Rassegna Europea n° 36

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Il periodico dell’Accademia Europeista del Friuli Venezia Giulia Anno XXI Numero 36 RASSEGNA EUROPEA

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Il periodico dell’Accademia Europeista del Friuli Venezia Giulia Anno XXI

Numero 36

RASSEGNA EUROPEA

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SOMMARIO 1. Editoriale 2. Europa e Turchia: “un caso spinoso”? 3. I lineamenti dell’identità Europea 4. I valori dei fondatori dell’Unione Europea 5. Senza Europa federale siamo condannati all’irilevanza e all’assenza di democrazia 6. Oltre la nazione, oltre il continente. Per una vera integrazione 7. Turismo insostenibile. Una critica al turismo industriale in europa 8. Mensa Europa 9.LaCinael’Europa.Considerazionieriflessioni 10. Libertà e mercato al salvataggio dell’Occidente 11. Alla Castagnavizza la panchina della pace 12. Il nostro 2014 13. Recensioni

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EDITORIALE

Più di qualcuno ha affermato che mai

si era vista tanta Europa come a Parigi,

l’11 gennaio di quest’anno. Forse è

un’affermazione eccessiva. Di certo, nella

manifestazione contro il terrorismo ospitata

dalla capitale francese di Europa se n’è

vista tanta. Ebbene: c’era bisogno dei fatti

criminosidiCharlieHebdoaffinchèl’Europa

facesse sentire una voce? Si dovevano

Un’immagine dell’11 gennaio a Parigi: la marcia contro il terrorismo

attendere dei morti affinchè si mostrasse

compatta e (per tutti o quasi) convincente?

Ec’erabisognodiquellatragediaaffinchè

l’opinione comune ricordasse l’importanza

della pace e della sicurezza, lasciando per

qualche giorno da parte, tematiche peraltro

importantissime, l’euro e la sua crisi? Forse,

non senza una certa dose di amarezza, si

può constatare che soltanto nei momenti

difficilicisirendecontodiciòchesiha.Ma

è assai amaro constatare che ci son voluti

dei morti per capire, ancora una volta, che,

forse, senza l’Europa, il momento attuale

sarebbe ancor peggiore. Per il mondo

intero, non solo per l’Europa.

Europa e Turchia: “un caso spinoso”?di Pio Baissero, direttore dell’Accademia Europeista

Un’immagine di Ankara

Si è appena concluso il 2014, e, fra le tante che possono venire alla mente, una riflessione sulla Turchia pareopportuna. Piaccia o meno, è stato uno dei Paesi che nella storia d’Europa ha

sempre avuto un ruolo non marginale. “Uncasospinoso”,sipotrebbedefinirla,anche secondo il recentissimo pensiero dell’ex Commissario Europeo Romano Prodi (intervista a “Limes” n. 11/2014). Un punto fondamentale della sua politica, la Turchia, in quanto era stato propriolui,allafinedeglianniNovanta,apremere per un negoziato inteso a farla entrare nell’UE in tempi relativamente brevi. Ma “Mister Allargamento”, come veniva allora chiamato Prodi, certo dai suoi detrattori, non aveva fatto bene i conti. Un secco “no” alla candidatura

(redazione)

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turca venne dapprima dal cancelliere austriaco Viktor Klima, interprete non solo della contrarietà austriaca sul tema ma anche dell’analoga contrarietà in materia da parte tedesca e francese. Seguirono crescenti perplessità, finoal punto in cui si giunse a prospettare un coinvolgimento dell’opinione pubblica europea attraverso un referendum “ad hoc”. Ma il tutto non fece altro che rallentare gradualmente e inesorabilmente ogni negoziato con la Turchiafinoall’abbandonodiquel“casospinoso”. Il “gap culturale” tra turchi ed europei, radicato in secoli di scambi e relazioni ma anche di sanguinosi conflitti, non era e non è ancorasuperato. Anzi, sembra così forte da far passare in secondo piano ogni tipo di opportunità economica e politica che forse una Turchia europea avrebbe potuto e saputo offrire.

Cosa resta allora di quel tempo, ormai alle nostre spalle, cosa resta dei passi compiuti per far avvicinare Ankara a Bruxelles? Assai poco: forse una certa “modernizzazione” all’ europea di alcuni ambienti democratici turchi. Sicuramente un generale sollievo per molti europei ma, al contrario, un senso di frustrazione dei candidati di quello Stato euroasiatico nei confronti dell’UE, oggi ritenuta non più degna di amichevole trasporto. Insomma, se non divorzio, sicuramente una consapevole separazione. Lo slancio turco, non più ispirato dall’Occidente e dal pensiero del grande Kemal Ataturk, sembra ormai rivolto all’Asia in un turbinio di repressioni, doppi giochi e desideri di protagonismo politico e militare dai contorni inquietanti ed ancora del tutto imprevedibili.

I LINEAMENTI DELL’IDENTITA’ EUROPEAdi Pasquale Antonio Baldocci, già Ambasciatore d’Italia

De Gasperi con Adenauer, Schuman e i ministri degli Esteri di Olanda e Lussemburgo durante i

lavori del Consiglio d’Europa a Strasburgo nel 1951

I 65 anni trascorsi dal discorso fondativo dell’unità europea (Schuman, 9 maggio 1950), malgrado i ritmi lenti che hanno definito la storia del nostro continentenegli ultimi secoli, sono sufficientiper valutare la portata di una serie di avvenimenti senza precedenti che hanno segnato un risveglio nella politica di Stati nazionali devastati da due immaniconflittigiustamenteparagonati

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a guerre civili intereuropee.Le origini del movimento per l’integrazione europea risalgono al primo dopoguerra, al Trattato di Locarno (1925), alle aperture di Briand e di Stresemann per una riconciliazione franco-tedesca ed alle vedute unitarie diCarloSforza.Alterminedelconflittol’opera di ricostruzione fu ampiamente e saldamente sostenuta dalla vocazione europea - certamente politica oltre che economica - che animava Schuman, Adenauer e De Gasperi, conferendo il maggiore impulso verso l’unità, che nel Manifesto di Ventotene trovava una forte spinta ideale. In assenza di una società civile, consenziente più che convinta agli ideali unitari, il Movimento federalista e l’appoggio di ambienti intellettuali, universitari, economici e finanziari sostennero apertamente lapolitica di integrazione europea avviata dai 6 Paesi fondatori dei trattati istitutivi della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, della Comunità Economica e di quella dell’Energia Nucleare.Seguirono anni di continua affermazione di un europeismo volto all’unificazionepolitica, che i preamboli dei trattati implicitamente comprendevano, con il completamento del mercato comune in mercato unico ed il rafforzamento della Comunità in Unione Europea. Nel 1992, con il Trattato di Maastricht si giunse alla creazione della moneta

comune, adottata inizialmente dai Paesi dell’Eurogruppo.La classe politica che succedette ai fondatori, con personalità apertamente europeiste come Mitterrand, Kohl, Moro, Andreotti, tentò di proseguire l’opera di unificazione, resa peraltropiù complessa dal rapido allargamento dell’Unione che poneva inevitabilmente in secondo piano il suo difficile econtroverso approfondimento. I vertici europei perdevano progressivamente la loro netta vocazione unitaria e i Consigli che seguirono Maastricht furono molto diversi dai precedenti e accantonarono l’obiettivo iniziale dell’integrazione politica, lasciando emergere spinte nazionaliste che sembravano erroneamente scomparse. Anche fra i Paesi dell’Eurogruppo - 18 membri sugli attuali 28 componenti dell’Unione - ci si concentrò prioritariamente sul consolidamento della moneta comune, perdendo di vista che la persistente assenza di una base politica rendeva particolarmente ardua la lotta contro la crisi economica che nel 2008 colpiva l’Europa dopo gli Stati Uniti, imponendo una nuova battuta d’arresto al movimento europeo. La mancata ratifica del Trattato costituzionaleconfermò la crisi politica dalla quale l’Unione non riusciva a risollevarsi per una evidente mancanza di coesione e di volontà politiche.

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Seguirono anni di riflessione e laconsapevolezza del mutato quadro internazionale, dominato dalla riunificazionedellaGermaniaedallasuaaffermazione economica, dal crescente indebolimento dell’asse franco-tedesco, che negli ultimi anni era sempre stato un fattore propulsore determinante e dall’incontrollabile impatto della globalizzazione. Fra i motivi del lungo arresto sono stati evocati l’eccessiva rapidità dell’allargamento a Paesi indifferenti, se non avversi all’unione politica, la strenua opposizione della Gran Bretagna, che tenta di imporre una visione anglo-atlantica della UE, strettamente sottoposta all’egemonia americana, il rafforzamento dei populismi e dei gruppi contrari alla moneta comune e ad eventuali sue proiezioni politiche.Altri analisti insistono sulla assenza di una precisa identità europea che considerano fondamentale per il prosieguo operativo del progetto europeo. L’argomento è di portata filosofica e storica più che politica. Il motivo di fondo risiede nell’assenza di volontà operativa nelle classi dirigenti, sensibili all’indifferenza e al disimpegno dell’opinione pubblica. Da alcuni anni ormai il dibattito europeo è assente dalle campagne elettorali dei Paesi m embri dell’Unione e i partiti escludono dai loro programmi argomenti esplicitamente europei.

Il tema dell’identità dell’EU è stato ampiamente trattato ai vari livelli e nelle sedi più diverse. Delors lo aveva in qualche modo definito peresclusione ravvisando nell’Unione “un oggettopoliticamentenon identificato”,insistendo sul carattere originale e innovativo della Comunità sin dal suo nascere. Si è ricorso anche ad uno specifico potere gentile (“soft power”)che l’Unione esercita con alto senso di responsabilità storica e civile, quale preannuncio di un umanesimo nuovo per dare un senso alla globalizzazione e sottrarla ad un materialismo privo di alti valori. I principi che ispirano i preamboli dei trattati sono la proiezione nel mondo attuale di quelli sorti nel Rinascimento e proclamati dall’Illuminismo, che conferiscono all’Unione Europea una posizione di avanguardia nella difesa della democrazia, della libertà, dello Stato di diritto, dell’eguaglianza, del progresso economico, sociale, culturale, scientifico, nel rispetto dell’ambiente enella tutela del pianeta e dell’universo in genere.Ma il superamento della crisi non può trovarsi in una elencazione di principi costituzionali, ma nel convincimento che spetta all’Europa di svolgere un ruolo di primo piano nella formazione di nuovi equilibri internazionali, essenzialmente volti al progresso ed al benessere dell’umanità. Mentre la classe politica

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al potere non sembra rendersi conto di tale emergenza, le nuove generazioni sono convinte che il progetto europeo non può essere lasciato a metà e non ha senso se limitato al mondo dell’economia e condizionato dalle forze dellaspeculazioneedelprofitto.Le università italiane sono all’avanguardia nel mantenere il dibattito europeo vivo e fecondo e non perdono occasione per esprimere la loro profonda vocazione unitaria attraverso una radicale riforma delle istituzioni volta a trasformare progressivamente l’Unione in una federazione di Stati nazionali, come anticipato da Joschka

Fischer in una conferenza all’Università di Humboldt. La via per raggiungere questo obiettivo, controverso ed avversato da molti, appare ancora ardua e dal decorso imprevedibile. L’esito dipenderà dalle nuove generazioni e dalle posizioni di potere che riusciranno a conquistare per imporre una visione dell’Europa quale potenza politica primaria, attualmente condivisa solo daunnumeroristrettoeinsufficientediesponenti della società civile e ritenuta improponibile da una classe politica inetta e priva di ambizioni storiche, confinata ai temporanei successielettorali.

I valori dei fondatori dell’Unione EuropeadiLinoSartori,filosofo

Un’immagine di Jacques Le Goff

Premessa. Il contesto attuale.Rispetto agli anni in cui vissero i Padri fondatori dell’Unione Europea e, comunque, rispetto al secondo dopoguerra, l’Europa intera si trova in un contesto caratterizzato da una serie di variabili impreviste in quegli anni o

sviluppatesi con una accelerazione galoppante. Ne indichiamo alcune: la globalizzazione che sta rivoluzionando gli stili di vita dei milioni di persone, oltre che le economie di tutti i Paesi; il ritmo incalzante e pervasivo della moderna tecnologia con le sue indubbie opportunità ma anche con le sue ambivalenze; la dislocazione del

potere dall’area euro-atlantica a quella

asiatica, che fa percepire il vecchio

continente come zona periferica;

il degrado ambientale e i connessi

problemi planetari di fronte ai quali pare

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che i potenti del mondo non sappiano névoglianotrovareunaterapiaefficace;la debolezza e, talora, l’inconsistenza delle strutture di governance mondiali che accrescono la precarizzazione nei rapporti internazionali; la situazione geopolitica con sempre nuove e irrisolte zone di crisi.In questo contesto è lecita la domanda: ha ancora senso parlare di un’Europa unita? Vorremmo davvero che prendesse sempre maggiore consistenza la profezia di Rifkin: “Credo che si possa affermare con certezza che in un’era in cui […] le identità diventano sempre più stratificate e globali, entroventicinque anni (eravamo nel 2008) nessuna nazione sarà in grado di fare da sola. Gli Stati europei sono stati i primi a capirlo e ad agire di conseguenza. Gli altri li seguiranno”.La necessità di ritornare ai valori fondativi dell’Europa.Non era solo la situazione, tragica e dolorosa, dei rispettivi Paesi dopo il secondo conflittomondiale amotivarei Padri fondatori ad intraprendere la strada che avrebbe portato dapprima ai trattati di Roma e poi alla progressiva formazione di un’Europa a 28 Stati. Essi avevano un bagaglio interiore fortemente fondato su un insieme di valori, che è opportuno richiamare alla riflessione, motivati dal dovere civileed educativo che costituisce il tessuto

connettivo intergenerazionale presso ogni comunità umana.Come spiegò già negli anni Sessanta la filosofaebrea tedescaHannahArendt,al momento in cui viene al mondo un “nuovo” (così i Greci chiamavano il bambino, che noi diciamo neo-nato), si istituisce il patto tra le generazioni, un intreccio complesso di diritti e doveri tra adulti e giovani. Innanzi tutto l’adulto si assume il compito (il primo dovere) di spiegare al giovane che cos’è e com’è il mondo in cui egli è capitato, senza che nessuno gliene abbia chiesto il consenso. Per questa via si pone in essere la cura educativa, che in tutto il mondo ha assunto la forma istituzionale della scolarizzazione, il cui contenuto primario è la trasmissione della tradizione. A tale compito il giovane ha il dovere di corrispondere con il suo impegno a conoscere tale mondo, pena l’autolesionismo: come potrebbe, infatti, orientarsi nel mondo, da ogni punto di vista, senza averne una mappatura adeguata? Ma, poiché il giovane è fondamentalmente portatore di una novità, in quanto il suo essere, come l’essere di ciascuna persona, è originale, irripetibile, prototipale, è necessario che l’adulto (secondo dovere) predisponga le condizioni affinché il giovanepossaesprimere la sua originalità. Di converso il giovane ha il dovere di impegnarsi con tutte le sue forze per manifestare

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e portare a compimento il suo essere nuovo. Attraverso i milioni di questi contributi è sempre stato assicurato il progresso nel mondo. In questo intrecciarsi di doveri e diritti reciproci consiste la storia dell’umanità e derivano il loro contenuto tutte le culture.Lo scenario davanti ai Padri fondatori. Non dobbiamo riferirci soltanto – e sarebbe già di per se stesso cosa imponente e tragica – alla situazione di disfacimento dell’Europa dopo i due conflitti impropriamente chiamatimondiali, ma originati dall’Europa stessa. Dobbiamo, come dicono gli storici di Les Annales, interrogare la lunga durata. Negli anni Trenta dello scorso secolo, l’Europa aveva due mali sottili, che possiamo esprimere con S. Agostino, filosofo algerino cheha improntato del suo pensiero e delle sue azioni tutta l’Europa. Da un lato, l’Europa era come il cor curvatum in se ipsum, chiusa in se stessa benché imperialista e colonialista e quindi non sapeva autotrascendersi; dall’altro l’Europa era ferma ancora al principio ed alla pratica per cui auctoritas facit legem, secondo il detto hobbesiano.Davanti a questo scenario i Padri fondatori dell’Europa (tra i quali non annoveriamo soltanto i tre grandi statisti De Gasperi, Adenauer e Schuman, in bella compagnia con Monnet e Spinelli,

ma anche numerosi uomini e donne che sia nel Novecento, come prima - lo storico francese Le Goff risale addirittura ad Abelardo ed Eloisa, a Francesco e Chiara d’Assisi - diedero il proprio originale contributo al cammino lento di tessitura della trama europea) individuarono due obiettivi: l’apertura e la comunità. Attraverso l’atteggiamento di apertura, che ha sempre caratterizzato l’uomo europeo in quanto ricercatore e intellettuale, mercante e navigatore, esploratore ed artista, si sarebbero evitati i mali del nazionalismo e dei totalitarismi e, pertanto, delle guerre intestine, ed attraverso il coinvolgimento delle comunità si sarebbero avviate le istituzioni che dal basso avrebbero fatto sentire gli europei cittadini di una medesima polis.La dura scuola della convivenza. I valori dell’apertura e della comunità sono una sicura eredità dell’Europa, un suo tratto connotativo, in quanto i suoi cittadini sono stati costretti alla “dura scuola della convivenza”, secondo la feliceeintensaaffermazionedelfilosofoGadamer. Basti pensare all’aspetto linguistico. La varietà linguistica, che rinvia a molteplici culture, storie, economie, sistemi giuridici e politici, non solo l’arricchisce, ma la costringe alla convergenza. L’uomo europeo ha sempre dovuto fare i conti con il vicino, in una sorta di gara, in cui nessuno alla

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finediveniva proprietario del benepercui concorreva con l’altro, ma ognuno ne fruiva. E ciò ha determinato una costante osmosi valoriale, che ha generato “lo spirito europeo”, l’uomo europeo, i cui tratti non si lasciano racchiudere dentro rigidi confinigeografici. Infatti,pernonfare che qualche esempio, un danese assomiglia molto ad un canadese, così come un italiano ad un argentino.La vicinanza spaziale ha giocato un duplice ruolo: attrazione e distinzione, esattamente come il confine delimitae separa, ma anche connette e relaziona. I tratti del vicino (a partire dalla lingua) hanno sempre esercitato un forte richiamo alla comunicazione, allo scambio, alla reciprocità; ma nello stesso tempo hanno anche marcato le differenze e quindi hanno educato alla prudenzaedalrispettoperl’alterità,finoai massimi livelli di questa che, ancora secondo Gadamer, sono la natura e Dio. Questa situazione complessa ha consegnato all’Europa un privilegio, quello di aver dovuto imparare a convivere con la diversità.L’alterità europea, inoltre, ha un altro tratto peculiare: è un’alterità vicina, anche geograficamente, per cui nonsolo indica la diversità, ma invita alla comunicazione. Da questo punto di vista le lingue si sono rivelate non soltanto un sistema di segni che hanno un valore strumentale immediato, ma il campo di un ricco bagaglio di saperi presente in

ogni comunità. Le lingue sono tuttora il luogo del reciproco riconoscimento delle varie comunità, cosa assai eloquente ed evidente nelle popolazioni che vivono nei pressi delle frontiere. Non è un caso il fatto che Adenauer, De Gasperi e Schuman siano stati “uomini di frontiera”.I frutti della distinzione. Alla lunga scuola dell’alterità l’uomo europeo ha imparatoladifficileartedeldistinguereper valorizzare. I frutti perduranti di questo esercizio, oggi abbondantemente sparsi in tutto il mondo, sono la Religione, la Filosofia, l’Artee laScienza.Èquestoun altro tratto peculiare dell’essere europei. Non che altrove non vi siano state manifestazioni, spesso eccellenti, di pensiero o di arte, di ricerca empirica o di espressioni spirituali; ma solo in Europa queste hanno maturato ciò che potremmo chiamare il loro statuto epistemologico. Ad esempio, solo a partiredaGalileisièdefinitochecos’èequandounsaperepuòdirsiscientificoedancora oggi in tutto il pianeta, se si vuole parlare di scienza, si fa riferimento alle basi del metodo galileiano. Così pure si conosconointuttiicontinentiriflessioniimportanti intorno alle domande fondamentali della vita, dell’uomo, dell’universo; ma solo l’Europa, ad iniziare dai Greci, ha sviluppato quello che Husserl chiama “atteggiamento teoretico disinteressato”, ovvero un modo di porsi da parte dell’uomo nei

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confronti del mondo e degli altri senza alcun intendimento strumentale, ma con l’intento puramente contemplativo. Dell’altro ci interessa il suo “essere”, non il suo “valere”.Questa grandiosa varietà di forme e culture ci pone davanti a un compito che, a partire dai nostri giorni, dobbiamo affrontare: non omogeneizzare, bensì sviluppare il patrimonio delle regioni, dei singoli gruppi e dei loro stili di vita, pure in uno spazio così contenuto ed in presenza della tendenza globale verso un progressivo ed uniforme livellamento.L’Europa come compito. Se guardiamo ai passi compiuti dai Trattati di Roma ad oggi, possiamo dire di avere fatto dei significativi progressi;ma se consideriamo la meta che i Padri fondatori si erano posti, un’Europa dei popoli e delle comunità, ci prende un moto di scoraggiamento. Sembra di essere ancora al palo delle solite questioni materiali, economiche, burocratiche, di funzionamento, di rappresentatività, di spartizione dei vantaggi tra le nazioni e, quel che è peggio, monta sempre più alta un’onda di scetticismo, che fa respirare un’atmosfera di stanchezza generalizzata.Che l’impresa sia di per se stessa ardua e complicata, nel senso più letterale

del termine, è fuori di ogni dubbio. Lo

esprimeva già negli anni Trenta Husserl attraverso una significativa metafora:”L’Europa è come un mare in cui gli

uomini e i popoli sono onde fuggevoli che si formano, si trasformano e poi scompaiono, alcune sfrangiate e complesse, altre più elementari”. Per questa sua complessità, continuava Husserl nell’opera che racchiudeva già nel titolo - La crisi delle scienze europee - il senso più profondo delle sue analisi, “il telos spirituale dell’umanità europea è in una prospettiva infinita”. Taleaffermazione non deve, tuttavia, rinviare aduntempoindefinitoilraggiungimentodeltraguardoprefissatofindalleorigini;deve, piuttosto, tradursi in un compito concreto e personale, come ha espresso magistralmente Jacques Le Goff poco dopo che l’Europa aveva attraversato una delle sue fasi più alte, in seguito al crollo del muro di Berlino: “L’Europa è antica e futura. Ha ricevuto il suo nome venticinque secoli fa, eppure si trova ancora allo stato di progetto”.Se assumiamo che l’Europa dei popoli sia non solo un progetto, ma il progetto che ciascuno si impegna a fare proprio, questa Europa non solo saprà rispondere alle sfide delmondomoderno, ma la sua età sarà fonte di solidità e le sue eredità la renderanno capace, come diceva De Gasperi nel 1951 “di rappresentare una sintesi superiore dei problemi e degli interessi dei vari stati e, soprattutto, saprà dare quel calore e indicare quella vita ideale che sola potrà attrarre i giovani”.

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L’Europa non gode di buona salute. Questa constatazione vale per le istituzioni europee, per gli Stati europei, per lo stato della cultura civile e politica degli europei, e ovviamente per l’economia europea. E, quel che è più grave, la prevalente reazione spontanea di tanti europei – il ripiegamento populista e nazional-identitario – non farà che aggravare la malattia.Siamo al “tramonto dell’Occidente”? Forse sì, se non saremo in grado di rispondere a questa sfida posta dallastoria. Ma è un tramonto molto diverso da quello immaginato un secolo fa dall’inventore della formula in un libro di grandesuccesso,OswaldSpengler,untramonto causato non dal ripudio delle tradizioni, ma all’opposto dal ripudio dellamodernità politica occidentale. Èproprio questo, in sostanza, il populismo,

nelle sue varie incarnazioni, che in Italia coprono ormai quasi l’intero spettro di quello che è oggi il peggior ceto politico dell’Europa occidentale.Dopo vent’anni di rincorsa senza finedella demagogia e della ciarlataneria politica più corrive, ormai non si ritrova

più alcuna forza politica capace di

sostenere davvero le buone ragioni

dell’integrazione europea contro gli

affabulatori di un impossibile ritorno a

comunità coese e omogenee, intolleranti

di ogni diversità e sostanzialmente chiuse

in un autismo del tutto incompatibile con

le esigenze del mondo globale.Per essere credibile, il progetto europeo andrebbe oggi del tutto rimotivato. In una società che ha perso non solo ogni cultura storica diffusa, ma anche ogni capacità di comprensione diacronica della realtà politica, economica e sociale, non è possibile vantare per l’Europa l’indubbio ed epocale risultato diaverefinalmenteespulsolaguerrafraeuropei dall’orizzonte delle possibilità concrete. Oggi solo i pochi europei - e ancormenoitaliani-capacidirifletteresui fatti politici in una prospettiva storica sono in grado di comprendere la portata

Senza Europa federale siamo condannati all’irrilevanza e all’assenza di democrazia

di Giulio Ercolessi, politologo

Un’immagine del convegno dal titolo “Europa e democrazia” svoltosi con il sostegno della Fondazione Carigo

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di questo risultato, che i più danno semplicemente per scontato. E del resto è la stessa globalizzazione che, creando interdipendenza, rende improbabile ormai la guerra guerreggiata non solo fra europei, ma anche fra superpotenze molto distanti fra loro sul piano geopolitico, economico e culturale.Quel che oggi rende il progetto europeo letteralmente vitale per gli europei è il peso ormai patetico dei singoli Stati nazione europei individualmente considerati sulla scala del mondo globale. In un mondo in cui tutti i soggetti che contano, e che sempre più conteranno, si pongono su una scala di grandezza ormai semi-continentale, i singoli Stati nazione europei, che ancora un secolo fa dominavano il mondo, non contano più quasi nulla. Possono sì baloccarsi con gli emblemi ormai patetici della propria “sovranità”, come del resto possono fare anche il principe del Liechtenstein o il re di Tonga; possono pavoneggiarsi con il ricordodellapassata influenzaepotenza; possono esibire, ancora forse per una generazione scarsa, i resti del benessere accumulato negli scorsi quattro o cinque secoli di egemonia mondiale. Ma contano ormai, nel mondo globale, quanto il piccolo Belgio contava nell’Europa-mondo di un secolo fa: sono ancora fra le società più sviluppate e affluenti delmondo, sonoancora il mercato più appetibile, sono ancora rispettati per il retaggio della loro cultura. Come il Belgio della prima

metà del Novecento: che non poté farsi scudo di questa reputazione quando, per due volte nel giro di trent’anni, un vicino prepotente decise di sacrificarloai propri interessi di potenza.Oggi, probabilmente, nessuno pensa di invadere i nostri Paesi militarmente. Ma gli interessi geopolitici ed economici degli europei, la loro influenza politicanel mondo, il peso dei valori etico-politici ormai comuni a tutti i Paesi membri dell’Unione Europea – diritti umani, rule of law, democrazia liberale, economiadi mercato, welfare universalistico –non possono certo essere difesi dai singoli Stati nazione della vecchia Europa. Neppure il più potente di loro, la Germania, ha oggi le dimensioni minime per potere alla lunga ancora contare nel mondo globale, a fronte ai nuovi soggetti emergenti, i cui sistemi politici, economici e civili, e i cui sistemi di valore, sono improntati a principi il più delle volte ben diversi. E, come gli avvenimenti degli ultimi vent’anni hanno ampiamente dimostrato, gli Usa da soli non sono certo in grado di reggere il fardello della civiltà politica dell’Occidente liberale.Destino ineluttabile, quindi? No di certo, ma sarebbe necessaria un’inversione di tendenza radicale rispetto alla direzione verso cui apparentemente si muovono classi politiche - ormai composte più da followerscheda leader -eopinionipubbliche.Solo perché stanno perdendo ogni consapevole orizzonte di senso, opinion

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leaders e opinioni pubbliche europee non si rendono conto di essere già titolari, e di esserlo soltanto in comune fra loro, di una “identità” del tutto peculiare, o per meglio dire di una loro propria “individualità storica”, che è concetto meno statico e quindi meno artefatto dell’identità. È solo perché quegli interessi comunie attributi etico-politici cui abbiamo fatto cenno sono considerati scontati e quindi non salienti, che agli europei sembra di non avere nulla in comune. Ma somiglianze e differenze ovviamente dipendono da quanto vasto è il campo di osservazione. A chi osservi gli europei dalla Cina, dall’India o dal mondo arabo –perfinodagliStatiUnitidellaBiblebelt– un’individualità storica caratterizzante e saliente dell’Europa politica appare più che evidente. Non agli europei, non ai loro opinion makers o ai loro cosiddetti leader politici, tutti timorosi e sotto schiaffo della ciarlataneria populista, che si sentono in dovere di compiacere, per ricercare il consenso dell’opinione pubblica senza minimamente più sforzarsi di orientarlo. Così, giustamente dal loro punto di vista, gli elettori svantaggiati tendono a preferire l’originale alla copia, e intanto il

baricentro del dibattito politico e culturale

si sposta sempre più irreversibilmente sul terreno e sui temi privilegiati dai populisti.Sarebbe necessaria una grande riscossa democratica e liberale, ma la democrazia liberale è in crisi anche

perché non trova difensori - e meno che altrove in Italia, dove l’abbattimento dei freni e contrappesi tipici del costituzionalismo liberale è visto come opera di modernizzazione - e le ricorrenti e fondatissime lamentele sul “deficit democratico” delle istituzionieuropee non trovano altra risposta che quella del cammino a ritroso verso la rinazionalizzazione del dibattito politico.In realtà il “deficit democratico” è figliodiretto proprio del persistente peso preminente che gli Stati continuano ad avere nelle istituzioni europee a scapito degli organismi comunitari. Tutte le maggiori decisioni sul futuro dell’Europa, a cominciare da ogni possibile riforma delle istituzioni comuni, dipendono tuttora dal consenso unanime di 28 governi statali, e sono il frutto di interminabili negoziati a porte chiuse, i cui risultati inemendabili devono poi essere ingoiati tali e quali dal Parlamento Europeo e da quelli statali, pena gravi crisi e l’azzeramento di ogni decisione, che deve a quel punto ricominciare ad essere ricercata al tavolo degli Stati.Sarebbe come se la politica estera o la politica economica dell’Italia o della Germania dovessero essere di volta in volta decise mettendo attorno a un tavolo, in negoziati a porte chiuse, i rappresentanti delle venti regioni italiane o dei sedici Länder tedeschi, con i loro diversi interessi economici, priorità geopolitiche e maggioranze politiche, e pretendere che tali politiche avessero un

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senso comprensibile, o una qualunque capacità di convincere gli italiani o i tedeschi, o di esercitare una qualche influenzaaldilàdeiconfini.Nonfunzionacosì una democrazia.Nonsiusciràdallacrisifinchénoncisiconvincerà che una politica europea decente richiede che, per le politiche che necessitano di una decisione europea, è necessario un processo decisionale democratico europeo normale, come quello che è richiesto all’interno di qualunque democrazia federale. Che è necessario che un Parlamento direttamente legittimato dagli elettori (bicamerale, come è normale che sia in uno Stato federale, con la Camera degli Stati rappresentativa degli elettori delle singole componenti, e non di proprietà dei governi statali) possa decidere l’indirizzo politicoedareonegare lafiduciaaunesecutivo.Solo così si potrà colmare il “deficitdemocratico” e rendere il potere politico europeo realmente responsabile. Solo così l’Europa potrà continuare a esercitare la sua influenza sulle sorti del mondo,e sulle regole della globalizzazione. Solo così le decisioni politiche saranno ricondotte sotto la responsabilità della sola politica possibile a livello europeo - la politica europea, i partiti europei - anziché ricadere in gran parte nelle mani della burocrazia: è proprio in mancanza di un forte manico politico europeo democraticamente legittimato che il vuotovienefisiologicamenteriempitodadecisioni di matrice burocratica anziché democratica.Questo è il grande nodo che i politici

europei, gli operatori economici europei, gli intellettuali europei, l’opinione pubblica europea, devono affrontare se vogliono ancora avere un ruolo nella storia del mondo. L’alternativa non è, probabilmente, un crollo violento, come quelli che posero fineall’Impero romano, o a quello bizantino. L’alternativa è quella, purtroppo, già sotto i nostri occhi: un declino lento e inesorabile, una continua emorragia delle migliori energie intellettuali e imprenditoriali, una continua e lenta perditadiinfluenzapolitica,economica,geopolitica, culturale, civile. Un declino evidentissimo nell’Italia degli ultimi vent’anni di fango, ma che, con tempi e drammaticità diversi, investe a più lungo termine l’intera UE.Per invertire questo declino sarebbe necessaria una prese di coscienza che finora sembra mancare del tutto, conelezioni politiche sempre più ridotte a campagne pubblicitarie e una corsa puerile alla personalizzazione sempre più spinta della lotta politica, che la riduce sempre più a patetico scontro fra stili caratteriali, sempre più simili a scontri fra macchiette. L’Italia, che in passato aveva saputo essere all’avanguardia fra le forze che spingevano per l’integrazione, è da vent’anni il battistrada di questa cosa triviale verso l’irrilevanza.Sapremo invertire questa spirale di declino e dare finalmente vita all’unicastruttura politica democratica capace di un’inversione di rotta?

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Ecco le tre scuole del pensiero europeo: quella federalista di Spinelli, quella funzionalista di Monnet e quella interrogativa di De Gaulle. Senza approfondire le tre diverse ma complementari prospettive, basti considerare che proprio dal loro incontro,scontroeproficuoconfrontosiè generato il lungo e tortuoso cammino dell’integrazione europea.In un’intervista a Walter Hallstein, Sottosegretario del Ministero degli Esteri tedesco dal 1951 al 1958, padre della dottrina che porta il suo nome secondo la quale qualunque relazione diplomatica intrattenuta da un Paese terzo con la Repubblica Democratica Tedesca, in

virtù della cosiddetta rappresentanza unica del popolo tedesco da parte della Repubblica Federale Tedesca, era da considerarsi un atto ostile e avrebbe portato all’immediata interruzione delle relazioni diplomatiche, il giurista immagina l’integrazione europea un “razzo a tre stadi, un missile lanciato nello spazio, ognuno corrisponde ad una fase complementare e successiva all’integrazione: l’unione doganale, l’unione economica, l’unione politica. E il combustibile del razzo europeo è la volontà, sono gli atti di coraggio dei politici e dei cittadini europei, donne e uomini che vivono per un mondo migliore”.Sfatiamo allora un mito. Integrazione non significa necessariamenteprocesso di “costruzione” della nazione, com’era per esempio nei desiderata del FUAN, Fronte Universitario d’Azione Nazionale, durante gli anni Novanta.Tant’è che una grande nazione europea, che conterebbe 800 milioni di abitanti, accomunati da una precisa identità (lingua, cultura e storia) e legati da saldi vincoli di solidarietà risulta oggi, più che

OLTRE LA NAZIONE, OLTRE IL CONTINENTE. PER UNA VERA

INTEGRAZIONEdi Ivan Buttignon, storico della politica*

Un’immagine di Walter Hallstein

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mai, un’utopia.L’Europa infatti non riflette i caratterifondamentali di una nazione, riassumibili nel senso del Noi, in simboli miti e riti condivisi e collettivi, in un ordine interno e, soprattutto, nella continuità temporale,storicamentemaiverificata.Trascurando la declinazione culturale, sul piano istituzionale l’Unione Europea è ben lungi dal rappresentare una nazione. Non è infatti dotata di una specifica sovranità, di una politicaestera, di forze armate organiche e funzionali, e neppure di una precisa idea di economia e società.La sua Costituzione, piena di buoni propositi, piuttosto generici per la verità, non considera neppure l’identità greco-romana-cristiana. Identità che il Trattato del 29 ottobre 2004 svaluterebbe e declasserebbe a “eredità culturali, religiose e umanistiche”.ÈilPopolointesocomeunità,spiegavaMazzini, a costruire la nazione. Ma il popolo, al singolare, oggi pare un tabù. Non lo si cita (e neppure per una volta…) nemmeno durante il dibattito sulla Costituzione europea.Gli Stati europei sono allora impossibilitati a protendere verso la via, o meglio il vicolo cieco, della costruzione dellanazioneeuropea.Troppedifficoltà,troppi ostacoli e, soprattutto, mancano come abbiamo visto le condizioni essenziali.Allora, quali altri formule hanno adottato

e stanno adottando i Paesi membri ai finidell’integrazione,secondolaricettasempreverde di Walter Hallstein: “l’unione doganale, l’unione economica, l’unione politica”? In economia le Istituzioni europee dettano la loro ricetta agli Stati membri: riduci le spese, taglia i costi, comprimi le uscite. In un sistema che a essere cinici (ma neppure tanto) definiremmo di “sovranità limitata”, gliStati si affannano a recepire il diktat. Un po’ come facevano quelli dell’Est in virtù del Patto di Varsavia.Posto che non ci sia nulla di male in questalogicaverticistica,stiletopdown(come direbbero gli Anglosassoni), dovesonoibenefici?Non rappresenta certo un beneficio larincorsa verso il basso che il processo induce: meno posti di lavoro, meno ricerca, meno investimenti e meno tutto ciò che è vitale per un Paese. Il tutto su uno sfondo deregolato, e perciò ingiusto e iniquo.Poi va considerato il doppiopesismo secondo il quale tutti gli Stati membri sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri, come per esempio la Francia e, soprattutto in tempi più recenti, la Germania.Quest’ultima gioca un ruolo dominante grazie ai suoi punti di forza, certo non trascurabili, come il suo potere economico, egemone rispetto agli altri Stati membri; l’appoggio reso dagli Stati “amici” che costituiscono un più o meno

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approssimato “cordone sanitario”: Repubblica Ceca, Austria, Belgio, Lussemburgo, e in misura minore Finlandia e Olanda; la mentalità e i codici di funzionamento tedeschi degli ufficidiBruxellesdell’Unione.Come sostiene Galli Della Loggia, la virtuale egemonia della Germania - che inequivocabilmente contribuisce all’ulteriore scollamento tra i governanti e i governati europei - non è un effetto né voluto né previsto da nessuno dei padri fondatori e da nessuna delle forze ideali dell’europeismo.Bisogna allora riportare l’Europa sul piano dell’interesse collettivo attraverso la creazione di una reale federazione di Stati sul modello americano, corredata di:1. un governo centrale unico, eletto dal popolo europeo alle due camere

(una rappresentata in percentuale degli abitanti e l’altra on un rappresentante unico per ogni Stato);2. una politica economica unica, con tantodisistemafiscalecondiviso;3. una politica militare comune;4. una politica estera unica, con un Ministro che quando visita un Paese lo fa a nome dell’Europa unita e non della Germania o della Francia.Hallstein ha già indicato la strada da seguire. Il percorso è quello dell’integrazione a tre stadi; l’impulso “il combustibile del razzo europeo è la volontà, sono gli atti di coraggio dei politici e dei cittadini europei, donne e uomini che vivono per un mondo migliore”.*l’autore desidera ringraziare l’amico Rudi Vittori per i suggerimenti

Uno sfruttamento irresponsabile dei paesaggi e delle città ha portato a un turismo insostenibile. Irifiutineimari,neifiumieneilaghihannomesso in pericolo la sopravvivenza di specie animali e della natura nel suo complesso. Inoltre la costruzione di enormi complessi alberghieri in stile moderno, tanto per citare un esempio, e di autostrade che attraversano antiche

città, per incentivare il turismo, hanno mutato l’immagine di numerosi centri storici. Inoltre anche gli abitanti venuti a contatto con un turismo di massa orientato esclusivamente al profittohanno cambiato pure il loro stile di vita sociale. Inoltre la popolazione originaria si è vista costretta ad accettare lavori in tale settore.Pur essendo state avviate alcune

TURISMO INSOSTENIBILE. UNA CRITICA AL TURISMO INDUSTRIALE IN EUROPA

di Mario Bartoli, consigliere dell’Accademia Europeista

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Mensa Europadi Andrea Del Maschio, socio dell’Accademia Europeista

Un’immagine del Collio

iniziative per salvare l’ambiente e per sensibilizzare l’opinione pubblica in merito all’importanza di un turismo sostenibile esse sembrano troppo inefficaciperaffrontareilproblema.In realtà non è facile far fronte agli interessi economici e impedire l’inquinamento, pertanto dovrebbero essere adottate le seguenti misure:-innanzitutto dovrebbero essere previste sanzioni più severe nei confronti

di complessi alberghieri costruiti illegalmente;- in secondo luogo la promozione di zone sotto tutela ambientale potrebbe porre il freno a uno sfruttamento irresponsabile della natura;- in terzo luogo politiche intese a restaurare antichiedificiincittàdiinteressestoricopotrebbero comportare la possibilità di “riciclarli”, ovvero di riutilizzarli come alberghi. Tale riutilizzo potrebbe inoltre armonizzarsi con la regione circostante, garantendo l’immagine tradizionale della città;- inoltre programmi educativi nelle scuole dovrebbero insegnare l’importanza di un ambiente sano e di un turismo corretto che tenga conto della natura e della vita umana.Per concludere il turismo non deve essere soltanto una fonte di profitto,ma ancheun mezzo per migliorare la vita umana.

Finalmente qualcosa si muove. Parlare di Europa è stato per anni, e fino a

pochissimo tempo fa, un vero e proprio

tabù; si rischiava infatti di fare un torto a

questo o quel partito politico, si veniva

additati come poco realisti, sognatori, utopisti e si preferiva quindi evitare, a

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volte persino boicottare, l’argomento.Ora la storia spinge. Se si esclude la questione balcanica, dalla seconda guerra mondiale in poi l’Europa ha vissuto nella pace e nel progresso. Se la prima non è in discussione, il secondo sta rallentando, proprio mentre economie di Paesi extraeuropei si stanno affermando prepotentemente su scala internazionale.Ci si chiede se, dopo la guerra, gli italiani, i tedeschi, i francesi e gli altri avrebbero potuto fare di meglio; la risposta è senz’altro affermativa, ma ormai sono passati settant’anni e, nel bene e nel male, ciò che gli europei sono riusciti a costruire è un’entità politica unica al mondo: l’Unione Europea.Anche in Italia, sebbene sia uno dei Paesi fondatori, la questione europea non ha mai fatto breccia nel cuore dell’opinione pubblica. Da qualche tempo a questa parte però qualcosa, perlomeno in Italia, sta cambiando.

Già durante la campagna elettorale

per le Elezioni Europee del maggio

scorso, la Rai ha dato il via ad una

campagna parallela di spot pubblicitari

accomunati sotto lo slogan “Di Europa

si deve parlare”. Si tratta di spot brevi

ed interessanti che sottolineano quanto

di positivo fatto dall’Unione Europea in questi anni.Istruttiva ed importante è stata anche la “Maratona per l’Europa”: una settimana di programmazione, trasmessa dal 17

al 23 novembre scorsi, nella quale molti dei programmi Rai, tra cui “Elisir”, “Mi manda Raitre”, “Geo&Geo”, “Virus” e “Mezzogiorno in Famiglia” hanno trattato tematiche vicine al Nostro Continente.La “Maratona per l’Europa” è culminata domenica 23 novembre con la messa in onda in prima serata su Raiuno del film “Un mondo nuovo”. Un’opera di facile lettura, dai contenuti profondi, dove il regista, Alberto Negrin, racconta attraverso la figura di Altiero Spinelli,interpretato sontuosamente da Vinicio Marchioni, le vicende dei ragazzi di Ventotene. Si tratta di una pagina di storia spesso omessa dai libri di scuola, una pagina di storia che avrebbe potuto cambiare l’Europa postbellica e che dona intatta alla “Generazione Erasmus” la speranza e la forza di contribuire giorno dopo giorno alla creazione di quel sogno.Negrin dà il meglio di sé in semplici dialoghi tra i protagonisti, riuscendo a lanciare dei veri e propri “scossoni” al pubblico. Si ha un esempio di tali dialoghi quando Ernesto Rossi, interpretato da Peppino Mazzotta, arriva scortato sull’isola e vede le varie mense dove

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mangiano quelli di un partito piuttosto che di un altro ed esclama: “Tutte queste mense mi mettono appetito, ma non colgo la differenza tra la pagnotta socialista, quella comunista e quella anarchica”; gli risponde Orlando Cinque, nelfilmEugenioColorni,“Èl’imbottitura”;interviene a questo punto Spinelli: “Non solo, anche la visione dell’imbottitura”; quindi Rossi rivolgendosi a Spinelli gli chiede: “E tu di che mensa sei?”; “Ex comunista”; “E adesso?”; “Mangio di tutto”. Quest’espressione è di forte impatto perché sottolinea che la Questione Europea non è un fatto politico, ma che è un progetto, un’opportunità, un’occasione che si può e si deve vivere insieme, al di là dei colori politici. In una scena successiva infatti Spinelli, con voce fuori campo, ci

racconta che “Fu grazie al tragico arrivo

dei bombardieri inglesi se nello stesso

giornosiverificaronoduemiracoli:quello

di riuscire ad avere cibo in abbondanza

e l’altro, ancora più grande, di aver fatto

pranzare per la prima ed unica volta tutti assieme in una stessa mensa”. In un’altra scena ancora, Ignazio Oliva, nelle vesti di Sandro Pertini, comunica ai ragazzi di non poterli più appoggiare nel loro progetto e leggendo la scritta “Mensa E” fatta sul muro da Spinelli, esclama: “Mensa E? Mensa Europa”; “La prima casa d’Europa sì, la Nostra” gli replica Spinelli.

Un altro esempio di questi dialoghi lungimiranti si coglie nella scena in cui Spinelli sta leggendo gli scritti di Einaudi che Rossi aveva portato con sé e viene sorpreso da Ursula Hirschmann, interpretata da Isabella Ragonese. Spinelli leggendo dice: “Facciamo tutti parte dello stesso Stato” e lei emozionata esclama“Ècomedirechenoitedeschiapparteniamo a italiani e francesi e loro anche appartengono a noi” e qualche battuta dopo gli chiede “Chi è questo Einaudi?”; “Un economista che pensa come un poeta”. Qui traspare l’idea di un’Europa dei popoli, di un’Europa senza confini, di un’Europa di tutti, per tutti,con tutti. Un’idea, che per quegli anni di aspri conflittie tremendebarbarie,erauna vera e propria chimera, ma che, a guerrafinita,sarebbestatasenz’altrolasoluzione che avrebbe messo da parte con moltissimi anni d’anticipo quelli che tuttora costituiscono i maggiori problemi sociali, economici e politici degli Stati europei.“Un mondo nuovo” è uno di quei filmche andrebbero fatti vedere e rivedere nelle classi ai ragazzi per ricordar loro chespessoperiodidifficilistimolanogliuomini a lottare non solo con il fisico,ma anche con la mente, contro le ingiustizie e i soprusi, che sognare non costa nulla e, che forse, non è ancora troppo tardi per pensare ad un’Europa Libera e Unita.Con l’augurio che tali iniziative continuino non soltanto su proposta della Rai, si può

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La Cina racchiusa in uno dei suoi simboli, il dragone

affermare che se i vertici dell’azienda di viale Mazzini hanno fatto questa scelta, probabilmente anche il pubblico negli anni è diventato meno chiuso, disposto

a nuove esperienze ed alternative e

più propenso al cambiamento. Soltanto

qualche anno fa mai si sarebbe osato tanto.

Il primo contatto diretto che è stato documentato tra la Cina e l’Europa risale al 166 d.C., quando la dinastia di Antonio mandò un messaggero in Cina. In seguito fu formata la “Silk Road”, ovvero la “Via della Seta”, attraverso la quale i commercianti, giunti in Cina attraverso Istanbul, portavano seta, oro e preziosi in giada. Dal 16° secolo al 18° secolo furono i sacerdoti cristiani ad essere i maggiori artefici delloscambio culturale tra la Cina e l’Europa. Nel 1553, quando la città di Maocao fu occupata dal Portogallo, diventò il centro dell’influenza culturale delcattolicesimo: pubblicazioni musicali,

La Cina e l’Europa. Considerazioni e riflessionidi Jiayi Zhang e Yajun Gu, studenti universitari

artistiche, matematiche, astronomiche

furono trasmesse, grazie a questo

punto di incontro tra le due culture,

dall’Europa alla Cina. D’altra parte,

il Confucianesimo e il Daoisamo iniziarono a prendere piede in Europa. Fu questo il momento in cui la Cina iniziò a conoscere le scienze e le arti occidentali .

La scoperta del Nuovo Mondo e la

conseguente colonizzazione globale da

parte degli imperialismi europei portarono

una ricchezza di risorse senza fine a

occidente e l’esplosione tecnologica che

causò la prima rivoluzione industriale fece sì che le potenze europee, in tutta la storia moderna, abbiano avuto un grande sviluppo economico e sociale,

mentre la Cina rimase in condizioni di

arretratezza e povertà. Da un lato, i

movimenti coloniali europei causarono

grandi sofferenze al popolo cinese, ma

al contempo, la Cina poté accedere

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alle scienze e alle tecnologie avanzate

importate da occidente, oltre che alle

moderneideologiepoliticheefilosofichedegli imperi europei. I nobili cinesi poterono così apprendere il percorso di sviluppo dello Stato moderno europeo e iniziarono ad ammirarlo, ponendolo come modello da seguire per lo sviluppo della Cina. La prima Repubblica cinese fu così costituita su modello europeo da giovani cinesi che avevano appreso direttamente in Europa questa forma di governo.In un arco di tempo di circa cento anni e nel susseguirsi di varie vicende storiche, la Cina riuscì a diventare da Paese povero e rimasto ai confini delmondo moderno, alla seconda più grande economia globale, acquisendo finalmente una sua indipendenza. Infondo, nel periodo successivo alle due guerre mondiali e con la guerra fredda, anche l’Europa riconquistò la propria influenza internazionale attraversoil proprio processo di integrazione. L’UE, con i suoi 28 Paesi membri, ha assunto sempre più peso nello scenario internazionale. Le due parti sono così ritornate alle relazioni di cent’anni fa, alla “Via della Seta”, che può essere posta come base per consolidare ulteriormente l’uguaglianza e il rispetto reciproco.Dal 1975, la Cina e la Comunità economica europea (che ha preceduto

l’UE) hanno istituito maggiori relazioni diplomatiche; in particolare, nel 2003 è stato creato un partenariato strategico globale basato sulla parità e l’uguaglianza tra potenze. I due Paesi hanno gradualmente costruito un modello diplomatico tridimensionale che coinvolge le istituzioni dell’UE e i singoli stati nazionali che ne fanno parte. Con la rapida crescita degli scambi economici e culturali, lo sviluppo delle relazioni tra Cina-UE si è trovato in un vero e proprio “fast track”, che è andato ben oltre l’ambito bilaterale, assumendo crescente importanza strategica globale. Dallo sviluppo della Cina alla sua apertura all’esterno, l’Europa ha svolto per la Cina un ruolo molto importante, beneficiandoenormemente del suo accrescimento. Possiamo per questo dire che nello sviluppo delle relazioni Cina-UE non vi sono ostacoli particolarmente difficili.Inoltre, gli obiettivi comuni, come la crescita economica, il mantenimento della sicurezza finanziaria, lapromozione della democrazia e la multi-polarizzazione nelle relazioni internazionali, hanno portato un nuovo impulso alla cooperazione per entrambi.Nelle varie aree di cooperazione, quella delle Relazioni economiche e commerciali è una delle più dinamiche e proficue. Nel 21° secolo,con la partecipazione della Cina

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all’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), il commercio bilaterale si è rapidamente sviluppato, raddoppiando il tasso di crescita ogni tre anni circa. Nel 2013 il commercio bilaterale tra Cina e UE ha raggiunto i 566,2 miliardi dollari, con un incremento del 235% rispetto al 1975, anno della prima instaurazione della rete di relazioni diplomatiche. L’UE è quindi attualmente diventata il principale partner commerciale della Cina, il suo maggiore investitore estero e la più importante fonte di innovazioni tecnologiche . Gli investimenti diretti e la cooperazione tra i due Paesi muovono in aree sempre più ampie. Shell, Volkswagen,Airbus,Siemens e altre aziende europee si stanno espandendo in Cina, così come le aziende cinesi stanno gradualmente investendo in Europa, seguendo una strategia tipicamente cinese della delocalizzazione di aggregati aziendali all’estero. Al momento, investimenti dell’UE in Cina sono di grandi dimensioni e riguardano soprattutto l’alta tecnologia; al contrario, gli investimenti cinesi in Europa sono ancora molto limitati. Le potenzialità nella cooperazione sono tuttora enormi e in crescita.Lo sviluppo delle relazioni economiche e commerciali attuali dipende principalmente da due fattori: in primo luogo dallo sviluppo del potere economico bilaterale, con una

progressiva interdipendenza economica tra i due Paesi e in secondo luogo dal sostegno politico della Cina all’Unione Europea e viceversa. La Cina e gli Stati membri dell’UE si trovano in diverse fasi di sviluppo economico e sociale, in termini di mercato, tecnologia, struttura commerciale e risorse di lavoro. Le fondamenta della promozione degli scambi economici e commerciali bilaterali è una forte complementarietà. Inoltre, con gli investimenti dell’UE nella cooperazione tecnica bilaterale con la Cina, l’Unione Europea ha guadagnato una quota di mercato e il profitto daltrasferimento di tecnologia avanzata, mentre la Cina ha avuto accesso alla tecnologia avanzata europea e l’esperienza di una gestione adeguata nellaùe fasi di sviluppo. Il risultato porta a una condizione di reciproca utilità, quale cooperazione su basi win-win.Il sostegno politico è un altro fattore importante nelle relazioni economiche e commerciali. Le relazioni tra i leader di alto livello di Cina e UE sono state frequenti anche nel 2014; inoltre, sono stati raggiunti una serie di accordi di cooperazione, e sono stati ottenuti risultati positivi. Ancora, continua ad esistere un supporto istituzionale tra la Cina e l’Unione Europea.D’altra parte, vi sono ancora alcuni problemi, tra cui lo squilibrio commerciale tra il tasso di esportazione

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e importazione; la prevalenza di alcuni stati membri dell’UE (Germania, Italia, Francia, Inghilterra, Paesi Bassi) nello scambio cooperativo piuttosto che di altri; il protezionismo commerciale contro il “Made in China” causato dalle crisi economica e l’alto tasso di disoccupazione in Europa. Causa di ciò è la problematica del “Made in China”, prima sinonimo di bassa qualità, ora legato all’alta qualità tecnologica, la struttura commerciale che mirava alla complementarietà si è incrinata, aumentando la competizione tra Cina ed Europa. Inoltre, i fattori ideologici e culturali hanno un forte impatto sullaparitàe la fiducia reciprocanellacooperazione tra i due Paesi. A causa delle differenze storiche e culturali, dei sistemi politici e delle fasi di sviluppo economico, persistono delle divergenze d’opinione su alcuni provvedimenti.Tuttavia, attraverso il mantenimento dello spirito di uguaglianza, di mutuo vantaggio e rispetto reciproco, queste divergenze potranno affievolirsi.Aumentando il grado di attenzione per l’altro, gestendo correttamente gli scenari di crisi, creando uno stabile ambiente e un futuro prevedibile e a lungo termine per le aziende, la cooperazione tra Cina e UE avrà grande spazio per approfondirsi ulteriormente.Gli scambi culturali sono stati

formalmente identificati come il “terzopilastro” dopo commercio e politica. Devono riguardare il sistema di valori , l’identità psicologica, il sistema educativo statale e condiviso. Negli ultimi anni, gli interscambi stanno rapidamente aumentando: essi riguardano settori come la scienza , la tecnologia, l’istruzione, il turismo, sanità e via dicendo. Alcuni esempi di eventi che hanno portato ad un maggiore dialogo e comprensione reciproca sono: “China-EU Forum” ;”UE-Cina Forum Culturale”; “UE-Cina Anno della Gioventù” ;”UE-Cina Anno del dialogo interculturale”. Il numero annuo degli scambi culturali tra le due parti è superiore ai cinque milioni. Ciò dimostra che tali iniziative sono ben viste dalla popolazione e potranno avere un seguito futuro di successo.La Cina sostiene l’integrazione europea e l’Europa conosce chiaramente l’importanza di mantenere lo slancio della potenza cinese nel proprio territorio. La Cina e l’Europa hanno obiettivi simili e conciliabili: arrivare a una cooperazione mondiale all’insegna di pace, giustizia, prosperità..Per citare le parole del ministro degli Esteri cinese Wang Yi, il principio chiave per durature relazioni tra Cina-UE è la “cooperazione”, che permetterà l’esistenza di un mondo più sicuro, più equilibrato, più bello.

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“La Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip)” è la celebrazione della dottrina neoliberista, o meglio è l’ideologia liberista che avanza, si trasforma e cambia pelle cercando di innalzare quei standard di qualità per creare plusvalore da nuove forme di sfruttamento dei beni, delle risorse e dei bisogni delle persone...”. Così il Movimento 5 Stelle definisceil partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, in fase

di avvio tra Unione Europea e Stati

Uniti. Magari fosse così, aggiungo io.

L’Occidente ha urgente bisogno di

restare unito e stabilire saldamente i legami di collaborazione reciproca tra i Paesi al suo interno, altrimenti è destinato inevitabilmente a scomparire dinnanzi all’evoluzione sociale, politica ed economica mondiale. Non sono infatti solo i soldini nelle tasche ma anche il vero e proprio modello del capitalismo democratico di mercato ad essere a rischio: le economie di Paesi emergenti, come quelli del Sud America e dell’Estremo Oriente, fanno sempre di più sentire il loro peso sulla scacchiera mondiale. Se non sapremo imporci al più

presto, dovremo cedere il ruolo egemone a nazioni ben poco democratiche.La Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip) ha come obiettivo la rimozione di barriere commerciali in una vasta gamma di settori per facilitare l’acquisto e la vendita di beni e servizi tra Europa e America del Nord (dico Europa perché oltre ai Paesi ai Paesi membri dell’Unione Europea potrebbero anche aderire Svizzera, Norvegia e Islanda, dico America del Nord perché oltre gli Stati Uniti potrebbe aderire anche il Canada). I tre temi su cui si stanno concentrando le trattative di questi numerosi Paesi sono i seguenti: l’omogeneizzazione regolamentare, il market access (eliminazione di dazi doganali e delle misure contro le importazioni e il risistemamento degli accessi agli appalti pubblici) e aspetti che vanno oltre le relazioni bilaterali (come la proprietà intellettuale e lo sviluppo sostenibile). I negoziati si stanno occupando di tutti

quei regolamenti difformi tra le due

sponde dell’Atlantico, che frenano gli investimenti reciproci: in particolare nei settori della fornitura di merci, dei servizi

Libertà e Mercato al salvataggio dell’Occidentedi Daniel Baissero, studente universitario

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della pubblica amministrazione, dei mezzi di trasporto, dell’aereospaziale, industriale, del sistema moda, della sanità e dei prodotti agroalimentari (e di tutte le relative restrizioni). Si parla infatti di accrescimento dell’economia europea di 120 miliardi di euro e 90 miliardi di euro per quella statunitense. L’Italia sarebbe tra i Paesi che più beneficerebbero del buon esito deinegoziati, in quanto è pur sempre un Paese a forte vocazione esportatrice.Non possiamo poi dimenticare il fatto che la crisi energetica mondiale è ormai alle porte: la Russia di Putin sta fondamentalmente ricattando l’Europa con il suo gas, le ricerche per fonti alternative energetiche (come ad esempio quelle rinnovabili e il nucleare) devono coinvolgere tutto l’Occidente, minimizzando la catastrofe. Estremamente preoccupanti sono infatti i casi dell’Obama Doctrine, una strategia squisitamente neo-isolazionista che rischia di far perdere agli States il ruolo di mantenimento degli equilibri mondiali, e l’Ost Politik di importanti Paesi europei quali Germania e Francia, vassalli di

Alla Castagnavizza la panchina della pace*di Alex Pessotto, giornalista

Putin e donatori alla Russia di portaerei e addestramento militare specializzato.Va quindi realizzato al più presto, questo Ttip, tenendo conto che se l’Unione Europea non si presenterà con una sola e potente voce al tavolo delle trattativecongliStatiUniti,difficilmentepotremmo imporre in modo degno le nostre posizioni, ovvero quelle di un’economia sociale di mercato e non di uno sfrenato capitalismo all’americana. Cerchiamo anzi di esportare all’estero un buon sistema economico, che sia anche solidale oltre che produttivo.Fatto sta che il libero commercio in una determinata area può effettivamente stabilire relazioni durature tra i Paesi coinvolti: se ti arrivano i soldi in tasca, se il tuo benessere e quello della tua famiglia cresce, puoi apprezzare immediatamente le conseguenze del liberismo economico. Poi, in un secondo momento, ti renderai conto che non sei più costretto a fare il leccapiedi a nessuno, ma che stai collaborando con altri popoli, in un clima di reciproco rispetto. Un clima molto atlantico.

Una data: 26 novembre 2014. Due

nomi: Borut Pahor, Presidente della

Slovenia, Joachim Gauck, Presidente

della Repubblica Federale di Germania.

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a seguire, un incontro a coinvolgere gli studenti i quali si sono mostrati assai interessati a ciò che l’Unione Europea va offrendo sia in termini di progetti (si pensi all’Erasmus+) sia per quanto riguarda le opportunità di mobilità. “Una giornata molto importante e un grande onore: poter ospitare il presidente Gauck rappresenta anche un’occasione per promuovere Nova Gorica e la regione” ha commentato il sindaco della città slovena Matej Arcčon mentre daparte della delegazione tedesca sono giunte parole di encomio per l’ottima accoglienza della Slovenia. Ma s’è parlato anche, immancabilmente, di economia. E così è emersa la necessità di maggiormente collegare il mondo della scuola con il mondo del lavoro secondo una logica che va ulteriormente e più fattivamente perseguita. In particolare, il mondo delle scuole slovene, e certo di Nova Gorica, guarderà sempre più ad alcuni colossi tedeschi (ad esempioBmw,Siemens)affinchèilorostudenti possano in tali colossi formarsi professionalmente e trovare opportunità lavorative.E, conBmw, conSiemens,sono, peraltro, già presenti contatti a coinvolgere le scuole della Slovenia. Vale a dire che l’economia tedesca, dalla

Slovenia viene presa a modello, fonte di

opportunità e sbocchi professionali per

i suoi studenti. E anche se il panorama

dalla Castagnavizza dà sull’Italia,

Data e nomi incisi su una targa, sul retro

della “panchina della pace e dell’unità in Europa”, per così dire inaugurata, alla Castagnavizza e che rimanda a un’altra panchinaconanaloghisignificati:quella

sul Monte Santo, dove, in precedenza,

ebbero a sedersi Borut Pahor e Giorgio Napolitano con le loro mogli. Dalla panchina, Pahor e Gauck i due Presidenti hanno fugacemente dato uno sguardo al panorama. Ciò verso le 12.30. Pahor e Gauck erano arrivati alla Castagnavizza mezz’ora prima. Hanno visitato il monastero accolti dal padreguardianoMarjanČuk,econ,fragli altri, il sindaco di Nova Gorica, Matej Arčon.Quindi, inaugurata lapanchina,sono ripartiti - di oltre una decina di automobili il corteo - per recarsi allo stabilimento aeronautico della Pipistrel, ad Aidussina, e per un pranzo a Zemono. Ma la visita del Presidente Gauck, giunto a Nova Gorica da Lubiana, era cominciata già la mattina con quella al Centro formativo per le imprese e con,

I due Presidenti, Gauck (sulla sinistra) e Pahor inaugurano la panchina della pace; sullo sfondo,

Gorizia

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IL NOSTRO 2014

Elisabetta Pontello che interviene, per la Fondazione Carigo, in apertura dell’evento di ottobre, dal titolo

“Europa e democrazia”

le imprese italiane, al momento, non son sembrata rientrare, almeno

direttamente, in questo discorso. Buone

nuove, ad ogni modo, sono quelle che

per la Slovenia sembrano dischiudersi

grazie alla visita di Gauck. Ripartito alla

volta della Germania, da Lubiana, la sua visita era la prima di un Presidente tedesco in Slovenia da dodici anni. * tratto dal quotidiano Il Piccolo del 27 novembre 2014

Nel numero precedente di Rassegna Europea eravamo rimasti, nell’indicare ciò che avevamo fatto, al mese di agosto, naturalmente del 2014, quando avevamo partecipato attivamente alla cerimonia di, per così dire, inaugurazione, della Croce per la Pace sul confine italo-austriaco. Di fatto, il nostro anno non si è certo fermato ad agosto. Sono, infatti, seguite altre attività di cui riportiamo soltanto le principali. E, a tal proposito,

cominciamo col ricordare il convegno

dal tema “Europa e democrazia”

ospitato, in Palazzo Alvarez a Gorizia,

nel mese di ottobre. A tale convegno, moderato dal Direttore dell’Accademia, Pio Baissero, hanno partecipato, oltre al Presidente dell’Accademia stessa, ClaudioCressati,ilfilosofoLinoSartori,il politologo Giulio Ercolessi e lo storico della politica Ivan Buttignon senza certo tralasciare i molti, specie giovani, che, anche in rappresentanza di realtà associative operanti nel territorio, sono stati protagonisti, con domande ai relatori, del dibattito che ha chiuso l’evento reso possibile dal sostegno della Fondazione Carigo, per la quale Elisabetta Pontello, del suo Consiglio di Indirizzo, ha portato un saluto introduttivo.In novembre, concludendo l’anno europeo della Green Economy, che più volte è stato celebrato dall’Accademia nel 2014, anche a ricordare le tradizioni rurali del nostro territorio, negli spazi espositivi del Bar Commercio di Gorizia, tre soci dell’Accademia, fotografi dasempre, hanno esposto una ventina di lavori. Si tratta, in particolare, dei valenti e appassionati, Enzo Pecorari,

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Un incontro nelle scuole del ciclo “Educare all’Europa”

Fabio Lescak ed Ervino Santarossa che già in passato hanno collaborato con le loro opere a nostre iniziative. La mostra, certo con ingresso libero, è rimasta aperta per oltre due settimane e ha registrato un buon successo di pubblico e di critica. E soprattutto alla vernice sono stati in molti, fra soci dell’Accademia, appassionati e curiosi, ad averla visitata.Sempre in novembre, il Direttore dell’Accademia Pio Baissero, assieme al giornalista Alex Pessotto, hanno

avuto modo di essere presenti alla, per

così dire, inaugurazione della “panchina

della pace e dell’unità in Europa”, alla Castagnavizza, che, come già scritto, ha visto per protagonisti Borut Pahor,

Presidente della Slovenia, Joachim

Gauck, Presidente della Repubblica

Federale di Germania.In dicembre è poi iniziato il corso di formazione dal titolo “Il labirinto della politica” proposto e realizzato dall’associazione Poliarchia in collaborazione con l’Accademia Europeista. Tale corso, avente per destinatari studenti e laureati in discipline socio-politiche, economiche e giuridiche, nonché a quanti abbiano attitudine e interesse per tali tematiche.Ancora, va registrato il ciclo di incontri “Educare all’Europa”, sostenuto dalla Fondazione Carigo, accolto con favore dagli studenti (ma anche dai docenti) delle scuole della città e della Provincia, e, in particolare, da quelli dell’Isis D’Annunzio di Gorizia che si sono distinti per l’entusiastica partecipazione.

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RECENSIONI

Vittorio Feltri - Gennaro Sangiuliano

Il Quarto Reich. Come la Germania ha sottomesso l’Europa

Mondadori

2014, pagg. 118, euro 17,00

La pretesa egemonica tedesca nei confronti dell’Europa sembra tornare all’orizzonte nelle pagine di Feltri. Citando Anne Applebaum, che nel 2013definìAngelaMerkel“imperatriced’Europa”, usando per la prima volta l’espressione “Fourth Reich”, il giornalista esamina i passi compiuti in tale senso partendo dall’esautorazione dell’esecutivo Berlusconi avvenuta nel 2011. Un putsch in piena regola,

argomenta Feltri; non disdegnando di

esagerare talvolta i toni per descrivere

la costruzione in senso “ordoliberista” - il peculiare sistema economico tedesco

- volta a ricostituire una posizione egemonica di Berlino nell’area europea. Quest’invettiva feroce trova terreno fertile in questi mesi di dubbi e di crisi riguardo al sentire comune europeo. Lo scenario descritto da Feltri è infatti tutt’altro che rassicurante, e molto ha in comune con la percezione che della crisi hanno le forze cosiddette “euroscettiche” (dall’UKIP inglese di Farage al M5S di Grillo). L’imprimatur dato da Berlino alla costruzione europea ci troneggia davanti mentre scorrono le pagine, dal commissionamento subito dalla Grecia e dalla percezione che un non dissimile destino potrebbe attendere il nostro Paese. La terza Guerra Mondiale è quindi combattuta a colpi di rigore e politiche di austerity, usando - nel 2011 - l’arma dello spread pergiustificarel’ingerenzanellapoliticainterna italiana e minando dall’interno le differenze politiche e culturali dei Paesi mediterranei dell’Unione. Sia ben chiaro, afferma Feltri, la primazìa tedesca è stata ottenuta sulle macerie dei Paesi più deboli o che, semplicemente, per storia e tradizione non potevano conformarsi al draconiano ordine Merkeliano. La politica economica tedesca si dimostra infatti l’unica in grado di esprimere la sovranità di cui sono quotidianamente privati i Paesi

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dell’ area: essa continua a gestire un’economia volta a massimizzare il surplusfinanziario,sfruttandoabilmenteuna forma europea coniata a sua immagine e somiglianza. Il PIL tedesco continua a crescere a ritmi esponenziali, sfruttando un’ipertrofia economica chemina le potenzialità economiche dei Paesi mediterranei. La Germania - afferma Feltri, ma non solo - “esporta senza consumare”, impedendo alle varie manifatture nazionali di espandersi ed operare in concorrenza perfetta. Se infatti, in seguito ai tumultuosi eventi che accompagnarono la riunificazionetedesca, la Germania si trovava ben al di sotto degli standard richiesti; tanto per quanto riguarda il tasso di crescita del PIL, tanto per quanto riguarda l’indebitamento medio ed il deficit dibilancio; ora essa si ripropone, altera ed intoccabile, a sancire i limiti altrui. Il tassello fondamentale nella creazione di questa egemonia è stata la moneta unica, l’euro. Molto più che le riforme o l’abilità nel gestire politiche economiche di ampio respiro, la costruzione di Maastricht ha permesso alla Germania di spazzare via le economie ad essa simili ed in ciò concorrenti, in primis l’Italia. Se infatti entrambi i settori produttivi dei due Paesi volgono per natura alla manifattura di trasformazione e all’export verso l’est-Europa e le Americhe, va da sé che i due settori si

sovrappongano. Dalla sua riguadagnata posizione di “prima inter pares” (ormai impares, verrebbe da dire) e complice una situazione di debolezza politica sfruttata con maestria, la Germania ha costretto l’Italia ad una situazione di subalternità nei suoi confronti. Molto ha pesato l’aiuto di vassalli che, “per incompetenza o codardia” (Fortis) stanno svendendo l’Italia a suon di sacrifici.Nelsuolibro,Feltripresentaunpresente incerto ed un futuro ancora più fosco, se non si sarà in grado, ripartendo dall’agone politico, di combattere l’ “euro-nazionalismo-tedesco”, che tanti danni arreca in un’Europa che al Bundestag si afferma voler proteggere e potenziare. Sarà necessario, e questa è l’opinione di chi scrive, riprendere in mano una costruzione europea diversa, non più imposta ad immagine e somiglianza di un Paese in ottica di egemonia geopolitica, ma in ottica di rispetto ed unità delle diverse realtà. Il motto dell’Unione è “Uniti nella diversità”, un brocardo tanto bello quanto ormai svuotato di significato: sta ai patrioti europei nondimenticarlo e far sì che riprenda ad avere il suo valore originario.

Francesco Sfriso

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Luciano CanforaIl presente come storia. Perché il passato ci chiarisce le ideeRizzoli2014, pagg. 265, euro 18,00

C’è un arguto pensiero, fra i tanti, che può venir preso nel parlare brevemente dell’ultima fatica di Luciano Canfora e che non a caso è riportato nella sua quarta di copertina: “L’aver avuto ragione, nella valutazione storica, è esso stesso un elemento storico, cioè soggetto al mutamento”. Catalogati, per così dire, in dodici sezioni, il libro raccoglie oltre una sessantina di articoli comparsi, dal 2002 al 2013, per la prima volta sul Corriere della Sera, per il quale Canfora, filologo e storico (professoreemerito all’università di Bari), è firmaprestigiosa. Trattandosi, appunto, di una raccolta di articoli ordinata in sezioni la lettura acquista in facilità e ciò del libro non può che essere un pregio. Alla base del lavoro c’è, ovviamente, l’importanza

della storia e l’importanza, forse ancor maggiore, della sua attualità: a esempio, in un intreccio fra presente e passato, nei suoi articoli, Canfora cita tanto Nerone quanto Mazzini, tanto Pericle quanto Lenin, tanto Aristotele, Marco Antonio, Svetonio quanto Mussolini, Stalin e Hitler e il lungo indice dei nomi, nelle pagine finali, dà l’idea dei personaggiche incontriamo nella lettura. E tutto, con una sintesi estrema, brutale, può forse ricondursi a quel pensiero posto proprio nella quarta di copertina, e, prima ancora, nel suggestivo titolo del lavoro, corredato da un’introduzione, in sei paragrafi, a cura dello stessoCanfora.

Alex Pessotto

Fabio Franceschi con Stefano LorenzettoL’Italia che vorrei. Il manifesto civile dell’Italia che fa i libriMarsilio2014, pagg. 173, euro 14,00

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Fabio Franceschi non è un nome notissimo al grande pubblico. Tale libro ne permette una più approfondita conoscenza raccontandone gli indubbi meriti che lo hanno portato a conseguire, ad esempio, una laurea honoris causa dall’università di Padova per le sue qualità di imprenditore. Nel libro viene intervistato da una delle migliori penne del giornalismo italiano, Stefano Lorenzetto. Ne viene fuori un ritratto a tutto tondo. Nel corso dell’intervista vengono presentate tanto la sua vita quanto la sua azienda che riesce a stampare un libro in 24 ore e farsi apprezzare enormemente nel mondo dell’editoria con grandi tirature, per lui, diventate quasi una routine. Ma emergono, nel testo, anche e soprattutto, le sue idee, ad esempio nel criticare nemmeno tanto velatamente la burocrazia italiana e l’eccesso della nostra imposizione fiscalecuinoncorrispondeun’adeguataefficienza dell’intero sistema. Quella di Franceschi è una critica che non risparmia Berlusconi per giungere sino a Renzi e, da questo punto di vista, si può, in sintesi, definire bipartsian.Nè Franceschi tace in merito alla sua delusione riguardo personalità recenti del mondo politico italiano quali Monti e Grillo. Ancora, l’imprenditore manifesta forti perplessità all’indipendentismo venetoeal “nostro”welfare,sinonimo,per lui, di un assistenzialismo non

all’altezza di ciò che un Paese dovrebbe meritare. L’elenco dei temi passati in rassegna potrebbe allungarsi citando, adesempio,laConfindustria,anch’essaaffetta da burocrativismo e scarso coraggio, nonchè l’immigrazione, vista come un fenomeno da non demonizzare a priori. Si tratta di considerazioni dettate spesso e volentieri da buonsenso e da quella voglia di rischiare (un rischio calcolato) che spesso caratterizzano il buon imprenditore. E che, nel suo caso, lo hanno portato al successo.

Alex Pessotto

Ernesto Preatoni con Giancarlo MazzucaLa vita oltre l’euro. Esperienze e visioni di un economista pragmaticoRubbettino2014, pagg. 140, euro 14,00

Ernesto Preatoni lo si conosce bene: considerato “l’inventore” di Sharm El Sheikh, è spesso invitato a programmi

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televisivi. Intervistato da un giornalista di lungo corso quale Giancarlo Mazzuca, ne “La vita oltre l’euro” offre la sua critica nemmeno tanto velata alla situazione economica e sociale del “nostro” Paese. Non mancano, naturalmente, riferimenti sia al freno rappresentato dalla purtroppo celebre burocrazia italiota e alla necessità di superare una visione conservatrice quale presupposto per una migliore competitività delle imprese italiane. Nè mancano riferimenti alla “nostra” moneta, nel complesso criticata. E si tratta di una critica che pare opportuno leggere principalmente per due motivi. Il primo: è una critica disinteressata e ciò in quanto l’attività di Preatoni non ha a che fare, almeno in via diretta, con i Paesi appartenenti alla cosiddetta Eurozona. Il secondo: è una critica spesso e volentieri motivata e ciò non può non apprezzarsi visto che sparare all’Euro è certo comprensibile a patto di saper andare oltre la critica, o, meglio, di saperla motivare, cosa che, appunto, Preatoni fa, in maniera non sempre condivisibile ma intelligente e autorevole. Altro elemento di interesse del libro, destinato a un ampio pubblico e non solo a tecnici (in poche parole, tutti lo possono leggere), è la prefazione di un economista di pregio assoluto quale Paolo Savona. Certo, come detto, non tutto è condivisibile. Ma anche nel consigliare l’uscita dall’euro, in Preatoni, si legge la possibilità di un

dialogo per riequilibrare le situazioni debitorie,secondounpensieroallafinfine moderato, non radicale, che, intempi per così dire estremi, per il come son connotati da visoni radicali, merita un elogio. E quel che si può leggere tra le righe è, inoltre, la necessità di un chiarimento, da parte delle istituzioni, per definire i modi attraverso i quali,più che uscire dall’euro e tornare alla lira, risolvere il sistema dei pagamenti europeo sistemando i saldi tra i Paesi membri e prevedendo eventualmente uneuroaduevelocitàfraPaesiindeficite Paesi in surplus.

Pio Baissero

Jürgen HabermasNella spirale tecnocratica. Un’arringa per la solidarietà europeaEditori Laterza2014, pagg. 113, euro 15,00

Jürgen Habermas è indubbiamente

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il più noto e stimato filosofo che laGermania di oggi dispone per poter analizzare, al di là di ogni considerazione strettamente tecnico-economica, la situazione attuale e futura del processo di integrazione europea. Il titolo del suo ultimo libro pubblicato da Laterza nel 2014 è peraltro significativo “Nellaspirale tecnocratica. Un’arringa per la solidarietà europea”. Di tecnocrazia anonima e rigida soffre infatti l’intera Europa, non più in grado di sfruttare le sue potenzialità e con un’accentuazione crescente di diseguaglianze tra le economie nazionali. L’ipotesi di un libero mercato lasciato a sé stesso si è rivelata, secondo Habermas, un fallimento. Altrettanto fallimentare è stato il funzionamento intergovernativo dell’UE, dove le decisioni sono ancora il frutto di lenti, incerti e faticosi compromessi tra i governi nazionali, portatori di interessi circoscritti ad ogni singolo stato nazionale. La politica europea non può dunque più basarsi sui “piccoli passi” o, peggio, sulla conservazione dello “status quo” della quale la Merkel è ancora convinta sostenitrice, ma deve darsi un colpo d’ala rivalutando la partecipazione democratica dei cittadini in un’ottica transnazionale finora deltutto trascurata o lasciata nelle mani dei grandi gruppi di interesse tecnico-finanziari. Un passaggio difficile, mache può e deve essere intrapreso con decisione. Altrimenti l’Europa rischierà

di prendere “congedo” dalla storia mondiale.

Pio Baissero

Valerio CastronovoLa sindrome tedesca. Europa 1989-2014Editori Laterza2014, pagg. 295, euro 24,00

Da parte di uno studioso di livello quale

Valerio Castronovo, il cui curriculum

non può certo riassumersi in poche

righe, ma basti ricordarne la docenza di storia contemporanea all’università di Torino e ora alla Luiss, non poteva non

esserci un saggio autorevole, che, nella

fattispecie è “La sindrome tedesca”.

Testo che arricchisce - e proprio per

la statura di Castronovo-lariflessionesull’attuale situazione europea.Si tratta di un poderoso lavoro di

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13 capitoli che attraverso un’analisi dettagliata delle conseguenze sorte in seguito alla crisi del 2008 - crisi certo ancora in corso - descrive le fasi dell’imporsi della, per così dire, ricetta tedesca per tentare di alleviarla se non di risolverla.L’autore non manca d’inquadrare i fatti che portarono alla nascita dell’Europa, come voluta dai padri fondatori, analizzandone le deviazioni da quel modello che nella realtà hanno preso forma tanto da costituire vere e proprie concause della crisi che stiamo vivendo. Forse, prima fra tutte, è stata la “mancanza di un orientamento univoco” a generare un’impasse dopo l’altra: il “naufragio del progetto costituzionale”, “l’unione monetaria” che ha preceduto quella sociale ed economica….I rimandi al problema della cattiva gestione della situazione monetaria dell’euro e alla deficitaria politicabancaria, come anche altri problemi quali quello della dipendenza energetica e delle implicazioni di una continua immigrazione sono presenti eccome, da Castronovo citati, e analizzati.Ecco dunque che nella mancanza di coordinamento, ed in un contesto di crisi globalizzato generato da continue bolle finanziarie e da debiti sovrani,la Germania, forte di uno strapotere industriale, un surplus commerciale ed un rigore finanziario, ha finito coldettare le regole. Regole non sempre

condivisibili che non sfuggono alla lente d’ingrandimento dell’autore, anzi, probabilmente, costituiscono il fulcro del suo testo.Un testo, in sostanza, denso di spunti e diconsiderazionicheportanoarifletteresulle future sfide che l’Unione deve edovrà affrontare in una sempre più netta separazione tra Paesi, mi si passi il termine, “virtuosi” e Paesi “non virtuosi” (periferici) che divengono sempre meno integrati e sempre più divisi, ingessati da vincoli e tecnicismi sempre meno comprensibili.

Fabio Feliciano

Matteo Tacconi - Ignacio Maria CocciaVerde cortinaCapponi editore2014, pagg. 136, euro 20,00

A sentirne il titolo, “Verde cortina”, sembrerebbe un volume incentrato sulla “Perla delle Dolomiti”. Così non

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è. E, non a caso, “cortina” ha l’iniziale in minuscolo riferendosi alla cortina di ferro... Giornalista, Matteo Tacconi, segue da anni i Balcani e l’Europa Centrale con articoli apparsi su più testate nazionali che sempre ne denotano l’approfondita conoscenza, non solo la passione più lodevole. Con il fotografo madrileno Ignacio Maria Coccia è lui l’autore di “Verde cortina” dove testi e immagini si integrano in un lavoro che presenta soprattutto ciò che resta di quella cortina di ferro che un

tempo, ed è cosa nota, tagliava in due l’Europa. Nel ripercorrere quella cesura ormai lontana gli autori presentano storie di tutti i giorni di persone e avvenimenti che ancora la connotano e nepermettonodidefinirne,ancoraunavolta, un’identità comune. Ne vien fuori una panoramica singolare, e proprio per il punto di vista da Tacconi e Coccia scelto.

Ramón Miklus

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Stampato a Gorizia

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RASSEGNA EUROPEA Responsabile di Redazione: Pio Baissero

Comitato di Redazione: Pio Baissero, Alex Pessotto

Hanno collaborato: Daniel Baissero, Pasquale Antonio Baldocci,

Mario Bartoli, Ivan Buttignon, Andrea Del Maschio,

Giulio Ercolessi, Fabio Feliciano, Yajun Gu, Ramón

Miklus, Lino Sartori, Francesco Sfriso, Jiayi Zhang.

Editore: Accademia Europeista del Friuli Venezia Giulia

Palazzo Alvarez–via Alvarez n. 8, 34170 Gorizia (GO)

Tel.: 0481.536429 – 333.2957779

Web:www.accademia-europeista.eu

Mail: [email protected]

L’Accademia Europeista è stata fondata nel 1989 con l’obiettivo di favorire l’informazione

e la formazione europea dei cittadini, e, in particolare, dei giovani. Nel 1993 l’Accademia

è stata riconosciuta dalla Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia “Ente di Servizio

di promozione europea”. In quanto tale organizza corsi, seminari, conferenze, mostre e

incontri anche informali su tematiche europee. Cura diverse pubblicazioni, tra le quali la

presente rivista, e mette a disposizione la sua biblioteca specialistica.

In copertina: Tramonto su Gorizia, in un’immagine di Fabio Lescak.

A pagina 2: Un’antica carta geografica dell’Europa.

A pagina 39: Una veduta della Chiesa di Sant’Ignazio, a Gorizia, nei primi del ‘900.