Ambiente Dall’alveare alla vigna: l’agricoltura resiliente ...

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51 Dicembre 2019 www.altreconomia.it Dall’alveare alla vigna: l’agricoltura resiliente affronta il clima che cambia IN EMILIA-ROMAGNA IL PROGETTO “SEMÌNO” SPERIMENTA LA COLTIVAZIONE DI VARIETÀ ORTICOLE “MIGRANTI” I cambiamenti climatici stanno già alterando i delicati equilibri annotati da decenni nei quaderni di apicoltori e vignaioli, mettendo a rischio la sicurezza alimentare. Le storie di chi si sta adattando, dal Trentino-Alto Adige alle Marche di Luca Martinelli Ambiente Archivio Mieli Thun

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Dall’alveare alla vigna: l’agricoltura resiliente affronta il clima che cambiaIN EMILIA-ROMAGNA IL PROGETTO “SEMÌNO” SPERIMENTA LA COLTIVAZIONE DI VARIETÀ ORTICOLE “MIGRANTI”

I cambiamenti climatici stanno già alterando i delicati equilibri annotati da decenni nei quaderni di apicoltori e vignaioli, mettendo a rischio la sicurezza alimentare. Le storie di chi si sta adattando, dal Trentino-Alto Adige alle Marche

di Luca Martinelli

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Ambiente SECONDO TEMPO

ll’inizio degli anni Novanta l’apicol-tore trentino Andrea Paternoster aveva immaginato un modello di azienda resiliente: oggi le 1.200 ar-nie di Mieli Thun (mielithun.it), che

ha sede a Vigo di Ton (TN), in Val di Non, han-no a disposizione 60 diverse postazioni in dieci Regioni. “Non sono tutte contemporaneamente attive -racconta Paternoster-, ma così facendo credevo che sarei stato esonerato dalle ‘bizzar-rie del tempo’. Non è così, però: sono tre anni, ad esempio, che non riusciamo a produrre il miele di tarassaco sull’Altipiano di Asiago, uno dei più pregiati. Quest’anno durante la fioritura, che ar-riva subito dopo quella del melo, intorno a metà maggio, ci sono stati tre giorni a -9 gradi. Una ge-lata che brucia le piante e ucciderebbe le api. Non le abbiamo nemmeno portate”. Gli eventi estremi mettono in crisi anche un mo-dello aziendale come quello di Mieli Thun: adesso che è possibile fare un bilancio per il 2019, i nu-meri sono spietati: se in media Paternoster pro-duce ogni anno 400 quintali di miele, quest’anno lo ha chiuso con appena 80. L’apicoltura è una spia rossa che lampeggia: “L’ape è il punto di contatto tra mondo vegetale e mondo animale, un animale aereo che non toc-ca mai terra e vive del nettare delle piante, che è il suo nutrimento” sintetizza Paternoster. In gioco c’è la nostra sicurezza alimentare. Lo dice in modo chiaro un rapporto presentato ad ago-sto 2019 dal Gruppo intergovernativo di lavoro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (IPCC), e dedicato agli effetti dei cambiamen-ti climatici sull’agricoltura e gli ecosistemi, temi che sono al centro della COP25, la conferenza ONU sul climate change in programma a Madrid dal 2 al 13 dicembre (unfccc.int/cop25): il riscal-damento globale, aggravato dalla siccità, ha già causato una riduzione della produttività nell’Eu-ropa meridionale; il cambiamento climatico sta minacciando la sicurezza alimentare nelle zone aride del Pianeta, in particolare in Africa, e nel-le regioni montuose dell’Asia e del Sud America.L’idea di apicoltura nomade di Mieli Thun era nata con due obiettivi: il primo, qualitativo, era quello di raccontare attraverso mieli monorigine i diversi areali di produzione, “e far così emerge-re le speficità territoriali che siamo abituati a ri-cercare nelle altre produzioni agroalimentari, in particolare per il vino” spiega Paternoster; il se-condo motivo anticipava ciò che oggi emerge con chiarezza: “Se avessi avuto le api in tanti luoghi diversi -racconta l’apicoltore trentino- sarei riu-scito a fare quello che fanno i contadini in tutta

Italia, quando scelgono di acquistare o affittare appezzamenti in zone diverse, per tenersi al ri-paro da una gelata, dall’esondazione di un fiume, da una grandinata”. Nel catalogo di Mieli Thun si trovano il miele di abete e quello di bosco, il miele di cardo e di coriandolo, quello di melo e di arancio. Trent’anni dopo, Andrea Paternoster sa di non esser riuscito a proteggere la sua azienda dagli effetti del cambiamento climatico. Oggi diventa difficile, per un apicoltore, programmare il per-corso dell’annata, come fa un pastore transu-mante. “Esistevano condizioni standard, in me-rito alla fioritura e allo spostamento delle api, annotate nei nostri quaderni di campagna, ma oggi capitano cose imprevedibili”. Nella prima-vera del 2019, ad esempio, ci sono stati ben 40 giorni di blocco di volo delle api: gli insetti non sono usciti a raccoglie il nettare per motivi legati al clima, nel periodo di fioritura dell’acacia, e se-condo l’ISMEA (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) questo ha causato una ridu-zione della produzione del 40 per cento. “L’acacia per un apicoltore è come l’etichetta ‘base’ per un vignaiolo: è fondamentale per l’equilibrio eco-nomico aziendale” sottolinea Paternoster. La cosa assolutamente non comune, spiega, è che il blocco, e la mancata produzione, abbia coinvol-to Cuneo e Pavia, Verona e Treviso, Trieste e la Sicilia, dove il vento di tramontana ha disidrata-to i fiori d’arancio, che non avevano nettare. “Il problema non è solo di mancata produzione: ho usato ottanta quintali di miele, quello delle prime fioriture primaverili, per alimentare le api, ed ab-biamo avuto problemi comunque. Gli insetti che han subito uno stress alimentare, in un periodo dell’anno che è come l’adolescenza di un mammi-fero, restano in difficoltà per sempre, e così -rac-conta Paternoster- non hanno prodotto nemme-no nella stagione più clemente”. Se l’apicoltore trentino ha almeno trent’anni d’e-sperienza, il vignaiolo Corrado Dottori -milanese trapiantato a Cupramontana (AN), nelle Marche- ha superato nel 2019 le venti vendemmie. La sua azienda si chiama La Distesa (ladistesa.

AIn apertu-ra, Andrea Paternoster, api-coltore titolare dell’azienda Mieli Thun, con sede a Vigo di Ton (TN)

“Esistevano condizioni standard, in merito alla fioritura e allo spostamento delle api, ma oggi capitano cose imprevedibili” - Andrea Paternoster

“Come vignaioli alla fine dell’e-state” (Derive Approdi) è il libro scritto dal vi-gnaiolo Corrado Dottori (222 pagine, 17 euro)

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it), e insieme con altri produttori ha dato vita alla rete terroirMarche (terroirmarche.com, vedi Ae 184). A ottobre Dottori ha pubblicato un li-bro, in cui racconta l’ecologia vista da un vigna: s’intitola “Come vignaioli alla fine dell’estate” (DeriveApprodi). “Ormai anche gli inverni e le estati che ci sembrano in linea, sono mediamen-te più caldi: questo è evidente nel ciclo della vite, con le fioriture anticipate. La pianta comincia a ‘muoversi’ sempre prima, ponendoci a rischio di gelate tardive. Un altro metro per misurare i cambiamenti in atto riguarda il regime delle piogge: la nostra sarebbe una Regione temperata, nel Centro Italia, ma ci stiamo tropicalizzando: a maggio di quest’anno ci sono stati tra i 20 e i 22 giorni iniziati col beltempo al mattino, e scossi da uno ‘sciacquone’ nel pomeriggio. Poi a giugno, di colpo non ha fatto una goccia d’acqua, in tut-to il mese”. Anche il titolo del libro, “Come vignaioli alla fine dell’estate”, rimanda a un evento estremo, la grandinata (che a fine estate distrugge il raccol-to pronto per la vendemmia), un tema contadi-no: “Ne ho contate cinque o sei nei primi quindici anni, mentre adesso capita due o tre volte l’anno, tutti gli anni. Colpa di un atmosfera che è più cal-da” sottolinea Dottori.

Nel medio periodo, gli effetti già misurabili sono anche altri, e riguardano il vitigno e i vigneti: “Il Verdicchio (è il vitigno a bacca bianca più diffu-so a Cupramontana, da cui si ricava il Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC) negli ultimi cinque anni ha perso un punto di acidità in media, quasi un 20 per cento dell’acido tartarico complessi-vo. Questo significa che puoi acidificare il vino, come fanno i produttori ‘industriali’, ma se lavori in naturale hai ben pochi margini, se non quello di anticipare un po’ le vendemmie, di piantare in zone più fresche o di affittare parcelle in zone più alte a livello altimetrico. In termini di denomi-nazione, però, questa mutazione cambia il vino -spega Corrado Dottori-. Il clima che cambia, quindi, ha necessariamente un impatto sul con-cetto di terroir, sul mito del terroir, cioè l’identifi-cazione tra vitigno e territorio. Per assurdo, non sarà più possibile coltivare con successo determi-nati vitigni nei luoghi dove li abbiamo conosciuti e dove siamo abituati a collocarli”.In Emilia-Romagna c’è chi si sta misurando da un paio d’anni con la coltivazione di nuove va-rietà orticole “migranti” per valutarne la capaci-tà di adattamento di fronte alla (prossima) scar-sità idrica. Il progetto Semìno (semino.org) è coordinato da Kilowatt, cooperativa di lavoro e

incubatore di idee ad alto impatto sociale e am-bientale. In autunno nei campi ci sono pak choi, tatsoi e brassica mizuna, mentre nel ciclo di pri-mavera c’erano gombo/okra, fagiolo dall’occhio, curcuma, edamame, shiso. Brassicacee, legu-minose, radici che arrivano da Africa, America Latina, Asia e Medio Oriente. “Siamo partiti da mezzo ettaro, l’anno scorso, con la prima spe-rimentazione, ed oggi coltiviamo un ettaro e mezzo” racconta Samanta Musarò. Una collabo-razione con la facoltà di Agraria dell’Universi-tà di Bologna permette di misurare la Water Use Efficiency (WUE), un’analisi che s’è concentrata sull’okra, originaria del continente africano. “La WUE è specifica di ogni pianta e si ottiene dal rapporto tra produzione e acqua utilizzata du-rante il ciclo produttivo -spiega Musarò-. Nel terreno dedicato alla sperimentazione sono sta-te create tre aiuole diverse: una veniva irrigata con 100 litri, che è quanto consigliato dai disci-plinari, le altre con 50 e 25 litri. La resa migliore l’hanno avuta le piante che hanno ricevuto il 50% di acqua”. Dopo il primo anno, con la coltivazio-ne nei campi della cooperativa sociale Pictor, la rete s’è allargata a due altre aziende bologne-si, Floema e Holerialla, e ad una Ong di Perugia, Tamat, che ha un progetto di agricoltura sociale sul territorio. “Holerialla è una piccola azienda che si occupa di ‘microgreen’ (la coltivazione di germogli). Tra i collaboratori c’era un migrante del Pakistan, e l’ingresso nella rete permette alla titolare di rispondere a una richiesta del collabo-ratore, quella di poter coltivare prodotti che co-nosce di più”. L’inclusione sociale resiliente.

Corrado Dottori, titolare dell’a-zienda “La Distesa” insie-me alla moglie Valeria Bochi tra le vigne di Cupramontana (AN). Con altri produttori ha dato vita alla rete “terroirMarche”

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