanesi. A sinistra la Capro n iA e ronautica, ai bordi d e l l ’ a e ro p o rto. Al centro le acciaierie Redaelli, a Sud della città e a destra lo stabilimento Pire l l i .

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Tiger), come ci conferma-no i documenti dell’In-ternational Tracing Servicedi Bad Arolsen. Fra i testimoni citati sulmedesimo documento ri-sultano i nomi di BrunoPasini, Bruno Sacchetto eDante Pecchio, tutti abi-tanti in via Norico 2 e pre-sumibilmente anch’essi de-portati quel 12 settembre.Analoga sorte toccò ai fra-telli Dorino e Nando Vi o l a ,di via Norico 4, deportatiallo Stalag IX A d i

Zieghenain, mentre A l d oVacchini, un operaio spe-cializzato abitante in viaNorico 2, fu deportato aVilseck a lavorare per l’in-dustria aeronautica Mes-s e r s c h m i t t .Anche il giovane EnricoMalusardi (classe 1926),di via Norico 4, fu arresta-to e deportato alle carceridi Verona, poi aBuchenwald (matricola139209), quindi trasferitoal campo di concentra-mento di Dachau.

Le conseguenze delladeportazione e dellecarenze alimentari pa-

tite si fecero sentire negli an-ni successivi, causando ma-lattie ed esaurimenti, e lamorte prematura di GiuseppeTonani nel 1964 a soli 41 an-ni. Anche Enrico Malusardirientrò nel luglio 1945, ma lasalute era minata e morì nelfebbraio 1952 a 26 anni.Cesare Cianolli riuscì a tor-nare il 14 luglio del 1945,mentre Filippo Greco fu rim-patriato in Italia il 1 settem-bre 1945, a cura dell’eserci-to inglese. Di questi primideportati non esiste alcunaregistrazione nel carcere mi-lanese, né in alcun campo dismistamento tedesco. Aq u e l-

la data, la spietata org a n i z-zazione del sistema con-centrazionario tedesco nonaveva ancora dispiegato tut-ta la sua perversa eff i c i e n-za. Tuttavia possiamo in-quadrare anche questa de-portazione come “deporta-zione politica”, come in tut-ti quei casi in cui si opponeresistenza a un arresto daparte del nemico. Dopo queltragico giorno di settembre,l’opera di deportazione dicivili, militari, sbandati, ebreinon conobbe sosta, intensi-ficandosi ancor di più dopoi grandi scioperi negli sta-bilimenti di Genova, To r i n oe Milano nel marzo 1944,con la deportazione di cen-tinaia di operai, impiegati etecnici.

Cesare Cianolli, operaiospecializzato della A e r o-plani Caproni, dall’abita-zione di via Norico 4 fudeportato nello Stam-mlager del IX settore, perle gravi condizioni di sa-lute fu ricoverato nell’o-spedale mili tare diWasungen. Nel maggio del 1945 l’e-sercito americano liberò i

prigionieri dei lager, e ini-ziò il recupero dei dete-nuti per organizzare il rien-tro a casa. Nei mesi suc-cessivi rientrarono i de-portati italiani, non tuttiperò. Sappiamo di sicuroche Ernesto e GiuseppeTonani arrivarono aMilano in ottobre, in pes-sime condizioni di salute,ma vivi.

La deportazione dopo gli scioperi del ‘44prosegue senza sosta per gli antifascisti

e alla fame da guerra, bombardamenti e scioperi. Senza casa e senza cibo

Due deic o m p o n e n t idella famigliaTonani nellefotografie (asinistra) ricavatedai documentidella prigionia.N e l l ’ o r d i n eErnesto, eG i u s e p p eA d e s t r aG i u s e p p e ,tornato a casaf o t o g r a f a t op roprio sotto la scalad ’ i n g resso delle“case Minime”.

Le immagini bordate per e v i d e n z i a re il momento drammatico. A sinistra un interno con i numerosi componenti lafamiglia ammassati nell’unico locale. Qui sopra una donna perplessa, guarda il pane in vendita da un borsanerista.

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Cominciamo dall’ini-zio: Ferdinando Va l-letti per due stagioni

(dal ’42 al ’43) gioca nellefila del Milan e si fa nota-re: ha buone gambe e fiatofino, ed è un buon compagnoper Meazza. Ma sono tem-pi duri e il lavoro “serio”

Le nostres t o r i e

Da operaio nello stabilimento milanese dell’Alfa Romeo a riserva ro s s o n e r a

Il deportato calciatorecon due tiri nel lagervince la partita persopravvivere nel campo

chiama: eccolo giovanissi-mo “maestro d’arte” all’AlfaRomeo. Viene catturato a23 anni dalle Ss tedesche,tradito dai suoi stessi com-pagni di stabilimento che loindicano come principaleo rganizzatore dello sciope-ro del marzo dell’44.

Un giorno le Ss di guardia al campo diGusen decisero di organizzare un torneo dicalcio tra di loro: mancava però un giocato-re per completare la formazione.

di Manuela Va l l e t t i

Ferdinando Valletti inizia la sua carriera di calciatorenell' A.C.Milan nelcampionato 1942-1943giocando nel ruolo dimediano a fianco di Meazza.Era stato acquistato dallasquadra milanese l'annop recedente. Un infortunio al menisco e la deport a z i o n ei n t e r r u p p e ro quella chepoteva essere unap romettente carriera.

Qui sopra: i gerarchi fascistiAchille Starace(al centro) ed Italo Balbo (a destra) negli stabilimentiAlfa Romeo a Milano.

G e r a rc h ifascisti in visita a l l ’ A l f a

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Solo da deportato diventa titolare in una compagine calcistica... di aguzzini

D e p o rtato I 57633, voglia di non morire: la sua storiaun saggio della figlia Manuela Valletti GhezziIl libro è corredato con foto storiche, anche inedite e con documenti reperiti all'Aned e dauna accurata ricerca in rete, il risultato è un documento storico con riferimenti precisi chesi inquadra negli anni 1944-1945. Molto adatto per raccontare alle scolaresche l'esperienzavissuta di un deportato e il suo insegnamento.Eccolo nelle sue parole: “Cari ragazzi, ricodate che se ora voi potete andare a scuola, faredello sport, insomma essere liberi, lo dovete a giovani come noi che negli anni bui delfascismo e del nazismo hanno creduto nella libertà e nel valore dell'uomo. Ricordatevi chere n d e re onore ai caduti per la libertà è un impegno civile e morale di ogni nuovagenerazione, un tributo a chi ha dato la vita perchè noi oggi si possa essere liberi.”

Valletti, dopo la carcerazio-ne a San Vittore, è tra i tan-ti milanesi che partono daltristemente noto Binario 21della Stazione Centrale, de-stinazione Mauthausen.Racconta: “Non rividi più lamia famiglia fino al 1945.Venni internato nel campodi Mauthausen come depor-tato politico, mi privaronodi tutto ciò che avevo e so-prattutto del mio nome chediventò un numero: avevoun triangolo rosso con la si-gla del paese di provenienzasu una casacca a righe blued ero il deportato numero5 7 6 3 3 . . ”Da lì è deportato nel cam-po di concentramento diGusen, dove condivide laprigionia con il pittore mi-lanese Aldo Carpi, ma a sal-

varlo da fine certa durantei 18 mesi di prigionia furo-no le sue gambe.Accaddeinfatti che un giorno le Ssdecisero di organizzare untorneo di calcio tra di loro:mancava però un giocatoreper completare la forma-zione. Il milanista Va l l e t t idiventa (ironia della sorte)la riserva ufficiale dellesquadre naziste: è allo stre-mo delle forze e denutrito,ma capisce subito che gio-care in squadra con i suoiaguzzini non significavasolo tirare calci a un pallo-ne. Nella rigida gerarchianazista dei lager, la confi-denza con le SS che nasce-va dalle corse sull’erba persegnare gol si tradusse inalcuni importanti ricono-scimenti.

Le Ss ben presto “premia-rono” Valletti con il lavoroin cucina, occupazione am-bita perché era meno fati-cosa delle altre e prevedevarancio assicurato e un ripa-ro caldo. Il mediano Va l l e t t iseppe sfruttare l’occasionee si adoperò per i tutti suoicompagni di prigionia –questo Carpi lo ricorda be-ne nel suo «Diario diGusen» (ne parliamo a pa-gina 8 nella memoria de-dicata al grande pittore )– nascondendo negli zoc-coli del cibo in più che di-stribuiva agli altri. Il 5 maggio del ’45 è di nuo-vo un uomo libero: torna a

Milano e alla “sua” A l f aRomeo, dove diventa poi di-rigente, e colleziona nume-rosi premi, tra cui laMedaglia garibaldina al va-lore militare e, nel ’76,l’Ambrogino d’oro dallemani dell’allora sindacoAldo Aniasi. La favola cal-cistica di Valletti non finiscequi: fino a quando, nel 2000,la malattia ebbe il soprav-vento, l’ex mediano mila-nista era solito condurre con-ferenze, seminari e incon-tri con gli studenti, per rac-contare a tutti della tragicadetenzione nei lager e di co-me, grazie a una partita dicalcio, gli fu salva la vita.

AGusen condivide la prigionia con il pittore milanese Aldo Carpi

Nella foto in alto: l’omaggio floreale degli ex deport a t idell'Alfa Romeo al Lager di Gusen in un viaggiocommemorativo nel 1950. Qui sopra: Ferdinando Va l l l e t t i(con la borsa) accanto al capitano A n d rea Bonomi nellastagione milanista del 1949-50. Si intravvede a sinistra il campione svedese Gunnar N o r d h a l .

D e p o rt a t idell’Alfa in visita al Lager

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Il figlio è «morto da eroe per il suo Führer e per il suo po-polo» proprio mentre la Francia capitola. Il dolore sca-tena in Otto e Anna Quangel, mai iscritti al partito , un

sentimento di rabbia nei confronti del regime e la voglia dicontrastarlo sia pure con i soli loro deboli mezzi.Realizzeranno una sorta di controinformazione, compi-lando cartoline postali con appelli contro il Führer e il par-tito: le cartoline sono abbandonate per la città, nella spe-ranza che i messaggi suscitino reazioni di rivolta nei con-cittadini. Sono 300 cartoline frutto di un laborioso lavorodi scrittura e la pericolosa diffusione di esse si prolungaper due anni. Tuttavia i cittadini che le raccolgono, totalmente paraliz-zati dal terrore di esserne compromessi, le consegnano nel-le mani della Gestapo, favorendo quindi, attraverso l’ana-lisi dell’area di diffusione degli scritti ribelli, la catturastessa dei Quangel.Nel condominio dei Quangel si confrontano varie realtàumane alle cui vicende il lettore assiste con partecipazio-ne: tutti hanno qualcosa da nascondere, accanto ai Persicke,fedelissimi del partito nazionalsocialista, cerca invano sal-vezza la vecchia ebrea Rosenthal; nello stesso edificio vi-ve l’onesto e coraggioso giudice Fromm di schietti senti-menti antinazisti.Il romanzo, come d’altra parte le altre opere già citate diFallada, pseudonimo di Rudolf Ditzen, è caratterizzato dauna grande capacità di scrittura ed immerge il lettore nelclima terrifico dell’epoca e lo induce a simpatizzare per imodesti protagonisti che partendo da un privato dolore siaprono alla consapevolezza più grande della tragedia rap-presentata dal nazismo.

Le nostres t o r i e

Già edito in Italia nel 1949, tradotto nuova-mente (anche in inglese) l’anno passato, ilromanzo dell’autore di E adesso pover’uo-

mo? e di Chi c’è stato una volta, opere più note nelnostro paese, possiede un fascino potente e a giudiziodi Primo Levi è «il libro più importante che sia maistato scritto sulla resistenza tedesca al fascismo».

Ambientato a Berlino, nel 1940, il romanzosi avvia dalla consegna della lettera ai coniu-gi Quangel, lettera con la quale è comunica-ta loro, una modesta famiglia operaia, la

notizia della morte in guerra dell’ unico figlio.

di Giovanna Massariello

Il volume, già uscito nel ‘49, ispirato ad una vicenda realmente accaduta. Era

La storia vera alla base del romanzo,quella dei conuigi Otto e Elise Hampel

Lega per il rinnovamentodemocratico della Ger-mania: qui lo scrittore stes-so ricostruisce la genesidel romanzo, ispirato dauna storia vera.Nella Berlino oramai li-berata e occupata dai so-vietici, Fallada riceve undossier della Gestapo con-

Lo scrittore alla sua scrivania in una foto dell’anteguerra. In alto i coniugi Otto e Elise Hampel, la cui vicenda ha ispirato il romanzo di Fàllada.

“Ognuno muore solo”. Il romanzo di Fallada sulla resistenza tedesca al regime di Hitler

Di grande interesse è la ri-produzione, al termine delromanzo, dell’articolo diFallada sulla resistenzache nonostante tutto i te-deschi opposero al terrorehitleriano comparso nelnovembre 1945 in“Aufbau”, mensile politi-co-culturale a cura della

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considerato da Primo Levi il libro più importante sulla opposizione tedesca

La grande fatica per scrivere i messaggie il grande pericolo per diff o n d e r l i

cernente due sconosciuti,Otto ed Elise Hampel, giu-stiziati nel 1942 per avered i ffuso materiale anti-na-z i s t a :«Ho davanti a me uno smil-zo fascicolo di documenti-circa novanta pagine- av-viato e in massima parteredatto dalla Gestapo diBerlino e portato a con-clusione, sempre a Berlino,dal tribunale del popolo. In questo fascicolo si com-

pie il destino di due esse-ri umani; adesso, giuntosino a me, dovrà fornirela materia prima per unr o m a n z o .Guardiamo un po’ c o s acontengono i documenti,senza preconcetti positi-vi o negativi, in modo deltutto oggettivo, quasi co-me farebbe un falegnameche esamina la sua cata-sta di assi per verificarnel ’ u t i l i z z a b i l i t à » .

Dovrà farne un racconto:Fallada lo scriverà in 24giorni (quasi settecento pa-gine nella traduzione ita-liana). Sappiamo così che iQuangel nella realtà si chia-mavano Otto ed EliseHampel: nella deposizio-ne, gli imputati attribui-scono la loro svolta ribel-le , dopo un periodo di fe-deltà al nazismo, sino al1940, alla constatazione diun contrasto tra il loro sen-so di giustizia e la discri-minazione tra “iscritti alpartito” e “connazionali”,denunciando che “al di so-pra della cosiddetta comu-nità nazionale stava pre-minente il partito”.Inoltre, la morte in Francia

del fratello della donna èil fattore scatenante del-la ribellione soprattuttodi Elise. Le cartoline postali ri-flettono nei contenuti losvolgimento della guerrahitleriana: l’aggressionealla Russia ispira un testodel tipo: «Cosa ci hannofatto i russi? Stavano gio-cando a carte i soldati rus-si, quando le bande cri-minali di Hitler li hannoa s s a l i t i … »

Il testo di una facciata dice: “La guerra di Hitler è la mort edei lavoratori. Comunque vadano le cose: niente pace coldiabolico governo di Hitler. Tedeschi ragionevoli non possononon attestare che i nove anni dell’infame sistema nazista sonoandati in fallimento”.

Il testo della cartolina che dice “Stampa libera!L e t t o re, cerca di diffonderla. Perché combattere em o r i re per i plutocrati di Hitler! Tutti i tedeschiragionevoli contribuiscano a distruggere la macchina daguerra di Hitler! In modo da evitare che altri padri e figlivengano mandati al macello. Lavorate lentamente, fate menob a m b i n i ! ”

Hans Fallada

Ognuno muore solo

Palermo, Sellerio(trad. di Clara

Coïsson).

euro 16,00680 pp.

La scrittura dei messaggi,come rileva Fallada nel-l’articolo e come ribadirànella narrazione, costagrande fatica a mani dioperai abituate al lavoromanuale e privi di confi-denza con le lettere: la pro-gettazione del contenuto,la messa in scrittura e la

perigliosa distribuzione fi-niranno per assorbire com-pletamente il tempo del ri-poso dei due coraggiosi co-n i u g i .Le loro tensioni e soprat-tutto le loro speranze in unrisveglio della coscienzadei connazionali s’infran-geranno nel modo più cru-

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Persevera nell’alcolismo, passando dal carcere all’ospedale psichiatrico

Il film “Gustavo di ferro” è stato girato negli stessi luoghi in cui era ambientato il romanzo di Fallada. l’HotelG reivelding era ancora perfettamente in esercizio e gestito dalla settima generazione di albergatori.

Le nostres t o r i e

Il romanzo di Fallada sulla resistenzatedesca al regime di Hitler

dele di fronte alla consta-tazione che i messaggi so-no stati pressoché total-mente rimessi nelle manidella Gestapo e non hannodisseminato lo spirito di li-bertà che li aveva animati. Così termina lo scritto-re:«Questi due , Otto e A n n aQuangel [nome della fin-zione] una volta sono statiin vita. La loro protesta s’èspenta senza trovare ascol-

to, apparentemente hannosacrificato inutilmente la lo-ro vita per una lotta senzasperanza. Può darsi però chenon fosse del tutto senzasperanza? Può darsi che nonsia successo del tutto inu-t i l m e n t e ?Io, l’autore di un romanzoancora da scrivere, speroche la loro lotta, le loro sof-ferenze, la loro morte nonsiano state del tutto inutili».

Nato nel 1893, Hans Fallada(pseudonimo di RudolfDitzen) ebbe una vita tra-vagliata segnata dalla pri-gione, dall’alcool e dalladroga. Conobbe la notorietàcon il romanzo E adesso,p o v e r’ u o m o ? ( 1 9 3 2) Morìnel febbraio del 1947, po-chi mesi prima della pub-blicazione di Ognuno muo -re solo.Dopo una giovinezza bur-rascosa, per consiglio delpadre, già alto magistrato,scelse sin dai primi scrittilo pseudonimo tratto dallefavole dei fratelli Grimm(Falada è un cavallo par-lante nella fiaba “La guar -diana di oche”) perché lasua scrittura non fosse mes-sa in relazione con il suopassato. Dopo alcune disavventuregiudiziarie legate al suo la-voro di agronomo, trovò la-voro presso l’editore berli-nese Rowohlt che Falladaparadossalmente aiutò a ri-sollevarsi da una crisi eco-nomica grazie alla travol-gente fortuna di pubblico(anche all’estero) del ro-manzo già citato E adesso

p o v e r’ u o m o ? Si tratta delladelicata vicenda di un com-messo che durante la GrandeDepressione lotta per so-pravvivere grazie al tenaceamore per la famigliola cheha costruito. Appare inte-ressante, anche alla luce delcontenuto di Ognuno muo -re solo s o ffermarsi sul rap-porto tra lo scrittore e il na-z i s m o .Riparato nella campagna at-torno a Berlino, fu denun-ziato nel 1933 come anti-nazista dal precedente pro-prietario della casa e sol-tanto l’aiuto del suo editorelo fece rilasciare dal carce-re. Il rifugio nella campa-gna tedesca, retriva e nazi-sta, non lo proteggerà com-pletamente, anche se verràpreferito all’espatrio inInghilterra che gli venne or-ganizzato dall’editorePutnam. Tuttavia Fallada non fu com-pletamente osteggiato dalregime, insospettito tra l’al-tro dalla simpatia espressadallo scrittore per il mondodelle carceri nel romanzoChi c’è stato una volta(1934) ma disposto anche a

c o m m i s s i o n a rgli un ro-manzo che doveva essere labase di un film importante(Der eiserne Gustav.‘Gustavo di ferro’, 1938),dalla trama funzionale allapropaganda nazista.Perseverante nel suo alco-lismo, nel 1944, in seguitoad un’aggressione alla mo-glie, è nuovamente con-dannato al carcere, conver-tito poi in ospedale psi-chiatrico. Alla fine della guerra, fu no-minato dalle autorità mili-tari sovietiche sindaco diCarwitz, il villaggio rifugiodegli anni della guerra.Gravato dai troppo impe-gnativi compiti ammini-

strativi, lo scrittore non res-se alle responsabilità e fu dinuovo ricoveratoTrasferitosi a Berlino Est,sarà protetto da un’impor-tante figura dell’ammini-strazione militare sovietica,Johannes R.Becher, impe-gnato a ricostruire il colle-gamento tra gli scrittori te-deschi attivi nella ricostru-zione culturale tedesco-orientale, su base antifasci-sta. Da Becher è incoraggiato ascrivere la storia di Otto edAnna Hampel che uscirà po-stumo nel 1947, cui Falladaaveva atteso, scrivendo feb-brilmente, prima dell’ulti-mo ricovero.

Chi era Hans Fallada? Quali i suoi rapporti con il nazismo?

Come afferma il germani-sta Geoff Wilkes, nella po-stfazione all’ultima edizio-ne italiana di Ognuno muo -re solo, Fallada non fu «néun collaborazionista né unr e s i s t e n t e » .Scrisse su commissione ope-re gradite al regime ma nel-lo stesso tempo lo sfidò, an-che «aiutando economica-mente e legalmente alcuni

dei reietti dell’epoca, in par-ticolare autori e lavoratoridell’editoria discriminati permotivi politici e razziali.D’altra parte il modo in cuii nazisti trattarono Falladafu anch’esso contradditto-rio: a volte promossero lesue opere e a volte le cen-surarono; lo spedirono a fargiri di propaganda e lo spe-dirono in galera».