Alaleona Domenico - Il Libro d'Oro Del Musicista (1930)

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Il Libro d'oro del Musicista Fondamenti fisici. storici, estetici dell'arte (con disegni ed esempi musicali) (CORSO UNICO PER STRUMENTISTI E PREPARATORIO PER COMPOSITORI) (QUARTA EDIZIONE) 1930 G. RICORDI E C. MILANO

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Storia della Musica

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Il Libro d'oro del Musicista

Fondamenti fisici. storici, estetici dell'arte (con disegni ed esempi musicali)

(CORSO UNICO PER STRUMENTISTI E PREPARATORIO PERCOMPOSITORI)

(QUARTA EDIZIONE)

1930G. RICORDI E C.

MILANO

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PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE (1915)Quelli contenuti in questo libro non sono che gli ap-

punti delle mie lezioni che - questo è ormai il terzo anno- vado impartendo ai miei alunni interni del Conservatoriodi Santa Cecilia in Roma: appunti quali tutti i miei alunniposseggono trascritti dalla mia viva voce nei loro quader-ni.

Siccome questi appunti mi sono stati da molte parti einsistentemente richiesti, li pubblico.

L'anno scorso ottenni di ripetere - con ottimo frutto- le mie lezioni anche per le persone estranee (cioè nonaltrimenti iscritte) al Conservatorio, e diedi a tale corsoil titolo di Corso di cultura per musicisti. Dico questoper riassumere in brevi parole quale è lo natura e il ca-rattere del corso medesimo.

Carattere eminentemente pratico e artistico. Esso cioèmira a fornire ai giovani aspiranti musicisti, e a tutte lepersone che comunque voglion dedicarsi alla musica, quellecognizioni di fisica, storia ed estetica musicale che sonoindispensabili per comprendere le basi dell'arte e dellatecnica, per conoscere la natura della materia e deglistrumenti che si adoperano, per sapere quale strada si per-corre e a quali mete si può aspirare, per potere insommaesercitare la professione e coltivare l'arte in modo intel-ligente, nobile e fecondo.

Ciò mi ha imposto, s'intende, una scelta nel vastocontenuto delle discipline sopra nominate. Ma - questo è ilpunto importante - tale scelta non ha costato a me alcunosforzo, è avvenuta in me automaticamente, naturalmente.

E ciò per una ragione semplicissima. Ché io vengo dalConservatorio, in un Conservatorio ho compiuto l'intierocorso di composizione, io stesso suono gli strumenti edeseguisco la musica, son vissuto sempre fra teatri e con-certi, fra orchestre, bande e cori: e dallo stretto contat-to con i miei compagni prima e colleghi poi, compositori eprofessori d'orchestra, cantanti e pianisti, dalle domandeche mi son sentito rivolgere, dagli ostacoli che ho supera-to e ho visto superare, dalla inconvenienti che ho osserva-to, dalla mia diretta esperienza interiore ed esteriore in-somma, ho imparalo a conoscere alla prova del fuoco qualicognizioni, oltre a quelle puramente meccaniche, sono utilie indispensabili al musicista, e quali inutili, superflue eanche dannose.

Io non faccio in altre parole che spartire coi giovani- che nei Conservatori italiani percorrono lo stessa via da

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me percorsa e aspirano a diventare musicisti pienamente pa-droni della loro arte - quel pane che ho conquistato a fru-sto a frusto; quel pane che la mia esperienza di lavoro ar-tistico, di lotte combattute, di difficoltà vinte ha fattocarne della mia carne e sangue del mio sangue, e che iocredo in coscienza utile e necessario a loro come l'ho tro-vato utile e necessario a me.

Da ciò il valore e l'originalità di questo lavoro: va-lore ed originalità che possono non essere afferrati daiparassiti incompetenti e verbosi della nostra arte, ma cheinvece sono avvertiti e sentiti immediatamente dai veri mu-sicisti, come i risultati del mio corso dimostrano.

Dal quale rifuggono, come il diavolo dall'acqua santa,tutte le pedanterie, le piccinerie, le saccenterie, le su-perfluità, gli sfoggi di erudizione di cui son carchi moltilibri del genere, che (per non essere espressioni di vitavissuta, ma vacue ed aride compilazioni) hanno contribuitoa radicare nell'ambiente musicale italiano il dispregio el'odio per questi studi, che hanno invece un valore fattivograndissimo pel musicista e la cui mancanza e il cui di-scredito hanno influito certamente non poco sull'attualedisorientamento dei compositori italiani.

Non elenchi di date e di citazioni dunque, non fila-strocche di nomi che solo la zelanteria di certi storici hail potere di evocar dalla tomba, non storielle inutili, nondati biografici insignificanti che ognuno può trovare inmille libri: ma il succo, lo spirito, il nesso, il nerbodelle cose.

Debbo anche avvertire che - essendo il mio corso de-stinato specialmente agli studenti di musica, i quali, perragioni che sarebbe qui lungo approfondire, crescono lonta-ni da ogni studio e lettura che non sia quella del doremi-fasol - son costretto a integrare le cognizioni specialicon quelle cognizioni fondamentali di storia e cultura ge-nerale - in riguardo specialmente alle grandi vicende delpensiero umano - che di ogni educazione spirituale formanol'indefettibile sfondo e substrato. E, poiché la musica nonè che uno qualunque dei linguaggi di cui si può servirel'artista per dirci la sua parola, e tutte le arti sono ac-comunate fra loro dalla stessa intima natura, dal che nascela conseguenza che non può essere squisito musicista chinon senta e non ami, non dico lo poesia e la danza che sonmusica esse stesse, ma anche la pittura la scultura,l'architettura, così, di tanto in tanto e quando cada op-portuno, son portato naturalmente a far parola delle arti

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sorelle. E anche: siccome noi siamo italiani - e qui misalgono sul labbro amare considerazioni, che mi risparmio -non per affettazione o per partito preso, ma per impulsogeneroso e sacrosanto del mio animo d'artista - pur senten-do profondamente quanto di grande e di bello han prodottogli altri popoli (oh! nomi venerati di Bach e di Bee-thoven!) - sono spinto o trattare con maggiore ampiezza econ particolare amore tutto ciò che si riferisce all'Italiae alla italianità dell'arte.

Questo quanto alla sostanza. Quanto al metodo, mi vienpensato ad una frase che si dice ripetesse un nostro grandecompositore, Giacomo Carissimi: "Quanto è difficile l'esserfacili!". Questa frase, che il Carissimi riferiva alla com-posizione, può esser ripetuta al caso nostro. E si può ag-giungere: "Quanto è difficile esser opportuni!" "Quanto èdifficile esser proficui!". Ma, si badi bene, ciò va intesonel senso che son pochissimi quelli che hanno la maturitàdi preparazione e la squisitezza di senso necessaria perchésia loro facile l'esser facili, e opportuni e proficui; eche non bisogna confondere la banale superficialitàdell'ignorante e dell'idiota con la semplicità e la limpi-dità di chi ha la completa padronanza dell'argomento e sitrova in condizione di comprendere appieno l'animo e i bi-sogni dei suoi ascoltatori.

Io ho avuto la soddisfazione di vedere i miei alunninon solo compositori, ma anche umili studenti di tromba, diclarinetto, di oboe, di violino, di flauto, di fagotto, dicanto - persone che, se pure serbano in mente qualche bar-lume dell'alfabeto, non hanno sentito mai la più lontanavoce di cultura e di elevamento spirituale - intervenireassiduamente, senza che nessuno li spingesse, alle mie le-zioni, interessarsi, prendere con impegno gli appunti, pro-fittare; mentre ai miei tempi, cioè quando io ero alunno,quegli stessi sonatori di fagotto, di flauto, di tromba,quegli stessi - orribile a dirsi - compositori, non si riu-sciva a trascinarli a quello stesso corso, che considerava-no come un inutile supplizio. Mi auguro che lo stessa for-tuna di lettori accolga il mio libro.

Sarò molto grato ai colleghi musicisti che mi desserosuggerimenti e consigli per una seconda edizione. Il miometodo è fatto di pratica e di esperienza, ed io vorreiconversare coi miei lettori come converso coi miei alunni.

Domenico Alaleona.

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PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONELa speranza, da me espressa, che questo libro avesse

pari successo a quello incontrato dalle mie lezioni ha tro-vato rispondenza nella realtà.

E così ho avuto il piacere di sentirmi da ogni parteparole di consenso, di lode, di incoraggiamento; da quelledel maestro grande e venerato, la cui figura nobilissima èa noi giovani di monito e di segnacolo, Arrigo Boito, aquelle di direttori di Conservatorio, di colleghi, di arti-sti, di amatori; a quelle - che mi son giunte particolar-mente care - di giovani.

Le parole di un giovane valoroso e già noto, che nellasua marcia ardita verso l'avvenire non si crede dispensatodallo studio profondo dei fondamenti dell'arte, mi piace diriportare non per vano animo, ma perché mi dimostrano rag-giunte nel mio libro delle qualità, inerenti al mio carat-tere e ai miei intendimenti, che mi stanno particolarmentea cuore. Pregi (egli mi scriveva): Assenza di retorica.Chiarezza di stile e semplicità. Sintesi. Valore pratico.Interpretazione artistica e razionale della storia. Brevità.Italianità.

A tutti quanti si sono interessati dell'opera mia por-go i ringraziamenti più vivi. In questa riedizione ho cre-duto utile ritoccare e ampliare ciò che si riferisce allasonata. Nelle successive ristampe (se verranno) porteròtutti quei miglioramenti che dalla mia ulteriore esperienzao dai consigli degli amici mi verranno suggeriti.

D. A.

NOTA ALLA TERZA EDIZIONENel licenziare al pubblico la terza edizione - nella

quale ho cercato di introdurre qualche nuovo miglioramentoe ampliamento - non ho che poche parole da aggiungere, pa-role il cui contenuto è già tacitamente espresso dallastessa fortuna di questo libro. Sta di fatto che quanto ioconstatavo, prevedevo e auguravo ha trovato perfetta (e piùampia di quanto non si sarebbe sperato) rispondenza nellarealtà. Che questo amore per l'arte nostra, questo deside-rio di considerarla e penetrarla nel suo vero e genuinoaspetto di attività spirituale fra le più alte e squisitesi accresca e fruttifichi sempre più, pel decoro e la for-tuna della musica e del nome italiano.

Non per orgoglio, ma pel compiacimento di rilevare chiin Italia si comincia a leggere e che le idee ispirate averità germogliano e fruttificano (passiamo sopra alla de-

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bolezza e alla illusione di chi, appropriandosi tali idee,non si cura di citare da chi le ha attinte; non è questoche io tengo, sibbene all'affermazione e diffusione delleidee in se stesse) mi sia permesso di dire che i miei giu-dizi su Gluck, su Wagner, sull'opera italiana del secoloXIX (ad esempio) vanno diventando definitivi.

D. A.

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FISICA, STORIA, ESTETICA

Che cosa hanno di comune e in che differiscono

La fisica, la storia, e l'estetica musicale, come an-cora altre discipline che alla musica si riferiscono, hannoquesto di comune fra loro: che l'oggetto che esse studiano èlo stesso; cioè il fenomeno, l'opera d'arte musicale1. Ciòche cambia, e che distingue queste discipline l'unadall'altra, è il punto di vista, l'aspetto diverso da cuil'oggetto viene studiato.

La FISICA studia il fatto musicale per ciò che esso èfuori di noi, nella sua materialità esteriore: così, quantoalla musica, essa studierà tutto ciò che riguarda la produ-zione materiale del ritmo e del suono.

Il fenomeno degli armonici, per esempio, il fenomeno della oscil-lazione pendolare appartengono allo fisica.

L'ESTETICA invece rappresenta il rovescio della meda-glia. Essa studia l'impressione, l'effetto che il fatto mu-sicale produce su noi: gli stimoli che in noi esso eccita,le sensazioni, le emozioni, i sentimenti, le idee che in noisuscita.

Prendiamo, ad esempio, una statua. La fisica studierà la qualitàdella pietra, il suo peso, il suo grado di resistenza; in modo chel'artista che la dovrà lavorare sappia come regolarsi. L'esteticaconsidererà invece la statua come fatto umano interiore: cioè allacreazione di essa; cercherà di cogliere il modo e il momento in cui quelmasso di pietra si è trasformato in opera d'arte: studierà l'impressioneche questa produce in chi la contempla, la natura di quella sublime il-lusione da cui nasce l'emozione artistica.

La STORIA, poi, differisce dalla fisica e dalla este-tica per questa ragione fondamentale: che, mentre la fisicae l'estetica sono discipline che astraggono dall'elementotempo, cioè acronologiche, la storia è invece una disciplinaprettamente cronologica2. Essa dunque, nel caso nostro,

1 Fenomeno musicale è qualsiasi fatto riguardi la musica. Opera d'arte è un complesso di fenomeni,coordinati da una mente creatrice ad un fine espressivo.

2 La fisica e l'estetica tendono ad occuparsi (fissandone le leggi cioè le norme che ne regolano ilriprodursi costante) dei fatti fondamentali, che non mutano finché il mondo cosmico e l'uomorimangono quali sono. Perciò esse non hanno bisogno di tener conto dell'elemento tempo. Ciò, se èevidente per la fisica (poiché ciascuno si farebbe meraviglia di trovare scritto che il pendolooscillasse così nell'anno tale), è un po' meno evidente per l'estetica. ma si comprende bene, se si pensache anche l'estetica si occupa dei caratteri fondamentali della natura umana, ricercandone gli

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studia l'apparire, il modificarsi, il divenire, ilprogredire dei fatti musicali attraverso i secoli, lesuccessive applicazioni, scoperte, realizzazioni artistichecompiute dall'uomo sulla base degli indefettibili principifisici ed estetici.

Tornando all'esempio della statua, la storia ricercherà e studieràquale ne è l'autore. In che tempo egli l'ha scolpita, a quale cerchia diartisti apparteneva, quali furono, nella ininterrotta catena dei fattiumani, i suoi progenitori artistici e i suoi continuatori.

Prendiamo, per maggior chiarezza, un esempio musicale: l'accordoperfetto maggiore, il domisol. La fisica determinerà l'altezza di cia-scuno dei tre suoni come numero di vibrazioni e come grossezza del corposonoro, stabilirà la proporzione che passa fra l'uno e l'altro, ne fis-serà l'ampiezza, si occuperà della natura degli strumenti da cui talisuoni sono prodotti. L'estetica studierà lo speciale effetto che taleaccordo produce sulla sensibilità umana e ne dirà il perché. La storiafinalmente dirà da chi tale accordo è stato scoperto e quando, da qualiautori è stato usato di preferenza e in che modo, quale diverso impiegoartistico ne è stato fatto attraverso i secoli.

Come si vede, quelle tre discipline hanno idealmenteciascuna ben delimitata la sua cerchia; ma praticamentedebbono poi per necessità intrecciarsi e sussidiarsi a vi-cenda.

La fisica e la storia trattate astraendo da ogni no-zione e considerazione estetica sarebbero quanto si può im-maginare di più arido e infecondo e di più ripugnante alnostro temperamento di artisti e alla naturale finalità deinostri studi. D'altra parte sarebbe inconcepibileun'estetica che ignorasse la fisica e la storia: poichéquella non è che un grado ulteriore, cioè la emanazionespirituale, l'interpretazione, la sublimazione (la spuma, ilfiore, per usare delle immagini) di queste.

Cosicché, se questa pubblicazione è divisa in tre par-ti: Fisica - Storia - Estetica, ciò è soltanto per comoditàdi studio e chiarezza di stampa.

Della fisica e della storia musicale noi ci occuperemodal punto di vista estetico e artistico; mentre nello studiodell'estetica non ci dimenticheremo mai delle basi fisiche estoriche, senza le quali essa non sarebbe - come per moltotempo è stata - che una raccolta di frasi vuote e prive dirispondenza con la realtà dell'arte.

indefettibili principi; non delle vicende di cronaca, né delle manifestazioni e applicazioni mutevoli eprogressive di questi principi, le quali rientrano nel campo della storia.

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UNA DISTINZIONE FONDAMENTALE

ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA MUSICA||---> RITMO || |-> melodia (suoni successivi) scala| ||---> TONALITA' --|-> armonia (suoni simultanei) accordo | |-> timbro (armonia in divenire)

Il ritmo consta di movimenti; la tonalità consta disuoni. Appare evidente che la distinzione qui enunciata nonè di natura fisica. Poiché sotto l'aspetto fisico tanto ilritmo come il suono son dovuti alla stessa causa originaria,cioè a movimenti oscillatorii.

La distinzione è di natura estetica: cioè consideraquesti fenomeni in riguardo alla impressione che essiproducono nei nostri sensi.

Avere fin da ora una chiara nozione di ciò, ha un granvalore didattico, per l'ordine e la chiarezza del nostrostudio. Poiché questa distinzione ci sarà sempre presente:sia quando divideremo la Fisica della musica in Fisica delritmo e Fisica del suono (Acustica): sia quando cioccuperemo dell'arte musicale di un dato popolo o di un datotempo (per esempio della musica dei greci o del cantogregoriano) considerandola, ordinatamente, sotto ciascunodei due aspetti, ritmico e tonale; sia quando dai due puntidi vista dovessimo esaminare l'opera d'arte di un dato au-tore.

E occorre appena accennare quanto sia necessario tene-re presenti e distinti i due termini agli interpreti, nellagraduale preparazione di una esecuzione musicale.

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FISICA della MUSICA

(dal punto di vista estetico e artistico)

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FISICA DEL RITMO

LE BASI FISICHE DEL RITMO

La base fisica del ritmo...La base fisica fondamentaledel ritmo si identifica nel fenomeno della oscillazionependolare.

Il quale è regolato dalla seguente triplice legge: 1. Le oscillazioni del pendolo sono isocrone; cioè,

dato un pendolo di una determinata lunghezza, le sue oscil-lazioni si succedono con perfetta regolarità e continuità, eciascuna dura un intervallo di tempo esattamente ugualeall'altra.

2. La durata delle oscillazioni non cambia col mutaredella loro ampiezza.

3. La durata delle oscillazioni è in ragione direttadella lunghezza del pendolo; cioè aumenta col crescere diquesta lunghezza. (La durate è direttamente proporzionalealla radice quadrata della lunghezza medesima).

Supponendo un pendolo (per esempio un'altalena) di tal lunghezzache la durata di ogni oscillazione sia di 4 secondi, o che l'altalenaoscilli appena, con una ampiezza di pochi centimetri, o che questa am-piezza diventi di un metro o di più metri, o che raggiunga anche ilmassimo possibile, la durata della oscillazione (cioè dell'intervallo ditempo necessario perché si compia un va e vieni) sarà sempre identica,di 4 secondi. Se la lunghezza dell'altalena venisse ridotta alla metà,la durata dell'oscillazione diverrebbe di 2 secondi; mentre prima siavevano 15 oscillazioni al minuto ora se ne avrebbero 30.

La legge del pendolo fu scoperta, come tutti sanno, da Galileo Ga-lilei osservando, mentre oscillava, una lampada del Duomo di Pisa dive-nuta famosa, e che si conserva tuttora. Un giorno per un urtoaccidentale la lampada si era messa a oscillare: Galileo osservò che leoscillazioni si succedevano con durata esattamente uguale fra loro(isocronismo); e osservò che la durata di esse rimaneva perfettamenteidentica, pure diminuendo l'ampiezza dell'oscillazione col tornare apoco a poco della lampada allo stato di riposo.

Sul fenomeno dell'oscillazione pendolare è basato il metronomo,l'istrumento ben noto ai musicisti, che serve a marcare la divisione deltempo con la velocità desiderata dal compositore o dall'esecutore. Ilmetronomo non è che un pendolo, la cui lunghezza può, entro certilimiti, essere modificata da chi l'adopera.

Il metronomo oggi quasi esclusivamente utilizzato è il Metronomodi Maelzel, che fu messo in commercio da questo meccanico tedesco nel1816. Esso è costituito di un piccolo pendolo volto all'ingiù, la cui

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lunghezza è modificabile e regolabile, poiché la lente può scorrerelungo l'asta del pendolo stesso sopra una scala graduata: le cifre dellascala sono fissate in modo che ciascun numero corrisponda esattamenteal numero di battiti (mezze oscillazioni) che il metronomo, con la len-te in quel punto, segna al minuto. Quando si vuol usare il metronomoconforme all'indicazione posta sopra una composizione, non si ha che dacollocare la lente del metronomo alla cifra segnata, e poi eseguire ilpezzo in modo che ogni battito corrisponda alla figura che nellaindicazione metronomica si trova accanto alla cifra.

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FISICA DEL SUONO (ACUSTICA)

L'Acustica

L'acustica (questa parola viene dal verbo greco acùo =odo) è quella parte della fisica che studia i fenomeni e leleggi inerenti alla produzione del suono.

Fenomeno è il fatto; si chiama legge (come dicemmo) la norma chedi certi fatti fissa il riprodursi costante.

Visto qual'è l'oggetto dell'acustica, appare chiaro che c'è unaacustica musicale, e si comprende subito la grande importanza che questadisciplina ha pel musicista: essa gli insegna a conoscere qual'è la na-tura della materia prima fondamentale della sua arte, cioè il suono; cheè pel musicista quello che il marmo o la creta è per lo scultore, lematerie coloranti pel pittore, il materiale costruttivo per l'architet-to.

Produzione del suono

Il suono è la sensazione del nostro orecchio prodottadal giungervi delle vibrazioni dei corpi sonori.

Indicando con la linea retta a una corda nella sua posizione diriposo, se facciamo vibrare questa corda, essa s'incurverà fino a rag-giungere la posizione b, poi ritornerà in a, poi rimbalzerà fino a rag-giungere la posizione c, infine tornerà nuovamente in a, e così di se-guito.

Il movimento a-b-a-c-a si chiama vibrazione doppia o semplicementevibrazione; la metà di questo movimento, cioè a-b-a oppure a-c-a sichiama vibrazione semplice.

La distanza massima fra le due posizioni estreme che il corpo so-noro raggiunge vibrando (distanza rappresentata nella figura da una li-nea tratteggiata) si chiama ampiezza della vibrazione.

L'orecchio umano consta di tre parti principali: 1) un tubo uditi-vo munito di un padiglione esterno, il quale serve a raccogliere le ondesonore; 2) una specie di membrana, detta membrana del timpano, che ri-

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ceve la impressione del suono; 3) una catena di ossicini che insieme colnervo uditivo servono a trasmettere l'impressione sonora al cervello.

Un istrumento artificiale la cui costruzione ha molta analogia conl'orecchio umano è il fonografo, (vedasi la descrizione più avanti); idue strumenti differiscono in questo: che mentre l'orecchio umano è unostrumento soltanto registratore, il fonografo è nello stesso tempo unostrumento registratore e riproduttore.

Trasmissione del suono

Il suono si trasmette attraverso l'aria (o altro corpo

conduttore) per mezzo delle onde sonore, cioè di movimentiche partendo dal corpo sonoro si diffondono in tutti i sensiin forma di sfere concentriche, come accade nell'acqua d'unlago tranquillo quando vi cade un sasso.

La velocità del suono nell'aria è di circa 340 metri al secondo.Riassumendo: affinché noi percepiamo un suono, occorrono fuori di

noi tre elementi: un corpo sonoro, un mezzo eccitatore delle vibrazionie un mezzo trasmettitore.

Riflessione del suono

Quando si produce un suono, se le onde sonore nel lorodiffondersi incontrano un ostacolo, allora esse rimbalzano,dando luogo a quel fenomeno che si chiama riflessione.

La riflessione avviene secondo questa legge: l'angolodi incidenza e l'angolo di riflessione (cioè gli angoliprodotti dal raggio sonoro con la parete riflettente, ca-dendovi e rimbalzando) sono uguali. Essa è un fenomeno pro-prio non soltanto delle onde sonore: ma anche delle ondeluminose, delle onde elettriche e di qualsiasi altra speciedi movimento. Per avere un'idea di tale movimento, si pensi,immaginandoli in tutti i sensi, ai cerchi concentrici che siproducono nell'acqua.

Fenomeni comuni di riflessione del suono sono l'eco ela risonanza.

Si ha l'eco quando l'ostacolo per conformazione e di-stanza è tale che il suono riflesso si riascolta ben chiaroe preciso: altrimenti si ha la risonanza.

L'eco può essere anche doppio o multiplo.

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Qualità principali del suono

Le qualità principali del suono sono tre: l'altezza,l'intensità e il timbro.

Altezza

L'altezza dipende dal numero delle oscillazioni e cresce con lemedesime.

Il numero delle vibrazioni diminuisce col crescere delle dimen-sioni del corpo sonoro. In altri termini, l'altezza del suono è in ra-gione diretta del numero di vibrazioni, e in ragione inversa delle di-mensioni del corpo sonoro.

Di due suoni che si trovano a distanza di ottava, il più alto pre-senta il doppio di vibrazioni, ed è dato da un corpo sonoro didimensioni metà.

Limiti approssimativi di altezza dei suoni

Limite massimo Limite minimo

Suoni percettibili 30000(vibrazioni al sec.)

16

Suoni musicali

4000 32

Il la del corista normale è dato da 435 vibrazioni doppie al se-condo. Ciò fu stabilito dall'Accademia di Scienze di Parigi nel 1858.Prima di allora regnava la più grande confusione e libertà in fatto dicoristi. Nella odierna pratica musicale quando si dice corista vecchios'intende per solito un corista più acuto di quello normale.

Intensità

L'intensità del suono dipende dall'ampiezza delle vi-brazioni.

Timbro

Il timbro del suono dipende dalla diversa maniera dipresentarsi e di associarsi dei suoni armonici.

Come si vede, il suono è prodotto da un caso speciale di oscilla-zioni pendolari; non è insomma che una manifestazione particolare delritmo. Risponde perfettamente a verità quella affermazione che, imitando

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le prime parole dell'evangelo di San Giovanni, dice: “In principio fu ilritmo”; e l'aforisma di quel filosofo greco: “Tutto scaturisce dal rit-mo”.

Le oscillazioni dei corpi sonori, essendo oscillazioni pendolari,rientrano in tutto e per tutto nella legge del pendolo, la cui enuncia-zione può essere così tradotta in forma acustica:

1. Dato un corpo sonoro, finché esso rimane immutato dà suoni dialtezza costante (isocronismo).

2. L'altezza del suono è indipendente dall'intensità (numero delleoscillazioni indipendente dall'ampiezza).

3. La profondità del suono è in ragione diretta con le dimensionidel corpo sonoro (durata delle oscillazioni in ragione diretta con lalunghezza del pendolo). Raddoppiandosi le dimensioni del corpo sonoro,il suono scende di una ottava.

Con ciò si viene a ripetere in forma più incisiva quanto sopra èstato detto in termini semplici ed elementari.

LE BASI FISICHE DELLA TONALITA'

Il fenomeno fisico-armonico

Quando si produce un suono esso non si produce solo,ma il suono fondamentale è accompagnato da una serie disuoni più acuti via via meno sensibili, che si chiamanosuoni armonici.

Prendendo il suono 1 come fondamentale, i primi suonisecondari fino al sedicesimo sono i seguenti:

Osservando questo quadro tre fatti cadono subito all'occhio: l) i primi sei suoni riuniti formano l'accordo perfetto maggiore; 2)aggiungendo il settimo suono (settima) si ha intorno al suono fondamen-tale un'armonia non di tonica, ma di dominante; 3) l'intervallo tra duearmonici consecutivi va progressivamente impiccolendosi come si saleverso l'alto. Si noterà subito che la scrittura dei suoni 11 e 13 è ap-prossimativa: l'11 è calante e il 13 è crescente in confronto del suonoscritto.

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Spiegazione del fenomeno fisico-armonico

Il fenomeno fisico armonico si spiega così: Quando uncorpo sonoro vibra, esso, oltre a vibrare in tutta la suamassa indivisa, vibra simultaneamente dividendosi in tantefrazioni uguali secondo l'ordine naturale dei numeri, cioèin due mezzi; tre terzi ; quattro quarti; cinque quinti;ecc.

Ciascuno di questi frazionamenti del corpo sonoro dà unarmonico: metà della corda dà l'ottava, un terzo dà laquinta dell'ottava; e via di seguito.

Eccetera.

Rapporto fra i suoni degli intervalli musicali

Da quanto si è esposto, e osservando queste figure, ap-parisce chiaro in che proporzione si trovano fra di loro(come numero di vibrazioni e come lunghezza di corda) isuoni dei vari intervalli musicali.

Le proporzioni relative agli intervalli più semplici ecomuni sono le seguenti: Ottava 2/1; Quinta 3/2; Quarta 4/3; Terza maggiore 5/4; Terza minore 6/5; ecc.

La scala naturale

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Il fenomeno fisico-armonico ha una importanza fonda-mentale nella musica, perché costituisce la base fisicadell'arte musicale per ciò che riguarda lo tonalità.

La scala naturale (cui tende naturalmente il sentimentomusicale umano) è così chiamata appunto perché basata sulfenomeno fisico-armonico: in essa sono raccolti e coordinatigl'intervalli più semplici e armoniosi che il fenomeno fi-sico-armonico ci presenta:

Le proporzioni numeriche collocate al disopra si riferiscono agliintervalli fra ciascun suono della scala e il suono iniziale; quelle aldisotto agli intervalli fra due suoni consecutivi.

Supponendo che il do fosse dato da 24 vibrazioni, i numeri di vi-brazioni corrispondenti agli altri suoni della scala sono i seguenti:

do re mi fa sol la si do24 27 30 32 36 40 45 48

Si verifichi la giustezza di queste cifre in base alle proporzio-ni soprasegnate.

Come si vede, nella scala naturale, fra gradi conse-cutivi, vi sono tre specie di intervalli, che corrispondonoalle seguenti proporzioni: tono grande 9/8, tono piccolo10/9, semitono diatonico 16/15.

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La piccola differenza fra il tono grande e il tonopiccolo - differenza che è data dalla proporzione 81/80 - sichiama comma.

Il semitono diatonico non è uguale alla metà del tono,ma più lungo; cosicché l'intervallo che occorre aggiungeread esso per formare un tono è un semitono più corto, che sichiama semitono cromatico; il quale (in relazione alla du-plicità del tono) è di due specie: semitono cromatico gran-de 150/128 o semitono cromatico piccolo 25/24, a seconda checon l'aggiunta di esse si voglia formare dal semitono dia-tonico un tono grande o un tono piccolo. Il semitonocromatico grande è uguale alla differenza fra il semitonodiatonico e il tono grande : il semitono cromatico piccoloalla differenza fra il semitono diatonico e il tono piccolo.

Questi intervalli cromatici servono alla modulazione.Esempio:

Il musicista ignorante domanderà quale mai importanza ha, perl'artista, la distinzione fra tutti questi intervalli e la conoscenza dipiccole differenze, mentre poi all'atto pratico e nella scrittura diesse non vien tenuto conto. Ma, se egli è dotato di squisita sensibilitàmusicale, dovrà riconoscere che un dato intervallo qualunque, per esem-pio sol-la, produrrà in lui esteticamente e artisticamente due impres-sioni ben diverse a seconda che venga considerato in do maggiore o insol maggiore; e che i suoni prodotti dalle corde mi-fa del pianofortegli fanno in realtà una impressione profondamente diversa a seconda cheegli li consideri in do maggiore, o come mi - mi diesis per modulare adesempio in fa diesis maggiore. Tali differenze degli strumenti ad into-

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nazione libera (voce umana, archi) e anche entro certi limiti nei fiati,dove agisce il labbro del sonatore, corrispondono (ed è bene l'artistalo sappia) a una reale differenza fisica di intonazione. Negli strumentia suoni fissi questa differenza fisicamente non c'è, ma permane sempresoggettivamente, esteticamente, artisticamente; e ciò in forza del fe-nomeno umano di adattamento e di illusione cui or ora faremo cenno.

Un'altra osservazione che la pratica mi ha dimostrato essere pru-dente rivolgere ai principianti, affinché non cadano in deplorevoliequivoci, è la seguente: se noi abbiamo parlato della scala naturale edei suoni e intervalli diatonici, riportandoci come esempio la scala dido, lo abbiamo fatto semplicemente perché la scala di do è quella cheprima càpita sotto mano e la più facile a scriversi; ma quanto si èdetto sulla scala di do può essere trasportato e rifatto, rimanendo im-mutato tutto quanto abbiamo detto, in tutti gli altri toni.

La scala temperata

Per semplificare la costruzione degli strumenti e perfacilitare la pratica musicale, si pervenne, a un certopunto dello svolgimento dell'arte musicale, alla scala tem-perata: la quale è ottenuta dividendo meccanicamentel'ottava in dodici semitoni eguali.

Nella scala temperata tutti i toni sono eguali, e ilsemitono è uguale alla metà del tono.

Il tono temperato serve, nella pratica musicale, tantoda tono grande che da tono piccolo; il semitono temperatoserve tanto da semitono diatonico, che per i due cromatici.

Ciò è possibile in base ad una legge estetica di adattamento e diillusione: in quanto cioè l'uomo entro certi limiti può avere da un og-getto fisicamente identico delle impressioni diverse a seconda che dettooggetto venga inserito in una o in un'altra data serie di oggetti o diimmagini (vedi Estetica).

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DIAGRAMMA DIMOSTRATIVO

Suoni armonici e strumenti

Oltre alla importanza estetica sopra illustrata, ilfenomeno dei suoni armonici ne ha un'altra notevolissima(che forma il presupposto e la conferma continuamente inatto della prima) di indole pratica, tecnica e meccanica: inquanto cioè questo fenomeno trova larga applicazione neglistrumenti per aumentare grandemente la estensione dei suonida essi prodotti e per ottenere speciali sonorità.

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Negli strumenti a corda si può mettere in evidenza unarmonico invece del suono fondamentale sfiorando la cordacol dito in uno di quei punti in cui essa si divide perprodurre quel dato armonico.

Negli strumenti a fiato si ottiene un effetto analogomodificando la pressione del labbro e la forza del soffio.

Fenomeno della oscillazione simpatica

Quando si produce un suono, se nella cerchia in cuiarriva l'azione delle sue onde sonore, si trovano altricorpi sonori capaci di dare lo stesso numero di vibrazionidi quel suono o di qualcuno dei suoi armonici, questi corpisi mettono a vibrare spontaneamente sotto l'azione del suonoprincipale.

Di questo fenomeno, che suole chiamarsi della oscilla-zione simpatica, si trae profitto nell'arte musicale perrinforzare ed abbellire i suoni negli strumenti, aggiungendoal corpo sonoro principale altri corpi sonori che non sonoeccitati direttamente, ma vibrano per simpatia (per esempio,nella viola d'amore alle sette corde principali, di minugia,sono aggiunte altrettante corde simpatiche di metallo).

L'utilizzazione di questo fenomeno ha luogo in lineamolto più vasta nelle casse di risonanza; che sono cassed'aria costruite in tal forma da rinforzare per oscillazionesimpatica tutta la serie dei suoni di un istrumento.

Occorre appena accennare che l'aria chiusa in casse o in tubi ècapace di vibrare producendo suoni in materia perfettamente analoga aicorpi sonori solidi.

Fenomeno dei battimenti

Quando si producono insieme due suoni, se essi sono dialtezza disuguale, accade questo: che le oscillazioni non sicombinano in maniera costantemente uniforme come accadrebbese i due suoni fossero di uguale altezza; ma da momenti incui le oscillazioni vanno nello stesso senso sommandosi, sipassa gradatamente a momenti in cui esse vanno in sensocontrario, annullandosi a vicenda: e così chi ascolta per-cepisce, nel miscuglio dei due suoni, una alternativa dirinforzamenti (battimenti) e indebolimenti.

Il fenomeno si può osservare con tanta maggior

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chiarezza quanto più i periodici rinforzi si succedono len-tamente: e la frequenza di questi è tanto minore quanto piùi due suoni sono vicini.

Si guardi, per esempio, ciò che accade fra due suoni uno da o. inuna data frazione di tempo, da 3 e uno da 4 vibrazioni.

Per comprendere bene questa figura si pensi a quello che acca-drebbe della punta scrivente del telegrafo se, invece di muoversidall'alto in basso, rimanendo fissa negli altri sensi e segnando perconseguenza (sulla striscia di carta che le scorre sotto) dei punti odelle linee a seconda che essa si abbassa solo per un istante o per uncerto intervallo più o meno lungo, oscillasse invece sopra la carta insenso trasversale. Invece di una linea retta verrebbe tracciata una li-nea a zig-zag, di cui ogni zig-zag verrebbe a rappresentare una vibra-zione doppia. Questo è appunto il metodo che si adopera perrappresentare graficamente i suoni; e in simili linee tutte le qualitàdel suono sono riconoscibili: un suono è tanto più alto quanto più glizig-zag sono fitti; è tanto più intenso quanto è maggiore l'ampiezzadegli zig-zag. Dei due suoni tracciati nel disegno qui sopra si possonocontare le vibrazioni e si vede subito quale è il più acuto; inoltre ilsuono di 4 vibrazioni è più intenso di quello di 3.

Della stessa natura di queste linee sono i segni molto più com-plessi che vengon tracciati sul disco del fonografo. Questo strumento èformato di un tubo munito di padiglione e chiuso da una membrana sensi-bile in modo analogo a ciò che si riscontra nell'orecchio umano, come sidisse; alla membrana è fissata una piccola punta che riporta fedelmentetutti i piccoli movimenti impressi nella membrana dai suoni che viarrivano; la punta è disposta in modo da poter scavare un leggero solcosu un cilindro o disco in moto, coperto di cera o materiale simile, chele passa sotto; tale solco viene ad essere la rappresentazione graficaprecisa dei suoni in parola. Per far cantare l'istrumento si opera insenso inverso; si fa girare il disco; la punta si mette in moto passandorapidamente pel solco sinuoso; essa trasmette i suoi movimenti allamembrana; la membrana li trasmette all'aria attraverso il tubo e il pa-

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diglione: e il suono è riprodotto.

Del fenomeno dei battimenti li approfitta per ottenerecerte voci tremolanti ed espressive nell'organo enell'armonium (facendo suonare simultaneamente due canne, olinguette, leggermente scordate fra loro); e per l'accorda-tura fra loro di due corpi sonori spostabili, osservando loscomparire dei battimenti quanto si è raggiunto l'unisono.

Il suono di Tartini

Il numero dei battimenti in un secondo è uguale alladifferenza fra il numero di vibrazioni dei due suoni.

Se questa differenza cresce fino a sorpassare il nume-ro di circa 16 (limite inferiore di percettibilità dei suo-ni), allora il nostro orecchio non riesce più a seguire ibattimenti come tali, ma essi si fondono insieme, e, dandonon altro che vibrazioni, formano un altro suono che sichiama terzo suono, suono di combinazione, di differenza, odi Tartini.

Base fisica del grado di consonanza degli intervalli

Partendo da quanto abbiamo osservato sui suoni armoni-ci in relazione a un solo suono fondamentale, e sul suono dicombinazione considerando il caso elementare della presenzadi due suoni soltanto, si può immaginare quale ricchezza evarietà di suoni secondari si venga a produrre passando agliaccordi e alle forme più complesse della polifonia vocale edorchestrale.

Nei suoni secondari prodotti dal fenomeno fisico-armonico e dal fenomeno del suono di combinazione si trovala fase fisica dal diverso grado di consonanza degli inter-valli e degli accordi.

Due o più suoni sono tanto più consonanti fra loroquanto più hanno armonici in comune o consonanti fra loro.

In modo analogo influisce sulla consonanza ed armonio-sità degli accordi il suono di differenza.

Da questa miriade di suoni secondari suscitata daipochi suoni scritti ed espressi (suoni eccitatori) si puòdedurre quale acutezza di intuito si richiede nell'artistaper cogliere le combinazioni più felici; e si spiega l'elo-

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gio che fu rivolto al Palestrina: avere egli cioè penetratoe rivelato i segreti della natura.

1. VIBRANTE ARIA

Ad imboccatura semplice flautoCanned'organo

legniAd ancia semplice clarinetto

saxofono

Ad ancia doppiaoboefagottosarrusofono

A bocchinotrombatrombonecorno

ottoni

2. VIBRANTE CORPO SOLIDO

A corda

ad arco (violino)a pizzico (arpa, chitarra, clavicembalo)a plettro (mandolino)a percussione (pianoforte)

A linguetta armonium, fisarmonica

A membranatimpanitamburocassa

Strumenti a percussione (alcuni sono a suono determinato, altri a suono indeterminato)Forme varie

Campanetriangolopiattitam-tamgioco di campanellicelestexilofono nacchereecc.

Nota alla tabellaS'intende che d'ogni famiglia si è nominato il solo strumento

tipo.Non credo sia mai bastevole ripetere ai giovani musicisti la rac-

comandazione di rendersi conto della natura degli strumenti DAL VERO...

La VOCE UMANA riunisce in sé i caratteri dell'uno e dell'altrogruppo: le corde vocali funzionano, nello stesso tempo, da corpi sonorie da mezzo eccitatore della massa d'aria racchiusa nelle cavità boccali,nasali e toraciche; la quale massa, a sua volta, funziona da corposonoro e da cassa di risonanza.

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STORIA della MUSICA

(dal punto di vista estetico e artistico)

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Sguardo generale

La grande distesa della storia suscita nella nostramente l'immagine di una immensa pianura che si stenda aperdita d'occhio: le cose che in questa immensa pianura sitrovano immediatamente sotto i nostri occhi e nelle nostrevicinanze noi le vediamo e percepiamo nella loro pienezza ein tutti i loro particolari; come invece l'occhio si spingea maggiore distanza si vede sempre minor numero di oggetti econ minore chiarezza; fintantoché non si arriva ad un puntoin cui non si vede ormai più quasi nulla; e finalmente ad unaltro (dove l'orizzonte sfugge alla nostra vista) in cui nonsi vede più nulla addirittura.

Qualcosa di perfettamente analogo accade per la sto-ria. Ciò che si trova al di là dell'orizzonte in quellapianura corrisponde alla preistoria: ciò che cadeimmediatamente sotto i nostri occhi alla storia contempora-nea. Per la prima (come dice la parola stessa "preistoria"che vuoi dire "ciò che precede la storia") manchiamo nelmodo più assoluto di notizie; per la seconda ne abbiamo intutta la desiderabile pienezza. E in questi due estremi c'ètutta una immensa distesa di tempo attraverso la quale sipassa a grado a grado dal buio completo della preistoria aduna chiarezza e facilità di visione (per la quantità cre-scente di notizie) sempre maggiore, finché non si arrivaalla luce piena della storia recente e contemporaneacontemporanea i cui avvenimenti noi possiamo osservare estudiare da tutti i lati e in tutti i loro particolari.

Questo progressivo diminuire di notizie, come ci al-lontaniamo dai giorni nostri, dipende da due ragioni. Prima,che l'opera distruttrice del tempo si fa sentire tanto piùquanto maggiore è l'intervallo che ci divide dal momento cuivogliamo rivolgere il nostro studio. In secondo luogo ilnumero di mezzi per fissare e trasmettere le notizie è an-dato sempre crescendo col progredire dell'uomo nella civiltàe attraverso i secoli.

Vediamo ciò che accade per la musica. Le prime noti-zie, dell'età antichissima, ci sono trasmesse anche qui at-traverso la materia che più resiste all'ingiuria del tempo:la pietra. È dalle figure di strumenti musicali incise suimonumenti, che noi conosciamo le notizie più remote intornoalla nostra arte. Ed è sulla pietra che ci sono state tra-mandate le più antiche scritture (iscrizioni). Gli antichiusavano, oltre alla pietra, anche altri mezzi su cui scri-

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vere: per esempio, le tavolette incerate e la carta dipapiro. Attraverso questi mezzi ci sono rimaste anchescritture antichissime relative alla musica. Oltre alle fi-gurazioni scultorie ci son conservate (di tempi più recenti)figurazioni pittoriche di strumenti, di sonatori, di danza-tori. Ma questi documenti che ci rimangono dell'età antica(si può aggiungere qualche strumento per avventuraconservato) sono sempre quanto mai scarsi; e non ci permet-tono di formarci della musica di quei popoli che una idea,più o meno ampia a seconda di questo o di quel popolo èvero, ma sempre incompleta e in molti punti oscura.

Nel Medio Evo si cominciò a scrivere su un'altra so-stanza, che divenne di uso generale: la pergamena. Ed è supergamene che ci sono conservate scritte le composizionimusicali e i trattati di musica che ci rimangono di quelperiodo.

Più tardi apparisce la carta, che comincia a prendereil posto della pergamena solo alla fine del Medio Evo.

Una rivoluzione nella maniera e nella facilità di fis-sare e trasmettere le notizie - rivoluzione quindi impor-tantissima per la storia in generale e per la musica inparticolare, poiché questa non ha che un unico mezzo ditrasmissione: la scrittura - fu portata dalla invenzionedella stampa, compiuta dal tedesco Gutemberg nella primametà del secolo XV.

Ben presto la stampa fu applicata anche alla musica,dagli italiani Ottaviano Petrucci (1498) e Ottaviano Scotto(1536). Ma dovettero passare diversi secoli prima che tantola carta come la stampa raggiungessero a poco a poco quelbuon mercato e quella diffusione per cui oggi siamo nel pe-ricolo che tra qualche secolo tutti i luoghi abitati venganoad essere letteralmente riempiti di libri e giornali.

L'invenzione della stampa giovò moltissimo alla conser-vazione e alla diffusione delle opere musicali: e da quelmomento in poi il numero delle composizioni perdute di undato autore è andato sempre diminuendo. Le prime operemusicali stampate furono dei trattati di musica e dellecomposizioni polifoniche a sole voci (la sola forma d'artemusicale che allora fioriva): queste ultime furono stampateper molto tempo solo a parti (voci) staccate; cosicché chivoglia oggi studiarle deve compiere il lavoro non difficile,ma alquanto faticoso, di metterle in partitura. A stamparele partiture si è cominciato solo molto più tardi.

Tali sono i mezzi che abbiamo o nostra disposizione perpenetrare gli avvenimenti di quella immensa distesa di tempo

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che si chiama storia; distesa che noi percorreremo da unpunto di vista speciale, il punto di vista della nostraarte: la musica.

Ma prima di incominciare il nostro viaggio come musici-sti è necessario che noi volgiamo uno sguardo generale allaimmensa distesa che si para dinanzi ai nostri occhi. Abbiamogià usato, poco fa, la parola “Medio Evo”, e nel corso delnostro lavoro ci accadrà spesso di dover ripetereespressioni consimili: è necessario per ciò che il lettorefin dal principio sia messo a conoscenza del loro signi-ficato. Noi faremo come chi, volendo percorrere, ad esempio,l'Europa, l'Asia o l'America, prima di cominciare il suoviaggio rivolga a questi continenti uno sguardo a volod'uccello (li attraversi in velivolo, come oggi si potrebbedire), per formarsi un' idea dei loro caratteri generali,dei confini fra l'uno e l'altro, del clima: poi, fatto que-sto, ricominci da capo il suo viaggio in treno, o magari apiedi, per osservare minutamente tutte le cose che più lointeressino, secondo lo scopo che gli ha fatto muovere ilcammino.

La grande distesa della storia, dai tempi a cui risal-gono le prime notizie di fatti umani, fino ad oggi, si suoldividere in tre grandi periodi: 1. ANTICHITÀ; 2. MEDIO EVO; 3.RINASCIMENTO ed ETÀ MODERNA.

Come termine che chiude l'ANTICHITÀ si suol porre la Ca-duta dell'Impero Romano di Occidente, avvenuta nel 476 dopoCristo, e il conseguente inizio delle dominazioni barbarichein Italia. L' ANTICHITÀ fu un periodo di grandi e svariateciviltà, come per esempio: la Egiziana, la Assira, la Cine-se, la Indiana, la Ebraica, e sopratutto - queste a noi in-teressano molto più - la Greca e la Romana. Alcune di questeciviltà furano sviluppatissime, tanto sotto l'aspetto dicerti ritrovati (i Cinesi, per esempio, già da tempo anti-chissimo conoscevano la polvere da sparo, la stampa e altrecose che in Europa furono scoperte molto più tardi) comesotto l'aspetto spirituale e artistico: le civiltà greca eromana, raggiunsero, sotto quest'ultimo aspetto, un grado dialtezza e di squisitezza che non è stato mai superato.

Il MEDIO EVO si fa decorrere dalla Caduta dell'Impero diOccidente fino alla scoperta dell'America avvenuta nel 1492.Questo periodo abbraccia dunque circa 1000 anni. Fu durantequesto millennio che ebbe origine la potenza del Papato; esi svolsero grandiose le lotte fra il Papato e l'Imperatoredi Germania, il quale ultimo fece sempre gravare, o di fattoo di diritto, il suo dominio sull'Italia: ciò nonostante,

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dei piccoli Stati e dei Comuni italiani, come Firenze, Mi-lano e le repubbliche di Genova e di Venezia, traversaronomomenti di indipendenza e di fiore.

Come l'individuo, dopo aver compiuto nella giornata mi-racoli di valore, di intelligenza, di energia, nella notteritempra poi nel sonno la mente affaticata, così anche nellastoria dell'umanità vi sono dei periodi di meravigliosorigoglio intellettuale, di magnifica esplicazione di forze(come qualcuna delle civiltà antiche) e periodi di sosta, diripose, di assopimento. Uno di questi periodi fu il MEDIOEVO, periodo caratterizzato dal dominio assoluto del Cri-stianesimo che, se da una parte insegnò una maggioreausterità di vita e impose un freno agli abusi e alledissolutezze in cui erano andate a infrangerai le civiltàpagane, dall'altra, concentrando tutta l'attenzione nelmondo al di là e imponendo l'abbandono di ogni aspirazione eaffezione terrena, limitò grandemente lo sviluppo dellacultura e dell'arte. Nel MEDIO EVO era impossibile siiniziasse qualsiasi scienza: la lettera dei libri sacri eraa questo proposito un'autorità assoluta. L'arte potésvilupparsi, ma a patto di essere completamente asservitaalla religione. La pittura non era rivolta che alle immaginisacre; e tutti hanno presenti quelle figure stecchite, cheanzi tanto più soddisfacevano al sentimento del tempo quantopiù erano lontane dalla realtà umana. L'arte che ebbemaggior sviluppo e che ci ha lasciato più imponenti e validimonumenti è l'arte più fredda ed obbiettiva: l'architettura.Ma quei templi gotici non sono cose di questa terra: quegli“immani steli marmorei”, come dice il Carducci, fannol'impressione di un disperato tendersi di braccia plorantiverso il cielo, nella dimenticanza e negazione completadella vita terrena,

II RINASCIMENTO - come la parola stessa dice – fu appun-to un magnifico moto di liberazione della sensibilità edella coscienza umana dalla cerchia ristretta in cui eranorimaste imprigionate nel Medio Evo; moto che tornò a infon-dere novella vita in tutte le manifestazioni della umanaattività. L'uomo riacquistò il pieno godimento di sé stessoe del mondo che lo circonda: il pensiero e l'arte, tornatiad ispirarsi alle loro naturali fonti, alla vita, alla na-tura, all'umanità, ripresero il loro trionfale cammino. E fuun rapido succedersi di tutte le conquiste checaratterizzano l'ETÀ MODERNA. Si andarono formando a poco apoco gli Stati moderni e la civiltà attuale. L'Italia - pursempre rimanendo nella sua triste e fatale condizione di

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schiavitù allo straniero, schiavitù da cui solo pochidecenni fa è riuscita a redimersi incamminandosi baldamenteagli alti destini cui la sua risorta giovinezza la spinge -nei campi del pensiero e dell'arte ebbe un Rinascimento su-perbo, che offrì al mondo miracoli di genialità, difecondità, di grandezza.

Ciascuno di questi tre periodi - ANTICHITÀ, MEDIO EVO EDETÀ MODERNA – ha sotto l'aspetto musicale una fisionomia ge-nerale sua propria, di cui è bene impadronirsi, prima dicominciare lo studio più da vicino.

Bisogna premettere che l'arte di combinare simultanea-mente suoni diversi - l'armonia, il contrappunto - ha avutoorigine in tempi relativamente recenti. E l'idea del con-trappunto (urto di voci, ricerca analitica) è apparsa primadi quella dell'armonia (fusione, sintesi). Il contrappuntoha avuto i suoi inizi in principio del Medio Evo. Solo versoil Rinascimento si è chiaramente pervenuti al punto di vistaarmonico. Durante l'Antichità non è da escludersi qualchetentativo di polifonia, ma quello che è certo è che questitentativi, se anche ci sono stati, non han preso alcun piedee sviluppo - la musica si mantenne quasi esclusivamente mo-nodica (ad una voce, una melodia sola).

Così l'ANTICHITÀ può definirsi il periodo del canto mo-nodico; che però raggiunse presso alcuni popoli, come iGreci, un grado di finezza espressiva, cui si avvicinaronosoltanto alcuni ispirati canti cristiani e da cui noi stessimoderni siamo ben lontani.

Il MEDIO EVO fu invece l'Età del contrappunto. Difattifu in questo periodo che questa forma di musica - che eraparticolarmente consona alla mentalità astratta, mistica.meditativa del Medio Evo - ebbe inizio, e fu larghissima-mente coltivata, e raggiunse un grandissimo, eccessivo svi-luppo nel periodo detto fiammingo (secolo XV). Il contrap-punto nel Medio Evo non fu considerato altrimenti che unameccanica arida sovrapposizione di suoni. La parola “con-trappunto”, parola prettamente medioevale, non potrebberiassumere meglio la natura di questa musica: ad una fila dipunti collocati sulla carta si trattava di metterne accantoaltri secondo date regole: un giuoco di abilità e di pa-zienza. La sensibilità umana, che si era manifestata insquisite, possenti e nobili espressioni nell'antica musicagreca e mistica, era completamente esulata da quest'arte.

Col RINASCIMENTO - ciò appare evidente da quanto sopra sene è detto - tornò a battere nella musica il cuore umano, acircolare uman sangue. Da arido giuoco di suoni quale era

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diventata in mano dei dotti compositori medioevali, essaritrovò la sua natura di linguaggio espressivo dei senti-menti umani. E ciò portò come naturale conseguenza ad unfatto semplicissimo, ma fondamentale: alla rinascita dellamelodia; non più la melodia nuda e sola, quale si presentavapresso i Greci e gli altri popoli antichi: ma in liberaunione al contrappunto, divenuto anch'esso mezzo di espres-sione umana, e all'armonia. Il senso dell'armonia fu unaconquista del Rinascimento. E da allora in poi melodia, ar-monia e contrappunto (o diciamo meglio concento con una pa-rola moderna che si dovrebbe ormai sostituire,artisticamente parlando, alla parola “contrappunto”) hannoproceduto insieme, uniti nella magia incantevole di tutte levoci e di tutti gli strumenti, a cantare le gioie, i dolori,le angoscie, le aspirazioni dell'umanità.

Un'ultima osservazione: per tutta l'Antichità e pertutto il Medio Evo la musica artistica fu quasi esclusiva-mente vocale (prima soltanto monodica e poi polifonia). Lamusica strumentale (per quali ragioni molto semplici lo ve-dremo a suo posto) si è sviluppata in forma artistica soloassai più tardi, nell'Età moderna.

Ed ora, fissati questi punti fondamentali, possiamotornare indietro e intraprendere a piede sicuro, e certi dipoter procedere rapidamente e con il maggior profitto, ilcammino che ci siam proposti.

La musica presso i popoli primitivi

L'origine della musica si perde, come dicono gli stori-ci, nella notte dei tempi. Non c'è popolo per quanto anticonel quale non si incontrino manifestazioni musicali. Dellamusica pub ripetersi ciò che Dante dice della parola:

Opera naturale è ch'uom favella.

Difatti non c'è linguaggio più istintivo, più spontaneodella musica. Io credo anzi che, nell'uomo primitivo, illinguaggio musicale, in forme rudimentali, abbia precedutoil linguaggio propriamente detto.

E non c'è da farsi meraviglia di questa natural tenden-za dell'uomo alla musica, poiché quest'arte non è un'inven-zione arbitraria e artificiosa, ma è stata suggeritaall'uomo dalla natura stessa: l'uomo non ha fatto altro cheappropriarsi, per suo fine espressivo ed artistico, di ele-menti che si trovavano già in atto nel mondo che lo circonda

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e nel suo organismo stesso. Difatti tanto il ritmo come latonalità poggiano su basi naturali fisiche.

La base naturale fisica del ritmo è data dal fenomenodella oscillazione pendolare.

Tutto in natura si compie in ritmo. E non solo i fattifisici, ma anche negli organismi viventi molti movimenti sicompiono con ritmica regolarità: il cuore batte a tempo, sirespira a tempo (si dice anzi che tanto il cuore come ilrespiro segnino col loro moto un movimento ternario, poichéuno dei due movimenti oscillatori dura il doppiodell'altro); si tende a camminare a tempo; l'uomo che lavoraè spinto a fare i suoi movimenti a tempo; e si può anzimolto a ragione credere che allo sviluppo primordiale dellamusica abbia influito il bisogno nell'uomo di accompagnarecantando il proprio passo o i movimenti del suo lavoro: comefanno tuttora i pellegrini nei loro viaggi, e i fedeli nelleprocessioni, e le persone che compiono certi dati lavori,per esempio, i fabbri all'incudine (chi non ricorda ilfamoso coro del Trovatore, e i canti del Sigfrido wagneria-no?).

La base naturale fisica della tonalità è data dal fe-nomeno fisico-armonico.

La specie umana, dal momento in cui ha avuto il suoinizio, ha sentito sempre attorno a sé, ha respirato -s'intende non avendone coscienza: il fenomeno dei suoni ar-monici è stato scoperto scientificamente molto tardi -quest'armonia naturale che accompagna tutti i suoni che siproducono in natura, dal ruggito del mare in tempesta alcanto degli uccelli, dall'acqua che scende dolcemente in unacascata alla voce dell'uomo stesso. Non occorre che ci siastata la coscienza: si può benissimo aver afferrato comple-tamente il senso di una fisionomia senza aver affattoosservato come sono gli occhi, il naso, la bocca; senzanemmeno aver idea degli elementi che la compongono: anzi lesensazioni incoscienti sono quelle che agiscono piùsottilmente, più efficacemente, più genuinamente, sull'animaumana. Così l'uomo è andato lentamente educando e plasmandoil suo sentimento musicale su quella armonia naturale cheper secoli e secoli senza tregua gli ha titillato l'orecchioe sii ha scavato un solco nel cuore come una goccia nellapietra: da essa egli ha tolto inconsciamente e fatalmente lapropria intonazione musicale.

Ma bisogna osservare subito che è molto più facile co-gliere il ritmo di due martelli che battono sull'incudineche non sia cogliere ad uno ad uno i suoni che avvolgono in

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un velo di armonia un suono fondamentale. Per questo la mu-sica ritmica è nata molto prima della musica tonale: e glistrumenti puramente ritmici, gli strumenti a percussione,sono apparsi molto prima degli strumenti a intonazione.

Anche dello strumento che l'uomo ha avuto sempre a suadisposizione, cioè della sua propria voce, egli - dopo che,da principio ne avrà tratto profitto solo ritmicamente -avrà stentato ad afferrare e mettere in valore le risorsetonali. Però la voce sarà stata assai probabilmente il primostrumento tonale; e ad esso, e ad imitazione di esso, saransucceduti a poco a poco gli strumenti tonali artificiali.

Il sentimento della tonalità si è andato determinando eprecisando e perfezionando nell'uomo lentamente e gradata-mente. Supponiamo di esporre un'immagine, piuttosto com-plessa e di squisiti tratti e colori, dinanzi ad un certonumero di persone ignare: ci vorrà del tempo perché ciascunadi queste persone afferri con chiarezza l'immagine in tuttele sue parli, si orienti da tutti i punti di vista, si mettain simpatia con tutti gli stimoli emotivi che l'immagine puòoffrire. Se noi togliessimo via l'immagine dopo un istante eandassimo a osservare che cosa è rimasto di essa nella mentedi ciascun spettatore, ci accorgeremmo che uno avrà fermatola sua attenzione appena appena sul naso, un altro sugliocchi, un altro sulla mano un altro sulla veste: non solo,ma che il ricordo pur di queste piccole parti è molto im-perfetto e deforme. Se togliamo l'immagine dopo unintervallo di tempo un poco più lungo, ogni persona avràafferrato qualcosa di più, ma si sarà sempre molto lontanidalla comprensione intera e perfetta. Solo dopo una esposi-zione molto lunga gli spettatori potranno incamminarsi ad unrelativo consenso di impressioni.

Qualcosa di simile è accaduto nella specie umana difronte all'armonia naturale. Da principio si è cominciatocol cogliere soltanto qualche suono, e molto vagamente eincertamente: e un popolo avrà colto di preferenza quel datosuono, un altro quel tal'altro suono, un terzo un altrosuono ancora, nella costellazione degli armonici. È perquesto che le scale dei popoli primitivi e selvaggi sonsempre in origine formate di pochissimi suoni, e sono più omeno stonate, e diverse fra un popolo e l'altro. Solo piùtardi a poco a poco il numero dei suoni aumenta, e le scalesi completano, si perfezionano, vanno convergendo verso untipo unico.

E qui accade un fenomeno bellissimo. Che cioè il sen-timento musicale umano, nel suo progressivo affinarsi affi-

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narsi, svilupparsi, perfezionarsi attraverso i secoli, s'èandato sempre più avvicinando inconsciamente - pur trattan-dosi di popoli diversissimi e lontani fra loro - a quellaintonazione che corrisponde alla scelta degli intervallipiù semplici e armoniosi fra i suoni della armonia naturale;alla intonazione cioè che noi abbiamo studiata nella fisicacol nome di scala naturale: intonazione che sembra costi-tuire la base tonale fondamentale cui tende istintivamente –perché è la combinazione più semplice, e, direi quasi, piùprelibata che ci offre la natura - e intorno a cui s'aggira,gravita fatalmente, nella sua continua aspirazione diperfezionarsi e di differenziarsi, il sentimento tonaleumano.

È questo un fenomeno bellissimo e di importanza fonda-mentale per l'arte.

Riassumendo: la musica, tanto sotto l'aspetto del ritmocome della tonalità, poggia su basi naturali fisiche: lamusica ritmica, nelle origini della musica, ha preceduto lamusica tonale, e gli strumenti ritmici gli strumenti tonali;le scale (e il sentimento tonale umano di cui esse non sonoche l'espressione concreta) si sono andate formando a poco apoco: costituite da principio di pochissimi suoni e più omeno stonati, in seguito si sono andate completando e affi-nando, e in questo loro cammino han proceduto concordementeverso una mèta comune che corrisponde all'intonazione piùsemplice e armoniosa offertaci dall'armonia naturale.

Tutto ciò potrebbe affermarsi anche per supposizione inbase ai caratteri indefettibili della natura umana e delmondo in cui viviamo. Ma, almeno in parte, può esser provatoanche con dati positivi. E, se non direttamente poiché nonci è possibile risalire ai popoli selvaggi primitivi e nes-sun documento di loro ci rimane, indirettamente: cioè stu-diando sui selvaggi attuali, ché ce ne sono nel centrodell'Africa e dell'Oceania; o anche senza bisogno di avven-turarsi colà, su altri selvaggi di tipo singolare chechiunque può avere a sua disposizione dovunque, cioè i bam-bini: i quali nel loro affacciarsi al mondo vengono a tro-varsi nelle stesse precise condizioni dei popoli primitivi,

Ora, se noi osserviamo i selvaggi attuali e i bambini,troviamo in essi la musica ritmica e gli strumenti ritmiciprecedere la musica tonale e gli strumenti tonali. Sitroveranno forse dei popoli selvaggi senza strumenti aintonazione, ma non se ne trova nessuno senza strumenti apercussione della più svariata specie. E i bambini non co-minciano le loro gesta musicali costruendo e sonando flauti

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e violini, ma prendono una panchetta, un pezzo di latta ebattono. E come battono a tempo! Oh la sensibilità ritmicanei bambini!

Questo sulle origini e sulla natura primordiale dellamusica può dire chiunque possiede uno squisito senso umano,senza aver bisogno di attingere ad alcun altro libro che nonsia il fondo della sua anima. Ci rimane ora da dire due pa-role su quello che han pensato i popoli antichi stessisull'origine della musica.

Tutti i popoli hanno attribuito alla musica una originedivina. E tutte le mitologie sono ricche di leggenderelative alla musica.

Bellissimi sono i miti musicali del popolo greco. Tradi essi faremo cenno soltanto a quello d'Orfeo, che può es-sere considerato da noi musicisti come il mito tipico, e cheha interesse anche da un altro lato, perché i musicisti diogni tempo lo han tenuto sempre fisso nell'animo come fontepreferita di ispirazione. I primi melodrammi moderni, le dueEuridice di Peri e Caccini, hanno per oggetto questo mito:Euridice è la consorte d'Orfeo; l'Orfeo l'hanno scrittoanche Monteverdi e Gluck, e son due altre opere capitalinelle vicende del Melodramma; Pergolesi ha scritto unacantata Orfeo; e si potrebbe seguitare a lungo.

Il mito d'Orfeo simboleggia la potenza conquistatrice,sovrumana della musica. Tale era il fascino del canto diOrfeo, e del suono della sua lira, che egli riusciva conesso ad arrestare il corso dei fiumi, ad ammansire le belvee a tirarsi dietro i sassi. Orfeo personifica i grandiartisti musicisti di tutti i tempi.

Anche l'invenzione degli strumenti era attribuila dagliantichi a personaggi divini. La lira, lo strumento nazionaledei Greci, era stata inventata, secondo la mitologia, daMercurio, il quale, trovato una volta un guscio ditestuggine morta i cui filamenti si eran disseccati e tesi,ne trasse il suono, e lo trasformò in questo strumento. Pertale ragione il guscio di tartaruga continuò sempre a farparte della lira greca, come sostegno dei due bracci e comecassa di risonanza. Il flauto - nella forma primitiva di piùcanne legate in fila su cui si soffia come in una chiave -era l'istrumento proprio del dio campestre Pane. Apollo erail dio della musica, e veniva sempre raffigurato, anch'eglicome Orfeo, con la lira. Una delle nove Muse, Euterpe, eraprotettrice della musica.

Questa larga parte che la musica ha nella mitologia,parte che non vi trovano per esempio le arti figurative,

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dimostra quale fosse sin dai tempi antichissimi il culto perla musica, e quanto profonda fosse la coscienza della suaforza espressiva e della sua sovrumana possanza.

La musica dei primi popoli storici

Le prime notizie storiche intorno alla musica ci sontramandate - come sopra osservammo - dai monumenti in pie-tra, sui quali sono talvolta scolpite figure di strumentimusicali o di sonatori di strumenti. Per i popoli - come,per esempio, gli Egiziani - la cui musica ci è nota soloattraverso simil genere di documenti, noi ci troviamo in unacondizione di disagio singolare: noi cioè conosciamo i lorostrumenti, ma non sappiamo né come venivano usati, nésopratutto come erano intonati, né a qual sistema o forma dimusica si applicassero. Abbiamo l'impressione di trovarcicome dinanzi ad un'orchestra i cui sonatori stesseroimmobili, e della quale ci fosse vietato inesorabilmente disentire il suono e di vedere qualsiasi gesto.

Per altri popoli - come gli Indiani, i Cinesi, i Greci- oltre a simili figurazioni abbiamo fortunatamente anchedegli scritti, dei trattati di musica, spesso assai ampi. Maqui si cade in un altro inconveniente. Che cioè, se da unaparte questi trattati ci fanno conoscere tutte le finezzeteoriche, spesso astruse e complicate, di quelle date musi-che, dall'altra parte - se altri mezzi non ci sussidiano -noi non sappiamo se e fino a che punto e in che modo questeteorie venivano messe in pratica.

Premesso ciò per formarci un'idea delle fonti da cuiattingiamo, passeremo a riassumere i dati più caratteristiciche ci son rimasti intorno alle musiche di questi popoliantichissimi, cui uniremo qualche cenno indispensabile delleloro civiltà.

Una domanda salirà spontanea sulle labbra del lettoreignaro: in qual tempo fiorirono i popoli di cui siamo perparlare? Quando finisce la preistoria e comincia la storia?A che distanza si trova da noi l'inizio di quella talpianura che noi ci accingiamo a percorrere partendodall'estremo orizzonte? Rispondo subito: Le prime notiziestoriche della civiltà egiziana e della cinese - che sono lepiù remote - risalgono a oltre 20 secoli avanti Cristo; e acirca 40 secoli dunque dai tempi nostri.

La civiltà degli EGIZIANI fu sviluppatissima, fiorentis-sima, e durò molto a lungo. Della sua grandiosità sontestimoni tuttora le colossali piramidi che servivano ditomba ai loro re, e gli obelischi che, per esempio, adornano

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le piazze di Roma (ognuno avrà osservato sopra di essi lediciture in geroglifici, cioè in una scrittura speciale ba-sata sulla raffigurazione materiale delle cose di cui siparla). Le immagini scolpite sui monumenti ci dicono che gliegiziani possedevano ogni sorta di strumenti musicali: arpe,liuti, flauti semplici e doppi, trombe3. In qualche figura-zione si vedono più sonatori raccolti insieme con unapersona che sembra marcare il tempo con le mani; dal che sipuò essere spinti a supporre che talvolta si riunivano inuna specie di orchestra.

Affine alla civiltà egiziana fu la civiltà degli ASSIRIe BABILONESI, anch'essa grandiosissima, come ci attestanotuttora le rovine di Ninive e di Babilonia. Nabucodonosor fuuno dei più grandi re di Babilonia. L'istrumento piùcaratteristico assiro è una specie di lira, o cetra, cheveniva tenuta orizzontalmente e sonata con un plettro.

Mentre tutte queste civiltà dei primi popoli storicasono spente e sepolte da secoli, la civiltà dei CINESI - equella degli Indiani - trovano ancora attualmente in quellipopoli la loro ininterrotta continuazione: i Cinesi odiernicustodiscono gelosamente molte loro tradizioni antichissime;e perciò molto più ampie e precise sono le notizie chepossiamo avere sulle vicende della loro musica, anche per itrattati antichi che ce ne sono conservati. Le scala cinese,come quella di tutti i popoli primitivi, era in origine dipochi suoni, e precisamente di 5: per averne un'idea sipensi alla nostra scala di do senza il mi e il si (cioè do-re-fa-sol-la-do). In seguito il numero dei suoni fuaumentato, introducendo in questa scala i due semitoni, eaggiungendo anche tutti i gradi cromatici. Gli strumentidegli antichi cinesi erano numerosissimi. Ricordiamonesoltanto tre dei più caratteristici, cioè: il kin, liradalle corde di acta; il kingh, strumento a percussione,formato di tanti pezzi di pietra appesi e accordati; il

3 E strumenti a percussione. Non occorre dirlo esplicitamente (tanto più che bisognerebbe ripeterlo adogni popolo) perché tutti i popoli fin dai tempi più remoti li han posseduti e in forme necessariamenteconsimili.Conviene inoltre osservare che il flauto egiziano, come il greco (aulos) e il romano (tibia), avevano, diregola, una forma diversa dal flauto attuale (traversiere). Essi cioè erano sonati orizzontalmente con unbecco simile a quello che si trova negli odierni fischietti da ragazzi e nelle canne d'organo. Si guardinoi sonatori di flauto (auleti) nel fregio che si trova nel frontespizio di questo libro che è tolto dallaricostruzione di un fregio che adornava il grandioso tempio ateniese detto Partenone; gli altri sonsonatori di cetra o lira. Talvolta si univano insieme due flauti per ottenere, passando dall'uno all'altro,una scala di suoni più numerosi e fors'anche per cambiare tonalità.Le trombe degli antichi poi differivano dalle nostre perché erano, in generale, semplicemente dirit te, esi costruivano, oltre che in metallo, in legno.

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ciengh, specie di organino portatile composto di canne dibambù infilzate infilzate su una zucca vuota nella quale sisoffiava con un corno4. Alla musica cinese - e allagiapponese che ad essa è affine - si sono ispirati molticompositori moderni, specialmente francesi, per infonderealla loro musica quel carattere di esotismo che è statonegli ultimi tempi di moda.

Anche sulla musica degli antichi INDIANI, popolo di unaciviltà e di una sapienza celebratissima, ci sono conservatidei trattati, dai quali possiamo averne notizie teorichemolto diffuse. La scala fondamentale degli Indiani - comeanche quella dei Persiani e degli Arabi - era di settegradi, simile alla nostra: gli intervalli di tale scalaerano poi suddivisi in intervalli minori, in forme chedimostrano già in quei popoli una grande squisitezza disentimento musicale. Lo strumento principale, nazionale,degli Indiani, e il più antico, era la vina specie di grossachitarra con sette corde e diciannove ponticelli disposti aguisa di tastiera; il sostegno delle corde è formato da unagrossa canna di bambù, due zucche vuote fanno da casse dirisonanza: le corde vengono strappate con una specie diplettro.

Le notizie intorno alla civiltà, e per conseguenzaanche intorno alla musica degli EBREI, ci sono tramandatequasi esclusivamente dalla Bibbia. In molti passaggi deilibri sacri si fa cenno di cose musicali. Specialmente neisalmi: “Lodate Dio al suono della tromba”, “Lodate Dio alcanto dei cori, al suono delle corde e dell'organo”, “con icembali ben risonanti”. Tutti hanno presente l'arpa diDavide, con la quale egli placava l'ira di Saulle; e lafiglia di Jefte che corre incontro al padre vittorioso “inmezzo al canto dei cori e al suono dei timpani”. Glistrumenti principali degli Ebrei erano le arpe e le trombe:caratteristici presso di loro erano certi corni di specialeuso pel culto chiamati cofar e cheren. Le musiche corali estrumentali degli Ebrei erano molto grandiose per numero diesecutori: ma della loro natura nulla sappiamo. Ci sonotuttora conservate delle melodie tradizionali ebraiche: esseci sono state tramandate nella scrittura musicale speciale

4 È naturale che i popoli primitivi (e come essi i bambini) quando costruiscono uno strumento, piuttostoche fabbricarsi appositamente i pezzi occorrenti, cerchino di approfittare degli oggetti utilizzabili cheesistono già in natura (talvolta anzi è l'oggetto stesso che suggerisce l'idea dello strumento). Così iflauti sono fatti di canna o di osso (il flauto romano si chiamava tibia appunto perché veniva costruitocon l'osso della gamba così chiamato). Per casse di risonanza o per camere d'aria si prendevano zucchevuote. L'origine della parola corno (nel senso di strumento) è ben chiara.

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di questo popolo, cioè con segni chiamati tangamin, unaspecie di neumi (per questa parola vedi più avanti).

Poiché la storia della musica di questi popoli antichisi riduce quasi tutta alla conoscenza degli strumenti, percompletare il quadro, anticipiamo qui anche ciò che siriferisce agli strumenti dei GRECI e dei ROMANI.

Gli strumenti principali dei Greci furono la cetra olira, flauto (aulos) e le trombe: i sonatori di cetra eranoda loro chiamati citaredi, e quelli di flauto auleti.

I Romani ebbero come strumenti nazionali la tibia(flauto), la fistula (che forse era uno strumento ad ancia)e le trombe (litui, tube, corni, buccine): tibicines sichiamavano, presso di loro, i sonatori di flauto,cornicines i sonatori di tromba.

Abbracciando con lo stesso sguardo gli strumenti deidiversi popoli antichi e confrontandoli fra loro, se nepossono trarre, in riguardo alla storia degli strumenti,queste considerazioni riassuntive: degli strumenti a fiato ipiù antichi (ed è naturale perché sono i più semplici) sonoil flauto e la tromba (gli strumenti ad ancia, cioè ilclarinetto, l'oboe, il fagotto, sebbene se ne trovino fin datempo antico dei precedenti popolareschi e campestri da cuiessi poi derivano, sono entrati nell'uso artistico solo intempi molto recenti, nell'Età moderna); degli strumenti acorda tre tipi se ne trovano fin dall'antichità, e cioè:l'arpa, la lira e il liuto 5,

Non ci rimane ora che da dire due parole intornoall'uso che i popoli antichissimi facevano della musica. Nonc'è neppur bisogno a questo scopo di andare a consultare leloro testimonianze che sono mirabilmente concordi; ma bastaosservare quello che accade attualmente nelle regioni i cuiabitanti, sotto questo aspetto, si son conservati tuttoranello stadio primitivo: per esempio, in Sardegna, Ladestinazione primordiale della musica è di essere associatasopratutto alla religione (alle cerimonie, alle preghiere,alle processioni), alle vicende guerresche, alle nozze, allefeste e celebrazioni di ogni specie. La musica vocale è inorigine strettamente connessa con la poesia, anzi siidentifica con essa. La danza è la forma più comune; gli

5 Le arpe antiche erano più piccole delle attuali, ma non sostanzialmente dissimili. Della lira tutticonoscono la forma poiché, per essere lo strumento nazionale dei Greci, è diventata ed è tuttora comel'emblema della musica, e la si trova spessissimo come simbolo ornamentale negli stemmi dellefilarmoniche, sulle maniche o sui baveri o sui berretti stessi delle divise e i reggimusica degli strumentivengono spesso foggiati a mo' di essa; veniva sonata con un plettro. Il liuto, altro strumento a plettro,differisce dalla cetra e dall'arpa perché ha un manico (per solito assai lungo) con una tastiera: undiscendente superstite di esso è il mandolino.

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strumenti sono usati per accompagnare le voci, e per marcaremaggiormente le movenze cadenzate dei danzatori. Anche noiuomini moderni, che viviamo in mezzo ad una civiltàraffinata in cui la musica ha raggiunto tante manifestazionipiù sottili, più ricercate, più individuali, piùartificiose; che siamo travolti ed assordati dalla vitacittadina, in cui il fragore delle macchine produttrici,delle automobili, dei velivoli e delle ferrovie cisuggerisce una musicalità nuova e diversa da quella calma ecadenzata degli antichi, ritroviamo nel fondo umano dellanostra anima e nella nostra più intima fibra questedestinazioni originarie della musica: e ci commoviamo piùintensamente e ingenuamente quando sentiamo la musicaassociarsi ad una preghiera, ad una festa, ad un ritofunebre, ad una battaglia, ad uno di quei momenti della vitafra cui e da cui essa originariamente è nata.

I GRECI

La musica dei popoli di cui abbiamo finora parlato, nontanto per la distanza di tempo che da loro ci separa quantoperché hanno con noi una parentela molto lontana. ha nellacultura del musicista moderno un valore poco più che dicuriosità. La conoscenza invece della musica e della civiltàgreca ha un'importanza educatrice e fattiva fondamentale perl'artista moderno. E ciò per una ragione molto semplice. IGreci (e i Romani) sono i veri nostri antenati: nelle nostrevene scorre lo stesso loro sangue, le nostre fibrecontinuano le loro fibre. Per ciò noi ritroviamo in loroqualcosa di noi stessi, della nostra anima: la loro arte eil loro pensiero agiscono su noi come la sorgente, lascintilla iniziale da cui l'arte nostra, il pensiero nostrohanno avuto il loro primo impulso, la loro primascaturigine. E tanto più interessante è per noi lo studiodella musica e dell'arte degli antichi greci, in quanto cheessa raggiunse - pur nei mezzi tecnici di cui allora sidisponeva - un tale grado di squisitezza e di perfezioneche forse non è stato più superato, e cui gli artisti ditutti i tempi han tenuto sempre fisso lo sguardo come a metaideale.

Fisseremo di sfuggita l'importantissimo posto che nellasfera di attività creatrice del musicista moderno, occupa lamusica greca, nei rapporti specialmente con la musicagregoriana, che, nella ininterrotta catena e nella scala

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progressiva dei fenomeni musicali umani, rappresental'anello e il grado immediatamente ulteriore. E cioccuperemo, - il che è importante, - di porre i fondamentitecnici.

Le fonti che abbiamo per lo studio della musica grecasono di tre specie. Anzitutto i trattati, molto numerosi edestesi: oltre ai cultori speciali della materie, tutti ifilosofi e matematici greci per il modo stesso con cui lamusica era considerate nell'antica Grecia, cioè come parteintegrante della cultura e dell'educazione spirituale -hanno scritto di musica: ricordiamo, tra i filosofi,Platone, Aristotele; tra i matematici Tolomeo, Pitagora; tragli scrittori di carattere più particolarmente artistico,Aristosseno. Un'altra fonte son le figurazioni deimonumenti, secondo che altrove abbiamo detto. Una terzafonte le melodie che ci rimangono incise in qualche marmonella scrittura letterale propria dei Greci: ma sonpochissime, di interpretazione incerta e di importanza quasitrascurabile.

Il tetracordo

Il sistema musicale dei Greci era basato sultetracordo. Essi cioè leggevano e consideravano la musicaprendendo per unità di misura una serie di 4 suoni: come nelMedio Evo invece la musica fu letta per esacordi (cioèprendendo a base una serie di 6 suoni) e noi modernileggiamo per ottave.

Il tetracordo diatonico era formato di due toni e unsemitono. Col cambiare della posizione del semitono siavevano così tre specie di tetracordi diatonici. Se ilsemitono stava al primo posto, il tetracordo si chiamavadorico; se al secondo frigio; se al terzo lidio.

Due tetracordi potevano essere uniti per congiunzione(sinafè) o per separazione (diazeuxis): nel primo caso lanota finale del primo diventava nota iniziale del secondo;nel secondo caso tra i due tetracordi c'era un grado didistanza.

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Unendo insieme più tetracordi ai formavano le scale esi percorreva la estensione dei suoni musicali.

Il “sistema perfetto”

Qualunque suono musicale era dai Greci riferito allacorda corrispondente della lira o cetra (I)6, che era perloro l'istrumento fondamentale, lo strumento nazionale. Essichiamavano sistema musicale perfetto (teleion) la serie dei15 suoni corrispondenti alle 15 corde di questo strumento,che era cosi accordato:

La cetra non era stata sempre di 15 corde. In originene aveva avute solo 4, cioè quelle del tetracordo che fu poichiamato delle corde medie (meson); poi divennero 7 conraggiunta del tetracordo delle corde basse (ypaton); piùtardi ancora 8 col suono aggiunto (proslambanomenos); infinel'ottava si raddoppiò) con la comparsa dei tetracordi delle

6 Tra i due strumenti sembra non fosse altra differenza che questa: che con la parola lira si indicavano glistrumenti più antichi e semplici, mentre la parola cetra indicava gli strumenti più moderni, robusti eperfezionati

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corde separate (diazeugmenon) e delle corde acute(yperboleon). Il suono corrispondente al nostro si in terzariga, chiave di violino, (non si sa bene se per mezzo diun'altra corda o abbassando di mezzo tono la corda del sibequadro) poteva essere cambiato col si bemolle: e alloraveniva a formarsi un nuovo tetracordo chiamato delle cordeunite (synemmenon) e la diazeuxis passava tra questotetracordo e quello delle corde acute.

I modi

Noi moderni percorrendo una serie di suoni diatoniciabbiamo la tendenza di cadenzare in due maniere principali(sul do e sul la, qualora si tratti dei tasti bianchi delpianoforte). La nostra teoria cioè (almeno la teoriagrossolana, poiché io, per esempio, sento e penso moltodiversamente), ammette soltanto due modi: il maggiore e ilminore. Nella teoria dei Greci invece era ammessa la cadenzasu uno qualunque dei suoni della serie diatonica; dal cherisultavano 7 modi, che erano così chiamati:

Come si vede, la scala dorica, frigia e lidia eranoformate di due tetracordi rispettivamente dorici, frigi elidi, uniti per separazione. Da queste tre scale ne derivanoaltre tre: ipodorica, ipofrigia, ipolidia, che si ottenevanodalle precedenti invertendo l'ordine dei tetracordi, chediventavano così congiunti, e aggiungendo un suono al basso.La settima scala, scala strana - si pensi che è basata sulsettime grado della nostra scala maggiore, la nostrasensibile - e sulla cui struttura e natura i teorici grecidiscutevano molto, si chiamava missolidia: l'invenzione neera attribuita alla poetessa Saffo.

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Il modo fondamentale per i Greci e il più antico, ilmodo nazionale - come abbiamo visto anche dalla accordaturadella cetra - era il dorico.

I toni

Poichè i greci costruivano cetre di diversa grandezzaonde potere accompagnare una melodia in tutte le estensionidella voce umana, questo sistema dei 7 modi (cioè ilsistema perfetto) poteva essere spostato sopra i diversigradi della scala cromatica. A queste trasposizioni i Greci,come anche noi, davano il nome di toni. Cosicché tanto laparola modo che la parola tono hanno nella musica greca unvalore perfettamente uguale al nostro.

Trasportando i 7 modi su ciascuno dei 12 suoni dellascala cromatica i Greci venivano così ad avere (tra modi etoni) 84 scale diverse: mentre le nostre scale maggiori eminori sono soltanto 24 (I)7.

I generi

Oltre al genere diatonico di cui sopra s'è fattoparola, i Greci avevano due altri generi di musica piùstrani e ricercati: il cromatico e l'enarmonico. Come accadepresso tutti i popoli, fu nel periodo di decadenza dell'artemusicale greca che tali generi acquistarono favare accanto ein contrapposto all'antico e austero genere diatonico. Essierano basati su due tetracordi speciali: il tetracordocromatico era formato di due semitoni e una terza minore(seconda aumentata); l'enarmonico di due quarti di tono8 euna terza maggiore (seconda eccedente) (i suoni estremirimanevano sempre a distanza di una nostra quarta minore).

7 Per essere esatti occorre osservare che i Greci distinguevano come due toni differenti anche dueaccordature basate sulla stessa nota ma in ottave diversa; cosicché il numero dei loro toni era anchemaggiore di 12.Ai toni i Greci davano dei nomi presi dai diversi popoli del loro paese, nomi analoghi e in parte identicia quelli dei modi: il che ha portato talvolta degli studiosi di corta veduta a confondere i toni con i modi,con quali conseguenze si può facilmente immaginare. Ad una di queste confusioni avvenuta nel MedioEvo è da attribuirsi lo strano cambiamento di valore che i nomi dei modi greci subiscono quandovengono adoperati a designare i modi gregoriani.

8 In questi quarti di tono non c'è nulla di strano; nella musica moderna (non per i teorici, ma per chi haorecchio e sensibilità) ci sono altro che quarti di tono

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Quanto finora si è detto della musica greca siriferisce a quella parte che i Greci chiamavano Armonica: mauna parte altrettanto importante dei loro studi musicali erala Ritmica: e si può immaginare di quale squisitezza essafosse, se si pensa che la musica greca era soltantomelodica, ed era tutta basata sulla finezza della melodia(nella abituale educazione del musicista moderno la Ritmicaviene completamente omessa e trascurata!).

Il ritmo della musica greca era strettamente connessocon quello della poesia. Il tempo era segnato dalla duratadelle sillabe, che potevano essere di due valori principali:la lunga e la breve. Nello studio della metrica la brevevien rappresentata con un mezzo cerchietto volto all'insù;la lunga con un trattino orizzontale. Aggruppando tra loroin vari modi sillabe di diverso valore si avevano i piedi,che corrispondevano alle nostre battute. Dall'unione di piùpiedi nasceva il verso, più versi riuniti formavano lastrofa, più strofe l'intero componimento (allo stesso modoche per noi più battute formano la frase musicale, più frasiil periodo, e dall'unione dei diversi periodi nasce ilpezzo).

PRINCIPALI RITMI (PIEDI) DEI GRECI

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La parola modulazione (metabolè) aveva per i Creci lostesso senso che le diamo noi di passaggio da una movenzaall'altra. Ma, mentre la nostra teoria (non la nostra arte,che è cosa diversa, e in cui per chi lo sente c'è tuttoquello che c'era nella musica dei Greci e anche più) nonconosce altro che la modulazione tonale, i Greci ammettevanoanche la modulazione modale, la modulazione ritmica, lamodulazione espressiva.

Nel periodo di fiore della musica greca si effettuòquella unione ideale fra poesia e musica che è inerente allanatura originaria di queste due arti. Poeta e musicistaerano riuniti nella stessa persona. È per questo che i nomidei poeti greci vanno segnati in prima linea nella storiadella musica greca. E il musicista moderno non deve ignorarei nomi di Alcea, Saffo, Anacreonte (lirici individuali); diPindaro e Bacchilide (lirici corali); e sopratutto dei tresommi tragici Eschilo, Sofocle ed Euripide, e di Aristofane,poeta comico.

Il teatro presso i Greci era considerato comeistituzione nazionale, e come fattore essenzialedell'educazione del popolo. Le tragedie greche, ispirate asoggetti nazionali e caratterizzate dalla concezioneellenica del destino (ananke) che grava inesorabile sugliuomini, appaiono anche a noi moderni opere d'arte d'umanitàsublime ed eterna.

Il teatro greco era - come si può osservare da quelliche ci son conservati – all'aperto, e di forma edisposizione alquanto diversa dai nostri. È noto che letragedie erano eseguite con musica: i cori venivano cantati:il dialogo era intonato in una specie di recitativo(melopea). Il coro aveva nella tragedia greca un ufficio nondi attore, ma quasi di spettatore: la musica del coro sidivideva in tre parti corrispondenti esattamente alladivisione della poesia: strofa, antistrofa ed epodo: leprime due parti erano cantate a risposta dalle due metà delcoro, nella terza tutto il coro si riuniva. La tragediagreca era insomma qualcosa di assai vicino al nostromelodramma: e i più grandi autori del nostre teatro musicale- gli iniziatori del melodramma moderno, per esempio, eRiccardo Wagner - han tenuto sempre fisso lo sguardo comemodello ideale al teatro greco.

Presso i Greci la musica era considerata come elementointegrante della vita e del pensiero, come fattorefondamentale dell'educazione dello spirito e dellaformazione del carattere. Nell'insegnamento ai giovani la

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musica entrava come parte essenziale. Nelle feste nazionali(olimpiche, pitiche, istmiche, nemee) i vincitori deigiuochi erano esaltati col canto di cori grandiosi (Pindaroe Bacchilide sono fra i più celebrati autori di odi perqueste circostanze) e avevano luogo importanti garemusicali.

L'eco di queste feste, in cui tutta l'anima dell'Elladevibrava all'unisono, si associa nella nostra mente con lelinee purissime delle architetture, con i morbidi contorni ele armoniose movenze delle statue in cui eran fermatiatteggiamenti di danza, con le profondità luminose delpensiero greco, con i canti or voluttuosi or epici deipoeti; e il tutto si compone in una sublime visione dibellezza dinnanzi a cui la nostra anima si esalta e siabbandona in una calma di estasi e di adorazione.

Il giovane musicista non trascuri - visitando musei emonumenti, leggendo libri - di approfondire le sueconoscenze sull'arte e il pensiero greco: ne troveràconforto per le sue lotte, e vital nutrimento perl'educazione del suo gusto e pel raggiungimento delle sueaspirazioni.

I Romani

I Romani furono per natura un popolo guerresco e rude:per molto tempo non pensarono che a conquistare il mondo e adare leggi ai popoli conquistati; le leggi romane rimangonocome monumento imperituro di sapienza politica.

In queste condizioni e prima che vi giungesseroinfluenze straniere, era impossibile che si sviluppasse inRoma un'arte e una letteratura, se si tolgono quelle ruvidemanifestazioni popolaresche il cui studio sarebbe in ognimodo interessante se non uscisse dai limiti di questa velocerievocazione.

Le arti e le lettere cominciarono a fiorire in Roma colgiungervi dell'influenza greca, influenza che divenneinvadente e decisiva con la conquista della Grecia da partedi Roma avvenuta nel 146 a.C. Da quel momento i rapporti frai due paesi diventarono strettissimi: e turbe di Grecitrasmigrarono a Roma, dove, se insegnarono le lettere e learti, importarono anche tutte le raffinatezze della lorociviltà e inocularono il lusso, la mollezza, il vizio, lacorruzione.

L'azione della civiltà greca su Roma non potrebbe

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essere scolpita meglio che con due famosi versi di Orazio,di cui questo è il senso: La Grecia vinta soggiogò il fierovincitore con il fascino delle arti. Roma aveva annientata esottomessa la Grecia con la forza delle armi: la Grecia asua volta si vendicò iniettando nelle vene della sua rivaleil dolce veleno della sua civiltà, che distrusse nei Romanile prische maschie virtù, li infiacchì e rammollì, e liportò a rovina.

Verrebbe in mente di paragonare ciò che la Grecia eraper Roma a quello che per noi è Parigi. Tutte leraffinatezze e le eleganze venivano di là: la moda venivadalla Grecia, venivano dalla Grecia i profumi, i gioielli, ininnoli. Come scendono a noi da Parigi le chanteuses, cosìai Romani giungevano dalla Grecia gli auleti e i citaredi, imimi, le etere, i cantori, le danzatrici. Per fermarci a unparticolare, lo stesso uso di radersi venne ai Romani dallaGrecia. Per dire “un uomo tagliato all'antica”, “un romanodei bei tempi”, si diceva in Roma “l'intonso Catone”, cioèCatone coi capelli e la barba non tocchi dalle forbici, chèquesto era l'uso dei Romani antichi. I Romani guardarono daprincipio i Greci, vani, leggeri, ciarlieri, carichi diprofumi e di unguenti, con occhio di scherzo: per prenderliin giro, li chiamavano graeculi (grecarelli). Chi avrebbeimmaginato che dovevano essere questi grecarelli, senzaspargere una goccia di sangue, a menare un colpo mortalealla grandezza di Roma!

In base a tutto questo si comprende bene come la musica(e così tutta l'arte) dei Romani nel secolo aureo si svolsesul modello della greca. Tutti i musicisti e gli addettialla musica venivano dalla Grecia. I poeti latini foggiaronola loro metrica sugli schemi dei poeti greci. Il teatrolatino risentì strettamente la influenza del greco.

Una nota locale - vestigio di tempi gloriosi - vieneportata dagli strumenti guerreschi che han qui più rilievoche non in Grecia. I Romani avevano ogni sorta di trombe peruso militare, che eran diversamente chiamate a seconda dellagrossezza e della forma: lituo, tuba, corno, buccina.

Debbon passare circa mille anni di raccoglimento e disilenzio, si deve giungere al Rinascimento, prima che gliItaliani, diretti discendenti dei Romani, meraviglino ilmondo con un'arte propria; e quale arte, che può davverorivaleggiare con la greca!

La musica dei Cristiani

Una religione di carattere così ideale e di fede così

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profonda come il Cristianesimo non poteva non unire alle suepreghiere e al suo culto la musica, che delle aspirazionispirituali dell'uomo è uno dei linguaggi più istintivi e piùfervidi.

Come ognuno sa, i cristiani nei primi secoli subironodelle feroci e continue persecuzioni, in modo che erancostretti a compiere le loro riunioni e i loro riti di nottee in luoghi sotterranei, chiamati catacombe. Cosicchè i lorogruppi, da città a città e da luogo a luogo, fiorirono daprincipio quasi isolati, e stretti soltanto idealmente dallaardente fede comune: e ciascun gruppo avrà associato allesue preghiere quei canti che erano in uso nel proprio paeseo che erano più noti alle persone che vi partecipavano. Cosìcon molta probabilità i canti dei primi cristiani derivaronodai canti greci, romani ed ebraici, volgendo specialmente lascelta sui canti più semplici ed austeri, e quindi sulgenere diatonico.

Col rapido diffondersi della fede, col progressivoorganizzarsi del Cristianesimo, e soprattutto dopo chel'imperatore Costantino nell'anno 313 concesse la libertà diculto ai cristiani, i papi e i vescovi e gli altripersonaggi della Chiesa si presero cura di ordinare, diunificare tutto ciò che si riferiva al rito, e quindi ancheil canto liturgico. Fra coloro che primi si occuparono diquesto canto si ricordano San Clemente, San Basilio,Sant'Ilario, e San Silvestro papa. Ma la tradizione ci hafatto pervenire famosi soprattutto i nomi di Sant'Ambrogioe di San Gregorio.

SANT'AMBROGIO, vescovo di Milano dal 374 al 397, istituìnella sua diocesi la forma di rito (e di canto) che porta ilsuo nome, e che tuttora è in uso nella diocesi stessa,distinguendola sotto questo aspetto da tutte le altre dellacattolicità. La tradizione attribuisce a lui di averechiaramente determinato i quattro modi autentici. Fra icanti ambrosiani è particolarmente famoso - perché passatoin uso per tutta la Chiesa cattolica quale inno diringraziamento - il Te Deum.

SAN GREGORIO detto MAGNO, che fu papa due secoli dopo,dal 590 al 604, compì per l'intera Chiesa ciò cheSant'Ambrogio aveva effettuato soltanto per la diocesi diMilano. Egli diede un ordinamento definitivo al rito, e conesso al canto liturgico. Scelse, raccolse e ordinò, aseconda delle feste e delle cerimonie, i canti in un librochiamato Antifonario (che si dice facesse attaccare con unacatena all'altare di San Pietro) perché servisse di norma a

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tutto il mondo cattolico. Fondò una scuola di canto (ScholaCantorum) che egli stesso diresse. Compose melodie. Avrebbechiaramente distinto, secondo la tradizione, dai quattromodi autentici di Sant'Ambrogio i relativi plagali.

Il canto liturgico della Chiesa cattolica ha preso dalui il nome di canto gregoriano.

Sono stretti i rapporti che legano la musica gregorianaalla musica diatonica greca. I modi gregoriani, attraversolunghe vicende che hanno apportato curiose modificazioni,derivano dai modi greci: ma le modificazioni sono piuttostoesteriori, e non tali da distruggere la sostanzialeaffinità.

La tonalità gregoriana è essenzialmente diatonica, e inessa si distinguono 8 modi, quali son raccolti nel quadroche segue. Quattro son chiamati autentici e quattro plagali.

La nota segnata in nero è la finale, o tonica, diciascun modo: la noia segnata con un asterisco la dominante.Come si vede, il modo autentico e il rispettivo plagalehanno la finale comune; cosicché son legati da unastrettissima affinità. Ciò che fa distinguere se una melodiaappartiene all'uno o all'altro è l'estensione della melodiastessa: se essa si svolge tutta al disopra della finalesorpassando il quinto grado, allora è nel modo autentico: seinvece scende al di sotto della finale, allora è nel modoplagale: quando la melodia rimane nell'estensione comune aidue modi, allora si guarda la dominante per decidere9.

9 Si osserverà che la dominate corrisponde di regola al quinto grado sopra la finale nei modi autentici eal terzo grado sopra la finale nei modi plagali. Ci sono delle eccezioni dovute all'orrore che gli antichiavevano per la successione melodica del tritono (fa-si). I teorici sostenevano doversi tanto fuggire talesuccessione, che la chiamavano diavolo in musica. Tornando all'argomento di cui stiamo trattando, ladominante, quando avrebbe dovuto cadere sul si, suono estremo del tritono, si spostava: lo spostamentonell'autentico portava di riflesso lo spostamento nel plagale; non viceversa.Si noti inoltre, quanto alla estensione delle melodie rispetto ai modi, che essa può sorpassare di ungrado verso il grave o verso l'alto i limiti sopra indicati.

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La ritmica gregoriana è libera, ed astrae dal rigoredella misura: esso si atteggia molto sul ritmo della parola,ed ha molta affinità col ritmo oratorio.

Le melodie gregoriane sono di molte specie diverse, siaper la varia natura dei testi sacri che son destinate arivestire, alcuni in versi, altri in prosa (salmi, antifone,inni, sequenze), sia per il loro grado molto diverso diantichità e per la diversa provenienza: e si ha tutta unaserie, dalle melodie sillabiche dei primi secoli fino allemelodie più recenti cariche di fioriture e di melismi. Ma,pure in questa varietà, esse conservavano una mirabile unitàdi sentimento, di colorito e di carattere.

Il canto gregoriano per il primo millennio circa dellastoria della Chiesa ebbe un periodo di purezza e di fiore.Poi, col diffondersi della musica polifonica vocale, che,nei legami di misura che le sono imposti, è quanto di piùdiscordante dalla libertà e mobilità melodica gregoriana, etanto più di fronte alla musica teatraleggiante dei secolipiù vicini a noi, il canto gregoriano è passato perfortunose vicende. Ma è rimasto sempre al suo posto di cantoliturgico ufficiale della Chiesa; finchè una recente felicerestaurazione promossa da Papa Pio X e realizzataprincipalmente dai Benedettini di Solesmes (Francia), non hacercato di ricondurlo alle sue pure fonti e al suo primitivosplendore.

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Origini del contrappunto

Per tutta l'antichità la musica si mantenne monodica(monomelodica); cosicchè, quando i Greci cantavano in più,persone o si accompagnavano con strumenti, ciò avvenivaall'unisono o in ottava. La Polifonia certamente nonmancava, ma non ebbe seguito.

I primi tentativi di musica a più voci, cioè a diversisuoni simultanei, appaiono nel Medio Evo, e risalgonoall'accompagnamento dell'organo (I)10. Da principio anchequesto accompagnamento sarà avvenuto all'unisono o perottave. Poi a poco a poco cominciarono ad usarsi altriintervalli: e i primi ad apparire furono la quinta e laquarta.

UBALDO MONACO (secolo IX) ci ha lasciato un trattato incui dà regole per un accompagnamento da lui chiamatoDiafonia od Organo. Questo accompagnamento è appunto perottave, quinte e quarte consecutive.

Il falso bordone, forma di accompagnamento a tre vociper terze e seste, apparso assai più tardi, può essereconsiderato come un perfezionamento della diafonia.

Queste sono piuttosto forme di accompagnamento che dicontrappunto: poiché il contrappunto non è dato dall'unionedi più voci che cantano la stessa melodia sia pure adintervalli diversi, ma dalla simultaneità di diverse melodiee di diversi movimenti.

I primi saggi di vero contrappunto risalgono al

10 Cogliamo l'occasione per dire che questo strumento è uno dei più antichi: risale – s'intende nella formaprimitiva – ai Greci e agli Ebrei.

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discanto11: nel quale, se anche le voci si movevano notacontro nota, procedevano però per moto contrario in modo checiascuna eseguiva una melodia propria.

Anche il discanto in origine non ammise che intervallidi ottava e quinta12.

Partendo da questi inizi, il contrappunto, per opera dicompositori e di teorici - fra i quali ultimi son daricordarsi: Francone da Colonia, Gerolamo da Moravia,Filippo da Vitry, Giovanni de Muris, Marchetto da Padova -ebbe rapido sviluppo e generale diffusione fino a diventarela forma di musica dotta, caratteristica del Medio Evo.

I teorici medioevali considerarono il contrappunto comeun semplice giuoco di proporzioni numeriche. La nuova musicafu chiamata musica mensuralis (misurata) in confronto delcanto gregoriano che era chiamato musica plana, cioèscorrente senza rigor di misura. I teorici si occupavano congran pedanteria naturalmente anche della nuova scrittura chedalla nuova musica - come vedremo più avanti - era resanecessaria.

E così a poco a poco il discanto primitivo - che erauna manifestazione di tutt'altra indole, poichè in origineveniva improvvisato dagli stessi cantori popolari - sitrasformò nei contrappunti più complicati. Si accrebbe ilnumero delle voci, alle ottave quinte e quarte si aggiunserole terze e le seste, tutti gli artifizi possibili furonoscoperti e applicati; e così si arrivò al periodo di massimaintensità e di esagerazione, rappresentato dai Fiamminghi(secolo XV).

La scrittura musicale nel Medio Evo

Origine della scrittura moderna

Nel più antico Medio Evo erano in uso due forme discrittura musicale: la letterale e la neumatica.

La scrittura letterale è la più antica: essa era giàadoperata dai Greci e da altri popoli dell'antichità. NelMedio Evo se ne continuò l'uso, sostituendosi alle letteregreche le lettere latine.

Ma ben presto venne sopraffatta dalla scrittura

11 La parola discanto non vuol dire due canti, come viene affermato a sproposito da qualcuno; ma dis èparticella negativa, la stessa che si trova in disaccordo, disarmonia, ecc.

12 Si noti che gli esempi che seguono sono nel Primo modo gregoriano (frigio dei Greci). Il canto dato èalla voce più bassa. Si osservi come anche nel falso bordone le voci cominciano e finiscono escludendola terza: sintomo questo il cui interesse non può sfuggire a chi sa penetrare nell'anima e nei segretidell'arte.

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neumatica, che risultò più adatta e più comoda. Con tutto ciò dei nomi e dei segni letterali delle note

rimane ancora oggi traccia. Ognuno sa che nei paesi germanici vige tuttora la

nomenclatura letterale delle note13:

la si do re mi fa sol A B C D E F G

Ma tracce di segni letterali rimangono anche nellaodierna scrittura.

I segni delle nostre chiavi non sono che lettere. Eccoun saggio delle diverse forme che queste lettere hannoassunto attraverso i secoli:

Altri resti della scrittura letterale sono i nostrisegni di bemolle e di bequadro.

La scrittura neumatica è basata su un principio affattodiverso: di indicare cioè all'occhio con dei segni, ilmovimento ascendente o discendente della voce. Questi segnierano delle piccole linee volte all'insù o all'ingiù, unaspecie di apici o di accenti14, che si collocavano sopra lesillabe delle parole da cantarsi.

Si comprende subito che tale scrittura era tutt'altro

13 Per indicare le note munite di diesis o di bemolle, i tedeschi aggiungono al nome letterale della nota lasillaba is quando si tratta di diesis e es quando si tratta di bemolle. Es.: CIS do diesis, DES re bemolle,DUR in tedesco vuol dire maggiore, MOLL minore.Più tardi, per una ragione semplice ma che sarebbe qui lungo e pedantesco spiegare, alle sette letteresopra indicate si aggiunse la lettera H, a designare il si bequadro, mentre il B rimase pel si bemolle.Il musicista faccia attenzione a queste cose che sono inezie, ma che gli son utili all'atto pratico quandogli accada di trovarsi innanzi a partiture o parti d'orchestra stampate in Germania.La ragione per cui con la lettera A viene indicato il la e non il do, va ricercata nientemeno che al tempodei Greci: il la, come vedemmo, era pei Greci il suono più basso del “sistema perfetto”!

14 Gli accenti della scrittura comune hanno una effettiva comunanza di origine e di natura con i neumimusicali.

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che precisa e completa, poichè indicava, è vero, il salire eil discendere della voce, ma non il salto preciso. Essa erapiuttosto un mezzo mnemonico per richiamare alla mente dellemelodie che correvano per l'orecchio di tutti, e che eranonote per tradizione15.

Perciò è naturale che si sentì il bisogno diperfezionarla. E chi segnò un progresso decisivo inproposito fu GUIDO D'AREZZO (secolo XI). Egli collocò i neumisopra un fascio di 4 righe, dando valore, per indicare igradi della scala, tanto alle righe come agli spazi16. Intal modo i neumi passarono ad indicare, oltre al sensosecondo cui doveva muoversi la voce, l'ampiezza precisadell'intervallo. Guido d'Arezzo introdusse anche, inconseguenza, per segnare il punto di partenza nella letturadelle note, l'uso delle chiavi (le più antiche son quelle difa e di do). Collocati i neumi sopra le righe, essi andaronoa poco a poco cambiando di forma, in quanto che si sentì ilbisogno di ingrossarne l'estremità per indicare con maggiorechiarezza il punto d'arrivo della voce. Così essi andarono apoco a poco trasformandosi nelle nostre note.

Tale fu l'origine della nostra notazione, che non è senon una continuazione e un perfezionamento di quellaneumatica; ne differisce soltanto in questo che, mentre gliantichi per indicare il movimento della voce usavano unalinea continua, noi usiamo una linea spezzata in tantipuntini (note) quanti sono i punti intermedi per cui passala voce nel suo cammino17.

La figurazione nacque più tardi. Finché la musica si mantenne monodica non si sentì il

bisogno di stabilire con esattezza il valore dei suoni e dicostringere il ritmo in una quadratura convenzionale: ed erabastante segnare dei suoni soltanto l'altezza.

Fu soltanto quando si cominciò a cantare a più voci(cioè con gli inizi del contrappunto) che si sentì la

15 Perciò la scrittura neumatica più antica è per noi di difficilissima decifrazione. Qualche codicemedioevale fortunatamente ci è pervenuto con le due scritture, letterale e neumatica, riunite insieme(codice bilingue): il che è di prezioso vantaggio per coloro che si occupano di simili studi.

16 Le righe erano state usate già due secoli prima da Ubaldo Monaco, ma in un'altra maniera: scrivendovisopra, disposte secondo la intonazione, le sillabe da cantare.Credo di fare offesa al musicista, se dico che il numero delle righe nella scrittura della musica èindifferente: se oggi se ne usano cinque è perché tal numero è stato sperimentato il più comodo e il piùchiaro. I libri di canto gregoriano conservano tuttora la scrittura su 4 righe, come ai tempi di Guidod'Arezzo.

17 Non dirò al musicista perché il principio su cui si basa la nostra scrittura è indovinatissimo come loprova la grande fortuna incontrata dalla scrittura stessa e l'insuccesso completo cui sono e sarannocondannati tutti i tentativi di introdurre scritture di altro genere.

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necessità, per rendere possibile alle diverse voci dimarciare assieme, di fissare la durata esatta di ciascunsuono.

Per distinguere i suoni di valore differente,s'introdusse l'uso di note di forma diversa (figure).

Le più antiche delle figure sono le seguenti18:

Ciascuna di queste figure - cui corrispondevanaturalmente un segno di pausa - ne valeva due o tre divalore immediatamente più piccolo, a seconda che il tempo ola prolazione era binaria o ternaria (vedi più avanti).

In seguito si aggiunsero le figure di minor valore,cioè la minima, semiminima, ecc.: quelle che segnano unasuddivisione ancor più minuta sono apparse diversi secolipiù tardi, con il nascere e lo svilupparsi della musicastrumentale.

Il tempo nel Medio Evo si distingueva in perfetto eimperfetto. Il tempo perfetto corrispondeva al nostroternario19; il tempo imperfetto al binario.

Oltre che della divisione principale della battuta siteneva conto anche della suddivisione, che chiamavanoprolazione. Anche la prolazione poteva essere a sua voltaperfetta o imperfetta.

Il tempo perfetto veniva segnato con un cerchio, iltempo imperfetto con un mezzo cerchio. Un punto collocatonel mezzo del cerchio o del semicerchio indicava che laprolazione era perfetta.

18 In origine queste figure erano segnate nella stessa forma, ma nere. Solo verso il principio del secoloXV invalse l'uso di segnarle vuote, cioè bianche.

19 È noto che nel Medio Evo il numero 3 era considerato come il numero perfetto, il simbolo dellaperfezione, perché – ciò si aggiunga a sintomo per giudicare il carattere di quel periodo storico – tresono, nel dogma cattolico, le persone della Trinità.

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Per indicare il cambiamento di velocità nel tempo, nonc'era altro nel Medio Evo - i nostri segni Allegro,Andante, ecc. sono di origine recente, e risalgono ai secoliXVII, XVIII - che la cosiddetta aumentazione o diminuzione.La diminuzione si indicava con una linea verticale postaattraverso il segno del tempo.

Il nostro segno del tempo ordinario non è altro che ilsegno medioevale del tempo imperfetto che ci è rimasto,mentre gli altri segni sono stati sostituiti dalle frazioni;altro superstite dei segni antichi è il segno del tempotagliato (a cappella) che non è altro che l'antico segno deltempo imperfetto con la diminuzione.

Guido d'Arezzo

e il sistema musicale medioevale

Guido, monaco d'Arezzo (sec. XI), fu considerato perlungo tempo come una specie di taumaturgo musicale. Tutta lasapienza musicale medioevale era immedesimata in lui:qualche libro giunse perfino ad attribuirgli l'invenzionedella musica.

Specialmente nei tempi di scarsa cultura è naturalequesta tendenza del popolo di riferire ad una sola persona,alla persona più in vista, tutto il sapere e tutte lescoperte di un dato periodo riguardo ad una certadisciplina: così è accaduto anche per San Gregorio rispettoal canto gregoriano.

Gli storici hanno poi accertato quanto di ciò che èstato attribuito a questi personaggi spetta a loro, e quantoinvece è stato opera di altre persone. Ma pure riducendo lafigura di Guido d'Arezzo al suo vero posto, egli rimanesempre uno dei più cospicui, anzi il più cospicuo teoricomusicale del medioevo e l'uomo rappresentativo dellasapienza musicale medioevale.

I meriti di Guido d'Arezzo ai possono riassumere inquesti termini: il sistema dell'esacordo, la solmisazione, iprogressi della scrittura musicale (di cui già abbiamoparlato) e la mano guidoniana. S'intende che non tuttequeste cose furono inventate da lui: egli non ha fatto chefissarle, dare ad esse valore pratico, e perfezionarle.

Nel Medio Evo la musica era considerata e letta peresacordi: cioè riportando più su e più giù lungo laestensione dei suoni musicali una serie fondamentale (unità

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di misura) di sei suoni, come gli antichi Greci leggevanoinvece di quattro in quattro suoni e noi leggiamo perottave.

L'esacordo era formato di due toni, un semitono e duetoni. Lungo la successione dei suoni musicali medioevali cheera essenzialmente diatonica (la sola nota che noi chiamiamosi poteva essere abbassata di mezzo tono, come presso iGreci) l'esacordo poteva essere riportato in tre maniere:cominciando dal nostro do o dal nostro sol o dal nostro fa.Nella prima posizione si chiamava esacordo naturale, nellaseconda esacordo duro, nella terza esacordo molle.

Quando la melodia cadeva entro l'estensione di un soloesacordo era facilissima la lettura; quando invece lamelodia aveva una estensione maggiore, allora bisognavapassare da un esacordo all'altro, cambiando il nome dellenote (mutazioni).

Qui si presenterà spontanea la domanda: donde son natii nuovi nomi delle note - che sono i nomi nostri attuali20 -che noi abbiamo segnato sotto ogni grado dell'esacordo?

Nell'aver introdotto in uso questi nomi consisteappunto la solmisazione di Guido d'Arezzo. Per fare rimanereimpressa nella mente dei ragazzi la intonazionedell'esacordo - cui soprattutto allora si riduceval'insegnamento musicale: e si pensi che non c'erano comeoggi strumenti adatti all'uopo - Guido monaco facevaimparare a memoria la prima strofa dell'inno a San Giovanni,la cui melodia gregoriana era per combinazione di talstruttura che i suoni con cui veniva intonata la primasillaba di ciascun versetto corrispondevano esattamente inordine ai sei toni dell'esacordo.

Le parole dell'inno di San Giovanni eran queste:

UT queant laxis REsonare fibrisMIra gestorum FAmuli tuorum,

20 Tranne l'ut che fu poi in Italia cambiato in do, essendo l'u vocale poco adatta al canto. Il settimo nomedelle note, il si, appare assai più tardi, quando si passò dal sistema dell'esacordo a quello dell'ottava.Fra i molti nomi che si proposero, questo riuscì a prevalere e a fissarsi; il che accadde nel secolo XVII.

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SOLve polluti LAbii reatum.Sancte Joannes.

Si comprende facilmente come con l'andar del tempo leprime sillabe di ciascun versetto divennero i nomi dellenote.

Nel Medio Evo per designare ciascuna nota musicale, sisoleva unire insieme il suo nome letterale con tutti ipossibili nomi che la nota poteva assumere passando da unesacordo all'altro; cioè:

do: CESOLFAUT sol: CESOLREUTre: DILASOLRE la: ALAMIREmi: ELAMI si bequadro: BEMIfa: FEFAUT si bemolle: BEFA

Come presso gli antichi Greci, nel Medio Evo non siconcepivano altri suoni dell'estensione musicale all'infuoridi quelli dell'istrumento fondamentale allora in uso: equesto strumento - come per i Greci la cetra - era la voceumana nel coro. Ciò si comprende se si pensa che nel MedioEvo non era ammessa altra musica artistica che quella dichiesa.

In base a ciò il sistema dei suoni musicali medioevalisi faceva decorrere dal sol in prima riga in chiave di bassofino al mi in quarto spazio in chiave di violino, che venivaconsiderato come il suono più acuto del soprano fanciullo:esso abbracciava dunque una serie di 20 suoni.

Per fissare bene nella mente dei ragazzi questi suoni eper rendere loro più facili le mutazioni – che costituivanolo scoglio peggiore dell'insegnamento d'allora, tant'è veroche uno scrittore del tempo le chiama “croce e tormento deiragazzi" - Guido d'Arezzo faceva disporre tali 20 suoni inun certo modo sulle giunture e sulle punte delle dita: inciò consisteva la mano guidoniana.

Sviluppo del contrappunto

I Fiamminghi

Come già osservammo, il contrappunto, partendo dai suoiumili inizi, trovò nella mentalità del Medio Evo un terrenocosì ad alto che vi allignò e vi si propagò con rapidità e

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forza infiltrativa grandissima, e divenne ben prestol'espressione caratteristica dell'arte musicale di que'tempi.

Il culmine, il non plus ultra dello sviluppo delcontrappunto vocale fu raggiunto nel secolo XV da una scuoladi musicisti che irradiandosi dalla Fiandra (regionecorrispondente ai Paesi Bassi odierni) si diffuse per tuttoil mondo musicale di allora, ed anche in Italia e a Roma.

I Fiamminghi portarono all'inverosimile il numero dellevoci, inventarono e usarono a sazietà ogni sorta diartifici, di canoni, di contrappunti ad ogni intervallo, diaumentazioni, di diminuzioni, di proporzioni. Potevaaccadere a loro di comporre un pezzo che fosse eseguibileugualmente dalla prima nota all'ultima e dall'ultima alleprima. Una loro specialità erano i canoni enigmatici; neiquali cioè i punti in cui le altre voci dovevano attaccare eil modo con cui dovevano riprodurre il tema erano lasciatiindovinare alla fantasia e alla pazienza del lettore.

Il processo di composizione polifonica in uso nel MedioEvo, e che trovò poi la sua più larga applicazione coiFiamminghi, era questo: si prendeva un canto dato, cheveniva tolto il più delle volte da una melodia gregoriana opopolare, e lo si affidava a note lunghe ad una voce, cheper solito era il tenore21: sopra questa voce si costruivanopazientemente per le altre voci ogni sorta di ghirigori, digiocherelli, di artifizi.

Poteva perfino accadere, anche nelle composizioni dichiesa, che il tenore seguitasse a intonare le paroletalvolta volgari della canzone da cui il tema era preso,nonostante che questo avesse cambiato affatto destinazione.

Fra i compositori fiamminghi i più celebrati furono:Guglielmo Dufay, Giovanni Okeghem, Giacomo Obrecht; ma ilpila grande di tutti fu Josquin des Prés (Gioaquino delPrato), che visse anche molto in Italia dove fu, tral'altro, primo cantore della cappella pontificia. Per avereun'idea del tempo in cui fiorirono questi compositori, sipensi che Josquin morì nel 1521, cioè a pochi anni didistanza dalla nascita di Palestrina.

La scuola fiamminga ebbe dei grandi meriti e dei gravidemeriti. Il merito fu di aver essa trovato e sviluppatotutti i mezzi tecnici e gli artifici del contrappunto, che

21 Da ciò apparisce chiara l'origine di questa parola; e l'origine anche della parola canto fermo, con cui sisente spesso chiamare il canto gregoriano. L'artista la eviterà quando avrà conosciuto che essa èreliquia vivente della più orrenda deformazione e offesa estetica che il canto gregoriano ha subìtodurante la sua storia.

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rimasero acquisiti all'arte, e di cui più tardi poteronoefficacemente valersi i nuovi compositori per i loro finiartistici. La fuga - questa forma di composizione che èstata considerata in ogni tempo la migliore ginnastica perirrobustire tecnicamente il musicista - risale aiFiamminghi: in origine essi non davano a questa parola lostesso senso che le diamo noi: ma vi indicavano solamentel'imitazione e il canone.

Il demerito consistette in questo: che i Fiamminghi -non per colpa individuale, ma per colpa dei tempi -seguirono un indirizzo artistico falso. Essi cioè ingenerale considerarono il contrappunto non come mezzo peraddivenire alla creazione dell'opera d'arte, ma come fine asé medesimo. Coltivarono il contrappunto per ilcontrappunto: e vinceva la palma chi sapeva mettere infascio più, voci, chi sapeva intrecciarle fra loro con ibisticci e gli arzigogoli più strani e più complicati. Perquesto i Fiamminghi son diventati simbolo per eccellenzadella aridità e astrusità contrappuntistica medioevale.

Ma bisogna subito osservare che non mancò fra loro, frai più grandi, qualcuno, come, per esempio, Josquin des Prés,che, pur avendo pagato il più largo tributo alla moda, siricordò talvolta di aver il sangue nelle vene e si abbandonòalla natura artistica del suo temperamento, scrivendo cosebelle e ispirate. Ciò che noi abbiamo detto si riferisce nonai casi singoli, ma alla tendenza generale,

Poesia, Musica popolare e Teatro nel Medioevo

Accanto all'arte dotta, specialmente negli ultimisecoli del Medio Evo, fiorì largamente e vivacemente lamusica e la poesia popolare: ruscello di acqua fresca esorgiva che scorre in mezzo ai fiori e alla verzura tra gliincanti della primavera, dinanzi alle celle senz'aria esenza luce dei cultori del contrappunto.

Il quale in verità, almeno nelle forme in cui venivaconcepito nel Medio Evo, non è stato mai noto al popolo. Ilpopolo cantava allora, come sempre, ad una voce, o magari indiscanto, ma senza calcoli, senza cabale: le sue melodieerano spontanee, semplici ed espressive.

Fra i cultori di quest'arte popolare nel Medio Evo, sonda ricordarsi i trovatori e i menestrelli.

I trovatori erano cultori appassionati di poesia o dimusica, a traverso le quali esprimevano i loro gentili

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sentimenti, ispirati soprattutto al culto per la donna. Si chiamavano menestrelli, o giullari, i cantastorie o

buffoni che esercitavano la loro professione per guadagno,in mezzo alle vie e per le corti.

I trovatori fiorirono dapprima - specialmente tra isecoli XII e XIII - in Francia e in Provenza; poi apparveroanche in Italia. Essi cantavano accompagnandosi con unostrumento: fra molti che ne avevano, il preferito era illiuto22.

Fu per opera di questi poeti e cantori popolari che,nell'ultimo periodo del Medio Evo e agli albori delRinascimento, ebbe origine tutta la nostra poesia moderna.Le diverse forme poetiche (canzoni, ballate, sonetti,lamenti, ecc.), nacquero tutte dalla musica, in quanto chevenivano cantate sopra delle melodie che comportavano queldato numero di sillabe, quei dati accenti, quella dataqualità e quel dato numero di versi.

Il teatro nel Medio Evo - conforme all'indole del tempo- ebbe un carattere soprattutto sacro; e gli spettacoli piùin voga furono le Sacre Rappresentazioni o Misteri, di cui isoggetti eran presi per solito dalla Bibbia o dalle vite deisanti: per esempio Il Figliol prodigo, La Passione diCristo, La Storia di Santa Uliva, e simili.

Queste rappresentazioni si eseguivano presse le chiese,e in esse aveva parte la musica: ciò che dimostra che anchenel Medio Evo come presso gli antichi Greci già esisteva unmelodramma. Sebbene di questa musica nessuna traccia ci siarimasta, si può supporre che consistesse in motivi popolari,che eran ripresi strofa per strofa della poesia.

Le Sacre Rappresentazioni - come le laudi dal cuisviluppo esse derivarono - erano cantate specialmente dalleconfraternite, fra le quali furon celebri quelle deiDisciplinati o Battuti perché la pratica di penitenza daloro preferita era quella di flagellarsi a sangue (ricordociò per dare al giovane un'altra nota a traverso cuiformarsi un'idea del Medio Evo).

Se questi spettacoli sacri furono nel Medio Evo i piùdiffusi, non mancavano però anche spettacoli profani. Unesempio tipico è il Giuoco di Robin e Marion di Adamo de laHalle, celebre menestrello soprannominato il Gobbo di Arras.

22 Anche in altri paesi si nota in questo momento un risveglio musicale e poetico nel popolo. IMinnesänger di Germania (cantori della donna) hanno molta affinità coi trovatori. Essi dopo unperiodo di fiore e di schietta ispirazione decaddero fino a trasformarsi nei Meistersänger, corporazionidi cantori che divennero depositarie delle più viete pedanterie musicali. Wagner ha introdotto il piùillustre dei maestri cantori, Hans Sachs, nell'opera omonima: come dianzi un'altra opera gli avevaispirato uno del Minnesänger, Tannhauser.

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Questo lavoro, che fu eseguito a Napoli alla fine del secoloXIII, e che ci è interamente conservato (poesia e musica),sia a dimostrare la freschezza e la schiettezza di quest'arte popolare in confronto della aridità e pesantezza deidotti contrappunti.

IL RINASCIMENTO MUSICALE

Il Rinascimento musicale - di cui già abbiamo altroveriassunto la natura - si manifestò in due momenti, e cioè:un moto di reazione di carattere religioso agli eccessisensuali e licenziosi del Rinascimento nei suoi effettisulla vita e sul costume; e poi il Rinascimento musicalevero e proprio che si svolse gradatamente e armonicamentedalle prime radici, che van ricercate nel Medio Evo sinverso il mille, alla pienezza della sua fioritura raggiuntatra il finire del XVI e il cominciare del XVII secolo.

L'irrompere del Rinascimento - che, come dicemmo, fu unviolento svincolarsi dell'uomo dai legami di cui nel MedioEvo era stato prigioniero - portò naturalmente a deglieccessi: il godimento della vita divenne sregolatezza, lalibertà licenza.

Il detto Semel in anno licet insonire (una volta l'annoè lecito perder la testa) è vero anche per l'umanità e per iperiodi storici.

Questo turbamento si fece sentire soprattutto nellavita che per sua natura dovrebbe essere la più regolata emorigerata: la vita religiosa. E in seno alla Chiesa tuttocadde in disordine: il costume dei sacerdoti, il rettoadempimento dei riti, delle cerimonie, dei doveri cristiani.Al Vaticano stesso, in presenza di Papa Leone X, furappresentata la Mandragola di Machiavelli, una commedia cheoggi non solo sarebbe giudicata eccessivamente ardita perprelati, ma anche per il pubblico consueto. Delle vociautorevoli cominciarono a levarsi qua e là pel mondocattolico a gridare allo scandalo.

E cominciarono i rimedi. Al di là delle Alpi – e in ciòsi risolse un inconciliabile dissidio tra le genti latine ele germaniche in fatto di religione: le prime amanti deglisfarzi, delle pompe, delle figurazioni plastiche, delledimostrazioni sfolgoranti e chiassose; le seconde portateinvece al raccoglimento, alla meditazione, al cultointeriore presero un rimedio molto netto: si separaronoaddirittura dalla Chiesa cattolica. Il principale promotore

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di questo movimento di separazione fu Lutero (1463- 1546).Nacque così la religione protestante.

Lutero, che era anche musicista. Si occupò tra le altreriforme anche della musica: la fece finita con i garbugliirriverenti dei Fiamminghi, in mezzo ai quali le parolesacre eran peggio che distrutte; e, dopo aver sostituito iltedesco al latino nelle preghiere perché queste fosserocomprensibili a tutti, adottò una forma di canto semplice,piana, che lasciasse intendere con chiarezza le parole: ilcorale23.

In Italia, il Papato, visto che i popoli sidistaccavano dal cattolicismo, e spinto dalle incitazionisempre crescenti della parte migliore dei fedeli, compresefinalmente la necessità di stringere i freni e di riordinaredal fondo le cose della Chiesa: nel 1545 fu adunato ilcelebre Concilio di Trento, che - con varie interruzionidovute a guerre - durò fino al 1563, e decretò severedisposizioni intorno a tutti i rami dell'attività religiosa:sui dogmi, sulla vita del clero, sulle cerimonie, le feste.le preghiere.

Anche la musica fu presa in considerazione. E sistabilì che da allora in poi solo ad un patto fosse ammessonelle chiese il canto figurato (cioè un canto che non fosseil gregoriano): che la musica fosse semplice e chiara, chelasciasse intendere le parole e non ne turbasse la naturalegiacitura.

Per una di quelle singolari (ma facilmente spiegabili)coincidenze, per cui gli uomini grandi arrivano proprio nelmomento in cui i tempi sono maturi per loro e quando piùacuto è diventato il bisogno e il desiderio della loroopera, questa aspirazione fu ben presto realizzata, in unmodo di cui non potrebbe immaginarsi il più grandioso e ilpiù ideale, da un sommo artista italiano: GIOVANNI PIERLUIGI DAPALESTRINA24.

23 Il Corale è originariamente una melodia popolare di carattere simmetrico e cadenzato; il corale a piùvoci conserva lo stesso carattere in quanto, affidata la melodia principale al soprano, le altre vocil'accompagnano nota contro nota, seguendo cioè nell'andamento e nella pronuncia delle parolefedelmente il ritmo del soprano. La stessa forma ed origine ha – come vedremo – la villanella italianaa più voci.

24 Nacque in Palestrina nel Lazio, nel 1525, secondo l'opinione più recente. Venuto a Roma in tenera etàaccolto fanciullo cantore nella Basilica di Santa Maria Maggiore, trascorse in questa città tutta la suavita: fu “maestro dei fanciulli” a S. Pietro, poi cantore (voce di basso) alla Cappella Sistina; fusuccessivamente maestro a San Giovanni in Laterano e a Santa Maria Maggiore. La sua fama si elevògrandemente dal momento in cui egli compose le tre messe alle quali si attribuì il merito di aver evitatoil bandimento della musica figurata dalle chiese, minacciato dal Concilio di Trento. Celebre fra questetre è specialmente la Messa a sei voci dedicata alla memoria di Papa Marcello. Nel 1571 Palestrinaebbe il posto di maestro della cappella di San Pietro dove rimase fino alla morte avvenuta il 2 febbraio

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Palestrina trasformò il “contrappunto” medioevale in unconcento armonioso e dolcissimo di melodie espressive. Leforme di cui egli si servì furono le stesse che erano stategià in uso nel Medio Evo e presso i Fiamminghi: ma egli lepurificò, le semplificò, le ravvivò con la sua squisitezzadi sentimento, con la umanità della sua ispirazione.

Qui cadono opportune due osservazioni. La prima è cheil Rinascimento musicale italiano - per un fenomeno normalenella musica25 - giunse in ritardo in confronto allemanifestazioni parallele nei costumi, nel pensiero, nellapoesia, che erano già pervenute al loro massimo grado quandodel Rinascimento musicale apparvero i primi fruttiartistici.

In secondo luogo - per la tendenza generale dell'uomodi voler rimanere ostinatamente attaccato ai suoi vecchioggetti, e seguitare a servirsene anche quando questi nonrispondano più ad un nuovo gusto, ad un nuovo pensiero, aduna condizione di fatto nuova - il Rinascimento musicaleitaliano, cioè il rinnovato bisogno di esprimere nellamusica i sentimenti, le passioni, le aspirazioni umane,prima di crearsi la lingua che a questa espressione era lapiù adatta, cercò di sfogarsi, di effondersi nelle vecchieforme medioevali, cioè nella polifonia vocalecontrappuntistica. La nuova primavera musicale, che balda siavanzava, prima di espandersi in una dovizia di foglie verdie di fiori, ravvivò di germogli i vecchi tronchi.

Ed ecco perché prima del Monteverdi avemmo ilPalestrina. E attorno al Palestrina altri compositori ingran numero si fanno, attraverso le vecchie forme,messaggeri del “dolce stil nuovo». Fra i precursori econtemporanei e continuatori di lui son da ricordarsi -senza parlare dei precursori remoti come Francesco Landino,detto il “cieco degli organi”, ed altri trecentistifiorentini - Giovanni Animuccia, Giovanni Maria Nanini, glispagnuoli Ludovico da Vittoria e Cristoforo Morales, esoprattutto il fiammingo ORLANDO DI LASSO (1532-1594)

1594. Palestrina ci ha lasciato circa 100 messe, quasi 200 mottetti, oltre a una quantità di salmi e altrecomposizioni minori; nel campo profano scrisse molti madrigali, alcuni su parole del Petrarca. Da luiebbe origine l'espressione “alla Palestrina” con cui si indica tuttora la polifonia vocale senzaaccompagnamento. Un'edizione moderna completa delle opere del Palestrina – sulle edizioni del tempo che sononaturalmente a parti staccate – è stata pubblicata in Germania, da Breitkopf und Hartel. Composizionidi lui e di altri autori del tempo si trovano in varie antologie e raccolte.

25 Lo si osservi, per esempio, nel secolo scorso per romanticismo, e recentemente in Francia perl'impressionismo

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paragonabile come grandezza a Palestrina. Una scuola gloriosa di compositori - contemporaneamente

a quella romana che si irradiò da Palestrina - fiorivaintanto anche in Venezia. A capo di essa fu il fiammingoAdriano Villaert, maestro in San Marco: fra i suoisuccessori, che ne continuarono l'opera, furon celebrisoprattutto Gabrieli e suo nipote Giovanni. La musica diquesti compositori, a riflesso della Venezia d'allora, eracolorita e pittoresca; vi appaiono già gli strumenti e ilcromatismo: mentre la scuola romana si mantenne sempre inuna linea di maggiore semplicità e austerità diatonica.

Ed ecco intanto, nel campo profano, Luca Marenzio,Cipriano De Rore e Gesualdo principe di Venosa cantare inmadrigali di una dolcezza, di una arditezza espressiva nonmai udita. Ecco il madrigale perdere la sua rigidità ecompostezza primitiva e popolarsi di elementi pittoreschi edescrittivi e drammatici. Ecco Orazio Vecchi col suoAmfiparnaso e le sue Veglie di Siena, Alessandro Striggiocol suo Cicalamento delle donne al bucato, Giovanni Crocecon le sue Mascarate piacevoli et ridiculose, AdrianoBanchieri con la Pazzia senile e la Saviezza giovenile. Eccogli intermezzi, ecco le pastorali. Tutte queste sonomanifestazioni nelle vecchie forme contrappuntistiche dellanuova energia ravvivatrice che era impaziente di trovarsi unlinguaggio nuovo26.

Il contributo più efficace e più remoto, la vera spintainiziale, il vero moto propulsore a questa rivoluzionemusicale venne dal popolo. Le melodie appassionate che giàvari secoli prima avevano cominciato a risonare sulle bocchedei trovatori, le “villanelle” o “frottole” che già nelQuattrocento allietavano con accenti vivaci e commossi leliete brigate, si trasfusero per fatale forza di conquistanella musica d'arte e col loro contatto la fecondarono, leinfusero vita.

Ma, perché il Rinascimento musicale fosse pieno ecompleto, occorreva che anche l'arte individuale sidecidesse a uscire dall'uso esclusivo e obbligato dellaimpacciante polifonia contrappuntistica, per tornare alsemplice canto monodico, che è stato sempre il linguaggiopiù adatto alla libera espressione dei sentimenti umani. Diquesto passaggio definitivo – che è legato nella storiamusicale con l'episodio della famosa Camerata fiorentina –ci occuperemo nel prossimo capitolo.

26 Chi volesse avere un'idea di un madrigale drammatico veda il Cicalamento di Alessandro Striggio, dame trascritto in partitura moderna, nella Rivista musicale italiana, XII, 4, e XIII, 1, 2.

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SGUARDO RIASSUNTIVO

ALLE FORME DI MUSICA (POLIFONIA VOCALE)

IN PIENO SVILUPPO NEL RINASCIMENTO

MUSICA PROFANA

VILLANELLA o FROTTOLA. - Composizione polifonica vocaledi stile popolaresco, in cui la voce superiore eseguisceuna melodia popolare, e le altre voci accompagnano notacontro nota, con grande semplicità.

CANZONE, CANZONETTA. - Forma di composizione simile allaVillanella, ma un poco più elevata ed elaborata: è un chedi mezzo tra la Villanella e il Madrigale. Si noti chetanto le canzonette come le villanelle eran cantateripetendo la stessa aria strofa per strofa.

MADRIGALE. - Composizione vocale contrappuntistica – disolito a 4 o 5 voci – su una breve poesia italiana: che inorigine aveva lo stesso nome, ed era di carattere elegantee concettoso. Tutti i musicisti del Cinquecento hannoscritto madrigali (come oggi non c'è musicista che nonscriva romanze); ma tra i più squisiti e forti cultori diquesta forma d'arte son da ricordarsi: Adriano Villaert,Cipriano de Rore, Luca Marenzio, Gesualdo principe diVenosa, Palestrina, Monteverdi.

MADRIGALE DRAMMATICO. - Madrigale di maggiore estensione,spesso in più parti, su poesia di carattere drammatico,narrativo e pittoresco. È una manifestazione, nelle vecchieforme, della tendenza espressiva e drammatica assunta dallamusica nel Rinascimento, tendenza che ebbe la sua interaesplicazione col Melodramma. I principali autori dimadrigali drammatici furono: Orazio Vecchi, AlessandroStriggio, Adriano Banchieri, Giovanni Croce.

INTERMEZZO. - Si chiamarono così le composizionidrammatiche madrigalesche destinate ad essere rappresentatescenicamente tra un atto e l'altro di altri spettacoli.Costituiscono, in confronto dei semplici madrigalidrammatici, un passo ulteriore - per l'intervento dellascena - verso il Melodramma27.

27 L'uso di intermezzare le rappresentazioni teatrali con musiche (eseguendole fra un atto e l'altro) si èperpetuato anche nei secoli successivi. Certo la qualità degli intermezzi è cambiata secondo la moda elo sviluppo dell'arte musicale. Nel '700 eran diventati atti d'opera. La serva padrona di Pergolesi, peresempio, fu scritta a scopo di intermezzi.

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MUSICA SACRA

MOTTETTO. - Composizione polifonica vocale su un brevetesto latino relativo a qualche ricorrenza o festivitàreligiosa.

MESSA. - Composizione in più parti, sopra certi datipassi del testo di questa cerimonia liturgica. Le partiessenziali che l'uso ha destinato a tale scopo sono nellamessa ordinaria 5: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus eBenedictus, Agnus Dei.

ORIGINE DEL MELODRAMMA MODERNO

AL punto in cui siamo giunti del nostro percorso leopere d'arte musicali conservateci sono ormai in tal copiache la storia ha cessato completamente di essere un lavorodi ricostruzione e di supposizione per diventare uno studiopositivo e diretto: in termini più precisi, una intelligenteesecuzione di musiche.

Il libro non è più ormai che una guida. E, come sarebbestolto chi pretendesse di studiare la pittura o la sculturamoderne sopra un manuale, senza curarsi di cercare eosservare i quadri, le statue o i monumenti, così sarebbe diassai scarso vantaggio per l'artista dedicarsi agli studiper lui necessari di storia musicale moderna, senza basarsisulla conoscenza diretta ed effettiva delle opere d'artemusicali che ne forman l'oggetto. Mentre il libro può essereguida preziosa quando adempie il suo ufficio di interpretaree integrare le esecuzioni di musiche.

Esecuzioni di musiche. Non di musiche brutte, si badibene, di musiche qualunque, di musiche aventi un semplicevalore archeologico: ma di musiche belle, ché ce ne sono inogni tempo, di musiche espressione viva e schietta ecommossa dello spirito di ogni artista, di ogni momento eperiodo dello svolgimento della nostra arte28.

E tale scelta non può compierla che il maestro tecnico;e tali esecuzioni, tranne il caso assai raro in Italia diudirle in concerti, non può farle, coi mezzi di cui può

28 Nessuno più di noi rifugge da quella cieca infatuazione di alcuni per il passato, che si potrebberiassumere col falsissimo aforisma: “E' antico, dunque è bello”. La verità per la musica di qualsiasitempo (o antica o moderna che sia) è questa: che di quanto si produce, almeno il novecento per mille èbrutto e destinato ad essere sepolto irrimediabilmente.

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disporre, che il maestro musicista nella scuola. E soloallora l'insegnamento è serio, completo e artisticamentefattivo29.

Questa avvertenza che da tempo sentivo il bisogno difare, diventa necessaria in riguardo al Melodramma. Poichéall'osservatore profano e superficiale il Melodramma e ilcanto monodico espressivo possono sembrare una novitàbrusca, caduta dal cielo. Mentre invece sono il risultato diun lento e graduale svolgimento; che non può essereafferrato nella sua pienezza se non attraverso la direttaconoscenza di una serie di musiche cinquecentesche: cantipopolari, villanelle, canzonette, madrigali, madrigalidrammatici. La monodia accompagnata col basso numerato nondista tanto come potrebbe sembrare dalla polifonia vocale:ma fu il prodotto esteticamente naturale di una evoluzionetecnica e artistica avvenuta col sostituirsi degli strumenti(che prima le rinforzavano e raddoppiavano) alle altre vocidella polifonia, mentre rimaneva a cantare una voce sola30.

Premesso questo, passiamo a esporre le vicendeepisodiche delle origini del melodramma moderno.

Sul finire del Cinquecento, in Firenze, in casa delConte De' Bardi si adunava un'accolta di musicisti e diartisti, i quali discutevano delle tendenze che andavanodelineandosi nell'arte musicale, ispirandosi alla necessitàdi tornare ad una forma di musica più semplice e schietta, emodellandosi sullo studio e sulla rievocazione dell'anticaarte greca.

É noto che una delle manifestazioni del Rinascimento fuil rinnovato culto ed amore per tutto ciò che riguardasse

29 Nella mia scuola eseguisco io stesso le musiche, e, quando sia il caso, le faccio eseguire agli alunni.Anni or sono fra i compositori avevo solo due alunne e un alunno: aggiungendomi io come quartointonammo tutto un repertorio di mottetti, madrigali, messe, a quattro voci, leggendo anche sulleparticelle staccate originali. E con frutto grandissimoIn questo libro io non posso che indicare talvolta al lettore dove potrebbe, volendo, trovare le musichepiù importanti e più rare che gli sarebbe indispensabile conoscere. Ma confesso che ciò faccio conscarsa fiducia: poiché lo scegliere nell'estensione di queste musiche le cose belle e adatte, e penetrarnelo spirito e interpretarle è cosa tutt'altro che facile.

30 Vedi più avanti la parte di questo libro dedicata alla musica strumentale. Una prova di quanto è dettosopra sta in questo: che, quando nelle composizioni monodiche scritte con basso numerato è la vocebasso che canta, essa cammina costantemente all'unisono (a ciò si osserva ancora nel Carissimi e inautori a lui posteriori) col basso strumentale, allo stesso preciso modo come faceva il basso nellecomposizioni polifoniche vocali accompagnate da strumenti. Quando invece la voce cantante non è unbasso, allora il basso strumentale (e si capisce bene perché) è indipendente: poiché esso era all'unisonocol basso vocale che è scomparso, mentre è rimasta a cantare solo una delle voci più acute dellapolifonia.

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l'antichità classica, che nel Medio Evo era stato invecedisprezzato come ripugnante al Cristianesimo. Ora, come gliuomini del Rinascimento si eran volti con entusiasmo allostudio e alla rievocazione del pensiero, della letteratura,della scultura antica, così presero a studiare con grandepassione anche quel poco che allora poteva sapersi circal'antica musica classica, cioè la musica dei Greci. Larievocazione dell'antica musica greca nel nostroRinascimento fu nello stesso tempo un effetto del rinascenteamore per le cose antiche, e una spinta verso le nuoveconquiste musicali: poiché i nuovi musicisti trovarono nellaantica musica greca e nell'antico teatro greco un modelloideale di quel canto melodico espressivo, di quella intimaunione di musica e poesia cui essi miravano.

Alla cosiddetta Camerata de' Bardi partecipavano imusicisti Giulio Caccini romano, Jacopo Peri fiorentino,Emilio de' Cavalieri gentiluomo romano, Vincenzo Galileipadre del grande Galileo, e il poeta Ottavio Rinuccini,

Il primo a compiere tentativi del nuovo stile fuappunto - secondo la tradizione - Vincenzo Galilei, il qualemusicò dei frammenti del Conte Ugolino di Dante e delleLamentazioni di Geremia. Si badi come questi musicisti, inbase agli intendimenti da cui eran mossi, sceglievano, permusicare, le poesie più intense di passione.

Nel 1590 furono rappresentate alla Corte di Firenze ledue pastorali Il Satiro e La disperazione di Fileno di LauraGuidiccioni con musica di Emilio de' Cavalieri.

Nel 1594 in casa Corsi la Dafne di Rinuccini con musicadi Peri. Quest'opera, come le precedenti del de' Cavalieri edel Galilei, è andata perduta.

Nel 1600, in occasione delle nozze di Maria dei Medicicon Enrico IV di Francia, vennero alla luce in Firenze dueopere composte l'una dal Peri l'altra dal Caccini sullostesso libretto di Ottavio Rinuccini intitolato Euridice31.

Nello stesso anno a Roma in un piccolo teatro presso iFilippini alla Vallicella fu eseguita la Rappresentazionedi Anima e Corpo di Emilio de' Cavalieri.

31 Non è vero quello che si dice comunemente, che ambedue le opere furono rappresentate in quell'anno.Soltanto l'Euridice di Peri fu rappresentata a Palazzo Pitti, il 6 ottobre. La prima rappresentazionedell'Euridice di Caccini, che pure era stata stampata nello stesso anno 1600, avvenne due anni più tardi,il 5 dicembre 1602 (vedi Solerti, Musica, Ballo e Drammatica alla Corte Medicea dal 1600 al 1637,Firenze, Bemporad, 1905).

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Queste tre opere, le due Euridici e l'Anima e il Corpo,che ci sono conservate in belle edizioni del tempo,costituiscono i primi preziosi monumenti del melodrammamoderno..

Queste composizioni sono scritte esclusivamente nellinguaggio nuovo: il canto monodico, che ai prestavameravigliosamente a rendere tutte le movenze espressivedella poesia, a piegarsi come corpo vivente sotto i palpiti,i fremiti, gli accenti della passione. E difatti già inquesti primi tentativi, specialmente in Emilio de'Cavalieri, si osserva una naturalezza e possanza diespressione che sorprende anche noi moderni. I cori inqueste composizioni occupano solo lo piccola parte che èloro riservata dall'azione. Il tutto veniva accompagnato construmenti: e l'accompagnamento è pervenuto a noi scritto colsemplice basso numerato sul quale i sonatori abiliimprovvisavano.

Tanto alle due Euridici come all'Anima e Corpo sonpremesse delle interessanti prefazioni, nelle quali gliautori spiegano i loro intendimenti. E son d'accordo neldire che il loro canto, o recitativo, che è qualcosa dimezzo tra il parlar comune e il canto spiegato, non mira adaltro che a rendere con efficacia e chiarezza il sentimentodelle parole e si richiamano al modello degli antichi Greci.Per comprendere appieno la natura di queste musiche bastaricordare un'espressione bellissima di Emilio de' Cavalieri,impressa sul frontespizio dell'opera sua, espressione in cuiè sintetizzata mirabilmente tutta l'essenza del melodrammamoderno: “PER RECITAR CANTANDO”32.

32 Dalle prefazioni dell'Anima e Corpo, poiché secondo me il De' Cavalieri è da considerarsi tantocronologicamente che artisticamente il capo di tutti questi innovatori, credo opportuno trascriverequesti passi: “... composizioni di musica fatte a somiglianza di quello stile col quale si dice che gliantichi Greci e Romani nelle scene e teatri loro soleano a diversi affetti muovere gli spettatori...”.“Volendo rappresentare in palco la presente opera overo altre simili, e seguire gli avvertimenti delsignor Emilio Del Cavaliere, e far sì che questa sorte di musica da lui rinnovata commuova a diversiaffetti, come a pietà et a giubilo, e pianto et a riso, et ad altri simili... par necessario che il cantanteabbia bella voce, bene intuonata e che le porti salda, che canti con affetto, piano e forte, senzapassaggi, et in particolare che esprima bene le parole ché siano intese, et le accompagni con gesti emotivi non solamente di mani, ma di passi ancora, che sono aiuti molto efficaci a muovere l'affetto. Glistrumenti siano ben sonati, e più e meno in numero secondo il luogo, o sia teatro, o vero sala, quale peressere proporzionata a questa recitazione in musica non doveria essere capace al più che di millepersone, le quali stessero a sedere commodamente, per maggior silenzio e soddisfazione loro: chérappresentandosi in sale molto grandi non è possibile far sentire a tutti la parola, onde sarebbenecessitato il cantante a forzar la voce, per la qual causa l’affetto scema; e la tanta musica, mancatoall’udito la parola, viene noiosa. E gli stromenti, perché non siano veduti, si debbano suonare dietro letele della scena e da persone che vadino secondando chi canta, e senza diminuzioni e pieno. E per dare

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Il “Melodramma” - sia inteso nel senso ampio che io doa questa parola di “espressione musicale dei sentimentiumani”, sia nel senso ristretto – fu il portato proprio ecaratteristico del Rinascimento musicale italiano nella suapiena esplicazione. E questa nuova forma d'arte - cui non sipuò negare finché rimase fedele agli intendimenti dei suoifondatori una grande elevatezza e nobiltà - riuscì di taleappagamento all'anima musicale del tempo, che ebbe subitofortuna e diffusione grandissima: dai limiti ristretti entrocui l'avevano realizzato i maestri fiorentini, le cui operefurono piuttosto sperimentazioni accademiche e divertimentidi corte, divenne ben presto una forma d'arte popolarissimaed umana.

Il principale rappresentante di questa popolarizzazioneed umanizzazione del Melodramma fu un grande artista:Claudio Monteverdi.

L'Oratorio

Prima di parlare del Monteverdi, dedichiamo una breveparentesi alle origini dell'Oratorio. L'Oratorio fu unamanifestazione del Melodramma in un ambiente speciale, cioènegli oratorii (luoghi di devozione) che fiorironolargamente in seno a quel movimento di reazione religiosaagli eccessi sensuali e licenziosi del Rinascimento di cuisopra abbiamo fatto parola.

Fra questi oratorii fu soprattutto celebre, ed haspeciale importanza sotto l'aspetto musicale, quello fondatoin Roma da San Filippo Neri nel 1558, che dopo esserepassato per varie sedi si fissò nella sua sede de6nitiva inSanta Maria in Vallicella. È noto che la Congregazione disacerdoti da San Filippo istituita prese appunto il titolo

qualche lume di quelli che in luogo simile sieno servito, una Lira doppia, un Clavicembalo, unChitarrone, o Tiorba che si dica, insieme conforme all'effetto del recitante; e giudica che similirappresentazioni in musica non sia bene che passino due ore... Il passar da un effetto all'altro contrario,come dal mesto all'allegro, dal feroce al mite, e simili, commuove grandemente... Il poema nondovrebbe passare settecento versi, e conviene che sia facile et pieno di versetti, non solamente di settesillabe, ma di cinque e di otto, et alla volte in sdruccioli; e con le rime vicine, per la vaghezza dellamusica, fa grazioso effetto. E ne' Dialoghi le proposte et risposte non siano molto lunghe: e le narratived'uno solo più brevi che possano... Alcune dissonanze, et due quinte sono fatte a posta...”Il giovane pesi ad una ad una queste parole d'oro, che potrebbero esser dedicate con amara ironia amolti autori e critici odierni.Dimenticavo dire che tanto le due Euridici come l'Anima e Corpo sono ripubblicate in edizionemoderna. Delle prime c'è anche un'edizione Ricordi; di quest'ultima sono uscite, qualche anno fa, unariproduzione in facsimile della edizione originale del 1600 per cura di F. Mantica, e una riduzione di G.Tebaldini, ambedue con una mia prefazione.

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“dell'Oratorio”.

In mezzo ai vari esercizi spirituali che si compivanonegli oratorii era naturale si introducesse la musica, e daprincipio vi apparve in forma semplicissima di laudispirituali, che erano cantate senza alcuno specialecarattere, come si cantano in certe circostanze anche oggi,fra un esercizio e l'altro; la musica di esse era a più vocie di carattere popolare sul tipo delle canzonette evillanelle.

A poco a poco nella poesia di queste laudi andòinfiltrandosi un contenuto narrativo e drammatico; il cherispondeva allo scopo dell'Oratorio, che era quello di farpropaganda spirituale, anche per mezzo di esempi presi ilpiù delle volte dalla Bibbia.

Le laudi cioè si trasformarono in laudi drammatiche,allo stesso modo in cui il madrigale si era trasformato inmadrigale drammatico.

Ma le laudi drammatiche erano ancora cantateinvariabilmente dalla intera massa del coro, che ripetevastrofa per strofa la stessa aria.

Solo più tardi anche nell'Oratorio, come nelMelodramma, alla polifonia vocale espositiva si sostituì ilcanto monodico e la forma rappresentativa, sempre però senzascena: il che appunto distingue l'Oratorio dal Melodramma.

Delle laudi filippine ci sono conservate a stampacinque interessantissime raccolte, nelle quali la genesidell'Oratorio si può osservare con chiarezza. Coi Dialoghidi Giovanni Francesco Anerio, pubblicati nel 1619, è ormaicompiuto il passaggio dalla laude all'oratorio monodico33.

Ma chi condusse l'Oratorio alla pienezza di sviluppo ea grande forza e squisitezza espressiva fu un grande artistafiorito a Roma nel seicento: GIACOMO CARISSIMI34. Carissimi.

33 Ognuno comprende come il nome del luogo (oratorio) passò ad indicare la musica che vi venivaeseguita. Anche oggi si dice “c'è il teatro”, non per indicare il luogo, ma quello che vi si rappresenta.Chi volesse venire a conoscenza di una serie di composizioni (laudi, laudi drammatiche, dialoghi)illustranti l'origine dell'Oratorio – composizioni di mirabile schiettezza ed espressività popolare – puòtrovarle trascritte in partitura moderna nei miei Studi sulla storia dell'Oratorio musicale in Italia(Torino, Fratelli Bocca, editori). Vedere anche il mio studio sulle laudi e il loro rapporto coi cantimondani (Riv. mus. Italiana, 1909).

34 Carissimi nacque a Marino nel 1605; a Roma passò quasi tutta la sua vita come maestro di Cappellaall'Apollinare e morì nel 1674. Dei suoi ortatorî ce ne restano circa quindici, in copie manoscritteconservate in biblioteche straniere. Solo qualcuno è pubblicato, tra cui l'Jefte che è il più celebre e ilpiù bello

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come Monteverdi, è il vero tipo del musicista-poeta delRinascimento: umanità, semplicità, verità sono le doti dellasua musica. Lo distingue dal Monteverdi l'austeritàdiatonica che è stata sempre propria della scuola romana:mentre in Monteverdi si ritrova in alto grado la vivacità dicolorito e l'arditezza cromatica della scuola veneziana.Carissimi legò il suo nome all'Oratorio, Monteverdi alMelodramma.

Partendo da queste origini, l'Oratorio acquistò benpresto generale diffusione: e di là delle Alpi raggiunse nelsettecento i suoi più alti fastigi con Bach e con Händel,mentre in Italia seguì fedelmente tutte le vicende delMelodramma; fino alla restaurazione moderna, cui appartieneil Perosi.

Una forma di musica largamente sviluppatasi accantoall'Oratorio - e nella quale eccelse anche il Carissimi - fula Cantata: cioè una composizione vocale di notevoleimportanza ed estensione, con accompagnamento di strumenti,di argomento sacro e mondano.

Il Melodramma veneziano

Con CLAUDIO MONTEVERDI35 il centro di diffusione delMelodramma si sposta da Firenze e Roma a Venezia.

Abbiamo già accennato come egli abbia infuso in questaforma d'arte forza e libertà di espressione, calore di vita;come l'abbia animata del soffio di un vero e grande artista.Dalle sale aristocratiche e principesche, dove era statofrutto di ricerche erudite e intellettuali e dilettazione dipochi, il Melodramma scese con lui in mezzo al popolo,divenne espressione immediata, viva dei sentimenti umani. Fudurante la vita del Monteverdi che si aprirono a Venezia iprimi pubblici teatri di musica.

Questo carattere dell'arte del Monteverdi, incontrapposto a quella di Peri e Caccini, deriva anche daquesto: che essa è espressione di vita vissuta. Mentre Peri

35 Nato a Cremona nel 1567. Entrò giovane al servizio dei Gonzaga in Mantova come violinista; e nel1603 fu eletto maestro di quella Cappella ducale. Dieci anni più tardi fu chiamato ad occupare lo stessoposto in San Marco a Venezia, dove rimase fino alla morte avvenuta nel 1643. Le opere principali diMonteverdi sono: Orfeo, Arianna, e L'incoronazione di Poppea. La prima e terza ci sono interamenteconservate. Della seconda conosciamo soltanto il celebre Lamento di Arianna, che ci è pervenutoattraverso un “travestimento spirituale” in “lamento di Maria” che ne fece l'autore. Monteverdi scrisseanche naturalmente molti madrigali, bellissimi, e musica sacra.L'Orfeo e L'Incoronazione di Poppea sono stati pubblicati in Germania. Dell'Orfeo c'è anche unatrascrizione moderna di Giacomo Orefice. Il Lamento di Arianna è facilissimo a trovarsi.

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e Caccini avevano scritto le loro opere, diciamo così, afreddo, ben pasciuti nel benessere e per incarico disignori, Monteverdi trascorse la sua vita in mezzo acontinue lotte e amarezze36; si dibatté contro la miseria,fu dilacerato nelle sue affezioni più care; e nella suamusica ai ritrova reco dei suoi dolori.

A questo fondo umano e passionale corrisponde inMonteverdi una padronanza tecnica e una spregiudicatezzaverso le regole che tentavano di arrestare la musica al purodiatonismo, per cui egli ci appare come il primo veromusicista moderno (qualcosa di simile a lui si trova già nelDe' Cavalieri). Nonostante le proteste dei pedanti, eglispezzò i legami di cui la musica era rimasta prigioniera: evolle ch'ella ascoltasse nient'altro che i movimenti del suocuore.

Inoltre col Monteverdi il Melodramma s'incammina araggiungere la pienezza della sua natura musicale, Ilrecitativo arido dei primi Fiorentini. Impacciato da unaquantità di preoccupazioni estranee alla musica e di legamipedanti con la parola, diventa in lui melodia musicalmentelibera, espressione schietta e plastica dei sentimentiumani.

E l'armonia si avvia risolutamente verso tutte learditezze cromatiche che in sua mano sono fonte inesauribiledi nuovi effetti espressivi. Perfino l'accordo di settimadiminuita si trova già in Monteverdi.

Basta confrontare il racconto della morte di Euridicequale è in Peri e Caccini con quello che è divenutonell'Orfeo di Monteverdi, per convincersi del grande camminopercorso.

Nè tutto ciò veniva fuori d'un tratto. Già nelCinquecento, per opera di alcuni madrigalisti, c'era statoun intenso movimento di rinnovazione nel campo dell'armonia:in Cipriano De Rore, per esempio, e soprattutto in Gesualdoprincipe di Venosa, si trovano tali arditezze cromatiche chesorprendono anche noi moderni. Tale movimento fu ispiratosenza dubbio dal desiderio di rievocare anche su questopunto l'antica musica greca nei suoi generi cromatico edenarmonico. E a questo proposito furon vivaci e lunghe le

36 Non ultime per asprezza furono le lotte ch'egli dovette sostenere per il rinnovamento e il progressodella sua arte, contro i pedanti e gli adoratori della lettera morta; quelli stessi che un secolo più tarditrovarono zeppi di errori i quartetti di Mozart. Sono rimasti celebri in proposito gli acerbi attacchi che ilMonteverdi ebbe dall'abate Artusi.

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dispute anche tra i teorici: di cui qualcuno, come GioseffoZarlino, difendeva a spada tratta la vecchia tonalità, ealtri, come Nicolò Vicentino, proponeva e sosteneva leinnovazioni più ardite37.

Monteverdi portò un contributo decisivo al trionfo delcromatismo e della tonalità moderna: l'uso dei puri modigregoriani veniva ormai per essere limitato al solo cantoliturgico.

Un altro punto importante riguardo al melodrammamonteverdiano è: quello della strumentazione, tanto sottol'aspetto tecnico che sotto l'aspetto estetico-artistico.Sotto l'aspetto tecnico si attribuisce a lui di aver perprimo usato certi effetti di strumenti, come, per esempio,il tremolo c il pizzicato degli archi. Sotto l'aspettoestetico-artistico vedemmo già il De' Cavalieri esprimerel'idea che “converrebbe mutare stromenti conformeall'affetto del recitante”. Non è vero dunque che Monteverdisia stato il primo a usare i vari strumenti percaratterizzare i personaggi e le situazioni drammatiche: maegli sviluppò e concretizzò questa idea nel senso che gliepisodi strumentali hanno in lui un'importanza moltomaggiore che nei tuoi predecessori, e che egli indica puntoper punto gli strumenti che desidera: per esempio, quandocanta Plutone nell'Orfeo è accompagnato dalle voci gravi esolenni delle viole e dei tromboni.

Un artista come il Monteverdi non poteva non esercitareun potente influsso sul suo tempo. Ed è naturale che siformasse in Venezia sulle sue orme una scuola di compositorid'opere. Fra questi continuatori del Monteverdi son daricordarsi specialmente Francesco Cavalli (opera principaleGiasone), Marcantonio Cesti (Dori), Giovanni Legrenzi(Totila). Cavalli e Legrenzi occuparono, come Monteverdi, ilposto di maestro di cappella in S. Marco.

Questi compositori, se ampliarono il melodramma nelleforme esteriori, furono però ben lontani dall'infondergli ilgenio del loro maestro: e la loro discendenza ben presto siestinse per mancanza di forze,

37 Queste lotte diventarono ancora più aspre quando si trattò di rendere i passaggi cromatici con glistrumenti a suoni fissi. Ultimo risultato di queste lotte fu – dopo molti tentativi di costruire strumenticon innumerevoli tasti per rendere fedelmente le intonazioni della scala naturale – l'adozione verso lafine del 600 del temperamento della scala, di cui facemmo parola nella Fisica.

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Il Melodramma napoletano

E la sede di principal fioritura del Melodramma sispostò nuovamente, per fissarsi in Napoli, nella “terra delcanto”. Dove trovò tanta copia e fecondità di autori e tantaricchezza di ispirazione conquistatrice che “melodrammanapoletano” diventò sinonimo di ”melodramma italiano” e“melodramma universale”.

I maestri napoletani infusero in questa forma d'artetutto il brio e la passionalità del loro temperamento, tuttala melodiosità delle loro canzoni, tutta la luminosità delloro cielo.

Fondatore della scuola napoletana fu ALESSANDROSCARLATTI38, autore fecondissimo, e capostipite di tutta unapleiade di compositori: Francesco Durante, Leonardo Leo,Nicolò Porpora, Leonardo Vinci, Francesco Feo, NicolòJommelli, Nicolò Piccinni, Antonio Sacchini, TommasoTraetta, Nicolò Zingarelli.

Un prodotto caratteristico della scuola napoletana -prodotto ben consono allo spirito del paese – fu l'operacomica, che ebbe un carattere di schietta popolarità, espesso era in dialetto. Molte opere comiche napoletane sonocreazioni di tale sincerità e vitalità, che conservano ancheper noi moderni una mirabile freschezza; il che può dirsisolo eccezionalmente delle innumerevoli opere serie lorocompagne.

Tutti i maestri della scuola napoletana scrissero operecomiche. Ma i più grandi secondo che la fama li haconsacrati, sono: Giambattista Pergolesi (La Serva Padrona);Giovanni Paisiello (Il Barbiere di Siviglia, Nina pazza peramore); Domenico Cimarosa (Il Matrimonio segreto, Gianninae Bernardone)39.

Il melodramma napoletane, nonostante il dispregio incui può tenerlo chi non sa concepire la musica e l'artesenza un accigliato e sonnolento programma estetico, con lapassionalità, la gentilezza, la vivacità, il fascio dellesue melodie, ebbe la virtù di conquistare in breve tutti ipaesi: e in forza di esso l'Italia tenne per molto tempo

38 Nato a Palermo nel 1659, fu allievo – insieme col Cesti e con altri compositori italiani e stranieri – delCarissimi: visse a Napoli dove morì nel 1725. scrisse oltre 100 opere, 400 cantate, 200 messe; il chepuò dare la misura della fecondità di questi maestri napoletani. Di tante opere dello stesso Scarlatti èstata pubblicata, credo, la sola Rosaura, dall'Eitner.

39 Pergolesi nacque a Jesi nel 1710, studiò e visse a Napoli dove morì, giovanissimo, nel 1736. Paisiellofu di Taranto (1741 – 1816) e Cimarosa di Aversa (1749 – 1801).

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incontrastato il suo primato musicale nel mondo.

Sviluppo e decadenza del Melodramma

Per opera dei maestri delle scuole veneziana enapoletana il melodramma si andò sviluppando e arricchendosotto l'aspetto musicale.

Al semplice e continuo recitativo dei primi fiorentinisi aggiunsero via via le arie, i duetti, i terzetti, i pezzidi assieme, i cori, i concertati, i finali. E ciascuna diqueste parti andò prendendo, sviluppo e forma secondo losvolgimento naturale del discorso musicale: svolgimento chesi manifesta con mirabile parallelismo nella musicastrumentale e nella vocale.

Così nel melodramma si andò delineando una veraarchitettura musicale, che mancava nei melodrammi dellaCamerata fiorentina, e che si va delineando solo in potenzanel Monteverdi.

Il recitativo “secco”, cioè col semplice bassonumerato, si trasformò nel recitativo “accompagnato”.

L'aria prese ben presto la forma col da capo, che fuintrodotta, si dice, da Scarlatti, e che rimase per lungotempo la forma tipica. Un'altra forma di aria che a un certopunto apparve fu quella a rondò, in cui cioè un motivoiniziale vien ripreso più volte alternandosi con vari motivisecondari.

Nello stesso tempo andò sviluppandosi lastrumentazione. Le parti degli strumenti, invece di essereimprovvisate a piacimento sul basso numerato, cominciaronoad essere precisate e scritte in partitura. Appaiono inoltrenel melodramma pezzi strumentali d'importanza, come lasinfonia (ouverture). Nell'opera Tigrane di Scarfatli (1715)l'orchestra è già quella di Haydn, che visse cinquant'annidopo; e cioè: violini, viole, violoncelli, due oboi, duefagotti, due corni40.

Ma con questo progresso musicale del melodramma nonandò di pari passo il progresso artistico: anzi sotto questo

40 In Peri e Caccini si trovano scritte (realizzate) le parti degli strumenti solo nei piccoli ritornellistrumentali ma senza indicazione del nome degli strumenti. Il De' Cavalieri anche sotto questo aspettoappare più progredito: sebbene anch'egli non segni ancora i nomi degli strumenti, nell'Anima e Corpoci sono con tutte le voci realizzate) due sinfonie assai sviluppate e veramente belle. Una sinfonia, equesta con l'indicazione precisa degli strumenti (violini, cornetti, tiorba, liuto, organo), si trova nelDialogo del Figliol prodigo di Anerio (1619). Ma questi sono episodi strumentali isolati: larealizzazione strumentale in partitura dell'intero melodramma apparve assai più tardi.

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aspetto il melodramma si avviò rapidamente verso la suadecadenza, poiché la cieca prevalenza della musicaconsiderata come vuoto giuoco di suoni andò ben presto adanno della verità drammatica e della serietà e sinceritàdell'opera d'arte.

Ciò accadde per l'ignoranza dei compositori, i qualimiravano soltanto a scrivere dei pezzi di musica con cui,dal loro punto di vista, far buona figura, traendo certidati effetti dalle voci e dagli strumenti, senzapreoccuparsi se ciò era d'accordo con le esigenzedell'azione e della poesia; e soprattutto per la vanità e laprotervia dei cantanti, i quali non cercavano altro che dimettere in mostra la loro persona, la loro voce e la lorovirtuosità, senza curarsi né punto né poco dei personaggiche dovevano rappresentare.

Così poteva accadere che il compositore, o illibrettista, per far cantare in un finale tutte le vocinecessarie all'effetto, facessero star presente un tenore oun soprano, mentre le esigenze dell'azione lo avrebberovoluto lontano le mille miglia. Il cantante poi voleva averea tutti i costi la sua aria di sortita: c'entrasse o nonc'entrasse con l'azione poco importa: se non ci entrava sifacevano dire al personaggio quattro sciocchezze. E c'eranoperfino dei cantanti che volevano presentarsi sulla scenasempre in gran pompa, vestiti in gran lusso, coperti digioielli, e magari in cocchio, anche se per avventurarappresentassero un contadino o un accattone. Non occorrepoi dire quale effetto avevano sull'opera d'arte igorgheggi, le corone, le “messe di voce”, le cadenze di cuii virtuosi, a pieno loro arbitrio, infioravano la parte.

Tutto ciò ebbe naturalmente una forte ripercussione suicompositori e sul pubblico. I compositori finirono perconcentrare tutta la loro attenzione sulle arie o su qualchearia, trascurando i recitativi e tutto il resto, che pareinvece certo, aveva per l'azione drammatica un'importanzamolto maggiore. E difatti, se noi osserviamo i melodrammidel tempo, troviamo nelle arie una interessante e piacevolenovità; mentre i recitativi di Scarlatti, ad esempio, sonoassai inferiori a quelli di Peri e Caccini. Il pubblicoanche lui non prestava ormai più attenzione che all'aria del“divo”: quando usciva il “divo” o la “diva”41 tutti simettevano in silenzio e ad orecchie tese; cantata l'aria,

41 Più spesso il “divo” che la “diva”: poiché le parti di donna erano, come è noto, il più delle voltesostenute da sopranisti.

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gli spettatori tornavano a chiacchierare e a prendere isorbetti, come se nella scena niente più accadesse.

Tale era ridotto, in generale, il melodramma alprincipio del settecento: cioè una serie di arie più o menobelle, mal cucite fra loro da trasandati recitativi e pezzid'assieme e da una burlesca parvenza di azione: arie chemiravano soprattutto ad appagare i capricci dei cantantisenza alcun rispetto dell'azione rappresentata e dellaverità drammatica. Non mancano in questi lavori delle paginefluenti di melodia, degli episodi espressivi; ma la visionesintetica e sostanziale dell'opera d'arte vi è scomparsa.

Di questo stato di cose si trovano echi giocondamente oamaramente ironici negli scritti e nelle commedie del tempo:la più celebre di queste satire è quella intitolata Ilteatro della moda di Benedetto Marcello42.

La riforma di Gluck

Le cose erano giunte a tal punto che ormai da ogniparte ferveva un desiderio di riforma. E anche qui - comegià osservammo pel Palestrina al momento opportuno giunsel'uomo grande e fortunato che tale riforma impersonò:CRISTOFORO GLUCK43.

42 Fu anche compositore, appartenente alla decadenza della scuola veneziana. Sono celebri i suoi Salmi43 Nato nel 1714 a Weidenwang nell'Alto Palatinato (Germania) e morto a Vienna nel 1787. le principali

sue opere che hanno importanza per la sua riforma – opere che egli scrisse nella maturità, mentre quelleanteriori non si distaccano dalla moda comune – sono: Orfeo, Alceste, Armida, Ifigenia in Aulide,Ifigenia in Tauride. Alcune di esse sono accompagnate da prefazioni, nelle quali l'autore spiega i suoiintendimenti. Ad edificazione dei giovani che voglion dedicarsi al melodramma riportiamo qui la parteseguente della prefazione dell'Alceste, che fu l'opera con la quale Gluck iniziò la sua arte nuova:“Quando presi a far la Musica dell’Alceste mi proposi di spogliarla affatto di tutti quegli abusi, cheintrodotti o dalla mal intesa vanità de’ Cantanti, o dalla troppa compiacenza de’ Maestri, da tanto temposfigurano l’Opera Italiana e del più pomposo, e più bello di tutti gli spettacoli, ne fanno il più … e ilpiù noioso. Pensai di ristringer la musica al suo vero ufficio di servire alla poesia per l'espressione, eper le situazioni della favola, senza interrompere l'azione, o raffreddarla con degli inutili superfluiornamenti; e credei ch'ella far dovesse quel che sopra un ben corretto e ben disposto disegno la vivacitàde' colori e il contrasto bene assortito de' lumi e dell'ombre, che servono ad animar le figure senzaalterarne i contorni. Non ho voluto dunque né arrestare un attore nel maggior caldo del dialogo peraspettare un noioso ritornello, né fermarlo a mezza parola sopra una vocale favorevole, a far pompa inun largo passaggio dell'agilità della sua bella voce, o ad aspettar che l'orchestra li dia tempo di raccorreil fiato per una cadenza. Non ho creduto di dover scorrere liberamente la seconda parte di un'Ariaquantunque fosse la più appassionata, e importante per aver luogo di ripeter regolarmente quattro voltele parole della prima, e finir l'aria dove forse non finisce il senso, per dar comodo al Cantante di farvedere che può variare in tante guise capricciosamente un passaggio: insomma ho cercato di sbandiretutti quegli abusi contro dei quali da gran tempo reclamavano invano il buon senso e la ragione. Hoimmaginato che la Sinfonia debba prevenir gli spettatori dell'azione, che ha da rappresentarsi, eformarne, per dir così, l'argomento; che il concerto degl'istrumenti abbia a regolarsi a proporzionedell'interesse, e della passione; e non lasciare quel tagliente divario nel dialogo fra l'aria, e il recitativo,

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Non so se alcuno abbia messo mai in rilievo lasingolarità del fenomeno Gluck nel settecento: come cioè inquel secolo cui sogliamo dar carattere dalle frivolezze,dalle galanterie, dalla cipria, dalle tabacchiere, daiventagli, dai minuetti, dagli inchini, dalle piroette, daicavalieri serventi, abbia potuto non solo apparire maaffermarsi vittoriosamente e stabilmente un'arte cosìmaschia e nerboruta, di ispirazione così nobile e profonda,di architettura così salda e così atticamente armoniosa, digusto così severo, austero e squisito qual'è l'arte di Gluck

Era il tempo cui allude Don Bartolo nell'immortaleopera di Rossini:

La musica a' miei tempi era altra cosa.

Ah quando per esempio

Cantava Caffariello

Quell'aria portentosa ...

- Quando mi sei vicina,

Amabile Rosina

Il cor mi danza in petto

Mi balla il minuetto...

Tempo felice, tranquillo, sereno, beato: ma anche moltoleggero, vano, superficiale; in cui la coscienza e lasensibilità si erano ristrette, rannicchiate entro unacerchia molto piccina della vita e del mondo.

Fu in questo tempo che visse ed operò Gluck: cioè unuomo che si avvicinò a possedere tutta la coscienzaprofonda, tutta la umanità possente, tutta la sensibilitàsquisita, tutta la nervosità, tutti gli slanci e gli scattidella nostr'anima moderna; e queste sue qualità tradusse inatto, riuscendo con l'opera sua a imprimere un orientamento

che non tronchi a controsenso il periodo, né interrompa mal'a proposito la forza, e il caldo dell'azione.Ho creduto poi che la mia maggior fatica dovesse ridursi a cercare una bella semplicità; ed ho esitato difar pompa di difficoltà in pregiudizio della chiarezza; non ho giudicato pregievole la scoperta diqualche novità se non quando fosse naturalmente somministrata dalla situazione, e dall'espressione; enon v'è regola d'ordine ch'io non abbia creduto doversi di buona voglia sacrificare in grazia dell'effetto.Ecco i miei principi. Per buona sorte si prestava a meraviglia al mio disegno il libretto, il cui celebreAutore, immaginando un nuovo piano per il Drammatico, aveva sostituito alle fiorite descrizioni, aiparagoni superflui, e alle sentenziose e fredde moralità, il linguaggio del cuore, le passioni forti, lesituazioni interessanti, e uno spettacolo sempre variato. Il successo ha giustificato le mie massime, el'universale approvazione in una Città così illuminata, ha fatto chiaramente vedere, che la semplicità, laverità, e naturalezza sono i grandi principi del bello in tutte le produzioni dell'arte.”

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vigoroso e duraturo nel gusto musicale e teatrale delpubblico e degli artisti che gli furon contemporanei e glisuccedettero.

Per intendere come sia stato possibile questo fenomenooccorre pensare che la cosiddetta “riforma di Gluck” fudovuta alla collaborazione di due uomini: un barbarogermano, che lungi dall'essere stato educato in mezzo allafrivolezza delle corti e della società galante, era nato frale aspre montagne dell'Alto Palatinato, ed aveva passato lasua giovinezza ed adolescenza all'aria libera irrobustendo isuoi muscoli e formando a sanità il suo cervello fra i campied i boschi del suo paese natale e della Baviera, dove suopadre umile guardiano di foreste si era trasferito alsecond'anno di età del piccolo Cristoforo ; e un italiano dimolta intelligenza e di forte volontà, che aveva maturato ilsuo gusto ad attica severità ed eleganza sulla poesia esull'arte di Grecia e di Roma: Ranieri de' Calzabigi.

È ormai assodato che il poeta Ranieri de' Calzabigi, diLivorno, librettista di Gluçk, ebbe una larga parte nellasua riforma. Non che egli infondesse il genio a Gluck, percarità. Ma egli suggerì a lui, con lucida visione e confermo e ferreo volere, la strada da percorrere; gli diede iltimone, la bussola. E non si può immaginare che cosa ciòvalga per un artista. Gluck senza De' Calzabigi non avrebbecertamente fatto quello che ha fatto.

Oltre a questa fortunata collaborazione, per spiegarsiil fenomeno Gluck, occorre pensare anche ad un altro fatto:che cioè andiamo avvicinandoci agli ultimi decenni delsettecento; e che quindi, dinanzi all'alba vermiglia dellarivoluzione di cui già le prime traccie appaionoall'orizzonte, le fronti, già serene e sorridenti,cominciano a incresparsi e corrugarsi; nelle vene, cui giàsoltanto irrorava un soave nettare di rose, comincia ascorrere virile ed amaro sangue; i cuori, dalla beatitudinee pace arcadica, cominciano a tremare e a scuotersi sotto ibrividi di una coscienza e di uno spasimo nuovo.

Tale fu il momento storico - momento di maschia eardente rinascita - di cui fu prodotto la cosiddetta“riforma di Gluck”; cui mi sembrano corrispondere, peresempio, nella poesia italiana il Parini, il Foscolo,l'Alfieri.

Sotto l' aspetto musicale una osservazione convienefare intorno a Gluck. Egli predicò, è vero, il rispetto alla

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verità drammatica ; ma, a differenza di altri veri osedicenti riformatori i quali per il rispetto alla poesia ealla parola finiscono per sopprimere o deformare nellemaniere più inconcepibili la musica (nel qual caso sarebbemeglio rinunziare a scrivere un melodramma, e contentarsi discrivere un dramma) egli, oltre a rispettare la poesia e laverità drammatica, rispettò anche la musica; e la musicanelle sue opere mantiene sempre la sua libertà disvolgimento, la sua euritmia e ampiezza di architettura. Lacompostezza classica di Gluck può talvolta a noi sembrare unpo' accademica; ma è certo che nei suoi melodrammi non c'èun momento in cui la musica venga sacrificata e contortasotto l'imperio di elementi estranei.

Non si può dire altrettanto se noi osserviamo gli altridue momenti della storia del melodramma che hanno analogiacon la riforma di Gluck: cioè il momento delle origini, e lariforma, di Wagner.

Nei primi melodrammi la musica viene a mancare per lastessa primitività di quell'arte e per la voluta, e in quelmomento significativa, rinunzia di coloro che tale arteiniziarono. In Wagner non si può dire che, pel modo con cuiegli intende il rispetto e la prevalenza del dramma, lamusica sia sempre, specialmente nella parte vocale,rispettata e lasciata libera nel suo naturale svolgimento.

E poi in riguardo a Wagner un'altra osservazioneconvien fare: che cioè la riforma di Gluck ebbe nella storiadel melodramma una portata universale, che è quanto direitaliana, poiché il melodramma universale era in quel tempoitaliano; mentre la riforma melodrammatica di Wagner ebbeuna portata prettamente tedesca, e si può considerareestranea al melodramma italiano.

Grande fu il chiasso che suscitò la riforma di Gluckspecialmente a Parigi, che era allora e durò per molto tempoad essere il maggior centro musicale. Furon celebri le lottefra le diverse tendenze: prima fra i Buffonisti eAntibuffonisti; poi fra i Gluckisti e i Piccinnisti (gliavversari di Gluck avevano preso a segnacolo il compositoredella scuola napoletana Piccinni).

Ma infine l'arte di Gluck si impose vigorosamente, edesercitò una profonda influenza sui contemporanei esuccessori di lui: influenza che si manifestò nella sceltadei soggetti ispirati all'antichità classica, nella nobiltàe armoniosità dell'architettura musicale, nell'equilibrio

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fra musica e poesia.

Fra i contemporanei di Gluck che seguirono il suoindirizzo son da ricordarsi: Antonio Sacchini (Edipo aColono), Antonio Salieri (Le Danaidi): in Francia EtiénneMéhul (Giuseppe).

Fra i continuatori di Gluck i più grandi furono: LUIGICHERUBINI44 e GASPARE SPONTINI45.

Cherubini fu compositore nobile ed austero; ma nellesue opere teatrali gli manca forse la vivacità e lo slancioche si richiede in questo campo dell'arte: di esse rimangonocome ottimi modelli le ouvertures. Fu nella musicastrumentale da camera (quartetti) e nella musica sacra(Requiem) che egli raggiunse la vera eccellenza.

Spontini invece è il vero compositore teatrale, alato,ispirato, grandioso, pittoresco. Egli può essere consideratocome il padre della grande opera moderna.

L'opera italiana nel secolo XIX

Dopo Spontini viene Rossini.

Finchè anche l'ambiente musicale italiano è stato sottola suggestione di giudizi poco sereni di Riccardo Wagner, siè creduto e ripetuto che l'opera italiana abbia attraversatonel secolo XIX un periodo di decadenza. Niente di piùinesatto.

É molto giusto invece quanto diceva Giuseppe Verdi: checioè tutti i periodi e tutte le scuole artistiche hanno leloro convenzioni e le loro forme; e, morta una convenzione eforma, ne nasce un'altra.

La forma del dramma musicale wagneriano non è menoconvenzionale della forma tipica del melodramma italiano. Ecome Wagner è Riccardo Wagner, e i suoi imitatori sono lagente misera che tutti conoscono, così l'opera italiana delsecolo XIX ha avuto artisti che hanno saputo infondere inquelle forme convenzionali tale ardore di vita da crearneopere d'arte possenti e immortali, e compositori mediocri epiccini che non hanno saputo far altro che attirare attornoalle forme stesse il discredito e il dispregio.

44 Nato a Firenze nel 1760, visse a Parigi dove fu direttore del Conservatorio di musica: ivi morì nel1842. le sue principali opere teatrali sono: Medea, Il portatore d'acqua.

45 Di Majolati preso Jesi (1774-1851). Visse anch'egli quasi sempre all'estero, a Parigi e Berlino. La suaopera più celebre è La Vestale; altre sue opere sono Olimpia, Fernando Cortez.

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Non solo, come vedremo, la riforma di Wagner ebbe unvalore assai diverso da quella di Gluck, ma le condizionidel melodramma italiano all'apparire di Wagner erano bendiverse da quelle in cui esso fu trovato da Gluck. Alprincipio del settecento il melodramma era stato in realtàdistrutto dai cantanti: nella prima metà del secolo XIX cisarà stato anche qualche cantante che spadroneggiava, e lesue parti venivano spesso scritte (cosa questa giustissima enaturalissima) per questo o per quell'interprete; ma gliartisti in quel tempo cantavano, e vivevano il loropersonaggio, e, non solo con la bellezza della voce e delcanto, ma anche con la forza del dramma da lorointerpretato, incatenavano, inebriavano, facevano piangerele platee. E il Guglielmo Tell, il Barbiere, la Norma, laSonnambula, il Don Pasquale, la Lucrezia Borgia, laTraviata, il Rigoletto, sono capolavori che può ben dirsirappresentino il più alto grado di splendore, di italianità,di forza espressiva raggiunta dal melodramma italiano.

Nominando tali opere abbiamo già rievocato i quattrograndi spiriti che informarono di sè l'opera italiana delsecolo XIX.

Di GIOACCHINO ROSSINI46 si parla comunemente come del numedella giocondità. Chi conosce da vicino la sua vita sa qualeanima in tempesta si celasse sotto quella apparenzaridanciana e ghiottona; e chi conosce anche solo le sueprincipali opere sa che egli fu altrettanto grande nel serioe nel tragico come nel comico. Il Guglielmo Tell – perfermerci solo a questo capolavoro - ha pagine in cuil'angoscia e i più maschi e i più cocenti sentimenti umanitrovano una espressione di sovrumana possanza, e che nonsono meno vive e ispirate delle deliziose pagine delBarbiere.

Come Rossini deve molto a Spontini, così Rossiniesercitò una grande influenza sui suoi contemporanei esuccessori, e anche su Bellini, Donizetti, Verdi. Maciascuno di questi artisti ha una personalità sua propria,

VINCENZO BELLINI47, pur nella sua anima fervidamenteaccorata e appassionata, ha qualcosa di casto, qualcosa

46 Nato a Pesaro nel 1792, morto a Passy presso Parigi nel 1868. Opere principali: (serie) Guglielmo Tell,Semiramide, Otello, Mosè; (comiche) Il Barbiere di Siviglia, La Cenerentola, La Gazza Ladra, IlConte Ory. Rossini scrisse anche della musica sacra (Stabat Mater) nello stile drammatico del tempo, edella elegantissima musica vocale da camera.

47 Nacque in Catania nel 1801, morì a Parigi nel 1835. Opere principali: Norma, La Sonnambula, IPuritani, Giulietta e Romeo, Il Pirata, La Straniera, Beatrice di Tenda.

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della purezza e compostezza greca. La sua Norma ha uncarattere di austerità e nobiltà che, a differenza e moltopiù delle altre opere del suo tempo, si avvicina ai Greci, aGluck e a Spontini (Vestale). La Sonnambula è un modelloimperituro di soave idillio campestre.

GAETANO DONIZETTI48, autore genialissimo e fecondissimo,ha anche lui la sua personalità spiccata e simpaticissima:un certo che di ardente e di penetrante nel rendere lepassioni d'amore, una tenerezza tutta sua, una eleganzasquisita e un brio inesauribile nelle opere comiche. Laserenata e il duettino d'amore del Don Pasquale, l'ultimoatto della Favorita, molte parte della Lucrezia Borgia nonpotrebbero che essere state scritte da lui.

Sarebbe irriverente parlare a lungo di GiuseppeVerdi49, le cui opere abbiamo tutti nel cuore: della suaumanità d'ispirazione, del suo maschio vigore drammatico,della logica avvincente della sua musica, della delicatezzadi certi suoi quadri, del suo continuo progredire verso unideale di perfezione.

Attorno a questi quattro grandi fiorirono una quantitàdi autori minori, i quali - poichè in quel tempo felicecomporre non significava trovare un preteso accordo nuovo adogni battuta, ma abbandonarsi alla sincerità e al fervoredel discorso musicale nel linguaggio materno - scrisseroinnumerevoli opere, molte delle quali fan degna coronacorona ai capolavori dei sommi. Ricordiamo i nomi diGiovanni Pacini, Saveric Mercadante, dei fratelli Ricci, diLauro Rossi, Antonio Cagnoni, Enrico Petrella, GiuseppeApolloni, Carlo Pedrotti.

La riforma di Wagner

RICCARDO WAGNER50 - il colossale artista che può esser

48 Di Bergamo (1797-1848). Scrisse circa 70 opere, di cui le principali sono: Lucrezia Borgia, LaFavorita, Lucia di Lammermoor, Anna Bolena, Parisina, Poliuto, Don Sebastiano (serie); DonPasquale, L'Elisir d'amore, La Figlia del Reggimento (comiche); Linda di Chamounix (semiseria).Anche Donizetti ha lasciato squisite melodie da camera.

49 Nato a Roncole nel 1813, morto a Milano nel 1901. Opere principali: (in ordine cronologico) Nabucco,Ernani, Rigoletto, Il Trovatore, La Traviata, Un Ballo in maschera, La Forza del destino, Don Carlos,Aida, Otello, Falstaff. Di lavori estrani al teatro, Verdi ha scritto un grandioso Requiem, un Quartettod'archi, e i Pezzi sacri.

50 Nato a Lipsia nel 1813, morto a Venezia nel 1883. Opere (in ordine cronologico): Rienzi, Il Vascellofantasma, Tannhäuser, Lohengrin, Tristano e Isotta, I Maestri cantori; la tetralogia L'Anello delNibelungo le cui parti sono intitolate L'Oro del Reno (prologo), Le Walkirie, Sigfrido, Il Crepuscolodegli Dei; e finalmente il Parsifal. Wagner propugnò anche validamente la sua riforma con gli scritti:di cui i principali sono Opera e Dramma, L'Opera d'arte dell'avvenire, Arte e Rivoluzione.

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messo a pari dei grandissimi di ogni tempo - partì nella suariforma dagli stessi principii di Emilio De' Cavalieri e diGluck. Ma, per le diverse condizioni in cui egli trovò ilmelodramma, e per gli speciali caratteri che egli diede alsuo dramma musicale, la sua riforma ebbe un valore assaidiverso. È vero che il melodramma di tutti i paesi risentìl'influenza di Wagner, in quanto che dappertutto ne derivòun maggior rispetto della verità drammatica, una limitazionedei capricci dei cantanti, una maggiore accuratezza delpoema, un maggiore sviluppo e una maggiore elaborazionedella parte orchestrale. Ma il dramma musicale wagnerianonon operò e non poteva operare un cambiamento di forma neglialtri tipi di melodramma cui l'autore parve contrapporlo. Ilmelodramma italiano è e rimarrà sempre - per la sua naturabasata sul canto vocale – una cosa affatto diversa eindipendente dal dramma musicale di Wagner.

Perciò la riforma wagneriana ebbe una portatauniversale sotto l'aspetto spirituale, musicale, drammatico;ma non altrettanto nella storia del melodramma. Wagner avevaragione quando si proclamava il fondatore dell'operanazionale tedesca.

Per dare un'idea con poche parole della natura estruttura del dramma musicale wagneriano dirò che esso puòdefinirsi un dramma sinfonico: in esso, cioè l'espressionemusicale del dramma, che nelle opere italiane è affidataprincipalmente alle voci dei personaggi, è trasportata inorchestra: nella quale dei motivi conduttori simboleggianole diverse forze e i diversi elementi che sono a conflittonel poema. Fra questi motivi si viene a stabilire unconflitto sinfonico che corrisponde fedelmente al conflittodrammatico e lo segue passo passo.

Il canto dei personaggi ha il carattere di unrecitativo, che si potrebbe paragonare a quello dei primifiorentini, se non fosse continuamente inceppatodall'obbligo di seguire la trama sinfonica dell'orchestra.

Oltre a ciò la natura degli argomenti, tolti dai mitinazionali germanici, e il modo con cui sono trattati dà aldramma musicale di Wagner un carattere assai lontano dallaimmediatezza e dall'ardore e dalla rapidità di esplicazionedel sentimento umano che caratterizzano l'anima latina, edalla nostra tendenza alla rappresentazione diretta econcreta e alla sintesi.

Ma Wagner è una tale figura che ha un interesse assai

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maggiore di quello che non derivi dalla peculiare forma edal peculiare contenuto ideale dei suoi drammi musicali:Wagner fu un genio musicale grandissimo, un artista profondoe complesso in cui le qualità del poeta, del musicista, delpensatore si fondono in una superiore armonia.

E, se noi abbiamo messo in guardia il giovane musicistaitaliano a non voler subire ciecamente la sua influenza perciò che v'è in lui di specificamente tedesco, nello stessotempo lo invitiamo a volgere alla figura e alle opere diWagner tutta l'attenzione e tutto lo studio che si volge aigrandissimi: la sua fibra non potrà non uscirne affinata erinvigorita.

L'opera in Francia e in Germania prima di Wagner

Il melodramma, come fu creazione italiana, così peroltre due secoli si mantenne - si può dire, quasiesclusivamente - una forma d'arte italiana.

Negli altri paesi non si eseguivano che opere di autoriitaliani; e gli autori stranieri componevano le loro operesul modello delle italiane e in lingua italiana.

Non mancano - dietro l'esempio del melodramma italianoche aveva conquistato rapidamente tutti i paesi - tentatividi scrivere opere nelle lingue locali: ma perché questitentativi portino alla formazione di una vera operanazionale occorre arrivare al secolo scorso.

L'iniziatore dell'opera nazionale in Francia fu unitaliano: Giambattista Lulli51 che trovò un continuatore inGiovanni Filippo Rameau52. Dopo Rameau si ebbe in Francia unlungo periodo di predominio dell'opera italiana. E fu sottol'influsso dell'opera comica italiana che ebbe più tardiorigine l'opera comica francese: tra i cui rappresentantison da ricordarsi Andrea Grétry (1741-1813) e Daniele Auber(1782-1871). Da questi scaturì l'opera francesecontemporanea.

In Germania fu risentito così rapidamente l'influssodel melodramma italiano che già nel 1627 Enrico Schütz - ilcompositore protestante precursore di Bach - scrisse laDafne sullo stesso testo di Rinuccini tradotto in tedesco.

51 Nato a Firenze nel 1632, ma vissuto sempre a Parigi dove morì nel 1687. Opere principali: Alceste,Teseo.

52 Di Digione (1683-1764). Opere principali: Ippolito e Aricia, Dardano, Castore e Polluce. Rameauscrisse anche un importantissimo studio su l'armonia, in cui egli per primo fissò le basi dell'armoniamoderna.

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Ma questi tentativi di opere in tedesco rimasero sempreinfecondi. Gli stessi melodrammi del grandissimo Mozart, dicui parleremo altrove, hanno carattere prettamente italianoe sono scritti quasi tutti in italiano. Solo nel secoloscorso ebbe inizio una vera opera nazionale tedesca. Wagnerattribuì a sè - e giustamente - di esserne il fondatore: maegli riconosceva di avere dei precursori, principale CarloMaria Weber53, autore pittoresco e ispirato, che espressemirabilmente nelle sue opere tutta la poesia dell'animatedesca, e che fu il principale rappresentante, nelmelodramma, del periodo romantico. Suoi contemporanei furonoLuigi Spohr ed Enrico Marschner.

Un altro autore, tedesco di nascita, di poco anteriorea Wagner ma di lui molto lontano per intendimenti e idealiartistici, fu Giacomo Meyerbeer (2)54.

Anche in altri paesi a poco a poco andò effettuandosinel secolo scorso il proposito di fondare un'operanazionale. Accenneremo soltanto alla Russia (Glinka, Cui,Mussorgski, Ciaikovski) e alla Boemia (Smetana, Dvorak),

La musica strumentale

È facile comprendere come, nello svolgimento dell'artemusicale, l'uomo abbia prima tratto profitto dall'istrumentotonale naturale, che il suo organismo gli offriva prontoall'uso, cioè la voce umana, e solo più tardi abbiaprofittato degli strumenti artificiali ch'egli ha dovuto apoco a poco inventare e lentamente perfezionare.

Mentre la storia della parola cantata, fino dai tempipiù remoti, a cui risale, ha interesse anche ne' riguardidell'arte odierna, e mentre la polifonia vocale, comeabbiamo visto, già alla fine del Medioevo aveva raggiunto ilmassimo del suo sviluppo tecnico, la nostra musicastrumentale - se si tolgono le ingenue manifestazionipopolaresche, specialmente accompagnamenti di danze, che siincontrano presso tutti i popoli, anche primitivi - è unprodotto esclusivamente dell'Età Moderna, e le sue origininon si spingono più in là di tre o quattro secoli da noi,più in là del Rinascimento.

E la musica strumentale - in base a quella legge per

53 Nato a Eutin nel 1786, morto a Londra nel 1826. Opere principali: Freischutz, Oberon, Euryante.54 Nato a Berlino nel 1791, ma vissuto quasi sempre fuor del suo paese; morto a Parigi nel 1864. La sua

produzione ha un carattere internazionale, e mira soprattutto all'effetto, senza ispirarsi a superioriidealità. Opere principali: Gli Ugonotti, Roberto il Diavolo, Il Profeta, Dinorah, L'Africana

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cui i deboli, fin che son tali, si appoggiano ai forti - fuda principio stretta derivazione e imitazione della vocale.

L'impiego principale degli strumenti nel Medioevo fuquello di raddoppiare e correggere le voci nella polifonia.Col perfezionarsi degli strumenti medesimi e col modificarsidelle tendenze dell'arte, accadde il fenomeno cui giàfacemmo cenno a proposito del passaggio dalla polifonia allamonodia vocale accompagnata.

Gli strumenti andarono cioè gradatamente sostituendosialle voci: in quanto, per esempio, rimaneva a cantare unavoce o qualche voce mentre la parte delle altre era sonatadai soli strumenti; o nelle composizioni a più strofe, comele canzonette e le villanelle, per dare varietàall'esecuzione, si faceva cantare una strofa da tutte levoci al completo, un'altra, per esempio, dal solo sopranomentre le altre voci erano sostituite da strumenti, o trauna strofa e l'altra per dare riposo ai cantori si facevaripetere dai soli strumenti a mo' di ritornello la stessamusica scritta per le voci: oppure finalmente i sonatoriamavano rifare sul loro strumento per loro gusto lecomposizioni destinate alle voci, come anche oggi piace diriprodurre sul pianoforte solo o su altri strumenti lecomposizioni vocali più celebri e favorite.

Tale fu - per un certo lato, poiché dall'altro lato vientrò anche in larga parte l'elemento popolare - l'originedella musica strumentale moderna; la quale da principio ebbestrettissimi legami di derivazione, e per conseguenza anchedi caratteri, con la musica vocale.

Gli strumenti più antichi per i quali fu scritta musicastrumentale autonoma - autonoma di fatto se non di natura -furono l'organo, il clavicembalo, il liuto, il violino.

I primi tre precedettero, poiché come strumentipolifonici, permettevano di riunire tutte le voci dellapolifonia vocale in mano di un solo esecutore55.

Tutti i compositori del periodo di fiore dellapolifonia vocale furono, per esigenze inerenti alla loroprofessione, anche organisti. Già sin dal trecentoincontriamo in Firenze Francesco Landino, il cieco degliorgani, e poco più tardi Antonio Squarcialupi, detto

55 L'organo (e il cembalo) e il liuto avevano già nel quattro-cinquecento delle scritture speciali a base dilettere e numeri, chiamate intavolature: e in questi secoli insieme con le composizioni originali per vociaccade spesso di veder pubblicata una fedele trascrizione delle composizioni medesime in intavolaturedi liuto o di cembalo

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anch'esso degli organi.

Nel cinquecento si cominciarono a stampare composizioniper organo (canzoni, ricercari, toccate): e ne possediamospecialmente dei maestri della scuola veneziana, di ClaudioMerulo e dei due Gabrieli.

Ma il più grande di tutti questi primi compositoriorganisti fu GIROLAMO FRESCOBALDI56, autore da porsi fra i piùcospicui per forza di ispirazione, per sviluppo tecnico eper l'interesse dell'armonia. Le sue composizioni risentonosempre dell'influenza della musica vocale: ma egli trattò lostile fugato e legato con tale ricchezza e varietà dirisorse che vien considerato giustamente il fondatore dellafuga strumentale.

I compositori violinisti e clavicembalisti

Con l'ulteriore perfezionarsi degli strumenti e colprogredire dell'arte di sonarli, accadde che i compositoriandarono a poco a poco allontanandosi dalla strettaimitazione dello stile vocale, e cominciarono a trarprofitto dalle risorse tecniche e dalle caratteristiche diciascun strumento, risorse e caratteristiche che, pureavendo dei punti di contatto, sono ben diverse fra la voceumana e il clavicembalo, il violino e l'organo, e fra questistrumenti tra loro.

Così, mentre le composizioni più antiche per cembaloper violino e per organo si assomigliano tra loro, e tuttepoi somigliano alle composizioni vocali, a poco a poco andòformandosi uno speciale stile per ciascuno strumento, incorrispondenza delle qualità tecniche e della natura dellostrumento stesso.

Questo passaggio avvenne gradatamente, in quanto gliesecutori prima cominciarono a variare sul loro strumento ipassaggi vocali che accadeva loro di accompagnare oriprodurre: poi si passò a scrivere delle vere composizionioriginali per i singoli strumenti.

Col decadere della polifonia vocale decadde l'arte disonare l'organo: e il liuto fu ben presto vinto dallaconcorrenza degli strumenti ad arco: rimasero così acontendersi il campo il violino e il clavicembalo, per i

56 Nato a Ferrara nel 1583, morto a Roma, dove fu organista a San Pietro, nel 1644. Fu celebratissimocome esecutore e compositore; di lui possediamo in edizioni del tempo, molte raccolte di composizioniper organo (Fantasie, Ricercari, Canzoni, Toccate, Partite, Capricci, Arie). Un'accurata ristampamoderna di opere di Frescobaldi è dovuta a Felice Boghen.

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quali venne alla luce rapidamente tutto un patrimonioricchissimo di musica strumentale.

Padre e principe dei compositori violinisti italiani fuARCANCELO CORELLI57, compositore importantissimo tanto sottol'aspetto tecnico che artistico: in quanto da un lato eglipose solidamente i fondamenti della tecnica del violinoricavando dall'istrumento nuovi effetti (si dice che Corellisia stato il primo a profittare delle doppie corde); da unaltro con opere vigorose, decise ed originali creò i primimonumenti della musica per archi.

Attorno a Corelli e dopo di lui fiorì in Italia unagloriosa schiera di compositori violinisti, tra i qualiricordiamo: (sec. XVII-XVIII) Bassani, Vitali, Torelli,Antonio Veracini, Vivaldi; (sec. XVIII) Locatelli, Nardini,Tartini58, Francesco Maria Veracini; a traverso i quali siarriva nel secolo scorso al grande Paganini.

Un geniale e fecondo compositore italiano di musicad'insieme per archi, che può stare a fronte dei maestritedeschi del settecento suoi contemporanei, fu LUIGIBOCCHERINI59.

Nella storia della musica per clavicembalo - fino allatrasformazione di questo strumento nel pianoforte e relativopassaggio dalla musica clavicembalistica alla musicapianistica - si possono distinguere tre periodi.

Durante il primo periodo - che va dalle origini alsecolo XVII, e che si può chiamare periodo organistico – lamusica per clavicembalo fu strettamente legata con la musicavocale. Tutti i maestri organisti di cui abbiam sopra fattoparola - da Frescobaldi agli altri minori - furono ancheclavicembalisti, e la musica da loro scritta per organo,strumento allora tenuto in prima linea, veniva eseguitaanche sul clavicembalo.

57 Nato a Fusignano in Romagna nel 1653, morto a Roma nel 1713. Ci ha lasciato diversi libri di Sonateda camera e Sonate da chiesa, e dodici Concerti grossi. Il nome di queste ultime composizioni derivada questo, che in esse il trio dei solisti (Concertino) era accompagnato da una intera massa di archi(Concerto grosso).L'edizione completa delle opere di Corelli è stata pubblicata con molta cura da Joachim, a Londrapresso Augener. In Italia Ettore Pinelli – il compianto violinista e maestro nel nostro Conservatorio –pubblicò, presso Ricordi, un'ottima edizione delle 12 Sonate dell'Opera quinta, con una bellaintroduzione illustrativa.

58 Il celebre autore del Trillo del Diavolo, che si occupò anche di fisica armonica, e diede il nome al“suono di differenza” da lui scoperto. Nacque a Pirano nell'Istria, nel 1692,

59 Nato a Lucca nel 1743, morto a Madrid nel 1805. Compose 91 quartetti, 125 quintetti, 43 trii conpianoforte, 54 trii per archi, oltre a molte altre opere.

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Il secondo periodo - periodo clavicembalisticopropriamente detto - segna, col decadere della musicapolifonica vocale e organistica, l'affermarsi e il trionfaredella musica per clavicembalo sulla musica d'organo. Sicominciano a scrivere composizioni originali perclavicembalo, e il loro numero cresce rapidamente, in modoche il clavicembalo diventa a poco a poco, a dannodell'organo, il solo strumento a tastiera per cui si scrivamusica. E ciò portò per conseguenza il formarsi di unostile clavicembalistico che succede allo stile organistico.Si arrivò cioè ben presto a trarre tutto il profitto dallerisorse tecniche dell'istrumento, così diverse da quelledell'organo e della voce umana: con scale rapide, conarpeggi, con trilli, con appoggiature, con ornamenti di ognigenere. Lo stile brillante e monodico-accompagnato succedeallo stile legato e fugato. Rappresentante principale diquesto periodo, in cui l'arte del clavicembalo si manifestònel suo più schietto carattere, fu il più grande e il piùnoto dei clavicembalisti italiani: DOMENICO SCARLATTI60.

Il terzo periodo - che si potrebbe chiamare periodoclavicembalistico-pianistico - è caratterizzatodall'apparire nella musica per clavicembalo di una nuovatendenza, secondo la quale essa - con un processo inverso aquello seguito nel paesaggio dal primo al secondo periodo, ein una maniera diversa, corrispondente alle mutatecondizioni e ai nuovi progressi della musica vocale -diventa a poco a poco più espressiva e cantabile. E perquesto nuovo tipo di musica il clavicembalo, coi suoi suonisecchi e assai poco suscettibili di gradazione dinamica, nonsi presta più. Essa pare scritta per un nuovo strumentoideale di là da venire, strumento del cui effetto ilclavicembalo non dava che una falsariga, un'ossatura, unabbozzo. Preciso riflesso tecnico-meccanico di questaevoluzione artistica della musica per clavicembalo fu latrasformazione del clavicembalo in pianoforte.

Durante questo periodo di transizione (che maturò nellaprima metà del secolo XVIII) fiorì in Italia, con centro aVenezia, una gloriosa schiera di clavicembalisti, i quali

60 (1685-1757). Nato a Napoli, figlio di Alessandro, il famoso compositore d'opere della scuolanapoletana. La serie delle composizioni per clavicembalo di Domenico Scarlatti è molto numerosa(oltre 300). Non è difficile trovarne, anche in Italia, ristampe moderne: di particolar valore quellacurata da Alessandro Longo, edita da Ricordi.È bene notare fin da ora che la parola sonata applicata alla maggior parte delle composizioni diScarlatti, ha un valore affatto diverso da quello assunto più tardi, e che ha ai giorni nostri. Essa cioé staad indicare una composizione in un sol tempo, una specie di canzone.

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hanno grande importanza anche perché posero le basi dellasonata moderna. I principali fra essi furono GIOVANNI PUTTI, eBALDASSARE GALUPPI, detto dal suo luogo di nascita ilBuranello61.

Compiutasi la trasformazione del clavicembalo inpianoforte, il primato della musica per quest'ultimostrumento passò, come vedremo, alla Germania.

Tra i compositori pianisti italiani va ricordato eposto alla pari coi più reputati artisti degli altri paesi,suoi contemporanei – MUZIO CLEMENTI62.

Cenni storici sul pianoforte e sul violino

Gli strumenti antenati del pianoforte sono: ilclavicordo e il clavicembalo.

Questi due strumenti non rappresentano due gradisuccessivi nello sviluppo dello stesso strumento; ma furonoindipendenti l'uno dall'altro, e in uso contemporaneamente eparallelamente.

Le prime notizie tanto sul clavicordo che sulclavicembalo risalgono al secolo XIV; ed ambedue questistrumenti - il clavicembalo più diffuso del clavicordo - aimantennero in uso finché il pianoforte non prese il loroposto, nel corso del secolo XVIII.

Nel clavicordo il suono si otteneva battendo le cordeper mezzo di certe lamine di rame, mosse dai tasti, chiamatetangenti. Cosicché esso aveva del pianoforte già le qualitàdi essere, oltre che strumento a corda e a tastiera, anche apercussione. Ma ne differiva sostanzialmente per un'altraragione, che era questa: che nel clavicordo una stessa cordaserviva a dare più suoni; e ciò accadeva in quanto piùtangenti la battevano nell'uno o nell'altro dei punti in cuila corda si divide per dare i vari armonici, provocando cosìla vibrazione ora di una data frazione ora di un'altra della

61 Degli studi fondamentali sui clavicembalisti italiani furono pubblicati nella Rivista musicale italiana daFausto Torrefranca. Egli si propone anche di pubblicare delle composizioni di questi autori, che per lasecolare nostra trascuratezza giacciono in gran parte inedite; il che è valso a falsare profondamente adanno dell'Italia la storia delle origini della musica strumentale moderna. Il Torrefranca ha giàannunziato la pubblicazione di sedici sonate di Giovanni Platti; pubblicazione che è da augurarsiavvenga presto per la rivendicazione delle nostre glorie artistiche, e per il bene dell'arte italiana.

62 Nato a Roma nel 1752. morto a Londra nel 1832. Fu esecutore e insegnante di grande valore, autore dipregevoli composizioni (106 sonate) e di importanti opere didattiche, fra cui la principale è il Gradusad Parnassum. A Clementi mette capo una vera scuola nell'arte del pianoforte: Cramer, Field,Moscheles, Kalkbrenner furono suoi allievi.

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corda stessa63,

Il clavicembalo invece, mentre aveva col pianofortecomuni le qualità di essere strumento a corda e a tastiera edi possedere per ogni suono la propria corda, se nedistaccava per questo: che non era uno strumento apercussione, ma a pizzico. In esso cioè i tasti nonmettevano in moto dei martelletti, ma delle punte di penna odi cuoio applicate a bastoncini di legno chiamatesalterelli, le quali pizzicavano la corda64. Per il restodel meccanismo il clavicembalo era quasi in tutto uguale alpianoforte: esso aveva già uno scappamento (specie di mollache faceva tornare a posto il salterello immediatamente dopopizzicata la corda) e degli smorzatori.

Cosicché quando, nel 1711, BARTOLOMEO CRISTOFORI daPadova, cimbalaro in Firenze, trasformò il clavicembalo inpianoforte - parola che derivò dalla espressioneclavicembalo col piano e col forte che il Cristofori adottòper caratterizzare il nuovo strumento - non fece chesostituire i martelletti ai salterelli.

Dal Cristofori fino ad oggi il pianoforte non haricevuto modificazioni sostanziali: soltanto se ne ècresciuta l'estensione65, e la costruzione ne è diventatavia via più robusta e più raffinata col progredire delleesigenze tecniche e artistiche (Liszt ha avuto su ciò moltainfluenza). L'unico perfezionamento degno di nota fu ildoppio scappamento, introdotto da Sebastiano Erard nel 1823.

Il violino - senza risalire agli incerti precedentidegli strumenti ad arco nei tempi più antichi, come lacrolla dei bretoni - ha avuto origine dalla viola

63 Una tradizione radicata fa risalire il clavicordo al monocordo, uno strumento fisico che si diceinventato da Pitagora, e che fu usato largamente nell'antichità e nel medioevo per misurare gli intervallimusicali e per dare l'intonazione ai cantori. Il monocordo consisteva in origine in una corta tesa soprauna cassetta rettangolare: lungo tale corda poteva scorrere un ponticello mobile per mezzo del quale lacorda poteva essere divisa in due parti in una maniera voluta qualunque. Più tardi all'unico ponticellomobile furono sostituiti più ponticelli fissi collocati sotto la corda nei punti precisi corrispondenti alleprincipali divisioni che solevano praticarsi (cioè alla metà, un terzo, un quarto, ecc.); ponticelli chevenivano spinti a premere la corda sollevandoli per mezzo di tasti. Più tardi ancora questi ponticellifurono costruiti in modo da servire non solo a frazionare la corda, ma anche a farla sonare: e questosegnerebbe il passaggio dal monocordo al clavicordo.

64 Al clavicembalo erano dati diversi nomi a seconda della forma, della grandezza, dei paesi. La spinettaera un clavicembalo di piccole proporzioni. In Inghilterra il clavicembalo era chiamato virginale. Molteopere per virginale ha composto ENRICO PURCELL (1658-1695), il più grande dei compositori inglesi.

65 Ai tempi di Beethoven l'estensione del pianoforte era ancora soltanto di cinque ottave, dal fa al fa: siguardino, ad esempio, nel primo tempo della settima sonata,gli aggiustamenti al suo pensiero musicale,cui Beethoven talvolta è costretto dalla limitata estensione del suo strumento.

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medioevale, che si presentava in numerosi tipi, diversi performa, per numero di corde e anche per nome (ribeca, giga,ecc.).

Chi trasformò la viola medioevale nel violino moderno,fissando la forma che poi è rimasta definitiva, e stabilendoanche le dimensioni dei vari membri della famiglia distrumenti ad arco, furono (prima di loro è da menzionarsiGaspare da Salò) i fabbricanti cremonesi a partire dalsecolo XVI. Questi fabbricanti i trasmettevano l'arte lorodi padre in figlio; e sono celebri specialmente le famigliedei Guarnieri, degli Amati, degli Stradivari.

Gli strumenti ad arco furono per molto tempo distintiin due tipi, a seconda della maniera di sonarli: viole dabraccio, che corrispondevano ai nostri violino e viola; eviole da gamba che corrispondevano al nostro violoncello.

Origini della sonata e della sinfonia

I numerosi nomi che si incontrano nel tempo più antico(periodo polifonico organistico) a proposito della musicastrumentale, come, per esempio, fantasia, ricercare,canzone, capriccio, aria, sonata, concerto, non stanno adindicare tante forme nettamente differenziate dicomposizione; ma dei liberi divertimenti nello stile fugatosu un tema per solito popolare, che per le necessità diandamento e di sviluppo degli artifizi contrappuntistici ècostretto a perdere, dopo l'inizio, ogni traccia della suanatura originaria.

A poco a poco, con l'imporsi del sentimento popolarenella musica d'arte e col sostituirsi, anche nella musicastrumentale, della monodia accompagnata alla polifoniacontrappuntistica, accadde che queste composizionistrumentali andarono assumendo una forma strofica,sottomettendosi alla quadratura e al respiro della melodiaprincipale, sul tipo delle arie popolari di canzone e didanza.

E nello stesso tempo, sotto l'influsso delle stessearie popolari, nelle quali il senso tonale moderno apparemolto prima che nella musica d'arte, si andò determinandonelle composizioni strumentali un giro modulante tipico (ilpiù delle volte sotto l'aspetto di movimento tonica-dominante e viceversa).

Anche dopo avvenuta questa prima evoluzione, per molto

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tempo alla parola sonata non fu attribuito che un sensogenerico: essa aveva cioè semplicemente il senso di musicada sonarsi66.

Piuttosto ben presto - fin dal secolo XVI - si nota unfatto interessante: che cioè più composizioni strumentaliaventi fra loro legame di tonalità e contrasto di movimentoe di carattere, vengono collegate insieme, formando queltipo di composizione cui fu dato il nome di suite o partita.Il numero dei tempi della suite - che erano, secondo chefurono per molto tempo quasi esclusivamente le composizionistrumentali profane, tempi di danza - oscillò (nel periododa classico di questa forma, cioè tra i secoli XVII e XVIII)fra quattro e otto. I quattro tempi fondamentali erano: laalemanna (danza binaria, in tempo moderato), la corrente(tempo ternario, rapido), lo sarabanda (movimento ternario,lento) e la giga (andamento ternario velocissimo): spessofra questi tempi se ne inserivano altri tolti da altre danze(gavotta, passapiede, minuetto, branle, bourrée, ecc.).

Fu dalla suite che ebbe origine la sonata e sinfoniaclassica, in base a due processi: uno di condensazione delnumero dei tempi, in quanto essi furono fissatidefinitivamente a quattro tipici e contrastanti l'unl'altro, nei quali andarono a fondersi e a riassumersi itempi più numerosi della suite, che per la loro quantitàdovevano necessariamente assomigliarsi a gruppi fra loro enuocere alla concisione ed unità dell'intera composizione;l'altro e questo ancora più importante - di ampliamento disviluppo e approfondimento di struttura di ciascun tempo (uncarattere del tempo di sonata è, per esempio, la presenzadella ripresa, che manca normalmente nella suite).

Il momento dì passaggio dalla suite alla sonatamoderna in Germania viene fissato in Filippo Emanuele Bach(1714-1788), figlio del grande Giovanni Sebastiano.

Ma la sonata e la sinfonia erano state già prima createin Italia dai nostri gloriosi compositori clavicembalisti eviolinisti.

Le sonate dei nostri violinisti vissuti fra il sei e il

66 La parola sinfonia nel sec. XVI veniva riferita anche a composizioni vocali (Sinfonica sacrae diGiovanni Gabrieli). Ma poi, nel secolo successivo, essa passò ad indicare esclusivamente composizionestrumentali, come la sonata. Il nome di sinfonia era usato di preferenza quando si trattava di maggiornumero di strumenti, e per indicare i pezzi puramente strumentali che facevano parte di un'opera vocalestrumentale di maggior mole. Si ricordi quanto osservammo in De' Cavalieri (1600), e in Anerio(1619).

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settecento, da Corelli e Vitali a Vivaldi, e deiclavicembalisti veneziani fioriti già nella prima metà delsecolo XVIII, tra cui nominammo Platti e Galuppi, sono aquesto riguardo documenti interessantissimi67. E, senzaparlare dei concerti grossi di Corelli che appaiono giàdelle piccole sinfonie, noi abbiamo di GIAMBATTISTA SANMARTINImilanese (vissuto dal 1704 al 1774 circa) una riccacollezione di sinfonie che alla vivacità italiana diispirazione uniscono già formati i caratteri di strutturafondamentali propri della sinfonia moderna.

I grandi compositori tedeschi del secolo XVIII

Nate e affermatesi, con mirabile fioritura, in Italia,le forme di musica strumentale si svilupparono poi ed ebberola definitiva consacrazione in Germania.

E alla Germania, per opera di genii musicali, colvolgere del secolo XVIII, passò decisamente il primato nelcampo della musica strumentale e da concerto.

Incontriamo innanzi tutto due genii. che appaiono duemanifestazioni parallele, attraverso due personalità, dellostesso momento storico: GIOVANNI SEBASTIANO BACH e GIORGIOFEDERICO HAENDEL68.

67 Tutte queste composizioni, o quasi, sono inedite. Poiché noi italiani siamo stati per le nostre gloriemusicali di una trascuratezza incredibile: abbiamo a breve distanza di tempo tutto dimenticato elasciato perdere; mentre invece i tedeschi sono stati sempre e sono gelosissimi custodi e tenacipromulgatori del loro patrimonio musicale. Siamo giunti a tal punto di supina acquiescenza, che permolto tempo ci siamo lasciati insegnare la storia musicale dai tedeschi, una storia foggiatanaturalmente a molto loro uso e consumo.Recentemente un confortante risveglio si è verificato in questo campo in Italia: ed è da segnalarsi la“Raccolta Nazionale delle Musiche italiane”, edita dall'Istituto Editoriale di Milano, nella quale moltedi queste musiche nostre stanno venendo alla luce.Sulle sinfonie del Sanmartini si veda un interessante studio del Torrefranca nella Rivista musicaleitaliana.

68 Giovanni Sebastiano Bach nacque in Eisenach nel 1685. Menò una vita umile ed oscura: dapprimaviolinista a Weimar, passò poi organista in Arnstad e a Mühlhausen; più tardi divenne maestro dicappella e direttore della musica di camera del principe Leopoldo d'Anhalt a Cöthen; infine per 27anni, dal 1723 alla sua morte avvenuta nel 1750, occupo il posto di Cantor (maestro del coro) nellachiesa di San Tommaso in Lipsia. Tra le moltissime opere di Bach (non tutte ci sono conservate per latrascuratezza dei figli, che ereditarono i suoi manoscritti) stanno in prima linea le Passioni; dellecinque che pare egli ne abbia scritte ne possediamo due: la Passione secondo San Matteo e la Passionesecondo San Giovanni. Di lui abbiamo inoltre diversi oratorii (di Natale, dell'Ascensione, di Pasqua),circa 200 cantate, la Messa in si minore, dei corali, e un'imponente quantità di composizionistrumentali della più alta importanza, per clavicembalo, per organo, per violino, per altri strumenti, perorchestra: preludi e fughe, fantasie, sonate, toccate, suites, concerti, variazioni, ecc. Le sue fughe perorgano, le due raccolte di 24 preludi e fughe ciascuna, per clavicembalo intitolate Il clavicembalo bentemperato sono tra i monumenti più saldi che siano stati elevati in ogni tempo nell'arte musicale. Lagrandezza di Bach passò quasi inosservata durante la sua vita, e per molti anni dopo la sua morte: il

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Questi due sommi compositori sono accomunati tra loro,oltre che dalla loro condizione di contemporanei,dall'essere ambedue rappresentanti (e i più grandirappresentanti) dell'arte protestante. Occorre perciò a loroproposito ripensare a quanto dicemmo di Lutero e della suariforma: i cui caratteri religiosi e spirituali si ritrovanonella produzione di Bach e di Häendel (più di Bach che diHäendel, come vedremo). L'oratorio, la cantata, il corale -che hanno stretto rapporto con il rito protestante, e allamentalità protestante, portata al raccoglimento e allainteriorità, sono particolarmente consoni - furono le formedi preferenza coltivate da questi autori.

I quali però, oltre a questi caratteri comuni,presentano caratteri differenziali spiccatissimi: Bach è piùprofondo, più intimo, più religioso, più austero di Häendel.Häendel più drammatico, più brillante più pomposo, piùteatrale: le sue composizioni sono di effetto più esterioree immediato.

Per rendersi conto di queste differenze basta volgereuno sguardo alla vita dei due autori. Bach non uscì maidalla Germania, e visse tutto chiuso nel suo affettopatriarcale di famiglia (ebbe 21 figli da due mogli) e neisuoi doveri di umile organista e maestro di cappella; fuquasi ignaro della sua grandezza: compose non per ilpubblico nè per la gloria (egli non disponeva di mezzi diesecuzione neppur lontanamente adeguati per la sua musica)ma “in onore di Dio”: non c'è suo autografo musicale che nonsi inizi con un'espressione simile a questa. Häendel invecefece lunghi viaggi: dimorò a lungo in Italia e inInghilterra; menò una vita lussuosa, mondana e avventurosa;conobbe i grandi pubblici e le grandi masse di esecutori e

culto moderno per Bach risale, si può dire, alla esecuzione della Passione di San Matteo diretta daMendelssohn a Berlino nel 1829. La famiglia da cui nacque Bach fu una famiglia di musicisti e, comedei musicisti si incontrano tra i suoi antenati, così diversi dei suoi figli si dedicarono alla musica;principale Filippo Emanuele, che abbiamo già nominato a proposito della sonata.GIORGIO FEDERICO HAENDEL nacque in Halle nello stesso anno in cui nacque Bach, 1685, e morì aLondra 9 anni dopo Bach, cioè nel 1759. Compiuti gli studi in varie città della Germania, viaggio edimorò per diversi anni in Italia,dedicandosi all'opera teatrale: dal 1710 in poi, tolto qualche ritorno inGermania, visse sempre a Londra, che divenne la sua seconda patria (tant'è vero che gli inglesiconsiderano Häendel come un loro compositore). L'immortalità di Häendel si basa soprattutto suglioratorii (principale il Messia, poi Israele in Egitto, Sansone, Giuda Maccabeo, Jefte, ecc.). Questaforma di musica egli coltivò nella sua età più matura. Le sue opere teatrali, cui in età più giovane si eradi preferenza dedicato, sono oggi dimenticate. Di lui abbiamo inoltre molte importanti composizionistrumentali: sonate per violino e altri strumenti, concerti grossi per archi (alcuni con oboe), concertiper organo, e un gran numero di suites, fantasie, fughe per organo e cembalo.

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godette ogni possibile soddisfazione di successi, diapplausi, di onori. E come riflesso di una tal vita, e comesintomo evidente della diversità di carattere fra questi dueartisti, si noti che Häendel compose circa cinquanta opereteatrali, mentre nel ricchissimo patrimonio lasciatoci daBach non se ne trova nessuna.

Oltre di tutto questo, e per tutto questo, Bach fu piùtedesco e più protestante di Häendel. Quest'ultimo risentìlargamente dell'influsso musicale e spirituale dei paesi incui dimorò: dell'Italia (melodramma e musica strumentaleitaliana: Corelli per i concerti grossi) e dell'Inghilterra(Purcell).

Bach è più personale, più individuale tantonell'ispirazione che nella tecnica. Egli, genio unico, compìil miracolo di fondere insieme, elevandole e mantenendole aduno stesso supremo grado di bellezza, la polifonia e lamonodia espressiva (a qualcosa di simile due secoli prima ein modo un po' diverso era pervenuto Palestrina). Fu perquesto ch'egli elevò la fuga ad altezze tecniche edespressive non mai più raggiunte. Bach è uno dei piùprofondi, dei più squisiti, dei più moderni compositori chesiano mai esistiti.

Häendel per l'oratorio e in minor misura per la musicastrumentale; Bach per l'oratorio, per la cantata e per lamusica strumentale, specialmente di clavicembalo e d'organorappresentano due pietre miliari nello svolgimento dellanostra arte, due fonti preziose e inesauribili diispirazione e di studio per i musicisti d'ogni tempo.

A questa coppia di sommi compositori, fioriti inGermania nella prima metà del settecento, segue una miriadedi altri genii musicali altrettanto grandi, i quali, invecedi essere contemporanei, segnano - a traverso la secondametà del settecento fino ai primi decenni dell'ottocento -tre gradi successivi nello svolgimento delle stesse formemusicali, e in particolare della forma sonata-quartetto-sinfonia: GIUSEPPE HAYDN, VOLFANGO AMEDEO MOZART, LUDOVICOBEETHOVEN69, Questi tre autori stabiliscono definitivamente il

69 GIUSEPPE HAYDN nacque a Rohrau nel 1732. Passò gran parte della sua vita a Vienna e in Eisenstadt inUngheria, residenza del suo mecenate principe Esterhazy; a Vienna morì nel 1809. Fu autore moltofecondo: e il numero delle sue opere appare grandissimo, anche messo in rapporto con la lunga duratadella sua vita. Scrisse 157 sinfonie, 77 quartetti, 53 sonate e divertimenti per pianoforte, oltre a infinitonumero di trii, concerti e composizioni varie. Questo nel campo della musica strumentale: ma Haydn fuugualmente grande nell'oratorio (Le Stagioni, La Creazione). Le sue molte opere teatrali, di assai scarsovalore, non sopravvissero al suo tempo.

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primato della Germania nella moderna musica strumentale e daconcerto.

Con Haydn si inizia fra i compositori tedeschi la lungacatena dei cultori della forma strumentale classica (sonata,quartetto, sinfonia). Haydn e Mozart rappresentano in questosviluppo l'ascesa; Beethoven il culmine; i successori diBeethoven il declinare.

Tutti questi compositori hanno scritto dunque sonate,quartetti, sinfonie. Questa comunanza, questa ereditarietàdi forme (alle quali si può aggiungere, nel campo vocale,l'oratorio) stabilisce fra loro degli intimi legami,nonostante le spiccate caratteristiche di ciascuno.

L'appellativo che si suol dare ad Haydn di “padre dellasinfonia” va inteso in questo senso: che egli, fatto tesorodel ricco patrimonio di musica strumentale creato già primadi lui dagli italiani, con la metodicità e l'equilibrio e lariflessività propria della natura tedesca, fu il primo adare a questa musica – che presso gl'italiani si erapresentata con quei caratteri di libertà e di mobilitàpropri della fantasia latina – quella quadratura, quella

Patria di VOLFANGO AMEDEO MOZART fu Salisburgo, dove egli nacque nel 1756. Il suo genio musicalesi manifestò precocissimamente. A 6 anni già sonava benissimo il pianoforte, conosceva il violino ecomponeva sonate; a 12 anni scrisse la sua prima opera, La finta semplice. Fin dalla fanciullezza ilpadre lo condusse per lunghi viaggi, suscitando dappertutto entusiastica meraviglia: fu anche più voltein Italia. Frattanto otteneva un posto presso l'arcivescovo della sua città natale, posto che tenne permolti anni, finché non si decise a passare a Vienna, dove compose i lavori della sua maturità, e dovedimorò fino a morte avvenuta nel 1791. Le sue principali opere fra le moltissime (in tutte le forme dimusica che egli trattò impresse i segni di un'eterna giovinezza) sono: (musica strumentale) 41 sinfonie,26 quartetti, una quantità di trii, quintetti, ecc., una quantità di sonate per pianoforte, violino epianoforte, ecc.; (melodrammi) Idomeneo, Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte, Laclemenza di Tito, Il flauto magico; (musica sacra) Requiem. Questi sono i suoi capolavori; ma se sidovessero elencare tutte le sue opere non si finirebbe mai: il catalogo di Cockel ne enumera 626.LUDOVICO VAN BEETHOVEN nacque a Bonn nel 1770, morì anch'egli, come Haydn e Mozart, a Vienna,nel 1827. La sua vita non presenta episodi straordinari: a Vienna dove si recò da giovane, godette dellafamigliarità di Haydn (che egli considerò come maestro) e trovò incoraggiamenti ed aiuti, che glipermisero di dedicarsi quasi esclusivamente alla composizione. Beethoven fu un solitario e un infelice:al che contribuì non poco una terribile malattia, la sordità che prese a perseguitarlo già dal 1800 circa eche negli ultimi anni di sua vita divenne molto grave, rendendo sempre più aspro e bizzarro il suocarattere. Ebbe sentimenti democratici e rivoluzionari. Tutti conoscono l'elenco dei capolavori diBeethoven, che costituiscono pel musicista come la Bibbia: le 9 sinfonie, le ouvertures, i 17 quartetti, itrii, le 32 sonate per pianoforte, le sonate per violino e pianoforte, il concerto per violino, i concerti perpianoforte. A queste sono da aggiungere molte altre opere, non tutte minori. Un solo melodramma fuscritto da Beethoven, il Fidelio; e un solo oratorio, Cristo all'Oliveto. Nella produzione di Beethoven sisogliono distinguere tre periodi; un primo periodo in cui egli risente da vicino l'influenza di Haydn e diMozart (le sue prime sonate son dedicate ad Haydn); un secondo periodo in cui la sua personalità hapiena e matura esplicazione pur non rinunziando alla euritmia classica; un terzo periodo caratterizzatoda una sempre maggiore libertà d'ispirazione e di forme.Si veda nel prossimo capitolo quanto diciamo intorno a classicismo e romanticismo.

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finitezza strumentale e quella determinata forma logica cheè poi rimasta come classica.

Haydn è il tipo dell'artista sano, felice, beato, chetrascorre la sua lunga vita lavorando serenamente eonestamente, senza troppo turbarsi delle piccolecontrarietà; e di tutto ciò si ritrovano i caratteri nellasua musica, che è improntata ad una gaiezza, ad unaequilibratezza, ad una bonomia tutta sua propria. Talvoltala sua fronte s'increspa e si rabbuia; ma non è tempestapericolosa: fa pensare alle imbronciature del burberobenefico, ed è cosa ben diversa dagli scatti possenti edall'angoscia lacerante di Beethoven.

Mozart: musicista miracoloso, per procacità, fecondità,spontaneità, vivacità d'ispirazione, perfezione di forma. Adifferenza di Haydn visse pochissimo, soli 35 anni; ma,anche se fosse vissuto più del doppio, la quantità e labellezza delle sue opere e la maturità e perfezione da luiraggiunte sarebbero ugualmente meravigliose.

Per comprendere la grandezza e la singolarità di questogenio si noti che mentre quasi tutti i musicisti,specializzandosi in un genere di musica, sono riusciti menofelicemente negli altri generi (Bach, Händel, Haydn,Beethoven, sommi nella musica strumentale e da concerto, osi sono astenuti dal coltivare altri campi, o non vi hannoraggiunto pari altezza), Mozart è grandissimo e immortale intutti i rami della composizione musicale: nella musicastrumentale da concerto e da camera, nel melodramma, nellamusica sacra. La sua musica strumentale ha una vivacità epotenza espressiva inesauribile; i suoi melodrammi vivonoancora oggi e vivranno sempre di eterna giovinezza e sonoserviti di modello a tutti i maestri che gli son succeduti:il suo Requiem ha pagine toccantemente e austeramenteispirate.

Se Mozart appare forse il più gran genio musicale chesia mai esistito per la facilità, la freschezzadell'ispirazione, per la semplicità, la ingenuità della suanatura musicale. Beethoven sta innanzi a tutti per la forzatitanica, per l'umanità possente. Egli è il maestro sublimeche ha il cuore gonfio di angoscia, ma la domina con laimpassibilità del genio; che parla con poche e misurateparole composte in strofe superbamente semplici e armoniose,ma che racchiudono profondità infinite, e dicono ciò chealtri non direbbero con discorsi interminabili.

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Un'anima nuova appare in Beethoven, che lo distingue datutti gli altri maestri che lo han preceduto: è l'animamoderna che palpita, vibra, freme nelle opere di lui;l'anima moderna con la sua profonda coscienza della vita,con le sue angoscie, le sue torture, la sua febbre, i suoispasimi; con le sue orgie, il suo humor, che differisconodalle gioie e dagli scherzi sereni e spensierati di altritempi per la eccessiva intensità di godimento cosciente, chele compenetra quasi (esse pure) di sofferenza. Ecco perchéBeethoven - pure essendoci stati altri genii a luimusicalmente non inferiori, come Palestrina, Bach, Mozart -appare all'occhio di noi moderni come l'aquila, che volasopra tutti. È che egli è molto più vicino alla nostraanima, al nostro sentimento, alla nostra vita. E questogigantesco artista appare tanto più grande, in quanto cheegli (a differenza di altri) si esprime, nelle sue maggioriopere, col solo linguaggio della musica, senza alcunaconcomitanza della scena e della parola.

Quanto or ora dicevamo fa intendere chiaramente cheBeethoven fu, come Palestrina, come Gluck, come Mozart, unuomo rappresentativo. La sua anima nuova annunzia cioè,riflette, interpreta un'anima nuova che va affermandosi aisuoi tempi. Di qui la necessità che noi volgiamo uno sguardoa quelle vicende dello spirito umano di cui quest'animanuova fu prodotto, che ne segnarono le prime conquiste, e nedeterminarono i caratteri.

La rivoluzione francese

Classicismo e Romanticismo

Non occorre avere una straordinaria sensibilitàmusicale ed artistica per accorgersi che tra la musica diHaydn, Mozart, ad esempio, e la musica di Beethoven,Schumann, fra i melodrammi di Cimarosa e Paisiello e quellidi Rossini e di Verdi - a parte il diverso grado di sviluppotecnico - c'è una profonda differenza di sentimentoanimatore, di contenuto spirituale.

Nei primi è una gaiezza innocente e ingenua, una beataserenità, una quasi indifferenza e acquiescenza per le cosedel mondo e per le vicende umane; nei secondi un'angosciaprofonda, un senso acutissimo della vita per cui anche glischerzi diventan pungenti e le gioie brucianti, una maschiavigoria, un senso di sfida contro il destino. La quintasinfonia di Beethoven, i gridi di ribellione di Rigoletto,

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la preghiera di Guglielmo Tell non si sarebbero mai potutiscrivere nel settecento.

Nel campo del melodramma Gluck e Spontini segnano ilpassaggio; nella musica strumentale è con Beethoven che sicompie la magnifica ascesa.

Che cosa è mai successo nella storia dello spiritoumano per determinare un così profondo cambiamento dimentalità, di modo di sentire e di esprimersi, tra ilsettecento e l'ottocento?

Gli avvenimenti che appartengono a questa cerchiasogliono essere riassunti in un fatto storico centrale chene segna l'origine e dà loro l'impulso e il carattere: laRivoluzione francese.

La Rivoluzione francese, che maturò negli ultimidecenni del secolo XVIII, fu un movimento di ribellione diuna parte dell'umanità, della maggior parte dell'umanità,del popolo, contro le classi privilegiare - la nobiltà e ilclero - le quali, sebbene formate di poche persone, fino aquel momento avevano esercitato un dominio assoluto, godendotutti i benefici e i favori; mentre tutti i pesi, tutti ibalzelli, tutte le servitù erano addossate alla plebe, chepure costituiva la grande maggioranza. Questo moto diribellione, per la conquista dei diritti dell'uomo, al mottodi libertà, uguaglianza, fraternità, nel suo eromperetravolgente dopo essere stato lungamente covato, arrivò adassumere anche la forma di convulsione selvaggia, conviolenze, delitti, spargimento di sangue: tant'è vero che ilperiodo più acuto della Rivoluzione, tra il 1793 e il '94,fu chiamato il Terrore.

Ma attraverso questi eccessi (non c'è progresso osconvolgimento umano che non sia costato delle vittime) furaggiunto lo scopo benefico; e la Rivoluzione francese vieneconsiderata come la sorgente, la scintilla iniziale di tuttele conquiste sociali politiche e spirituali del nostrotempo.

Un tale vasto movimento - di cui la Rivoluzionefrancese fu semplicemente un aspetto e un episodio - portòseco un turbamento profondo dello spirito umano; unacutizzarsi della sensibilità e della coscienza individuale,un intensificarsi della vita e della lotta per l'esistenzatanto nel campo materiale che spirituale. Le manifestazionidi questo turbamento furono molteplici: fra di esse ci

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conviene ricordare, nel campo del pensiero e dellafilosofia, il pessimismo, e, nel campo dell'arte, ilRomanticismo.

Prima di determinare che cos'è il romanticismo nelsenso ristretto della parola, come particolare fenomenostorico circoscritto ai primi decenni del secolo XIX,vediamo di formarci un'idea del valore generico che leparole classico e romantico hanno ormai assunto nel pensieromoderno.

L'artista classico (parliamo di vero classicismo eromanticismo; non di quelli di imitazione, di maniera, difalsificazione) sa dominare, disciplinare, incanalare il suosentimento e la sua visione: in modo che il suo aspettoesteriore - anche se il cuore gli brucia di passione -appare sempre olimpicamente impassibile. Egli parla nellamaniera più propria, più concisa: compone le sue parole inproposizioni e in periodi logicamente regolari, le armonizzain versi e in strofe. La sua espressione è sintetica,metrica, definitiva. scultoria.

Il romantico invece si abbandona al suo sentimento: edi tale abbandono si osservano tutte le conseguenze sia nelcarattere della sua vita interiore, sia nella continuavariabilità, mobilità, instabilità delle sue formed'espressione. Gli può accadere anche di parlare a scatti,senz'ordine e senza misura; è ineguale; passa da sublimientusiasmi a scoramenti profondi.

Il classico ha spirito più forte, più virile, piùevoluto: il romantico più primordiale, più sentitivo, piùfemmineo. Non per nulla i classici amano lo splendore delsole, i romantici prediligono il chiaror lunare.

Un periodo di arte classica rappresenta la conquistadell'espressione perfetta, definitiva di un dato ordine disentimenti, di visioni70; ed è preceduto ordinariamente daun periodo di preparazione romantica.

Questi caratteri, che son diventali ormai inerenti adun concetto generale di romanticismo, si ritrovano nelromanticismo inteso come particolare fenomeno storicoverificatosi ai primi decenni dell'ottocento.

70 Da ciò è venuto l'altro senso generico ed usuale della parola “classico”, per cui con questa parola sidesignano tutte le opere d'arte che, per aver raggiunto la “perfezione della forma”, sono riconosciuteuniversalmente come modelli. In questo senso s'ode talvolta qualificare anche Chopin, Schumann (ecosì maestri di qualsiasi altro tempo e carattere) come classici. Bisogna guardarsi dal confondere i duesensi della parola che, come si vede, posson trovarsi anche in opposizione fra loro.

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Difatti gli artisti di questo periodo sono invasi dauno strano turbamento, da un inappagamento dell'animo, dauna febbrile ricerca di sensazioni e di espressioni nuove.Sono dei malati e degli infelici (tutti muoiono in giovaneetà: Schumann muore pazzo). Chiari di luna, cimiteri,chiostri, processioni macabre, castelli medioevali, giostred'amore, passioni che bruciano e uccidono sono tra levisioni e le ispirazioni predilette di questi artistiinnamorati, dalle fantasie bizzarre, dalle profondetenerezze.

I successori di Beethoven

SCHUBERT, SCHUMANN, MENDELSSOHN, CHOPIN, BERLIOZ, LIZST,BRAHMS71

Se la gigantesca e multiforme figura di Beethoven

71 FRANCESCO SCHUBERT (Lichtenthal, presso Vienna, 1797 – Vienna 1828).Opere principali: 2 sinfonie,8 quartetti, 20 sonate, Improvvisi, Momenti musicali, altri pezzi liberi per pianoforte; alcunimelodrammi che non ebbero però durevole fortuna; musica corale; e soprattutto i bellissimi Lieder.Uno dei genii musicali tedeschi più spontanei e più poeticamente ispirati.ROBERTO SCHUMANN (Zwiekau in Sassonia 1810 - Endenich 1856). Altro genio musicale ispiratoquanto Schubert e di lui più tormentato e più profondo: 4 sinfonie, ouvertures, concerti, 3 quartetti, trii,tre sonate e moltissimi pezzi liberi e fantastici per pianoforte (Carnevale, Novellette, 12 studi sinfonici,ecc.); i bellissimi Lieder; un melodramma Genoveffa; l'oratorio Il Paradiso e la Peri; la musica pelManfredo di Byron; le scene del FaustFELICE MENDELSSOHN BARTHOLDY (Amburgo 1809 - Lipsia 1847). Temperamento più calmo esereno; e più adatto quindi a riassumere l'influenza dei maestri tedeschi suoi predecessori fino a Bach.Opere principali: 5 sinfonie, concerti, ouvertures, 7 quartetti, sonate e infinite altre composizioni perpianoforte (note soprattutto le Romanze senza parole) e per organo; musica corate e da chiesa; lamusica di scena pel Sogno di una notte d'estate di Shakespeare; due oratorii: Paulus ed Elias.FEDERICO CHOPIN (Zelazowa-Wola presso Varsavia 1810 - Parigi 1849) il poeta del pianoforte,strumento per cui egli parve nato, e cui esclusivamente, a differenza di tutti gli altri compositori, sidedicò (Notturni, Valzer, Mazurke, Ballate, Polacche, Preludi, Studi, Sonate, Concerti).ETTORE BERLIOZ (Cote-Saint-André 1803 - Parigi, 1869), il solo francese in mezzo a tanti tedeschi: fudifatti un incompreso nel suo paese e dovette sostenere aspre lotte. Uno dei più arditi precursori einnovatori della musica moderna. In prima linea vanno poste le sue composizioni orchestrali(Ouvertures, Poemi sinfonici, Sinfonia fantastica); poi i suoi oratorii l'Infanzia di Cristo e laDannazione di Faust recentemente adattata per le scene; il colossale Requiem; i melodrammi(Benvenuto Cellini, I Troiani). Hanno molta importanza anche i suoi scritti musicali e il suo Trattato diStrumentazione.FRANCESCO LISZT (Raiding in Ungheria 1811 - Bayreuth 1886). Il più grande pianista dei suoi tempi, eforse di ogni tempo. Fu anche compositore cospicuo e di intenzioni innovatrici. Molta musica perpianoforte (20 Rapsodie ungheresi, Studi, Notturni, 2 Concerti, una Sonata, oltre a molte composizionidi carattere libero e poetico); per orchestra: i 12 Poemi sinfonici, le due sinfonie sulla DivinaCommedia e sul Faust; molta musica sacra (Messe, ecc.); i due oratorii Cristo e Santa Elisabetta.GIOVANNI BRAHMS (Amburgo 1833 - Vienna 1897): uno dei più grandi compositori tedeschi moderni;si riconnette più sensibilmente dei maestri precedenti alla tradizione classica, pur possedendo unavigorosa e delicata personalità. Opere principali: 4 sinfonie, concerti, quartetti, trii, quintetti, sonate,danze ungheresi per pianoforte, molti pezzi liberi; Lieder; il grandioso Requiem tedesco.

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sembra ai nostri occhi segnare il passaggio dal classicismoal romanticismo, i più vicini a lui tra i suoi successori -Schubert, Schumann, Mendelssohn, Chopin - appaiono immersicompletamente nell'atmosfera romantica.

Ma, pur nel modificarsi del sentimento ispiratore, nonera possibile che questi artisti si liberasserocompletamente dall'influenza di Beethoven e degli altrimaestri classici, per ciò che riguarda le loro forme tipichee tradizionali.

Cosicchè nella loro produzione - solo in alcuni diessi, o per la natura decisamente ribelle ed originale delloro temperamento (Chopin), o per progetto, o per l'una el'altra ragione insieme (Liszt, Berlioz), l'influenzaclassica è nell'aspetto esteriore meno sensibile - sipossono distinguere due parti diverse fra loro.

L'una nella quale essi esplicano in tutta la suaingenuità e interezza, con libertà completa di ispirazione edi forme nuove, la loro personalità (Improvvisi e Momentimusicali di Schubert, pezzi fantastici e liberi di Schumann,i Lieder di questi due autori, le Romanze senza parole diMendelssohn, quasi tutte le opere di Chopin, molte cose diBerlioz).

L'altra nella quale essi, pure infondendovi i segnidella loro vigorosa genialità, continuano la tradizionedelle forme classiche (sonate, quartetti, sinfonie).

Tra le composizioni di questi autori le più riuscitesono in generale quelle che appartengono alla prima specie.In quelle della seconda specie si notano non di rado delleparti che hanno dello scolastico, dell'accademico, chetradiscono il lavoro di maniera: mentre il getto iniziale èil più delle volte schietto, personale ed ispirato, nonaltrettanto accade degli sviluppi che devono obbedire anorme estrinseche e preesistenti. Si ha l'impressione cheprodurrebbe uno scultore il quale volendo fondere una statuasu una forma troppo ampia per i suoi mezzi, non bastandoglipoi il bronzo, riempie i' vuoti e le manchevolezze dellafigura con materie false e posticce, Questo sia detto nonriferendolo ai grandi autori. le cui opere anche scrittesullo stampo delle forme classiche sono quasi sempreriboccanti di espressione e di vigore; ma a coloro chetroppo fedelmente hanno voluto e vogliono lavorare sulcliché delle opere di Beethoven o di qualsivoglia altrosommo artista.

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Tra le forme salite a maggior grado di squisitezza e divitalità nel periodo post-beethoveniano è il Lied (ancheMozart e Beethoven avevano coltivato questa Forma). NelLied i compositori romantici (e specialmente Schubert eSchumann) hanno potuto trasfondere, aiutati anche dalleparole, tutta la vivezza e delicatezza del loro sentimentoindividuale.

Una forma nuova di musica strumentale introdottaspecialmente da Liszt e Berlioz - forma che ha offerto aicompositori nuove vie, e che ha raggiunto recentementegrande sviluppo - è il poema sinfonico.

Ma, nonostante tutti questi tentativi e questa febbrilericerca di sensazioni e di espressioni nuove, l'ultimoverbo nel campo della sinfonia72 è, e rimarrà forse permolto tempo, il verbo di Beethoven73 .

E con ciò siamo arrivati al termine del nostro cammino.Poichè le tendenze e le lotte dell'arte odierna non sono pernoi contemporanei materia di storia; sibbene di polemicheestetiche e artistiche di cui qui non è la sede.

Il lettore avrà notato nella economia di questo libroun fatto singolare. Che cioè, mentre la mole di altri libri

72 L'autore dei presenti appunti deve dichiarare, una buona volta, che è un artista, con personalissimevedute. È vero che dello spirito di queste vedute il presente manualetto nelle sue linee generali non puònon esserne informato; ma è pur vero che questo è un libro di fisica e di storia e un libro elementare;l'autore ha dovuto quindi parlarvi semplicemente, obbiettivamente e impersonalmente di fatti fisici estorici, o esponendo dei dati nella loro crudezza matematica, o dando ai termini delle definizioni divalore storico, inerenti al carattere e alla produzione degli autori e del tempo cui si riferiscono. Se egliavesse dovuto esprimere con pienezza le sue vedute personali non avrebbe scritto un libro di fisica o distoria: tali vedute esporrà, rimanendo anche là entro i dovuti limiti, nel volume di estetica: dirà, peresempio, che i dati matematici sulla scala naturale hanno artisticamente un valore molto relativo,poiché per l'artista la voce cantante è un mezzo in continua mobilità e incandescenza che sale e scendeliberamente, e non c'è niente di più ripugnante che concepire una scala a suoni fissi; dirà (in relazioneal punto che ci ha dato occasione a questa nota) che sinfonia è per lui qualunque poema musicale divasto àmbito e di profonda ispirazione umana. Si pensi perciò quale valore per lui abbia la definizionestorica che si sul dare di sinfonia, in quattro tempi, ecc. La sinfonia d'oggi non potrebbe mai esserequella di Beethoven, né la sinfonia di qui a un secolo sarà come la sinfonia d'oggi. E a color che diconola sinfonia essere morta con Beethoven egli risponde: finché l'uomo sarà uomo e la musica sarà musicaesisterà una sinfonia (come esisterà un melodramma).

73 Dico verbo e non parola: di parole ne sono state dette molte dopo Beethoven, ma non ancora la parolache concluda e suggelli un nuovo ciclo.Se a questo punto chiudo la trattazione del mio manualetto, non è certo perché non apprezzi e non sentaquanto è avvenuto dopo; anzi, come artista, lo sento e vi partecipo troppo vivamente eappassionatamente. Potrei scrivervi attorno un interessantissimo capitolo; ma esso sarebbe totalmentediverso per carattere da tutta la trattazione precedente, che riguarda fatti entrati ormai con pienezza nelcampo della storia e su cui oggi anche l'artista può esprimere il suo giudizio calmo e definitivo.

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consimili va smisuratamente crescendo come si procede daitempi antichi ai giorni nostri in modo che la parte che siriferisce agli ultimi secoli occupa più di metà del volume,la mole di questo libro - se si tien conto del rapidoaccrescersi di notizie più queste divengono vicine a noi -va invece diminuendo come lo studio si appressa ai tempimoderni.

Per dimostrare quale dei due metodi sia più giusto,alla mia mente torna spontanea l'immagine di quella immensapianura con cui abbiamo aperto e con cui chiuderemo lanostra esposizione.

A me pare che sia molto più utile e necessario parlarea lungo delle cose lontane, che non si vedono ad occhio nudoe che non è possibile altrimenti conoscere, piuttosto chedelle cose che cadono sotto gli'occhi di tutti e che ognunopuò a suo piacimento e in tutta la loro pienezza osservare.Per queste ultime cose il libro non deve e non può esserealtro - come dissi – che una guida.

E poi questo libro è destinato ai giovani musicisti. Iquali è da presumere che non solo abbiano orecchio, maorecchio musicale squisito e sensibilità musicale fuor delcomune: che suonino strumenti e che cantino; che possegganomusiche di ogni genere (e le più rare abbiamo indicato doveattingerle); che abbiano tale assiduità con le sale daconcerto e con i teatri da considerarli casa loro.

Il volere conoscere, e penetrare, ed abbracciarel'arte moderna da un libro di storia sarebbe pretesaridicola per chiunque; tanto più per un musicista.

L'arte moderna il giovane musicista deve imparare aconoscerla (guidato nella scelta dal libro e dal maestro)sulla tastiera del pianoforte, del violino, o del suostrumento quale esso sia, sul leggio del professored'orchestra, sullo scanno del direttore, sulle tavole deipalcoscenici, nei teatri, nelle sale da concerto, ascoltandoed eseguendo musica, musica e musica, vivendo a continuocontatto con le opere dei grandi artisti.

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SGUARDO RIASSUNTIVO

ALLE PRINCIPALI FORME DI MUSICA

APPARSE DAL RINASCIMENTO IN POI

MUSICA RAPPRESENTATIVA

MELODRAMMA. - Rappresentazione scenica, fatta per“recitar cantando”.

ORATORIO. - È un melodramma cieco, cioè senza scena:solo la parte uditiva vi è rappresentata; per sopperirealla mancanza della rappresentazione ottica, anche questa ètradotta in forma uditiva ed esposta in un racconto,affidato di solito a un personaggio speciale chiamalo Testoo Storico.

PANTOMIMA, - Melodramma muto; basato cioè solo sullascena, sul movimento e sui gesti, senza che i personaggicantino o parlino.

MUSICA DA CAMERA

SONATA. - Forma tipica della composizione strumentaleclassica. Consta di quattro tempi: Primo Tempo (Allegro).Adagio, Scherzo, Finale (Allegro). Lo Scherzo era inorigine un Minuetto: più tardi, specialmente per opera diBeethoven, acquistò il nuovo carattere, conservando peròquasi sempre il primitivo ritmo ternario.

Nella struttura del Primo Tempo - che è il tempotipico, su cui gli altri son modellati - si distinguono treparti: 1) Esposizione; 2) Sviluppo; 3) Riesposizione. Lasonata classica, nel suo pieno sviluppo, è bitematica: sisvolge cioè su due motivi fondamentali. Questi due motivi –che sono tali da contrastare fra loro per carattere: ilprimo per solito ha natura prevalentemente ritmica, ilsecondo tonale e cantabile - sono presentati allaEsposizione. Una specie di Ponte conduce dal primo motivoal secondo, che è in tono diverso dal primo: per solito neltono della dominante (o nel relativo maggiore se la sonataè in minore); con la cadenza in questo tono l'Esposizionesi chiude. Segue lo Sviluppo, nel quale il compositoremodula, varia, intreccia, arricchisce liberamente i due

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motivi, traendone tutto quel profitto da cui nascel'interesse della sonata. L'ultima parte dello sviluppoconduce alla Riesposizione; cioè alla ripetizione fedeledell'Esposizione con questo solo cambiamento: che ilsecondo motivo, invece che in un tono diverso dal primo, sipresenta nel tono medesimo; di guisa che la cadenzasusseguente – cadenza finale – viene ad essere – adifferenza di quanto accade nell'Esposizione – nel tonoiniziale e fondamentale del pezzo. Si chiama Ripresal'ultima parte dello sviluppo che conduce al riattacco, eil riattacco stesso del motivo iniziale.

Si faccia bene attenzione che il Quartetto (Trio,Quintetto, ecc.) e la Sinfonia non differiscono dalla Sonataper la forma; ma per il numero degli strumenti e ilconseguente più ampio sviluppo. Le composizioni di questaforma tipica hanno il nome di Sonata quando sono per unsolo strumento, o per due di cui uno a tastiera; diQuartetto (Trio, Quintetto, ecc.) se per quattro (tre,cinque, ecc.) strumenti; di Sinfonia se per un'orchestraintera.

QUARTETTO – Vedi SONATA. Quando si dice quartettosenz'altro, s'intende il quartetto per eccellenza, cioè ilquartetto d'archi (due violini, viola, violoncello).L'espressione quartetto vocale indica l'unione dei quattrotipi principali della voce umana (soprano, contralto,tenore, basso).

ARIA, CANZONE (LIED) – Forme di musica vocale da camera,accompagnate di solito dal pianoforte. Nella Canzone (Lied)le diverse strofe della poesia vengono cantate sulla stessamelodia che si ripete di strofa in strofa.

MUSICA DA CONCERTO

Sinfonia. - Vedi Sonata. È naturale checoll'accrescersi del numero degli strumenti e l'ingrandirsidell'ambiente la forma diventi più ricca e più sviluppata,ma non muta nei suoi tratti fondamentali.

Ouverture. - Composizione orchestrale (nel tipoclassico è molto simile a un primo tempo di sinfonia)destinata a precedere, effettivamente o idealmente, larappresentazione di un dramma, musicale o no; o anche adaprire un lavoro musicale di altro genere. Molto spesso leouverture vengono distaccate dall'opera cui appartengono,per essere eseguite isolatamente in concerto.

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Gli italiani hanno usato a lungo la parola sinfonianel senso di ouverture. Il Preludio differisce dallaouverture o sinfonia in quanto è più breve, e suole basarsisu un solo motivo centrale. La parola Preludio viene ancheusata per indicare brevi composizioni strumentali dacamera.

CONCERTO. - Sonata con accompagnamento d'orchestradestinata a mettere in evidenza le risorse di uno strumentosolista. Il concerto è per solito in tre tempi, mancando loScherzo. Un suo elemento caratteristico è la Cadenza.

CANTATA. - Composizione vocale e strumentale daconcerto. Talvolta ha scopi speciali, per esempio religiosicome la cantata protestante, o commemorativi.

L'Oratorio, in quanto viene anche eseguito in sale daconcerto, può essere avvicinato alla Cantata, ma nedifferisce per il suo carattere rappresentativo edrammatico.

MUSICA DA CHIESA

Appartengono a questo gruppo, per la parte vocale,tutte le intonazioni di testi sacri destinate ad usoliturgico; per la parte strumentale tutti gli interludi(l'istrumento tipico è l'organo) destinati ad accompagnarele funzioni sacre.

In tutti gli stili, apparsi posteriormente allapolifonia vocale palestriniana, è stata composta musica dachiesa, più o meno rispondente e intonata al suo scopo.

Ma bisogna ben guardarsi dal considerare come musicada chiesa tutte le composizioni scritte su testi sacri; iquali possono essere benissimo presi anche a soggetto dicantate da concerto. E come cantate da concerto debbonconsiderarsi, per esempio, le Messe di Beethoven, lo Stabatdi Rossini, il Requiem di Verdi.

[Siccome specialmente della musica da chiesa è propriolo stile osservato o rigoroso, e siccome in essa vengonousati di preferenza e nella forma tipica gli artifizi delcontrappunto, l'imitazione, il canone, il fugato, la fuga(artifizi che instaurati dai Fiamminghi e dai grandicompositori della polifonia vocale, hanno continuato poi illoro sviluppo e la loro applicazione nella musica vocale estrumentale moderna), non è inopportuno qui rivolgere adessi uno sguardo riassuntivo. Si ha l'imitazione quando una

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voce riproduce a breve distanza un passaggio, una frase ouna movenza eseguita poco prima da un'altra voce. Il canoneè una composizione in cui l'imitazione viene applicata informa rigorosa e continuata: in esso le varie voci cantanoimitando fedelmente e per tutta l'estensione del pezzo, adistanza di vari intervalli e con diverso ritardo, lamelodia che la prima voce va proponendo. La fuga è unaforma tipica e ampia di composizione in cui tutte lerisorse del contrappunto vengono applicate e sviluppate: inessa sono da distinguersi il soggetto, il controsoggetto,la risposta, l'esposizione, il rivolto, i divertimenti, lostretto, il pedale. Il fugato ha il carattere di stiledella fuga, ma senza essere costretto a osservarne la formae lo sviluppo tipico].

DANZE

In quasi tutte le forme di musica prima descritteentra largamente come elemento costitutivo la musica dadanza. Ma la musica da danza può anche rimanere adibitasemplicemente al suo uso originario; in questo caso – datala presente classificazione fatta con criterio puramentepratico, in relazione cioè agli ambienti in cui le musicheson destinate – essa costituisce un tipo a sé di cuiconviene fare cenno.

E non credo inopportuno ricordare le principali danzedei secoli scorsi, accadendo spesso al giovane musicista diincontrarsi con esse nelle opere dei grandi compositori,che le hanno largamente messe in valore nelle lorocreazioni.

Danze binarie: Branle, Pavana (cominciano in battere);Gavotta, Alemanna, Bourrée, Tambourin, Rigaudon (comincianoin levare).

Danze ternarie: Sarabanda, Passacaglia, Corrente, Giga,Passapiede, Ciaccona, Gagliarda, Siciliana, Minuetto.Spesso in queste danze gli elementi ternari si aggruppano adue a due, a tre a tre, o a quattro a quattro, formandobattute più grandi, di due, tre o quattro terzine l'una.

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Indice generaleFISICA, STORIA, ESTETICA............................................................................................7UNA DISTINZIONE FONDAMENTALE.........................................................................9FISICA della MUSICA......................................................................................................10

FISICA DEL RITMO....................................................................................................11FISICA DEL SUONO (ACUSTICA)...........................................................................13

L'Acustica.................................................................................................................13Produzione del suono...............................................................................................13Trasmissione del suono............................................................................................14Riflessione del suono................................................................................................14Qualità principali del suono......................................................................................15LE BASI FISICHE DELLA TONALITA'................................................................16

STORIA della MUSICA....................................................................................................26Sguardo generale...........................................................................................................27La musica presso i popoli primitivi...............................................................................32La musica dei primi popoli storici................................................................................37I GRECI........................................................................................................................41

Il tetracordo..............................................................................................................42Il “sistema perfetto”..................................................................................................43I modi........................................................................................................................44I toni..........................................................................................................................45I generi......................................................................................................................45I Romani...................................................................................................................48La musica dei Cristiani.............................................................................................49Origini del contrappunto...........................................................................................53

La scrittura musicale nel Medio Evo............................................................................54Origine della scrittura moderna.....................................................................................54Guido d'Arezzo..............................................................................................................58e il sistema musicale medioevale..................................................................................58Sviluppo del contrappunto............................................................................................60I Fiamminghi.................................................................................................................60Poesia, Musica popolare e Teatro nel Medioevo...........................................................62IL RINASCIMENTO MUSICALE...............................................................................64SGUARDO RIASSUNTIVO........................................................................................68

MUSICA PROFANA...............................................................................................68MUSICA SACRA....................................................................................................69

ORIGINE DEL MELODRAMMA MODERNO..........................................................69L'Oratorio.................................................................................................................73Il Melodramma veneziano........................................................................................75

Il Melodramma napoletano...........................................................................................78Sviluppo e decadenza del Melodramma.......................................................................79La riforma di Gluck.......................................................................................................81

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L'opera italiana nel secolo XIX.....................................................................................85La riforma di Wagner....................................................................................................87L'opera in Francia e in Germania prima di Wagner......................................................89La musica strumentale...................................................................................................90I compositori violinisti e clavicembalisti......................................................................92Cenni storici sul pianoforte e sul violino......................................................................95Origini della sonata e della sinfonia..............................................................................97I grandi compositori tedeschi del secolo XVIII............................................................99La rivoluzione francese...............................................................................................104Classicismo e Romanticismo......................................................................................104I successori di Beethoven............................................................................................107Schubert, Schumann, Mendelssohn, Chopin, Berlioz, Lizst, Brahms........................107SGUARDO RIASSUNTIVO......................................................................................111

MUSICA RAPPRESENTATIVA............................................................................111MUSICA DA CAMERA........................................................................................111MUSICA DA CONCERTO....................................................................................112MUSICA DA CHIESA...........................................................................................113DANZE...................................................................................................................114

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Domenico ALALEONA - Compositore e musicologo, nato aMontegiorgio (Ascoli Piceno) il 16 nov. 1881. Allievo, nellasua città, di A. Bernabei ed altri, iniziò quasi dafanciullo la sua attività musicale suonando l'organo nellechiese, e assumendo poi nel 1901 la direzione della bandamunicipale. Iscrittosi al liceo musicale di S. Cecilia inRoma, continuò i suoi studi di composizione con C. DeSanctis, di pianoforte con A. Bustini e G. Sgambati, e diarmonia ed organo con R. Renzi, diplomandosi nel 1906.

Si distinse nel saggio finale di composizione con unpoemetto per soli, coro e orchestra, Attollite portas, suparole di A. Graf. Nel 1907 si laureò in lettereall'università di Roma con la tesi Studi su la storiadell'Oratorio musicale in Italia, uno dei più importanti ebasilari lavori sull'argomento, che, riveduto ed ampliato,fu edito nel 1908 e più volte ristampato. Dal 1907 al 1911fu insegnante di canto corale nella Scuola nazionale dimusica diretta da P. Mascagni, e direttore della societàcorale "Guido Monaco" di Livorno, vincitrice del primopremio al concorso internazionale di Marsiglia (1907), e delcoro dell'Augusteo di Roma (1910). Nel 1912 venne eseguito,dapprima all'Augusteo di Roma (21 marzo) e poi alla Scala diMilano, l'intermezzo dell'opera Mirra, in due atti e unintermezzo, dal quarto e quinto atto della tragediaalfieriana, che l'A. concepì come "mito della bellezzainnocente straziata", e che condusse a termine nel 1913.Riconosciuto il suo valore, tra numerose discussioni,l'opera fu presentata nello stesso anno al concorso delcomune di Roma e nella stagione teatrale 1915-16 fu inclusanel programma del teatro Costanzi di Roma, dove furappresentata alcuni anni dopo (31 marzo 1920). Dal 1916l'A. resse la cattedra di estetica e storia della musica nelconservatorio di S. Cecilia a Roma. Fu uno dei fondatoridella Società nazionale di musica moderna, e nel 1926istitui il "Gruppo dei madrigalisti romani", composto disceltissimi cantori, che diresse in vari concerti a Roma ein altre città. Ispettore per il canto corale nelle scuoledi Roma, organizzò il primo concorso nazionale di cantocorale (1927). Numerosi i concerti sinfonico-vocali, per iquali compose anche alcune musiche, da lui organizzati ediretti alla Filarmonica Romana, alla Casa del soldato, allasala Borromini, a S. Cecilia e all'Augusteo. Per vari annicritico musicale dei giornali Il Mondo e Il Lavoro d'Italia,l'A. fu anche collaboratore di molti periodici e riviste:Nuova Musica, Rivista musicale italiana, Il Pianoforte,

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Orfeo, Ars Nova, Harmonia, La Rassegna d'Italia, NuovaAntologia, ecc. Ebbe cura inoltre della sezione musicaleitaliana del Dictionary of modem music and musicians di A.Eaglefield-Hull, edito a Londra nel 1924.

Morì nella sua città natale il 28 dic. 1928.

Dedicatosi con intensa energia tanto alla teoria e allastoria quanto alla pratica musicale, l'A. impersonò il tipodel musicista "moderno"; la sua operosità di compositore,direttore d'orchestra e di cori, insegnante, critico emusicologo dette un impulso fecondo e significativo allavita musicale italiana del primo quarto del sec. XX.Notevole teorico, l'A. intuì con i suoi studi sull'armoniamoderna, primo in Italia, certi aspetti della nuova tecnicamusicale (si vedano gli scritti I moderni orizzonti dellatecnica musicale. Teoria della divisione dell'ottava inparti uguali, Torino 1911, e L'armonia modernissima: letonalità neutre e l'arte di stupire, ibid. 1911), che vollein parte attuare nelle sue composizioni, specialmentesinfoniche. Affermatosi però più come critico e musicologoche come compositore, la cui opera, in buona parte medita,attende ancora di essere meglio conosciuta, egli dettecarattere veramente scientifico allo studio del materialestorico, realizzando una felice sintesi dell'analisi piùrigorosa con una critica vivificata dall'esperienza musicalepiù vasta. Tutta la sua attività fu animata dalla concezionedell'arte intesa come libertà e modernità assoluta diintendimenti e di mezzi di espressione, ma insieme come"linguaggio materno": da cui la necessità di una "religiosacontemplazione di quanto di vivo e di grande ha il nostropatrimonio musicale di tutti i tempi" (Linguaggio maternoed umanità musicale. Lettera aperta a Vittorio Gui, inHarmonia, 1914 fasc. IV, e Il Rinascimento musicaleitaliano e Giacomo Carissimi, in Nuova Antologia, giugno1914). Valida testimonianza del suo ideale fu il continuoprodigarsi per la rievocazione e la riaffermazione dellasinfonia vocale del rinascimento italiano e la rinascita delcanto corale in Italia. A tal proposito sono da ricordaregli importanti saggi Su Emilio de' Cavalieri, laRappresentazione di Anima et di Corpo e alcune suecomposizioni inedite, in Nuova Musica, maggio e giugno 1905,più tardi inserito negli Studi sulla storia dell'Oratoriogià citati, Le laudi spirituali italiane nei secoli XVI eXVII, e il loro rapporto con i canti profani, in Riv. mus.Italiana, 1909, fasc. 1, Il Cicalamento delle donne al

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bucato di Alessandro Striggio, trascrizione in partituramoderna in Riv. mus. Italiana, 1905, fasc. 4, e 1906, fasc.1-2, Il carbone bianco musicale italiano (per la rinascitadell'arte corale), in Musica d'oggi, settembre 1919, e latrascrizione ed interpretazione di madrigali e canzoni diGiovanni Pierluigi di Palestrina, O. Vecchi, A. Banchieri,L. Marenzio, di anonimi, ecc. Fra le sue composizioni, degnedi rilievo sono le giovanili Albe, sei canti per una voce epianoforte, le quindici Melodie pascoliane per canto epianoforte o orchestra, due Canzoni italiane per archi,arpa, celesta e timpani, La città fiorita, cinque "impronte"per pianoforte, sei Canzoni italiane per quartetto d'archi,e in particolare le quattro Canzoni italiane per archi, arpae fiati (Sinfonietta italiana prima - mondana -, Cordolente; Canzone dei giocatori a palla; La ninfa e ilpastore; Primavera d'amore), e le quattro Laudi Italiane perarchi, flauti e trombe (Sinfonietta italiana seconda -spirituale -; Prima laude di Natale; Seconda laude diNatale; Terza laude di Passione; Quarta laude di Pasqua),l'Alleluia per coro a quattro voci femminili e orchestra, laMessa da requiem a quattro voci, e, l'ultima suacomposizione (1927), il Cantico di Frate Sole di S.Francesco d'Assisi per coro di voci pari, orchestra eorgano, pubblicato la prima volta nell'Almanacco delleMissioni Francescane (1928), assai conosciuto ed eseguitoancor oggi dai cori degli ordini francescani.

Articolo tratto da www.treccani.it