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PosteItalianeS.p.A.-Spedizioneinabbonamentopostale-D.L.353/2003(conv.inL.27/02/2004n.46) -art.1,comma1,D.C.B.Trento-Periodicoquadrime- strale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita - Taxe perçue - ISSN 1720 - 6812 IN QUESTO NUMERO IL MATRIMONIO anno quattordicesimo numero trentasei set./dic. 2011

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Numero dedicato alla storia del matrimonio

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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) - art. 1, comma 1, D.C.B. Trento - Periodico quadrime-strale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita - Taxe perçue - ISSN 1720 - 6812

IN QUESTO NUMEROIL MATRIMONIO

anno quattordicesimo numero trentasei set./dic. 2011

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Via Torre d’Augusto, 35/4138122 TRENTOTel. 0461.1747000 Fax [email protected] www.museostorico.it

ALTRESTORIE – Periodico quadrimestrale di informazionePeriodico registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1.132 ISSN 1720-6812Comitato di redazione: Paola Bertoldi, Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo Taiani (segretario)Direttore responsabile: Sergio BenvenutiHanno collaborato a questo numero: Silvia Bertolotti, Stefano Chemelli, Rita Farinelli, Alice Manfredi, Paola Pao-lazzi, Serena Piovesan, Anselmo Vilardi, Marta VillaProgetto grafico: Graficomp – Pergine (TN). Stampa: Publistampa – Pergine (TN)In copertina: dipinto del pittore fiammingo Jan van Eyck, Ritratto dei coniugi Arnolfini, realizzato nel 1434Per ricevere la rivista, o gli arretrati, fino a esaurimento, richiedere alla Fondazione Museo storico del Trentino.I lettori interessati ad acquistare o a informarsi sull’insieme della pubblicazioni della Fondazione Museo storico del Trentino possono collegarsi all’indirizzo internet http://www.museostorico.it o scrivere all’indirizzo di posta elettronica [email protected]

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anno quattordicesimo numero trentasei set./dic. 2011

IN QUESTO NUMEROIL MATRIMONIO

Editoriale 4

Il matrimonio canonico 5 di Anselmo Vilardi

Il matrimonio in Occidente interviste con Diego Quaglioni e Chiara Saraceno a cura di Paola Bertoldi 10

Cultura che vai… matrimonio che trovi di Marta Villa 18

Matrimoni misti in Trentino: laboratori interculturali in evoluzione di Serena Piovesan 22

Agenzie matrimoniali: dalle corti dei principi al web di Alice Manfredi 25

Se il matrimonio è in pericolo: la nascita dei consultori 28

Uno sguardo al diritto di famiglia di Rita Farinelli e Paola Paolazzi 30

Scene da un matrimonio: la foto di matrimonio attraverso il Novecento di Silvia Bertolotti 33

Il matrimonio-stato: riflessioni di e su Alberto Savinio di Stefano Chemelli 37

Il matrimonio in cifre: l’andamento della nuzialità in Trentino-Alto Adige nel XX secolo 38

Col permesso davanti al parroco 41

Infomuseo 42

Edizioni FMST 47

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La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, contiene, fra i trenta articoli dei quali è composta, anche un riferi-mento al matrimonio. In partico-lare l’articolo 16 prevede quanto segue:1. Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di

sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo sciogli-mento.

2. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi.

3. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.

Tre commi, dunque, che riconoscono all’unione di uomini e donne un ruolo centrale, se non addirit-tura fondativo di qualsiasi più ampia aggregazione sociale umana. Ciò nonostante si moltiplicano i segnali di una profonda crisi, almeno nel mondo occi-dentale, di questa istituzione così come si è andata configurandosi nei secoli e la necessità di ripensarla sulla base delle trasformazioni che hanno investito la società contemporanea. È un cambiamento che ancor prima del vincolo matrimoniale ha investito e continua a interessare la concezione stessa di fami-glia e la teorizzazione della sua struttura. Il modello tradizionale incentrato alla base sull’unione di un

Editoriale uomo e una donna non sembra più compatibile con l’emergere di una crescente tolleranza nei confronti della libertà sessuale e dell’auto-nomia individuale, che alimenta comportamenti di rifiuto nei con-fronti di vincoli, obblighi e forma-

lità. È aumentato così il numero dei cosiddetti single e delle coppie conviventi (in Italia solo sei coppie su dieci decidono oramai di sposarsi, e solo il 60% delle convivenze approdano successivamente al matrimonio), in un quadro complessivo che regi-stra comunque una drastica riduzione della durata delle relazioni e un altrettanto vertiginoso aumento delle separazioni e dei divorzi. Insomma sembra che siano sempre meno coloro in grado o decisi a man-tenere la promessa di unione “fino a che morte non vi separi” pronunciata al momento della celebra-zione religiosa o civile del rito. Negli Stati Uniti ben il 70% delle unioni termina con un divorzio, mentre in Italia, di media, pur con le opportune diversificazioni regionali, si arriva all’udienza di separazione davanti al Giudice in trecento casi ogni mille matrimoni cele-brati. Il Piemonte con la Valle d’Aosta è la regione che fa registrare il tasso maggiore di crisi con 418 istanze di separazione ogni mille nozze; mentre i più fedeli risiedono in Basilicata (138 domande ogni mille matrimoni). In questo numero di Altrestorie, si cercherà di offrire, attraverso il consueto sguardo interdisciplinare, una sintetica panoramica dei principali elementi che contribuiscono a comporre questo complesso quadro (rt).

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Il sacramento del matri-monio rappresenta uno dei pilastri della dottrina della Chiesa cattolica. Le sue caratteristiche odierne sono tuttavia il frutto di un millenario processo di ela-borazione.Sin dai primi secoli la Chiesa cattolica, che ha origine nell’ambito dell’Im-pero romano, elaborò la propria dottrina sul matri-monio nell’alveo della cultura giuridica romana. I romani vedevano nel matrimonio un istituto giu-ridico e non religioso basato sul diritto naturale. Secondo il diritto romano l’elemento costitutivo del matrimonio era il consenso degli sposi. A tal pro-posito Ulpiano sostiene che nuptias non concubitus facit, sed consensus (“il matrimonio è il prodotto non della consumazione ma del consenso”). Questa concezione produceva due effetti fondamentali: in primo luogo la consumazione delle nozze non era considerata una condizione irrinunciabile per la validità del matri-monio; inoltre, dato che il vincolo coniugale si basava esclusivamente sul consenso degli sposi, il matrimonio non era considerato indissolubile ma poteva essere sciolto in ogni momento qualora fosse venuta meno la volontà di uno o entrambi i contraenti (in realtà il matrimonio si concludeva prevalentemente per iniziativa del marito).Era inoltre prevista una serie di prerequisiti fondamentali, tra i quali il raggiungimento di un’età minima per gli sposi (essa coin-cideva con la pubertà e veniva tradizionalmente fissata a dodici anni per le donne e a quattordici per gli uomini), il divieto di con-trarre nozze tra parenti e l’obbligo alla monogamia.In epoca tardoantica e altomedie-vale (IV-X secolo) la Chiesa si con-fronta anche con le usanze delle popolazioni germaniche che, dopo la caduta dell’Impero romano, diven-gono un elemento costituivo della compagine europea.Le tradizioni germaniche in ambito matrimoniale differivano profonda-

mente dalla cultura giuri-dica romana.Il matrimonio era conside-rato essenzialmente il puro frutto della coabitazione e quindi aveva più la valenza di status sociale che di un istituto giuridico definito. Alla donna era riconosciuta un’autonomia decisionale molto limitata, in quanto il matrimonio era princi-palmente il frutto della

volontà degli uomini, soprattutto del futuro marito e delle famiglie degli sposi. Esistevano tre modelli di matrimonio: il ratto della sposa da parte del futuro marito (Raubehe), socialmente riprovevole ma molto diffuso; il Kaufehe, matrimonio per acquisto, in cui la potestà sulla futura moglie veniva acquisita dal marito attraverso la cessione di beni al padre della sposa; infine il matrimonio basato sull’accordo dei due sposi (Friedelehe) senza trasmissione di ric-chezza. Al contrario del diritto romano il consenso

dei coniugi, soprattutto della donna, era considerato nel matrimonio germanico un elemento secondario. Ciò è dimo-strato anche dal fatto che il matrimo-

nio per acquisto era considerato la forma più nobile di nozze, mentre il matrimonio per con-senso era considerato di grado inferiore. Nel modello germa-nico l’elemento fondamentale per la validità delle nozze era considerato la consumazione sessuale. La poligamia e il concubinato erano pratiche diffuse ed era, inoltre, ricono-sciuta agli uomini un’estrema libertà nello scioglimento del vincolo matrimoniale.Sin dalle origini, la Chiesa deve dunque confrontarsi nell’ela-borazione della sua disciplina matrimoniale con il modello giuridico romano e, in misura minore, con il sistema di tradi-zioni germaniche. Il modello di riferimento prevalente dei Padri della Chiesa

diviene il diritto romano, da cui vengono ereditati

soprattutto il principio del consenso degli sposi come elemento

Il matrimonio canonico

di Anselmo Vilardi

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costitutivo del vincolo matrimoniale e la maggior parte dei prerequisiti per gli sposi. Tuttavia il catto-licesimo si distingue dal modello romano per una serie di principi fondamentali:il matrimonio non è più considerato un semplice istituto giuridico ma un sacramento di natura divina. Già in due passi del primo libro della Bibbia (Genesi 2,18 e 22-24) il matrimonio è presentato come unione monogamica di un uomo e una donna riuniti per volontà di Dio, “in una sola carne”. Nel Nuovo Testamento il matrimonio è definito sacramentum da Paolo in Ef 5,32.Al contrario della Legge ebraica, che prevedeva il ripudio, la Chiesa cattolica stabilisce il principio dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale. Questa concezione trae origine da una serie di passi neote-stamentari tra i quali, in particolare, Mt 19,6: “quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”.La sessualità deve essere esercitata solamente all’in-terno del legame coniugale e deve essere finalizzata alla procreazione. Questo principio è sancito dal richiamo biblico “crescete e moltiplicatevi” (Genesi 1,28).Soprattutto dal Tardoantico e dall’Alto Medioevo (IV-X secolo) la Chiesa avvia un processo di progres-

sivo accrescimento della propria elaborazione in ambito matrimoniale, benché in questo periodo non elabori un completo sistema dottrinale, ma si con-centri su singoli specifici principi. Fino all’XI secolo, tuttavia, la Chiesa non riesce a imporre pienamente la propria concezione del matrimonio e della sessua-lità nella società europea. I rapporti sessuali extramatrimoniali sono social-mente accettati; ancora nell’862, in un sinodo ad Aquisgrana, si dichiara: “È molto raro che un uomo si sposi senza aver prima conosciuto una donna, e forse è così per tutti”. Il divorzio, il ripudio, il concu-binato e il ratto rimangono pratiche estremamente diffuse. Inoltre la legislazione sulla materia coniugale è ancora esercitata principalmente dalle autorità civili, benché si venga rafforzando nel corso dell’Alto Medioevo il ruolo delle autorità ecclesiastiche.Nel corso dei secoli IV-X la Chiesa tenta, dunque, di esercitare in ambito matrimoniale la propria influenza sulla società e sulle autorità civili con risul-tati, tuttavia, ambivalenti. Tra il IV e il VI secolo, ad esempio, gli imperatori romani iniziano a limitare la precedente libertà assoluta di divorzio, ma ancora nel 556 l’imperatore Giustino, pur riconoscendo il

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principio dell’indissolubilità del vincolo matrimo-niale, garantisce il diritto al divorzio per mutuo con-senso per risolvere situazioni insanabili di “odio tra gli sposi”; ancora nell’VIII-X secolo gli imperatori carolingi, pur considerandosi difensori del papato, conducono vite private a volte distanti dai principi matrimoniali cattolici: Carlo Magno stesso ripudiò in vita diverse mogli.A partire dal 1000 l’istituto del matrimonio conosce in Europa una rapida evoluzione. Nell’XI secolo la riforma gregoriana rinsalda le strutture della Chiesa e il suo ruolo nella società. In questo contesto la Chiesa riesce a consolidare tra il XII e il XIV secolo la propria competenza anche in ambito coniugale: da un lato impone progressivamente l’applicazione delle sue normative in materia, il monopolio giurisdi-zionale dei suoi tribunali e la riduzione del ruolo delle autorità civili; dall’altro inizia a elaborare un sistema dottrinale strutturato, risolvendo alcune delle pro-blematiche lasciate sino a quel momento insolute.In particolare viene stabilito definitivamente il prin-cipio del consenso come elemento costitutivo del vincolo matrimoniale. Con la teoria del “consensua-lismo” la libera decisione del singolo veniva posta alla base del matrimonio e in tal modo si fa strada il principio che l’individuo non debba più essere sog-getto al rigido controllo della famiglia, del clan, del lignaggio o dei signori feudali.La Chiesa impone, tuttavia, un sistema molto com-plesso di limitazioni alla libera scelta degli individui, denominati “impedimenti”, che traggono origine anche dall’eredità romana. In tal senso vengono definiti, tra l’altro, un’età minima per gli sposi e il divieto di nozze tra parenti.L’influenza delle tradizioni germaniche traspare invece dall’importanza attribuita alla consumazione delle nozze. Benché il consenso costituisca l’ele-mento centrale per la formazione del vincolo matri-moniale, la copula carnalis mantiene, infatti, un ruolo rilevante per sancire l’avvenuto matrimonio. Ancora oggi fra le cause di scioglimento di un matrimonio da parte dei Tribunali ecclesiastici vi è la mancata consumazione dell’unione. Importanti modifiche in materia matrimoniale vennero introdotte in occa-sione del Concilio di Trento (1545-1563).In primo luogo vennero condannate le nuove conce-zioni elaborate dai movimenti protestanti, che ave-vano messo in discussione i principi basilari della dottrina cattolica in ambito matrimoniale. In partico-lare erano state negate la natura sacramentale del matrimonio, l’indissolubilità del vincolo coniugale e, più in generale, gran parte della legislazione in mate-ria emanata dall’autorità papale nel corso del Medio-evo, sostenendo, tra l’altro, la legittimità del divorzio in determinati casi. In risposta a questa concezione

la Chiesa cattolica ribadì nel Concilio tutti i prin-cipi fondamentali elaborati nei secoli precedenti: il matrimonio come sacramento, la teoria degli “impe-dimenti”, l’indissolubilità del matrimonio e il conse-guente divieto di divorzio.Oltre a condannare le tesi protestanti, il Concilio di Trento affrontò la questione dei matrimoni clande-stini, celebrati fra parti consenzienti, ma senza la dovuta pubblicità. Il principio del puro consensua-lismo, secondo il quale la validità del vincolo coniu-gale dipendeva esclusivamente dalla dichiarazione di volontà dei coniugi, aveva, infatti, evidenziato nel corso del Medioevo una serie di problematiche. In particolare l’assenza di forme prestabilite di celebra-zione del matrimonio e di forme di pubblicità delle nozze (come ad esempio la presenza di testimoni al momento delle nozze) poteva rendere difficoltoso dimostrare a posteriori la sussistenza di un matrimo-nio. Questa situazione dava adito a grande conflit-tualità in quanto uno o addirittura entrambi i coniugi potevano negare in un secondo tempo l’avvenuto matrimonio e contrarre nuove nozze, abbandonando il coniuge e violando il principio dell’indissolubilità del matrimonio.Di fronte a queste problematiche, che ponevano gravi problemi di carattere dogmatico ma anche sociale, già a partire dal concilio Laterano IV del 1215 si era tentato di imporre l’obbligo delle pubblicazioni e della celebrazione delle nozze in pubblico, ma queste prescrizioni erano risultate inefficaci.Questa situazione venne sanata nell’ambito del Con-cilio di Trento, che impose l’obbligo di pubblicità e di forme prestabilite di celebrazione come condi-zione imprescindibile per la validità del matrimonio. In tal senso vennero previste le pubblicazioni delle future nozze in occasione delle tre domeniche pre-cedenti e la celebrazione in facie ecclesiae alla pre-senza di almeno due-tre testimoni e di un sacerdote che interroga i futuri sposi sulla volontà di contrarre matrimonio. Il matrimonio poteva essere celebrato solamente dal parroco del luogo di domicilio di uno o entrambi i coniugi. Infine, per garantire nel tempo la pubblicità delle nozze, queste dovevano essere annotate in appositi registri conservati in tutte le parrocchie. Con queste procedure venne garantito il principio consensualista, ma furono anche affron-tate e risolte le problematicità collegate ai matrimoni clandestini.Nel corso dei secoli successivi la dottrina matrimo-niale della Chiesa cattolica si stabilizzò attorno ai dettami elaborati nel Concilio di Trento. La Chiesa dovette, tuttavia, affrontare nello stesso periodo una forte opposizione in molti stati europei all’applica-zione dei Decreti tridentini, sia da parte delle autorità statali, desiderose di mantenere la propria compe-

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tenza in un campo socialmente così rilevante, sia da parte delle comunità locali, che rifiutavano di rinun-ciare alle proprie secolari consuetudini. La norma-tiva tridentina divenne progressivamente il modello di riferimento in tutto il mondo cattolico, sebbene, in alcune realtà, la resistenza si sia protratta per un lungo periodo: ancora agli inizi del XX secolo i matri-moni clandestini erano considerati validi in alcune aree della Germania cattolica.Nei secoli più recenti, in particolare dal Settecento, la Chiesa cattolica si è dovuta tuttavia confrontare anche con il processo di secolarizzazione della società europea. Questo fenomeno ha influenzato anche l’istituto del matrimonio. I principali Stati europei hanno ini-ziato a elaborare una propria legislazione autonoma in materia; inoltre, soprattutto a partire dalla Rivo-luzione francese e dal Codice napoleonico, in con-correnza al matrimonio canonico si è venuto affer-

mandosi l’istituto del matrimonio civile, celebrato secondo le normative statali e sottoposto alla loro autorità. Di fronte a questi fenomeni, che mettevano in discus-sione il monopolio giurisdizionale ecclesiastico, la Chiesa è intervenuta ripetutamente nel corso degli ultimi tre secoli ribadendo e approfondendo la dot-trina del matrimonio canonico, nonché riaffermando la centralità della sua competenza in tale ambito. In Italia, con il Concordato del 1929, lo Stato italiano e la Santa Sede stipularono un’intesa in materia, che fu confermata e precisata in occasione del Concor-dato del 1984. Sulla base di questi accordi nell’ordi-namento civile italiano odierno è previsto, accanto al matrimonio civile, l’istituto del matrimonio “con-cordatario”, inteso come matrimonio canonico cele-brato secondo i dettami della religione cattolica, ma riconosciuto nei suoi effetti civili anche dallo Stato italiano.

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Il termine italiano “matri-monio” ha origine dal latino matrimonium. Questa paro-la, che ha in latino lo stesso significato del corrispettivo italiano, deriva dalla formu-la matris munus, “il compi-to della madre” (da mater – madre – e munus – compito, dovere). Questa espressione fa esplicitamente riferimen-to al ruolo della donna come genitrice di figli e racchiude due fondamentali principi: da un lato una specifica va-lenza giuridica in quanto in-dicava che i figli generati da una donna sono legittimi solamente se nati nell’ambito di un matrimonio; dall’altro, soprattutto nella dottrina cristiana, la con-cezione secondo cui il matrimonio è finalizzato alla nascita di una prole. Il termine “matrimonio” è stret-tamente correlato al termine “patrimonio”. Mentre il primo allude al “compito della madre”, cioè gene-rare figli, il secondo fa riferimento al “compito del padre” (patris munus), vale a dire garantire il so-stentamento della famiglia. Molto diversificata ap-pare l’origine delle traduzioni del termine “matrimo-nio” in alcune delle principali lingue europee. In fran-cese il vocabolo mariage deriva dal latino maritus, “uomo sposato” (dal latino mas, maris “maschio”). Dal termine francese si è sviluppato a partire dal Me-dioevo il corrispettivo inglese marriage. Il vocabolo tedesco Ehe ha avuto invece origine dal mondo ger-manico. Nell’alto Medioevo, attorno all’VIII secolo, la parola ëwa indicava concetti come “diritto, legge, regola, obbligo, normativa, contratto”; nel corso dei secoli il senso di questo termine si è evoluto fino ad assumere, soprattutto a partire dal XIII secolo, il suo odierno significato di “matrimonio”.

Il termine “matrimonio” L’annullamento

Secondo la dottrina della Chiesa cattolica una del-le proprietà inderogabili del matrimonio canonico è la sua indissolubilità. Questo principio trae la sua origine da numerosi passi delle Sacre Scrit-ture, in particolare Mt. 19,6: “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”.Esistono, tuttavia, condi-zioni per le quali un ma-trimonio celebrato può essere dichiarato nullo. Ciò accade quando il ma-trimonio è considerato

invalido sin dall’origine in quanto al momento della celebrazione non erano state rispettate tutte le pre-scrizioni previste dalla Chiesa.Esiste un ampio spettro di casi che possono pro-durre l’annullamento del matrimonio. Tra i principali l’esistenza di precedenti vincoli, la presenza di legami di parentela, vizi nelle forma del-la celebrazione, assenza di una reale volontà in uno o entrambi gli sposi (ad esempio se un coniuge non è in grado di intendere e volere oppure se uno o entrambi gli sposi sono stati obbligati con la forza o con pressioni psicologiche).Esistono inoltre casi in cui un matrimonio regolar-mente celebrato può essere sciolto. Questa casisti-ca è molto più limitata; tra le cause più diffuse si può segnalare la mancata consumazione del ma-trimonio (il cosiddetto matrimonio “rato e non con-sumato”).Nei casi di annullamento del matrimonio la com-petenza è attribuita ai tribunali ecclesiastici istituiti presso le diocesi a livello locale e al Tribunale apo-stolico della Rota Romana presso il Vaticano.

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Diego Quaglioni è professore ordinario di Storia del diritto medievale e moderno all’Univer-sità degli studi di Trento. È stato, fra l’altro, preside della Facoltà di Giurisprudenza di Trento e direttore del Diparti-mento di scienze giuridiche. Ha studiato a Napoli e insegnato a Sassari e a Roma. È stato ospitato come visiting professor a Parigi (Panthéon-Sor-bonne), a Lione (Ecole Normale Supérieure), a Francoforte (Max-Planck Institut) e a Berkeley (Boalt Hall). È autore di numerose pubblicazioni, fra le quali si segnalano i tre volumi sugli Inizi del diritto pubblico in Europa (con Gerhard Dilcher), Bologna, Il mulino-Ber-lino, Duncker & Humbolt, 2007, 2008 e 2011; Processi contro gli ebrei di Trento (1475-1478): 2.: I processi

alle donne (1475-1476) (con Anna Esposito), Padova, Cedam, 2008; Credito e usura fra teologia, diritto e amministrazione: linguaggi a confronto (sec. XII-XVI) (con Giacomo Todeschini e Gian Maria Varanini), Roma, École française de Rome, 2005; La giustizia nel Medioevo e nella prima età moderna, Bologna, Il mulino, 2004; La sovranità, Roma-Bari, Laterza, 2004. Il libro più recente è la raccolta di saggi sul pensiero giuridico del Cinquecento Machiavelli e la lingua della giurisprudenza: una letteratura della crisi, Bologna, Il mulino, 2011. Ha in corso di stampa, nei “Meridiani” Mondadori, una nuova edizione commentata della Monarchia di Dante Alighieri.

Chiara Saraceno ha insegnato presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento e, dal 1990 al 2008, presso la Facoltà di scienze politiche dell’Univer-sità degli studi di Torino, dove ha anche diretto il Centro interdisci-plinare di ricerche delle donne (CIRSDe) e il dottorato in ricerca sociale comparata. Dal 2006 a luglio 2011 è stata professore di ricerca al Wissen-schaftszentrum für Sozialfor-

schung di Berlino. Attualmente è honorary fellow presso il Collegio Carlo Alberto di Torino. Dal 1999 al 2001 è stata presidente della Commissione di inda-gine sull’esclusione sociale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, mentre dal 2000 al 2001 ha rappresentato l’Italia nel Social Protection Committee dell’Unione europea.

È autrice e curatrice di numerose pubblicazioni, tra cui: Diversi da chi? Gay, lesbiche, transessuali in un’a-rea metropolitana, Milano, Guerini, 2003; Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Bologna, Il mulino, 2003; Sociologia della famiglia (con Manuela Naldini), Bologna, Il mulino, 2007; I nuovi poveri: politiche per le disuguaglianze (con Pierluigi Dovis), Torino, Codice, 2011; Onora il padre e la madre (con Giuseppe Laras), Bologna, Il mulino, 2011; Conci-liare famiglia e lavoro: vecchi e nuovi patti tra sessi e generazioni (con Manuela Naldini), Bologna, Il Mulino, 2011; Cittadini a metà: come hanno rubato i diritti degli italiani, Milano, Rizzoli 2012.

Il matrimonio in Occidenteinterviste con

Diego Quaglioni e Chiara Saraceno

a cura di Paola Bertoldi

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Diego Quaglioni: “L’aver negato la necessità del consenso delle famiglie per la validità dell’unione coniugale ha significato un immenso valore liberato-rio, specie per la donna, che spesso era un semplice ‘pegno’ di alleanze familiari e politiche”.

Il Concilio di Trento ha rappresentato un momento cruciale per l’istituzione matrimonio. Che cosa è avvenuto in quel momento e quali sono state le principali conseguenze?Il Concilio iniziato a Trento nel 1545 ha dedicato al matrimonio la sua ultima sessione, svoltasi fra novembre e dicembre del 1563, ma va detto che la discussione sul matrimonio ha occupato gran parte del dibattito conciliare. Il tema, infatti, ha rappresen-tato un terreno di scontro sia dal punto di vista teo-logico che giuridico e politico. Il Concilio era nato per contrastare il movimento di riforma luterana dif-fusosi nei paesi tedeschi e il matrimonio era uno dei punti di massimo dissenso fra le due confessioni. Mentre la Chiesa cattolica conferma la natura sacra-mentale del contratto matrimoniale, che perciò è indissolubile, i protestanti lo considerano un con-tratto civile, con tutte le conseguenze che questo comporta. Non si trattò solo di una disputa teologica, ma di una questione che ebbe importanti riflessi sul piano giuridico. La Chiesa era allora il solo potere competente a giu-dicare le cause matrimoniali, mentre la Riforma toglie questo diritto alla Chiesa, trasferendo tale compe-tenza giurisdizionale allo Stato. L’unione coniugale nel mondo protestante diviene un contratto discipli-nato dalle norme secolari e questo implica che anche tutte le relazioni che oggi sono disciplinate dal diritto di famiglia siano sottratte al potere ecclesiastico. Non si tratta insomma solo dei matrimoni, ma anche dell’educazione della prole, dei rapporti patrimoniali, e così via. In sostanza, la Riforma afferma che la Chiesa deve essere solo una comunità di fedeli in cui vige un “sacerdozio universale”, non un’istituzione, un ordinamento giuridico produttore di norme e di sanzioni giuridiche.Il Concilio di Trento riconferma il sacramento del matrimonio e l’intera tradizione dottrinale della Chiesa. Da questo punto di vista non ci sono state successive evoluzioni perché per quanto riguarda la dottrina e quanto stabilito a Trento, la Chiesa non ha mai smentito nulla. Nel corso del tempo il matri-monio è poi diventata un’istituzione disciplinata dal potere secolare, e per molto tempo è stata mate-ria di conflitto. In Italia, per esempio, è solo con il primo Concordato (1929) che si riconosce che il rito religioso produce anche gli effetti civili (il sacerdote funge da ufficiale di stato civile e legge agli sposi gli articoli del codice civile).

Quali sono stati, nello specifico, gli aspetti legati al matrimonio disciplinati dal Concilio di Trento?Il Concilio stabilisce che il matrimonio è un vincolo indissolubile, sacramentale e giuridico, che si costi-tuisce per il solo consenso dei nubendi. La Chiesa eredita il concetto romanistico di matrimonio: è suf-ficiente che le due parti esprimano il loro consenso qui e ora per validare il “contratto”. Questo aspetto del solo consenso è fondamentale perché implica che il matrimonio nella sua essenza è l’unione di due volontà. Per la Chiesa medievale era sufficiente, nel matrimonio, che la promessa de praesenti fosse scambiata antem faciem ecclesiae, davanti alla chiesa: è un’espressione dal doppio significato, che presuppone il riconoscimento di Dio e della comunità di appartenenza. Il Concilio, con il decreto Tametsi, prevede anche la pubblicazione della notizia delle nozze (da affiggersi anticipatamente nella parrocchia della sposa), la presenza dell’officiante che rivolge le domande di rito e dei testimoni. Lo scopo di tutto questo è chiaramente quello di rendere pubblica e “documentabile” l’unione. Il sacerdote certificava poi l’evento nei registri parrocchiali che rappresentano, se così si può dire, una prima forma di anagrafe e che oggi sono fonti utilissime per la ricerca storica. Tutte queste pratiche sono poi state, è evidente, imi-tate dallo stato nei secoli successivi.In che senso il Concilio ha rappresentato una rot-tura rispetto al passato?La Chiesa a Trento ha resistito alle pressioni di grandi potenze europee, come la Francia o la Spagna, che chiedevano una disciplina più severa che legasse la validità del matrimonio al consenso genitoriale. È questo un atteggiamento tipico delle società ari-stocratiche, che la Chiesa ha il merito di aver com-battuto. L’aver negato la necessità del consenso delle famiglie per la validità dell’unione coniugale ha significato un immenso valore liberatorio, specie per la donna, che spesso era un semplice “pegno” di alleanze familiari e politiche. Per la dottrina ecclesia-stica, anzi, il vizio del consenso è uno dei maggiori impedimenti al costituirsi del vincolo: se i nubendi non esprimono liberamente la loro volontà, l’unione è nulla. Quello che invece il Concilio di Trento non ha voluto fare, lasciando la situazione in un limbo di ambiguità, è stato condannare i matrimoni clan-destini fino a dichiararli radicalmente invalidi. Se studiamo le cause che arrivano davanti ai tribunali ecclesiastici vediamo che nella maggior parte dei casi si tratta di istanze di separazione per maltratta-menti subiti dalle donne, oppure di unioni contro-verse, nelle quali uno dei coniugi nega di aver mai voluto unirsi in matrimonio all’altro. In quest’ultimo caso il giudice ecclesiastico cerca di capire se vi sia stato realmente matrimonio, usando tutti i mezzi a

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sua disposizione: le testimonianze dei vicini, la pre-senza dei segni del consenso come l’anello nuziale, convivenza dei coniugi e così via.Ciò che Dio ha unito, l’uomo non osi dividere, ma anche in passato poteva essere sancita la fine di un vincolo matrimoniale. Come erano gestiti questi momenti e soprattutto chi se ne faceva carico?La parola divorzio deriva da divertere, “separare”, ma significa anche “cambiare intenzione”. Era un aspetto previsto dal diritto romano: il matrimonio era un contratto e quindi a certe condizioni poteva essere sciolto. La Chiesa, dopo aver confermato solennemente il dogma teologico-giuridico dell’in-dissolubilità del matrimonio, non ne può ammettere lo scioglimento, ma solo la separazione personale dei coniugi manente vinculo, “in permanenza del vincolo”. Il matrimonio non può essere sciolto, nep-pure in maniera consensuale, ma è ammissibile che i due coniugi si separino e non vivano più insieme. Il diritto canonico dell’età intermedia ammetteva, tra i legittimi motivi che potevano indurre il giudice ecclesiastico a pronunciare una sentenza di separa-zione, le malattie contagiose, il rischio della vita (nel caso di maltrattamenti gravi), il desiderio di uno dei due di darsi alla vita religiosa ed entrare in convento o in monastero, l’adulterio, l’essersi macchiati di delitti come l’eresia, e così via. Il giudice separava in questo modo i due coniugi dalla convivenza, ovvero “dalla mensa e dal letto”. Si utilizzava questa formula perché altamente simbolica della fides scambievole fra gli sposi.Nei secoli scorsi come sono stati affrontati dalla società e dal diritto occidentali i cosiddetti compor-tamenti “devianti” – rispetto a quanto previsto dal modello di unione matrimoniale tradizionale – quali l’adulterio, il concubinato, i rapporti pre-matrimo-niali, lo stupro o la stessa unione fra coniugi di età assai differente fra loro?In età medievale e protomoderna le trasgressioni nella sfera sessuale e matrimoniale sono sanzionate in vario modo sia dalla giurisdizione ecclesiastica sia da quella secolare (spesso si tratta di reati di “misto foro”). Il tribunale ecclesiastico si occupava degli aspetti spirituali mentre il tribunale civile giudicava sul piano del buoncostume. Poteva capitare, per fare un esempio, che il giudice ecclesiastico decretasse la separazione per punire un marito concubinario, e che il reo dovesse poi presentarsi davanti al tribu-nale secolare nel caso in cui si rifiutasse di restituire la dote o la quota della dote a suo tempo costitui ta e già versata. Questi aspetti potevano assumere anche una valenza politica di grande momento. Non dimentichiamo che Enrico VIII d’Inghilterra emanò l’Atto di Supremazia a causa del rifiuto della Chiesa di Roma di dichiarare la nullità del matrimonio dal

quale egli non poteva avere un erede legittimo nella successione al trono. Ne nacque lo scisma religioso che ancor oggi fa della regina Elisabetta II il capo della Chiesa d’Inghilterra.Guardando alla storia dell’Occidente un’immagine consolidata vuole le donne come totalmente sog-gette all’autorità maschile. È sempre stato vera-mente così anche nelle dinamiche matrimoniali oppure la rappresentazione di “donna sottomessa” va in qualche modo corretta?So che quanto dico può risultare in contraddizione con i luoghi comuni oggi vigenti, ma sulla questione femminile non può non essere sottolineata l’opera benefica svolta dalla Chiesa per affermare la dignità della donna. Storicamente, è nella cultura ecclesia-stica che si trovano le tracce di una civilizzazione che ha portato via via la donna ad avere una posizione di dignità e responsabilità pari a quella dell’uomo. In ambito matrimoniale, imponendo la regola del con-senso liberamente espresso da entrambi i nubendi, la Chiesa ha dato lo spunto per il costituirsi di rap-porti paritari fra uomo e donna, anche se poi è chiaro che la condizione femminile ha sempre risentito di pregiudizi e limitazioni provenienti da consuetudini radicate nella società. Ad ogni modo, il diritto civile, nei confronti della donna, è sempre stato molto più duro di quello canonico.La nostra regione, fin dalla prima metà del Nove-cento, registra i tassi di nuzialità fra i più bassi a livello nazionale. Inoltre, negli ultimi anni, si assiste a un aumento delle persone che scelgono di dar vita a un nucleo familiare senza vincoli di tipo matrimoniale. Al tempo stesso crescono le separazioni più o meno consensuali. Non crede che questi fenomeni segnino la necessità di ripensare il fondamento e le forme del concetto di unione e modificare le politiche di soste-gno in favore della famiglia da più parti invocate?Il diritto non è un insieme di regole modificabili a piacimento e a capriccio; è soprattutto un sistema di principi che non possono piegarsi agli umori del momento. La Costituzione stessa, più che un insieme di regole “poste”, è un sistema di “presupposti”, di princìpi etico-giuridici costitutivi di tutto l’ordina-mento. Sono assolutamente d’accordo che servano politiche per la famiglia, al momento assenti. Oggi lo stato sociale viene eroso: si fanno grandi discorsi sull’esigenza di favorire le famiglie, ma lo stato delle cose rende quasi impossibile che due giovani for-mino una famiglia con un minimo di fiducia nel proprio futuro e in quello dei propri figli. La nostra è una società sempre più gretta ed egoistica, dove regnano violenza, inciviltà, incapacità di attuare una pari dignità fra uomini e donne. Non è il diritto che va modificato; è invece vero che avremmo urgente bisogno di una grande riforma morale.

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Lei ha coordinato insieme a Silvana Seidel-Menchi un ampio progetto di ricerca sulla storia del matri-monio. Ne può indicare in sintesi i presupposti, gli obiettivi e i principali risultati raggiunti?Abbiamo coordinato un’equipe internazionale di studiosi e, grazie a un finanziamento prima da parte dell’Ateneo di Trento, poi del Ministero dell’Univer-sità e della Ricerca, siamo arrivati alla pubblicazione di quattro volumi dedicati ai processi matrimoniali negli archivi ecclesiastici italiani: Coniugi nemici: la separazione in Italia (secoli XII-XVIII), Matrimoni in dubbio: unioni controverse e nozze clandestine in Italia dal XIV al XVIII secolo, Trasgressioni: concu-binato, adulterio, bigamia (secoli XIV-XVIII), I tribu-nali del matrimonio (secoli XV-XVIII). È stata un’av-ventura intellettuale, scientifica e accademica: otto seminari internazionali organizzati fra Trento, Firenze e Venezia dal 1997 al 2001, un convegno interna-zionale a fine 2001, quattro volumi editi dall’editore Il mulino di Bologna per l’Istituto storico italo-ger-manico in Trento dal 2000 al 2007, per oltre 2.500 pagine. Si è trattato di un lavoro che ha rivoluzio-nato la storiografia contemporanea sul matrimonio e la famiglia. Abbiamo studiato la dimensione “con-flittuale” del matrimonio. Ci siamo cioè occupati delle separazioni, del matrimonio contestato, delle relazioni patrimoniali, dei reati legati alla sfera ses-suale. I documenti processuali sono indicatori pre-ziosi anche della mentalità e dei costumi, non solo dell’applicazione in giudizio delle norme e delle pro-cedure. Spesso i processi vengono analizzati solo come fossero dei contenitori di “storie” personali e familiari, senza considerare gli aspetti tecnico-giu-ridici e quelli dottrinali, il contesto sociale e politico, eccetera. Quello che ne è uscito è stato un lavoro molto serio, ben documen-tato e di grande valore per gli studiosi, che ha rappresentato un acquisto importante anche dal punto di vista metodologico. È stata una fatica che ci ha ricompen-sato ampiamente sia sul piano scien-tifico, sia sul piano dei riconoscimenti, perché non sono mancate numerose e qualificatissime recensioni sulle rivi-ste scientifiche internazionali, dalle Annales alla American Histori-

cal Review. Aggiungerò un episodio: nel novembre 2008, sulla pagina della cultura del New York Times, apparve un articolo di Carol Vogel che annunciava una grande mostra al Metropolitan Museum su Art and Love in Reinaissance Italy. La brillante giornali-sta apriva il suo pezzo citando il nostro lavoro, che come ora si vede anche dal catalogo a stampa della mostra, è stato la principale fonte d’ispirazione di una così prestigiosa iniziativa.

Chiara Saraceno: “Il matrimonio non è più un rito di passaggio, è diventato un rito di conferma”.

In questo momento storico pare si sia di fronte alla crisi del matrimonio oppure questa è solo una fase di transizione che non ne intaccherà le fonda-menta? Come si può immaginare il futuro di questa secolare istituzione?Oggi molte cose si stanno modificando, anche i rap-porti fra i sessi e le generazioni mutano, perché cam-biano le aspettative reciproche ed anche perché si vive più a lungo. La famiglia che definiamo tradizio-nale, basata su una gerarchia tra i sessi e le genera-zioni, sul matrimonio per tutta la vita e sulla genera-zione solo entro il matrimonio certamente ha perso forza e legittimità.

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Ma ciò non significa che non si fa più famiglia, che non ci si mette più in coppia, che non si entra più in patti duraturi di coppia. Siamo in una fase, come altre ce ne sono state in passato, di ridefinizione dell’isti-tuzione famiglia a partire da una ridefinizione dell’isti-tuzione matrimonio. Si può parlare di crisi nel senso proprio di questo termine: di cambiamento di assetti che si erano consolidati, di fase di passaggio verso nuovi assetti, nuovi equilibri. Le vecchie regole non sono ancora alle nostre spalle e i nuovi modelli non si sono ancora del tutto consolidati. Un tempo solo con il matrimonio era possibile formare una famiglia, mentre oggi viviamo in un sistema plurale caratte-rizzato da fenomeni come la convivenza, le separa-

zioni, la costituzione di nuovi tipi di nuclei familiari, le coppie omosessuali. Solo per fare un esempio, in Italia oggi un matrimonio su quattro è preceduto da una convivenza e in molti casi una coppia ha uno o più figli prima di sposarsi. Quindi possiamo parlare di crisi del matrimonio nel suo significato di istitu-zione che consente di mettersi in coppia e procreare. Analogamente, il divorzio, ovvero la reversibilità del matrimonio, lo ha indebolito come istituzione della durata di tutta la vita. Anche se va ricordato che in molte società pre-moderne il divorzio era possibile, anche se sulla base di criteri diversi (ad esempio la infertilità, o il rovesciamento delle alleanze tra le parentele, o il mancato pagamento della dote) da quelli attuali.Il matrimonio nella società occidentale ha storica-mente rappresentato un rito di passaggio. È ancora così? Che cosa rappresenta oggi?Il matrimonio non è più un rito di passaggio, è diven-tato un rito di conferma. Un tempo erano solo le nozze che permettevano di procreare e che apri-vano, nel caso delle donne, alla sessualità. Oggi invece non è più così e assistiamo, come detto prima, a nuove forme di famiglia; nei paesi nordici è così già da più di vent’anni, da noi è un fenomeno più recente e ancora minoritario, ma in crescita. Dobbiamo anche evitare l’errore di considerare che la famiglia basata sul matrimonio monogamico e sulla filiazione legittima (cioè entro il matrimonio) sia un fenomeno universale di cui tutte le altre forme di mettersi in coppia e procreare sono variazioni devianti più o meno innaturali. La famiglia è una costruzione sociale che cambia nel tempo e si tra-sforma. E il matrimonio è un’istituzione sociale e giu-ridica per definizione, quindi mutevole nello spazio e nel tempo, nelle norme che lo regolano, nelle obbli-gazioni e diritti cui dà luogo, nelle motivazioni che lo legittimano e così via.Le motivazioni che spingono le persone oggi a spo-sarsi sono sostanzialmente quelle che valevano in passato?Assolutamente no. Fino a un secolo fa l’amore reciproco non era la caratteristica principale del matrimonio, anche se non ne era necessariamente escluso. L’innamoramento, anzi, era considerato pericoloso perché poteva portare a fare matrimoni non ben ponderati o socialmente non accettati. E l’a-more appariva un fondamento troppo fragile, perché può non durare per sempre. Viceversa l’interesse – dei due singoli o delle loro parentele – appariva una motivazione del tutto legittima e solida. Oggi invece in un rapporto di coppia ci si vuole sentire felici e gratificati sentimentalmente e sessualmente. Il matrimonio è diventato più fragile non solo perché è più socialmente accettato uscirne se non ci si sta

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bene,ma perché ci si aspetta molto sul piano emo-tivo e del benessere psico-sociale. Non dimenti-chiamo poi che oggi i matrimoni sono diventati potenzialmente molto lunghi, perché si vive più a lungo. Ma una vita lunga significa anche più possi-bilità di cambiare in direzioni diverse, o di scoprirsi reciprocamente insopportabili. In altri termini, nel matrimonio contemporaneo occorrono competenze relazionali almeno in parte diverse da quelle neces-sarie un secolo fa, o anche solo cinquant’anni fa.Anche la logica che regola la procreazione è molto cambiata: un tempo i figli erano il bastone per la vecchiaia, dovevano portare avanti il cognome, la casata o l’azienda. Attualmente, invece, fare figli è un bisogno interno, un completamento individuale. Una volta, tra l’altro, non esisteva il concetto di pianificare una gravidanza, al massimo si cercava di non avere troppi bambini per ovvi motivi di sostentamento.L’emancipazione della donna e la messa in discus-sione della divisione dei ruoli come hanno influito sulle dinamiche matrimoniali?Hanno in effetti influito parecchio, è quello che in sociologia si chiama “processo di individualizza-zione”. Rispetto al passato oggi nel matrimonio i due coniugi non sono né partner più o meno asimme-trici in un’impresa sociale (come nella società tra-dizionale), né un’unità fusionale (come si pensava negli anni cinquanta del Novecento, con la scoperta dell’intimità). Sono partner che vogliono intimità, ma anche autonomia e, soprattutto le donne, parità. Questo ha migliorato la condizione della moglie, ma ha cambiato anche la prospettiva dell’uomo, il quale non vuole più una donna che viva solo per lui. Oggi il 51% delle donne con figli lavora e c’è una diversa immagine della maternità e dell’organizza-zione famigliare. Vorrei peraltro sottolineare che lo stereotipo della madre di famiglia che se ne sta fra

le mura domestiche ad accudire la casa e i figli è un modello relativamente recente, che ha preso piede nei vent’anni successivi al secondo conflitto mon-diale. L’età d’oro della “casalinghitudine”, cioè gli anni cinquanta e sessanta, hanno rappresentato una parentesi storica, non una costante. Detto questo, è anche vero che l’Italia è comunque un paese con una divisione del lavoro ancora molto rigida e sono le donne a svolgere quasi tutti i lavori domestici e di cura, anche quando hanno un’occupazione remune-rata. In parte è un problema culturale, in parte una questione di organizzazione complessiva della vita quotidiana e dei servizi. Siamo uno dei paesi in cui da un lato la maggioranza pensa che “un bambino piccolo soffre se la mamma lavora”, dall’altra l’of-ferta e l’organizzazione dei servizi è tale per cui molte mamme sono scoraggiate o colpevolizzate se lavo-rano fuori casa. E quando lo fanno cercano di “com-pensare” facendo tutto, piuttosto che negoziare una maggiore condivisione.Oggi si registra una crescente percentuale di sepa-razioni. Che rapporto c’è fra il tribunale civile e la sacra Rota? Sono due istituzioni in concorrenza fra loro?Negli ultimi anni la sensazione è che la Sacra Romana Chiesa, attraverso la Rota, sia entrata in concorrenza con il tribunale civile non sulle separazioni ma sui divorzi tramite l’annullamento. Un tempo chiedere l’annullamento alla Rota era una procedura lunga e umiliante, bisognava andare a Roma ed era un iter molto difficile. Oggi sono sufficienti pochi testimoni e due o tre ragioni: una delle principali è “l’imbroglio”, basta cioè dire che la persona sposata non è quella che si pensava fosse, tanto per fare un esempio. Ottenere un annullamento – se si trovano le moti-vazioni e i testimoni “giusti” è diventato più veloce che ottenere un divorzio, vista la macchinosità impo-

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sta dalla legge italiana per l’ottenimento di quest’ul-timo. Anche se è più facile ottenere un annullamento quando non ci sono figli, ci sono casi di annullamenti anche in presenza di figli. Lo stesso Pontefice si è preoccupato della facilità con cui vengono concessi gli annullamenti in taluni tribunali ecclesiastici e ha raccomandato maggiore rigore e prudenza. Non solo: dalla Rota si esce “puliti” perché il vincolo matrimoniale non viene sciolto, ma si dichiara che non c’erano le condizioni perché fosse contratto, lo si rende nullo. Quindi, paradossalmente, i divorziati non possono accedere ai sacramenti, mentre per i “sacra rotati” non ci sono problemi. Con questo non voglio criticare le scelte della Chiesa che probabil-mente si è mossa in questa direzione anche in buona fede, per adeguarsi ai tempi e al cambiamento.La Chiesa cattolica si trova a un bivio: dovrà sce-gliere se modificare alcuni suoi assunti o se tenere fede alla teologia. Qual è la direzione verso cui è orientata?La Chiesa non è formalmente intenzionata a cam-biare le proprie posizioni ma mi sembra che, a livello individuale, ci siano sempre più sacerdoti e vescovi disposti a fare delle concessioni, come ad esem-pio accordare i sacramenti ai divorziati o addirittura benedire le coppie gay.Quali sono le reali motivazioni che rendono così difficoltoso il riconoscimento delle coppie omoses-suali?Il riconoscimento, in Italia, per la verità è difficolto-so anche per le coppie etero che decidono di non sposarsi, ma che chiedono di essere considerate una famiglia. Questo viene negato affermando che si tratta di persone che, sottraendosi al matrimonio, non si assumono delle re-sponsabilità. È una pura peti-zione di principio, senza fondamento empirico. Al con-trario, molte coppie di fatto hanno figli (e nei paesi nordi-ci la maggioranza dei primi figli, e una buona quota dei secondi, nasce da una coppia di fatto), segnalan-do che hanno un progetto comune di lungo periodo. Si aggiunga che

anche i matrimoni possono finire e che il matrimonio non garantisce la qualità di un rapporto. Per quan-to riguarda gli omosessuali le cose sono ancora più complicate, nella misura in cui c’è chi, non solo nella Chiesa, considera l’omosessualità una devianza con-tro natura, non uno dei possibili modi di esprimere la sessualità, quindi da non riconoscere in nessun modo, tanto meno legalmente. Nei dibattiti cui par-tecipo mi è capitato spesso di sentire affermazioni assurde come ad esempio la paura che se si rico-noscessero le coppie gay, tutti diventerebbero omo-sessuali e non si farebbero più figli.È una posizione che non commento nemmeno. L’argomento è evidentemente di difficile soluzione, anche perché lo stato italiano è molto clericale e sulle questioni legate alla famiglia e alla sessualità è sem-pre stato tenuto sotto scacco dalla Chiesa. Gli unici casi in cui la Chiesa cattolica ha subito una sconfitta sono state le due leggi che hanno introdotto prima il divorzio e poi l’aborto legale e successivamente la sconfitta dei due referendum abrogativi. Ma era un altro clima politico-culturale.Che cosa pensa dei corsi pre matrimoniali organiz-zati dalla Chiesa o dagli enti pubblici? Sono una cosa utile oppure rappresentano solo una volontà di disciplinamento?La Chiesa ha deciso di organizzare questi corsi per-ché i tempi si stavano trasformando ed era probabil-mente il caso di ricordare cosa fosse il matrimonio cristiano. Questi corsi rivelano anche la necessità di adeguarsi ai tempi che cambiano, con aspetti a volte divertenti: il vestito bianco non è più metafora della verginità, ma adesso significa “nuovo inizio”...

Ad ogni modo capisco che la Chiesa abbia deciso di rendere ob-bligatori questi corsi: si tratta della prepa-razione a ricevere un sacramento, non di-versamente dalla co-munione o dalla cre-sima (o dall’ordine, per i sacerdoti). Nel caso invece dei corsi facoltativi organizza-ti dagli enti pubblici, va rilevata la positiva tendenza diffusasi ul-timamente di gruppi di auto mutuo aiuto dove si affrontano insieme certe temati-che. I corsi per le cop-pie rientrano in parte

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in questa tipologia e come tali non li demonizzerei. Sono occasioni per sviluppare un dialogo e aprire riflessioni, anche se non credo che possano effetti-vamente insegnare come funziona un matrimonio.Come è cambiato l’approccio al matrimonio, ossia quanto l’ambito sociale di riferimento incide ancora sulle scelte?Anche oggi i modelli sociali sono determinanti nelle scelte, però sono profondamente mutate le dinami-che. Un tempo la decisione avveniva sulla esplicita base di appartenenza a una classe sociale o a un ceto ed ecco allora che la figlia del farmacista sposava un farmacista, o un notaio. Oggi non è molto diverso, c’è ancora una forte omogamia, ma il tutto avviene in modo molto meno consapevole ed è radicalmente cambiato il processo attraverso cui si arriva al mede-simo risultato. Adesso la cosa avviene a monte: la gente s’ incontra, si frequenta, si piace nei luoghi fre-quentati da coloro che sono socialmente simili, e si educa a riconoscere chi ha gusti, stili di vita, simili. Sembra che ci mescoliamo, in realtà i nostri conte-sti di relazioni sociali sono selezionati in base alle scuole che frequentiamo, il lavoro che facciamo, il modo e i luoghi in cui passiamo il tempo libero, e così via. Possiamo dire che ai giorni nostri viviamo in una condizione di apparente libertà, mentre in realtà accade che ci si innamora della persona “social-mente giusta”. L’innamoramento, è ovvio, non avviene nel vuoto pneumatico, ma è condizionato dall’ambiente in cui siamo immersi e dalle persone che conosciamo e frequentiamo. Ecco perché viene in qualche modo indirizzato dal contesto in cui ci tro-viamo. Se ci si innamora della persona “socialmente sbagliata”, infatti, arrivano segnali che classificano l’accaduto come “una sbandata” o come qualcosa

che non può durare. Anche oggi, perciò, c’è una for-tissima omogamia, anche se non viene regolata in modo rigido come un tempo, ma accade senza che la si disciplini in manifesti codici di comportamento. Un tempo i coniugi venivano esplicitamente cercati e appaiati in base alla loro compatibilità sociale; oggi invece, attraverso un “addestramento del gusto”, sono i singoli che apparentemente scelgono in auto-nomia il proprio partner, ma si tratta in realtà di una decisione “guidata”.Per buona parte del Novecento la separazione o il fallimento di un matrimonio è stato anche sino-nimo di vergogna, di qualcosa da nascondere agli altri. Oggi qual è l’atteggiamento culturale più dif-fuso nei confronti di questo evento?È comunque il fallimento di un rapporto, capita anche con un’amicizia, figuriamoci quando si tratta di una relazione amorosa, di qualcosa su cui si ha investito molto come un matrimonio. Oggi però sono molte le unioni che finiscono, di conseguenza parecchie per-sone si trovano nella stessa situazione ed è più facile parlarne, confrontarsi e arrivare a una decisione con-sapevole, aperta, ragionata. Oggi chi divorzia non è più (se donna) un paria sociale, anche perché la società è cambiata molto e ha aumentato le possibili cause di fallimento di un matrimonio, basti pensare ai cambiamenti di lavoro, di stile di vita, alle possibi-lità di innamorarsi di qualcun altro, ai suoceri e così via. È chiaro che l’Italia è lunga e ha molte diversità al proprio interno, ma possiamo tranquillamente affermare che la fine di un matrimonio non è più una specie di tabù. Per fortuna, i tempi sono cambiati e anche le donne oggi possono arrivare a questa deci-sione senza essere considerate delle “svergognate” come succedeva ancora negli anni settanta.

Cecilia Cristellon, La carità e l’eros; il matrimonio, la Chiesa, i suoi giudici nella Venezia del Rinascimento (1420-1545), Bologna, Il mulino, 2011Un’indagine sul funzionamento dei tribunali matrimoniali, condotta sul fondo più ricco di cause matrimoniali che esista in Italia: quello del tribunale veneziano nel periodo che va dal 1420 all’apertura del Concilio di Trento. È il primo studio italiano sul tema, quanto a soggetto e arco cronologico coperto; ha come prece-denti alcuni lavori sui tribunali inglesi, francesi e tedeschi, con cui il confronto è puntuale e costante. In quanto materia riguardante la salute dell’anima, il matri-monio rientrava a pieno titolo nella sfera di competenza della Chiesa. E se i tribu-nali secolari restavano competenti per le questioni patrimoniali tra i coniugi, anche in queste però accadeva che la Chiesa si ingerisse: o in via diretta sostituendosi alla giurisdizione civile, o condizionandone gli esiti con le proprie sentenze. Le magistrature laiche, dal canto loro, erodevano in parte le competenze eccle-siastiche continuando a esercitare una giurisdizione autonoma sul matrimonio, in particolare con riguardo alla separazione dei coniugi e a reati strettamente connessi al vincolo nuziale e alla sua definizione, quali adulterio, bigamia, stupro.

Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino

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Nei dipartimenti di Scienze Umane di quasi tutte le univer-sità per definire cosa studi un antropologo circola un simpa-tico proverbio che recita così: “I filosofi si occupano di Dio, gli psicologi dell’io, gli antropologi dello zio”. Questa definizione un po’ canzonatoria, ma che sot-tende sicuramente un fondo di verità, è scaturita probabilmente dall’incessante lavoro svolto in campo antropologico riguardo le questioni relative alla paren-tela, alle usanze matrimoniali, alle ubicazioni delle diverse famiglie all’interno di determi-nati luoghi e ai loro eventuali spostamenti. Possiamo, per-tanto, spingerci a definire la questione della costituzione di una famiglia, cellula primordiale della società umana, un ambito molto indagato dalle discipline antropologiche. Molti testi, che sono entrati a far parte del com-pendio base della dotazione di un giovane antropologo, della sua valigetta da bricoleur di levi-straussiana memoria, conten-gono descrizioni molto accurate dei sistemi di parentela vigenti in diverse culture del globo. Prendiamo per iniziare, ad esem-pio, la definizione di matrimonio che negli anni settanta l’antro-pologo Goodenough, che si è occupato di sistemi di parentela, scrisse: “una transazione che si risolve in un accordo in cui una persona (maschile o femminile, collettiva o individuale, in prima persona o per procura) stabilisce un diritto continua-tivo di accedere sessualmente a una donna, e nel quale la donna in questione è considerata suscetti-bile di avere figli” (Ward Hunt Goodenough, Descrip-tion and Comparison in Cultural Anthropology, Chi-cago, Aldine, 1970: 12-13).Possiamo parafrasare la definizione affermando che il matrimonio presso la maggior parte delle culture del mondo sancisce un patto tra due esseri umani e legittima non solo la loro relazione sessuale, ma anche la gestione di un patrimonio, l’educazione e l’allevamento della prole, la dimora in un’abitazione, stanziale o mobile che sia. Da questa condizione ne

derivano dei privilegi e dei do-veri per la coppia sposata, per le rispettive famiglie di apparte-nenza e per la discendenza futu-ra. Il legame che s’instaura ser-ve a regolare anche la relazione tra gruppi domestici diversi e soprattutto ad allargare i confini di parentela. L’antropologo Marco Aime così scrive: “Non c’è dunque nulla di naturale nella parentela: si trat-ta di una costruzione culturale, e ogni società fissa delle regole su chi si può, si deve o è meglio sposare. Se nella società occi-dentale attuale la scelta del co-niuge è piuttosto libera e legata a fattori personali, presso molte altre culture sono in vigore nor-me che regolano o condiziona-no le possibilità di matrimonio, vincolando a certi contesti” (Marco Aime, Il primo libro di antropologia. Torino, Einaudi, 2008: 144). Vi sono solo due tipi di scelte possibili: il partner è cercato all’interno del proprio grup-po sociale o territoriale, in tal caso gli antropologi parlano di legame endogamico, oppure all’esterno, legame esogami-co. Possiamo suddividere tutti i matrimoni contratti sulla terra in questi due grandi macrogruppi. Statisticamente gli studiosi han-no individuato che la scelta en-dogamica è molto meno diffusa rispetto all’altra. Aime prosegue, giustificando il perché del prevalere dell’una

sull’altra: “La consuetudine di cercare una sposa al di fuori del proprio gruppo contribuisce a stempera-re o ad annullare del tutto la competizione che na-scerebbe tra i giovani se dovessero contendersi le ragazze del gruppo stesso, e quindi a mantenere la pace sociale” (Marco Aime, Il primo libro di antropo-logia. Torino, Einaudi, 2008: 145). L’antropologo francese Claude Lévi-Strauss nel suo Le strutture elementari della parentela spiega che l’esogamia si è diffusa quando le donne sono diven-tate oggetto di scambio tra gruppi differenti al fine di sancire delle alleanze sociali forti. Per lo studioso, lo scambio delle sorelle costituirebbe la prima manife-

Cultura che vai… matrimonio che trovi

di Marta Villa

L’umanità si cristallizza nella monocul-tura, si prepara a produrre la civiltà di massa, come la barbabietola.La sua mensa non offrirà ormai più che questa vivanda(Claude Lévi-Strauss, Tristi tropici. Milano: Il saggiatore, 1960).

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stazione di arte politica fatta dal genere umano. Proseguendo nella schematizzazione e classifica-zione, troviamo che il matrimonio poi può essere di due tipi: monogamico o monoandrico, poligamico o poliandrico. Fino ad ora l’antropologia ha indivi-duato che più del 90% dei legami matrimoniali nel mondo sia di tipo poligamico. Goody ricorda che “nelle culture umane, è la monogamia che è rara, mentre è comune la poliginia” (Jack Goody, Produ-zione e riproduzione: studio comparato della sfera domestica. Milano, Angeli, 1979) e anche Schultz e Lavenda scrivono “la maggioranza delle società al mondo ammette la poliginia” (Emily A. Schultz – Robert H. Lavenda, Antropologia culturale. Bolo-gna: Zanichelli, 1999: 252). Francesco Remotti ana-lizza con estrema lucidità nel suo testo Contro natura: una lettera al papa (Bari-Roma, Laterza, 2008) la questione dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale difesa dalla dottrina cattolica. A tal proposito ricorda che anche gli ebrei nell’An-tico Testamento prevedevano la poliginia: “la poliginia ebraica non è una questione di poco conto. Parecchi dei più famosi perso-naggi della Bibbia – Abramo, Gia-cobbe, Elcana, Davide, Salomone e altri ancora – erano poliga-mici” (Francesco Remotti, Contro natura: una lettera al papa. Bari-Roma: Laterza, 2008: 115). Mor-dechai Akiva Friedman, ricordato da Remotti, scrive: “la poliginia è uno dei fenomeni sociali e giuridici più rilevanti, che abbiano distinto attraverso i secoli l’ebraismo sefar-dita dall’ebraismo aschenazita”; “la prima società rimane, di princi-pio poliginica, mentre la seconda divenne monogamica” (Morde-chai Akiva Friedman, “Polygyny in jewish tradition and practice: new sources from the Cairo Genize”. Proceedings of the American Aca-demy for Jewish Research, 1982, v. 49: 33). Non stu-pisce ciò se si considera che le comunità sefardite vivevano in paesi dominati dall’Islam, che non proi-birono mai la poliginia, mentre le altre si stabilirono in territori cattolici o protestanti. Citiamo poi un esempio curioso legato alla pratica poliginica ebraica in Italia: non lontano da Trento, il vescovo di Feltre, pochi anni dopo la conclusione del Concilio di Trento così scriveva in favore di un cittadino di religione ebraica: “è lecito al suddetto

signor Beniamino, secondo la forma del sacrosanto Antico Testamento, prendere una moglie, tenendosi anche la prima, in vista della prole; allo stesso signor Beniamino con la medesima nostra autorità diamo licenza piena e totale di prendere un’altra moglie e con essa contrarre legittimo matrimonio secondo la forma e il rito degli Ebrei” (Cesare Colafemmina, “La poligamia presso gli ebrei nel Medioevo”. Quaderni medievali, 1992, a. 34: 120). Pochi anni prima gli anabattisti a Munster, in Germa-nia, fondavano una società che prevedeva la comu-nione dei beni (una specie di comunismo arcaico) dove era diffusissima la poliginia: il gruppo ebbe vita molto breve e venne massacrato dalle forze catto-liche e protestanti nel 1535. Se ci avviciniamo alla

nostra epoca storica, ricorda sempre Remotti, trovia-mo negli Stati Uniti ottocenteschi la Chiesa dei Santi dell’Ultimo Giorno, i Mormoni, che richiamandosi anch’essi alle Sacre Scritture, e in particolare all’An-tico Testamento, giustificavano moralmente la natu-ralità della loro poliginia (Francesco Remotti, Con-tro natura: una lettera al papa. Bari-Roma, Laterza, 2008: 122), pratica che fu imposta di abbandonare con la forza solo nel 1890. Ci sono tuttavia anche delle culture che prevedono il

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matrimonio come scelta indissolubile ed eterna, così accade per gli hindu per i quali una donna, anche se vedova, non può permettersi un secondo matrimo-nio. In India vige il costume del sati, che, seppure messo fuori legge dagli inglesi ancora nell’Ottocen-to, viene ancora praticato: la sposa si fa immolare sulla pira del marito defunto vestita con l’abito di nozze e l’acconciatura del suo matrimonio per sanci-re il proprio legame eterno con lo sposo. Un altro caso diverso e interessante è stato sicu-ramente quello degli Inuit dell’Alaska (che è stato disapprovato da insegnanti e missionari che si ad-dentrarono in questi territori e ne ha comportato la sparizione): presso questo popolo non si praticava alcuna cerimonia matrimoniale. Due persone deci-devano a un certo punto di vivere insieme e di avere rapporti sessuali: in questo caso assumevano i nomi di nui e nuliaq, che possono equivalere ai nostri ma-rito e moglie. Se la coppia non andava più d’accordo decideva semplicemente di separarsi: uno dei due andava a vivere da un’altra parte. “A differenza che tra noi, però, per gli Inuit il divor-zio ben difficilmente era una catastrofe. Non solo, ma tra gli Inuit dell’Alaska il divorzio era una pratica estremamente diffusa: qualcosa come il 100% dei matrimoni veniva interrotto; il che vuol dire che pra-ticamente ogni individuo nella sua vita aveva vissuto almeno una volta l’esperienza del divorzio, se non di più” (Francesco Remotti, Contro natura: una lette-ra al papa. Bari-Roma, Laterza, 2008: 131). Ciascun membro della coppia poi poteva contrarre un nuovo legame. Si trattava del co-matrimonio, che una vol-ta gli etnologi chiamavano scambio delle mogli, una riduzione forse un po’ troppo semplicistica. Le due nuove coppie, che si venivano a formare, potevano

non frequentarsi mai più, oppure poteva instaurarsi un legame di forte amicizia, di reciproco aiuto e di protezione, pratica che l’antropologo Burch descri-ve dettagliatamente nei suoi resoconti etnografi-ci (Ernest S. Burch, “Marriage and Divorce among the North Alaskan Eskimos”. In: Divorce and after. A cura di Paul Bohannan. Garden City, Doubleday, 1970: 160). Proseguendo in questo giro del mondo tra le usanze matrimoniali, approdiamo in Sudamerica. In Amaz-zonia, presso alcune popolazioni indigene si usa pra-ticare la poliginia sororale, così definita perché un uomo quando sposa una donna ha il diritto di sposa-re anche le relative sorelle. I Toda, piccola comunità pastorale stabilita sull’alto-piano del Nilgiri in India meridionale, invece, prati-cano la poliandria, costume in uso anche presso i Nayar del Malabar (India), popolazione di agricoltori seminomadi di religione brahamanica: visto che gli uomini erano molto spesso occupati nella pratica militare, le donne erano libere di avere fino a dodi-ci amanti o mariti temporanei. Ciascuno di loro era libero di visitare la moglie quando voleva, solo se davanti all’uscio della casa non trovava lo scudo o la lancia di un altro uomo, in caso contrario doveva ritornare la notte o il giorno successivo. In Nepal presso i Nyinba, popolazione originaria del Tibet, studiata approfonditamente dall’antropologa Nancy Levine negli anni ottanta, era diffuso invece un matrimonio poliandrico adelfico, ossia una donna aveva la possibilità di sposare un uomo e tutti i suoi fratelli di sangue, che vivevano in una condizione di parità e senza manifestazioni di gelosia. “I Nyinba sono circondati da altre popolazioni, in cui non viene praticata la poliandria. Sono consapevoli di questa

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loro particolarità e rivendicano la poliandria come un loro tratto distintivo e come un elemento che li collega al loro passato ancestrale: anche i loro antenati prati-cavano la poliandria fraterna e i Nyinba sottolinea no l’armonia familiare che questa soluzione ha sempre comportato” (Francesco Remotti, Contro natura: una lettera al papa. Bari-Roma, Laterza, 2008: 140).A Ceylon una donna può sposare, invece, due uo-mini, non necessariamente parenti, ma in momenti differenti. Questi mariti non sono pari, il primo di so-lito è quello che gode di una posizione di maggiore autorità rispetto all’altro. Anche in Africa le donne possono sposare un uomo e decidere in seguito di vivere con un altro uomo senza per questo dissolve-re il legame matrimoniale con il primo. Questo tipo di unione viene definita “matrimonio secondario”. In Nigeria presso i popoli Kadara e Kagoro, le donne possono scegliere un secondo marito senza inter-rompere la relazione con il primo: “la donna poteva tornare a far visita al suo primo marito, e mentre era lì si comportava in tutto come una moglie” (Lucy Mair, Il matrimonio: un’analisi antropologica. Bolo-gna, Il mulino, 1976: 167). La consuetudine però pre-vede che il secondo marito sia scelto all’esterno del gruppo del primo coniuge.Mary Douglas, parlando dei Lele del Kasai (Con-go), racconta che in questo gruppo era presente la hohombe, o moglie del villaggio, donna legata a di-versi mariti attraverso la pratica della poliandria. Fondamentale per gli studi antropologici legati alla parentela e alle questioni matrimoniali è anche la de-scrizione e classificazione delle pratiche residenziali utilizzate dopo il matrimonio: questo legame, infatti, stabilisce in ogni cultura anche il luogo ove la coppia debba risiedere una volta sposata. Se la sposa abbandona la propria casa e il proprio

gruppo e va a vivere in quello del marito si parla di residenza virilocale, al contrario se è il marito che emigra nei territori della sposa, pratica comunque rarissima, si tratta di residenza uxorilocale. Lo stesso vale per i figli, che possono abitare presso il gruppo di appartenenza della madre, residenza matrilocale, o presso quello del padre, residenza patrilocale. Affacciandoci sull’altra sponda del Mediterraneo tro-viamo quanto il matrimonio regoli e stabilisca del-le alleanze sociali strettissime che entrano in gioco quando si subiscono torti gravi: alcune società no-madi del deserto, se le contese non si placano per mezzo di altre forme di giustizia, praticano ancora oggi la vendetta di sangue che viene attuata anche attraverso i legami di parentela acquisiti con i matri-moni. La maggior parte degli episodi regolati dalla vendetta sono legati all’onore ferito di madri, mogli, sorelle o figlie e investono tutta la famiglia allargata oppure vengono scatenati dalla pratica dell’abigeato o della violazione dei confini. Questo “giro lungo” alla ricerca delle pratiche matri-moniali in uso nel mondo ci permette anche un’ul-tima riflessione più generale sul senso di parlare di cultura e di costumi: sempre Remotti chiarisce ai suoi studenti e ai giovani praticanti di ricerca sul campo che “se gli antropologi amano andare altro-ve non è per mero esotismo, ma per apprendere, per capire come altrove altre persone hanno deciso di vivere: la loro umiltà consiste quasi nel diventare bambini presso di loro, lasciandosi impregnare dalla loro cultura. Andare alla ricerca di forme di saggez-za, anche di quella saggezza che abbiamo calpestato e distrutto, ritengo sia uno dei compiti irrinunciabili di quel sapere che abbiamo chiamato antropologia culturale” (Francesco Remotti, Contro natura: una lettera al papa. Bari-Roma, Laterza, 2008: 261).

Il matrimonio nella cultura tradizionale dell’Europa dell’Est

Nelle culture tradizionali, le nozze rappresentano una delle cerimonie sociali fra le più importanti e complesse, con repertori musicali affatto tipici. Sebbene nell’Europa dell’Est questo tipo di cerimonie si presentino essenzialmente simili, le consuetudini variano da regione a regione, così come da paese a paese. Al centro di cerimonie e rituali si sviluppano i temi della longevità, della fertilità, della prosperità e della felicità. Nonostante nel tempo siano interve-nuti, qui come altrove, inevitabili cambiamenti legati alla globalizzazione e all’industrializzazione, soprav-vivono ugualmente, ancor’oggi, tracce delle più antiche tradizioni di musica e danza. Veri e propri tesori culturali conservati negli archivi sonori di Ungheria, Lituania, Polonia e Slovenia contribuiscono a dise-gnare un affascinate affresco delle tradizioni e dei rituali matrimoniali nell’Europa orientale. Di tutto questo narra la mostra virtuale “Weddings in Eastern Europe” visitabile al seguente indirizzo internet http://exhibitions.europeana.eu/exhibits/show/weddings-in-eastern-europe (rt).

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Negli ultimi vent’anni la pre-senza straniera in Trentino si è andata via via stabilizzando e radicando, imprimendo un ritmo accelerato ai processi locali di trasformazione sociale. È un dato di fatto che gli stranieri a fine 2010 siano ormai nell’ordine delle 50.000 unità, e che rappre-sentino poco meno del 10% della popolazione provinciale. Dunque, anche in un territorio relativamente periferico come il Trentino il fenomeno migratorio ha assunto un carattere strut-turale, e si può affermare che oggi la convivenza multietnica è una realtà della quotidianità sia dei centri urbani che dei paesi e delle valli. Uno degli indicatori che dà la misura dell’evoluzione dal basso dei processi di interazione e relazione tra autoctoni e nuovi venuti è rappresentato dalle coppie miste e dalla loro “istitu-zionalizzazione” nei matrimoni misti. Queste unioni tra un ita-liano e uno straniero, o tra due stranieri di provenienza diversa, sono presenti e si sono diffuse significativamente anche in Trentino. Per molti aspetti, come ha sottolineato Stefano Allievi (“Doppio misto: le coppie interetniche in Italia”. Il Mulino, 1997, n. 5: 961), rappresentano un fenomeno che si presta a molteplici letture:“Esse vengono spesso lette dal punto di vista micro-sociale, interno alla coppia stessa, in chiave psicolo-gica (l’attrazione del diverso) o di disagio sociale (un rapporto tra marginali); socio-demograficamente, in termini macrosociali, di sistema, come un allar-gamento del mercato matrimoniale (più varietà, più scelta, più occasioni); in termini antropologici come

un discorso sull’endogamia e l’esogamia ‘lecita’ all’interno di una data cultura (discorso che può essere solo descrittivo – si fa, non si fa – o anche interpre-tativo – perché sì, perché no); in termini teologici, come discorso sulla verità intrinseca dell’appar-tenenza religiosa (se una reli-gione è migliore dell’altra, come possono ‘mischiarsi’?) e sulla legittimità stessa della coppia (non solo) religiosamente mista (è bene, è male; è permesso, è proibito); e così via”.Qualsiasi sia il piano di lettura privilegiato, quando si parla di queste unioni alcuni aspetti emergono più frequentemente: da un lato, se ne sottolinea la dimensione di scambio transcul-turale, che può essere reciproca-mente arricchente e anticipare per molti versi la futura società meticcia; dall’altro, ne vengono messe in rilievo le potenziali criticità, e in maniera partico-lare il consistente “lavoro matri-moniale” richiesto nella coppia mista per mediare e gestire dif-ferenze linguistiche, culturali e

religiose, come pure le relazioni con la rete paren-tale, la comunità e i servizi alla persona.La crescente rilevanza e portata di questo tema, da un punto di vista quanti-qualitativo, emerge da quanto documentato nelle diverse edizioni del Rap-porto annuale sull’immigrazione in Trentino (L’immi-grazione in Trentino: rapporto annuale 2011. A cura di Maurizio Ambrosini, Paolo Boccagni e Serena Pio-vesan. Trento, Provincia Autonoma di Trento, 2011). In provincia, i matrimoni con almeno uno sposo straniero celebrati nel corso del 2010 sono stati 251 – appena meno numerosi di quelli dell’anno prece-

Matrimoni misti in Trentino

laboratori interculturali in evoluzione

di Serena Piovesan

Tabella 1- Matrimoni misti celebrati nella provincia di Trento nel corso del 2010, con almeno uno degli sposi residente in provincia di Trento, per rito di celebrazione e tipologia della coppiaTipologia della coppia Rito di celebrazione

Religioso Civile TotaleV.A. % col. % riga V.A. % col. % riga V.A. %

Entrambi stranieri 1 - - 40 19,4 97,6 41 17,3Straniero/italiana 7 22,6 25,9 20 9,7 74,1 27 11,4Italiano/straniera 23 74,2 13,6 146 70,9 86,4 169 71,3Totale 31 96,8 13,1 206 100,0 86,9 237 100,0fonte: Ambrosini et al., 2011

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dente (tabella 1). Si tratta, in termini di incidenza rela-tiva, del 15,3% dei matrimoni celebrati in provincia. Nelle coppie miste, in Trentino come nel resto d’Ita-lia, la tipologia più frequente è quella in cui lo sposo è italiano e la sposa è straniera (71% del totale di queste unioni). Gran parte dei matrimoni misti (87%) è stata cele-brata con rito civile, mentre sul complesso dei matri-moni celebrati in provincia di Trento, le unioni con rito religioso mantengono una leggera prevalenza (51,3%) su quelle di rito civile. Ad allargare lo sguardo sull’evoluzione dei matri-moni con almeno uno sposo straniero in Trentino, nell’ultimo decennio (figura 1), emerge un quadro privo di precise linee di tendenza. Per tutte le tipo-logie di coppia considerate (italiano/straniera, stra-niero/italiana, entrambi stranieri), infatti, il numero di matrimoni celebrati tende a variare di anno in anno, senza che si delinei alcuna precisa “direzione” nel medio periodo. Costante è, semmai, l’ordine di gran-dezza di queste tre varianti del matrimonio misto: il numero di matrimoni in cui figura uno sposo italiano si mantiene sempre su livelli numerici molto più alti delle altre due fattispecie considerate.

Figura 1: evoluzione dei matrimoni misti celebrati in provincia di Trento dal 2000 al 2010, con almeno uno degli sposi residenti in provincia di Trento, per “tipologia di coppia” considerata (Fonte: L’immigra-zione in Trentino: rapporto annuale 2011. A cura di Maurizio Ambrosini, Paolo Boccagni e Serena Pio-vesan. Trento, Provincia Autonoma di Trento, 2011)

Rimanendo in tema di trend, va detto che a livello nazionale il numero di celebrazioni matrimoniali miste a partire dal 2009 ha fatto registrare una brusca inversione di tendenza, dopo un decennio in cui il fenomeno era cresciuto, andando a incidere in maniera assai rilevante sul complesso dei matrimoni celebrati in Italia. Se è vero che questo calo va di pari passo con la diminuzione del numero totale di matri-

moni celebrati (in particolare delle prime nozze), si deve anche sottolineare che nel caso specifico delle celebrazioni con almeno uno sposo straniero hanno inciso le nuove disposizioni introdotte in materia di matrimoni con cittadini stranieri (articolo 1, comma 15 della legge n. 94/2009), che impongono allo stra-niero che vuole contrarre matrimonio in Italia l’ob-bligo di esibire anche un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano. Queste disposizioni, volte a impedire i cosiddetti “matrimoni di comodo” – ovvero quelli utilizzati come espe-diente per ottenere la cittadinanza italiana o, comun-que, una posizione regolare da parte di chi ne era privo – hanno comportato un contenimento delle celebrazioni di matrimoni sia misti sia con entrambi gli sposi stranieri; si tratta di un effetto che sarà par-ticolarmente interessante monitorare nei prossimi anni (Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigra-zione 2011, Roma, IDOS, 2012).Tornando al caso trentino, alcune riflessioni vanno fatte relativamente alle ripartizione per nazionalità dei matrimoni misti celebrati in provincia nel corso del 2010. Nelle unioni coniugali tra italiani e straniere (circa 170), buona parte di queste ultime è di origine est-europea: Romania (18,9%), Moldavia (9,5%), Ucraina, Brasile e Polonia (7-8% in ciascuno dei tre casi). Nel caso delle nozze tra stranieri e italiane, pari a meno di un sesto della categoria precedente (ossia a meno di 30 episodi), non si rilevano invece partico-lari prevalenze per nazionalità, a fronte di un bacino di provenienze nazionali estremamente differenziato. Le analisi contenute nel Dossier Caritas (Caritas/

Tabella 2: matrimoni misti celebrati nella provincia di Trento nel corso del 2010, con almeno uno degli sposi residente in provincia di Trento, per cittadi-nanza del coniuge straniero

A - sposo italiano e sposa stranieraCittadinanza della sposa

Rumena 32 18,9Moldava 16 9,5Ucraina 13 7,7Brasiliana 12 7,1Polacca 12 7,1Altra cittadinanza 84 49,7Totale 169 100,0

B - sposo straniero e sposa italianaCittadinanza dello sposo

Brasiliana 2 7,4Mozambicana 2 7,4Romena 2 7,4Spagnola 2 7,4Altri Paesi 19 70,4Totale 27 100,0fonte: elaborazione Cinformi su dati Servizio Statistica - PAT

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Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2011, Roma, IDOS, 2012:132-133), ci consentono di aggiungere altre considerazioni relativamente alle unioni miste in Italia. Un tratto che le distingue dalle unioni tra soli italiani è l’asimmetria riguardo all’età e al livello di istruzione delle coppie. Soffermandosi al caso che presenta una maggiore asimmetria, ovvero quella della coppia italiano/straniera, si nota che l’età media degli sposi supera i 40 anni, rispetto a un’età delle spose di poco superiore ai 30 anni. Relativa-mente alle disparità nel livello di istruzione, va detto che le difformità si fanno più accentuate ancora una volta all’interno della tipologia sposo italiano/sposa straniera: se all’interno di coppie con entrambi i coniugi italiani una quota inferiore all’1% dei mariti con licenza elementare sposa donne laureate, nel caso delle coppie italiano/straniera questa quota tocca il 6%. Anche i matrimoni misti sono soggetti all’instabilità e alla dissoluzione dei legami coniugali in misura crescente nel tempo, ma con un livello di conflittua-lità registrata nel corso delle separazioni maggiore rispetto alle coppie composte da coniugi entrambi italiani; e andando incontro più precocemente alla separazione (ISTAT, Evoluzione e nuove tendenze dell’instabilità coniugale, Argomenti n. 34).Lasciando la dimensione quantitativa del fenomeno, e volendo concludere con alcune considerazioni di ordine qualitativo, vale la pena citare una ricerca realizzata in Trentino da Mara Tognetti Bordogna (Le famiglie miste: laboratori culturali nella società trentina. Atti del progetto “Iniziativa di valorizzazione degli interventi e delle risorse a favore delle Fami-glie Miste”. Trento: Provincia autonoma di Trento-Cinformi, 2004). Il lavoro ha fatto luce sulle potenzia-lità e sulle criticità delle coppie miste, raccogliendo il vissuto dei partner e di coloro che hanno speri-mentato l’esperienza della coppia mista, ma anche descrivendo le diverse visioni che circolano tra gli

operatori di alcuni servizi. Ne è emerso che le rela-zioni che queste coppie intrattengono con la famiglia d’origine e l’entourage non sembrano comportare particolari problematiche. Una certa indifferenza e formalità improntano invece i rapporti con i vicini, che probabilmente risentono dell’isolamento vis-suto da alcune coppie. Le discussioni maggiormente frequenti sono legate ad incomprensioni linguisti-che, ma dalle interviste realizzate con coppie miste è anche emerso che nella gestione della vita quoti-diana i partner sembrano trovare accordi e soluzioni che vanno oltre le culture di origine. Nel momento in cui la ricerca ha coinvolto alcuni operatori dei servizi del territorio, ha messo in rilievo il fatto che sono ancora limitate le competenze per la presa in carico delle coppie miste, e che un apporto importante potrebbe venire dall’introduzione di mediatori cultu-rali all’interno dei servizi. Comunque, le criticità riportate in merito a coppie miste in difficoltà vanno dal generale disagio, al ruolo di coppia, alla gestione dei rapporti con i parenti e soprattutto alle scelte educative che riguardano i figli. Un dato di fondo sembra essere il riconosci-mento della necessità di focalizzarsi sulla natura della coppia mista, “che non si differenzia sostanzialmente da quella italiana, che non presenta criticità profon-damente diverse da essa, ma che ha criticità in più, le quali possono essere ricondotte, sostanzialmente, alla mediazione delle culture e all’allentamento della rete sociale” (Le famiglie miste: laboratori culturali nella società trentina. Atti del progetto “Iniziativa di valorizzazione degli interventi e delle risorse a favore delle Famigli Miste”. Trento, Provincia autonoma di Trento-Cinformi, 2004: 64). Le coppie miste, dunque, rappresentano un aspetto rilevante del “multicultu-ralismo nel quotidiano”, segno tangibile dell’incon-tro e della relazione tra le differenze, ma anche car-tina di tornasole del grado di apertura e accettazione dell’altro di una determinata comunità locale.

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Agenzie matrimoniali: dalle corti dei principi

al web

Alice Manfredi

“Una pubblicazione […] afferma che un piano matrimoniale sta per essere introdotto in ogni paese e città in Inghilterra e Galles, sotto il controllo di un gruppo selezionato di ecclesia-stici”. A riportare questa infor-mazione è The Spirit of the Public Journals for 1799, una raccolta di notizie estratte dai giornali del 1799, pubblicata a Londra nel 1805. L’autore prosegue riportando, non senza ironia, le parole usate per descrivere il cosid-detto piano matrimoniale e cioè “nuovo e originale, in linea con le usanze dei sovrani e dei prin-cipi d’Europa, così come delle corti del mondo conosciuto”. Ma in cosa consiste quest’idea che si sostiene abbia conqui-stato persino le teste coronate dell’epoca?“Ogni persona, di entrambi i sessi, che desideri con-trarre un rapporto matrimoniale deve prima corri-spondere una certa somma. Poi, tutte le signore e i signori devono produrre una descrizione di se stessi, usando – a scelta – nomi reali o di fantasia”. Ma non finisce qui. Secondo la pubblicazione inglese, le descrizioni personali verranno poi suddivise in tre classi. I criteri discriminanti non sono chiari, ma uno sembra essere evidente: è il valore della per-sona, valore non da intendersi come qualità etica o morale, ma – più materialmente – come patrimonio o dote a disposizione. Gli iscritti riceveranno quindi l’elenco delle descrizioni divise per classi; indiche-ranno i propri desiderata e, in caso di valutazione positiva anche della controparte, procederanno con un incontro faccia a faccia.Iscrizione. Pagamento. Descrizione di se stessi. Anonimato. Selezione. Incontro. Non manca nulla. Sono proprio gli ingredienti dell’agenzia matrimo-niale e sono tutti presenti, almeno in linea teorica, nel 1799. Addirittura si sostiene che l’usanza sia già diffusa nell’intero mondo conosciuto. Testimonianza o artificio retorico? Non è dato saperlo. È certo però che si trova traccia di un caso a Londra, pochi anni dopo. È il 1825 e a Bishopsgate apre, tre giorni alla settimana, una nuova agenzia matrimoniale: gli inte-ressati possono iscriversi a pagamento e le descri-zioni personali sono divise – questa volta – in cinque classi (William Hone, The Every-day Book and Table Book. Londra: Thomas Tegg, 1838). Siamo propensi a considerare le agenzie matrimo-niali un fenomeno moderno ma hanno, in realtà,

una storia di almeno due secoli. Una storia che subisce un’ac-celerazione nel secondo dopo-guerra nel mondo occidentale. Inizia allora il vero business delle imprese che fanno profitto organizzando l’incontro tra per-sone in vista delle nozze. Con-temporaneamente si diffondono anche gli annunci matrimoniali su giornali e riviste, gratis o a pagamento: un tipo di autopro-mozione in vista di incontri o matrimoni, tutt’altro che estinto. Così come per tanti altri settori, il boom commerciale di queste attività si registra però negli anni ottanta del Novecento.

Bello onesto emigrato Australia sposerebbe compaesana illi-bata

Il cinema – al pari di altre forme d’arte e narrazione – non è testimonianza fedele di un fenomeno sociale. Restituisce invece l’impressione che in una certa comunità e in un certo tempo quel fenomeno ha lasciato. Nelle pellicole ritroviamo le sensazioni, le opinioni, i pregiudizi che hanno gravitato intorno a un evento, oltre al personale punto di vista del regi-sta, dello sceneggiatore e degli altri partecipanti alla realizzazione di un film.L’agenzia matrimoniale – la sua nascita, la sua espan-sione – non ha lasciato indifferente chi è abituato, per mestiere o per passione, a osservare i muta-menti sociali. Negli anni cinquanta molti film in Italia hanno ritratto questa nascente forma di business. Nel 1950 Carlo Ludovico Bragaglia gira Totò cerca moglie. La storia, piuttosto razzista, vede Totò squat-trinato scultore residente a Roma che una ricca zia australiana vuole far sposare con la bella nipote. Viene dunque inviata una fotografia che però – per errore – non è quella della ragazza, bensì quella di una brutta domestica di colore. Totò tenta in vari modi di scongiurare il matrimonio. Si rivolge anche all’agenzia “Fido”, sulla cui porta sono indicati i seguenti servizi: “matrimoni, occasioni, mediazioni, collocamento, compra-vendita”. L’umorismo gene-rato dall’accostamento con la vendita di beni di con-sumo è accentuato anche dalla battuta che Totò pro-nuncia varcando la soglia d’ingresso: Buongiorno, io vorrei una moglie, possibilmente di prima mano.Nel 1953 Federico Fellini gira un film di 16 minuti in-titolato appunto Agenzia matrimoniale. Anche qui ci sono delle note ironiche e divertenti, ma accostate a uno sguardo lucido puntato su un’Italia in bilico tra

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modernità e decaden-za. Il protagonista è un giornalista incaricato di svolgere un’indagine sulle agenzie matrimo-niali. Per questo si av-ventura in un vecchio caseggiato della capi-tale, dove, dopo aver vagato per tortuosi corridoi – popolati da donne e bambini – sco-va un’agenzia. Qui il pa-drone parla di richieste “particolari” dei clienti (Cercano una donna con delle lunghe trecce bionde, non le sembra in-credibile?) e dei rischi del mestiere (Solo sulle don-ne assumiamo informazioni perché possono esserci di mezzo figli). Poi il giornalista espone il suo caso, inventato sul momento, a un’incaricata: un amico possidente terriero è purtroppo affetto da licantropia e, secondo autorevoli pareri medici, convolando a nozze potrebbe guarire. La terribile storia non desta alcuna perplessità e dopo svariate firme e timbri, il protagonista incontra una povera ragazza, che con candore disarmante, si dice pronta a sposare il lican-tropo (Io sono povera, figlia di poveri, mi sono detta “mò mi sposo”, se questo signore è buono io mi af-feziono).Negli anni settanta spicca Bello onesto emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata di Luigi Zampa con Alberto Sordi e Claudia Cardinale, che già nel titolo fa il verso agli annunci matrimoniali. In questo caso il protagonista, Amedeo, è un emigrato che, per trovare moglie si rivolge a don Anselmo. Quest’ultimo è il nodo centrale di una fitta rete di corrispondenza – con scambio di fotografie – che ha l’obiettivo finale di combinare matrimoni tra emigrati e donne disposte a lasciare l’Italia. L’ultimo esempio è un film di oltre trent’anni dopo. Ne L’amore è eterno finché dura, pellicola del 2004 di Carlo Verdone, fa la sua apparizione un nuovo me-todo di organizzare incontri in vista di un matrimonio o per lo meno di una storia d’amore. Si tratta dello speed dating. In un’esilarante scena, un gruppo di persone – armate di foglietto per prendere nota di impressioni e valutazioni personali – affronta simul-taneamente una successione di rapidi incontri con possibili partner, mentre una specie di arbitro con cronometro scandisce i cambi.Questi e molti altri film restituiscono l’immagine di un fenomeno nato negli anni cinquanta e modificatosi nel tempo. La chiave per descriverlo è molto spesso quella dell’ilarità e il motore dell’azione è quasi sem-

pre l’equivoco.Anche se opere come quella di Fellini, senza rinunciare a una certa leggerezza, scavano un po’ più a fondo nel-le motivazioni psicolo-giche che portano un uomo o una donna a rivolgersi a un’agenzia matrimoniale.Interessanti sono an-che i mutamenti che si possono leggere in controluce: dall’agen-zia matrimoniale come

curiosa novità, alla risorsa per gli emigrati, fino ad arrivare a modalità di incontro per così dire postmo-derne.

Italia: tra cene a casa di amici e agenzie Nel secondo dopoguerra le agenzie matrimoniali in Italia sono una realtà. Con tutta probabilità esiste-vano comunque anche prima dinamiche di incon-tro – non formalizzate – controllate da mediatori o mediatrici che, in cambio dei loro servizi, inca-meravano una provvigione. In ogni caso, il boom del fenomeno, anche in Italia, si riscontra a partire dalla metà degli anni ottanta. Si diffondono, infatti, le prime agenzie matrimoniali con regolare licenza rilasciata dal Ministero degli Interni e questo tipo di impresa che fa delle “faccende di cuore” un business entra a far parte del sentire comune degli italiani. Il piccolo schermo non si fa sfuggire la potenzialità attrattiva del fenomeno e nel 1989 Canale 5 inizia a trasmettere “Agenzia matrimoniale” con Marta Flavi. È il primo di una serie di programmi simili.Negli anni novanta si riscontra una crescita del numero delle agenzie matrimoniali. Nel 2004 un rap-porto del CENSIS (Rapporto sulla Situazione sociale del Paese) rileva che nei precedenti dieci anni questo tipo di imprese sono cresciute del 705%. Questo aumento esponenziale però non deve far pensare di riflesso a un mutamento automatico e generalizzato delle abitudini di incontro. È di soli due anni suc-cessivi un altro studio del CENSIS realizzato per la Fondazione Shering in cui si indaga la “nuova iden-tità femminile”. Tra i comportamenti studiati ci sono anche le modalità maggiormente messe in pratica per incontrare un partner. Si scopre così che solo lo 0,8% delle donne italiane sceglie gli incontri organiz-zati dalle agenzie matrimoniali. Per avere un parame-tro di confronto, le “classiche” occasioni di ritrovo in casa di amici sono al 50,4%. Negli ultimi anni il fenomeno delle agenzie matrimo-

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niali con una sede fisica non sembra più in crescita. Ci sono però altre due tendenze legate a questo mondo che devono destare attenzione. Da una parte, aumentano sensibilmente le agenzie che promuovo esclusivamente l’incontro con donne straniere, e in particolare dell’Europa dell’Est: organizzazione del viaggio, traduzione e assistenza per le pratiche buro-cratiche sono tra i servizi pubblicizzati.Dall’altra, vi è la crescita esponenziale su internet di siti che promuovono incontri di ogni tipo, talvolta in vista del matrimonio. Naturalmente anche le agenzie matrimoniali, intese in senso tradizionale, possono avere una loro pagina web, ma secondo la legge italiana non possono comunque prescindere da una sede fisica e da una serie di autorizzazioni.

Internet: di tutto, di piùIl fenomeno agenzie matrimoniali è – ovviamente – approdato sul web. Però, come per la maggior parte degli argomenti che riguardano il mondo online, scriverne è difficile. Perché i confini non sono netti. Barriere e distinzioni sono labili. Esiste la fondata impressione che sempre più persone considerino internet un’altra sfera sociale da frequentare, così come quelle – per così dire – “reali” del lavoro o della scuola e delle amicizie. Se si parte da questo presupposto, diventa normale pensare che molti tro-vino nel web anche un ambiente in cui incontrare un partner e talvolta coltivare una relazione d’amore. Nel 2002 un articolo di Wired – una delle più note riviste dedicate a internet e nuove tecnologie – ripor-tava addirittura la seguente previsione: “Nell’arco di vent’anni, l’idea che qualcuno possa cercare l’amore senza cercarlo online sembrerà sciocca” (Why are online personals so hot? Wired, 2002).

Staremo a vedere. Ciò che si può dire oggi con cer-tezza è che si sta parlando di un settore molto vasto e complesso. Un mondo in cui i siti di agenzie matri-moniali e le pagine che offrono incontri in vista delle nozze – non sempre supportati da una sede fisica come vorrebbe la legge italiana – si mischiano con altri servizi simili fino a formare quella nebulosa che in inglese si chiama online dating.L’incontro online è senza dubbio un business che negli Stati Uniti nel 2008 ha portato a un fatturato di 957.000.000 di dollari. Al terzo posto per redditività dei contenuti su internet dopo videogames e musica (US B2C Online Paid Content: Five-Year Forecast, Forrester Research Inc., 2008)I siti che possono essere considerati un’evoluzione delle agenzie matrimoniali, quelli in cui cioè è neces-sario iscriversi a pagamento ed esiste una certa forma di mediazione, si affiancano a pagine “libere” che vivono di pubblicità. Un altro tratto interessante è la differenziazione esistente. Non solo, come si può pensare, siti per eterosessuali e per omosessuali, ma anche pagine destinate a particolari nicchie: distinte per religione – Jdate (per ebrei single) Christian Cafe, Black Christian People Meet – o per provenienza geografica – Love from India, Amigos, Asian People Meet – tanto per fare qualche esempio. A rischio di cadere nel ridicolo, si deve citare anche l’esistenza – in Italia e all’estero – di attività economiche che si autodefiniscono “agenzie matrimoniali per animali” e si fanno pubblicità in internet.Come può dunque orientarsi colui o colei che volesse districarsi in questa nebulosa di opportu-nità? La risposta immediata sul mercato c’è. Ovvia-mente. Esistono le guide. In formato cartaceo per chi ama il tradizionale. Online per gli internauti.

Amore, cuore e Olga: come chiamare un’agenzia matrimonialeSi chiama “Fido” l’agenzia matrimoniale in cui entra Totò nel film diretto da Carlo Ludovico Bragaglia. Ma – in questo come in altri casi – la realtà a volte supera la fantasia in stravaganza. Il panorama dei nomi dati alle imprese che si occupano di combinare matrimoni è molto vasto. Partiamo dal classico. Ovviamente va forte il concetto di amore: non è difficile dunque trovare le agenzie Benvenuto Amore, Svolta d’Amore, Sogno d’Amore. A questo si abbina a volte il concetto di eternità. Ecco allora che troviamo Amarsi per sempre, Per tutta la vita e le variazioni con un tocco d’inglese È Amore…Forever e Forever Love. C’è chi invece, con un occhio più disincantato punta sulla contingenza del sentimento e chiama la sua agenzia Amori in corso o Incontri in corso. Va forte anche la sottolineatura del mito dei “due cuori e una capanna”: ci sono I due Cigni, l’agenzia due cuori e le due fedi che non è un’associazione per il dialogo interreligioso. Una menzione per l’originalità va poi a Harmony Connection, Associazione Love Emergency e alla pro-mettente Associazione Adrenalina. Destano francamente un po’ di disagio invece le agenzie dedicate all’incontro con persone dell’est Europa, sempre donne e sempre russe, bielorusse o ucraine. Spesso caratteristiche sottolineate da nomi come Oliuska Agenzia Matrimoniale Internazionale, Olga Princesse, www.siberiane.com.

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Corsi prematrimoniali, percorsi con esperti, consultori pubblici e terapie di psicoterapia di cop-pia: oggi sono molte le proposte per i coniugi in crisi o per chi sta per sposarsi. Ma non è sempre stato così. In Italia il percorso che ha portato all’avvio della consu-lenza matrimoniale è stato lungo e ha avuto i suoi momenti salienti fra gli anni cinquanta e settanta, anche se per comprenderne le premesse è necessario partire da più lontano. Dalla fine dell’Ottocento, infatti, quando la scienza medica iniziò a occupare lo spazio discorsivo della sessualità e la Chiesa cattolica cominciò a perdere la posizione di quasi monopolio che fino ad allora aveva mante-nuto come guida morale.Di conseguenza, per cercare di frenare un presunto decadimento dei costumi, nacquero iniziative come quella di don Zuaboni, il quale nel 1918 fondò a Bre-scia la “Scuola Buona Massaia” dove insegnava alle ragazze quali erano i doveri femminili. Successiva-mente, nel ventennio fascista, gli interventi mirati a salvaguardare la famiglia si caratterizzarono per il loro fine repressivo più che educativo con l’accento messo su ciò che non si doveva fare. Questo atteggiamento cambiò nel secondo dopo-guerra, con l’introduzione di nuovi stili di vita e dif-ferenti sistemi di valori. Solo la difesa della famiglia avrebbe consentito di risolvere i problemi di tipo va-loriale che si stavano profilando. Fu anche con questi obiettivi che don Paolo Liggeri creò nel 1948 presso l’Istituto La Casa di Milano un consulto-rio che si proponeva di assistere fidanzati e sposi a risolvere pro-blemi di tipo medico, morale, giuridico, ecc. L’iniziativa rispon-deva a un bisogno reale se nei primi 10 anni più di 5.000 per-sone si rivolsero al consultorio per consigli. Fra le cause principali dei pro-blemi coniugali c’erano l’interfe-renza nella vita di coppia di geni-tori e suoceri, l’impreparazione psicologica al matrimonio, le difficili condizioni economiche. Si rilevava poi anche l’imprepa-razione sessuale, un problema che, con il passare degli anni, in-teressava sempre più persone. Va a questo punto ricordato che, nonostante la presenza di

Se il matrimonio è in pericolo

la nascita dei consultori

esperti, il consultorio si presen-tava soprattutto come parte di un movimento sociale che intendeva inculcare valori e diffondere ideali, più che offrire servizi.Di fronte alle radicali modifiche sociali degli anni sessanta, le ge-rarchie cattoliche reagirono riba-dendo la necessità di una seria pre-parazione al matrimonio. Mons. Luigi Morstabilini, vescovo di Bre-scia, propose nel 1968 di rendere

obbligatorio a chi volesse sposarsi, un esame speci-fico, allo stesso modo in cui “si esige oggi un titolo di studio per una qualsiasi occupazione”. Per questo era anzitutto necessaria una maggiore attenzione per le capacità didattiche e le qualità spe-cifiche degli educatori. Si avvertiva, infatti, l’insuffi-ciente formazione professionale nella consulenza matrimoniale organizzata spesso dall’attività di un singolo invece che da un’equipe di esperti in psico-logia, medicina, diritto civile e così via. L’esigenza di una maggiore professionalizzazione metteva i sacer-doti attivi nei consultori in una posizione scomoda perché li costringeva a riconoscere che non erano né psicologi, né medici, né psichiatri, né assistenti sociali. In questo mutato contesto, si diffuse anche una crescente attenzione alle tecniche stesse della consulenza. Dagli Stati Uniti arrivarono le teorie di Carl Rogers secondo il quale compito del consulente era di disporre i clienti a cercare una soluzione per i propri problemi per mezzo dell’autodeterminazione,

senza imporre decisioni o emet-tere giudizi morali. È evidente il contrasto tra que-sta proposta che lasciava ampia libertà al singolo e la volontà di salvare comunque i matrimoni, imponendo una serie di regole. L’introduzione delle nuove tecni-che di consulenza era resa diffi-cile in Italia anche dal sospetto con cui in ambiente cattolico ve-nivano giudicate la psicologia e la psicoanalisi. Quindi, nel tentativo di opporsi alla diffusione di comportamenti più liberi, gli educatori e mora-listi mettevano un accento più forte sulla necessità di un inter-vento repressivo da parte dello Stato. I consultori cattolici di-ventavano così parte di una rea-zione contro la società moderna, dove prima avevano cercato di

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inserirsi nel processo di modernizzazione. Il princi-pio della professionalizzazione dei consulenti era comunque ormai affermato e sancito dalla legge n. 405 del 1975 sull’istituzione da parte delle autorità pubbliche di consultori familiari operativi presso le Unità sanitarie locali. L’articolo 3 della legge prescri-veva l’obbligo per il personale del possesso di titoli specifici in medicina, psicologia, pedagogia o assi-stenza sociale. Fu un passo ulteriore nel processo di

trasformazione dei consultori da espressioni di un movimento sociale a enti che offrivano servizi con l’impiego di personale salariato, processo che era stato iniziato in Italia dal consultorio dell’Istituto La Casa (per approfondimenti: “Impariamo ad amare”: l’avvio della consulenza matrimoniale in Italia (1948-1975), di Bruno P. F. Wanrooij, in: “Amori e trasgres-sioni: rapporti di coppia tra ‘800 e ‘900”, a cura di Antonia Pasi e Paolo Sorcinelli, Bari, Dedalo, 1995).

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Il codice civile attualmente in vi-gore è datato 1942: il legislatore, per tenere il passo con i tempi e con i mutamenti della società, si è limitato a modificarne alcune norme con una serie di leggi che, a partire dagli anni settanta, hanno apportato sostanziali in-novazioni all’originale normativa.Ad oggi il diritto di famiglia non trova però una regolamenta-zione organica e complessiva nel nostro ordinamento anche se è indubbiamente uno dei più importanti settori del diritto poiché è con l’ap-plicazione di norme relative al diritto di famiglia che si influisce profondamente sulla società e sulla vita dei cittadini.A partire dal 1970 sono state approvate molte nuo-ve leggi fra cui la legge sul divorzio (1970), la riforma del diritto di famiglia (1975), le leggi sui consultori (1975), l’interruzione di gravidanza (1978), la modifi-ca alla legge sul divorzio (1987), la modifica del Con-cordato (1984), l’affido condiviso (2006) e ancora la legge di parità (1977), la tutela delle lavoratrici madri (1971). In sostanza tutti i componenti della famiglia sono stati individuati come soggetti aventi diritto al cambiamento, all’emancipazione, al benessere. Mol-to rimane da disciplinare. E se è comunemente noto che fino ad oggi non è stato ancora definito chiara-mente il concetto di “famiglia” (il legislatore italiano non è ancora riuscito a normare i diritti ad esempio delle coppie di fatto, ivi comprese le coppie compo-ste da persone dello stesso sesso), non è altrettanto noto che i figli naturali continuano ancor oggi a do-versi rivolgere a un diverso giudice rispetto ai figli legittimi, con diverse procedure, diverse competen-ze territoriali ecc. Inoltre, la proce-dura civile che si applica in sede di separazione e di-vorzio è la stes-sa di tutte le cau-se civili ordinarie, senza tener con-to della speciali-tà della materia e della auspicabile specializzazione (fino ad oggi as-solutamente non prevista) dei giu-dici che ad essa sono preposti.Cosa è cambia-

to negli ultimi anni nella soluzio-ne dei conflitti familiari? Il nume-ro delle separazioni e dei divor-zi è progressivamente aumenta-to così come sono notevolmente aumentate le divisioni di coppie non coniugate con figli minori.Solo alcune normative relative alla frattura “familiare” sono nel frattempo mutate: il periodo di tempo tra la separazione e il di-vorzio è stato ridotto a tre anni

(dai cinque previsti originariamente) e oggi sono molti i cittadini italiani che hanno alle spalle più di un matrimonio concluso, con figli nati dalle varie unio-ni. Per molti anni tutte le procedure relative a separa-zione e divorzio sono state esenti da oneri e tassazioni (anche se attraverso esse si procedeva a dividere beni considerevoli), l’affido dei figli minori non è più esclu-sivo a un genitore, ma “condiviso” (e ciò ha aperto un vasto dibattito sull’interpretazione pratica della nor-mativa); si sono estese ai figli nati fuori dal matrimo-nio alcune norme originariamente previste solo per i figli nati da matrimonio. Ma è smisuratamente au-mentato il numero delle fratture di unioni tra cittadini italiani e cittadini stranieri e tra cittadini stranieri resi-denti in Italia, unioni alle quali si applicano normative straniere spesso neppure reperibili facilmente. E se negli anni settanta sono state soprattutto le donne a chiedere e ottenere modifiche alle leggi volte a tute-larle maggiormente e garantirle come madri e come mogli, oggi maggiore pressione è esercitata dai pa-dri separati che, sia relativamente ai provvedimenti di affidamento dei figli, sia relativamente ai provve-dimenti economici conseguenti alle fratture familia-ri, stanno chiedendo diversi interventi al legislatore.

Vi è anche da ri-cordare che sono numerosi i dise-gni di legge che da molti anni a questa parte han-no ipotizzato una riorganizzazione di tutta la materia ma, sia per la pro-blematicità delle soluzioni sia per la componente ideo-logica che ad esse è sottesa, a oggi non si è riusciti a trovare soluzioni complessive e or-ganiche.

Uno sguardo al diritto di famiglia

di Rita Farinelli e Paola Paolazzi

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Nel frattempo:•leseparazionieidivorzicontinuanoaesseredisci-

plinati dalle stesse norme procedurali che si appli-cano nelle cause civili ordinarie, pur concernendo situazioni complesse e in rapida e continua muta-zione;

•i provvedimenti provvisori di separazione, mo-mento fondamentale nella presa in carico del con-flitto familiare, vengono adottati sulla scorta della prospettazione libera delle parti e di uno scarno numero di documenti, dal Presidente del Tribu-nale, il quale è tenuto a fare un formale tentativo di conciliazione e poi, senza alcuna conoscenza più approfondita, decidere dell’affidamento dei figli, di assegni di mantenimento, dell’uso della casa familiare. Provvedimenti che, pur se disposti in via provvisoria e oggi reclamabili in Corte d’Ap-pello, influenzano e condizionano non solo tutta la causa ma anche incanalano i possibili accordi di definizione consensuale della separazione. Nes-suna particolare competenza né preparazione è richiesta ai Presidenti dei Tribunali per assumere una decisione così delicata. La legge impone che nell’affidamento della prole il Giudice faccia riferi-mento esclusivamente “all’interesse morale e ma-teriale dei minori”: la complessità delle decisioni da affrontare imporrebbe al giudice la necessità di ricorrere a conoscenze di altre scienze, ma at-tualmente il faro di riferimento sono invece le sen-tenze di Cassazione che si sono già pronunciate sulla materia e che, inevitabilmente, visti i tempi necessari per espletare i tre gradi di giudizio, fini-scono per decidere su casi e questioni che nella pratica hanno già trovato un loro sbocco naturale.

Le procedure familiari sono spesso complesse e a trattare le medesime vengono talora coinvolti pro-fessionisti e operatori diversi sia istituzionali sia del privato sociale e tra questi:•servizi socio-sanitari: non esistono norme che

prevedano espressamente l’intervento dei servizi socio-sanitari quale supporto alle decisioni del giudice nelle cause trattate dai tribunali Ordinari (figli nati da matrimonio) mentre invece il Tribu-nale per i Minori si avvale abitualmente del sup-porto di tali servizi (figli nati fuori del matrimonio o tra cittadini stranieri);

•consulenza tecnica: più diffuso è il ricorso allaconsulenza tecnica relativamente a due aspetti: consulenza di carattere psicologico con indagine sulla capacità genitoriale, finalizzata a definire le modalità di affidamento dei figli minori; consu-lenza di carattere economico-patrimoniale, per ac-certare più compiutamente patrimonio, reddito e ogni profilo della vita economica della coppia.

Le consulenze dilatano i tempi e i costi della causa e non sempre riescono a rispondere in modo esau-stivo ai quesiti loro posti: in Trentino sono pochi i consulenti che si occupano della materia matrimo-niale sia per le indagini sul patrimonio sia per gli aspetti psicologici. L’intervento dei servizi, così come le consulenze tec-niche hanno subito negli anni una rapida evoluzione: non si può sottacere peraltro che il mutare degli ope-ratori dei servizi preposti a un caso o anche la diffi-coltà di maturare esperienza ed equilibrio nei rap-porti con i componenti delle famiglie in crisi possono portare a una distorta rappresentazione della realtà e della sua prospettazione al giudice.Per quanto riguarda le difficoltà di esecuzione dei provvedimenti relativi ai figli, con legge del 2006 sono state introdotte pesanti sanzioni nell’ipotesi di violazione degli obblighi definiti nei provvedimenti di separazione e divorzio, ma tali sanzioni sono più di immagine che di concreta efficacia: in sostanza dovrebbero tutelare il diritto di entrambi i genitori a mantenere il rapporto con i figli, ma non sempre ciò accade. In pratica tali norme hanno consentito lo scatenarsi di un vastissimo contenzioso penale che, se da una parte sanziona comportamenti omis-sivi, dall’altra non risolve il problema del rapporto genitori-figli. I provvedimenti economici invece, per-lomeno in Trentino, hanno trovato una soluzione più efficace con una legge provinciale che, nell’ipotesi di omissioni ripetute di pagamento degli assegni, consente di ottenere dalla Provincia in via anticipata (ma solo fino ai 18 anni dei figli) quanto disposto nei provvedimenti giudiziari a carico di un genitore per il mantenimento dei figli; la Provincia si occuperà poi di recuperare dal debitore quanto dovuto mettendo a ruolo i relativi importi. Ultimamente presso i Tribu-nali di Trento e di Rovereto sono stati istituiti spor-telli informativi su tale servizio; sia a Trento che a Rovereto vi sono strutture pubbliche che accolgono madri con figli minori e appartamenti a disposizione di famiglie in crisi; ultimamente a Rovereto è stato aperto un appartamento per padri separati. Un capi-tolo a parte è relativo ai minori per i quali viene di-sposto l’affido a comunità con allontanamento dalla famiglia di origine: alcuni di tali casi hanno aperto vivaci discussioni sulla stampa locale e nazionale ed hanno visto molte manifestazioni organizzate con raccolte di firme e petizioni sostenute da alcune parti politiche oltre che da organizzazioni vicine a Scien-tology. Conclusione: tutta la materia, per la sua de-licatezza, per le implicazioni che comporta per la nostra società, per la necessità di conoscerla profon-damente in tutte le sue sfaccettature e possibili svi-luppi, avrebbe necessità di specializzazione di tutti quanti ad essa si dedicano professionalmente.

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Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino

In Trentino è stata recentemente costituita la sezione dell’Associazione italiana avvo-cati di famiglia (AIAF). L’Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori non ha fini di lucro e opera sul territorio nazionale. Aperta all’adesione degli avvocati che esercitano la professione con continuità e prevalentemente nel settore del diritto di famiglia, minorile e delle persone, ha come scopo promuovere informazione, forma-zione o dibattito sulle dinamiche della fa-miglia, delle persone, della condizione gio-vanile oltre che concorrere con progetti e proposte alle esigenze di miglioramento e riforma della legislazione familiare. L’AIAF si propone, inoltre, di incoraggiare il con-fronto e la collaborazione con altre figure professionali che si occupano dell’età evo-lutiva e della famiglia e di favorire tra le gio-vani generazioni di avvocati l’acquisizione di competenza e metodologia di lavoro adeguata alla complessità della materia. La sezione di Trento per il Trentino-Alto Adige ha eletto presidente Elisabetta Peterlongo. Fanno parte del consiglio direttivo Lorenza Cescatti, Rita Farinelli, Elisabetta Fronza, Federica Fuggetti, Paola Paolazzi, Cinzia Tomasoni. II 23 febbraio 2012 a Trento l’AIAF ha organizzato un convegno sulla deontologia dell’avvocato nei procedimenti di diritto di famiglia mentre è in fase di progettazione un convegno sul minore e il diritto di famiglia.

Giovanni Romeo, Amori proibiti: i concubini tra Chiesa e Inquisizione, Roma-Bari, Laterza, 2008In Italia tra Cinquecento e Seicento convivere senza essere sposati diventò un delitto, represso con asprezza dalle Curie vescovili, non dalle autorità statali. Scomuniche, irruzioni domiciliari, carcere, multe colpirono migliaia di coppie di fatto e raggiunsero presto chiunque vivesse relazioni proibite: anche gli amanti subirono in misura cre-scente conseguenze pesanti. Ancor più rischioso fu difendere il diritto di vivere la ses-sualità in modo difforme dall’etica ufficiale. In quei casi interveniva l’Inquisizione e apriva processi d’eresia. Per la Chiesa il bilancio non fu lusinghiero: poche regolarizzazioni, contromisure dei conviventi spesso effi-caci, vescovi appiattiti su logiche repressive. Per le coppie di fatto si moltiplicarono le sofferenze: famiglie distrutte, donne criminalizzate, bambini privati dei genitori. Molti difesero, tuttavia, con forza le proprie scelte, anche perché il clero stesso aderì con freddezza all’accresciuto rigore dei vertici diocesani, e non mancarono reazioni dure, talora dissacranti. Le pagine di Giovanni Romeo, tessute di una ricchissima documen-tazione inedita, raccontano quell’aspra battaglia e invitano a riflettere, contro ogni facile revisionismo, sul peso dell’intolleranza religiosa nella storia d’Italia.

L’Associazione italiana avvocati di famiglia

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Gherardo delle Notti, Cena con sponsali (1614 circa); un gruppo di giovani riuniti a tavola, avvolti da una luce morbida e dorata par-tecipa a una festa di matrimonio; l’atmosfera d’insieme infonde un senso di serena eleganza, la sposa dai lunghi capelli biondi porta sul capo una corona di fiori e di piume, il suo sposo le siede accanto e le se si rivolge con tene-rezza, gli invitati fanno da cornice ai protagonisti. Per l’artista olandese che s’ispira alla maniera di Caravaggio, perciò, la felicità degli sposi è immortalata in un breve istante rubato alla luce delle candele e racconta una semplice, umana ma affascinante, storia terrena; è un’idea di matrimonio che sottolinea la sua natura di legame privato, e ci invita a entrare in un mondo di affetti esclusivi e di forti risonanze simboliche.Le nozze, tuttavia, sono anche e soprattutto rituale, gestualità, tradizione, crisma religioso, come per il matrimonio della Pala dei sette sacramenti (1448) di Roger Van Der Weyden dove gli sposi, al cospetto del sacerdote e sotto le volte slanciate di una cat-tedrale gotica, uniscono le destre nella stola, gesto che fa delle loro mani una cosa sola; oppure ancora con il Ritratto di Messer Marsilio e sua moglie (1523) dell’enigmatico Lorenzo Lotto, una giovane coppia si scambia l’anello nuziale sotto l’arco-giogo di un cupido dallo sguardo giocoso e beffardo che sembra già intuire le difficoltà della convivenza. Se a vincere sono, invece, le ragioni del cuore, della passione, e dell’inconscio, gli esiti pittorici portano altrove; coppie di innamorati e matrimoni all’aperto, così come fiori, animali volanti, acrobati e musicisti, sono elementi inso-stituibili della poetica di Marc Chagall, fanno parte della sua “totale esplosione lirica” (Andrè Breton). Per Chagall, abitante di un mondo poetico percorso da un delicato lirismo, ma anche di un universo ingenuo e fiabesco che adombra un messaggio spirituale e una fede incrollabile nella forza dell’amore, il matri-monio è sinonimo di nostalgia e sogno, è la rappresentazione di una scena squisitamente sur-reale. Attraverso una lente diffe-rente, e uno sguardo molto più disincantato, le nozze possono

diventare il riflesso dei tempi, il teatro del mondo, e gli sposi trasformarsi in maschere sulla scena; nel London Daily Post del 2 aprile 1743 appare il seguente annuncio: «MR Hogarth ha inten-zione di pubblicare per sottoscri-zione sei stampe in rame incise a opera dei migliori maestri di Parigi da quadri raffiguranti una variazione su una vicenda moderna nell’alta società, e inti-

tolati Matrimonio alla moda. Si baderà in modo spe-cifico che la decenza e la proprietà di tutta la scena non abbiano a sollevare la minima obiezione, e che le relative figure non contengano riferimenti perso-nali». Il matrimonio è da sempre, oltre a un soggetto formale, anche un tema morale e William Hogarth pittore, incisore, caricaturista, racconta, attraverso le sei tele dipinte in sequenza di Matrimonio alla moda (1744), e con tono amaro e caustico, il triste epilogo di un matrimonio combinato dell’alta società della sua epoca. Il primo quadro vede la stipula dell’accordo tra il figlio del nobile decaduto Lord Squanderfeld e la figlia di un borghese arricchito; Hogarth coglie impietoso i dettagli fisici e psicologici: la gotta del vecchio nobile e la sua insistenza sull’albero genea-logico, l’espressione avara, bieca, e calcolatrice del mercante, la rassegnazione della giovane, l’atteg-giamento vacuo e vanesio del promesso sposo. Hogarth non solo condanna senza esitazioni perciò il mondo benpensante e la corruzione della buona società inglese, ma fornisce un contributo notevole allo sviluppo della narrazione per immagini, tanto

che qualcuno ha visto in lui un epigone rispetto alle modalità espressive del fumetto e della cinematografia. Il ritratto dei novelli sposi, il rito del matri-monio, il corteo o il banchetto nuziale sono interpretati perciò da ogni singolo autore secondo un linguaggio variabile e del tutto soggettivo, mentre la tec-nica della fotografia, almeno a un primo e forse ingenuo livello interpretativo offrirebbe la possibilità di ricreare un’im-magine quale specchio del reale, una fedele impronta del mondo attraverso la luce; il passaggio di consegne tra la pittura e la fotografia sembra voler indicare la differenza tra una visione sublime, interiore,

Scene da un matrimonio

La foto di matrimonio attraverso il Novecento

di Silvia Bertolotti

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sentimentale, e una visione oggettiva, scientifica, ovvero la realtà vista da una macchina, ma i confini tra i due ambiti d’espressione non sono così netti e continueranno a essere sfumati e a compenetrarsi in un affascinante percorso culturale e artistico fatto di dialogo, confronto e scontro, all’interno di un uni-verso del visuale che diviene nel nostro presente sempre più complesso e onnicomprensivo. Vale la pena ricordare, a tale proposito, il saggio Pittura fotografia film di Laszlo- Moholi-Nagy, testo pubbli-cato nel 1925 nella collana edita dal Bauhaus, che rappresenta il manifesto teorico della fotografia moderna, e una riflessione profonda e smaliziata sull’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tec-nica, elaborata e scritta dieci anni prima del celebre saggio di Benjamin. Oggetto della trattazione è l’a-nalisi dei tre media: pittura, fotografia, e film e delle relazioni che intercorrono tra loro. Moholy fornisce un’interpretazione eversiva al ruolo della fotografia, essa libererebbe il pittore “dalle pastoie dell’imma-ginazione naturalistica”, e lo renderebbe in grado di creare composizioni con la luce, il colore e le forme in uno stato di assoluta libertà espressiva; la foto-grafia sarebbe uno strumento privilegiato per “sco-prire la realtà”, una realtà che però, si badi bene, all’apparecchio fotografico appare diversa da come si mostra all’occhio umano: «tutte le fotografie sono precise – disse il fotografo Richard Avedon –, nes-suna è la verità». Il fotografo professionista fin dall’i-nizio compete con il pittore; qualcuno si dichiara, sui dorsi fotografici di montaggio delle stampe, “pittore fotografo”, qualcun altro, con tono da futurista ante litteram, “Fotografo-Fisico-Macchinista”. Va ricor-dato inoltre che nella fase iniziale del diffondersi

della fotografia (dagherrotipia) esistono professioni-sti dell’immagine fotografica ambulanti, che eserci-tano la loro arte ritrattistica (richiesta maggiormente dai cittadini più abbienti) in occasione di mercati e fiere, e girovagando perciò di città in città. La fotografia si specializza e crea dei generi al suo interno, sviluppa una serie di soggetti ricorrenti, un archivio di tipologie. Sotto il profilo sociale risulta evidente che con l’espediente della fotografia la riproducibilità dell’immagine propria e dei propri cari assume una dimensione molto più democra-tica; il possesso di qualche immagine fotografica raggiunge sempre maggiori strati della popolazione, tanto che il materiale fotosensibile inizia di fatto a seguire e scandire per tappe la vita di ciascun indi-viduo, come la nascita, la comunione, il matrimo-nio o la partenza per il servizio militare. Ogni fami-glia custodisce nei propri “ripostigli della memoria” cimeli fotografici. A questi è demandato il compito di celebrare un importante evento affettivo, privato, e di costruire l’album, il diario iconografico, l’albero genealogico per immagini del clan familiare, ma allo stesso tempo questi reperti raccontano del mondo che sta fuori le mura domestiche, della realtà in cui nascono e sono immersi, parlando un linguaggio sempre mutevole e sorprendente. Il documento iconografico costituito dalla fotogra-fia di matrimonio rappresenta uno straordinario e potente strumento di indagine antropologica, cul-turale, estetica, politica e di costume. Le fotogra-fie, come sempre, rivelano molto di più di ciò che vorrebbero mostrare ai nostri occhi. La fotografia di matrimonio, che costituisce una delle prime applica-zioni commerciali della pratica fotografica, trova la

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sua nascita e il suo sviluppo quale sottogenere della più ampia categoria della fotografia di ritratto. Ai suoi esordi la fotografia dedicata agli sposi è fortemente condizionata dalle limitazioni tecniche degli apparecchi fotografici dell’epoca; le procedure meccaniche che richiedono tempi necessariamente lunghi anche in pieno sole e l’esigenza di effettuare scatti molto posati e statici sono le motivazioni che costringono almeno fino ai primi anni del Nove-cento, a praticare la fotografia di matrimonio all’in-terno dello studio fotografico. Gli sposi si recano perciò dal fotografo prima o dopo le nozze e si fanno immortalare con l’abito da cerimonia o comunque con “l’abito buono”, un abito scuro semplice ed elegante; è evidente come le pose lunghe e noiose rendano il risultato poco spontaneo e naturale. Le espressioni sono serie, l’atteggiamento impettito, lo sguardo che è fisso, quasi ipnotizzato, verso il poco familiare obiettivo, stenta a reggere i secondi di posa. Poi la fotografia comincia a uscire dallo studio, e a ritrarre in alcune occasioni gli sposi in chiesa, talvolta all’aperto davanti a un fondale di stoffa (ad esempio un copriletto matrimoniale), o, nel caso di appartenenti alla nobiltà o all’alta borghesia, nei giardini di ville e palazzi, compare l’ombra di qualche sorriso, se pure timido e composto. Qualche coppia, con scelta di dubbio gusto, si fa riprendere accanto ai doni nuziali e alla dote, un segno ancora forte di status sociale e di benessere economico. Cambiano rapidamente le tecniche, ma cambia anche l’approc-cio stesso all’essere fotografati. Muta la disponibi-lità d’animo verso l’obiettivo e varia la percezione estetica del professionista dell’immagine. Con l’av-vento di rulli o rullini fotografici anche la fotografia di nozze entra nella sua era moderna e comincia a diversificarsi, ad assumere un tono molto più nar-rativo e dinamico, pur mantenendosi ancora legata a scelte stereotipate che prediligono quelli che ven-gono considerati, secondo la tradizione, i momenti simbolici di un matrimonio. Con la guerra mondiale

le divise conquistano la scenografia delle nozze, ma soprattutto il suo dress code, mentre per le spose delle classi più agiate, e sulla base di un’eredità cul-turale di stampo ottocentesco, si predilige il bianco, considerato il colore della purezza. Con il Venten-nio, la famiglia trova una sua retorica celebrazione, e con l’altrettanto strumentale e grottesco revival del mos maiorum, il matrimonio è celebrato con grande enfasi propagandistica e con accentuata solennità; spade sguainate e processioni di giovani coppie inaugurano l’usanza dei matrimoni collettivi, gli uomini sono in divisa e, a volte, a fare da sfondo è un campo militare. Le gravi difficoltà economiche e sociali determinate dalla fine del secondo conflitto mondiale costringono a una necessaria sobrietà; pochissime spose si possono permettere l’abito bianco, lo stile diviene più severo e rigoroso, ma si moltiplicano le foto di gruppo, le foto spontanee scattate in compagnia di amici e parenti, le riprese all’uscita dalla chiesa o lungo le strade di paese; la felicità e l’ottimismo sembrano potersi ritrovare anche nelle piccole cose e nella semplicità degli affetti. Il ritratto di gruppo contribuisce a fissare nella memoria un evento che assume una valenza sempre più corale, indicando un percorso che troverà il suo pieno sviluppo nella concezione contemporanea di nozze come “messa in scena” e narrazione. Con gli anni cinquanta l’abito bianco torna a essere in auge, e la tragedia della guerra vuole essere solo un buio ricordo, si respira un’aria di maggior sicu-rezza, lo spettro dei soggetti fotografici matrimo-niali si amplia, e (per i più agiati) si può immorta-lare anche la partenza per la luna di miele. Il boom economico degli anni sessanta scatena un certo desiderio di allegria, spensieratezza e spontaneità. Le pose diventano sempre meno convenzionali; notevole spazio è dedicato ai momenti del ballo e della festa. Il “grande giorno” deve rimanere un giorno memorabile, e il bianco dell’abito è soprat-tutto moda. Gli anni settanta indicano un considere-

Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino

Daniela Lombardi, Storia del matrimonio: dal Medioevo ad oggi, Bologna, Il mulino, 2009Il matrimonio ha costituito per secoli uno snodo essenziale nella vita delle persone, ma le forme di questo fondamentale rito di passaggio sono molto mutate nel tempo riflettendo non solo la trasformazione dei rapporti famigliari e tra i sessi, ma anche l’azione di disci-plinamento esercitata dai poteri laici e religiosi sui comportamenti individuali. Il volume disegna un tracciato che parte dalla situazione d’età medievale in cui sposarsi era un pro-cesso diluito nel tempo, dalla promessa alla coabitazione, ed era sancito semplicemente dal consenso dei due partner e registrato come un contratto; passa all’età moderna, in cui il matrimonio si afferma come fatto religioso con riti e regole severe, seppure con marcate differenze tra paesi cattolici e protestanti. Conclude con la situazione contemporanea, che ha visto una secolarizzazione del matrimonio e un graduale affrancamento della sfera pri-vata dalla regolazione giuridica dello stato.

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vole scardinamento delle convenzioni, e registrano una forte tendenza al cambiamento, pur mantenen-dosi viva parallelamente una corrente convenzio-nale, legata al matrimonio della tradizione e a una cerimonia formale; con la rivoluzione sessuale e il messaggio del movimento femminista, infatti, l’abito da sposa non ha più uno stile e un colore preciso, ma si moltiplicano le nuove proposte, in particolare il motivo floreale va per la maggiore, strizzando l’oc-chio alla Flower Power, alla Beat Generation e all’u-niverso Hippy; iniziano a essere organizzati matri-moni tematici ed è la sposa stessa a “interpretare” in modo personale il proprio abito e l’intera cerimonia. Dalla fine degli anni settanta, ma soprattutto con gli anni ottanta, la fotografia di matrimonio subisce una netta trasformazione. Fa capolino una nuova concezione dell’album di nozze e una nuova idea di memoria privata; accanto alle canoniche fotografie in posa e di gruppo, se ne incontrano una lunga serie che raccontano la giornata degli sposi a partire dal momento della “vestizione” fino alla fine del ricevimento; nasce uno sguardo cinematografico sul matrimonio e l’intero evento è organizzato seguendo una regia sempre più precisa e ricca di attenzione al dettaglio; di conseguenza anche il fotografo si specializza per essere in grado di fornire un prodotto di alto livello, di forte impatto emotivo, ma soprattutto completamente personaliz-zato. È la strada che porta attraverso le esperienze fortemente commerciali e studiate degli anni novanta alla nostra contemporaneità, al ventunesimo secolo, in cui a una visione romantica e naïf delle scene di matrimonio, si va sostituendo spesso un processo di spettacolarizzazione della vita e della sfera del pri-vato. Il matrimonio non è più visto come un rito di passaggio che segna l’inizio della vita coniugale e che conclude perciò un ciclo precedente, ma come una sorta di grande evento collettivo, e assume le sembianze di una rappresentazione forzatamente artificiosa; è chiaro che non per tutti è così, un certo

numero di sposi opta per soluzioni fotografiche dallo stile classico e sobrio, ma la tendenza è in atto, e rap-presenta uno spiccato fenomeno di costume dove l’immagine è in ogni sua accezione e applicazione un fattore di primaria importanza. A tale spettacolarizza-zione hanno di certo contribuito i mass-media, i roto-calchi, i programmi televisivi e internet, dedicando una forte attenzione e molto spazio di discussione e dibattito critico alle nozze di personaggi famosi, membri di casate reali, personaggi del mondo dello spettacolo. Il fotografo entra nell’equipe del Wedding Planner, ovvero il professionista dell’organizzazione dell’evento matrimoniale. Al termine di questo veloce percorso iconogra-fico, si può segnalare il volume fotografico Insieme all’altare curato da Ada Gigli Marchetti ed edito da Bonomia University Press, che propone un’agile, sin-tetica, ma interessante selezione di scatti matrimo-niali attraverso il Novecento; curiosa, ad esempio, la fotografia del 1955 degli sposi ripresi nella sede del PCI di fronte all’immagine di Togliatti, o quella degli anni sessanta della sposa che sta votando per la camera dei deputati. Le foto ufficiali di coppia, che risulta chiaro, si offrono a una duplice chiave di let-tura, storica ed emozionale, svelano gli avvenimenti della nostra società attraverso innumerevoli variabili geografiche, di censo, di scelta religiosa, di temperie culturale, e immortalano microstorie che ci costrin-gono a fare i conti con i grandi avvenimenti, con quei cambiamenti epocali vale a dire che hanno plasmato il modus vivendi, i valori condivisi, e la sensibilità estetica fino ai nostri giorni. Rimane però la sensazione che accostarsi alla lettura di una foto di nozze significhi inconsapevolmente affacciarsi alle soglie di un oceanico mondo som-merso, al frammento di un patrimonio iconografico vastissimo, inedito e fin troppo sottovalutato, che molto ha ancora da dirci dello spirito del suo tempo, e che tuttavia, custodirà per sempre il mistero di un incontro e di due destini.

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Il matrimonio-statoriflessioni di e su Alberto Savinio

di Stefano Chemelli

Nietzsche sosteneva che il matri-monio è una lunga conversazione interiore e silenziosa. Scapolo com’era lo si può forse capire nel profondo, lui filologo innan-zitutto, prima di ogni malevola etichettatura di parte. Alberto Savinio (1891-1952, pseudonimo di Andrea De Chirico, fratello di Giorgio) si spingeva oltre trat-teggiando un’intimità non con-fidenziale tra uomo e donna, addirittura un’insanabile inimici-zia avrebbe ben presto preso il sopravvento tra le pieghe delle corti più sontuose. Tra apparte-nenze presunte e disadattamenti a compagnie mai totalmente integrate si giocava a suo parere il destino di una sostanziale diffi-denza, di una diversità che spa-ventava e attraeva gli attori di ogni avventura galante. Eppure se esiste un difensore del matri-monio in quanto istituzione tra-dizionale e regolativa, Savinio si erge davvero come uno stre-nuo paladino del patto singolare capace di preservare all’interno equilibri di varia natura e forma. Tra il maggio e il luglio del 1943, sul periodico Film, appaiono una serie di puntate dedicate a Enrico Ibsen, una sorta di trasfi-gurazione biografica dell’Autore stesso, che intesse un dialogo serrato con il celebre drammaturgo norvegese. Qui risiedono alcune considerazioni sul matrimonio, che assumono le forme incorruttibili delle scelte irre-dimibili: “Il matrimonio è un baluardo che l’uomo pone intorno a sé e che lo salva dai pericoli e dalle minacce: è il modo più sicuro di chiudere intorno a sé le vie che immettono a noi il male, e le più aperte e pericolose ed esposte delle quali sono le vie dei sensi. Celibe, l’uomo è inerme e vulnerabile: spo-sato, viene a trovarsi come dentro un fortilizio for-nito d’inesauribili viveri e munizioni, con la moglie-sentinella che giorno e notte gli gira intorno, e che a intervalli regolari fa udire i suoi imperiosi e impla-cabili ‘altolà!’ […]. Il matrimonio è un’associazione che trova la propria forza e la propria ragione in se stesso, indipendentemente da ogni interesse econo-mico, indipendentemente da ogni annesso interesse dei figli. Il matrimonio vive di là dai sensi, vive di là dalle ragioni pratiche della vita, vive di là dai figli. […].

Nella metafisica del matrimonio non l’uomo e la donna contano, ma il marito e la moglie; come di fronte all’interesse dello Stato, l’interesse dell’individuo cade. E il matrimonio è Stato”.Nelle stesse pagine e in molte altre ribadirà il concetto greco della completezza figurata nell’Ermafrodito (Hermaphro-dito è il capolavoro del 1918, un testo di riferimento assoluto sulla linea innovativa del plurilingui-smo: Savinio possedeva greco, francese, tedesco ancor prima della lingua italiana), dell’integra-zione praticabile e possibile tra maschio e femmina. L’ermafro-dito non ha sesso o per meglio dire rappresenta una sorta di neu-tralizzazione dei sessi, essendo dotato di entrambi. Sarà ancora più esplicito in un allegato alle sei puntate sull’Ibsen, ritrovato nella stessa cartella, dove si rimarca – se ancora ce ne fosse bisogno – una concezione del desiderio abbinato indissolubil-mente a una fedeltà messianica, anche se non mancano, nelle pagine immortali e nella vita pro-pria dello scrittore, raffinatissime e allusive avventure giovanili tra-sposte con il tatto di una scrittura euforica, eppure dotata, per fre-

schezza e trasparenza, di un equilibrio. Anche al di là di ogni convinzione morale, di ogni ethos condiviso o meno, non si può che rimanere sorpresi a fronte del nitore profuso da un incedere opulento, giacché intriso da un sorriso latente tra let-tore e scrittore, in una sorta di divertita e umanissima complicità diffusa.Vale la pena citare per intero la chiusura dell’arti-colo sciolto, ma legato alla stesura originale della Vita di Enrico Ibsen: “Nella buona riuscita dell’atto sessuale, l’affiatamento tra i due strumentisti ha un’importanza capitale. La tecnica dell’atto sessuale ha, come ogni tecnica, alcuni suoi segreti, una sua poesia, una sua profondità, che non si raggiungono se non superando gli ostacoli della non intimità e del pudore. La legge biologica secondo la quale la fecon-dazione non può avvenire se non in condizioni di buio assoluto, estende il proprio ‘senso’ intorno alla operazione dell’amplesso, così da avvolgerla tutta di tenebra. Anche negli accoppiamenti più volutamente

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sterili, l’impulso è pur sempre dato dalla volontà di fecondazione. Atto solitario ancorché compiuto da due individui distinti, i quali in quell’atto s’integrano e si fondono, avvolti da una propizia oscurità, e quasi sempre dall’oscurità cosmica: la notte. La poligamia esclude la profondità dell’operazione amorosa, pone l’atto sessuale in condizione di stupida superficialità. Il pudore che circonda e vela da ogni parte l’am-plesso, ha il fine di farlo più solitario – più profondo. Solo due amanti che praticano l’amplesso sempre assieme, fedeli duettisti, e si ‘intimizzano’ sempre più, solo loro possono arrivare all’’abissale’ profon-dità dell’atto sessuale, questa umana variante della origine della Via Lattea”. Nello spirito di un tempo promiscuo come pochi, Savinio ci avverte con il respiro dell’artista che non teme smentita, propone una via con tale fermezza da non provocare sussulti, ma una sodale propensione alla condivisione, con il gusto ironico di secondo grado che disconosce il tono assertivo respingente, disponendo di una tenacia espositiva scintillante e abbagliante, pertinace.Eppure la felicità della famiglia Savinio, e prendiamo sul serio le parole di Leonardo Sciascia, era ornata da discrezione, da un pudore fortissimo, da un silenzio da intendersi come manifestazione tangibile di un’in-tesa suprema, una specie di conversazione ohne Worte, estremamente diradata, quasi senza parole. Maria Morino, la compagna fedelissima, avrebbe letto sulla Stampa di Torino il 31 marzo 1943 un pezzo intitolato “Silenzio nel matrimonio”, ben sapendo che conforto, sicurezza e silenzio erano considerate da Savinio virtù non solo borghesi ma assolute, specie per il suo indefesso lavoro di multiforme artista.È un pezzo, quello che appare in terza pagina, che risponde pubblicamente a un disagio muliebre (“ti duoli, Maria, perché non convergiamo più assieme come conversavamo una volta”). Dopo vent’anni di matrimonio emerge la nostalgia della conversazione fitta, a tal punto da rendere insuf-ficiente la vastità di un vocabolario esteso e praticato nella tensione emotiva di una corte intessuta di una “dialettica ammagliata, delle immagini più suadenti”, atte a colpire la donna per la conoscenza profonda di colui che si propone nella promessa di una vita condivisa. E Savinio ammette nello scritto l’opera di imbonimento, una sorta di composizione della parola (“fare l’articolo”), un’eloquenza passeggera e forzata nel momento eccezionale dell’innamoramento che presuppone, nel contesto di una prospettiva matri-moniale, ampi tratti di retorica verbale (nell’esilerante episodio del Rocchetto di Venere in Hermaphrodito, nella copula repentina dell’avventura amorosa, la retorica è quasi del tutto assente). Eloquenza da tribuno la definisce Savinio, sigillo di

un commercio umano, preparazione retorica di un imperituro amore, il fare la corte in vista di un’im-minente unione significa mettere a nudo la propria anima ancor prima che il proprio corpo, “prima di mettere apertamente in mostra la sua pallida superfi-cie ‘lunare’, questa nudità che a poco a poco si rivela cerca di nascondersi dietro le parole come Dafne dietro le fronde e mai le parole fanno altrettanto ufficio di veli quanto nell’idillio tra uomo e donna”. Nudità senza parole e veli, silenziosa, incolore, muta. L’amore vitale è “l’uomo-donna ossia l’individuo-Stato. Questa la misteriosa ed essenziale risultante del matrimonio e questo silenzio è il segno appunto che il matrimonio è riuscito bene, siccome la bolla sul braccio è il segno che il vaccino ‘ha preso’”. Complicità tra uomo e donna, complicità di sangue – afferma Savinio – come baluardo contro il male, una sorta di osmosi dell’indistinto (“mostri forniti di quattro gambe e quattro braccia, con due nasi e due bocche che camminano come ragni enormi” sono i coniugi), il matrimonio ha formato l’uomo-donna, e la parola rappresenta quasi un pericolo, mentre del silenzio non ci si può dolere perché – ed è motivo fondante di tutta l’opera di Savinio – è nel silenzio, nello scrutare il nostro foro interiore, nell’edificare il mondo penetrando nella propria interiorità che ci pre-pariamo ad avvicinarci alla morte, là dove si ricom-pone il destino di una ritrovata purezza individuale. Scriverà in Casa “La vita” che “amare è dare altrui la propria anima, è animare altrui con la propria anima, è illuderci di dare altrui una vita felice e profonda che altrimenti gli mancherebbe. Non c’è posto nell’amore per due anime. E quando si dice che due, amandosi, compongono un’anima sola, si vuol dire che una sola di queste anime opera amorosamente, mentre l’altra sta in dolce e grata inazione. Ma quando anche l’a-nima sopita si risveglia, allora le due anime si sepa-rano e l’amore finisce”. L’amore è eterno ma nella nostra fantasia, nella fedeltà che è il nostro desiderio, come nel mito. Il matrimo-nio ha un fine sessuale, ha un fine sentimentale, ha un fine procreativo – ribadirà in Maupassant e ‘l’altro’ – ma ha soprattutto il fine di completare e rafforzare quaggiù la situazione dell’uomo e della donna, e di creare tra un uomo e una donna un’associazione pic-cola ma sicura, che consente di affrontare con una specie di “egoismo raddoppiato” i pericoli, la sorte e soprattutto la solitudine della vita. E a questo fine, meglio che l’unione normale di marito e moglie, rispondono le unioni di madre e figlio, di fratello e sorella, di sorella e sorella, di fratello e fra-tello. Lo stato ermafroditico è un sogno di perfezione, una finzione, una soluzione ironica del sogno mitico, dove l’ambiguità è il regno dell’armonia e l’ambiva-lenza uno dei caratteri della letteratura.

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Il matrimonio in cifrel’andamento della nuzialità

in Trentino-Alto Adige nel XX secolo

Negli ultimi decenni del XX secolo si assiste a una modifica dei modelli di formazione e scio-glimento delle coppie. In linea con i nuovi compor-tamenti familiari propri della seconda transizione demogra-fica, si celebrano sempre meno matrimoni. Già nella prima metà del secolo, la regione ha i livelli di nuzia-lità più bassi rispetto alle altre regioni del Nord: se si escludono le oscillazioni belliche, i quozienti di nuzialità non superano il 6‰ (figura 1) quando altre regioni raggiungono il 7‰-8‰. Nel periodo del baby boom (anni sessanta) c’è un rialzo al 7‰-8‰, ma successivamente i quozienti iniziano a scendere. Una prima forte diminuzione si registra negli anni settanta (si passa dal 7,7‰ del 1970 al 5,2‰ del 1979); con gli anni novanta, dopo un decennio di stabilità, i quozienti riprendono a scendere senza interruzione. Nel 2006, con 3,8 matrimoni ogni mille abitanti, la regione (e le sue province) si colloca tra le regioni del Nord (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia) con i tassi di nuzialità più bassi a livello nazionale.

La tabella 1 e la figura 2, che esprimono la dinamica ai vari censimenti rispettivamente di una stima dell’età media al matri-monio e della percentuale di celibi/nubili a cinquant’anni, per-mettono di apprezzare meglio le trasformazioni della nuzialità avvenute nelle due province. Innanzitutto, evidenziano come il calo dei quozienti di nuzialità di fine secolo si traduce in un aumento dell’età media al matri-monio per entrambe le province e, ad eccezione delle donne trentine, anche in un aumento del celibato/nubilato definitivo (si veda il rialzo delle percen-tuali in corrispondenza del cen-simento nel 2001). In secondo luogo, si rileva che in Alto Adige l’età media al matrimonio è più alta che in Trentino. Più in gene-rale, le stime suggeriscono che nel corso della prima metà del secolo in provincia di Trento ha

operato un modello di nuzialità diverso da quello di Bolzano almeno per quanto riguarda la propensione a sposarsi: a Trento la quota di celibato definitivo (ma anche di nubilato) è, infatti, più alta che a Bol-zano.

censimenti Uomini Donne

TAA prov. BZ prov. TN TAA prov. BZ prov. TN

1921 17,99 21,2

1931 18,82 15,75 23,26 18,58

1936 18,16 15,80 23,48 20,40

1951 16,53 17,36 22,17 23,64

1961 14,06 17,69 19,63 21,75

1971 14,66 18,17 18,69 18,86

1981 13,02 16,32 13,95 13,47

1991 12,95 13,95 10,37 9,40

2001 16,50 14,73 11,34 9,20

Si propongono di seguito alcune brevi note sull’andamento della nuzialità in Trentino-Alto Adige nel corso del secolo scorso estrapolate da un più ampio contributo elaborato da Fausta Ongaro e Fiorenzo Rossi sul tema del movimento demografico della popolazione in questa regione nel XX secolo. Tale contributo è in corso di pubblicazione nella collana di pubbli-cazioni della Fondazione Museo sto-rico del Trentino all’interno del terzo volume di storia regionale curato da Rodolfo Taiani e Michael Wedekind e dedicato alla popolazione in Trentino-Alto Adige nel XX secolo.

Tabella 1. Percentuale di celibi e nubili a 50 anni, censi-menti 1921-2001

Figura 1: Matrimoni per mille abitanti, regione e province, 1922-2006

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Negli ultimi decenni del XX secolo aumentano anche i matrimoni civili (figura 3). All’inizio degli anni ottanta, con un quinto di matrimoni civili, la regione non esprime percentuali particolarmente elevate rispetto ad altre regioni del Nord. Negli anni suc-cessivi, però, il fenomeno ha una rapida crescita: a metà degli anni novanta, un terzo dei matrimoni non è religioso e nel 2008, con la maggioranza di matri-moni civili (54%), la regione diventa quella con la più alta proporzione di matrimoni civili tra le regioni del Nord. Anche in questo caso, tra le due province ci sono forti differenze. A Bolzano la propensione a celebrare matrimoni civili è sistematicamente più alta che a Trento, dove, per questo aspetto, si tende ad avere comportamenti più simili al Veneto.L’instabilità coniugale è un altro fenomeno che carat-terizza l’ultimo scorcio del Novecento. L’aumento delle separazioni e dei divorzi sono esperienze rela-tivamente recenti per l’Italia (la legge sul divorzio è stata approvata solo nel 1970): gli anni novanta e soprattutto il primo decennio del XXI secolo testimo-niano un rapido aumento del fenomeno, soprattutto nelle regioni del centro-nord del Paese.

Il Trentino-Alto Adige non fa eccezione. All’inizio degli anni ottanta, in regione, le separazioni sono meno di 500 e i divorzi poco più di 150. Dopo una ventina di anni le separazioni sono più che raddoppiate mentre i divorzi si sono triplicati anche se la regione non ha raggiunto ancora i tassi di separazione totale di altre regioni del Nord (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria). Con il XXI secolo però il fenomeno mostra un’acce-lerazione e il Trentino-Alto Adige raggiunge i livelli delle restanti regioni del Nord.

Figura 2. Età media al matrimonio di uomini e donne, cen-simenti 1921-2001.

Figura 3. Percentuale di matrimoni civili, regione e provincia, 1984-2008.

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Col permesso davanti al parroco

Una specifica norma emanata dal governo asburgico subito dopo la Restaurazione introduceva fon-damentalmente nella sola Contea principesca del Tirolo Vorarlberg, che comprendeva anche l’attuale Trentino, l’obbligo del cosiddetto permesso politico di matrimonio. Si trattava in altri termini dell’au-torizzazione o meno a contrarre matrimonio rilasciata dalle autorità politiche ai componenti di deter-minate aree sociali ritenuti teorica-mente incapaci di garantire soste-gno economico alla futura fami-glia. In particolare così recitava una Circolare governativa per il Tirolo del 17 giugno 1820 con oggetto Di quali matrimoni sia necessario il consenso dell’Autorità politica: “Avuta considerazione ai propri rapporti della provincia del Tirolo e Vorarlberg, ed alle perniciose conseguenze, che potrebbe portar seco la illimitata libertà di contrarre matrimonio dalle persone man-canti dei mezzi di sussistenza, e nello stesso tempo affine di non dar luogo ad alcuna restrizione con-traria alle leggi, l’imp. Reg. Cancelleria aulica riunita prescrisse con Ecc. decreto del 12 Maggio prossimo passato n. 12614-795, quanto segue [...]1 Volendo contrarre matrimonio individui senza

fisso domicilio appartenenti alla classe delle per-sone di servizio, dei lavoranti, degli artisti, e degli operai, o così detti abitanti; dovranno essi preven-tivamente insinuarsi alla Superiorità politica, onde riportare dalla medesima un’attestazione, che non esiste alcun ostacolo politico contro de loro matri-monio.

2 Egli è vietato ai Parochi, ed ai Pastori delle anime, di compartire la benedizione nuziale ai detti indi-vidui, che non avranno prodotto prima una tale attestazione.

3 Le Superiorità politiche sono autorizzate di negare il permesso di maritarsi alle persone, che parte-cipano dei soccorsi di un Istituto dei poveri, che si danno al mendicare, ovvero che in altro modo vivono alla giornata senza un mezzo stabile di sus-sistenza.

4 […] Se ne ingiunge all’Autorità ed ai Pastori delle anime la più esatta osservanza”.

In Trentino il permesso politico di matrimonio ebbe vita contrastata – si dovette intervenire contro i cre-scenti casi di matrimoni illegittimi che cercavano di aggirare tale ostacolo –, ma si radicò a tal punto negli usi locali da trovare corrispondenza nel detto, assai

diffuso fra la popolazione trentina, secondo il quale “quando un uomo rispondeva ai canoni socialmente imposti di esser cristian, sàn e pro-curar ‘l pan’ allora poteva anche pensare a prender moglie e metter su casa”. Inoltre anche dopo la conclusione della Grande Guerra alcuni parroci continuarono ad esigere tale permesso così come i Consigli comunali a discuterne. Se ne trova traccia, ad esempio, nella seduta del Consiglio comu-nale di Moena del 18 aprile 1923. Già in passato antiche norme ave-vano attribuito ai comuni tirolesi la facoltà di “contenere” l’accesso al matrimonio del quarto stato. Il nuovo assetto statale, invece, che limitava fortemente l’autonomia comunale, di fatto trasferiva tale potere alle autorità politico-ammi-nistrative centrali. In entrambi i

casi la vera preoccupazione di fondo che suggeriva l’adozione cautelare del divieto era quello di trovare soluzioni al problema del pauperismo cercando, però, non tanto di affrontare le sue possibili cause socio-economiche, quanto evitando che il numero dei poveri potesse crescere in modo incontrollato. E quale soluzione migliore di quella d’impedire che potessero riprodursi anche attraverso la negazione di un diritto naturale? L’altro motivo da cui traeva forza lo strumento del permesso politico di matrimonio era quindi l’economicismo assistenziale, cui si sovrap-poneva, nel caso tirolese, la volontà di rinsaldare la tradizionale struttura contadina. Ai governi della Restaurazione faceva, infatti, più paura il «costo» della povertà che non il suo potere sovvertitore, control-lato peraltro da un efficace sistema di polizia sociale (note estrapolate dal contributo di Casimira Grandi, “All’altare col permesso: amore e burocrazia nel Tren-tino asburgico”. In: Amori e trasgressioni: rapporti di coppia tra ‘800 e ‘900. A cura di Antonia Pasi e Paolo Sorcinelli. Bari: Dedalo, 1995: 189-225).

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Paesaggi di guerra

Si è tenuta il 9 settembre alla Galle-rie di Piedicastello l’inaugurazione della mostra fotografica “Paesaggi di guerra: il Trentino alla fine della prima guerra mondiale”, orga-nizzata dal Museo storico italiano della guerra di Rovereto e dalla Fondazione Museo storico del Trentino. Sono intervenuti Franco Panizza, assessore provinciale alla cultura, rapporti europei e coo-perazione, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, Camillo Zadra e Anna Pisetti del Museo storico italiano della guerra. L’esposi-zione, aperta fino al 29 gennaio 2012, ha ricomposto per la prima volta un’ampia rappresentazione dell’immagine di distruzione che si presentò ai trentini di ritorno dall’esilio e dalla guerra. La mostra è composta dai materiali già espo-sti in 12 mostre territoriali prece-denti, realizzate in tutto il Trentino.

INFOMUSEO

SETTEMBRE

A tu per tu con il farmacista

Il 10 e l’11 settembre presso il Centro culturale di Brentonico si sono tenuti gli ultimi due appunta-menti con “A tu per tu con il farma-cista: laboratori aperti per appren-dere come preparare creme, pomate e sciroppi”, organizzati dall’Associazione giovani farmaci-sti Trentino-Alto Adige/Südtirol, in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino e il Comune di Brentonico, in occa-sione delle mostre “Farmacisti di famiglia” e DiStilla InStilla”.

Trekking guidati e visita al Forte di Cadine

Dopo il successo dell’apertura straordinaria del forte di Cadine, che ha visto la presenza di oltre 1.500 visitatori nelle giornate del 26-27-28 agosto, la Fondazione Museo storico del Trentino e l’APT Trento, Monte Bondone, Valle dei Laghi hanno proposto nuove visite guidate e trekking alla scoperta della Fortezza di Trento. Domenica 11 settembre è stato organizzato un trekking sul Casteler de la Groa, area che ospitava diverse posta-zioni militari che permettevano all’esercito austroungarico di con-trollare la val del Sarca e la val di Cavedine. Domenica 18 settembre e domenica 9 ottobre il trekking guidato si è svolto sopra l’abitato di Cadine. Il quartiere di Piedica-stello, ricco di testimonianze stori-

che come la chiesa di Sant’Apolli-nare e il sovrastante Doss Trento sono stati visitati il 25 settembre. Il 2 ottobre, infine, è stata percorsa una parte del sentiero di San Vili, che da Trento porta a Madonna di Campiglio, ricalcando la strada seguita da San Vigilio nel 400 d.C., durante la sua opera di evangeliz-zazione. Tutti i trekking si sono conclusi con una visita guidata al Forte di Cadine e una degusta-zione di prodotti tipici locali.

Il progetto “Post Italy” alle Galle-rie di Piedicastello e presentazio-ne del cd “Tunnel”

In occasione del progetto “Post Italy” dell’artista Valentina Mio-randi, il 23 settembre alle Gallerie di Piedicastello, è stato presentato il secondo volume della collana di pubblicazioni riservate ad arti-sti trentini under 35 ancora privi di una prima estesa monogra-fia istituzionale. Il volume, edito dalla Fondazione Galleria Civica di Trento e da Kaleidoscope Press di Milano, contiene una conversa-zione tra l’artista e Barbara Casa-vecchia e un testo di Luigi Mene-ghelli. Lo stesso giorno, alle 21.00, si è tenuto, in anteprima nazio-nale, un concerto-performance all’interno della galleria nera, in cui sono state presentate dal vivo le musiche originali tratte dal CD “Tunnel”, interamente registrato all’interno dell’ex tubo stradale da Giordano Angeli (chitarre e sax), Corrado Bungaro (violino e per-cussioni), Carlo La Manna (basso fretless) e Luciano Olzer (sound designer). Ha partecipato anche il Gruppo Vocale Feininger. Alcune guide non-vedenti hanno accom-pagnato al buio gli spettatori, favorendo una percezione sen-soriale dello spazio-galleria nella sua nudità e ascoltando le prime percezioni sonore, poi illuminate dalla sapiente regia luci di Marco Comuzzi.

INFOMUSEO

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OTTOBRE

LibriInCantina

Sabato 1 e domenica 2 ottobre la Fondazione Museo storico del Trentino è stata presente con le proprie pubblicazioni a “LibriIn-Cantina”, mostra nazionale della piccola e media editoria nello splendido scenario del Castello di San Salvatore a Susegana (Tre-viso).

Corso di formazione sulle trasfor-mazioni dell’ambiente in rappor-to ai bisogni dell’uomo

Il Centro formazione insegnanti di Rovereto, in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino e il Liceo “Leonardo da Vinci” di Trento, ha proposto il corso di formazione per docenti di storia e di lettere della scuola secondaria di primo e secondo grado, dal titolo “Uomo e terri-torio: le trasformazioni dell’am-biente in rapporto ai bisogni dell’uomo”. Tra il 6 e il 20 ottobre si sono svolti tre incontri in cui i relatori invitati, tra i quali Giovanni Levi dell’Università di Venezia e Antonio Brusa dell’Università di Bari, hanno discusso l’argomento affrontandolo da più punti di vista.

Incontri in biblioteca: un libro sul-la Volante rossa

Il 7 ottobre la Biblioteca della Fon-

dazione Museo storico del Tren-tino ha ospitato la presentazione del volume di Massimo Recchioni “Il Tenente Alvaro: la Volante rossa e i rifugiati politici italiani In Ceco-slovacchia” (Roma, DeriveAp-prodi, 2011). Assieme all’autore è intervenuto Lorenzo Gardumi, ricercatore della Fondazione Museo storico del Trentino.

La mostra sul 150° dell’Unità d’I-talia a Bruxelles

Dopo aver fatto tappa a Stra-sburgo, al Castello di Stenico e al Rifugio Caduti dell’Adamello, la mostra “Il 150° ai confini dell’U-nità: Trentino, Italia, Europa” è approdata a Bruxelles, dove è stata inaugurata il 14 ottobre nelle sale del Palazzo di rappresentanza della regione europea Tirolo-Alto Adige/Südtirol-Trentino. La mostra, curata da Alessandro de Bertolini e Patrizia Marchesoni, ha analizzato l’ampio processo di unificazione dello Stato nazionale mettendo in evidenza i piani diffe-renti sui quali si è articolato il per-corso risorgimentale italiano.

History Lab

Sul canale 602 del digitale terre-stre, lunedì 17 ottobre è cominciata la programmazione di “History Lab”, il nuovo progetto culturale sperimentale curato dalla Fonda-zione Museo storico del Trentino, realizzato con l’editore OP.IM: un laboratorio sui temi della storia e della memoria e un canale televi-sivo dedicato; il tutto con l’obiet-tivo di coinvolgere diverse realtà e soggetti.

Dolomiti in rete: incontri tra Co-munità

Con la Rete dolomitica le tre Comu-nità territoriali di Fassa, Fiemme e Primiero vogliono sperimentare una nuova modalità di lavoro, di

partecipazione e di progettazione, valorizzando le esperienze e le risorse che ogni territorio vorrà mettere a fattor comune. Per ini-ziare questa nuova forma di col-laborazione la Fondazione Museo storico del Trentino, in qualità di soggetto istituzionale capofila, ha promosso, tra il 20 e il 29 ottobre, la prima edizione di “Dolomiti in rete: incontri tra Comunità”. Gio-vedì 20 ottobre a Predazzo si è tenuta la serata di apertura e pre-sentazione del progetto, alla quale hanno partecipato Lorenzo Dellai, presidente della Provincia auto-noma di Trento, Cristina Donei, procuradora del Comun general de Fascia, Cristiano Trotter, presi-dente della Comunità di Primiero, Raffaele Zancanella, presidente della Comunità territoriale della val di Fiemme, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino. L’incontro si è concluso con lo spettacolo “Per ladin… semper più bel? Fram-menti di ladinità”, a cura della Compagnia Estroteatro. Il pro-gramma di incontri è proseguito lunedì 24 ottobre a Tonadico con una tavola rotonda incentrata sul tema del paesaggio, introdotta da Mauro Gilmozzi (assessore provinciale all’urbanistica, enti locali e personale) e Cristiano Trotter (presidente della Comu-nità di Primiero). Hanno portato i loro contributi l’architetto Lore-dana Ponticelli, Giovanni Kezich e Marta Bazzanella del Museo degli usi e costumi della gente trentina, Gianfranco Bettega della Comunità di Primiero. Il giorno successivo, presso la sede della Comunità di Primiero a Tonadico, sono stati proiettati i film “Via Battisti-Weiss sun Spiz da le Roe de Ciampié” di Ivan Vian, “Tran-sumanza: una libertà condizio-nata” di Claudio Frari, “En pizech de sal: alimentazione, memorie e ricette a Primiero” di Michele Corona e Angelo Longo. Gli stessi filmati sono stati mostrati giovedì

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27 ottobre a Cavalese e sabato 29 ottobre a Vigo di Fassa. Mercoledì 26 ottobre la Domus Consiliorum di Cavalese ha ospitato l’incontro dal titolo “Storie comparate” in cui, dopo gli interventi introdut-tivi di Franco Panizza (assessore provinciale alla cultura, rapporti europei e cooperazione) e Raffa-ele Zancanella (presidente della Comunità territoriale della val di Fiemme), hanno presentato le loro testimonianze gli alpinisiti Sergio Valentini e Rina Chiocchetti del Moro, Franca Vanzetta della Scuola di tessitura di Tesero, Dolo-res Antoniazzi della scuola di mer-letto a fuselli di Predazzo, gli archi-tetti Andrea Sarno e Luigi Oliva. Un’ultima tavola rotonda sul tema “Identità, comunità, territorio” si è tenuta venerdì 28 ottobre a Pozza di Fassa: dopo gli indirizzi di saluto di Luigi Chiocchetti (assessore regio-nale alle minoranze linguistiche e ai giudici di pace) e Cristina Donei (procuradora del Comun general de Fascia), sono intervenuti Piero Badaloni, giornalista, scrittore e politico, Franco Casali, docente di Fisica dei reattori nucleari presso l’Università di Bologna, Francesco Marino, giornalista RAI.

Le pubblicazioni della Fondazio-ne al Pisa Book Festival

Dal 21 al 23 ottobre la Fondazione Museo storico del Trentino ha par-tecipato con le proprie pubblica-zioni alla IX edizione di “Pisa Book Festival”, la fiera dell’editoria indi-pendente che ospita 180 editori e più di 300 eventi in oltre 1.500 mq di spazio espositivo.

La prima festa del Parco della me-moria

Si è tenuta domenica 30 ottobre la prima Festa del Parco della Memo-ria, progetto cui hanno aderito oltre trenta enti e istituzioni tren-tine e venete con l’obiettivo di

valorizzare i patrimoni e le risorse storico-culturali presenti nella zona di confine tra la provincia di Trento e quella di Vicenza. Nel pomeriggio, presso la Casa della Regola a Pedemonte (Vicenza) è stata presentata l’iniziativa “Parco della Memoria: Piccole Dolomiti, grandi altipiani”; sono interve-nuti Roberto Carotta, presidente del Comitato promotore, Mau-rizio Struffi, vicepresidente del Comitato promotore, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fonda-zione Museo storico del Trentino, Mauro Passarin, conservatore del Museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza. In serata la festa si è trasferita al Centro con-gressi di Lavarone; dopo i saluti di Michael Rech, presidente della Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri e del sindaco di Lavarone Mauro Lanzini, si è esibito il Coro “Monte Caviojo” di Arsiero. In con-clusione è stato proiettato “Imma-gini dal fronte”, film-concerto sulla Grande Guerra, con musiche dal vivo di Francesca Aste eseguite da Klaus Manfrini, Francescano Ciech, Aleksey Asenov e dalla stessa Francesca Aste.

NOVEMBRE

Un convegno internazionale sull’Unità d’Italia

Nei giorni 9, 10 e 11 novembre la Fondazione Museo storico del Trentino e l’Università degli studi di Trento hanno promosso il con-vegno internazionale “Ai confini dell’Unitá d’italia: territorio, ammi-nistrazione, opinione pubblica”, che si è tenuto presso la Sala Depero della Provincia autonoma di Trento. Obiettivo delle tre gior-

nate di studio è stato quello di analizzare il complesso processo di costruzione dello Stato unita-rio italiano secondo una prospet-tiva nuova, quella dei confini e delle tante periferie che in diversi momenti storici sono entrati a far parte del tessuto statuale-nazio-nale italiano. Docenti universitari italiani e stra-nieri si sono alternati durante le tre sezioni del convegno, stretta-mente connesse e intrecciate.

Conversazione con Michele Placido

Mercoledì 16 novembre Le Gal-lerie di Piedicastello sono state teatro di una conversazione con l’attore, regista e produttore Michele Placido che ha dialogato con Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino e Laura Zumiani della Trentino Film Commission.

Quarta edizione del Convegno su mass media e memoria

Si è tenuto mercoledì 16 novem-bre l’ormai tradizionale appunta-mento con il Seminario interna-zionale su mass media e memoria che, dal 2008, vede impegnata con cadenza annuale, la Fonda-zione Museo storico del Trentino in collaborazione con l’Università degli studi di Trento. Il convegno di quest’anno, ospitato presso la Facoltà di Economia a Trento, si è incentrato sul tema “Le sponde della memoria: il ruolo dell’oblio nel panorama mediale contempo-raneo”. Studiosi italiani e stranieri, par-tendo dal panorama odierno in cui la presenza del cinema, della televisione e del web è sempre più invasiva, si sono confrontati sul rapporto tra memoria e oblio e hanno rimesso in discussione la funzione tradizionale dell’imma-gine come produttrice di ricordi.

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Conferenza sulle terre adriatiche

Martedì 15 novembre a Rovereto e mercoledì 16 novembre a Trento l’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia-Comitato pro-vinciale di Trento e delegazione di Rovereto, in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino, ha organizzato la conferenza “La storia che non si insegna: l’ereditá del Novecento nelle terre adriatiche”, tenuta da Roberto Spazzali.

Inaugurazione della mostra “Ri-torno sul Don”

Venerdì 19 novembre è stata inau-gurata “Ritorno sul Don 1941-1943: la guerra degli italiani in Unione Sovietica”, la grande mostra che fino al 30 settembre 2012 occuperà le due Gallerie di Piedicastello, mettendo in scena la campagna di Russia intrapresa dall’esercito italiano nell’estate del 1941 e conclusasi con la tragica ritirata nel gennaio del 1943. L’e-sposizione, curata da Quinto Anto-nelli, Lorenzo Gardumi e Giorgio Scotoni, è stata realizzata dalla Fondazione Museo storico del Trentino in collaborazione con il Museo centrale della grande guerra patria di Mosca e l’Univer-sità statale agraria di Voronezh.

“Lettere dal Don”: XII Seminario dell’Archivio della scrittura popo-lare

Si è svolto dal 21 al 22 novembre, presso il palazzo della Regione

a Trento, il XII Seminario dell’Ar-chivio della scrittura popolare dedicato alla campagna di Russia durante la seconda guerra mon-diale. Il convegno, intitolato “Let-tere dal Don”, ha preso in conside-razione soprattutto le scritture in grado di restituire la soggettività e l’universo mentale dei soldati sul fronte orientale, senza tralasciare l’immane costruzione memoriali-stica iniziata nell’immediato dopo-guerra e non ancora terminata. Il seminario, curato da Quinto Antonelli, ha visto anche la parte-cipazione di alcuni studiosi russi che hanno dato conto delle loro ricerche sulle lettere dei soldati dell’Armata Rossa, sui fondi di let-tere italiane conservate in archivi pubblici e privati russi, nonché sul flusso di lettere che tutt’ora dall’I-talia raggiunge quelli che furono i luoghi dei combattimenti o della prigionia. All’interno del seminario è stato anche presentato il volume Vincere! Vinceremo! Cartoline sul fronte russo (1941-1942), edito nella collana di pubblicazioni della Fondazione Museo storico del Trentino a cura di Quinto Anto-nelli e Sergej Ivanovich Filonenko. A corollario del convegno è stato organizzato anche un momento teatrale con il recital “Il diradarsi dell’oscurità: storie di soldati”, proposto da Michele Comite e Fosca Leoni nelle Gallerie di Piedi-castello.

Incontri in biblioteca: presentato un volume su Mauro Rostagno

Il 24 novembre, nell’ambito degli “Incontri in biblioteca”, l’Asso-ciazione Museo storico in Trento, l’Associazione Zapruder e la Fon-dazione Museo storico del Tren-tino hanno presentato il volume Il suono di una sola mano: storia di mio padre Mario Rostagno, scritto da Maddalena Rostagno e Andrea Gentile (Milano, il Saggiatore,

2011). Assieme agli autori hanno partecipato Marco Boato e Vin-cenzo Calì, moderati da Fiammetta Balestracci.

Una mostra sulla passione per il cinema a Trento

Il 26 novembre, Sala Thun e le Cantine di Torre Mirana a Trento hanno ospitato l’inaugurazione della mostra “8-35 mm: la vita in due formati”, dedicata a Riccardo Pegoretti e curata da Andrea Andreotti e Lorenzo Pevarello. La mostra, aperta al pubblico fino al 15 gennaio 2012, ha ripercorso 30 anni di passione per l’immagine in movimento (dagli anni cinquanta alla fine degli anni settanta del Novecento) documentando anche i cambiamenti socio-culturali di un’intera città. Un amore consu-mato nelle sale cinematografiche, in lunghe e appassionate discus-sioni tra amici, nei cineforum e infine cercando di riprodurre in film amatoriali un immaginario visivo fatto di citazioni, figure leg-gendarie, impegno, passione e intrattenimento.

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Un confronto tra archivi femminili

L’Osservatorio Cara città di Rove-reto, in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino, ha organizzato il semi-nario dal titolo “Da tante storie, una storia: confronto tra archivi e esperienze di donne per una storia viva”. Questo momento di dialogo si è tenuto il 26 novembre a Rove-reto, all’interno del Palazzo ex Che-sani. L’associazione Osservatorio Cara città, che da anni raccoglie e archivia documenti e memorie di donne attive nelle associazioni e nei movimenti femminili a Rove-reto e in Vallagarina, si è confron-tata con realtà affini per immagi-nare nuove prospettive comuni. Per la Fondazione Museo storico del Trentino hanno partecipato Mirella Duci e Patrizia Marchesoni parlando degli archivi femminili depositati presso la Fondazione.

Piazza sorelle d’Italia

L’Associazione culturale “Grenzland – Terra di confine”, in collaborazio-ne con la Fondazione Museo stori-co del Trentino, sabato 26 novem-bre ha proposto lo spettacolo tea-trale scritto da Luisa Pachera “Piaz-za sorelle d’Italia: la storia nelle storie delle donne”. La pièce, che si è tenuta nelle Gallerie di Piedica-stello ed è stata diretta dalla regista Francesca Aprone, ha raccontato i principali momenti storici naziona-li attraverso le vicende che hanno segnato la vita di alcune donne: Anita Garibaldi, Gemma Guerrieri Gonzaga, Tina Anselmi.

Oltre il conflitto

Il 29 novembre, alle Gallerie di Piedicastello, si è tenuta l’inaugu-razione della mostra fotografica di Marco Longari “Oltre il conflitto”, curata da Thomas Pilati e organiz-zata assieme agli allievi di alcuni istituti superiori del Trentino: il

CFP ENAIP di Tesero, il CFP ENAIP di Villazzano, l’Istituto Pavoniano Artigianelli per le arti grafiche di Trento. L’esposizione, composta da quaranta scatti del fotoreporter Marco Longari dell’Agence France Presse, ha avuto l’intento di sti-molare una riflessione sulle dina-miche dei conflitti contemporanei e sul cammino culturale che la nostra società deve intraprendere per una loro possibile risoluzione pacifica.

DICEMBRE

Incontro con i reduci dalla Russia

Nell’ambito della mostra “Ritorno sul Don 1941-1943”, la Fonda-zione Museo storico del Trentino e l’Associazione nazionale Alpini, Sezione di Trento hanno organiz-zato il 2 dicembre, all’interno delle Gallerie di Piedicastello, un incon-tro con alcuni Alpini reduci della campagna di Russia. Sono inter-venuti Lorenzo Dellai, presidente della Provincia autonoma di Trento e della Fondazione Museo storico del Trentino e Corrado Perona, presidente nazionale ANA. Si è esibito il coro della Sezione ANA di Trento.

“Più libri più liberi”

Come ogni anno la Fondazione Museo storico del Trentino è stata

presente con le proprie pubblica-zioni alla Fiera “Più libri più liberi” che si è tenuta a Roma dal 7 all’11 dicembre.

Ciaspolando nella storia

La mostra “Ciaspolando nella storia”, curata da Alessandro de Bertolini della Fondazione Museo storico del Trentino, è stata inau-gurata il 13 dicembre alle Gallerie di Piedicastello, alla presenza del curatore, di Gianni Holzknecht, presidente della Società podistica Novella e di Franco Panizza, asses-sore alla Cultura, rapporti europei e cooperazione della Provincia autonoma di Trento. Il percorso, aperto fino al 29 gennaio 2012, ha raccontato la nascita e l’evolu-zione delle ciaspole, dalle loro ori-gini, documentate nel 6000 a.C., fino alla Ciaspolada della val di Non, gara non competitiva che si ripete ogni gennaio da 37 anni.

Serata sul 150° anniversario dell’Unità d’Italia

Il 15 dicembre a Sopramonte la Circoscrizione Bondone e la Fon-dazione Museo storico del Tren-tino hanno organizzato una serata culturale dal titolo “Il 150° ai con-fini dell’Unitá”. Dopo l’introduzione di Sergio Cap-pelletti, presidente della Circo-scrizione Bondone, è intervenuto Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, che ha anche presentato la mostra “Il 150° ai confini dell’U-nità: Trentino, Italia, Europa”, curata da Alessandro de Bertolini e Patrizia Marchesoni.

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(1941-1943) custodite presso la Fondazione Museo storico del Trentino.

Mauro Marcantoni e Milena Di Camillo, Renato Ballardini, pp. 218, € 18,00

Rilettura della vita politica e dell’attività istituzionale di Renato Ballardini, protagonista di grandi battaglie civili.

Lorenzo Pevarello, Cronache poere, DVD, 57’, € 8,00Ricostruzione della storia della comunità di Povo, ubicata sulla collina di Trento, in un periodo cruciale del scolo scorso, quello compreso fra la Grande Guerra e l’immediato secondo dopoguerra

Quinto Antonelli e Sergej Ivanov-ich Filonenko (a cura di), Vincere! Vinceremo! Cartoline sul fronte russo (1941-1942), pp. 146, € 17,00

Volume che mette a disposizione, per la prima volta, una documen-tazione del tutto inedita conser-vata negli archivi dell’Università russa di Voronezh e integrata con una selezione di cartoline relative alla campagna di Russia

30 settembre, TrentoIl volume Marcello Baldi: cinema, cattolici e cultura in Italia, a cura di Massimo Giraldi e Laura Bove è stato presentato presso la sala conferenze della SAT di Trento: sono intervenuti, con i Curatori, Piergiorgio Motter, presidente SAT, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino e Renato Morelli.

25 novembre 2011, TrentoIl volume Gli esordi di un politico nazionale: Flaminio Piccoli, 1945-1958: materiali per una biografia politica di Luigi Targher è stato presentato presso la Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino: sono intervenuti, con l’Autore, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, Gianni Faus-tini e Armando Vadagnini.

6 dicembre 2011, Ala; 11 dicem-bre 2011, RangoIl volume Alle radici della cooper-azione: un viaggio dell’emozione nelle Giudicarie esteriori è stato presentato ad Ala presso l’Auditorium della Cassa rurale Bassa Vallagarina e a Rango: sono intervenuti i vari collabora-tori e Diego Schelfi, presidente della Cooperazione trentina.

12 dicembre 2011, TrentoIl volume Renato Ballardini di Mauro Marcantoni e Milena Di Camillo è stato presentato presso l’Aula magna del Liceo Antonio

Rosmini di Trento: sono inter-venuti, con gli Autori, Lorenzo Dellai, presidente della Provincia autonoma di Trento e Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazi-one Museo storico del Trentino.

18 dicembre 2011, PovoIl documentario Cronache poere diretto da Lorenzo Pevarello è stato proiettato in anteprima presso il Teatro Concordia di Povo.

N O V I T À

E D I Z I O N I

PRESENTAZIONI

E D I Z I O N I

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La riscoperta deL quartiere deL sass di trento25.04–28.10.2012

Orari mostra9-13 / 14-17.30dal 1 giugno al 30 settembre 9.30-13 / 14-18chiuso il lunedì

Ingresso libero

s.a.s.s. spazio archeologico sotterraneo del sasspiazza cesare Battisti – trento