triangolo ottobre 2003 - ANED · Spuntarelli,30 marzo. Felice Salvati è morto a Mauthausen il 16...

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19 Triangolo Rosso si può leggere anche in Internet: sono pubblicati quasi tutti i numeri del giornale dal 1994 al 2003 Intere annate del nostro giornale sono ora consuntabili anche da casa. Tutte le novità del sito, dai libri ai memoriali. Un “cammino” lungo sei anni che ora si rinnova. Gli strumenti di indagine storica. Verso la riorganizzazione del sito www.deportati.it Per consultare la nostra rac- colta virtuale, dalla pagina web del sito basta fare “clic” su “Aned”, poi su “Trian- golo Rosso”, e quindi su “Arretrati”. A quel punto ci si trova in una pagina-indi- ce e occorre selezionare l’an- nata che interessa. Nella pa- gina successiva, nella qua- le si possono vedere le co- pertine dei diversi numeri, è possibile scorrere gli in- dici degli articoli dei singo- li numeri, e quindi sceglie- re il giornale che si vuole leggere. Per consentire a tutti gli uten- ti, indipendentemente dal computer e dal sistema ope- rativo utilizzato, di leggere il nostro giornale, abbiamo scelto il formato Acrobat PDF: chi non lo avesse può procurarselo gratuitamente su Internet e installarlo sul proprio computer. Tutte le pagine del giornale sono riprodotte integral- mente, esattamente come so- no state pubblicate. Questo rende i file di ogni numero piuttosto “pesanti” (da 2,5 a 7,3 Mb) e lenti da scarica- re per chi non abbia un col- legamento veloce a Internet. Per il momento ci è sembrato giusto proporre comunque questa possibilità a tutti: in un secondo momento – ma ci vorrà diverso tempo! – proporremo sul sito anche la possibilità di scaricare i file dei singoli articoli, cer- tamente più “leggeri”, e ra- pidi da consultare anche con un modem non troppo effi- ciente. Con la novità di queste set- timane diventano consulta- bili in pratica quasi tutti i numeri del nostro giornale a partire dal 1994: molti nu- meri infatti erano già stati digitalizzati e sono consul- tabili online da tempo, gra- zie alla fattiva collabora- zione con l’Università di Udine. Le novità del sito non si fer- mano qui: tra i libri, segna- liamo la pubblicazione del- l’edizione integrale di Dora - Quando la vita vince la morte, Memoriale dal cam- po di concentramento KZ di Dora-Mittelbau Nord- hausen, di Gherardo Del Nista. Proprio la nascita del- la Fondazione, del resto, im- pone un generale ripensa- mento del nostro sito, giun- to fin qui sostanzialmente invariato dopo un cammino di circa 6 anni (un lasso di tempo che in un settore in così rapida evoluzione co- me quello informatico cor- risponde più o meno a un’e- ra geologica). Per questo motivo abbiamo intrapreso un complesso cammino che ci porterà nei prossimi mesi a riorganiz- zare interamente le nostre informazioni attraverso Internet, offrendo agli inte- ressati – studenti, insegnan- ti, ricercatori, semplici cu- riosi – strumenti di indagine e materiali sempre più utili e di facile consultazione. Ma di tutto questo parleremo un’altra volta Dario Venegoni

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Triangolo Rosso si può leggere anche in Internet:sono pubblicati quasi tutti i numeri del giornale dal 1994 al 2003

Intere annate del nostro giornale sono ora consuntabili anche da casa. Tutte le novità del sito, dai libri ai memoriali. Un “cammino” lungo sei anni che ora si rinnova. Gli strumenti di indagine storica.

Verso la riorganizzazionedel sito www.deportati.itPer consultare la nostra rac-colta virtuale, dalla paginaweb del sito basta fare “clic”su “Aned”, poi su “Trian-golo Rosso”, e quindi su“Arretrati”. A quel punto cisi trova in una pagina-indi-ce e occorre selezionare l’an-nata che interessa. Nella pa-gina successiva, nella qua-le si possono vedere le co-pertine dei diversi numeri,è possibile scorrere gli in-dici degli articoli dei singo-li numeri, e quindi sceglie-re il giornale che si vuoleleggere.Per consentire a tutti gli uten-ti, indipendentemente dalcomputer e dal sistema ope-rativo utilizzato, di leggereil nostro giornale, abbiamoscelto il formato AcrobatPDF: chi non lo avesse può

procurarselo gratuitamentesu Internet e installarlo sulproprio computer.Tutte le pagine del giornalesono riprodotte integral-mente, esattamente come so-no state pubblicate. Questorende i file di ogni numeropiuttosto “pesanti” (da 2,5a 7,3 Mb) e lenti da scarica-re per chi non abbia un col-legamento veloce a Internet.Per il momento ci è sembratogiusto proporre comunquequesta possibilità a tutti: inun secondo momento – maci vorrà diverso tempo! –proporremo sul sito anchela possibilità di scaricare ifile dei singoli articoli, cer-tamente più “leggeri”, e ra-pidi da consultare anche conun modem non troppo effi-ciente.

Con la novità di queste set-timane diventano consulta-bili in pratica quasi tutti inumeri del nostro giornalea partire dal 1994: molti nu-meri infatti erano già statidigitalizzati e sono consul-tabili online da tempo, gra-zie alla fattiva collabora-zione con l’Università diUdine.Le novità del sito non si fer-mano qui: tra i libri, segna-liamo la pubblicazione del-l’edizione integrale di Dora- Quando la vita vince lamorte, Memoriale dal cam-po di concentramento KZdi Dora-Mittelbau Nord-hausen, di Gherardo DelNista. Proprio la nascita del-la Fondazione, del resto, im-pone un generale ripensa-mento del nostro sito, giun-

to fin qui sostanzialmenteinvariato dopo un camminodi circa 6 anni (un lasso ditempo che in un settore incosì rapida evoluzione co-me quello informatico cor-risponde più o meno a un’e-ra geologica). Per questo motivo abbiamointrapreso un complessocammino che ci porterà neiprossimi mesi a riorganiz-zare interamente le nostreinformazioni attraversoInternet, offrendo agli inte-ressati – studenti, insegnan-ti, ricercatori, semplici cu-riosi – strumenti di indaginee materiali sempre più utilie di facile consultazione.Ma di tutto questo parleremoun’altra volta

Dario Venegoni

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Ricordare pubblicamentequella data-simbolo

Sessant’anni dopoil rastrellamento del ’44si incontrano a Folignoi familiari dei deportati

Il rastrellamento antipartigiano del febbraio ’44 molti non fecero più ritorno dai lager.Una sezione dell’Aned dedicata al loro ricordo

ANED

Per la prima volta dopo quasi sessant’annidal rastrellamento sulla montagna foligna-te, il 3 febbraio 1944 si sono incontrati e co-nosciuti i familiari dei prigionieri deporta-ti dai nazifascisti. Diciannove di essi sonomorti a Mauthausen e Flossenbürg. I sopravvissuti furono soltanto sei.L’iniziativa è nata dopo che una ricerca sco-lastica, condotta da una classe del liceoFrezzi di Foligno e dall’insegnante di storiaOlga Lucchi, ha ricostruito la dinamica del-la deportazione e i nomi dei prigionieri at-traverso interviste ai familiari.

TUTTI I PRIGIONIERI Ecco l’elenco dei prigionieri morti a Mauthausen nel1945. La loro età era compresa tra i diciassette e icinquantaquattro anni:Armando Bileggi, 9 aprile; Augusto Bizzarri, 6 aprile;Vincenzo Cavilli, 8 febbraio; Sante Costantini, 22 feb-braio; Francesco Federici, 8 marzo; Serafino Federici,17 marzo; Guerrino Maggi, 1 marzo; Giacomo Melelli,25 maggio; Luigi Olivieri, 3 marzo; Franco Pizzoni, 23aprile; Giuseppe Privinzano, 4 febbraio; Antonio Salcito,aprile; Vincenzo Salcito, tra il 20 e il 30 aprile; GiuseppeSalvati, 16 marzo; Franco Santocchia, 3 maggio; LinoSpuntarelli, 30 marzo. Felice Salvati è morto a Mauthausenil 16 dicembre 1944. A Flossenbürg è deceduto LuigiCostantini, il 3 dicembre 1944 mentre GabrieleCrescimberi è morto a Innsbruck il 21 febbraio 1944.I reduci sono stati: don Pietro Arcangeli da vari cam-pi; Primo Micheli, Franco Tardone, Colombo Olivieri,Rinaldo Salvati da Mauthausen e Vittorio Cavilli, fug-gito dal campo di Fossoli.La ricerca è stata pubblica-

ta con il titolo Curve nellamemoria… angoli del pre-sente inviata all’Aned, chela ospita nel suo sito Internetdiretto da Dario Venegoni.Ed è ai deportati che si vuo-le dedicare la nuova sezio-ne dell’Aned, con il con-senso e l’appoggio del pre-sidente nazionale dell’asso-ciazione, Gianfranco Maris.Alla riunione di Foligno era-no presenti:- Antonia Bileggi e suo ma-rito Mario Lai. Antonia è fi-glia di Armando, deceduto aMauthausen;- Elena Salvati Federici, conil marito Giovanni Salvati.La loro famiglia ha avutocinque morti. La memoriapersonale e inedita di queiterribili e indimenticabili

giorni è depositata pressol’archivio di Pieve SantoStefano;- Santa Arcangeli (con il ma-rito Alberto Gonfalone) so-rella di don Pietro;- Corrado Santocchia, fra-tello di Franco deceduto aGusen;- Ernesta Spuntarelli, sorelladi Lino, un giovane che persfuggire ai bombardamentisi era rifugiato con la fami-glia in montagna. È dece-duto a Gusen;- Giovanni Bizzarri, nipotedi Augusto Bizzarri, il cuinome compare nella sala delMuseo della deportazionepolitica e razziale di Carpi,e Feliciano Salvati giovanenipote di Rinaldo che, re-duce di Mauthausen, ha te-stimoniato fino alla morte, la

tragedia che aveva vissuto;- Sante Cucciarelli, dellaBrigata Garibaldi che assi-stette al rastrellamento dal-l’alto della montagna e futestimone della cattura deigiovani partigiani;- La professoressa RitaMarini, presidente della ProLoco Val Menotre, uno deiluoghi del rastrellamento,da sempre interessata e sen-sibile alle vicende storichedella zona.Altri parenti che quel gior-no non hanno potuto esserepresenti, hanno dato la pro-pria disponibilità a mante-nere viva la memoria dei lo-ro cari. Come la signoraMaria Pizzoni, sorella di

Franco, un giovane parti-giano morto a Gusen.La memoria delle vittime èconservata in una piccolacappella, voluta e fatta rea-lizzare da don Pietro Arcan-geli, a Cancelli di Foligno,che fu il centro dell’azionedi rastrellamento. Nella ri-correnza del 25 aprile il sin-daco e il vescovo di Folignoli ricordano in una cerimo-nia civile e religiosa. I fa-miliari dei deportati hannoespresso la volontà di ri-cordare pubblicamente an-che la data del rastrella-mento, il 3 febbraio. Per con-servare il ricordo e per tra-smetterlo alle giovani ge-nerazioni.

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Costituita in Umbriauna nuova sezioneÈ con vero piacere che pos-so comunicare la costituzio-ne della sezione umbra dell’Aned.La riunione ha avuto luogoil 26 settembre scorso edha visto la partecipazionedi quasi tutti gli iscritti; èstato nominato presidentedella sezione il sig. CorradoSantocchia, fratello di Fran-co Santocchia, deceduto aGusen, segretaria della se-zione è invece la sotto-scritta. Compongono il direttivo lesignore: Assuntina Ar-cangeli, sorella di don PietroArcangeli, il “prete galeot-to”, come si definì nella suaautobiografia, Maria Piz-zoni, sorella di FrancoPizzoni, anche lui decedu-to a Gusen, Anna Micheli,figlia di Primo Micheli, re-duce da Mauthausen, eAssunta Maggi, nipote diGuerrino Maggi, decedutoa Mauthausen.

Così, dopo il riemergere deiricordi, i confronti tra le espe-rienze, la discussione su co-me sono stati vissuti i luttiin questi sessant’anni, si èdeciso di mettere in campouna serie di iniziative cherendano il ricordo memoriacollettiva della città e me-moria futura.

• Da subito il presidente edil direttivo prenderanno con-tatto con il sindaco dellacittà per verificare la pos-sibilità di dedicare una piaz-za o un parco cittadino ainomi dei deportati o si pren-deranno contatti con le scuo-le per organizzare lezionisul tema o si organizzeran-no viaggi nei luoghi dellamemoria, primo fra tutti alcampo di Fossoli, ove tuttii deportati folignati transi-tarono.

• A più lungo termine, macomunque entro il 2004, sivuole procedere alla indivi-duazione dei deportati dallealtre città e paesi dell’Um-bria, di modo che la sezioneassuma una vera valenza re-gionale con l’iscrizione dialtri parenti e familiari.

• Franco Santocchia ha la-sciato un quadernino di poe-sie scritte prima di essere de-portato; vorremmo farne unapubblicazione, magari a cu-ra dell’Aned.

• E poi ci sarebbero gli iti-nerari della memoria, per co-niugare deportazione e Re-sistenza.

Olga Lucchi

UN CALENDARIOPER IL 2004

DELL’ANED DI PAVIALa sezione Aned di Pavia ha pubblicato “Il calendario del-la memoria 2004” (ricerca storica e progetto di SerenaSavini). Quest’opera – che porta il significativo titolo “Ospitidi favolose stelle” – contiene ogni mese dell’anno la foto-grafia di un deportato con a fian-co scritti di coloro che persero lavita nei lager nazisti.Particolarmente significativo ilbrano tratto da una lettera inviatadal carcere di San Vittore da JacopoDentici (morto a Gusen il 1° mar-zo 1945): “Qui tutto va bene – scri-veva ai familiari – non mi mancaniente, tranne la libertà ma quel-la vale poco… anzi c’è abbon-danza di alcuni generi come calcieccetera”.

Per avere il calendario si può farne richiesta presso l’Aneddi Pavia (via Tortona 14, tel.0382/464971) oppure all’AnedNazionale ( Milano, via Bagutta 12 tel. 02/76006449)

MEDAGLIA D’ORO ALLA COMUNITÀ

EBRAICA DI ROMACon il conferimento di una medaglia d’oro al valore ci-vile alla Comunità ebraica di Roma, il presidente Ciampiha commemorato, al Portico di Ottavia, la razzia delGhetto all’alba del 16 ottobre 1943.

“La memoria dello stermino deve essere tenuta viva per-ché la storia che si dimentica si ripete”. Parole molto chiare con le quali il presidente ha confutato leirresponsabili dichiarazioni del presidente del Consiglio, te-se ad assolvere il duce ed il fascismo dalle gravi colpe del re-gime che ben poche responsabilità avrebbe avuto nell’immanetragedia che ha sconvolto il secolo appena passato. A tutti enon solo agli ebrei presenti davanti alla lapide che ricorda gliebrei romani deportati in Birkenau, il presidente ha volutoricordare che “ tutto questo nacque da un regime dittatoria-le che aveva cancellato ogni libertà e perseguitato coloroche si erano opposti alla dittatura ..... insieme alla Shoahvanno ricordate le inumane leggi razziali varate nel no-vembre ‘38, leggi che furono premessa e fondamento delPatto d’acciaio tra la Germania nazista e l’Italia fascistache precipitò l’Italia nel disastro della guerra”. Un messaggio meditato e calibrato, quello del capo delloStato, con un forte richiamo ai valori della Resistenza e del-la Costituzione “ stella polare dell’Italia democratica,scu-do delle nostre libertà”. Grazie, signor presidente e chi ha orecchie per ascoltare,ascolti! A.P.

A sinistra,l’incontro di Foligno dei familiaridei deportati. A destra,la costituzionedella nuovasezione umbradell’Aned.

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Vasta partecipazione all’iniziativa dell’Aned.Le testimonianze dei sopravvissuti e le riflessioni dell’attore Klaus Maria Brandauer

Il futuro della memoria,ispirato ai valori della pace e del dialogonel gemellaggio tra Prato e altri comunicon la città austriaca di Ebensee

Il viaggio di studenti,amministratori, cittadini

Dopo la recente nomina a presidentedell’Associazione per il gemellaggio Prato-Ebensee, ho partecipato per la prima voltaal pellegrinaggio della memoria, organiz-zato dall’Aned di Prato, nella cittadina au-striaca nel cui campo di concentramento na-zista morirono anche tanti pratesi. Una vicenda tragica da cui è poi scaturito,nel 1987, un patto di gemellaggio straordi-nariamente unico nel suo genere, come af-fermò l’anno scorso anche il presidenteCiampi durante l’inaugurazione del Museodella deportazione di Figline, ad oggi giàvisitato da oltre 5000 persone.

Guidati dai lucidi ricordi diRoberto Castellani - uno deipochi sopravvissuti a quel-l’inferno, nonché “anima”del gemellaggio - hanno pre-so parte a questo viaggio,ispirato ai valori della pacee del dialogo fra i popoli, al-cuni familiari dei deportati,amministratori del Comunee della Provincia di Prato,dei Comuni di Montemurlo,Vaiano, Cantagallo, Poggioa Caiano, Carmignano eCampi Bisenzio, rappre-sentanti della Croce d’Oro(a sua volta gemellata conla Croce Rossa di Ebensee),della Cgil e della Con-fesercenti, assieme ad un nu-trito gruppo di studenti ac-compagnati dai loro inse-gnanti.Sono stati giorni di intense

emozioni: le visite a Mau-thausen, a Gusen, alle gal-lerie di Ebensee in cui sisvolgeva il lavoro forzatodei deportati; la celebra-zione per l’anniversario del-la liberazione del campo diEbensee, segnata indele-bilmente - oltre che dalletestimonianze di vari so-pravvissuti, tra cui RobertoCastellani - dalle straordi-narie riflessioni del grandeattore austriaco Klaus MariaBrandauer sul concetto di“straniero”, a fronte del no-stro essere “creature ibri-de”, nutrite storicamentedai più diversi influssi cul-turali. E poi la grande manifesta-zione di Mauthausen, con ladeposizione - presenti an-che il sindaco Mattei e l’as-

sessore provinciale AnnalisaMarchi - delle corone ai mo-numenti che ricordano, na-zione per nazione, le vitti-me dello sterminio nazista.Quindi, durante il corteo frale baracche del campo, l’e-mozione indicibile per gliapplausi al passaggio dellostriscione del gemellaggioPrato-Ebensee, seguito daigonfaloni e dalle tante ban-diere della pace indossatedai pratesi, così come dagliamici di Ebensee, guidatidal presidente dell’associa-zione gemella Josef Piontek.La compostezza dei nostrigiovani e la loro consape-vole partecipazione a que-sti momenti pubblici, cosìcome nell’ascolto delle me-morie di Castellani, restanofra le immagini più belle ericche di speranza di questo

pellegrinaggio.Significativi anche altri mo-menti del viaggio: il work-shop sulle pari opportunitànella Ue, che ha visto con-frontarsi le delegazioni diPrato, di Ebensee e della cittàpolacca di Zawiercie (lega-ta da un patto di amicizia conEbensee); la serata incen-trata sulla storia, sui carat-teri e sul patrimonio culturaledi queste tre diverse realtàeuropee. (Per Prato anchel’apprezzata musica popo-lare del gruppo “TuscaeGentes”.)Negli incontri con il sinda-co Herwart Loidl si è di-scusso di come rilanciare erafforzare il gemellaggio(che vive un’importante di-mensione anche nello stret-to legame fra la parrocchia diEbensee e quella pratese diSanta Lucia) perché la me-moria - oltre che a custodi-re e tramandare valori civi-li e democratici fondamen-tali - possa diventare veico-lo di una sempre più inten-sa conoscenza reciproca,specie fra i giovani, nella va-lorizzazione delle rispettivetradizioni, ricchezze artisti-che, culturali, ambientali.Per dare un futuro alla me-moria, sviluppare le occa-sioni di incontro tra le duecomunità e contribuire co-sì, nel nostro piccolo, allacostruzione di un’Europa dipace.

Andrea Mazzoni

Klaus Maria Brandauer:l’attore austriaco nei panni di “Mefisto”.

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Conobbi Massimo Aloisi a Padova negli anni cosiddetti di piombo, quando imperversavano nell’Università gli autonomi, amici dei terroristi, fieri teorici del diciottoobbligatorio per tutti, soprattutto per gli ignoranti,squadristi contro i professori democratici,che si opponevano alle loro prepotenze. Parecchi docenti furono vittime della loro furia criminale.

Ricordo per tutti l’amico e compagno Guido Petter,già comandante partigiano, già insegnante nella scuolaRinascita di Milano, voluta dall’Anpi, dove studiaronomolti giovanissimi combattenti antifascisti o figli di cadutipartigiani. Petter insegnava nell’ateneo padovano e unamattina fu vilmente aggredito e bastonato a sangue. Ferito seriamente, poté salvarsi grazie al fatto di avere intesta un pesante colbacco, regalo di un collega moscovita.

Massimo Aloisi insegnava pure lui a Padova. Scienziatofra i più noti in Italia, era stato incarcerato dai fascisti,poi aveva partecipato alla Resistenza, iscritto al Pci. Ne era uscito dopo i fatti di Ungheria e anche per leinsopportabili baggianate genetiche di Trofim Lysenko,elogiate da Stalin.

Qualche anno dopo, al riguardo, aveva scritto:“Non me ne pento, ma nemmeno me ne glorio”. A Padova, già avanzato nell’età, prese posizione con fermezza contro la banda degli autonomi.

Fu allora che lo incontrai e lo intervistai per l’Unità. Mi ricevette nella sua casa e mi offrì anche un bicchierinodi una vodka speciale che gli aveva regalato il grandebiologo Alexander Oparin nel corso di una sua visitanell’Unione Sovietica. Da allora mantenemmo buonirapporti fino alla sua scomparsa.

Seppi dei suoi scritti su Belfagor, la rivista di “variaumanità”, fondata da Luigi Russo, e gli chiesi se erapossibile averli. Me li spedì con una affettuosa dedica e con gli auguri di buon 1996. Uno di questi scritti,pubblicato nel numero di maggio del 1995, si intitola “Un pezzetto di vecchia cronaca nera”. In quell’articolo Aloisi racconta di un suo soggiorno per studio nella Germania nazista nel 1937.

In particolare riferisce di una “oceanica” manifestazioneorganizzata a Berlino per accogliere Benito Mussolini. Si tratta di una testimonianza, che riteniamo importante,per il notevole interesse che riveste, riproporre ai lettori.

Scienziato tra i più noti in Italia Massimo Aloisi racconta di un soggiorno di studio nella Germania nazista del ’37

“ “Un pezzetto

di vecchia

cronaca nera

di Ibio Paolucci

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di Massimo Aloisi

Era il settembre del 1937. Mi trovavo a Berlino-Dahlemperché frequentavo come ospite il famoso laborato-rio scientifico di Otto Warburg. Questo premio Nobel

era uno dei pochissimi ebrei che fino allora era potuto ri-manere in patria, ma quella patria era tempestata per ognidove da cartelli con su scritto: questo giardino, questo ci-nematografo, questo locale è vietato agli ebrei: senza con-tare i manifesti ovunque esposti in cui si raffiguravano lo-schi personaggi, definiti comunque Juden in atto di com-piere i più efferati e scandalosi delitti. Quando il giovaneErwin Haas mi domandava in laboratorio come mi trova-vo a Berlino, rispondevo che in generale andava bene, mache mi soffocava la presenza di quei cartelli e che non po-tevo nemmeno immaginare come mi sarei sentito se fossistato un giovane ebreo. Mi dava ragione, con serietà. E tuttavia, tornato in patria, nella mia patria, dovetti quasisubito dopo assistere all’innesco di una campagna razzia-le filonazista nonostante che illustri cattedratici si fosserogià prima adoperati per una nostra sommessa campagnarazziale mediterranea...Ma lasciamo stare: non è per questo che mi sono ora ac-cinto a ricordare questo pezzetto di cronaca nera, anche seso che in politica tutto si tiene.

Debbo innanzi tutto dire che nella mia vita, sempre sen-za intenzioni eroiche, ma spesso per una tendenzasemplificatrice che poteva anche coincidere con la

pigrizia, spesso anche per non cercare informazioni noio-se, mi sono talora trovato temporaneamente fuori dalle re-gole del viver civile, anche se pronto a rimediarvi appenamanifestatisi i relativi inconvenienti, perché convinto checomunque di regole si vive. Altra cosa è stata per me la per-suasione teorico-pratica per una scelta morale e politica,che era quella di tutta la famiglia, nettamente antifascista.Già, perché, parlando del 1937 parlo appunto del periodonazifascista in Europa.Ma quella noncuranza o leggerezza mi impedì, arrivato inGermania, di notificare alla polizia la mia presenza. Purtropponon vi pensò, come sarebbe stato suo dovere, neppure lamia padrona di casa, Frau Herta M., poiché essa era alloramolto depressa per l’abbandono del marito e per una rela-

tiva causa legale sulla quale addirittura voleva consigli dame, non riflettendo che una laurea in medicina, anche se fre-sca, non dava alcuna materia per consigli giuridici. Ma FrauHerta era una donna semplice.Il suo e il mio semplicismo, uniti insieme, conclusero il lo-ro esser negativi e pericolosi in quel di Germania, solo al-la fine del mio soggiorno, anzi, come si vedrà, durante il mioviaggio di ritorno, quando però tutto era ormai più o meno,e senza danno, avvenuto.Bastavano infatti talora in quel paese, come del resto inItalia, pochi incontri, per trovarsi a dover scegliere in fret-ta un comportamento plausibile: come quando un giovanetecnico del laboratorio venne a salutarmi perché partivaper il servizio di leva; avevo letto sui giornali che proprioin quel tempo avevano aumentato da uno a due anni quel ser-vizio (misura evidentemente intesa a preparare la pace, co-me tra poco si vedrà) e da buon italiano mi sentii in dove-re di dolermi con lui che gli fosse capitata addosso siffattainaspettata quasi sciagura. Ma non l’avrei dovuto dire: si ir-rigidì tutto sugli attenti, divenne rosso e paonazzo e da unabocca appena semovente mi sibilò: «Sono molto contentoe orgoglioso di servire la mia patria e il mio Fiihrer».M’inchinai di fronte al grande dilemma del tempo, quellodi una gioventù che pur credeva a un miraggio, ma nefastonella storia dell’umanità.Un bel giorno, mi pare proprio il 26 di settembre, sento inlaboratorio che due giorni dopo sarebbe stata vacanza to-tale per un avvenimento politico di grande rilievo: la visi-ta di Mussolini a Hitler.Siccome questo poteva anche significare chiusura degli uf-fici pubblici e dato che avevo estremo bisogno di riscuote-re il consueto assegno mensile che mi veniva versato pres-so l’agenzia berlinese dell’American Express, decisi di uti-lizzare la mattina del 27 per andare a riscuotere il magro sus-sidio. L’agenzia si trovava nell’Unter den Linden poco ol-tre l’imbocco della Friedrich Strasse; erano circa le dodi-ci e vi trovai una enorme folla assiepata in ambedue i mar-ciapiedi, tenuta ferma in modo brutale da giovanotti dellaHitlerjugend uniti braccia a braccia a catena e del tutto per-suasi che gli uomini e le donne senza divisa sono un bruli-came che è godevole schiacciare. In mezzo a loro e in mez-zo a noi (ero rimasto sepolto anch’io nella folla all’uscitadall’agenzia dopo una procedura un po’ lunga per ragionidi cambio) si facevano strada anche dei fascisti italiani an-ch’essi in qualche divisa e che fidandosi dell’altrui ignoranzadella loro lingua trovavano giocondo dire puttanate controuno e contro tutti a piacer loro.

Così capii – e mi fu confermato – che si era in attesadel passaggio di Hitler e di Mussolini testé arrivato,appunto alla Friedrich Bahnhof. Ed essi infatti pas-

sarono ben presto, in piedi l’uno e l’altro sulla stessa auto-mobile tra il delirio di quella umanità la cui eccitabilità nonera poi troppo fuor di esempio – tolte le memorie specifi-che e puntuali – da quella già espressa e ancor oggi, muta-tis mutandis possibile e ostensibile, da una parte dell’at-tuale umanità italiana...

Un pezzetto di vecchia cronaca nera“

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L’indomani, la mattina del 28, era una giornata splendida.I pini e gli scoiattoli di Dahlem non accettavano l’autunnoincombente e nel mio cervello l’incontro dell’Unter denLinden era remoto e quasi cancellato. Ma Frau Herta, purnella sua vacuità aveva di diritto un genoma tedesco e quan-do le feci notare la radiosità del mattino mi disse con lastessa seria persuasione con cui mi illustrava le sue ragio-ni contro il marito: «Certo, è sempre bel tempo quando par-la il nostro Führer». Mi seccò tale risposta: non solo perché mi riportò alla na-tura di quella vacanza e alla considerazione che il mondodebba temere delle scelte dei meno intelligenti, ma ancheper la sensazione che non ero più libero di godermi da so-lo quella giornata: non si può essere soli e liberi dentro unciclone che trascina milioni di persone.

Provai a passare dall’Istituto per rivedere le mie carte,ma era chiuso; al ritorno trovai una colonna rada esparsa di persone e che aveva in testa qualcuno che agi-

tava un turibolo allegramente sonoro; camminavano solertilungo i viali di pini come per una consapevole scampa-gnata. Vidi anche un cartello dal quale si deduceva che queicittadini berlinesi appartenevano alla gilda dei tappezzie-ri e compresi allora che era un segmento di quel variamenteattrattivo convogliare gli umani curiosi e consenzienti al-la manifestazione politica che si prevedeva per il pome-riggio.M’incuriosì quel passeggiare senza impegno e quella mu-sica; la bella mattina rimaneva tale, ma ormai non era piùsenza nome né solo per me; ormai la corrente umana era sta-bilita a Berlino Centro come a Dahlem; non sapevo dove fos-se il Campo di Maggio ove si sarebbe svolta la manifesta-zione politica; mi dissi che potevo seguirli quanto mi con-venisse, pronto a venirne fuori a mio piacere per il pranzo.Così, sempre sull’onda del mio indipendente semplici-smo, ma anche della mia curiosità, temporaneamente di-venni anch’io tappezziere e mi infilai nella fila, che in-tanto si andava ingrossando (non saprei in verità dire quan-ti tappezzieri esistessero al tempo a Berlino o in quel set-tore di Berlino). Erano solo le dieci e mezzo e avevo tut-to il tempo di dare prima o poi un colpo di coda e toglier-mi dalla gilda.Lungo il tragitto ogni tanto mi proponevo di abbandonarequei camerati allegri e festaioli, ma poi rimandavo semprefinché prevalse il proposito di vedere almeno in cosa con-sistesse quel famoso Campo di Maggio.Ci arrivammo che non era ancora – se ben ricordo – mez-zogiorno. Il Campo era un ovale sterminato di cui a mala-pena si intravedevano i limiti distanti; la curva più vicina erasormontata da una vasta scalinata con una tribuna centra-le, ancora vuota. V’era erba sotto i piedi e un cielo azzur-ro pallido sopra di noi. Non era caldo né freddo.Poche persone erano giunte fino allora all’appuntamento,noi compresi, dispersi a gruppetti in uno spazio enormeche lentamente ne inghiottiva sempre altri, ma passò mol-to tempo prima che si potesse parlare di una raccolta o diuna folla.

Molto tempo. Tanto che si poneva finalmente il pro-blema di chiudere l’avventura e di uscire a trova-re un luogo ove risolvere la giornata nutritiva e

quella diversiva.Fu allora che mi accorsi come lungo l’asse maggiore del-l’immenso ovale corresse una doppia fila di capre di legno,delimitanti quindi una specie di corridoio fra esse. A uncerto momento, il sole era già alto, lungo quel corridoiocomparvero giovani della Hitlerjugend (o di altra milizia gio-vanile, non ricordo) forniti di gavette militari vuote che di-stribuirono, a chi le volesse, dei presenti. Moltissimi vi an-darono e mi avvicinai anch’io: evidentemente si prepara-va un pasto collettivo e gratuito. Infatti, poco dopo, quellostesso corridoio fu percorso da altri miliziani che traspor-tavano enormi recipienti su rotelle contenenti carne bolli-ta e patate: tale rancio, assolutamente appetibile, venne di-stribuito nelle gavette di ognuno ed era più che sufficientea calmare l’appetito dell’ora. Era comunque un invito a rimanere in attesa della manife-stazione politica che – ormai si sapeva o, meglio, ne erovenuto anch’io a conoscenza – si doveva svolgere nel tar-do pomeriggio.Ormai il Campo di Maggio era fitto di persone. Moltissimeavevano mangiato ed erano sedute sull’erba. Parlavano,parlavano. Trovai due giovani con una strana uniforme trail militare e il ginnastico che si accorsero che non ero tedescoe mi domandarono donde venissi. Erano ragazzi della pre-militare. Seduti sull’erba cominciammo un lungo discorsoanche perché il mio tedesco non consentiva sintesi prezio-se. Mi chiesero chi era Mussolini e dissero che erano sicu-ri che l’incontro con Hitler era voluto per assicurare il mon-do sulla pace. Dissi che ne ero contento, ma che da noi si era sempre piùsospettosi – era la natura del nostro popolo – e dunque c’e-ra chi si domandava se sotto le dichiarazioni di pace non sinascondesse la preparazione alla guerra: che la guerra po-teva essere un’attrazione per risolvere tanti problemi ur-genti della Germania come dell’Italia. Mi seguivano con attenzione e finirono per convenire chetalora le dichiarazioni dei politici possono essere fallaci edirette ad un’ingannevole mobilitazione dei popoli. Più inlà non arrivavano, almeno con me, né più in là avrei volu-to portarli sull’onda del mio azzardato semplicismo. Eranocertamente ragazzi operai e forse filtrava nelle loro testequalche ricordo dei padri; li invitai qualche giorno dopo auna cenetta, ma non fu un’occasione propizia per conti-nuare il discorso.Intanto si erano fatte le cinque del pomeriggio ed erava-mo un po’ stanchi. Stanchi per l’uniformità dell’attesa,per il paesaggio che ormai non destava più meraviglia,stanchi di parlare o di parlottare, stanchi di ascoltare. Il cie-lo, così limpido e invitante la mattina, si era ricoperto e lagiornata volgeva, nonostante le previsioni di Frau Herta,verso il banale o decisamente brutto. Ma la popolazionelì raccolta cresceva ancora e ormai, almeno nel settoreche fronteggiava per largo spazio la scalinata e la tribunaeravamo una folla.

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Un pezzetto di vecchia cronaca nera“

“Tutti però sapevano e ormai lo sapevo anch’io, che la

manifestazione politica era insolitamente preordi-nata per oltre le cinque e mezzo e fino alle sette del-

la sera: la stranezza dell’orario era, come vedremo, legataal tipo di decorazione col quale la Germania hitleriana sta-va per accogliere e impressionare l’ospite italiano che ve-niva da un paese ricco di monumenti sontuosi e forse solodi questi.Intanto il cielo si copriva sempre più di nubi poco tranquillee molti si domandavano se tanta preparazione e buona vo-lontà di comparire non stessero per essere beffate.A un certo momento si capì che stava per iniziare la mani-festazione: sotto un cielo sempre più scuro cominciò a sfi-lare, sul bordo supremo della scalinata, una serie numeri-camente immensa di grandi bandiere alternate, una tedescacon una italiana, portate da uomini che poi rimanevano drit-ti e immobili a sostenerle. La durata di questa sfilata fu lunghissima, data l’esten-sione della circonferenza da occupare, e durante tutto il tem-po il popolo che ormai fitto occupava il terreno del Campoteneva il braccio teso in avanti nel saluto hitleriano; inbreve tempo molti non ce la facevano e sorreggevano il brac-cio destro con la mano sinistra o viceversa, i vecchi tre-mavano nel prolungarsi dello sforzo e quello che comun-que voleva essere un atto di omaggio si traduceva in un ma-sochistico giuoco di sudditanza; era pressoché finito ilparlottare e c’era solo un diffuso brulichio di voci e di so-spiri.

Intanto cominciavano a riempirsi le gradinate di frontea noi, destinate agli invitati. Seppi poi da un collega ita-liano, che pure lavorava in quel tempo a Berlino e che

regolarmente si era fatto vivo presentandosi, come si doveva,alla polizia, che tutti gli italiani di un minimo di rilievo al-lora presenti a Berlino erano stati invitati, come dire, sol-lecitati a recarsi alla manifestazione.Riempita che fu la gradinata cominciarono a venire le au-torità. Si riconobbe Goebbels dalla statura e Goering dal-l’impermeabile trasparente sopra l’ostensione delle tan-te medaglie. Venne subito anche Hitler e subito ancheMussolini. Questi si dava un gran daffare cercando di favorire il pas-saggio e la collocazione dei nuovi arrivati sbracciandosicome un esperto regolatore del traffico. Mi par di ricorda-re che v’erano anche delle musiche solenni.

Ma a un tratto Hitler, che era già salito sul podio eappena vi sporgeva con la parte superiore del bu-sto fece, immobile per tutto il resto del corpo, un

gesto semicircolare col braccio: tutt’uno col gesto cessò lamusica, cessò il brusio, ogni rumore svanì e il cielo, cheera diventato ancor più nero e minaccioso, incombeva orasu un improvviso silenzio di vita. Viveva solo una voce,ora, e per il silenzio sembrava unica nel mondo, ed era quel-la aspra e concitata e sgradevole dell’uomo che era riusci-to a farsi venerare da milioni di tedeschi per l’interesse na-scosto di pochi, tedeschi e anche non tedeschi. Era orgogliosa,quella voce, di mostrare al collega e più antiquato maestroitaliano cosa significasse avere al suo piede, con un fischio,in un giorno, tre milioni di persone (drei Millionen Personensind hier mit uns, come disse, poiché al milione dentro ilCampo si dovevano aggiungere altri due milioni in attesadelle fatidiche parole fuori del campo, tutto all’intorno);disse anche che lui e tutti i tedeschi volevano la pace no-nostante la caparbietà di altre nazioni nemiche della nuo-va Germania.Naturalmente parlò subito dopo anche Mussolini. E la sce-na cambiò; non tanto per il cielo che si addensava semprepiù, quanto per il contrappunto alla tragedia: come in un’o-pera lirica classica ai vaticini terrifici del sommo sacerdo-te subentrano le note speranzose di chi umanamente vuo-le accomodare tutto, il Duce in un tedesco buono ma più sem-plice e con un gestire che era un linguaggio a sé stante lar-gamente indipendente dal contenuto del dire, e tuttavia stu-diato appositamente per entrare nelle simpatie nordiche,fece egregiamente la sua parte di contrappeso; come Hitlerstudiava i suoi silenzi per entrare nel cervello della gente,l’amico del momento fece tutto quello che i milioni di astan-ti volevano che facesse: essere l’italiano tipo che col cuo-re in mano giura fedeltà.

La marea prima immota della gente cominciava ad on-deggiare seguendo il discorso, perché non era piùquello del Führer da ingoiare come un bastone; si

azzardava anche qualche commento o sorriso, si aspettavail Duce al varco. E quando egli disse che l’Europa era purdi fronte al tragico dilemma della guerra o della pace, mache anch’egli aveva sposato la causa della pace «Krieg oderPriede? ebbene noi abbiamo già scelto: Friede!») vennefuori un uragano di applausi e di voci quale il Campo diMaggio forse non aveva prima sentito. Ma l’uragano stavaper venire anche dal cielo. Era ormai sera e cominciava apiovigginare. I tedeschi avevano contato molto su un effetto finale co-reografico che voleva dire unione dell’arte con la tecnica,del Nord col Sud del sacro con l’umano.Avevano posto regolarmente e tutto all’intorno del vastoCampo di Maggio una serie di potenti riflettori(Scheinweifern) che, accesi, inviavano ciascuno un poten-te fascio di luce ottimamente visibile specie nella poca neb-bia serale; ma erano disposti ed inclinati verso l’alto cosìche l’insieme dei fasci si incontrava in un punto alto del-l’atmosfera dal quale poi appositamente divaricava, atte-

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nuandosi. Ci si trovava dunque dentro una specie di gabbiaa spigoli luminosi e quasi appena curvati, con un grandeeffetto visibile certamente ammirevole. Quando venne, co-me venne e abbondante, la pioggia brillava verticale fra-mezzo ai piegati fasci di luce.Ma per essere fino in fondo cortesi i tedeschi vollero for-nire agli italiani anche uno spettacolo più a loro paesano econsueto: i fuochi d’artificio; forse anche per mettere aconfronto la filosofica geometria statica dei riflettori tede-schi con l’esuberante e più meridionale e imprevedibilefiorire dei fuochi italiani. Tanto più imprevedibile, allora,nell’esecuzione, in quanto ostinatamente attuata sotto unapioggia ormai senza scampo.Ma i tedeschi che si avviavano verso le uscite, ogni qual-volta sentivano uno sparo alzavano la testa al cielo, e se unqualche sparpaglio di stelle tuttavia si rendeva visibile lo sa-lutavano come bambini gridando ogni volta ach! e la piog-gia riempiva loro la bocca.Molti particolari della manifestazione che non erano ap-prezzabili dai comuni cittadini entro il recinto del Campodi Maggio furono poi ben visti ed analizzati nei giorni suc-cessivi nei documentari filmati offerti da apposite piccolesale giornalistiche o annessi agli spettacoli cinematografi-ci. I numerosi primi piani del Duce con tutte le sue accat-tivanti mimetiche e calcolate smorfie facevano cordial-mente e sonoramente ridere, ma senza disprezzo. In labo-ratorio, nella sala delle bilance, mentre ognuno pesava i

propri ingredienti di lavoro si scambiavano commenti ila-ri ma convinti: fu lì che udii F. Kubowitz riconoscere alle-gramente che il tedesco di Mussolini non era male, ma si ve-deva che l’uomo, col suo agitarsi, non era abituato ai mi-crofoni (intendeva che secondo lui la tecnologia radiofonicanon era ancora penetrata in Italia).

Come dicevo all’inizio, l’epilogo più personalmentefastidioso, e dovuto al mio ingenuo semplicismo,avvenne al confine, nel viaggio di ritorno. Allora dal

passaporto capirono che ero stato tre mesi in Germania ir-registrato ospite. Fecero sgombrare tutto lo scomparti-mento, mi fecero spogliare fin quasi alla nudità e scanda-gliarono ogni piega di vestito, ogni fondo di calzino, ognifoglio di quaderno, ogni pagina di vocabolario. Guardaronocon qualche sospetto un bel regolo calcolatore che m’erocomprato in Germania, di quelli usati nel laboratorio del gran-de Warburg, e cominciarono ad abbaiare domande in mo-do così concitato da non potervi trovare una risposta ade-guata, quale un vero spione avrebbe semmai potuto prepa-rare; volevano notizie sul mio lavoro, a cosa servisse e per-ché proprio a Dahlem; ma avevano anche fretta, il trenodoveva ripartire, forse alla fine dovettero concludere che erouno scemo qualsiasi, di quelli che, come dicono o diceva-no in quel di Empoli, vicino Firenze, non han cervello percampare un’ora.

Massimo Aloisi

“Avevano posto regolarmente e tutto all’intorno del vasto Campo di Maggio una serie di potenti riflettori…

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✔Vorrebbe inviare i tifosi nel lager di Mauthausen

Cari amici,

sabato 31 maggio 2003, durante una trasmissione spor-tiva sull’emittente genovese Primocanale, il giornali-sta Piero Campodonico ha dichiarato che il suo sognoè vedere ripristinato l’antico treno che portava i rifiu-ti a Scarpino (Scarpino è una località dove sorge unadiscarica genovese), per portare i tifosi sampdoriani viadalla loro gradinata, diretti però a Mauthausen.Avete letto bene: a Mauthausen. Nella discarica si bru-ciano i rifiuti; a Mauthausen, invece, si bruciavano gli

esseri umani. Il concetto è stato successivamente ri-badito dallo stesso Campodonico una settimana piùtardi, il 6 giugno, su un’altra emittente genovese,Telecittà. Abbiamo dunque raccolto più di 300 firmedi persone indignate di tali parole in un appello concui è stato chiesto che Piero Campodonico venisse ra-diato dall’ordine dei giornalisti – per indegnità.Per altro, come giornalista pubblicista, ho presentatoun esposto all’Ordine dei giornalisti di Genova controil Campodonico e so che è stato attivato nei suoi con-fronti un procedimento disciplinare.Da articoli di stampa del 3 ottobre scorso apprendoche Piero Campodonico ha denunciato me e gli altri fir-matari dell’appello…Lo ritengo un paradosso offensivo, non tanto per noi maper quanti sono morti ammazzati nelle camere a gased a Mauthausen in particolare.

Roberto Martinelli - Genova

Ad avviso di Sua Eccellenzail Cavalier Be......., pardon,Silvio Berlusconi, Mussoliniinviò in ridenti località divilleggiatura gli opposito-ri del fascismo. Per il pronipote di VittorioEmanuele III, meglio notoper la pubblicità dei sotta-ceti, le leggi razziste, fir-mate dal nonno, furono po-ca cosa. La più valida, se-ria, documentata confermaè venuta dal regista Pa-squale Squittieri e dall’on.Guzzanti. Sicuramente an-che altri hanno simile, ap-profondita conoscenza ecertezza. Quanto ridentefosse quella realtà lo si puòdesumere da una docu-mentazione che ho trovatonegli archivi dell’Aned diRoma. Nel 1938 AnselmoMoscati era rappresentan-

te di commercio. Per le leg-gi razziste fu privato dellapossibilità di svolgere an-cora il suo lavoro, privan-do così la sua famiglia diogni sostentamento. Oltread essere ebreo era ancheantifascista. Mal gliene in-colse. Nel giugno del 1940, al mo-mento dell’entrata in guer-ra, venne arrestato, comeda lettera della RegiaQuestura di Roma,in data10 giugno 1940-anno XVIII.Internato dapprima nelcampo di concentramentodi Campagna, venne invia-to poi nel campo di con-centramento di Gioia delColle (Bari). La RegiaPrefettura di Bari lo se-gnalava, con lettera riser-vata urgente, come perico-loso e sospetto di spionag-

gio. Nel dicembre ‘41 vie-ne data disposizione di in-ternarlo nel campo di con-centramento di Isola delGran Sasso (Teramo ), ovegiunge il 16 gennaio 1941.Il 21 gennaio il questore diRoma respinge l’istanza direvoca del provvedimentodi internamento ( presen-tata dal figlio dopo la mor-te della madre ) per i pre-cedenti repubblicani delMoscati, per non essere mailo stesso stato iscritto al Pnfe per i suoi sentimenti con-trari al regime, acuitisi do-po le leggi razziali. Il rifiu-to verrà comunicato alMoscati il 16 marzo, dalministero dell’Interno. A luglio viene trasferito aSassocorvaro, poi dopo unnuovo parere negativo al-la revoca dell’internamen-to, viene ulteriormente tra-sferito a Macerata Feltria.Sofferente di fegato e ne-cessitante di una dieta ade-guata, era stato raggiuntodalla moglie, che versavain povere condizioni eco-nomiche e dalla figlia di 5anni che avevano dovuto

presentare una richiesta di“convivenza volontaria”per poterlo assistere. Soloin questo caso e bontà sua,il questore di Roma diedeparere favorevole. Nel cor-so del 1941 verrà negatapiù volte però la revoca del-l’internamento, nonostan-te le pessime condizioni disalute e lo stato di assolu-ta indigenza del nucleo fa-miliare, costretto a viverecon un misero sussidio, to-talmente inadeguato ad unvita seppur misera. La fi-glia Ester di questa vicen-da porterà come conse-guenze gravi difetti alla vi-sta e una osteoporosi cheda molti anni la tormenta.E se ebbe salva la vita, almomento delle deportazio-ni, lo deve alla solidarietàcoraggiosa della signori-na Geltrude, presso la cuicasa, in quel di Cagli, il pa-dre la nascose.Ecco un piccolo ma signi-ficativo esempio delle “va-canze” del Cavalier BenitoMussolini che tanto piac-ciono all’on. presidente delConsiglio. a.p.

✔La “villeggiatura”di un ebreo antifascistaal confino di Mussolini

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Così, secondo Giovanni Belardelli,il rastrellamento nel ghetto di Romadel 16 ottobre del 1943, alle 5,30 delmattino, sarebbe stato “a lungo ri-mosso dalla sinistra”. Questo è infatti il titolo di un suo ar-ticolo in prima pagina del Corrieredella Sera, pubblicato il 16 ottobredel 2003, sessanta anni dopo quel-l’infame delitto. Belardelli scrive a vanvera e il quo-tidiano milanese titola con la stessacolposa disinvoltura. Nessuno chepensi di documentarsi, di controlla-re i fatti, tanto, quando si parla ma-le della sinistra, se ne può allegra-mente prescindere. Non conosciamol’età di Belardelli e non sappiamo senell’ottobre del ’43 era già nato. Il Corriere, invece, esisteva sulla piaz-za ed era tutto proteso, in quei gior-ni, ad esaltare il rinascente regimefascista di Salò. Sulla piazza, ma con

ben altri intenti, c’era anche l’Unità.Diffonderla allora era un serio ri-schio. Si poteva lasciarci la pelle. SeBelardelli, che, fra l’altro, ha l’ag-gravante di essere uno storico, si do-cumenta si accorgerà che questo èsuccesso. Inoltre se sia lui che ilCorriere si documentano scopriran-no che l’Unità, che sicuramente, qua-le organo del Pci, rappresentava lar-ga parte della sinistra, pubblicava il26 ottobre del ‘43, dunque a ridossodei fatti, un articolo intitolato “Inflittoa Roma l’oltraggio del pogrom”, men-tre il 7 dicembre del medesimo annone pubblicava un altro intitolato “Lepersecuzioni anti-ebraiche debbonoessere impedite”. Altro che rimozione. Nel secondo ar-ticolo si poteva leggere che “non sideve tollerare che si ripeta in Romal’orrendo misfatto di intere famiglieinnocenti smembrate e deportate a

morire di freddo e di fame chi sa do-ve. C’è un senso di solidarietà uma-na che non si può offendere impune-mente. Queste vittime infelici dellabestiale rabbia nazifascista debbo-no essere non solo soccorse perchési sottraggano alle ricerche e alla cat-tura, ma anche attivamente e corag-giosamente difese. I romani debbono aver chiaro che,difendendo i loro concittadini ebrei,essi difendono anche se stessi, le pro-prie famiglie, le proprie case”. Percontrastare gli orrendi crimini deinazisti e dei fascisti, loro servi, mol-ti uomini e donne della sinistra sonomorti sotto tortura in via Tasso, comeattesta anche lo splendido film diRossellini. Sappia almeno il Belardelli che seoggi può scrivere liberamente le suebugie lo deve soprattutto a loro.

i.p.

✔ Scrive del ghettoma parla a vanvera

I giardini di una zona sto-rica della città, l’Area del-la Villa Cagna, saranno de-dicati al nome di CalogeroMarrone, l’eroe morto nel1945, all’alba della libertà,nel campo di sterminio diDachau, dove era stato de-portato per aver aiutato,durante l’occupazione te-desca, ebrei e antifascisti.Marrone, capo dell’ufficioanagrafe del Comune diVarese, salvò le loro vite ri-

lasciando centinaia di do-cumenti di identità falsi.Tradito da un delatore, ven-ne arrestato e consegnatoalle SS.Il suo calvario iniziò nelcarcere di Varese, per fini-re, dopo drammatiche “so-ste” in altre galere e nel la-ger di Bolzano, a Dachauda dove non tornò.Triangolo Rosso, raccon-tando questa vicenda dram-matica, aveva proposto, già

dal settembre di tre anni fa,che Varese rendesse aMarrone l’onore che meri-tava, oltre alla targa giàcollocata nel luogo doveaveva operato. Seguironoaltri interventi e richieste,cominciando dai capi-gruppo dei Ds e di Rifon-dazione comunista inConsiglio comunale, percontinuare con una letterapubblica al sindaco Fu-magalli da Ibio Paolucci eFranco Giannantoni, au-tori del libro Un eroe di-menticato.Successivamente il proble-ma venne riproposto da duemozioni dell’opposizioneconsiliare.Finalmente la decisione.

Comunicandola, il vice sin-daco Puricelli non ha sa-puto rinunciare alla con-sueta e grottesca polemi-ca: la Giunta cioè – comeriporta il quotidiano loca-le – non aveva bisogno del-le “sollecitazioni strumen-tali delle opposizioni”. Erano passati “soltanto”anni di silenzio. Ma tant’è…

✔I giardini di un’area storica di Varese dedicati

a Calogero Marrone

Giorno per giorno

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Convenute da 15 paesi,per preservare il loro KZ

La riunione ha visto anco-ra una volta riunite le an-ziane ma combattive don-ne di Ravensbrück arrivateda una quindicina di paesidiversi: erano presenti lerappresentanze austriache,cèche, slovacche, tedesche,slovene, ungheresi, norve-gesi, romene, olandesi, bie-lorusse, russe, ucraine, spa-gnole, francesi e italiane.La rappresentanza dell’Italiaè ufficialmente costituita daBianca Paganini e da me,ma Bianca per motivi fa-miliari non è potuta que-st’anno intervenire. Bisogna precisare cheBelgio, Lussemburgo ePolonia non erano presen-ti a causa di problemi di sa-lute delle rappresentanti: sipuò osservare in propositoche la composizione delComitato, come forse staaccadendo anche in altriComitati, è forzosamentesoggetta ad un rinnovarsi

che vede affievolirsi il rap-porto diretto tra associa-zioni della deportazionerappresentate in esso (unarappresentanza per delega),sostituite da presenze indi-viduali, peraltro legittimee garanti dell’adesione agliscopi statutari nella misurain cui si tratti di ex depor-tate o familiari di esse: ilcambiamento in taluni ca-si non favorisce la conti-nuità del dialogo e la fer-mezza necessaria nei con-fronti soprattutto del di-battito in corso sulla stra-tegia di conservazione deiluoghi.In tale quadro, le prese diposizione del Comitato neiconfronti della trasforma-zione e dei tentativi di can-cellazione del campo tro-vano un’efficace vigilanzanella persona della presi-dente del Comitato inter-nazionale dott. AnnetteChalut, medico, deportataa Ravensbrück e a BergenBelsen e che ha messo lasua professione al serviziodelle ex deportate ai fini deiriconoscimenti di invaliditàe pensionistici, in Franciaperaltro molto più adegua-ti che in Italia.

Come salvaguardarela realtà storica e la vestigia del campo di Ravensbrück

Dal 15 al 20 maggio 2003 ha avuto luogo in Austria la riunione annuale del Comitatointernazionale di Ravensbrück, che “ha comescopo assicurare la salvaguardia e l’integritàstorica delle vestigia e del memoriale dell’anticocampo di concentramento nazista delle donne e degli edifici esterni al campo, sede deicomandanti, di perpetuare il ricordo delle personeche vi sono state detenute e vi sono morte,di vigilare nella difesa dei diritti morali e materialidei sopravvissuti e delle famiglie dei morti,di assicurare i legami di amicizia tra di essi,di informare le nuove generazioni e di contribuireal mantenimento della pace” (art. 2 dello Statuto)

L’autostrada chedi Giovanna Massariello

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Conservazione e pianificazionedell’assetto dei luoghi

La conservazione del cam-po di Ravensbrück presen-ta particolari problemi le-gati a diversi fattori: l’e-stensione del territorio delcampo all’interno del qua-le erano presenti anche leofficine della Siemens, lapresenza (bene attestata darecenti reperti acquisiti concampagne di scavo pro-mosse inizialmente da gio-vani femministe tedescheche hanno anche ritrovatobarattoli del famigeratoZyklon B) della sezione delcampo nota alle detenutecome JugendLager (lagerdella gioventù) ed ora piùcomunemente designatocon il toponimo di Ucker-mark, area destinata piùpropriamente allo stermi-nio delle malate gravi e ina-bili al lavoro.Inoltre la prolungata pre-senza delle truppe sovieti-che (sino al 1994) sul ter-ritorio del lager stesso, ha

posto soltanto in tempi re-lativamente recenti i pro-blemi di nuovo assetto del-l’area dal punto di vista del-la visitabilità e della frui-zione museale: cospicui la-vori di bonifica sono statiaffrontati poiché sono sta-te ritrovate centinaia di ci-sterne interrate che veni-vano impiegate per il de-posito del carburante daparte sovietica (bonifica fi-nanziata dal governo fede-rale). Il dibattito perciò ègià da anni incentrato sulrapporto tra le modalità diconservazione o trasfor-mazione dell’esistente esull’attività culturale e diricerca promossa dalla di-rezione. Per completare ilquadro va precisato che ilMemorial di Ravensbrückrientra sotto la tutela dellaFondazione dei memoria-li del Brandeburgo, insiemeal campo di Sachsenhausen. Risente pertanto della mag-giore disponibilità a con-cedere mezzi finanziari aquest’ultimo campo, ancheper via della composizio-ne della direzione nellaquale nessuna ex deporta-ta di Ravensbrück è rap-presentata.

La relazione della professoressa S. Jacobeit

L’incontro si è aperto con larelazione della direttrice delMuseo prof. S. Jacobeit cheriferisce delle celebrazioniper la festa di liberazione(30 aprile) e traccia il profilodelle iniziative in corso: av-valendosi anche di giovanitedeschi che effettuano ilservizio civile prendono for-ma programmi pedagogici.Tesi di laurea e di dottorato,discusse poi all’Università diBerlino, sono state compiuteo sono in corso relativa-mente alla architettura delcampo, alla produzione tes-sile delle detenute, alla li-berazione delle slovene, alcensimento di sottocampi ocampi esterni in dipenden-za dal campo stesso. Suscita molto dibattito l’i-niziativa che ha coinvoltouna Aufseherin, intervista-ta nel corso di un semina-rio. Appuriamo che le giustifi-cazioni addotte alla sua scel-

ta di arruolarsi, consistette-ro all’epoca della gioventùin un desiderio di sottrarsial giogo familiare e di “ve-dere il mondo” (testuali pa-role). Le deportate osservano co-me possa essere pericolosodar voce a persone che nonmostrano una pur minimaautocritica nei confronti del-la propria biografia e delpassato e come presso i gio-vani possa essere disorien-tante mettere sotto un uni-co segno la memoria dellevittime e degli oppressori. Qualche perplessità è su-scitata anche dalla mostraallestita sulle stesse Auf-seherinnen, ci sono state an-che esposizioni dedicate aidisegni degli studenti diLidice e alle donne cristia-ne nella resistenza.La prof. Jakobeit comunicainoltre che l’avvenuto re-stauro di un edificio prossi-mo al lager è diventato unaforesteria che può offrireospitalità ai giovani che sirechino in visita al lager, perseminari didattici: ci sem-bra una notizia da segnala-re per gli insegnanti che in-tendano organizzare viaggicon i loro studenti.

distrugge la memoria

Page 14: triangolo ottobre 2003 - ANED · Spuntarelli,30 marzo. Felice Salvati è morto a Mauthausen il 16 dicembre 1944. A Flossenbürg è deceduto Luigi Costantini, il 3 dicembre 1944 mentre

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I problemi aperti concernono:

■la sistemazione del-le celle dell’anticobunker in cui già a

partire dall’occupazione so-vietica ogni paese ha realiz-zato, nelle forme culturaliproprie, l’allestimento delpiccolo spazio autogestito amemoria delle proprie de-portate. Come è noto, la celladell’Italia, nell’allestimentodello studio dell’architettoBelgioioso, contiene la la-pide, rinnovata nella lista deinomi, delle donne morte aRavensbrück. Fu riinaugu-rata alla presenza di Violanteche in quella sede promiseil finanziamento dei viaggidella memoria destinati agliscolari italiani (1997).

■L’affermarsi di nuo-ve nazionalità hafatto sì che giun-

gessero da diversi paesi(Ucraina, Repubblica Cecaseparata dalla Slovacchia eGermania stessa per sotto-lineare la presenza di unacomponente antinazista rap-presentata dalle detenute te-desche ecc.) nuove richiestedi spazi espositivi che ilComitato non riesce ad ot-tenere per ottemperare ai de-sideri espressi. Più pericolosamente si è av-viato un processo di “revi-sionismo museale” che èproteso a cancellare gli sto-rici allestimenti, reputandolisuperati e legati a un mo-mento politico troppo “so-vietizzato”.

■Vi è stato un tenta-tivo di cancellare leesposizioni perma-

nenti, valorizzando inveceesposizioni tematiche e con-tingenti: il Comitato si è co-stantemente espresso per ilmantenimento della struttu-ra attuale, con la prospettivadi assegnare spazi ancora di-sponibili ai paesi che ne so-no in attesa.

■Sarà sempre possi-bile contestualizza-re i vecchi allesti-

menti, con indicazioni rigo-rosamente storiche che spie-ghino l’articolazione in nuo-ve nazionalità dei paesi inprecedenza rappresentatiunitariamente(Cecoslovacchia, Jugoslavia,Unione Sovietica). Inoltre ilbunker dovrà contenere sol-tanto mostre specializzatededicate alle punizioni chequi ebbero luogo.

■Per la visitabilità delcampo che si offreal visitatore come

una plaga sterminata e vuo-ta (gli unici edifici sono ilbunker, il crematorio e l’e-dificio del comando, adibi-to a Museo), sono da ap-prontare percorsi guidati conmateriali didattici plurilin-gui e soprattutto l’installa-zione, come da tempo ri-

chiesto, di una baracca consignificato di prototipo; ap-pare ottimo l’esempio diMauthausen che ha provve-duto a segnalare con terra-pieni numerati il perimetrodei diversi Block, anche lad-dove non sono state ricollo-cate baracche. Il dibattito sulla baracca(peraltro reperita da un pri-vato cittadino) da ricollo-care nel campo si protraeda troppo tempo e i verba-li della Fondazione Bran-deburghese rivelano l’a-strazione del dibattito su unpiano filologico (la barac-ca non avrà la stessa atmo-sfera di quella originaria!)a fronte della necessità dipoter illustrare ai giovaniche cosa fosse una baraccadi prigionia!

■Altrettanti proble-mi pone l’areaSiemens e soprat-

tutto quella dello Jugend-Lager.Un percorso di visita è sta-to tracciato con pannelli il-lustrativi, ma sono perfinotroppo analitici per il visi-tatore e soprattutto non si ètenuto conto della necessitàdi tradurre in più lingue lespiegazioni fornite.

La relazione della presidente Annette Chalut e il dibattitoLa relazione della presidente e il complesso dibattitointernazionale che ne è seguito ha riportato sui temicentrali dell’incontro: la pianificazione relativa all’as-setto del campo e delle sue strutture, processo di rifles-sione che ha una storia recente e cioè a partire dal 1997

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Notizie dal Comitato internazionale di Ravensbrück

Un’autostradaminaccia l’integrità del campo

Il problema tuttavia più gra-ve che angustia le donne diRavensbrück è la vicendatuttora non risolta della co-struzione di un’autostradail cui tracciato originario aben otto corsie avrebbe mi-nacciato l’integrità del cam-po: sensibili proteste inter-nazionali, con l’interventoanche del nostro presiden-te Maris hanno ottenuto ilrigetto dei piani di costru-zione dell’autostrada.Tuttavia, resta il pericolo diun tracciato che auspicatodagli abitanti del paese diFürstenberg, l’unico paeseprospiciente il campo, pas-si attraverso il complessoRavensbrück - Fürstenberg.Rassicurato dalle autoritàdel Land, il Comitato in-contra ancora l’opposizio-ne di un’associazione co-stituita dagli abitanti diFürstenberg, che adducemotivi di convenienza so-ciale e di sviluppo econo-mico alla sua preferenza per

assunte dal Comitato inter-nazionale, unico organo rap-presentativo.Difficoltà di comunicazio-ne e di ascolto si sono veri-ficate anche con il presi-dente della fondazione deiMemoriali Brandeburghesidott. Morsch.Altrettanto preoccupante lanotizia della vendita delCastello di Lichtenburg de-stinato ad attività turistiche.Soltanto un compromessopotrà far sì che un’ala delcastello venga conservata afutura memoria del luogo, incui furono già trasportatiprigionieri nel 1933 e ovefu operativo un vero KZ! Edi lì partì il primo traspor-to per Ravensbrück nel1938.Alla fine del convegno, do-po la presentazione delle re-lazioni di attività dei sin-goli paesi sul tema della de-portazione sono state sta-bilite le sedi dei prossimiincontri: Lidice per il 2004e Ravensbrück per il 2005.Lidice è il centro boemobarbaramente distrutto perrappresaglia nazista nel1942.

Giovanna Massariello

la variante stradale che en-trerebbe nello spazio del-l’antico campo di stermi-nio. Le organizzazioni eco-logiste sostengono i moti-vi del Comitato.In sede di Comitato è statocomunque denunciato il ten-tativo di appellarsi singo-larmente alle deportate perottenere consenso indipen-dentemente dalle posizioni

La pianta del campo di sterminio di Ravensbrück ai tempi in cui era in funzione. Il progetto diun’autostrada minaccial’integrità del campo.

Le donne

che combattono

l’oblio