al “Morosini”di Venezia - marinaiditalia.com · bacquei, i famosi “maiali”, riuscì a...

27
Marinai d’Italia MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MARINAI D’ITALIA Anno LXII n. 11/12 • 2018 Novembre/Dicembre Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Roma “Una volta marinaio... marinaio per sempre” CMI 2018 al “Morosini”di Venezia

Transcript of al “Morosini”di Venezia - marinaiditalia.com · bacquei, i famosi “maiali”, riuscì a...

Marinaid’ItaliaMENSILE

DELL’ASSOCIAZIONENAZIONALE

MARINAI D’ITALIA

Anno LXII

n. 11/12 • 2018Novembre/Dicembre

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento

Postale - D.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n° 46)art. 1 comma 1 - DCB Roma

“Una volta marinaio... marinaio per sempre”

CMI 2018al “Morosini”di Venezia

U n altro anno si avvia alla conclusione e primache ciò avvenga, il mio desiderio è che giunga-no a tutti i lettori gli auguri più affettuosi. Au-

guri per che cosa? Cosa vorrei, cosa auguro a tutti peril prossimo anno? Beh, buona salute, serenità negli af-fetti, stabilità finanziaria (se non crescita, ma con que-sti chiari di luna già mantenere lo status quo sembraun buon augurio) sono la base del mio auspicio.Vorrei però che ci impegnassimo maggiormente per lanostra Italia, perché potessimo vivere in un’Italia più amisura di… marinaio, dove, per esempio, l’anniversariodella Grande Guerra non sia l’ennesimo elemento dicontrapposizioni ma divenga, al contrario, unificante,come lo avevano vissuto e tramandato i nostri nonnicioè, tradotto in termini concreti, fosse dichiarato gior-no di vera Festa Nazionale. Unità Nazionale, tutti uniti,con cerimonie popolari senza retorica, rivolte soprat-tutto ai giovani ed gli studenti, unici veri destinatari delmessaggio che quella circostanza e dunque quella da-ta anniversaria racchiude, per tutti, destra, sinistra,centro e mediana finalmente per un giorno concordi.Auguro di poter vivere in un’Italia che si renda conto chenon si può andare avanti con il 30% dei giovani disoccu-pati e tanti laureati che preferiscono (o scelgono) di an-dare piuttosto a fare i lavapiatti a Londra, mentre man-teniamo migliaia (milioni, chissà?) di clandestini in al-bergo. Un’Italia dove le mamme abbiano finalmente lapossibilità di andare al lavoro disponendo di asili nidodove lasciare, gratis ed in sicurezza, i propri figli, unicomodo per farne più del mezzo a testa odierno; dove que-sti stessi figli, una volta adolescenti, non trovino unamorte assurda perché non sono rispettate le più basilarinorme di sicurezza (come successo recentemente a Co-rinaldo). Un’Italia dove ci si ricordi sul serio e finalmentedei nostri connazionali vittime dei terremoti che ancora

vivono in freddi containers (quando va bene), senzauna speranza concreta di vedere le macerie spalate ecase degne di questo nome costruite perché per loro,quando ospitiamo profughi in ville rinascimentali,spesso di lusso (come villa delle Orsoline a Rapallo,con spiaggia privata, campetto di calcio palestra, wi-fiecc.) o alberghi o residence di vacanza estiva. Un’Italiadove si trovano finalmente i soldi da mettere a bilancioper i 500 mila esodati (non per loro colpa), magari ri-vedendo al ribasso il consistente “argent de poche”elargito con generosa faciloneria a sfaccendati perdi-tempo così come lo smartphone ultimo modello cheonesti cittadini non si possono permettere (ma perchénon modelli meno attuali), il cui utilizzo sembra visibil-mente costituire l’unica attività svolta. Un’Italia dovenon si impieghino più migliaia di agenti e carabinieriper scortare ex (ma che dico, ex ex ex) che nessun ri-corda più e che forse nessuno ha mai minacciato dav-vero. Un’Italia dove sia dichiarata la verità su quantospendiamo in sanità pubblica per far fronte all’emer-genza migranti mentre i pronto soccorso per tutti i cit-tadini sono al collasso ed i tempi per una tac, vitale, dicontrollo sono paragonabili all’età di Matusalemme.Un’Italia dove siamo (giustamente) sì obbligati a rac-cogliere gli escrementi dei nostri cani, pena severissi-me ammende, multe o carcere, ma che non lasci piùstravaccati in terra, coram populo, all’addiaccio sotto iponti o cartoni dei poveri sbandati (che chissà dove …la fanno!).Insomma, buon 2019 a tutti i nostri Soci, ai loro fami-gliari, ai lettori, con la speranza e l’augurio sincero dicominciare finalmente a vivere in un Paese normale (loauspicava anche un noto esponente della sinistra, do-ve è andato a finire?)

nnn

Editoriale del Presidente Nazionale

Buon 2019...

Ventisei anni fa, il 17 gennaio 1992, scompariva nella sua ca-sa di Genova l’ammiraglio Luigi Durand de la Penne. Aveva

78 anni. Fu tra i primi volontari dei mezzi d’assalto della Marina;decorato sia di medaglia d’argento al valor militare per aver sal-vato l’equipaggio di un sommergibile affondato nell’agosto del1940 sia di quella d’oro per la leggendaria azione bellica del di-cembre 1941 quando, al comando di una spedizione di mezzi su-bacquei, i famosi “maiali”, riuscì a forzare il porto di Alessandriad’Egitto e ad affondare, insieme ai suoi uomini, due navi da bat-taglia ed una petroliera di Sua Maestà Britannica.Al termine di una breve parentesi diplomatica quale addetto na-vale italiano per un biennio in Brasile, terminato il servizio attivo,nel 1956 fu eletto deputato ed entrò in Parlamento. Venne rielettonel 1958 ed ancora nel 1965, nel 1968 e nel 1972. L’ammiraglioDurand de la Penne ha anche ricoperto di Sottosegretario di Sta-to alla Marina Mercantile nel secondo governo Andreotti.Nella circostanza viene riproposto il messaggio di cordogliodell’allora Capo dello Stato Francesco Cossiga: “CON LA SUAMORTE IL PAESE PERDE IL SIMBOLO DI UN’INTERA GENERA-ZIONE, CHE SEPPE SCRIVERE MEMEORABILI PAGINE DI CO-RAGGIO, VALORE, LEALTA.”Durante circa 20 anni di attività parlamentare de la Penne è statoil promotore di numerose iniziative legislative riguardanti proble-matiche della Marina sia Militare che Mercantile. È stato altresìPresidente della Federazione Italiana Nuoto, Consigliere Comu-nale di Roma e Presidente della Federazione Agenti Marittimi.Queste brevi note biografiche delineano la figura di un “uomodi mare” i cui nobili valori morali fanno ormai parte della storiadel nostro Paese.

Motivazione della M.O.V.M.concessa al Tenente di Vascello Durand de la Penne Luigiin data 31-8-1944

“Ufficiale coraggioso e tenace, temprato nello spirito e nel fisi-co da un duro e pericoloso addestramento, dopo aver mostrato,in due generosi tentativi, alto senso del dovere e di iniziativa,forzava, al comando di una spedizione di mezzi d’assalto su-bacquei, una delle più potenti e difese basi navali avversarie,con una azione in cui concezione operativa ed esecuzione pra-tica si armonizzavano splendidamente col freddo coraggio econ l’abnegazione degli uomini.Dopo aver avanzato per più miglia sott’acqua e superando dif-ficoltà ed ostacoli di ogni genere fino all’esaurimento di tutte lesue forze, disponeva la carica sotto una nave da battaglia nemi-ca a bordo della quale veniva poi tratto esausto.Conscio di dover condividere la immancabile sorte di coloro chelo tenevano prigioniero, si rifiutava di dare ogni indicazione sulpericolo imminente e serenamente attendeva la fine, deciso anon compromettere l’esito della dura missione.Rimasto miracolosamente illeso, vedeva, dalla nave ferita amorte, compiersi il destino delle altre unità attaccate dai suoicompagni.Col diritto alla riconoscenza della Patria conquistava il rispet-to e la cavalleresca ammirazione degli avversari; ma non pagodi ciò, una volta restituito alla Marina dopo l’armistizio, offri-va nuovamente se stesso per la preparazione e l’esecuzione dialtre operazioni, sublime esempio di spirito di sacrificio, distrenuo coraggio e di illimitato amor di Patria”.

Motivazione della M.A.V.M.concessa al Tenente di Vascello Durand de la Penne Luigiin data 27-12-1941

“Imbarcato di passaggio sopra una nave-appoggio, attaccatacol siluro e con le mitragliatrici da aerei siluranti nemici a bas-sissima quota, che riuscivano ad affondare l’unità, dimostravasprezzo del pericolo ed ardimento.Partecipava poi alle operazioni dirette al salvataggio dei su-perstiti rinchiusi all’interno di un sommergibile, silurato edaffondato nello stesso tempo, affrontando per più di 24 ore ipiù gravi pericoli e le più ardue difficoltà, noncurante della pro-pria incolumità, raggiungendo il suo intento.Poiché l’ultimo superstite, non sapendo nuotare, non osavauscire da solo dal locale nel quale era rifugiato, penetravanell’interno del sommergibile per portargli un respiratore e peraiutarlo nella fuoriuscita; avendo poi il naufrago messo fuoriuso il respiratore portatogli, gli cedeva il proprio e riusciva acondurlo a salvamento.Dava così prova delle più alte e nobili virtù di freddo coraggio,di generoso altruismo e di dedizione al dovere spinto fino agliestremi limiti”.

75° anniversario dell’affondamento della Corazzata RomaNel numero di ottobre 2018 è stato pubblicato l’articolo inerente il 75° anniversario del-l'affondamento della Corazzata Roma. Si desidera aggiungere la meritoria, appassio-nata opera di sostegno e partecipazione alla realizzazione della cerimonia e del monu-mento da parte dell’Associazione Reduci e Famigliari dei Caduti della Corazzata Romae dei CC.TT. Da Noli e Vivaldi cui va tutto il ringraziamento, l’affetto e la considerazionedei Marinai d’Italia.

26° Anniversario della scomparsa di Luigi Durand de la Penne

Errata CorrigeIn seconda di copertinadi Marinai d’Italian. 10/Ottobre,Soci ANMI Centenari:Vittoriano Magistrelli,località corretta LERICIanziché Parma.

1 Editoriale del Presidente Nazionale

SPECIALE - XX Raduno ANMI - SALERNO 4 Non solo pizza e mandolino

8 Consegna della bandiera di combattimento a nave Luigi Rizzo

10 CMI 2018

13 Un aneddoto sul Presidente Francesco Cossiga

14 Elogio del Supplemento

18 Rossetti, Paolucci e la Viribus Unitis

24 Dagli Scià agli Ayatollah

30 Genepesca

32 La perdita della Settima flottiglia cacciatorpediniere

36 Le Foibe e l’Esodo

40 Una vita sul mare al servizio di quattro bandiere

42 Le cartoline raccontano...

44 La cernia

45 Una ghiacciaia sul mare

46 Lo sviluppo dell’orologio nella Grande Guerra

48 Recensioni

pag. 4

pag. 14

pag. 36

pag. 42

pag. 42

pag. 46

Sommario

Avvisoai Naviganti

Dal 1° giugno 2018sono trattate solo:

• le foto pervenute alla Pre-sidenza Nazionale inviatealla casella di posta elet-tronica della [email protected] in formato digita-le (con risoluzione ottima-le per la stampa di 300 dpie una misura di base paria 10 cm. che di massimacorrisponde al “peso” di1,2 megabyte);

• le foto in cui sia palese ilcorretto impiego della di-visa sociale (come riporta-to nel “Regolamento di at-tuazione dello Statutodell’ANMI” - ed. 2012).

In ottemperanza al GDPR(General Data ProtectionRegulation) 679/2016, entra-to in vigore a far data dal 25maggio 2018, si assicura chela ditta incaricata della distri-buzione del “Giornale deiMarinai d’Italia” (DATASPED,SRLS - Via Ragusa 13/A,00041 Albano Laziale - RM)provvede alla cancellazionedei file elettronici contenentii dati dei Soci ANMI ai quali,avendo espresso il proprioassenso a riceverlo, il perio-dico viene inviato per posta.

La cancellazione dei dativiene eseguita al terminedella fase di cellofanatura(che precede quella dellaconsegna delle copie del“Giornale” alle PP.TT.).DATASPED SRLS comunicavia email a questa PresidenzaNazionale, di volta in volta,dell’avvenuta cancellazionedei file di che trattasi.

LA REDAZIONE

DIARIO DI BORDOMARINAI D’ITALIA

In copertinaAttività velica del CMIpresso il “Morosini” di Venezia(vds art. a pag. 10/12 )

Direttore responsabileGiovanni Vignati

VicedirettoreAngelo Castiglione

RedazioneAlessandro Di Capua, Gaetano Gallinaro,Massimo Messina, Daniela Stanco,Beppe Tommasiello

Direzione, Redazione e Amministrazionec/o Caserma M.M. Grazioli LantePiazza Randaccio, 2 - 00195 RomaTel. 06.36.80.23.81/2Fax 06.36.80.20.90

Sito webwww.marinaiditalia.com

[email protected]

Iscrizionen. 6038Reg. Trib. Roma 28 novembre 1957

Progetto grafico e impaginazioneRoberta Melarance

StampaArtigrafiche Boccia spa via Tiberio Claudio Felice, 784131 Salerno

Numero copie35.400

Codice fiscale 80216990582

C.C. BancarioUNICREDIT BANCA DI ROMA S.p.A.Agenzia di Roma 213Ministero Difesa MarinaIBAN: IT 28 J 02008 05114 000400075643Codice BIC SWIFT: UNCRITM 1B94

C.C. Postalen. 26351007 ABI 07601 - CAB 03200 - CIN OIBAN: IT 7400760103200ooo026351007Codice B.I.C. BPPIITRRXXX

Ambedue i conti intestati aAssociazione Nazionale Marinai d’ItaliaPresidenza Nazionalec/o Caserma M.M. Grazioli LantePiazza Randaccio, 2 - 00195 Roma

Milazzo.Cerimonia di consegna

della bandiera di combattimentoa nave Luigi Rizzo

(vds art. a pag. 8/9 )

pag. 18

livello questi ultimi due grandi artisti; a meno perché li ha uniti la genialità!) e chissàquanti altri ancora ho inconsapevolmentetralasciato…Anche da un punto di vista enologico laCampania ha tutti i numeri per ben figura-re e non solo a livello nazionale. La primatraccia di viticultura in questi territori risa-le all’VIII secolo a.C., per mano dei Greciche, una volta insediati, introdussero mol-te varietà di vitigni tra le quali l’aglianico(ai giorni nostri il più diffuso). Questa lorocultura si sarebbe in seguito esaltata du-rante l’epoca romana. Di vino campano sene parla nell’XI secolo grazie al “bottiglie-re” di Papa Paolo III, tale Santo Laucerio,che tesse le lodi del Greco di Somma, delCoda di Volpe di Noli ed altri. Il secolo XIXfu un disastro: la fillossera che un po’ intutta Europa distrusse la stragrande mag-gioranza dei vigneti indusse tanti coltiva-tori ad orientarsi verso una trasformazio-ne agricola che in Campania si tradussenella diffusione del tabacco, facendolabalzare ai primi posti della produzione na-zionale. E non basta perché alcuni viticol-tori decisero di “dimenticare” i vitigni au-toctoni per dedicarsi a quelli con resaproduttiva elevata, i cosiddetti “interna-zionali” (merlot, chardonnay e cabernetfranc). Dalla metà degli anni ’80 tornaperò prepotente anche in Campania ilconcetto di terroir e vengono di conse-guenza recuperati e coltivati tutti quei vi-tigni locali che citerò tra breve.La particolare conformazione del suolocampano, che comunque risente del be-nefico effetto delle eruzioni del Vesuvio(in prossimità della costa soprattutto ter-reni di natura magmatica, scuri e friabili,mentre sulla dorsale appenninica, in par-ticolar modo nelle province di Avellino e

Caserta, prevale il calcare e le argille) lecui ceneri sono ricche di sostanze mine-rali, si ritiene sia alla base della notevolevarietà ampelografica. Più di cento vitigniautoctoni, soprattutto a bacca bianca,che oggigiorno caratterizzano una produ-zione enologica ovviamente molto diver-sificata. Tra i vitigni a bacca nera, comedetto in precedenza, la parte del leone lafa l’aglianico che rappresenta circa il 30%dell’intero prodotto regionale. Sono que-ste le uve che, vinificate in “purezza”(senza cioè l’aggiunta di altri tipi di uveaggiunte nel mosto), danno corpo sia alTaurasi sia all’Aglianico del Taburno (ledue DOCG dei rossi). Sempre a bacca ne-ra seguono il piedirosso, il pallagrello ne-ro ed il tintore che si pongono soprattuttoin veste di “complementari” dell’aglianico(il tintore, in particolare e come si può in-tuire, viene aggiunto per conferire un co-lore più intenso al vino).Tra i vitigni a bacca bianca, numerosissi-mi come detto in precedenza, spiccano lafalanghina (dei Campi Flegrei, di prontabeva e del Sannio, più strutturato/evolu-to), il fiano ed il greco; questi ultimi duedanno corpo, rispettivamente, al Fiano diAvellino ed al Greco di Tufo che rappre-sentano le due DOCG dei vini bianchi diCampania. A seguire il coda di volpe (giànoto nell’antichità come detto in prece-denza) che nella provincia di Beneventosi esalta e spesso utilizzato in uvaggiocon la falanghina, l’asprinio che, come di-ce il nome, presenta caratteristiche dielevata acidità e che quindi bene si pre-sta al processo di spumantizzazione ed ilpallagrello bianco.Dal momento che l’invasione dei “soliniblu” avverrà a Salerno reputo opportunofornire qualche dettaglio sui vini prodotti

in questa particolare area. Salerno è il ba-ricentro di due estese zone di produzionedi vini bianchi: la penisola sorrentina equella cilentana. Per quanto concerne laprima, caratterizzata dai vigneti terrazzatisu rocce pronunciate, troviamo la papel-la, il fenile il ripoli e la biancazita: un mi-crosistema unico nel suo genere che dàvini di straordinaria eleganza. Nel cilenta-no, invece, oltre agli immortali aglianico efiano, abbondano merlot, cabernet sauvi-gnon, barbera, sangiovese, trebbiano eprimitivo.Ma consentitemi di tornare alle eccellen-ze dei rossi campani. Non c’è dubbio che

5Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

C i scommetto: finirò per essere de-riso almeno per una settimana; mi“spivoleranno” come fecero qua-

ranta e più anni fa in Accademia. Con chice l‘ho, direte voi? Con i due compagni dicorso, tre anni più anziani del sottoscrit-to, che in Presidenza ricoprono il ruolo diSegretario Generale e Capo ufficio “ceri-moniale”. Due carissimi amici, per caritàdi Dio! Due fratelli più grandi per quantomi concerne. Ma c’è un ma! Sono en-trambi sommelier AIS, di quelli bravi, pre-parati che sanno parlare di vini, di quellifortificati anziché dei passiti, del proces-so di spumantizzazione metodo “Char-mat” e non solo; che disquisiscono sullostato evolutivo di un rosso o di un biancogià al primo assaggio nella gusto-olfatti-va, che quando da noi c’è una “bollicina”da stappare per festeggiare un lietoevento o il Natale che si avvicina vanno aguardare avidamente l’etichetta per con-trollare se è un metodo classico e l’even-tuale millesimo. Uno dei due addiritturasa a memoria tutte le DOCG (Denomina-zione di Origine Controllata e Garantita)del Piemonte, Lombardia, Veneto, Tosca-na, Lazio e Puglia quando va male. E quel-le del solo Piemonte sono ben 17, se lamemoria non mi inganna! Io non sono unsommelier AIS bensì un “sss” (somma-riamente, sommessamente sommelierAIS) perché ho studiato poco e male. L’e-same finale l’ho passato credo per grazia

ricevuta. Allora potete intuire il mio statod’animo, nel redigere l’articolo. Non èbaldanzoso bensì timoroso, moscio, anni-chilito, perché potrei riportare banalità onotizie errate; dunque la paventata cata-strofe. Non mi posso nemmeno parago-nare a Davide contro Golia perché ho lafionda con un elastico rotto... ma anchela faccia tosta di scrivere qualcosa da“sss” dal momento che l’ho promesso almio Direttore!Ora, se dovessi mettere sui piatti di unaimprobabile, immaginaria bilancia i pro ei contro della Regione che ospiterà il XXIRaduno Nazionale dell’ANMI sono certoche il responso sarebbe schiacciante: cisaranno pure delle criticità (ad esempio i

problemi derivanti dalla cosiddetta “terradei fuochi”, le “vele” di Scampia, dove lalegalità naviga da tempo in alto mare) mala Campania è sempre stata terra di ec-cellenze. Non solo per la pizza, il Pomodo-ro San Marzano, la mozzarella di bufala,le ultime due tra l’altro con marchio DOP(Denominazione di Origine Protetta); i li-moni di Sorrento, le acciughe sotto sale diCetara ed il casatiello napoletano. Il Vesu-vio, gli scavi di Pompei ed Ercolano,Amalfi (una delle quattro Repubblichemarinare), la Reggia di Caserta e quella diCapodimonte, Pulcinella, Massimo Ranie-ri e Troisi, Antonio de Curtis (ovvero Totò),Pino Daniele (al lettore potrà sembrareun’eresia aver osato mettere sullo stesso

4 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

SPECIALE XX Raduno Nazionale Marinai d’Italia - Salerno 28/29 settembre 2019

Non solo pizzae mandolinoAlla scoperta dei vinipiù importantidella CampaniaAngelo CastiglionePresidenza Nazionale 4° ufficio, socio del Gruppo di Romae sommelier AIS (delegazione di Roma)

La falanghina rappresenta il vitignopiù diffuso in questa Regione

Zone di produzionedei vini DOCG e DOC della Campania

Ai piedi del Taburno,secolari vigneti

di aglianico innevati

e tartufo bianco per il Riserva, in boccaesalta l’abbinamento.E degli altri imprtanti vini campani cosa ri-porta la guida? Tanto. Tanto è vero chepotrei annoiare il lettore…Nel salernitano, a Furore, troviamo Mari-sa Cuomo, produttrice insieme ad AndreaFerraioli, che si fa notare con il suo “Co-sta d’Amalfi” bianco DOC 2015 (uvaggiodi falangina 60% e biancollella 40%) a14,56 €. Perfetto l’abbinamento con unpiatto di crudo di gamberi e tonno. A La-pio (AV), in contrada Arianello, “Colli diLapio” produce dell’ottimo Fiano di Avel-lino”, bianco DOCG 2015, venduto a 13 €a bottiglia che si sposa alla perfezionecon un primo di linguine al nero di seppiae menta. A Torrecuso (BN), la famiglia Ril-lo porta avanti dal 1980 l’azienda denomi-nata “Fontanevecchia” la cui produzionedi punta (solo 5.700 bottiglie) è rappre-sentata dall’Aglianico del Taburno “VignaCataratte” 2009 (rosso DOC, aglianico inpurezza) a 18 €, da abbinare ad un for-maggio particolare quale il caciocavallodi Castelfranco stagionato. Sul versanteSud del Vesuvio c’è il Comune di Terzigno(NA) dove “Villa Dora”, di proprietà diGiovanna Ambrosio, produce il “LacrimaChristi del Vesuvio bianco vigna del Vul-cano” (DOC, “Coda di volpe” in purezza);la vendemmia 2014 è offerta a 16 €. Otti-mo l’abbinamento con un primo piatto aifrutti di mare.Per quanto concerne i vitigni campanimeno noti il produttore Nanni Copè, la cuiazienda sitrova a Vitulazio (CE), propone il“Sabbia di sopra il bosco”, vendemmia2014, a 25 €. Un blend rosso IGT (Identifi-cazione Geografica Tipica), che nulla hada invidiare ai “cugini” muniti di DOCG, incui il pallagrello nero è presente al 90% ed

il rimanente 10 ripartito equamente traaglianico e Casavecchia. L’abbinamentoottimale è con i panciotti di mozzarella dibufala con melanzane e pomodorini.In chiusura vorrei provare a sfatare unmito: la classica pizza napoletana (moz-zarella o mozzarella di bufala, pomodoropachino, olio e.v.o., formaggio grattugiatoe basilico fresco aggiunto a cottura ulti-mata), che dal 5 febbraio 2010 è ufficial-mente riconosciuta come Specialità Tra-dizionale Garantita (STG) dell’Unione eu-ropea. Normalmente la accompagnamocon un bel boccale di birra molto freddo.Corretto? Sì. E se invece proponessi unospumante a base di asprinio, altro vitignoautoctono della Campania, prodotto peresempio a Lusciano (CE) da “I Borboni” evenduto a 10 €? Non è una idea peregri-na perché la “bollicina”, come si dice ingergo, è effervescente (contiene anidridecarbonica), e dotata di acidità e sapidità.Tutte caratteristiche del vino spumanteche, come direbbe il grande maestro eSommelier (con la S maiuscola) AIS LucaRadicchi, si mettono a braccetto ed insie-me vanno a combattere la grassezza del-la mozzarella e la tendenza dolce dellapasta della pizza, infine creando nel pala-to una sensazione piacevole che rasental’armonia ed appaga i sensi. Provare percredere!Sul sito degli aforismi, tra i tanti, ho trova-to questo. Mi è piaciuto perché in brevespiega tutto sul vino. Lo dedico a coloroche, se sono arrivati sin qui, si sono pur-troppo annoiati:

Il vino ha una pastosa pienezza ch’empiepalato e anima di sapore.

Antonio Fogazzaro (1842 – 1911)nnn

7Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Accellica - situato a cavallo tra le provin-ce di Avellino e Salerno-, il cui corso at-traversa il territorio irpino per circa 40Km. prima di entrare nel beneventano. Daoltre due secoli la storia del Taurasi si in-treccia con i Mastroberardino: nel cata-sto borbonico di metà del settecento re-lativo alla cittadina di Atripalda, che ac-colse la famiglia, vi è testimonianza dellro impegno nella produzione di questonettare. Da allora sono dieci le genera-zioni dei Mastroberardino che si sonosuccedute in questa particolare arte. An-gelo Mastroberardino, il fondatore delladenominazione, nel 1878 effettuò la primaiscrizione dell’attività di famiglia neglielenchi della Camera del Commercio diAvellino; grazie al figlio Michele, inveve,è avvenuto il progressivo inserimento delTaurasi nel mercato delle due Americhe.Oggi il timone dell’azienda è affidata aPiero: figura di spessore, infaticabile edautorevole conoscitore dei vini italiani.

Sotto la sua sapiente spinta il connubioTaurasi/Mastroberardino rappresenta dicerto una solida eccellenza della Campa-nia nel settore enologico con circa duemilioni di bottiglie che ogni anno esconocome folletti dall’antica cantina di Atri-palda per essere vendute e soprattuttoper la gioia del palato degli estimatori.E dopo tante lodi quanti bei bigliettoniverdi (da 100 €, per capirci) ci vorrannomai per “accedere” ad una bottiglia dibuon Taurasi? La “Guida ai vini AIS” Vi-tae dello scorso anno, alla pagina dedi-cata al produttore Mastroberardino, citatre di queste bottiglie: il “Radici” Riserva(vendemmia 2009) a 28 €, il “Radici” del2012, a 23 € ed il “Naturalis Historia”, an-che questo del 2009 a 31€. Prezzi più cheabbordabili, a mio giudizio, per un rosso“di sostanza” che con secondi a base dicarne (per esempio la tagliata di manzoal mirtillo) per gli ultimi due ovvero conuova al tegamino con crema di taleggio

6 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

SPECIALE XX Raduno Nazionale Marinai d’Italia - Salerno 28/29 settembre 2019

Sulla meravigliosaCostiera Amalfitana

vigneti secolari sono impiantatisu spettacolari terrazzamenti

Barbera e Barolo, delle langhe piemonte-si e di alto lignaggio (insieme al ChiantiClassico ed al Brunello di Montalcino del-la Toscana Centrale, aggiungo io) sianoquelli maggiormente diffusi e quindi cono-sciuti anche oltre i confini nazionali. Ma ilTaurasi (originario dell’Irpinia) non è as-solutamente da meno! Ad asserirlo fu, nellontano 1932, l’onorevole Arturo Mare-scalchi: un emiliano dal carattere burberoe rigoroso che spese la propria vita diver-tendosi e come enologo e come agrono-mo, giustamente citato tra i padri fonda-tori della moderna enologia del nostroPaese.Il Decreto Ministeriale del Marzo ’93 hasancito a questo vino il rango di DOCG; ilTaurasi è stato quindi il primo vino dell’I-talia meridionale a fregiarsi della qualificapiù alta prevista per i disciplinari di produ-zione d’Italia. Ed il fatto poi che dal luglio2003 la DOCG sia stata anche attribuita aiconterranei Fiano di Avellino e Greco diTufo la dice tutta in merito all’importanzadell’Irpinia sotto il profilo vitivinicolo.Il nome Taurasi deriva dalla cittadina daiRomani chiamata Taurasia. Nel 42 a.C.l’ager Taurasinus (oggidì i Campi Taurasi-ni) venne assegnato, quale segno di rico-noscenza, a quei soldati romani che ave-vano combattuto la battaglia di Filippi, inMacedonia, e che proprio da quei luoghiavevano importato e successivamenteimpiantato e coltivato il vitigno tipico. TitoLivio, nel suo Ab urbe condita cita “Tau-rasia dalla vigna opima” quale zona diproduzione di vino eccellente. Oggi la zo-na di produzione del Taurasi si estendesu 17 comuni lungo il sistema idrograficodel fiume Calore che ha origine dal monte

Questa è la lista di dei primatidel Regno delle Due Sicilie

• 1231 La Scuola Medica Salernitana,prima università di medicinain Occidente

• 1000 (circa) Trotula de Ruggiero,prima donna medico della storia

• 1300-1400Nascita delle prime banche• 1522 L’ospedale degli Incurabili,primo ospedale moderno al mondo

• 1737 Costruzione San Carlo di Napoli,il più antico teatro d’Opera al mondoancora operante

• 1751 Primo esempio di Welfare State,il Real Albergo dei Poveri

• 1754 Prima cattedra di Economiaal mondo

• 1762 Cimitero delle 366 fosse.Primo cimitero per i poveri

• 1770-1771 Reali ferriere ed Officinedi Mongiana

• 1781 Primo Codice Marittimo almondo, il Codice De Jorio

• 1783 Prima fabbrica di navi in Italia,Cantiere di Castellammare di Stabia

• 1783 Primo regolamento antisismicod’Europa

• 1801 Il primo Museo mineralogicod’Italia

• 1813 Il primo ospedale psichiatricod’Italia

• 1818Primo piroscafo del Mediterraneo,il “Ferdinando I”

• 1819 Primo osservatorio astronomicoitaliano a Capodimonte

• 1832 Primo ponte sospeso,il ponte sul Garigliano

• 1839 Prima ferrovia d’Italia,la Napoli-Portici

• 1839 Prima illuminazione a gasin una città città italiana,terza dopo Parigi e Londra

• 1840 Prima fabbrica di locomotived’Italia, Pietrarsa

• 1841 Primo centro vulcanologicodel mondo

• 1851 Prima lavatrice• 1853 Prima nave a vapore d’Italia,la “Sicilia”

• 1860 Napoli. Prima città d’Italiaper numero di Teatri

• 1872 Napoli. Stazione ZoologicaDohrn, l’acquario più antico d’Europa

• 1888 L’Orientale fu la primauniversità di lingue in Europa

• 1892 Il Mattino e il primato di Napolianche nel giornalismo

http://www.vesuviolive.it/cultura-napoletana/sto-ria/7368-tutti-i-primati-napoli-regno-delle-sicilie/

La cantina della ditta I BORBONIcon botti di Aglianico del 1998

BIN, l’A.D. De Felice Comandante di Ma-rina Sicilia, il Generale comandante laBrigata Meccanizzata Aosta, l’A.I. Mar-tello in rappresentanza del ComandanteGenerale delle CC.PP.-G.C., i Direttori Ma-rittimi della Sicilia CC.AA. Gravante eMartinez, il Comandante del Porto C.F.(CP) Terranova.L’ANMI è stata presente con il C.N. Co-mandante Mario Dolci, in rappresentanzadel Presidente Nazionale, dai DelegatiRegionali della Sicilia CC.AA. Tedone eZaccaria e con numerosi Soci apparte-nenti ai Gruppi di Messina, Acireale, Sira-cusa, Carini, Catania Fiumefreddo, Paler-mo, Paternò, Ragusa, Taormina, Pozzallo,S. Cataldo, Scicli, con relativi vessilli. Pre-sente, con relativo vessillo, anche il Pre-sidente del Gruppo di Spoleto con la gen-tile Consorte. Il medagliere della M.M. èstato orgogliosamente portato dal Presi-dente del Gruppo di Fiumefreddo, Sercia.

Una emozionatissima baronessa Gugliel-mina Rizzo Bonaccorsi, novantaquattren-ne, figlia dell’Eroe, ha dato l’avvio alla ce-rimonia con toccanti parole di ringrazia-mento verso la M.M. ed i suoi concittadini.A sua volta, il Sottosegretario Volpi ha af-fermato, tra l’altro, che “oggi Milazzo è l’I-talia e l’Italia è tutta a Milazzo”, “oggi es-sere eroe significa osare, fare le cose sen-za avere paura... essere eroi come lo è sta-to Luigi Rizzo”. Il Capo di Stato Maggiore

della Marina ha ribadito il forte legame frala Sicilia in genere e Milazzo in particolare.Ha ringraziato gli intervenuti, dedicando unparticolare ringraziamento all’ANMI.Dopo le allocuzioni si è proceduto alla con-segna di onorificenze al Merito di Marinaad elementi delle Capitanerie di Porto di-stintisi in un salvataggio ed è stata conse-gnata la targa del premio “Icaro” al COM-SUBIN per la sua meritoria attività.Il Primo Cappellano militare Capo don An-drea di Paola ha quindi officiato la benedi-zione, dopo di che è avvenuta la formaleconsegna da parte del Presidente del

Gruppo di Messina al Comandante dellaNave. C.F. Vincenzo Pullez, del cofano e,immediatamente dopo, della bandierastessa da parte del Sindaco di Milazzo. Labandiera, affidata al più giovane ufficiale diS.M. del Rizzo, è stata portata a bordo edalzata a riva, fra le rituali salve di saluto.La cerimonia si è conclusa nel quadratoufficiali di Nave Rizzo con la firma del ver-bale di consegna.

nnn

9Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

L unedì 8 ottobre, in una giornata dicaldo sole estivo, si è svolta a Mi-lazzo la cerimonia di consegna del-

la bandiera di combattimento e del cofanocontenitore alla fregata Luigi Rizzo (F 595),seconda del nome. Nello stesso porto,nell’ormai lontano 1 aprile 1962, vennerodonati al primo Rizzo (F 596) bandiera e co-fano dal Gruppo di Messina.Caratteristiche della “nuova” nave, sestaunità della classe “Bergamini” e secondain configurazione multiruolo, sono: dislo-camento 5.950 t. in carico normale, mt.142x19,4x6 le dimensioni, apparato motoredi tipo CODLAG basato su turbina a gas,

motori Diesel ed elettrici su due eliche apasso variabile per una velocità massina di28 nodi, armata con missili e cannoni di ti-po avanzatissimo. Giunta a Milazzo nellamattinata del 4, la cerimonia vera e propriasi è svolta il giorno 8 ottobre sulla banchinaXX Luglio del porto alla quale si era ormeg-giata Nave Comandante Bettica, alla pre-senza di un folto pubblico e di scolaresche.Il Governo è stato rappresentato dal Sot-tosegretario di stato alla difesa, on. Raf-faele Volpi. Il Parlamento dal capogruppo

del movimento 5 stelle alla Camera Fran-cesco d’Uva e dall’on. Ella Bucalo di Fra-telli d’Italia.A fianco del Prefetto della Provincia diMessina, l’Arcivescovo ed Archimandritadella Diocesi, il Sindaco di Milazzo, avv.Giovanni Formica, con vari componentil’Amministrazione locale e Sindaci dei co-muni viciniori.Fra le Autorità militari presenti, il C.S.M.della Marina, il Comandante della Squa-dra Navale, il Comandante del COMSU-

8 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Manifestazioni e Cerimonie

Consegna dellabandiera di combattimentoa nave Luigi RizzoCapitano di Vascello (CP) Luciano GrazioliPresidente del Gruppo di Messina

Una spensierataavventura disciplinataNicole Dell’Orti e Valentina MasulloSocie del Gruppo di Milano

S ono seduta sui gradini esterni della Stazione Santa Lucia aVenezia ed osservo il brulicare, l’andirivieni delle persone edei vaporetti. È il 24 luglio, ho il sole in viso e fa molto caldo.

Ho viaggiato in treno da sola, da Busto Arsizio, dove abito, allastazione di Milano Centrale dove ho incontrato Federico (il nostrotutor), Giacomo e Davide. Sono tre ragazzi piemontesi che, comeme, sono diretti a Venezia per il campo velico.

In breve siamo entrati in confidenza e ci siamo ritrovati a scher-zare per scacciare quel senso di ansia che un poco ci attanaglia-va. Siamo giunti a Venezia senza avere il tempo di annoiarci. Orasto aspettando di imbarcarmi con loro sul vaporetto per l’Isola diSant’Elena dove mi attende anche Valentina (che, proveniente daRoma, dovrebbe essere già giunta là) ed inizio a ripensare a cometutto sia cominciato.In un giorno di aprile, accompagnando (un po’ sbuffando, non lonego) mio padre presso la sede ANMI di Milano (mi dicevo tra mee me: che ci vado a fare in un posto così?), mi cade l’occhio sullalocandina affissa [nota 1] in cui si annunciava che presto si sa-rebbero aperte le iscrizioni per il “campo velico” dellaCMI (le As-sociazioni dei Marinai in ambito europeo): e che quello di que-st’anno si sarebbe tenuto in Italia, presso la prestigiosa ScuolaNavale Militare “Francesco Morosini” di Venezia [nota 2].Premetto che non ero appassionata di vela, però, del Morosini (il“liceo della Marina”!) ne avevo già sentito un gran parlare; l’idea,poi, che la “CMI” potesse rappresentare anche un’occasione permettere alla prova il mio inglese, mi prese immediatamente. Chie-si, allora, subito informazioni al Segretario che mi dirottò sul Pre-sidente del Gruppo.Dopo essere riuscita a parlare con lui - basta! – avevo preso ladecisione: nel momento in cui fosse uscito il bando, sarei subitocorsa ad iscrivermi (naturalmente coinvolgendo i miei genitorinelle varie formalità).Così feci e la mia velocità venne premiata: con mia grande sorpre-sa, ricevetti proprio dal Presidente la comunicazione che ero statapresa! Ed anche che non sarei stata da sola: a rappresentare il

11Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

C ome da tre anni a questa parte, ho avuto la possibilità dipartecipare al campo vela CMI (Confederazione MarittimaInternazionale) organizzato dall’Associazione Nazionale

Marinai d’Italia. Quest’anno però, grazie all’ammiraglio Messina,in qualità di team leader di 3 ragazze e 6 ragazzi italiani (AuroraDesimone, Nicole Dell’orti, Marco Aprile, Valentina Masullo,Alessandro Massari, Alessandro Silvestro, Gabriel Giansanti,Giacomo Forlani, Davide Dall’ara) e insieme ai gruppi di ragazzi eragazze provenienti da Francia, Germania, Austria, Bulgaria e Bel-gio la Marina Militare ci ha ospitato presso la prestigiosa Scuolanavale militare Francesco Morosini di Venezia.Tutti i partecipanti hanno avuto la possibilità, oltre a migliorare lapropria conoscenza velica attraverso attività giornaliere presso lostabilimento elioterapico della Marina ubicato al lido di Venezia,di imparare i rudimenti della nobile arte della “voga alla veneta”insegnataci dal Signor Lino Farnea, gondoliere di professione finoa qualche anno fa. Insieme alla sua simpaticissima consorte, diorigine americana, ci hanno spiegato, in italiano ed inglese, tuttii trucchi del mestiere. Durante i 10 giorni in cui siamo stati al Mo-rosini (dal 24 luglio al 2 agosto) i ragazzi stranieri e non, durantela libera uscita serale, hanno potuto scoprire la “serenissima”: untempo la più importante delle 4 repubbliche marinare, visitandoinoltre il museo navale e palazzo ducale. Rispetto agli altri campia cui ho partecipato (Croazia 2015 e Bulgaria 2017) ho avuto mododi riscontrare da parte degli organizzatori un maggior livello di at-tenzione e professionalità focalizzato cioè più alla vela e meno al-lo svago. Un esempio: ad ognuno dei partecipanti è stato donatoun kit di abbigliamento sportivo (T-Shirt per le attività veliche, ma-gliette tipo Polo per la “franchigia”, pantaloncini, tuta, scarpe eberretto) ed uno spaziosissimo zaino.Se è vero che uno degli obiettivi principali di questo evento eraquello di stimolare nei ragazzi e ragazze partecipanti lo spirito diamicizia e di fratellanza in un’ottica internazionale, ebbene ne hoavuto la piena conferma soprattutto durante l’“Admiral day” comei vertici della varie Associazioni della CMI, presenti a Venezia perincontrare i propri giovani che hanno partecipato al campo vela,hanno potuto constatare nel corso della premiazione di chiusuradell’evento presso il Circolo Ufficiali di Marina.Essendo stata una memorabile esperienza tengo a ringraziare par-ticolarmente: la Presidenza dell’Associazione Nazionale Marinaid’Italia, che oltre ad avermi attribuito il ruolo di team leader ita-liano mi ha dato l’incarico di redigere l’articolo, gli istruttori e uf-ficiali del Morosini per la loro disponibilità e i ragazzi per la loropreziosa compagnia. Consiglio questa meravigliosa esperienza atutti gli adolescenti perché possano provare a vivere in comunitàe apprezzare questo bellissimo dono: il mare!

10 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Noi e i giovani

Campo velico della ConfederazioneMarittima Internazionaleal “Morosini” di VeneziaCMI 2018Federico Campazzo - Socio di Acqui Terme

[nota 1] (n.d.r.) ah, l’importanza di portare figli e nipoti nelle nostre sedi ANMI!

[nota 2] (n.d.r.) Il Collegio Navale Francesco Morosini, fondato nel 1961, dal1998 è ufficialmente divenuto “Scuola Navale Militare Francesco Morosini”e gli allievi acquisiscono lo status di “militari”: sono, quindi, tenuti a fare ilprescritto giuramento ed ad indossare le stellette. In occasione del 40ennaledella Scuola, il Giuramento è stato solenne e tenuto in Piazza San Marco allapresenza dell’allora Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi. Però, più che“Scuola Militare”, per tutti il Morosini è ancora oggi il... Morosini !

13Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

C irca quaranta anni addietro, comeUfficiale del Genio Navale specia-lizzato in Energia Nucleare, con il

grado di Capitano di Fregata (Tenete Co-lonnello, per le altre Forze Armate), ero re-sponsabile di un Ufficio dello Stato Mag-giore della Marina che si occupava, ap-punto, di “Difesa NBC” (Nucleare, Batte-riologica e Chimica).Una mattina entrò nel mio ufficio l’AdB(Aiutante di Bandiera) del Capo di StatoMaggiore della Marina e senza mezzi ter-mini mi disse: il Capo la vuole subito. Supe-rato lo stupore (quando si dice il “Capo” al-lo S.M.M. si intende il Capo di Stato Mag-giore, cioè il vertice della Forza Armata e,di conseguenza, fra il Capo e me c’era unascala gerarchica non indifferente) accen-nai all’obbligo di informare almeno il miosuperiore diretto. Niente da fare: il Capo lavuole subito.Vado nell’ufficio del Capo e mi sento dire: lastanno aspettando al Gabinetto del Mini-stro, in Via XX Settembre. Riferisca solo ame personalmente.L’AdB mi prende sotto braccio e mi porta nelcortile d’onore di Palazzo Marina, dove unaAlfa Romeo di servizio mi sta aspettando,con un carabiniere-motociclista di scorta.Voliamo da Lungotevere a Via XX Settem-bre, entriamo nell’androne, dove un addettomi prende a sua volta in consegna e mi por-ta nell’ufficio del Capo di Gabinetto, un Ge-nerale a tre stelle dell’Esercito; il quale, asua volta, mi dice che mi stanno aspettandoal Ministero dell’Interno, perché siamo statiinformati che un satellite artificiale di unanazione al difuori della NATO (leggi: russo)è uscito di controllo, si sta avvicinando allaterra per schiantarsi con ogni probabilitànella fascia temperata settentrionale del

pianeta Terra e reca a bordo un piccoloreattore nucleare. È stato quindi costituitoun team di emergenza sotto il coordinamen-to del Ministro dell’Interno (all’epoca, ap-punto, Francesco Cossiga).Cerco di avere qualche chiarimento, matutto quello che mi risponde è che:• nel team rappresento le Forze Armate,

dalle quali ci si aspetta un contributo an-che tecnico ma soprattutto di immediatoimpiego sul campo di ingenti risorse lo-gistiche per la eventuale ricerca dei re-litti, la evacuazione delle popolazionicoinvolte ed il controllo del territorio sot-to l’aspetto della decontaminazione;

• è necessario agire in fretta;• devo riferire solo a lui.

Vengo nuovamente caricato sull’Alfa ed inbrevissimo tempo accompagnato al Vimi-nale, lato “Presidenza”, denominazione diun ingresso laterale che riporta ai tempi diquando al Viminale convivevano Ministerodell’Interno e Presidenza del Consiglio deiMinistri, oggi ospitata a Palazzo Chigi, la-sciato libero dal Ministero degli Affari Este-ri, trasferito nella attuale sede della Farne-sina.Neppure il tempo di rendermi conto di dovefossi finito, che vengo introdotto in un uffi-cio arredato con un salotto Luigi XVI° origi-nale ed una sontuosa scrivania alla qualeera seduto niente po’ po’ di meno che il Mi-nistro Cossiga in persona.Mi presento e, sopraffatto dall’emozione, loapostrofo “Ammiraglio”. Mi risponde cheha fatto solo il servizio militare di leva ed haraggiunto un grado molto inferiore al mio.Celiando su questa circostanza, si procedecon le presentazioni: il Capo della Polizia; ilDirettore della DISP (Divisione Sicurezza eProtezione del CNEN, ora ENEA); i Capi diStato Maggiore dei Carabinieri e della

Guardia di Finanza... insomma il gotha na-zionale nel campo della sicurezza.Il mio compito sarebbe stato, in caso dicaduta del satellite sul territorio italiano,quello di far mettere in moto la macchinadella collaborazione da parte delle ForzeArmate, naturalmente nel più breve tempopossibile.In attesa che il satellite decidesse dovecadere, la consegna del silenzio più er-metico era scontata, soprattutto data l’in-certezza sulla zona effettiva dell’impatto.Incertezza che riguardava anche il quan-do, in un intorno di circa ventiquattro oredal momento della riunione. Nell’attesadell’impatto, nessuno era autorizzato a la-sciare il Viminale.Per me si ponevano tre problemi: sul pianogerarchico, come difendermi dal prevedi-bile contraccolpo nei confronti del mio di-retto superiore, cioè l’Ammiraglio Capo delReparto dello SMM di cui facevo parte, es-sendo sparito senza dirgli nulla? Sempresul piano gerarchico: a quale dei due “trestelle”, ognuno dei quali mi aveva ordinatodi riferire “solo a me”, dare retta?Sul piano privato: come avvertire la consor-te della situazione e preannunziare il pro-babile mancato rientro a casa serale?Il primo problema si risolse per pura fortu-na (ma la fortuna non esiste...): il Capo diStato Maggiore della G.d.F. risultò esserestato compagno di classe del mio superio-re diretto in quel di Taranto, ai tempi dellescuole medie. Una sua telefonata all’infu-riato Capo Reparto risolse la situazione; sulpiano gerarchico, dovetti pregare il Capo diGabinetto di informare lui il Capo di S.M.della Marina: in fondo il rischio concretoche il satellite cadesse in zona di compe-tenza della Marina era trascurabile, sottol’aspetto del rischio per la popolazione.Sul piano privato, ottenni di poter chiamaremia moglie e avvertirla che non sarei rien-trato a casa.Rimaneva il problema di dove trascorrerela notte e come lavarsi la faccia. E qui ilMinistro Cossiga tirò fuori il suo sensopratico e la sua classe: mi ospitò sempli-cemente nel suo studio, lasciandomi dor-mire sul divano Luigi XVI° ed utilizzare ilsuo bagno privato, compresi sapone dabarba e rasoio.Il satellite alla fine decise di cadere l‘indo-mani mattina in una zona pressoché deser-tica del Canada, fra il sollievo generale. Tut-ti noi del team di emergenza potemmo rien-trare nei rispettivi uffici e poi a casa.

nnn

Gruppo di Milano ci sarebbe stata, infatti, anche un’altra ragazza,Valentina, appunto! Lei di 16 anni, io di 15.Il Presidente ci aveva avvisate: ci saremmo trovate a vivere unavacanza particolare, una “spensierata vacanza disciplinata”.Spensierata perché senza preoccupazioni ed in un “contesto in-ternazionale”; disciplinataperché ci saremmo trovate pur semprein un ambiente militare, cui Valentina (il suo papà è un Maresciallodei Carabinieri) poteva forse essere abituata ma magari non loero io. Ma la cosa, di certo, non mi spaventava, anzi...Ecco: sta arrivando il vaporetto! Vabbé, ormai ci siamo! Mi toccariemergere dai miei pensieri!Allo sbarco a Sant’Elena mi appare subito Valentina. Per 10 giorni,sino al 3 agosto saremo inseparabili! Ci troviamo immerse fra i ra-gazzi e ragazze partecipanti: siamo in 30, metà maschi e metàfemmine, e proveniamo da Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Ger-mania e Italia.Ci vengono incontro gli istruttori con a capo proprio Federico (ininglese “Team Leader”) e, con loro, dopo aver fatto l’appello ininglese, superando il ponticello pedonale, giungiamo al Corpo diGuardia: sotto l’occhio vigile di “Camillo”, il leone alato simbolodel Morosini, ne oltrepassiamo il cancello verde d’ingresso.A luglio la Scuola Navale Militare è priva di buona parte degli al-lievi: percorriamo, quindi, il “vialetto dei pitosfori” silenzioso e civiene mostrato il piazzale dove ogni giorno, durante l’anno scola-stico, viene tenuta l’assemblea (adunata) generale degli allievi edove campeggia la grande scritta “Patria ed Onore”. Si capiscesubito che il Morosini è una “vita fatta di regole e di disciplina”.Si passa subito alla distribuzione vestiario e tutti ci precipitiamoad indossare le bellissime divise; poi, sempre in inglese, ci ven-gono, da un lato, sommariamente presentate le attività a cuiavremmo partecipato nei giorni seguenti; dall’altro, spiegate le re-gole cui saremmo stati tutti sottoposti (comunque ben poche ri-spetto a quelle giornaliere degli allievi): avremmo dormito nellecamere degli allievi del “Morosini”, in 3 o 4 per camera, solo conragazzi o ragazze di nazionalità diversa dalla propria (usare l’in-glese sarebbe stato quindi indispensabile).Subito alla prima mattina, shock: benché la sveglia non sia alle06.40 come per gli allievi bensì alle 07.30, comunque, ci vengonoconcessi solo 5 minuti per alzarci, fare il “cubo” al letto, lavarci,rifare il letto e poi vestirci. Segue una veloce colazione, uno spe-dito ripassaggio nelle camere, e, poi, tutti fuori, in sezione, per

l’imbarco sul battello per l’Isola del Lido. Al Lido, dopo una spie-gazione teorica e tecnica sempre rigorosamente in inglese, pro-cediamo ad armare le barche a vela ed, infine, la parte più attesa:l’uscita in mare.Di solito facevamo percorsi o, vento permettendo, gare e devoammettere che, nonostante fosse la prima volta che provavo atimonare una barca a vela o a tirare il fiocco della vela, me lasono cavata abbastanza bene. Dopo una pausa di un paio d’oreper il pranzo, si tornava subito sulla spiaggia e di nuovo in marefino alle 17 circa.Nei momenti di franchigia, con Valentina e tutti gli altri ragazzi eragazze del campo velico, ci siamo godute Venezia, le sue calli, isuoi ponti, i suoi ritmi, la sua vita.Alla spensieratezza ed al divertimento, però, sempre fa il paio ladisciplina (spensierata vacanza disciplinata) e, sebbene tutto ilGruppo venga quasi subito esonerato dalle dure incombenzemattinali morosiniane (su tutte: fare il “cubo”), inaspettatamentetutti i ragazzi austriaci (tranne il loro caposquadra ed una ragaz-za) mollano il colpo e “sbarcano”: lasciano il Morosini e tornanoa casa! Noooo…Con il Gruppo, a quel punto, “ridotto”, sabato 28 luglio visitiamosia il Museo Navale di Venezia sia il Palazzo Ducale, che non co-noscevo e la cui visita è stata per tutti molto interessante. La do-menica, invece, facciamo l’esperienza di provare la Voga allaveneziana. Devo ammettere che quando si vedono i gondolierisembrerebbe che condurre quelle barche sia semplice, ma pos-so assicurare che non lo è per niente: qualcuno alle prime armiè pure finito in acqua!L’arrivo dell’ultimo giorno è dispiaciuto molto a tutti ma a Valen-tina e me in special modo: durante il “campo” abbiamo strettomolte amicizie ma, soprattutto, è stata un’esperienza che ci hafatto crescere.Il tutto è stato decisamente impegnativo: non è stata – diciamo -una… vacanza! Quindi, con il ricordo nel cuore, dovrei forse“correggere” le parole del Presidente: più che di un vacanza, in-fatti, si trattato di un’avventura! Sì… una spensierata avventuradisciplinata!

Raccolta della testimonianza e rielaborazione del testo:Alfredo Gentilini – ANMI Milano

nnn

12 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Testimonianze

Io e il PresidenteUn aneddotosul PresidenteFrancesco Cossiganel centenariodalla nascitaMario D’ErricoPresidente del Gruppo di Roma

Noi e i giovani

una finestra sul mondo che la stampa quotidiana e periodicaitaliana dell’epoca se la sognava.“E queste altre cosa sono?”, mi chiese, infine, davanti all’ultimoscatolone rimasto. “I supplementi”, feci io sbrigativo (si stavaavvicinando l’ora di colazione). “Supplementi di che cosa?”.“Sempre della Rivista Marittima”. “Ma no!” - fece lei - “Questisono colorati mentre gli altri …” e indicò i dorsi bianchi, ordinatie allineati come soldatini dei numeri appena collocati in fila. Non aveva tutti i torti. Erano davvero coloratissimi e di tonalitàdiverse l’uno dall’altro, ma il formato era lo stesso e la testatapure. I supplementi (non glielo spiegai in quel momento, dove-vano ancora mettere la pentola della pasta sul fuoco) erano unasorta di rivista nella rivista.Nati, un tempo, come Supplementi tecnici, ricchi di formule ma-tematiche e di notizie specialistiche di fisica, chimica, metallur-gia, balistica eccetera, si erano evoluti, in sordina e lentissima-mente, a partire dal mitico L’avventura dell’Eritrea del 1951,passando - infine - a uno stile nettamente più diretto e collo-quiale e ad argomenti monotematici.Per la verità, dopo quel primo tentativo a cura del comandanteMarino Iannucci (con la revisione, ma allora la cosa non era no-ta, del grande storico e giornalista Franco Bandini), i successiviprogressi poterono essere contati, nel corso dei successivitrent’anni, sulle dita di una mano, spaziando da Il Ministero del-la Marina dell’ammiraglio Gino Galuppini all’oggi introvabile,ma importante, La Marina italiana il 10 giugno 1940 (l’ultima co-pia disponibile, rimasta su uno scaffale dimenticato, me ladonò, tanti anni fa, il direttore di queste stesse pagine) del 1980.Il nuovo ciclo partì, infine, trovando equilibrio e forma definitiva,nel 1983 con Benedetto Brin, scritto dall’allora comandante EzioFerrante. In seguito i supplementi continuarono, a cadenza ir-regolare e generalmente semestrale, per un decennio prima diesplodere, dal 1994 in poi.Cosa era successo? Tante cose.La prima novità fu, naturalmente, editoriale. La direzione, ap-pena succedutasi, della Rivista Marittima aveva riscoperto lagrande lezione del celebre mensile mondadoriano Storia Illu-strata, da poco defunto (dopo oltre trent’anni di onorata edeconomicamente prospera carriera) grazie alle solite iniziative

geniali dei manager formatisi oltre Atlantico: i numeri specia-li. Quando erano azzeccati i fascicoli extra in questione era-no, in effetti, veri e propri “libri che non esistevano” destinatia fare testo e dottrina per anni, oppure per sempre (penso, atitolo di esempio, a La guerra chimica del 1970 e a Il terrori-smo, del 1977).I supplementi della Rivista Marittima svolsero, da allora e perquasi vent’anni, la medesima funzione prima di essere pratica-mente soppressi per motivi spietatamente economici. Non per-ché fossero un ramo secco. Al contrario erano un ramo troppocarico di fiori e di frutti. In tempi di magra fu così necessario ta-gliarli per salvare la pianta.Oggi, per fortuna, stanno sbocciando nuovi germogli. Pochi,certo, e non saranno mai quelli della stagione, intensissima emagari folle, dei 10 supplementi all’anno dei primi anni Duemila,ma sono comunque promettenti e permettono alla Marina ditornare ad avere, tramite il mensile dello Stato Maggiore dal1868 a oggi, quella pausa di riflessione e meditazione su un te-ma, qualsiasi esso sia, che un articolo non può, tecnicamente,assicurare per questioni, innanzitutto, di spazio. L’innovazione, così intensa, dei supplementi sempre più fre-quenti non sarebbe stata tuttavia possibile senza: a) una dedizione totale di pochissime persone (in pratica 4 in

tutto con, non ultimo fattore di successo, l’impaginazionefatta in casa), le quali si sobbarcarono quel compito titanicoin aggiunta all’ordinaria attività necessaria per far uscire ilmensile

b) all’inizio senza ricorrere largamente ai computer. So chepuò sembrare strano, ma fino a quel momento la Rivista eraandata avanti, in pratica, a macchine da scrivere, coi relativinastri rossi e neri, la carta carbone e le gomme da cancel-lare, quelle - per intenderci - rotonde e blu con il buco alcentro per lo spago (quelli della mia generazione mi capi-ranno benissimo. Gli altri, per cortesia, mi credano sulla pa-rola e non facciano come quella tale trentenne rampanteche, quando ricordai, davanti a una telecamera, il fatto cheuna volta la TV era in bianco e nero e a soli due canali, miredarguì agitando il microfono soggiungendomi di “nonspruzzare idiozie”).

15Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 201814 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

S tavamo allestendo, da giovani sposi, la casetta in cam-pagna quando mia moglie posò l’occhio sulla copertinadi un’annata di riviste (“Carte, carte, sempre carte, ma

che te ne fai?”) rimanendo folgorata. “1868?”, mi chiese dopoaver letto l’intestazione. “Si”, risposi mentre sollevavo un’altrapesantissima annata della medesima testata. “La Rivista Marit-tima è nata in quell’anno”. “Ma vah!”. “Si, e non ha mai cessatole pubblicazioni”.

Con quella scusa la neo signora riuscì ad esentarsi dal lavoromentre io continuavo a riempire l’economica libreria in similcompensato (erano tempi grami e lontani, tipici della vita in dueagli inizi) appena montata. Le lasciai da collocare, per ultima,l’annata, chiamiamola così, 1944. Uno smilzo fascicolo fatto dipessima, ma leggibile, carta. Poche notizie, ma tutte corrette,inclusa una descrizione minuta e ancora oggi insuperata delleallora modernissime corvette della classe “Gabbiano”, oltre a

Elogiodel Supplemento

Enrico Cernuschi - Socio dI Pavia

Verbigratia... Pensieri in libertà con licenza de’ superiori e privilegio

(N.d.R. questo supplemento è emblematico di un certo tipo dicultura: gli autori non sono del mestiere essendo rispettiva-mente un dentista, un professore di lettere e un ingegnereesperto in telecomunicazioni ma sono dotati del piacere dellascoperta e del bello. Io li chiamo dilettanti di ferro e negli an-ni ne ho trovati tanti).

• Il mantenimento della pace dal XIX al XXI secolo, (aprile 1998)di Enrico Magnani. Supplemento a due facce il quale forni-sce, da un lato, una quantità impressionante di notizie, docu-mentatissime e del tutto ignorate dalle fonti secondarie di-sponibili (a partire dalla famigerata “rete”) e che permette,dall’altro, di apprezzare una volta di più il grande insegna-mento di Franco Bandini in base al quale “La verità non è mainel comune giudizio”.

• Gli Atti del convegno sulle poliremi dell’antichità (dicembre1990), senz’altro il più alto momento intellettuale raggiunto dallaRivista, quando i massimi esperti italiani e anglosassoni si ritro-varono a Roma per discutere (in seguito alla pubblicazione didue articoli apparsi, nei mesi precedenti, proprio sulla RivistaMarittima) quel tema particolare, ancora oggi privo di una solu-zione definitiva, dando vita a un confronto di idee, di metodi e didiscipline che dovrebbe essere preso a modello per qualsiasiargomento, si tratti di economia, di fisica o di musica, a causadella profondità degli argomenti addotti e della latitudine e se-renità estrema delle argomentazioni. Ultimo, ma non ultimo, dal-le pagine di questo supplemento emergono uno stile e un’ele-ganza - non disgiunte da uno spirito vivace di sana competizione- di pura marca navale (navy per chi non può proprio fare a menodell’inglese) che sarebbe vano cercare nelle volgari cronachetelevisive, dei media e, peggio ancora, dei c.d. social odierni.

• Centenario dell’Aviazione Navale (dicembre 2013) di AndreaTirondola. Utile per i documenti riportati, Deo gratias, in ori-ginale e non trascritti, e temerario per aver avuto il coraggiodi chiudere (di supplementi non se ne vedevano già da diver-so tempo) quella grande stagione editoriale durata, in pratica,vent’anni. Missione compiuta.

Sono poi da ricordare le tre opere di questo tipo del comandan-te Erminio Bagnasco, paziente maestro di un’intera generazio-ne di studiosi e appassionati, e le otto del “profeta del sommer-gibilismo”, l’ingegner Alessandro Turrini, con particolare ri-guardo al suo Almanacco dei sommergibili, opera in tre tomirealizzata nel corso di una vita e invidiata e richiesta all’estero (N.d.R. opera questa controversa. Infatti alcuni correttori della Ri-vista lo giudicavano un improponibile mattone. Testualmente:“mo’ publichiamo pure l’elenco del telefono”. Difatti si tratta di tretomi per complessivamente 1200 pagine senza nemmeno una fo-tografia e con un carattere più piccolo del normale per contener-ne le dimensioni. Ma è un lavoro da certosino del mio amico Tur-rini che elenca TUTTI i sommergibili di TUTTE le nazioni del mon-do. Una copia del supplemento è stato chiesto (e regalato dalloscrivente) dal Direttore del Museo di Gosport in Inghilterra pur sa-pendo che era redatto in italiano. Per quel che ne sò non esisteuna versione consimile in tutto il mondo... E scusate se è poco!) Ancora la serie delle bandiere (23 uscite), a partire dall’esauri-tissimo Storia della bandiera italiana, di Franco Gay, del novem-bre 1976, l’ormai classica (mi sia perdonato lo scontato gioco diparole) Classica dell’ammiraglio Domenico Carro sulla Marinadell’antica Roma (N.d.R. 12 volumi pubblicati ogni anno a di-cembre dal 1992 al 2003) e i quattro supplementi “dottrinari”dell’ammiraglio Ferrante già ricordato in precedenza. Hannoinaugurato una lunga stagione sul “chi siamo, dove andiamo ea cosa serve una Marina?” ancora oggi in pieno sviluppo. Menzione speciale, infine, per tutti e 7 i supplementi dell’ammira-glio Alberto Salvadori, personaggio straordinario e amico scom-parso troppo presto, oltre a due altri suoi saggi di questo stessotipo che non furono mai pubblicati, ma che ho avuto la fortuna eil privilegio di leggere. (N.d.R. Salvadori era a detta di molto lettoriil migliore degli autori dei supplementi per la sua eleganza.)

In conclusione che dire? Grazie a chi ha insegnato a me e a tan-ti altri tante cose con così poche risorse. Churchill pronunciòuna frase simile dedicata ai pochi (the few) della Battaglia d’In-ghilterra. Ma è proprio così che, attraverso la cultura, si vinco-no le guerre e le paci.

nnn

17Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 201816 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Parlo per esperienza vissuta e perché, a quel tempo, mandai incrisi l’attuale vice-Direttore di questo bimestrale.L’ammiraglio Vignati, nel suo entusiasmo volto a portare sanguegiovane alla Rivista, aveva infatti aggiunto al calepino redazionalela seguente frase “Inviateci i vostri scritti in qualsiasi formatoelettronico”. L’avevo preso in parola. Mia moglie mi aveva rega-lato, per il nostro primo Natale insieme, il mio primo computer: unsistema di videoscrittura Olivetti CWP-1. Io scrissi e inviai il di-schetto (Internet è arrivato, altra cosa cui tanti, lo so, non crede-ranno mai, quasi 10 anni dopo). Gianni, tutto Macintosh e pocoWindows, andò in crisi nera, ma alla fine riuscì a convertire il mioC 1, come lo chiamavo io, in qualcosa di intellegibile. Poi l’evolu-zione e l’omogeneizzazione prevalsero, ma C 1 aveva alcune po-sitive peculiarità che gli altri sistemi non hanno mai eguagliato.Non lo uso da oltre vent’anni, naturalmente. È imballato in cantina,ma non l’ho mai buttato via. Cosa volete? Sono un sentimentale.Dopo queste divagazioni, e volendo e dovendo chiudere que-st’articolo che è un po’ anche una fetta, non piccola, della miavita, arrivo – finalmente – alla parte più difficile.Non posso fare l’elenco dei supplementi perché non bastereb-be, non dico quest’articolo, ma metà del numero di Marinai d’I-talia che il paziente lettore ha tra le mani. Né vorrei fare torto anessuno, ma voglio citare alcuni dei supplementi per me più im-portanti. Intendiamoci, si tratta di un giudizio del tutto personalee non di una classifica. I miei interessi sono di carattere storico,e poiché i supplementi spaziavano dai parchi marini alla biolo-gia senza trascurare il diritto e l’astronomia, è ovvio che ognilettore poteva trovare - a sorpresa - ciò che più gli interessava. A ognuno il suo, pertanto, e, di conseguenza, ecco i miei ma-gnifici 10:

• Guerra Fredda sui sette mari del comandante Andrea Tani (lu-glio 2001), un saggio insostituibile e scanzonato che, fino adoggi, non è stato non dico superato, ma neppure eguagliato (eche è, peraltro, ancora più godibile nella stampata originariache custodisco gelosaamente al riparo da sguardi indiscreti).

• Crociera Atlantica della Stella Polare dell’ammiraglio Gian-carlo Basile (agosto-settembre 1995): un pezzo di letteratura.

• Una giornata da non dimenticare, (Gennaio 2004), opera col-lettiva voluta dall’allora Direttore della Rivista, l’ammiraglioSirio Pianigiani. Contiene testimonianze e informazioni deci-sive e rivelatrici sui fatti dell’8 settembre 1943 mai pubblicateprima (e neppure dopo).

• Il Potere Marittimo in Roma antica (novembre 1995) dell’ammi-raglio Antonio Flamigni. Opera incompiuta - sono appena 39 pa-gine - scritte letteralmente sul letto di morte. L’ultimo foglio deltesto originario, vergato a mano, reca il segno della penna chescivolò per l’ultima volta fino a cadere. Insegna a ragionare inuna maniera lucidissima e valida per qualsiasi disciplina, fa-cendo capire che c’è sempre un “prima” da valutare, analizza-re e riscoprire per evitare di trovarsi nei guai “dopo”.

• Una flotta in fumo (gennaio 1999) di Antonio Formicola e Clau-dio Romano, coppia di autori inossidabile soprannominata “Ilgatto e la volpe” e specializzatissima in argomenti napoletani.Non si può scrivere, decentemente, da allora, di Nelson e del-la Repubblica Partenopea senza averlo letto. Eppure non vie-ne citato nelle opere successive a quella data. Peggio per chili trascura e bene per noi che li conosciamo.

• L’enigma Darlan (febbario 2002) dell’ammiraglio Vezio Va-scotto. Stampato da cani (troppo chiaro; non tutte le ciambel-le riescono col buco), ma con un paio di nozioni emerse dalloChâteau de Vincennes, sede degli Archivi militari di Franciae terreno di caccia favorito di quell’ammiraglio triestino, cheribaltano tutto quello che era stato scritto fino a quel momen-to sulla stagione di Vichy. Naturalmente valgono per questosaggio le medesime considerazioni formulate per il testo ap-pena precedente. In pratica tutta la storia dei supplementi èriassumibile nel motto orgoglioso “Molto per pochi”.

• Navi scolpite sulle Alpi (novembre 2001) del dottor Carlo Ga-vazzi, del professor Fabio Gaggia e dell’ingegner PierangeloManuele. Un testo che ispira il senso, apprezzabile così rara-mente, del non (ho detto non) scorrere dei millenni per chi saosservare e dedurre. In pratica Sherlock Holmes.

Verbigratia... Pensieri in libertà con licenza de’ superiori e privilegio

19Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

“Paolucci era tutto vibrazioni, Rossetti vi-brava meno d’una pietra. Il medico si tor-ceva d’impazienza, l’ingegnere sembravalavorasse per un conflitto del duemila”però si affiatarono bene.Fecero una prima prova in acqua attraver-so degli sbarramenti costruiti come quellidi Pola. L’ammiraglio d’Aste Ricci e Ciano liseguivano in barca, ma la Mignatta sibila-va troppo per l’aria compressa, lasciavauna scia troppo luminosa in acqua e s’im-pigliava nelle ostruzioni con gran fracasso.Prova dopo prova, il mezzo migliorò e in ot-tobre furono pronti. Si trattava solo di pas-sare all’azione e improvvisamente il con-flitto si avviò alla fine. Il 29 settembre laBulgaria aveva firmato l’armistizio e que-sto aveva fatto effetto a Roma, dove il Go-verno, temendo strani probabili scherzi deifrancesi nei Balcani, aveva cominciato ainsistere su Diaz perché attaccasse.

Preparato il piano, il 24 ottobre 1918, nelprimo anniversario di Caporetto, il RegioEsercito aveva iniziato il forzamento delPiave e la battaglia di Vittorio Veneto. Nelgiro di pochi giorni si vide chiaramente chel’Austria sarebbe crollata e il 29 ottobrenon fu una sorpresa l’arrivo d’una delega-zione austro-tedesca per l’armistizio. Ilmembro tedesco fu respinto, segnale allaGermania che con lei la pace non si sareb-be fatta; gli Austriaci accolti. Poi cominciòil valzer delle discussioni. Gli Austriaci tira-vano ad ottenere delle condizioni mentregli Italiani a imporre la resa incondizionatae, soprattutto, a guadagnare abbastanzatempo da arrivare almeno al vecchio con-fine, possibilmente a Trento e Trieste.Intanto l’Austria si disfaceva. Il 27 ottobreera apparso chiaro che la fine dell’Eser-cito in Veneto era imminente, ma in Ma-rina andava peggio. A Cattaro e Fiume

c’erano stati scontri e ammutinamenti ese ne temevano anche a Pola. Proprio il27 i Tedeschi avevano lasciato la città do-po aver fatto saltare le loro istallazioni e isommergibili non in grado di navigare,mentre gli altri dovevano partire per ten-tare di tornare in Germania attraversoOtranto e Gibilterra.Il 28 il Comando della Flotta austrounga-rica aveva avvertito la Piazza di Pola chesi doveva comunicare agli equipaggi l’im-minenza dell’armistizio e della smobilita-zione. Intanto sia là che a Cattaro era or-mai detto chiaramente che il 1° novem-bre gli equipaggi avrebbero abbassato learmi e se ne sarebbero andati a casa,piacesse o meno ai superiori. La sera del28 a Pola ci fu una dimostrazione italiana,interrompendo la rappresentazione alTeatro tedesco e completandola nellanotte coll’abbattimento di tutte le insegne

in tedesco e l’innalzamento di bandiereitaliane dappertutto.Il 30 ottobre 1918 Fiume votò con schiac-ciante maggioranza l’annessione all’Italia.A Venezia Costanzo Ciano siglò l’ordine:Rossetti e Paolucci sarebbero andati a Po-la. Ribadì quanto stabilito da una settimana:se fossero stati scoperti, avrebbero dovutoaffondare la Mignatta dopo averne attivatoil congegno, consegnandosi poi prigionieri.L’indomani, 31 ottobre, arrivò a Ciano un te-legramma di Thaon di Revel: “Mi telegrafiRoma se azioni Ciano Costanzo e Rossettisaranno tentate prossimamente. Marinadeve contribuire prima accettazione armi-stizio definitivo crollo nemico.”1

Non c’era più da aspettare; alle 13 del me-desimo giorno le torpediniere 65 e 66 PNpresero il mare, al comando di Ciano e cona bordo il drammaturgo Sem Benelli. Pun-tarono ad Est a 15 nodi. Trainavano i MAS94 e 95; la prima portava la Mignatta, chemise in mare nei pressi di Pola, dandola alMAS 95, al quale, scortato dal 94, spettavadi misurare la corrente a un miglio dallacosta. Se l’avesse trovata abbastanza de-bole, avrebbe dovuto rimorchiare la Mi-gnatta fino a meno d’un chilometro dalleostruzioni nemiche. Da lì Rossetti e Pao-lucci avrebbero dovuto procedere da soli.Mentre il convoglio navigava verso l’Istria,a Pola aveva luogo l’ultimo atto di vita

18 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Grande Guerra

L a Grande Guerra stava finendo... manon per questo si smette di combat-tere. E infatti Rossetti e Paolucci col-

sero la loro vittoria – e diedero alla RegiaMarina una delle sue vittorie più belle – a48 ore dalla fine; anzi, meno.Dunque la guerra stava finendo, ma da cir-ca un anno si stava preparando un’azionecontro Pola. Si trattava di portare a contat-to con la carena d’una nave nemica le ca-riche esplosive per colarla a picco.L’idea era nata quasi contemporaneamen-te a due ufficiali non di vascello, il tenentemedico Raffaele Paolucci della corazzataEmanuele Filiberto e il maggiore del GenioNavale Giovanni Raffaele Rossetti dell’Ar-senale di Spezia, che avevano prospettatodue soluzioni diverse. Paolucci, ottimonuotatore, pensava di farsi trasportare daun MAS fino alle ostruzioni, superarle e poinuotare fino alla nave nemica trainandouna torpedine a orologeria da applicarleprima di averla regolata opportunamente

per potersi allontanare in sicurezza. Avevafatto una prima prova a Venezia la notte del13 febbraio 1918 spingendo a nuoto unabotte dalla sua nave alla Saint Bon, a 300metri, e ci aveva quasi lasciato la pelle peril freddo. Insisté e a maggio era capace dinuotare per tre chilometri, a condizione dispalmarsi d’unguento protettivo, farsi un’i-niezione di canfora per sostenere il cuoree rivestirsi d’un indumento impermeabileda lui disegnato.Rossetti, da bravo ingegnere, nel 1917 ave-va invece progettato una macchina che fa-cesse tutto il lavoro. Ne aveva cominciatola costruzione all’Arsenale di La Spezia everso la fine dell’anno era stato trasferitocon la sua officina e i suoi sei operai a Ve-nezia per finire il lavoro. La sua Mignattaera un siluro autopropulso e senza timone,composto da due parti: la motrice, col mo-tore e i serbatoi d’aria compressa, e l’e-splosiva, costituita da due cariche di tritoloda 175 kg l’una che, dotate d’un congegno

ad orologeria, in acqua sarebbero state inequilibrio indifferente fino al momentodell’applicazione alla carena grazie a deglielettromagneti. Costanzo Ciano si trovò ledue proposte davanti e le riunì in una sola:Rossetti e Paolucci avrebbero agito insie-me. Per il momento non li fece incontraree si limitò a dire a Paolucci che prevedes-se di coprire non tre ma 12 chilometri anuoto e intanto cominciasse a farne 10portando sei chili addosso. In settembre Ciano presentò Paolucci aRossetti e li incaricò della missione. Era-no diversissimi. Come avrebbe scrittoquarant’anni dopo Brunello Vandano:

Rossetti, Paolucci e la Viribus UnitisCiro Paoletti - Storico

Note

(1) Thaon di Revel a C. Ciano, rip. in Spigai, Virgilio,Cento uomini contro due flotte, Livorno, Tirrena,1954, pag. 115.

21Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

proseguire; passarono la prima ostruzione.Erano quasi alla seconda quando si accor-sero d’un battellino attaccato alle reti a po-chi metri distanza e – pareva – con qual-cuno a bordo. Si fermarono e la corrente inuscita dal porto voltò la Mignatta spingen-dola ovviamente verso il battellino.Rossetti “prontamente decide che vadaio a nuoto sulla terza ostruzione e che dilà con una corda tiri l’apparecchio perraddrizzarlo; ci riusciamo ma, mentre stia-mo per raggiungere la meta, la corrente ci

capovolge ancora l’apparecchio.Il momento è critico data la presenza delbattello con su l’ombra misteriosa, ma noicentuplichiamo le nostre forze, l’ingegnerepunta ambo i piedi contro le reti e collespalle contro l’apparecchio mentre io ten-to di raddrizzarlo con la corda; ed infine cisi riesce nuovamente e, nel momento in cuila direzione è giusta, l’ingegnere mette inmoto e passiamo trionfalmente anche laultima, settima, ostruzione. Sono le tre! Eper le tre, secondo i calcoli, fatti, senzacontare le difficoltà della fosforescenza,della corrente contraria, della interruzionedella ostruzione esterna, del numero delleostruzioni interne superiori al previsto, perle tre avremmo dovuto attaccare le primedue navi ed essere di ritorno al largo.”3

Proprio allora Rossetti avvertì Paolucciche la pressione era dimezzata: o tornava-no indietro, o non tornavano del tutto. Nonci fu dubbio: “decidiamo subito e senza in-dugio di rinunziare al ritorno; e poiché ab-biamo ancora tre ore prima che spunti l’al-ba decidiamo di andare avanti per attac-care le grandi unità tipo Viribus Unitis.”4

Completò Rossetti: “decidiamo di comuneaccordo di procedere fino alla nave ammi-raglia, il cui affondamento ci era stato in-dicato come particolarmente importante.

Ad operazione eseguita, si tenterà diprendere terra sulla costa Nord, e di là,dopo affondato l’apparecchio ed elimina-to il vestito impermeabile, si tenterà diraggiungere, in divisa di ufficiali italianiche portiamo sotto il vestito impermeabi-le, la località Fontane presso Rovigno, do-ve, secondo il convenuto, una nostra mo-tobarca ci attenderà nella notte dal 2 al 3novembre.”5

Dall’entrata al fondo del porto si incontra-vano all’ancoraggio prima le corazzate

pre-“dreadnought”, Radetzky, ErzherzogFranz Ferdinand– arciduca Francesco Fer-dinando – e Zriny e poi, molto all’interno, letre “dreadnought” Prinz Eugen, Tegetthoffe Viribus Unitis. Le prime erano completa-mente oscurate, le altre invece illuminate“a luce bianca in coperta e negli alloggi, icui portellini in murata non son oscurati.”6

Sotto una pioggia battente mista a grandi-ne i due incursori procedettero lasciandosile corazzate a 200 metri sulla dritta e Ros-setti buttò via il congegno d’ormeggio dellaMignatta alla chiglia della nave da colpire,perché s’era accorto che non funzionava.Ovviamente, poiché tutto andava troppobene, la Mignatta cominciò ad affondare.Occorse qualche secondo prima di capireche era rimasta aperta la valvola d’allaga-mento della camera poppiera. Bastò chiu-derla e reimmettere aria, ma fu “il minutodi più interessante emozione di tutta l’ope-razione”, come lo definì Rossetti.7Alle 4,30 precise i due ufficiali erano “esat-tamente di prora alla “Viribus Unitis”, ulti-ma delle sei navi della formazione.”8

Rossetti arrestò il motore a 100 metri e at-tivò la prima arma. Erano le 4,30 del matti-no e gli ci volle un quarto d’ora per fare tut-to. Nel frattempo la corrente l’aveva fattoscadere parallelamente al lato dritto della

nave a 60 metri circa. Erano troppo versopoppa, perciò lui rimise in moto e risaliro-no paralleli alla nave, alla velocità minima,fino all’altezza dell’asta di posta, a 25 metridalla murata di dritta e, aggiunse Rossetti,“in questa posizione, dopo un altro brevespostamento verso poppa a motore fermo,per effetto della corrente, distacco l’armae la sospingo nuotando, fino a contattodello scafo.”9 Arrivò fra il secondo e il ter-zo cannone da 150 da poppa, calcolandodi trovarsi all’altezza del locale delle mo-trici principali, dove l’esplosione avrebbefatto i danni maggiori.Il piazzamento della carica richiese tem-po: una ventina di minuti, quasi tutti persciogliere il nodo della cordicella che per-metteva di far uscire dall’acqua il conge-gno destinato ad unire la carica allo scafo.“Durante questa operazione risuona abordo, alle 5.15 circa, un lungo segnale ditromba seguito a breve intervallo di tempodal graduale risveglio della nave; scaricodi cenere fuori bordo vicino a me, altri pas-si in coperta.”10

Il tempo, insomma, era sempre di meno.Rossetti regolò a due ore l’arma già attiva-ta, per farla esplodere alle 6,30. Poi la feceaffondare, staccandone le fascia di tela esughero che l’aveva fatta galleggiare finoa quel momento. Infine tornò alla Mignatta,a circa 50 metri. Paolucci era rimasto adaspettarlo preoccupatissimo e lottandocontro la deriva. Aveva sentito squillare lasveglia a bordo; e poi aveva scorto: “uominiche vanno e vengono sulla coperta. Veggola sentinella di guardia che cammina sulbarcarizzo nei pressi del quale l’ingegnerelavora. Io vedo, ma essi non vedono. Io so-no all’oscuro, essi sono alla luce. Ma all’o-rizzonte già si disegna la prima ed incertaluce dell’alba.”11 E proprio per questo Pao-lucci aveva deciso di avvicinarsi alla co-razzata, quando, alle 5,35 “vedo una speciedi fiasco che galleggia: è l’ingegnere.”12

Felici, iniziarono ad allontanarsi. Ma furo-no scorti. Dalla coffa della corazzata un

20 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

dell’Imperialregia Marina da Guerra. Poi-ché, premuto dagli avvenimenti, l’impera-tore Carlo aveva accettato la costituzionedi un’entità statale slava – che secondo luidoveva restare in qualche modo all’inter-no della monarchia asburgica, ma secon-do gli Slavi doveva essere indipendente –alla Marina la sera del 30 ottobre era statoordinato di passare le navi ai rappresen-tanti del cosiddetto “Consiglio nazionaledegli Slavi meridionali di Agram”, cioè diZagabria, che avrebbe dovuto rappresen-tare Cechi, Slovacchi, Sloveni e Croati.Nelle intenzioni dell’Imperatore la bandie-ra asburgica doveva continuare a batteresulle navi ma nei fatti, non appena , l’am-miraglio Horty ebbe passato con una bre-ve cerimonia le consegne al comandantedel Viribus Unitis, capitano di vascelloJanko Vukovic de Podkapelski, per l’occa-sione promosso contrammiraglio, alle16,45 del 31 ottobre 1918 la vecchia ban-diera fu ammainata e sostituita col tricolo-re slavo blù, bianco e rosso.Tutto questo però Paolucci e Rossetti nonlo sapevano e, si può aggiungere, se purel’avessero saputo non avrebbe cambiatonulla. Avevano una missione e l’avrebberoeseguita.Alle 20,00 di quel medesimo 31 ottobre il lo-ro convoglio era in vista delle Brioni. Alle22,15 la Mignattamollò il cavo di rimorchioche l’univa al MAS 95 e, mormorato il tra-dizionale “Viva il Re”, i due ufficiali inizia-rono l’avvicinamento alla rada nemica. In-dossavano l’uniforme, con sopra unacombinazione impermeabile, resistente al

freddo ed avevano la testa infilata in un ri-vestimento che imitava un fiasco, per in-gannare eventuali sentinelle. Paolucci eradavanti. Rossetti dietro e governava, an-che se “governare” in questo caso è unaparola grossa. Aveva sviluppato la Mignat-ta partendo dal siluro Schneider A.115/450ad aria compressa con due eliche quadri-pala, lasciando più o meno al centro il ser-batoio dell’aria compressa, che quella not-te era a una pressione di 205 atmosfere,superiore a quella delle prove precedentie tale da garantire un’autonomia di circa10 miglia a 2 nodi. La bassa velocità era ne-cessaria non solo per avere la massimaautonomia, ma perché non c’era timone elaMignatta era manovrata dai due ufficialisporgendo in fuori braccia e gambe, comeremi, così da aumentare la resistenza sullato verso cui volevano virare.Rossetti aveva rivestito il corpo centraledel siluro con legno tenuto da cerchiaturedi rame, ottenendo un prolungamento chefaceva da sezione poppiera, in cui avevamesso un macchinario di controllo dell’as-setto longitudinale e uno d’autodistruzio-ne, cioè da una carica ad orologeria.Le due cariche d’esplosivo da 175 kg l’u-na erano due torpedini cilindriche, oppor-tunamente modificate e messe una dopol’altra a prora. Una volta sganciate ed ap-plicate grazie alle rispettive calamiteelettromagnetiche, potevano essere re-golate per esplodere fino a un massimo disei ore dopo.Questa antesignana dei “Siluri a LentaCorsa” del 1940-43 avanzò nella notte di

Ognissanti e nell’acqua freddissima del-l’Adriatico tenendosi tra il fanale di CapoCompare e quello di Punta Cristo fino adestinazione.Arrivati in un quarto d’ora all’ostruzioneestrema della diga, i due ufficiali comincia-rono a seguirne il percorso da Sud a Nordfino al primo varco dovuto a uno sprofon-damento e poi, di varco in varco, illuminatiuna volta da un riflettore e avvistando unsommergibile in emersione che usciva daPola – forse tedesco diretto in Germania –alle 23,45 arrivarono vicini alla diga fora-nea. Paolucci, dietro ordine di Rossetti, siallontanò in esplorazione. Constatato cheerano effettivamente alla diga, ripreseroad avanzare lungo di essa per una cin-quantina di metri. Andavano lentissimi nonsolo per il rischio di mancare l’apertura, masoprattutto per il pericolo d’essere scoper-ti a causa della luminescenza dell’acquaprovocata da ogni movimento.Poco dopo trovarono l’apertura, larga unasessantina di metri, ma servirono una nuo-va sosta e una nuova ricognizione di Pao-lucci per capire se convenisse entrarvi dallato destro o sinistro. “Vado avanti lentis-simamente” scrisse poi “aggrappato conle mani alla roccia, arrivo sino alla puntadella diga, sento un passo sulla mia testa.Mi fermo, dopo qualche secondo non sen-to più nulla. Noi abbiamo la testa rivestitain maniera da sembrare un fiasco che gal-leggi; mi stacco ancora lievemente dalladiga per conoscere meglio il pericolo cheè a tre metri su di me, e dondolo così la te-sa da simulare il galleggiamento di un fia-sco; veggo distintamente un’ombra fissaed immobile.”2

La sentinella non lo scorse e Paolucci,ispezionate le ostruzioni, tornò da Rossetti,preoccupatissimo per la sua lunga assen-za. Decisero di procedere. Furono presidalla corrente e si rassegnarono a metterein moto, rischiando d’essere scoperti; ma,forse perché piovigginava, la sentinellasentita da Paolucci era sparita e passaro-no. Videro ancora due barche a vapore efinalmente, evitato un vecchio veliero chesupposero facesse da posto di guardia odeposito e non trovando l’ulteriore ostru-zione segnalata dalle foto della ricognizio-ne aerea, raggiunsero le ostruzioni retaliche, come sapevano, erano in triplice or-dine. Le passarono ma, con dispetto, netrovarono altre tre. Paolucci pensò cheavessero sbagliato rotta, perché la busso-la di Rossetti s’era riempita d’acqua e nonfunzionava, ma non era così. Decisero di

Note

(2) Tenente Raffaele Paolucci, Rapporto di missione,rip. in Spigai, op. cit., pag. 134.

(3) Paolucci, op. cit., in idem, pag. 137.(4) Maggiore Raffaele Rossetti, Rapporto di missione,

rip. in Spigai, op. cit., pag. 120.(5) Paolucci, cit., in idem, pag. 138.(6) Rossetti, cit., in idem, pag. 124(7) Idem, pag. 123(8) Ivi.(9) Ivi.(10) Idem, pag. 124(11)Paolucci, cit., in idem, pag. 140(12)Ivi.

Grande Guerra

23Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

come un maiale al macello. Dopo un paiodi minuti l’ingegnere mi raggiunge e salesul battello. Ci voltiamo a vedere la tragicascena. Nel chiarore livido dell’alba la gran-de massa della Viribus Unitis si sbanda, lascritta Unitis è già in acqua e la parola Vi-ribus è ancora emersa… Intorno al colos-so agonizzante, grida, imprecazioni ed unagitarsi di uomini e di cose; sulla nostrabarca, che si allontana, il marinaio italianoda me tirato per i capelli grida con vocestraziante che nulla ha più di umano a sin-ghiozzi: “nave mia, nave mia bella.”17

Rossetti, da vero ufficiale del Genio Navaleesaminò la cosa sotto un profilo professio-nale: “dall’imbarcazione assisto così allafine della nave, il cui sbandamento a drittaera continuato lentamente ma senza so-sta. Arrivata l’acqua al bordo dritto, essen-do ancora la nave molto emersa, si verificaimprovvisamente il capovolgimento, conimpressionante rapidità. In pochi secondidella nave non emerge più che il largo pia-no del fondo di carena e le quattro eliche,in mezzo ad una cornice di fumo, di fiam-me, di rottami…..Dal momento dello scop-pio non sono trascorsi, se la valutazionenon è errata, nemmeno 10 minuti.”18

Aggiunse Paolucci: “si presenta in aria im-mensa, lucente, verdognola, la chiglia chepianamente affonda. E su questa chigliavedo un uomo che si arrampica, che rag-giunge la vetta, che si ferma diritto. Rico-nosco il comandante Voukovic, che moriràpoco dopo colpito da una trave alla testa,mentre, sottrattosi al gorgo, cerca salvarsia nuoto. Alle 6h 40m dove era la Viribus

Unitis, l’acqua rinchiusa sul suo cadaverebolle un risucchio spumoso.”19 Ventimilatonnellate e circa 300 marinai nemici eranostati messi fuori combattimento.Nessuno si accorse d’un’altra cosa.La Mignatta, senza controllo,pian pianino si era infilata conla sua torpedine attivata nelladarsena di Vergarola ed eraaffondata sotto il piroscafo Wien,facendolo saltare poco dopo: altre7.000 tonnellate a fondo.I due ufficiali intanto furono prima sbar-cati sulla costa sud e poi portati sotto scor-ta sulla corazzata Habsburg, una pre-“dreadnought” di vent’anni declassificataa nave per la difesa costiera, dove furonospogliati delle fradice uniformi italiane, ri-vestiti con capi austriaci a spediti al co-mando dell’Arsenale, dove giunsero alle8,00. Furono identificati, rimandati in prigio-nia sull’Habsburg e chiusi in una cabina.Nel frattempo, morto Vukovic, il comandodella flotta era stato assunto dall’apposita-mente neopromosso contrammiraglio Ko-ch, mentre in città, dove c’erano 30.000 mi-litari di tutte le nazionalità dello sfaldatoImpero, saliva la tensione fra Croati e Ita-liani. Questi ultimi capirono di dover agiree spedirono un sottufficiale di marina a Ve-nezia in motoscafo per riferire ai comandiitaliani. Né a Venezia né a Villa Giusti dovesi trattava l’armistizio si sapeva nulla dellacessione della flotta ai sedicenti Jugoslavi.Gli Austriaci s’erano ben guardati dal dirloe forse i loro plenipotenziari nemmeno losapevano. Ad ogni modo, concluso l’armi-stizio, Thaon di Revel diede due ordini: adArturo Ciano d’andare a Pola, all’ammira-glio Cagni di presentarsi a Venezia.Verso le due del pomeriggio del 5 novem-bre 1918 i preoccupati Polesi videro entra-re in porto la Regia Torpediniera 64 PN. Nescese Arturo Ciano con Benelli, andò daKoch e l’avvertì di quanto stava per capita-re, tagliò corto alle sue obiezioni e tornò alporto. Prima di risalire a bordo avvisò i cit-tadini: “Fra due ore l’ammiraglio Cagniverrà a liberarvi.”20

Ignari di tutto, Rossetti e Paolucci si arro-vellavano da cinque giorni fra le quattroparatie della loro cabina, quando, alle16,30, udirono un gran clamore e grida di“Hurrà” e “Viva la Jugoslavia!” Si affac-ciarono all’oblò e videro la grossa e fami-liare massa scura della regia corazzataSaint Bon entrare lenta in porto circondatada uno stuolo di MAS, torpediniere, draga-mine e caccia che battevano tutti allegra-

mente il tricolore. “Mi sembra di sognare”scrisse poi Paolucci “Scappo in coperta,trovo un megafono, grido folle di gioia, gri-do alla nave della Patria: “Ammiraglio diSaint Bon, Viva il Re!” Ma nessuno rispon-de. Ripeto insieme all’ingegnere il grido, edun uomo che sta sulla plancia circondatoda un folto Stato Maggiore si toglie il ber-retto, lo agita in aria, grida “Viva il Re!” Èl’ammiraglio Cagni.”21

La guerra era finita e i due ufficiali tornaro-no a Venezia l’indomani sulla torpediniera16 O.S., Ebbero subito la promozione permerito di guerra e, il 10 novembre, motuproprio del Re, la Medaglia d’Oro al ValorMilitare.22

Avrebbe commentato trentacinque annidopo l’ammiraglio Spigai parlando deimezzi d’assalto: “il piroscafo Wien dislo-cava 7.400 tonnellate e la Viribus Unitis nedislocava 20.000. Un totale di quarantamilatonnellate di naviglio era quindi statoaffondato in operazioni di assalto nel cor-so della prima guerra mondiale. Per realiz-zare tale risultato noi avevamo perdutoqualche barchino di peso e prezzo insigni-ficante, e nessuna vita umana. Forse perla prima volta nella storia militare del mon-do si era verificato un rapporto di perditerelative praticamente infinito. La fortunaaveva influito per meno di un quarto (il pi-roscafo Wien) sul valore delle cifre realiz-zate. il resto era stato frutto di uno sforzotenace e continuo alla ricerca di mezzinuovi e sempre più perfetti, sforzo asse-condato e reso fruttifero da una inesauri-bile vena di ardimento.”23

Capacità, studio, ricerca; sacrificio, appli-cazione, ardimento; senso del dovere, te-nacia e disciplina resero possibile la vitto-ria finale prima della Vittoria. Le ancoredella Viribus Unitis esposte a Venezia e aRoma significano questo, la Marina signi-fica questo.

nnn

22 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

proiettore li inquadrò e un’imbarcazionevenne a prenderli. Paolucci attivò subito laseconda torpedine e diede via al motore,mentre Rossetti apriva le due valvoled’affondamento. Dalla motobarca che liraggiunse intimarono: “Wer da? – chi valà.” “Italienische Offiziere” rispose Pao-lucci, mentre Rossetti commentava pessi-misticamente: “addio vita!”13

Alle 5,45 la motobarca li raccolse “trascu-rando l’apparecchio nostro” che se ne an-dava e li portò sulla corazzata. In capo allascala di sinistra furono accolti da un grup-po di marinai, che, al loro “Viva l’Italia” lisalutarono in modo inaspettatamente cor-diale, il che fece capire loro che qualcosadoveva essere cambiato. Condotti sottocoperta, si accorsero delle coccarde jugo-slave e delle scritte “Jugoslavia” sui nastridei berretti e si sentirono domandare indialetto veneto da dove spuntavano. Unpo’ incerti, prima dissero – seguendo gli or-dini di Ciano – d’essere scesi con un idro-volante che avevano affondato, poi, sapu-to che l’ammiraglio austriaco era andatovia, che di lì a poco sarebbero partiti puretutti i non slavi della flotta e che questa erastata ceduta alla Jugoslavia, si consultaro-no, decisero che era il caso di ridurre e sepossibile evitare il massacro dei marinai echiesero di parlare col comandante.Svegliato, il contrammiraglio Vukovic dePodkapelski alle 6 del mattino si trovò da-vanti Rossetti che gli presentava Paoluccie gliene consegnava il pugnale dicendo:“La nave corre serio pericolo, faccia sal-vare i suoi uomini.Ma quale pericolo?

Non posso dirlo, ma tra breve la nave sal-terà in aria!”14

Capì al volo e da qui vale la pena di ripor-tare la relazione di Paolucci, che dà piùparticolari.“Janko Voukovic grida allora in tedesco:“Viribus Unitis, si salvi chi può, gli Italianihanno messo delle bombe nella nave”.Udiamo porte che si aprono e si chiudonoin fretta, vediamo gente seminuda correreall’impazzata, salire dalle scale delle batte-rie, udiamo i tonfi dei corpi che si gettanoin mare. Intanto io, aiutato da un marinaio,riesco a togliermi con un coltello l’abito im-permeabile; e avvicinatomi all’ingegnereaspetto la sua decisione.Egli chiede a Voukovic se possiamo salvar-ci, ed il Comandante ci dice: “Si salvino.”Così saliti in coperta ci gettiamo in mare.Ma senza costume, al nuovo rigore dell’ac-qua gelida, nella quale siamo stati per ottoore, con una gamba impegnata ancora daun lembo del costume di cui non sono ar-rivato a tempo a sbarazzarmi, sto per affo-gare e bevo già acqua, quando l’ingegnereche ancora è vestito, sopraggiunge, miaiuta, mi toglie dal capo l’elmetto di acciaioche nel trambusto del momento io avevodimenticato di togliere.Arranchiamo così faticosamente al largo,e, percorso un centinaio di metri, comin-ciamo a risalutare nuovamente la speran-za e la gioia della vita, quando una barca aremi si dirige su di noie ci grida in tono mi-naccioso che dobbiamo subito ritornaresulla Viribus. Crediamo vogliano farci mo-rire sulla nave condannata, e saliamo nuo-vamente la scaletta, nei cui pressi è l’e-splosivo, con questa amara certezza.Sulla scaletta sta densa una folla minac-ciosa di uomini seminudi, alcuni dei qualigrondano acqua. Essi ci gridano che noi liabbiamo ingannati, mentre altri voglionosapere dove sono le bombe.Facendoci largo, dopo qualche minuto, noiriusciamo a raggiungere l’estrema poppa.Io guardo l’orologio di poppa della nave,segna le 6h 27m ed alle 6h 30m deve avve-nire l’esplosione. Sento un marinaio chegrida in tedesco: “Portiamoli nella stiva se

è vero che la nave deve saltare.” e tra que-sta folla minacciosa che ci preme, chestraccia a colpi di coltello gli abiti dell’in-gegnere per perquisirlo e fruga in quelliche io prima ho lasciato sul ponte, che mistrappa brutalmente dal collo una reliquiain cui sono i capelli di mio padre e di mianonna, io guardo l’orologio di poppa chesegna: sei e ventotto, sei e ventinove… l’e-splosione! Che rumore sordo! un boatoprofondo, non grande e terribile, piuttostolieve… una colonna d’acqua alta… sentosotto i piedi la coperta che vibra. che scrol-la, che vacilla.”15

Rossetti, più tecnico, riferì di: “un tuonobreve, smorzato, accompagnato da unanotevole scossa a tutta la nave e da unpennacchio di spuma non molto alto, lungoil fianco dritto; effetti esteriori assai lievi,nel complesso; la nave però sbanda subitoa dritta in modo piuttosto rapido, quindi ral-lentato ma continuo. La maggior parte deipresenti si allontana da bordo.”16

Meno pietoso ma più esplicito Paolucci:“Mi rivolgo intorno e non c’è più nessuno.Ognuno ha pensato a salvarsi. C’è Vouko-vic, armato con la cinta di salvataggio, c’èl’ingegnere che continua a spogliarsi emangia un pezzo di cioccolata che gli è ca-duta dal costume, mi chino sull’ingegnereche aspetta, muto, di essere aiutato, lo aiu-to celermente a svestirsi. Infine rivolto alcomandante egli dice che, per legge diguerra, noi abbiamo diritto a salvarci, e ilcomandante tende la mano ad entrambi, ciindica una corda per la quale possiamoscendere, ci mostra un battello che passaal quale possiamo afferrarci.Mi getto in acqua per primo e nuoto versoil battello; mentre sto per raggiungerlo, ve-do un ciuffo di capelli a fior d’acqua, lo tirosu: è un marinaio italiano, non ricordo se diPisino o di Rovigno; fo per aggrapparmi albattello, ma uno di quelli che è sopra gridaagli altri che io non debbo salire e fa percolpirmi le mani. Mi aggrappo allora al re-mo, ma egli sta per prendere un altro remoe colpirmi quando l’italiano salito su mi ten-de la mano.Intanto vedo l’ingegnere che scende giùper la corda. Sotto il bordo della Viribus, at-taccato alla corda, là dove egli scende, c’èun grosso tedesco che grida la sua paura

Note

(13) Idem, pagg. 140-141.(14)Idem, pagg. 141-144(15)Relazione Paolucci in op. cit. pag. 143.(16)Relazione Rossetti, in op. cit. pag. 127.

Note

(17)Relazione Paolucci in op. cit. pag. 143.(18)Relazione Rossetti, in op. cit. pag. 128.(19)Relazione Paolucci in op. cit. pagg. 144-145.(20)Arturo Ciano, rip. in Giorgio Pini, Vita di Umberto

Cagni , Verona, Mondadori, 1937, pag. 362. (21)Paolucci, rip. in Pini, op cit., pag. 352. (22)Ebbero pure un sacco di discussioni quando si

trattò del premio d’affondamento di 1.300.000 liredell’epoca, a reclamare un terzo del quale si feceavanti Costanzo Ciano, spacciandosi per l’inven-tore della Mignatta e chiamando dalla sua Thaondi Revel. Ma il Ministro del Bono respinse la ri-chiesta, pur passandola al Consiglio Superiore diMarina per esame. Mentre la questione era an-cora aperta, si fece avanti pure il capitano di fre-gata Scapin, che aveva comandato il MAS 95,chiedendo una parte del premio. Con senso digiustizia, il Consiglio Superiore di Marina il 17febbraio del 1919 respinse tutte le pretese e divi-se esattamente il premio fra Rossetti e Paolucci,che, un anno dopo, sapute le tristi condizionieconomicamente cattive in cui si trovava la ve-dova di Vukovic, ancora a Pola con un bambinodi 11 anni, la soccorsero attingendo proprio alpremio

(23)Spigai, op. cit. pag. 145

Grande Guerra

un dragamine oceanico classe “Algerine” da 1.300 t. del 1942,convertito nella corvetta Palang con sonar, cannoni da 102 mme armamento antisom; entrambe rimasero in servizio sino al1972. Nel successivo decennio furono acquisite unità di nuovacostruzione, come le 9 vedette da 65 tonnellate classe “Azar”realizzate in Italia nel 1954-1955, e i 4 guardacoste di fabbrica-zione americana classe “Keyvan” (1956-1959), da 107 t. e armaticon sistemi antisom e cannoni Bofors da 40 mm; mezzi affidabilie di lunga durata, poiché a parte un esemplare affondato dagliIracheni nel 1981, gli altri sono rimasti in servizio sino al 2005. Diseconda mano, entrarono poi in servizio 2 motosiluranti ex in-glesi, e 2 piccole unità anfibie cedute dalla US Navy nel 1957.Attorno al 1960, la flotta iraniana contava quindi una fregata, unacorvetta, 4 pattugliatori costieri, 14 unità leggere e 2 anfibie. Malo Scià era intenzionato a potenziare gradualmente la flotta, sem-pre ricorrendo a un mix di nuovo e usato, e potendo contare suicrescenti proventi petroliferi; anche se il grosso degli stanzia-menti militari sino al 1979 sarebbe stato assorbito da Esercito eAeronautica, quest’ultima presto divenuta la più moderna e po-tente della regione.Nel 1967 entrò in servizio il cacciatorpediniere Artemiz (dal 1985al 1995 in servizio come Damavand), un ex “Battle” completatonel 1946 e ceduto dalla Royal Navy dopo essere stato radical-mente trasformato nel 1965-1967 in lanciamissili, imbarcando unimpianto quadruplo sup/aria “Seacat” GWS-22, accanto ai 4 can-noni da 114 mm, a pezzi radar guidati da 40/60 mm (sostituiti nel1975-1976 con un sistema SAM “Standard”), e un lanciarazzi an-tisom “Squid”. Tra il 1964 e il 1969, i cantieri americani LevingstonSB-Orange consegnavano all’Iran 4 corvette da 1.135 t. classe“Bayandor”, basate su un progetto italiano (la classe “Pattimu-ra” realizzata per l’Indonesia negli anni ’50, simili alle “Albatros”della Marina Militare), armate con cannoni da 76 e 40 mm, e di-versi sistemi antisom. Da Stati Uniti e Germania arrivavano anchele 3 cannoniere antisom classe “Parvin” (1967-1970), e 15 vedettelitoranee completate nel 1963-1970, sette delle quali trasferite alSudan entro il 1978.Di seconda mano giunse nel 1964 un’altra piccola nave anfibia exUS Navy (radiata con le altre nel 1978), mentre veniva creata unamoderna componente di guerra alle mine con 4 dragamine co-stieri tipo “Adjutant” e 2 litoranei tipo “Cove”, tutti costruiti negliUSA tra 1959 e 1964.Nell’ultimo decennio di potere del regime imperiale, il potenzia-mento della flotta accelerò, mentre veniva creata un’efficientecomponente aeronavale con aerei da pattugliamento Fokker F-27,antisom P-3F “Orion”, ed elicotteri AB-212 e SH-3D forniti dall’ita-liana Agusta, e Sikorsky CH-53 da trasporto e guerra alle mine.

25Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

N on è raro trovare negli annuari dell’Accademia Navale diLivorno degli anni ’60 e ’70, allievi provenienti dall’alloraImpero persiano. Il “corso Grifoni” (1966-69) ne ebbe 20,

metà di Stato Maggiore, metà dei Corpi Tecnici. Alla partenza del“corso Odissea” (nome che ben simboleggia il destino che di lì apochi anni avrebbe travolto la Marina iraniana) del 1972-1976, sene presentarono 10: in molti avrebbero fornito i quadri per l’epocapiù travagliata della storia persiana. D’altra parte, i rapporti navalitra Italia e Iran non erano nuovi.All’inizio del XX secolo, nonostante le tradizioni marittime dell’im-pero fossero fatte risalire agli Achemenidi (che in realtà crearonola loro flotta inglobando quelle dei popoli marittimi conquistati viaterra, in primis i Fenici), la Marina imperiale allineava il piccolo in-crociatore sprotetto Persepolis, costruito in Germania nel 1885, ela più moderna cannoniera Muzafer (1899), entrambe rimaste inservizio sino al 1936, oltre a una mezza dozzina di piroscafi armatie cannoniere fluviali. Quando nell’agosto-settembre 1941 l’Iran fuinvaso dagli anglo-sovietici per aprire una linea di comunicazio-ne con l’URSS e prendere il controllo dei suoi preziosi campi pe-troliferi, minacciati da sollevazioni interne filo-tedesche, il cuore

della sua flotta era invece sempre modesto, ma più moderno; e“made in Italy”. Teheran contava infatti sulle corvette da 1.100 t.Babr e Palang, armate con 2 cannoni da 102 mm e impiegabili co-me posamine, su 4 cannoniere classe “Shahrokh” da 360 t. arma-te con pezzi da 76 mm, e 3 vedette classe “Azerbaijan”: tutte navirealizzate nei CNR di Napoli e Palermo tra il 1930 e il 1933. A que-ste unità si aggiungevano il dragamine ex tedesco Fathiya, del1918 (impiegato come pattugliatore), e alcune unità minori. Du-rante l’attacco anglo-sovietico, mentre i russi catturavano le ve-dette operanti sul Caspio, il 25 agosto 1941 le navi inglesi affon-darono il Fathiya e le 2 “Babr”, catturando le “Shahrokh”, incor-porate nella squadra indiana sino al 1946, quando furono restitui-te. Anche i Sovietici restituirono le vedette: e il nuovo, giovanescià Reza Pahlavi, salito al trono nel 1941 e a lungo rimasto sottotutela alleata, dovette ricominciare a costruire la flotta attorno aquelle 7 piccole navi costruite in Italia. Le 4 cannoniere furonoammodernate nel 1946, e rimasero in servizio sino al 1953; le ve-dette sarebbero state impiegate invece sino al 1972.A titolo di riparazione, Londra cedette all’Iran nel 1949 una fre-gata tipo “River” costruita nel 1944-1945, e ribattezzata Babr,

24 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Marine Militari nel mondo

Dagli Scià agli AyatollahRapida sintesi

dell’evoluzione della Marina iranianaGiuliano Da Frè - Storico e giornalista

Un Fokker 27da pattugliamento

La cannoniera Babraffondata nel 1941

Il caccia Babr,ex Allen Sumnerdella US Navy (1977)

la fregata Jamaranin servizio dal 2010

La fregata leggeraSabalan nel 1977

Nel 1971-1972 la US Navy cedette 2 caccia tipo “Allen Sumner”,già ammodernati col programma FRAM-II nel 1959-1961 che neavevano migliorato le capacità antisom, e divenuti operativi en-tro il 1973 coi nomi di Babr e Palang dopo una lunga revisione.Ma furono le ultime unità acquisite di seconda mano dalla flottaimperiale, che nel frattempo aveva avuto un nuovo battesimo delfuoco (30 anni dopo gli scontri con la Royal Navy), quando unasquadra navale iraniana occupò il 30 novembre 1971 l’arcipelagodi Abu Mussa e delle Tunbs, conteso dagli appena nati EmiratiArabi Uniti – e nel 1992 al centro di nuovi incidenti. L’occupazio-ne avvenne quasi senza colpo ferire (si contarono una mezzadozzina di caduti in un breve scontro a fuoco): alla guida della

gli altri 2 “Tang” destinati all’Iran venivano più tardi ceduti allaTurchia. I contratti per le fregate e i sommergibili europei invecenon divennero mai operativi, mentre diventava difficile anchereperire le parti di ricambio per il naviglio già in servizio. E in unmomento quanto mai delicato, perché dopo un anno di incidentifrontalieri sempre più violenti, nel settembre 1980 scoppiava laguerra con l’Iraq, destinata a prolungarsi per 8 anni. La Marinairaniana entrava nel conflitto comunque più forte di quella diSaddam, che solo alla vigilia della guerra aveva firmato con l’in-dustria italiana il famoso contratto del secolo per una flotta“chiavi in mano”, comprendente 4 fregate “Lupo”, 6 sofisticate

corvette, un rifornitore, più missili, elicotteri e attrezzature logi-stiche; e che non avrebbero mai alzato bandiera irachena, conun’unica eccezione, 37 anni dopo (2).Nel 1980 l’Iran schierava quindi 3 vecchi cacciatorpediniere incondizioni non ottimali (soprattutto i 2 “Sumner”, di fatto impiega-ti come batterie galleggianti), 4 fregate e 4 corvette relativamenterecenti, 9 modernissime motomissilistiche classe “Kaman” (altre3 giunsero nel 1981, mentre le 6 in opzione venivano cancellate),6 dragamine, 2 unità per il rifornimento in mare, 7 navi anfibie, edecine di cannoniere e guardacoste, utili nel complicato scena-rio di Littoral Warfare, del Golfo Persico.Il conflitto avrebbe decimato queste forze, soprattutto quando nel1987-1988 lo scontro con gli Stati Uniti divenne frontale. Navi eaerei iracheni affondarono 2 corvette classe “Bayandor” (en-trambe perdute nel 1982), una motomissilistica, 2 LST, 4 dragami-ne – un altro era già andato perso per incendio nel 1975 – e unadecina di vedette, senza contare il naviglio minore e le imbarca-zioni armate dai Pasdaran. La US Navy, poi, catturò nel 1987 laLST Iran Ajr, impiegata come posamine, per poi affondarla; quin-di, durante lo scontro navale scaturito dall’operazione “PrayingMantis” (18 aprile 1988), colò a picco la fregata Sahand, la moto-missilistica Joshan, e 3 barchini dei Pasdaran, danneggiandogravemente la fregata Sabalan, più tardi riparata.

27Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

formazione iraniana c’era l’Artemiz, su cui alzava bandiera l’am-miraglio Farajollah Rasai (1910-2002), dal 1961 al 1972 coman-dante la Marina imperiale, e anch’egli allievo a suo tempo del-l’Accademia di Livorno.Prima della caduta del regime imperiale, furono acquistate le 4fregate leggere da 1.540 t. classe “Alvand”, elegante prodottodella Vosper Thornycroft inglese costruite nel 1967-1972, ma conun armamento formidabile, in rapporto alle dimensioni: cannone

da 114 mm e 2 pezzi antiaerei da 35 mm, un impianto trinato permissili sup/aria “Sea Cat”, e un sistema missilistico antinave quin-tuplo “Sea Killer” Mk-2 realizzato dall’italiana Sistel, che ingloba-va la Contraves che forniva i radar di tiro “Seahunter”, oltre un“Limbo” antisom. Nel 1974 furono ordinate in Francia 12 motomis-silistiche tipo “La Combattante-IIA”, che sarebbero state conse-gnate tra il 1977 e il 1981 come classe “Kaman”, armate con 4 lan-ciamissili “Harpoon” e un Compatto da 76/62 mm di OTO-Melara;altre 6 in opzione sarebbero state cancellate dopo la caduta delloScià, che in effetti non vide tutte le unità ordinate negli anni ’70, inparte consegnate dopo la rivoluzione khomeinista. I programmi

comprendevano infatti anche varie classi di cannoniere e vedette(in parte realizzate localmente), e la creazione di un’adeguatacomponente logistica e specializzata, con le 2 unità di supporto da4.700 t. classe “Bandar Abbas” di costruzione tedesca del 1974, eil moderno rifornitore di squadra Kharg, da 33.000 t., armato con unCompatto da 76/62 mm e con a poppa ponte di volo e hangar per3 elicotteri, costruito in Gran Bretagna nel 1976-1978, ma conse-gnato solo nel 1983. Soprattutto, alla luce della crisi del 1971 e del-la partecipazione delle forze iraniane a operazioni oltremare (co-me il supporto dato all’Oman durante la guerra nel Dhofar del1963-1976, con l’impiego di 4.000 uomini), fu rafforzata la compo-nente anfibia, con le 4 LST da 2.600 t. classe “Hengam”, sempredi costruzione inglese, consegnate a coppie nel 1974 e 1985, e le5 LST/posamine classe “Iran Ajir” da 2.300 t. costruite in Giappo-ne nel 1978-1979, cui si aggiunsero hovercraft anfibi tipo “Wel-lington BH-7” e piccole LCU.Tuttavia, la terza e più spettacolare fase di potenziamento nava-le avviata dalla Scià poco prima della sua caduta, rimase sullacarta. I programmi del 1977-1979, in parte già contrattualizzatiprima della rivoluzione, prevedevano infatti l’acquisizione di 4super-cacciatorpediniere tipo “Spruance” americani, 8 fregate“Kortenaer” (1), nonché la creazione di una forza subacquea.Per quest’ultima, il primo passo sarebbe stato il trasferimento di3 vecchi battelli ex US Navy classe “Tang” del 1952, “guppyzza-ti”, per addestrare i primi sommergibilisti nazionali, mentre inGermania venivano ordinati 6 sottomarini di nuova generazioneType-209. La rivoluzione del 1979, tuttavia, se non impedì la con-segna di alcune unità ormai già costruite in Francia e Gran Bre-tagna, bloccò ogni ulteriore aiuto americano: i 4 destroyer clas-se “Kooroush” (gli “Sprunce” modificati) sarebbero stati com-pletati per la US Navy nel 1981-1982, e vent’anni dopo ceduti aTaiwan, mentre la cessione del sommergibile USS Trout, ufficia-lizzata il 19 dicembre 1978 con l’assegnazione del nuovo nome(Kousseh), fu cancellata tre mesi dopo, quando l’equipaggio ira-niano era ormai stato addestrato. Il battello andò in riserva perpoi essere impiegato sino al 2008 per attività sperimentali, mentre

26 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

La fregata Sahand in fiamme prima di affondare nel 1988

La fregata leggera Alvand

Un sommergibile iraniano tipo Kilo

Lo shah Reza Pahlavi in divisa da ammiraglio

Note

(1) Altre fonti parlano di 12 similari F-122 (tipo “Bremen”) tedesche.(2) Le fregate sono state acquistate dalla Marina italiana nel 1992, andando

a formare la classe “Soldati”. Le 4 corvette antinave sono state vendutenel 1995 alla Malaysia, mentre il rifornitore è dal 1986 bloccato in un portoegiziano. Per le 2 corvette portaelicotteri ferme sotto sequestro a La Speziadal 1990 assieme agli equipaggi (che ovviamente si sono da allora datiil cambio), il lungo contenzioso si è finalmente sbloccato, e il 21 giugno 2017, a un mese dalla partenza dall’Italia, sono state ormeggiate nella basedi Umm Qasr, dove verranno rimesse in servizio con l’assistenza di Fincantieri. Da notare che nel 2006 il nuovo Iraq ha ordinato 4 pattugliatori tipo “Diciotti”, consegnati nel 2009.

Marine Militari nel mondo

di una loro rielaborazione, già equipaggiate con missili C-802, eun sistema sup/aria nazionale, al pari del cannone da 76/62 mme di un pezzo da 40/70 anche questo frutto di reverse enginee-ring. Simili per forma e dimensioni, le maggiori differenze stannonella presenza a poppa di un ponte di volo per l’impiego di un eli-cottero AB-212ASW (privo però di hangar), e per l’apparato mo-tore tutto-diesel, che assicura maggiore autonomia ma una ve-locità di soli 30 nodi, contro i 39 raggiungibili dalle “Alvand” gra-zie alle loro turbine a gas. Jamaran e Damavand sono entrate inservizio nel 2010 e 2013, pomposamente annunciate come “cac-ciatorpediniere” nazionali. Ma in effetti la cantieristica iranianasi sta dando da fare. Nel 2012 è infatti partita la costruzione di al-tre 5 unità più grandi, tipo “Moudge”, da 2.500 t., che saranno ar-mate con missili sup/sup di nuovo tipo, che si ipotizza possanoavere capacità cruise, mentre quelli da difesa aerea saranno alungo raggio. Inoltre a poppa sarà presente anche un hangar perl’elicottero. La prima unità risulta essere in allestimento, le altre4 in costruzione.Tuttavia, le ambizioni non si fermano qui, anche se sulla costru-zione di una grande unità lunga 145 metri e del dislocamento sti-mato in 7.500 t. si sa poco, dopo i primi annunci fatti nel 2014. Siparla infatti sia di una nave addestrativa con capacità multiruolo,sia del primo di 6 cacciatorpediniere classe “Khalije Fars”, cheper la verità appare un programma davvero troppo ambizioso, edel quale ad ogni modo si conoscono pochi dettagli.Più pragmatica la strada seguita per la componente subacquea. I3 “Kilo” russi (classe “Tareq”), costati 600 milioni di dollari, si sonorivelati una grossa sfida operativa e manutentiva, ma dopo un ra-dicale upgrade iniziato nel 2012, nella base di Bandar Abbas, da

cui possono minacciare le rotte di accesso allo stretto di Hormuz,2 sono sempre pronti all’impiego, e un terzo in manutenzione o ad-destramento. Già verso la fine della guerra con l’Iraq erano poistati acquistati una mezza dozzina di mini-sommergibili nordco-reani tipo “Yuno” (copia degli “Yugo” iugoslavi): nel 2006 è iniziatala costruzione di mezzi locali, prima col prototipo da 350/400 t.Nahang, poi con i più piccoli e riusciti “Ghadir”, che tra 2007 e2012 sono stati consegnati in 21 esemplari (di versioni diverse), ar-mati con 2 lanciasiluri e la possibilità di rilascio di mine. Nel 2013veniva varato il Fateh, sommergibile costiero da 600 t. da replicarein un secondo esemplare, ed entrambi destinati all’impiego nelMar Caspio entro il 2015.Nel 2008 era però stato annunciato l’avvio della costruzione delQaaem, un battello da 1.200 t. che viene accreditato di un propul-sore AIP, e che sarebbe il prototipo di una classe denominata“Besat”. Dei 2 battelli annunciati, uno sarebbe alle prove e il se-condo in costruzione: ma poco se ne sa di certo, e restano i dub-bi sia sulla propulsione AIP (che potrebbe essere frutto di uncontratto con la Cina), sia sulla possibilità di lanciare missili crui-se, e tantomeno balistici a corto/medio raggio, frutto di program-mi comuni con la Nordcorea. Quel che è certo, è che la flotta ira-niana, che da un decennio fa esperienza anche fuori dal GolfoPersico – dove alle tensioni con le flotte occidentali, si va ag-giungendo un sempre più probabile scontro con l’Arabia Saudita-, impegnandosi in missioni a lungo raggio per “mostrare la ban-diera”, e nelle attività anti-pirateria, e di supporto agli insorti ye-meniti, sta seguendo, nell’era degli Ayatollah, le ambizioni dell’e-poca imperiale.

nnn

29Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Rinfoltire le fila della flotta fu complicato, nel corso della guerra:oltre alle 3 “Kaman” francesi, e alle 3 unità logistiche (2 LST e ilrifornitore Kharg) dissequestrate da Londra, e mentre localmenteera possibile realizzare solo imbarcazioni veloci, giunsero così inIran negli anni ’80 solamente 3 LST classe “Farsi” da 2.000 t. co-struite in Corea del Sud (1985-1986), e 3 LCT da 1.300 t. olandesiclasse “Amir” (1984-1985), poi replicate localmente in 2 esempla-ri nel 1994-1999, 2 cisterne e 4 navi da trasporto costruite in Paki-stan nel 1980-1982, e naviglio minore.Finita la guerra, il governo iraniano ha rimesso mano alla decima-ta Marina, ripartendo da dove si era bloccato 10 anni prima: nel1988 infatti veniva firmato un primo contratto con l’URSS per 3sommergibili tipo “Kilo 877EKM”, consegnati tra 1992 e 1996, coiquali finalmente Teheran si dotava di un assetto agognato da de-cenni. Per la flotta di superficie, inizialmente ci si limitò ad avviareprogrammi di upgrade, anche per sostituire armi e sensori occi-dentali che via via diventavano inutilizzabili per la mancanza diparti di ricambio. Mentre negli anni ’90 i vecchi cacciatorpedinierevenivano radiati, le 3 fregate e le 10 motomissilistiche superstitiimbarcavano missili antinave cinesi C-802, mentre più tardi anchele restanti 2 “Boyandor” furono riarmate con missili e nuova arti-glieria. Dalla Cina giunsero anche 10 motomissilistiche tipo “Hu-dong”, entrate in servizio come classe “Thondor” nel 1993-1996(tra 1991 e 1998 veniva anche armata una “Osa-II” ex irachenafuggita durante la Guerra del Golfo), mentre l’India vendeva 2 ci-sterne da 12.000 t, e localmente venivano costruite a decine leunità leggere, comprese 5 cannoniere di progettazione nordco-reana, le già citate 2 LST di modello olandese, e 13 LCU anfibi. Maè nell’ultimo decennio che la Marina Iraniana ha avviato un tanto

ambizioso quanto autarchico programma di potenziamento, chepunta ad espandere la componente subacquea con l’obbiettivo didisporre anche di battelli lanciamissili, e che trasforma corvette incacciatorpediniere; in effetti non manca di una logica aderente alparticolare scenario navale che il Golfo Persico presenta, tipico diuna insidiosa Littoral Wafare. Da qui il proliferare, a centinaia, diimbarcazioni minuscole (il “pulviscolo di microbi navali” di cui par-lava l’ammiraglio francese Théophile Aube per la sua Jéune Eco-le), anche telecomandate o suicide, armate con lanciarazzi anti-carro e missili leggeri antinave cinesi, cui però in parallelo fa ri-scontro il rafforzamento della flotta di superficie (3). Una prima faseha fatto largamente ricorso a processi di reverse engineering. Do-po aver ammodernato le “Kaman”, infatti, i cantieri locali hannorealizzato, nel 2003-2006, altre 2 unità copiate da quelle francesi,ma armate con 4 missili C-802 e un cannone da 76/62 mm tipo “Fajr-27”, “plagio” del Compatto di OTO-Melara. Le 2 unità hanno presoi nomi di quella affondate in guerra, e sono state seguite nel 2008da altri 2 esemplari, formando la sottoclasse “Sina”. Contempora-neamente, partiva lo sviluppo di una classe di unità (almeno 8, dicui ad oggi 2 o 3 operative) d’attacco da 450 t., sviluppo delle pre-cedenti, classe “Kalat”, sempre armate con missili C-802 nella ver-sione indigena “Noor”, che sono stati installati anche su vecchieunità come le corvette e i guardacoste degli anni ’60.Un processo simile è avvenuto per le fregate leggere. Ammoder-nate le “Alvand”, nel 2006 è iniziata la costruzione di 2 unità frutto

28 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Il posamine Iran Ajrcatturato e affondatonel 1987

Una motomissilisticaclasse Kaman

Un barchino d’assaltodei pasdaran

Fregate e corvettein esercitazione

Attacco dei Pasdarannello stretto di Hormuz

Note

(3) Unità realizzate anche su disegno dei cantieri FB di Annone Brianza.

Marine Militari nel mondo

creata una rete di punti vendita per la distribuzione commerciale.Mancava la fiducia del consumatore verso il pesce congelato: inquesta direzione si impegnarono la società ed il regime fascistacon una campagna di promozione verso questo tipo di alimento,supportata da pubblicistica di vario tipo e da ricettari distribuiti neipunti vendita.Nell’ottica di sviluppo dell’azienda, vennero ordinati ai cantieri diRiva Trigoso presso Sestri Levante (ora Fincantieri) altri due pe-scherecci modernissimi, i Genepesca I e II, varati il 24 febbraio edil 10 aprile 1940, quando la guerra già infuriava in Europa ed eraper noi alle porte. Il Genepesca I era lungo 72,60 x 12,20 x 7,25 me-tri, per 1620 tonnellate di stazza lorda e disponeva di un motorediesel collegato ad un’unica elica quadripala; gli uomini di equi-paggio erano 31.Destinate principalmente alla pesca in Atlantico, le barche parti-vano da Livorno per una crociera di due o tre mesi, a seconda dellafortuna delle pescate; di solito veniva effettuato un unico scalo,spesso alle Canarie, per fare il pieno di viveri e carburante. Indivi-duati i branchi di pesce, venivano calate in mare le giganteschereti che, una volta piene dopo circa tre ore, si prov-vedeva a tirare a bordo e quindi rovescia-re il contenuto in una grande fossaposta a poppa dell’imbarcazione. Quirapidamente il pesce veniva pulito,privato della testa e della coda e lava-to. La testa finiva quindi in una macinaper la produzione di alimenti animali cheriduceva il pesce in farinacei, mentre ilresto veniva messo in cassette e surge-lato immediatamente a temperature infe-riori ai -18°C. Il ciclo si ripeteva ogni 3 ore,24 ore al giorno, per sette giorni alla settima-na, durante tutta la crociera destinata allapesca. Una vita massacrante.Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, Il Genepe-sca I continuò, seppur in maniera più limitata,la sua attività di raccolta del pesce per le popolazioni sempre piùaffamate durante quei terribili anni. Il fatto è confermato dalle car-te relative al cacciatorpediniere Antonio Cascino, una delle navidi scorta più attive durante la guerra, che nel 1942 fu incaricatodurante una missione della protezione della motonave in acquegreche. La base del Genepesca era sempre Livorno, città che fuduramente colpita durante il conflitto: subì infatti bombardamentie devastazioni da Francesi, Inglesi, Americani ed infine Tedeschi.Le due incursioni aeree più devastanti avvennero il 28 maggio edil 28 giugno 1943 che causarono centinaia di vittime e decine dimigliaia di sfollati. Furono rasi al suolo il centro storico e chiara-mente le zone portuali ed industriali; anche gli stabilimenti Gene-pesca furono colpiti. Il porto di Livorno era infatti considerato

obiettivo prioritario, poiché era un nodo strategico per i riforni-menti verso il Nord Africa e tutta l’area mediterranea, mentre icantieri e le industrie producevano anche materiale bellico. La di-struzione fu così terribile che al termine della guerra solo l’8% de-gli edifici del centro cittadino poteva considerarsi illeso ed agibile.Naturale che da allora la gente di Livorno abbia sviluppato un odioferoce per tutte le guerre.Era quindi con uno stato d’animo di sollievo che i marinai del Ge-nepesca I si avviavano da Tunisi verso il porto di casa il 26 maggio1945, a guerra ormai finalmente conclusa, felici di essere scampatialle insidie del conflitto sul mare. Il grande peschereccio avevaperò un appuntamento con il destino: giunto in direzione Sud-sud-ovest del faro di Vada, vicino a Livorno, incappò in una mina ma-gnetica; ci fu una enorme esplosione che tranciò di netto la pruae fece inabissare repentinamente la motonave. Di che origine fos-se esattamente l’ordigno, non è dato sapere; probabilmente eragermanico, messo in mare per impedire l’accesso al porto e ral-lentare l’avanzata degli anglo-americani. Per un colpo incredibiledi fortuna, o forse per l’aiuto del cielo, i 31 marinai d’equipaggiosopravvissero e non furono segnalate vittime. Il Genepesca I fu laterz’ultima nave italiana vittima del secondo conflitto mondiale: nel1947 andò perduto il piroscafo Luana a causa ancora di una minae nel 1949 esplose il trasporto Panigaglia durante le operazioni di

smilitarizzazione di Pantelleria.La società “Genepesca” sopravvisse alla guer-

ra, sempre diretta egregiamenteda Flavio Avezzano e da Gaslini,che la inserì nella Fondazione omo-nima; in seguito venne venduta algruppo FIAT. Il Genepesca I venne ri-costruito e varato col medesimo no-me nel 1950 nei cantieri di Monfalco-ne, andando poi ad affiancare altri 9battelli omonimi realizzati per la pescaoceanica e numerati da I a X. Il massimofulgore dell’impresa si ebbe negli anni ’50e ’60, durante i quali la società attraversòun periodo di grande successo, al puntoche il marchio “Genepesca” era diventatosinonimo di “pesce surgelato”, appunto il

“Pesce Genepesca”.La motonave Genepesca I è attualmente visitabile me-diante un’immersione subacquea. Giace spezzata in due

tronconi su di un fondale sabbioso a 33 metri di profondità; lavisibilità sul relitto è estremamente variabile a seconda delle cor-renti e delle condizioni del mare. Il troncone principale, quello dipoppa, è lungo 55 metri e risulta leggermente sbandato sul lato dibabordo, mentre il fumaiolo è scomparso, agganciato a qualcherete e la prua si trova ad un centinaio di metri di distanza. Si trattadi un’immersione relativamente facile, con un caratteristico pas-saggio sotto poppa dove si trova ancora il timone, ma non l’elica,in qualche modo recuperata dal fondo. Come sempre accade, lamotonave, da peschereccio predatore, è ora diventata la casa dinumerose specie marine: sono presenti nuvole di castagnole, sa-raghi, branchi di boghe, qualche grongo curioso od una murenache si affaccia dalle lamiere, e spesso anche cernie e dentici acaccia. Un’immersione nella storia di uomini che facevano un du-ro lavoro, sempre irto di pericoli.

nnn

31Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

GENEPESCAmarinai controle avversità del destinoPaolo Ponga

Q uesta è una storia di mare e di marinai italiani. Poco co-nosciuta come spesso sono quelle che riguardano uominicomuni che vivono, lavorano e rischiano la morte.

È il 26 maggio 1945. La guerra è finita da un mese e nelle acque li-vornesi transita il grosso peschereccio d’alto mare Genepesca I.L’imbarcazione, lunga oltre 70 metri, si sta avviando verso il propriodestino, per raccontare il quale occorre andare indietro nel tempo,tramite una lunga ricerca storica.All’inizio del ventennio fascista, il Governo si rese conto di comela nostra bilancia commerciale fosse spostata verso le importazio-ni, anche di natura alimentare, a causa per lo più di deficit di naturaevolutiva legati agli impianti ed ai metodi di produzione. Venne cosìavviata la famosa “battaglia del grano”, a cui si affiancò presto la“battaglia del pesce”, che imponeva lo sviluppo di una flotta d’altomare rivolta essenzialmente all’Oceano Atlantico. I mari italianierano infatti battuti da una miriade di piccole barche da pesca,mentre le colonie erano lontane ed assolutamente non attrezzateper moderne industrie di conservazione. Occorreva così, secondoil regime, iniziare la concorrenza con le grosse flotte nordeuropee;quelle dei paesi affacciati sull’atlantico e con una lunga tradizionedi pesca legata a sistemi e macchinari moderni: un’impresa cer-tamente non facile. Nel 1923 vennero costituite due società, la“SAPRI” e la “IPES”, che daranno ben poche soddisfazioni; in par-ticolare la seconda, di proprietà di un membro di casa Savoia, ven-ne giustamente accusata di essere un’azienda parassitaria cheapprofittava in ogni modo di aiuti e sgravi fiscali grazie alle prote-zioni del regime, senza però dare risultati apprezzabili. Nel 1931 sifece avanti l’Industria Italiana di Pesca Atlantica (“Italpesca”) diLivorno, che vinse l’assegnazione di tre moderni pescherecci daparte del Ministero dell’Agricoltura; al momento della loro conse-gna, la società era tuttavia finita in fallimento.La situazione stava però finalmente cambiando con la fondazio-ne nel 1935 a Roma della “Genepesca”, società che aveva sede

operativa a Livorno e che aveva tutti i numeri per imporsi sul mer-cato, grazie anche ad un vulcanico amministratore delegato, Fla-vio Avezzano. Questi ritirò i tre pescherecci del Ministero, as-sorbì le imprese fallite e gettò la “Genepesca” nella mischia in-ternazionale nel periodo in cui le sanzioni comminate dalla So-cietà delle Nazioni per la nostra aggressione all’Etiopia stavanogenerando grossi problemi all’industria alimentare italiana. Inol-tre la società entrò presto a far parte del Gruppo “Gaslini”, di pro-prietà del grande imprenditore e filantropo genovese Gerolamo

Gaslini (1877-1964). Questi, iniziata la carriera nel commercio del-l’olio, creò in seguito un impero economico acquisendo societàalimentari, immobiliari, finanziarie ed agricole, gestendo il grup-po sempre con grande polso di ferro e parsimonia leggendaria(e, se vogliamo, agganci in tutti i governi succedutisi negli anni).A seguito però della morte dell’amata figlia Giannina, mancataperché “la scienza medica non è stata in grado di curarla”, fondòa proprie spese dapprima l’Istituto Gaslini di Genova e successi-vamente la Fondazione Gaslini, in cui entreranno tutte le sue im-prese: parsimonia quindi, ma non certo avarizia.La “Genepesca”, sostenuta finanziariamente da Gaslini e dall’IFI(“Istituto Finanziario Industriale”), e politicamente da Ciano e Mus-solini, rappresentava in quegli anni il fiore all’occhiello del settoreittico italiano, con navi moderne ed un’industria conserviera ade-

guata a terra. Vennero infatti varate alcune delle motonavi piùcompetitive a livello mondiale, migliorati e potenziati gli impiantidi conservazione e trasformazione a terra del pesce, e venne

30

Storie di navi

Paolo PongaHa 55 anni. Dopo aver fatto studi storici, si de-dica a lavori commerciali; attualmente è areamanager di una multinazionale alimentare.Da sempre con il mare nel cuore, è subacqueoappassionato di relitti e della loro storia.Pubblica regolarmente su diverse riviste car-tacee ed online storie di viaggi e di mare.

Il relitto del Genepesca I a 33 metri di quota. È a circa 1 miglio dalla costanei pressi del Faro di Vada nel tratto di costa del Mar Tirreno compresa tra le focidei fiumi Fine e Cecina. Le secche sono circa 4 miglia al largo con scogli affiorantie fondali sabbiosi di profondità massima di 2,5 metri

Il secondoGenepesca Idurantegli anni ‘50

no dotate di piccoli cannoni da 76/40 che di certo non avrebberopotuto procurare alcun danno alle possenti unità britanniche. Ilcapo flottiglia, il Berta (un peschereccio di sole 650 tonnellate cheprima si chiamava “Triglia”), centrato in pieno dai proietti inglesi,manovrato dagli unici due superstiti, un sergente macchinista edun marinaio, affondò davanti agli sbarramenti e fu forse la primanave perduta all’inizio della guerra. Il comandante del GiovanniBerta, Capo nocchiere di prima classe Angelo Paolucci, fu deco-rato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare, forse la prima del se-condo conflitto mondiale.Il 14 giugno, quando ormai era notte, il Turbine ricevette l’ordine disalpare e con lui anche il Nembo e l’Aquilone. Nel mare calmissi-mo, i tre CC.TT. sfrecciavano alla velocità di 30 nodi nonostante irischi per la fitta nebbia che impediva qualsiasi avvistamento mache, al contempo, li proteggeva. All’alba i tre caccia giunsero da-vanti a Sollum e subito cominciarono a bombardare la costa; poiil Turbine, resosi conto che il tiro del nemico era inefficace, si ad-dentrò nel golfo per un bombardamento ravvicinato; gli altri duecaccia lo seguirono. L’incursione fu ripetuta il 26 giugno.Il 19 giugno il Turbine affondò il sommergibile Orpheus proprio da-vanti alla baia. La nave fu costretta ad interrompere la caccia dopoaver esaurito le bombe di profondità e la chiazza di nafta che eravenuta a galla fu ritenuta una simulazione. Rifornitosi con le bombedell’Euro, il Turbine era tornato sul posto ma, dopo aver incrociatoper circa un’ora con l’aiuto di un idrovolante, rinunciò senza avertrovato traccia del disgraziato sommergibile ormai immobile sulfondo: nessuno dei 56 uomini di equipaggio poté salvarsi.Nel pomeriggio del 28 un’incursione aerea per il bombardamentodel campo di aviazione “T2” provocò l’involontario abbattimentodell’aereo di Italo Balbo.Il primo luglio il Nembo e l’Aquilone uscirono in soccorso della se-conda squadriglia che, dopo aver sostenuto per oltre due ore l’at-tacco nemico, il 28 giugno aveva per in combattimento l’Espero.Salpato da Taranto il giorno precedente, l’Espero guidava un con-voglio veloce di trasporto truppe e materiali per l’Africa, insieme aOstroe Zeffiro. Gli stessi inglesi riferirono che il cacciatorpediniere,

ormai distrutto dai colpi ricevuti, continuò a sparare fino a quan-do il mare non si richiuse sopra di lui. Furono raccolti 47 superstitima non c’era il comandante Baroni che, secondo tradizione, ave-va voluto affondare con la sua nave. Altri superstiti, che eranoriusciti a salire su tre zattere, andarono incontro ad un’altra ter-ribile tragedia.Intanto, a Tobruk gli attacchi si susseguivano incessanti, anchepiù volte al giorno, ed il più terribile fu quello del 5 luglio.Lo Zeffiro, sopravvissuto insieme all’Ostro alla tragedia dell’E-spero, era salpato di primo mattino per fare rifornimento di mu-nizioni utilizzando il tunnel di collegamento con il deposito. Du-rante il trasbordo delle munizioni tutte le armi del porto iniziaronoil fuoco di sbarramento contro un ricognitore che, sbucato daldeserto, sorvolò tutta la baia uscendone miracolosamente in-denne. Qualche ora più tardi, quando ormai lo Zeffiro aveva ri-preso la fonda in mezzo alla baia, un altro ricognitore attraversòquell’inferno di fuoco per fotografare di nuovo la posizione dellenostre navi. Il primo allarme fu dato intorno alle 14, un altro alle16, un altro ancora alle 18, infine l’ultimo alle 20. Sei aerosiluranti“Fairey Swordfish” attaccarono a bassissima quota anche per

33Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 201832 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Secondo Conflitto Mondiale

I l Turbine era giunto a Tobruk il 5 giugno 1940 come capo dellaSettima flottiglia cacciatorpediniere. La prima squadriglia eracomposta dai cacciatorpediniere Turbine, Euro, Nembo e

Aquilone; la seconda da Espero, Zeffiro, Ostro e Borea.Tobruk, una baia naturale protetta da un’alta parete rocciosa conla bocca rivolta ad Est-Sud-Est a circa 100 chilometri dal confinecon l’Egitto, era stata classificata come base navale di secondacategoria, completamente attrezzata per riparazioni urgenti e bendotata di difesa antiaerea oltre che antinave. Anche il porto, dotatodi numerose banchine, attrezzature e pontili, era ben riparato daicostoni rocciosi circostanti. Inoltre si era provveduto all’installa-zione di distillatori e di un centro chirurgico in caverna.Il giorno successivo al suo arrivo, l’unità navale era stata imme-diatamente sottoposta a pesanti lavori di trasformazione perché ladichiarazione di guerra sarebbe stata consegnata solo 4 giorni piùtardi.La sera stessa tutta la prima squadriglia era uscita per rilasciareuno sbarramento di mine davanti alla baia; l’otto giugno, Euro edAquiloneavevano depositato un altro sbarramento di mine davantia Bengasi mentre il Turbine incrociava a largo per proteggerli.Poi, il 10 giugno, il Duce aveva parlato: la dichiarazione di guerra

era stata consegnata a Francia e Gran Bretagna. A Bengasi la no-tizia si diffuse il giorno successivo, poco dopo le 13, mentre gra-dualmente la piazza del Municipio andava riempiendosi per ascol-tare i comunicati che uscivano dagli altoparlanti tra inni fascisti emarce militari.A Tobruk c’erano stati due allarmi aerei fin dal primo giorno, poi, il12 giugno l’inferno.Ancor prima dell’alba tutti ai posti di combattimento, mentre già siudiva il frastuono delle batterie. A seguire la fragorosa voce deigrossi calibri del San Giorgio, un vecchio incrociatore corazzatotrasferito in quella baia come nave stazionaria per la difesa navale.In porto erano presenti il Turbine, il Nembo e l’Aquilone e diverseunità sia mercantili che di dragaggio.L’attacco proveniva dal cielo e dal mare. Il bombardamento aereosi protrasse fino alle 06:30 provocando danni alle banchine el’affondamento di due galleggianti mentre due incrociatori e quat-tro cacciatorpediniere inglesi erano tenuti a distanza dai cannonidel San Giorgio. Così il nemico decise di sfogare la rabbia su unaflottiglia di dragamine sorpresa dall’attacco mentre stava operan-do per un’azione di dragaggio e bonifica delle acque di accesso alporto. Una flottiglia praticamente innocua, perché queste navi era-

La perdita dellaSettima flottiglia cacciatorpediniere

Giugno/Settembre 1940Alberto Fiaschi - Socio e vicepresidente del Gruppo di Piombino

Il CT Turbine

Il Turbinea giugno 1940

Il CT Borea affondatonel Porto di Bengasi

Intanto i bombardamenti aerei, ripetuti anche più volte al giorno,erano diventati ormai una consuetudine.Il 19 luglio un primo allarme venne dato alle 17:15, quando tre bom-bardieri inglesi apparvero improvvisamente nel cielo lanciandonumerose bombe, due delle quali mancarono di poco il Liguria, giàcolpito nell’attacco del 5, mentre altre caddero vicinissime ad unaltro piroscafo senza colpirlo. La contraerea non si fece attenderee, nel tumultuoso fuoco di sbarramento, un aereo colpito, dopoaver perso leggermente quota, si allontanò subito dileguandosiall’orizzonte. Anche i nostri caccia riuscirono ad impegnare i bom-bardieri in fase di rientro colpendone un altro che, dopo aver persoquota, cominciò a precipitare accompagnato da una sottile scia difumo nero. Era appena stato dato il cessato allarme che, poco do-po le 18:00, ne veniva dato un altro. Alle 19:00 un idrovolante puntòdecisamente sul Turbine attaccandolo sulla dritta a bassa quota.L’aereo s’infilo coraggiosamente nel tunnel di colpi vomitato dallemitragliere della nave e, colpito, cominciò subito a perdere quota.Per alleggerirsi, fu costretto a sganciare le bombe che, sfiorato ilbordo, caddero in mare sulla sinistra della nave, mentre nessunoaccennava a ripararsi. Anche quando ebbe superato la nave, lascia di fuoco delle mitragliere continuò ad inseguire l’aereo che,colpito nuovamente, fu costretto a tentare l’ammaraggio poco fuo-ri degli sbarramenti del porto. Un dragamine riuscì a soccorrere inaufraghi poco prima che l’aereo affondasse.Dopo circa mezz’ora un altro allarme e poco prima delle due il cielos’illuminò ancora di lampi, delle scie luminose dei traccianti, ac-compagnate dal crepitio delle armi e dalle esplosioni, mentre la lu-ce dei bengala lanciati dagli aerei aveva trasformato la notte ingiorno. Un’esplosione, seguita da un grande bagliore, fu l’ultimaprima di un inatteso silenzio, appena intaccato dalle urla e dai la-menti dei feriti, tra l’imperversare delle grida di comando, mentreun brulicare di lance dirigeva da ogni parte verso le navi colpite. IlNembo, che si era appena avvicendato con il Turbine, colpito alcentro-dritta, era tristemente rovesciato sul fianco sinistro, rima-nendo affiorante sull’acqua. L’Ostro affondò alle 01:44, dopo solodieci minuti da quando venne colpito da un siluro in corrisponden-za del deposito munizioni di poppa. Il Nembo affondò subito dopo,alle 01:45, dopo essere stato colpito da un siluro fra le caldaie 2 e3 sulla dritta. Un piroscafo, semiaffondato, riuscì ad arenarsi.Gli attacchi erano partiti dalla HMS Eagle, una delle più vecchieportaerei Britanniche.La sera successiva il Turbine fu costretto a partire per Bengasi percontinuare i lavori alle caldaie.Il 17 settembre, in piena notte, anche Bengasi veniva colpita daun’incursione aerea e l’equipaggio del Turbine dovette constatareche lì le bombe cadevano a segno, anche perché Bengasi erascarsamente dotata di difesa contraerea. Ma forse la precisionedegli inglesi era dovuta a ben altri fattori. A Bengasi, infatti, vivevauna consistente comunità di indiani tra i quali potevano annidarsidelle spie che durante i bombardamenti notturni, informavano i pi-loti degli aerei inglesi utilizzando segnali luminosi. Dopo la catturadi cinque spie i bombardamenti s’interruppero ed in seguito nonfurono più così precisi.Il primo ad essere colpito fu un piroscafo che subito si incendiò.Poi fu la volta della torpediniera Cigno, colpita a prora, mentre al-tre bombe sfioravano il Turbine. L’acqua sollevata dalle esplosio-ni inondava nave ed equipaggio, mentre si avvertiva lo sbatteredella pioggia di schegge incandescenti che rimbalzavano sullesovrastrutture: in sei vennero colpiti tra i quali un giovanissimo

segnalatore ferito gravemente alla testa; altre schegge schizzava-no in mare facendolo ribollire alla luce dei bagliori della battaglia.Il Borea, colpito in pieno da due bombe mentre si trovava ormeg-giato alla banchina, affondò velocemente alle ore 01:00 per loscoppio di una bomba al disotto della chiglia. Quando il frastuonodella battaglia si placò improvvisamente, i lamenti, le grida e gli or-dini impartiti freneticamente appena si udivano, diluiti nell’ampiospazio della baia. Tutto era avvenuto in un momento, ma dopo po-chi minuti di silenzio un secondo attacco fece riesplodere il com-battimento. Un pontone fu affondato, un rimorchiatore colpito dauna bomba incendiaria, si diresse rapidamente in soccorso d’unpiroscafo anch’esso incendiato. Nelle prime ore del mattino unamotonave tentò di uscire dal porto seguendo la rotta normale, mauna tremenda esplosione confermò che 6 “Swordfish” dell’819°squadrone avevano deposto un campo minato mentre i 9 “Sword-fish” dell’815° squadrone sferravano l’attacco. Con azione corag-giosa, la motonave fu subito soccorsa da due rimorchiatori che latrascinarono in secca. Così, poco dopo le 20, il Comandante delTurbine decise di uscire dal porto percorrendo una rotta diversadal solito. Il cacciatorpediniere riuscì a guadagnare lentamente illargo senza incidenti, mentre tutti scrutavano la superficie dell’ac-qua con il cuore in gola. Non fu altrettanto fortunato l’Aquilonechelo aveva seguito. Mentre veniva squarciato da due esplosioni, l’on-da d’urto fece violentemente sobbalzare anche le lamiere del Tur-bine. Alle 20:45 due mine erano scoppiate al centro ed a poppa del-la nave. La nave cominciò subito a sbandare e poco dopo affondòsu un fondale di 13 metri in posizione 32°06’28” N e 20°01’30” E.Non potendo tentare di soccorrere i naufraghi per non incapparea sua volta nelle micidiali mine magnetiche, il Turbine restò co-munque in zona e non ripartì se non dopo aver appreso dai pe-scherecci, gli unici in grado di prestare soccorso, che tutti i nau-fraghi erano stati posti in salvo.In lontananza, dal Turbine, si poteva ancora osservare lo spetta-colo del fuoco di sbarramento. Dopo soli quattro mesi di guerra eratutto ciò che restava della settima flottiglia.

nnn

35Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 201834 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

rendere inefficaci le mitragliere delle navi che, con alzo limitato,avrebbero potuto colpirsi l’una con l’altra. Dei sei siluri sganciati,uno finì contro gli sbarramenti del San Giorgio, gli altri, invece,andarono a segno.Poco dopo le 20:00, non appena si era udita la sirena dell’allarme,mentre due marinai dello Zeffiro si contendevano il posto ad unamitragliera delle piazzole di centro, una tremenda esplosionesquarciò la prua poco più avanti.Lo Zeffiro, ormeggiato proprio vicino al Turbine, era stato spezza-to in due, colpito a prua da un siluro che aveva fatto esplodere ildeposito munizioni. Quando uno dei due marinai ebbe la forza disollevarsi si trovò di fronte ad una visione apocalittica: la prorasquarciata stava velocemente affondando, il cannone distruttociondolava appeso sulla dritta, alcuni corpi giacevano inerti sulponte e l’acqua entrava con violenza dall’enorme falla.Da ogni parte si udivano grida di dolore, richieste di aiuto, madriinvocate da quei giovanissimi combattenti che forse non le avreb-bero più riviste. Mentre il marinaio cercava una possibile via difuga, il Comandante dal castello di prora tentava inutilmente di or-ganizzare il salvataggio ordinando di provvedere ai feriti e di met-tere in mare le scialuppe, ma quasi tutti i marinai, ormai resi inco-scienti dallo spavento, ignorarono gli ordini e si tuffarono in mareper raggiungere a nuoto le banchine o per aggrapparsi a funi ebiscagline calate dalle navi vicine.La prua affondò immediatamente, mentre l’altro troncone dellanave si stava inabissando lentamente. Intanto il marinaio, che siera faticosamente arrampicato verso la poppa, aveva deciso digettarsi in mare senza salvagente perché si era sparsa la voceche i salvagente potessero strozzare chi li indossava. Tolto il ca-misaccio, scavalcò la battagliola al giardinetto lasciandosi scivo-lare dal bordo ma, proprio mentre si girava stando in piedi sul pa-raelica ormai semisommerso facendosi il segno della croce peraffidarsi al mare, vide avvicinarsi una motobarca manovrata daun arabo che lo invitava a salire; con lui salirono altri due marinai.Mentre dirigevano velocemente verso terra, un caccia inglese siavventò sulla piccola imbarcazione mitragliandola. Quell’aereo

riuscì ad andarsene senza che nessuno avesse sparato un solocolpo per tentare di abbatterlo.Parte dell’equipaggio dello Zeffiro poté salvarsi trasferendosi abordo del piroscafo a cui si era attraccato. Dopo solo otto minuti,gli alberi della nave spuntavano dall’acqua formando con i penno-ni due drammatiche croci.Il mattino seguente il Comandante dello Zeffiro fece riunire i su-perstiti sul piazzale del comando navale; così poté stabilire che 36persone avevano perso la vita nel tragico attacco: tra di loro ancheil marinaio che aveva tentato di prendere posto alla mitragliera. Dalontano i sopravvissuti potevano scorgere una piccola parte del-l’albero maestro della loro nave che sporgeva ancora dal mare edin molti si misero a piangere.Lo Zeffiro fu il secondo cacciatorpediniere della settima flottigliaad andare perduto e non venne mai recuperato.Con le prime luci dell’alba l’equipaggio del Turbine poté rendersiconto che, a dritta della nave, il piroscafo Manzoni gli aveva fattoda scudo: colpito da un siluro era ora sbandato su un fianco; pocopiù avanti l’Euro sembrava essersela cavata con poco: il siluro, im-pattando contro la catena dell’ancora, aveva danneggiato grave-mente, ma non irrimediabilmente, la prora. Tuttavia le lamiere delloscafo avevano subito una preoccupante torsione e nessuno deiporti libici era attrezzato per effettuare le necessarie riparazioni.Un quarto siluro aveva colpito il Liguria a poppa. Grazie alla te-nuta delle paratie fu evitato l’affondamento portando la nave adincagliarsi. Il quinto siluro aveva colpito in pieno il Serenitas senzaaffondarlo, così era stato possibile rimorchiare in secca anchequella nave. Tre dei sei aerosiluranti nemici erano stati abbattuti,uno di essi dalla torpediniera Climene.Questo è quanto fu riportato dal Bollettino di Guerra n. 30 del 10 lu-glio 1940 – XVIII: “(...) Il nostro caccia Zeffiro è stato affondato mal’equipaggio salvo.(...)” Il 17 luglio, il Nembo, gemello del Turbine, terminata la pulituradelle caldaie, si staccò dalla banchina per dare la fonda in rada.Così, nel pomeriggio, il Turbine poté ormeggiare in banchina pereffettuare a sua volta la medesima manutenzione.

Il Turbine a Tobruk

Secondo Conflitto Mondiale

37Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Tra gli scomparsi nelle Foibe sono compre-si oltre 300 tra Carabinieri e Finanzieri, ri-masti al proprio posto nell’ambito delle at-tribuzioni previste dalle norme internazio-nali per le Forze di Polizia. La divisa da essisempre indossata ne facilitò individuazio-ne ed arresto. Nel corso del 2009 le dueBandiere d’Arma, per tali fatti, sono statedecorate della Medaglia d’Oro al MeritoCivile. Due Foibe particolari, a pochi chilometri daTrieste, Basovizza e Monrupino, rispettiva-mente a settembre ‘92 e luglio ‘93, con Ce-rimonia, presente il Capo dello Stato, sonostate dichiarate Monumento Nazionale“per il numero rilevante di vittime italiane“:insieme ne contano circa 3.500. Le date delle due Cerimonie sempre ad op-portuna distanza dalla dissoluzione dellaIugoslavia nel 1991.

II fenomeno ESODO

Fu in sintesi il risultato delle azioni di puliziaetnica, a cavallo della fine del secondoConflitto Mondiale contro i nativi italianidelle terre e delle Isole dell’Istria e dellaDalmazia, messe in atto dai Partigiani edalle Autorità Iugoslave. In quelle terre è venuta meno una presen-za di civiltà che risale all’epoca romana,mai intaccata nel corso dei precedenticambiamenti di nazionalità. Accenniamo ai distinti avvenimenti riferitialle Città ed alle corrispondenti Province:

ZaraL’Esodo iniziò per tempo, nel 1942, quandola prossimità del fronte partigiano con isuoi eccessi determinò psicosi di paura efuga tra gli abitanti. Indi la causa determi-nante: 54 bombardamenti aerei eseguiti

dalla aviazione inglese, che dal novembre‘43 all’ottobre ‘44, devastarono completa-mente la Città; il 90% delle abitazioni inagi-bili. Su circa 22.000 abitanti, 2.000 periti sot-to le bombe ed i rimanenti profughi, nel Ve-neto e Trieste. L’ordine dei bombardamenti non risulta, ne-gli archivi storici, motivato da chiara logicamilitare. È peraltro palese che Zara costitui-va il principale insediamento italiano sulleCoste Dalmate, inoltre da settembre 1943(arrivo presso il Comando Partigiano dellaMissione Inglese con a capo il GeneraleMacLean) nulla veniva bombardato in Iugo-slavia/Dalamzia senza il benestare di Tito.

FiumeOccupata dai Partigiani tra il 2 ed il 3 mag-gio 45. La Città aveva una propria tradizio-ne multipartitica ed era Sede di Comitato di

Liberazione Nazionale Italiano. L’arrivo deiPartigiani fu brutalizzante, vennero tra glialtri giustiziati anche i componenti non co-munisti del Comitato. Miseria materiale edaggressività politica motivarono nel gen-naio 1946 la fuga di circa 20.000 abitanti. Inautunno 1946, quando vennero divulgate leclausole del Trattato di Pace, fu l’Esodo dimassa: 34.000 abitanti.

PolaSottoposta anche’essa a vessante occu-pazione dai primi di maggio 1945, il 9 giugnosuccessivo (in esito agli accordi di Belgra-do) la Città venne temporaneamente mes-

sa alle dipendenze del Governo Militare Al-leato. Fu vivamente auspicato che il Tratta-to di Pace ne rispettasse la palese italia-nità, appena noto il contrario ne iniziòdall’estate ‘46 l’abbandono da parte degliabitanti. Nel corso dell’occupazione alleata avven-nero due episodi che è opportuno ricordare: • agosto ‘46, strage di Vergarolla. Un de-

posito di mine situato sulla spiaggiascoppia una domenica, presenti moltibagnanti: si contano oltre 60 morti e al-trettanti feriti. La causa non venne maichiarita, si mormorava di attentato Iugo-slavo volto ad intimidire;

• 10 febbraio ‘47 (data di firma del Trattatodi Pace), uccisione del Generale Inglesede Winton (Comandante del Presidio Al-leato mentre si accingeva ad ispezionareun picchetto) da parte dell’italiana MariaPasquinelli già crocerossina, accesa na-zionalista, certamente squilibrata.

36 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Giorno del Ricordo - 10 febbraio

L e Foibe consistono in abissi o vora-gini rocciose ampiamente sparsisull’Altopiano carsico e nella Regio-

ne Istriana; possono raggiungere i 200 me-tri di profondità, normalmente si perdono intorrenti sotterranei. Nelle Foibe gli abitantidella Regione da sempre disperdevano iresti degli animali o macerie ingombranti.Dai partigiani di Tito esse vennero organi-camente impiegate quali fosse comuni,anche con l’intento di eliminare le provedegli eccidi di massa compiuti.

Allorquando cominciarono a trapelare fattie testimonianze, tra gli italiani di quelle ter-re si innescò terrore ed orrore: era lo scopoaggiuntivo che i Partigiani si prefiggevano. Riportiamo la dichiarazione rilasciata nel1991 da Milovan Gilas, uno dei tre diretticollaboratori di Tito: “Ricordo che io e Kardelj andammo inIstria ad organizzare la Propaganda anti-italiana. Si trattava di dimostrare agli Allea-ti che quelle terre erano Iugoslave e nonitaliane. Certo che non era vero. Ma biso-gnava indurre gli Italiani ad andarsene viacon pressioni di ogni tipo. Cosi fu fatto.”.

La eliminazione nelle Foibe aveva inoltresignificato di “identità negata”; nelle inten-zioni il giustiziato scompariva e di conse-guenza non era possibile onorarne e pian-gerne i resti. Le esecuzioni erano impron-tate a crudeltà, molti precipitavano nell’a-bisso solamente feriti. La uniformità nel perseguire tali modalitàdi esecuzioni riporta certamente a direttivadi un Comando/Organismo centrale unico. Le minuziose ricerche postume, iniziate sindagli anni ‘43-’44, hanno consentito di ac-certare resti umani, risalenti al periodo, inalmeno 135 Foibe o abissi o miniere in di-suso, disseminate in quei territori. L’eliminazione di massa degli Italiani è in-quadrabile nei seguenti periodi: • nel 1943 (soprattutto in Istria dopo l‘8 set-

tembre all’atto del dissolvimento del Re-gio Esercito, sino al successivo ottobre

quando le Truppe tedesche presero ilcontrollo del territorio;

• nell’ottobre 1944 (in Dalmazia, dopo la ri-tirata delle Truppe tedesche dai Balcania seguito dell’avanzata della ArmataRossa da Est;

• a maggio - giugno 1945, in Istria, nel trie-stino, nel Goriziano dopo la fine dellaguerra. In questi mesi si ebbe il maggiornumero di vittime;

• altri episodi, fortunatamente limitati, con-tinuarono per anni quando alla occupa-zione partigiana di quei territori subentròl’Amministrazione Civile Iugoslava.

L’accertamento, anche approssimativo,delle vittime è frutto di decenni di ricercada parte delle Associazioni che tutelanola memoria dei Giuliano/Dalmati.Gli elementi numerici riportati si riferi-scono alle sole vittime delle Foibe o simi-lari, i civili ne costituiscono la parte mag-giore, non vi sono compresi quanti peri-rono in azioni militari o combattimentioccasionali. Dalle Foibe sono state esumate 994 vittimee singolarmente accertate altre 326; ne so-no inoltre presunte (per documentazioniacquisite - testimonianze - cubature di re-sti umani non recuperabili) altre 5.643. Sono in totale circa 6.963 Italiani cosi atro-cemente giustiziati, significativa la per-centuale degli eliminati a guerra finita, neimesi di maggio e giugno 1945: l’83%, paria 5.772 vittime.

Le Foibee l’EsodoNicola SartoGià Delegato Regionale ANMIper la Liguria

SECONDO CONFLITTO MONDIALE

Vittime nelle Foibein Istria e Altopiano Carsico 1 Salme esumate 994 2 Vittime singolarmente accertate 326 3 Vittime presunte documentazioni acquisite, testimonianze, cubatura resti umani non prelevabili 5.643

Totale 6.963

NOTA Del totale di 6.963 vittime, ben 5.762 (pari all’83%) si verificarono dopo il 1° maggio 1945

Frontiere 1940-90

Josiph BrozTito

39Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

nalista (forse anche colpevole) in fugada un regime democratico e popolare,pronto a mettersi in Italia al servizio della“reazione“. In seguito, peraltro con notevole ritardo,quel Partito aggiornò tale inaccettabileposizione.

Conclusione

Maturò nel tempo, tra i Profughi, la consa-pevolezza del proprio sacrificio, con allabase una comune forte identità fusa nel ri-cordo delle terre di origine. Inoltre la fermavolontà di preservare valori e tradizioni,cause prime del loro allontanamento. Il comportamento nella Madre-Patria funel complesso esemplare. Non si crearonosacche di emarginazione, nè fenomeni didelinquenza organizzata accampandol’ovvia scusante dei sacrifici sofferti. Ciò contribuì a favorire un certo oblio, suquanto accaduto, nella mente degli Italia-ni, all’epoca fortemente impegnati dalledifficoltà della vita quotidiana.

Quale conseguenza rimase negli Esulil’impressione, tramandata nei ricordi,che i loro sacrifici sull’ altare della italia-nità non fossero stati recepiti a pieno daiconnazionali. In occasione della “Giornata del Ricordo -10 febbraio 2010”, il Presidente Giorgio Na-politano nel suo intervento di saluto al Qui-rinale ha ribadito questo concetto: “ ...condivido l’esigenza che un capitolocosi doloroso, originale e specifico dellacultura e della storia non solo Italiana, maEuropea, sia non semplicemente ricono-sciuto ma sicuramente acquisito quale pa-trimonio comune delle NUOVE Slovenia eCroazia, che con l’Italia si incontrano ogginell’ Unione Europea...“ . Esuli, Giuliani - Istriani - Fiumani - Dalmati,350 mila o 270 mila che fossero, certamen-te un intero popolo sradicato dalla propriaterra. Recita una poesia: “un giorno, forse, si parlerà di un popolo che,per vivere libero, andò a morire lontano”.

nnn

38 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Gli Inglesi la condanneranno a morte, lapena venne commutata in ergastolo. L’Esodo divenne biblico, dal dicembre 1946sino all’ultimo viaggio della Motonave To-scana il 20 marzo 1947: a bordo dell’Unitàfu trasferita a Venezia anche la salma diNazario Sauro. A metà settembre ‘47 parte il ContingenteAlleato, il 17 settembre un Colonnello del-l’Esercito USA consegna simbolicamentele chiavi della Città ad un Funzionario Iugo-slavo. Pola addio, su 34.000 abitanti 32.000hanno lasciato la Città.

Territori interni dell’Istriae delle Provincedi Trieste e Gorizia

L’italianità era più diluita e certamente si-gnificativa la presenza di croati e sloveni;data la estrazione sociale media, l’amalga-ma tra le nazionalità più facile. L’Articolo 19 del Trattato prevedeva la pos-sibilità, per quanti di lingua italiana, com-presi nelle zone passate alla Iugoslavia, dioptare per la cittadinanza italiane e trasfe-rirsi di conseguenza in Italia. L’oppressione dei Governanti e le miserecondizioni di vita imposte, scavarono unsolco tra Autorità e la maggior parte dellapopolazione più progredita. In Istria e nel Goriziano, nella primavera1948, il numero di opzioni si impennò. Acausa del fenomeno la data limite di pre-

sentazione delle domande fu dilazionatadalle Autorità Italiane sino a marzo 1951:oltre alle città anche le campagne si svuo-tarono di italiani.

Dimensioni dell’ESODO,un commento

Il censimento nazionale del 1939 conclude-va che nelle Province di Pola - Fiume e Za-ra avevano sede stabile circa 241.000 ita-liani, ciò premesso cerchiamo di individua-re un possibile conteggio dei Profughi. Le Associazioni degli Esuli riportano datempo il dato numerico di 350 mila unità; ilMinistero degli Esteri si attesta su una cifrapiù prudente, circa 270 mila Profughi, coe-rente con il censimento richiamato. Dei 270 mila: 143 mila (il 53%) sono ascrivi-bili alle Città e 127 mila (il 47%) ai territoriinterni, comprese le Province di Gorizia eTrieste. In 70 mila emigrarono successiva-mente all’Estero, soprattutto in Australia enel Nord e Sud America. Viene ora spontanea una domanda: si po-teva scongiurare l’Esodo, esisteva altra viapolitica percorribile? Nelle condizioni del 1947 l’Italia non avevapoteri nè influenze di alcun genere suquanti governavano i fatti dell’Europa. Pur-troppo nessuna voce si levò nell’Occidentea difesa dei giusti diritti etnici e nazionali diquelle genti. Certamente i Profughi paga-rono per la difesa del medesimo Occidente

un contributo morale e materiale restato alungo velato e comunque da pochi loro ri-conosciuto. Con accorta lungimiranza, intesa ad evi-tare grosse concentrazione di gente indifficoltà, i Profughi vennero distribuiti intutta Italia. De Gasperi, coadiuvato da un giovane An-dreotti, si impegnò particolarmente crean-do nel 1947 l’Ufficio per le Zone di Confinealle dirette dipendenze della Presidenzadel Consiglio. L’assistenza fu adeguata inrelazione alle possibilità dell’Italia dell’e-poca, ancora segnata dalle devastazionidella guerra. La buona accoglienza venne agevolata dalproverbiale buon cuore nazionale. Purtroppo politica e stampa di un impor-tante Partito della sinistra diffusero, peril Profugo, l’immagine distorta del nazio- Intervento

del Presidente della RepubblicaGiorgio Napolitano

in occasione della celebrazionedel GIORNO DEL RICORDO

Quirinale, 10 febbraio 2007

...Così, si è scritto, in uno sforzo piùdistaccata, che già nello scatenarsidella prima ondata di cieca violenzain quelle terre, neIl’autunno del1943, si intrecciarono “giustiziali-smo sommario e tumultuoso, paros-sismo nazionalista, rivalse sociali eun disegno di sradicamento” dellapresenza italiana da quella che era,e cessò di essere, la Venezia Giulia.Vi fu dunque un moto di odio e di fu-ria sanguinaria, e un disegno annes-sionistico slavo, che prevalse innan-zitutto nel Trattato di Pace del 1947,e che assunse i sinistri contorni diuna “pulizia etnica”.

I numeri dell’ESODO 1 Stima del Ministero degli Esteri 270.000 profughi 2 Profughi delle città comparati al numero di abitanti

3 Percentuale basata sulla stima di 270.000profughi • dalle città 14.000 (53%) • dai territori interni 127.000 (47%)

Città Abitanti ProfughiLussingrande 1.992 1.500Cherso 7.570 6.000Fiume 60.000 54.000Capodistria 15.000 14.000Cittanova 2.515 2.025Rovigno 10.028 8.000Zara 21.000 20.000Lussinpiccolo 6.856 5.850Pola 34.000 32.000

1954 Trieste.Una incredibile folla festanteaccoglie le Unità della M.M.

Giorno del Ricordo - 10 febbraio

piazza centrale e all’isolotto di San Secondo che fu potenziato note-volmente raggiungendo 13 pezzi di artiglieria dai 5 iniziali. Nel frattem-po, gli austriaci furono costretti ad effettuare durissimi lavori per con-sentire alle proprie batterie di riaprire il fuoco contro i difensori, i quali,il 13 giugno, vennero fortemente cannoneggiati.Il 22 giugno Chinca assunse il comando della Compagnia trasporti mi-litari, un incarico molto importante poiché i rifornimenti erano diventativitali ed era molto difficile trovare accessi per portare batterie sulla ter-raferma. Nell’agosto del 1849 fu promosso Tenente di Fregata, ma pro-prio il 24 di quel mese Venezia, stremata dall’assedio austriaco e dal-l’epidemia di colera, capitolò. Una volta riconquistata la città lagunare,l’Austria decise non solo di “devenetizzare” la Marina mutando-ne il nome in “K.u.K. Kriegsmarine”, ma anche di bandire gliufficiali ribelli e confiscare i loro beni.Il trattato di pace col Regno di Sardegna prevedeva unapiccola diaria in favore degli esuli veneti, ma una per-sona orgogliosa come lui non poteva certo restarecon le mani in mano. Rimasto senza redditi, Chincaandò in esilio a Genova dove l’ancor giovane ufficialesi dovette arrangiare con un modesto impiego pres-so l’ufficio del “dazio consumo”. Tornato nella natiaBrescia, nel 1857, fu tra i principali fautori della locale“Società nazionale” e, allo scoppio della SecondaGuerra d’Indipendenza, nel maggio del 1859, preparò,con Zanardelli ed altri amici fidati, per lo stato maggioresardo e per Cavour un memoriale sulle condizioni dellacittà. Destinato al comando del castello insieme ad alcunipatrioti bresciani, la mattina dell’11 maggio issò il tricolore sul-la torre Mirabella. Nei giorni che seguirono divenne Membro della“Giunta provinciale” per provvedere agli straordinari bisogni per l’am-ministrazione, la difesa e la sicurezza pubblica della città insorta e il19 giugno ebbe l’onore di guidare Vittorio Emanuele II e Napoleone IIInella loro storica visita a quella fortezza. A riconoscimento delle saggedisposizioni date per la difesa della città e per le benemerenze acqui-site per la causa italiana, i suoi concittadini gli offrirono l’anno dopouna “spada d’onore”.Il 15 ottobre 1859, Chinca tornò a vestire l’uniforme e venne ammessonella Marina Sarda con il grado di Luogotenente di Vascello di 2^ clas-se. Inoltre, non solo gli fu riconosciuto dal Governo piemontese, nellapersona del Ministro della Marina, conte Camillo Benso di Cavour, laMedaglia d’Oro al Valor Militare concessa quando prestava servizionella Imperiale Marina Austriaca, ma gli fu ripristinato con decreto 27marzo 1860 il godimento dell’assegno già fissato dal Governo austria-co con tutti i benefici da esso derivanti. Prese parte, poi, alle Campa-gne di guerra del 1860 e del 1861 distinguendosi nella presa di Anconae ottenendo la Medaglia d’Argento al Valor Militare per la sua con-dotta durante il blocco e l’assedio di Gaeta; ebbe anche due menzionionorevoli (pari alle attuali Medaglie di Bronzo al Valor Militare) per lapresa di Messina e per le operazioni negli Abruzzi, a Civitella del Tron-to. Rimasto nei ruoli ricoprì quasi ininterrottamente, dal 1861 al 1865,incarichi a bordo di diverse unità della nuova Regia Marina Italiana.Nel giugno del 1866 venne imbarcato, quale Comandante in seconda,

sull’ariete corazzato Affondatore quando già erano iniziati a soffiare iventi di guerra tra l’Austria e l’Italia che, nel frattempo, si era alleatacon la Prussia.Chinca non vedeva l’ora, insieme ai suoi colleghi veneti, di scontrarsia viso aperto contro quella flotta austriaca che gli era stata un tempomatrigna ed ora nemica, anche se quegli ufficiali ammessi nella marinasarda e, poi, in quella italiana dopo la caduta della Repubblica Veneta,consci del loro valore, rimasero sempre molto uniti tra loro e non ven-nero mai a fondersi perfettamente con i colleghi sardi o napoletani.Certamente, non erano felici di farlo agli ordini dell’ammiraglio CarloPellion di Persano, comandante della flotta italiana, il quale sembranon vedesse di buon occhio gli ufficiali provenienti dalla Marina Au-stro-Veneta, anche se venivano considerati i migliori conoscitori delleacque dell’Adriatico; di contro questi lo consideravano (forse anche atorto) un incompetente mestatore politico.Tuttavia, durante la battaglia di Lissa, il Chinca si batté con grande va-lore e per il coraggio dimostrato nel dirigere, sotto il fuoco nemico, lariparazione delle avarie causate alla sua nave dalle bordate del Kaiser,specie alle rizze delle ancore, fu insignito della Croce di Cavalieredell’Ordine Militare di Savoia. Centrato da 22 proiettili austriaci, l’Affon-datore risultò la nave italiana più danneggiata durante la battaglia diLissa. Si narra che durante lo scontro navale Chinca, vista l’indecisa

condotta dell’ammiraglio Persano avesse manifestato l’idea di“toglierlo di mezzo” chiudendolo in un camerino. Era uomo

capace di farlo, ma a nulla sarebbe servito l’atto di ribellio-ne, dato che l’esito della battaglia era già compromessoda quando il Persano aveva lasciato il Re d’Italiaper tra-sbordare proprio sull’Affondatore. Tuttavia, il coman-dante in capo della flotta italiana nella relazione cheinviò al Ministro della marina, Agostino Depretis, al-l’indomani della battaglia di Lissa, ebbe parole di elo-gio nei confronti di Chinca: <<Il primo tenente del-l’Affondatore, sig. Chinca, è meritevole della promo-zione a capitano di fregata di 1^ classe, con la meda-glia d’oro al valor militare. Il suo coraggio, la sua intel-ligenza ed abilità nel bollore della mischia mi hanno me-

ravigliato>>.Dopo la guerra Chinca venne promosso Capitano di Fregata

di 2^ classe e nel 1867, al comando della nave oneraria Europa,ricevette l’emozionante incarico di trasportare da Paola a Venezia

le ossa dei suoi vecchi compagni d’arme - i fratelli Bandiera e Dome-nico Moro - esumate dal cimitero di Cosenza. Affrontò, poi, un decen-nio che lo vide alternare comandi a bordo di diverse unità della flottae incarichi a terra. Nel 1877, a sua domanda fu collocato a riposo il 1°giugno di quell’anno e tornò a Venezia, dove morì nel 1884.Diversi anni dopo la sua morte, a metà degli anni ’20, la figlia di Do-menico Chinca, Vittoria, avanzò una richiesta al Parlamento italiano,tramite il “Gruppo Medaglie d’oro”, per avere un documento di con-ferma della Medaglia d’Oro al Valor Militare con cui era stato deco-rato suo padre. È molto interessante lo scambio di lettere, conservatenell’Ufficio Storico della Marina Militare, tra l’allora Presidente del-l’Associazione “Medaglie d’Oro” e l’on. Raffaele Paolucci a riguardo.Nella sua natia Brescia, ancora oggi, è ricordato da una strada cheporta il suo nome.Anche se questo è un sommario riepilogo della sua avventurosa car-riera militare, è d’obbligo ricordare questo valoroso ufficiale italianoche al mare ha dedicato l’intera vita. Non ebbe aspirazioni politiche,come altri suoi colleghi, ma fu semplicemente un fedele e coraggio-so ufficiale che dimostrò obbedienza e si distinse in ognuna delleMarine militari in cui prestò servizio: l’I.R. Marina Austriaca, la Ma-rina Repubblicana di Venezia, la Regia Marina Sarda e la Regia Ma-rina Italiana.

nnn

41Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 201840 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Storie di uomini di mare

Una vita sul mareal serviziodi quattro bandiereAngelo Savoretti - Storico, Saggista

T ra gli aspetti navali che hanno caratterizzato il Risorgimento ita-liano, generalmente viene riservato un ruolo di secondo pianoalle vicende degli ufficiali della Marina Austro-Veneta i quali do-

po la fallita rivoluzione veneziana del 1848-49 passarono nei ruoli dellaMarina Sarda e infine di quella unitaria. In questo contesto è, quindi,doveroso rendere omaggio alla figura di Domenico Chinca, dato chequest’anno ricorre il bicentenario della sua nascita, figlio di quella ge-nerazione di giovani ufficiali che pur servendo per ragioni di apparte-nenza territoriale nella Marina austriaca - come Attilio ed Emilio Ban-diera, Francesco Baldisserotto ed altri -, combatterono per la libertàitaliana durante il Risorgimento.Nacque a Brescia il 16 aprile 1818 da Luigi Chinca e Vittoria Cogrossi,ma più che alle valli e alle montagne che lo circondavano, il giovaneDomenico si trovò attratto dal mare e, in particolare, da Venezia, cometutti gli abitanti di quelle città che un tempo avevano fatto parte dei do-mini di terraferma della Repubblica Serenissima. Tuttavia, queste duecittà facevano già parte del Regno Lombardo-Veneto, uno Stato dipen-dente dall’Impero Austriaco, creato qualche anno prima dal Congres-so di Vienna sulle ceneri del vecchio Regno d’Italia napoleonico.Entrò nella Marina austriaca nel 1834, compiendo gli studi presso il Col-legio Navale Sant’Anna di Venezia, dove la maggior parte dei cadettie degli ufficiali della giovane Marina asburgica era in realtà di etniaitaliana, provenendo dall’area veneta e istriano-dalmata; ragion per cuiera chiamata “Austro-Veneta”. Tra i pochi cadetti austriaci vi furono:lo sfortunato arciduca Francesco Ferdinando e lo stiriano Wilhelm vonTegethoff, che Chinca ritroverà come avversario anni dopo.Ebbe comecompagni di corso alcuni dei più fulgidi esempi di patrioti i quali, di lì apoco, sarebbero stati i protagonisti del Risorgimento italiano propriocontro l’Impero austriaco: Emilio Bandiera, Domenico Moro, Carlo Re-daelli e Luigi Fincati. Effettivamente gli ufficiali e i cadetti italiani dellaMarina Austro-Veneta, più che sudditi austriaci, si sentivano ancoragli eredi della gloriosa tradizione veneziana.Fu proprio nel Marinekollegiumche Chinca aderirà alla società segre-ta “Esperia”, animata dai fratelli Emilio e Attilio Bandiera i quali diser-tarono, insieme a Domenico Moro, per intraprendere la sfortunata

spedizione calabrese del 1844 nel corso della quale furono catturati efucilati dai Borbonici nel vallone di Rovito. Il 21 agosto 1838 venne promosso cadetto di Marina provvisorio perpoi essere nominato, un mese dopo, cadetto effettivo. Pur avendoaderito all’Esperia, continuò a prestare servizio a bordo di diverseunità, golette e brigantini, contrassegnate dal suffisso “Imperial”,prendendo parte alle operazioni contro il Montenegro e l’Albania trail 1838 e il 1840.Alla fine di quell’anno partecipò alla spedizione navale in Siria per do-mare la rivolta del Viceré d’Egitto contro la Sublime Porta, compostada una squadra navale inglese, una turca ed una austriaca comanda-ta dal contrammiraglio Francesco Bandiera, il padre dei valorosi fra-telli, della quale faceva parte anche la fregata Guerriera su cui era im-barcato Chinca. Dopo esser sbarcato per primo sulla spiaggia da unalancia composta da una trentina di uomini, appartenenti alla I sezionedi abbordaggio del Guerriera, l’alfiere Domenico Chinca prese la ban-diera e si diresse coraggiosamente contro il nemico al grido di «Guer-riera, Guerriera!», tra il fischiare delle pallottole nemiche, inerpican-dosi verso l’altura dove erano appostati i nemici. Il suo distaccamento,infervorato da tale ardore, lo seguì conquistando, con un assalto allabaionetta, la roccaforte nemica dove Chinca piantò la bandiera, foratada sei colpi di fucile, e favorì la conquista della città di Sidone. Per l’e-roica condotta dimostrata in combattimento, con dispaccio aulico n°3372 venne decorato della prestigiosa “Tapferkeitsmedaille” (“GranMedaglia d’Oro al valore”) assieme ad un vitalizio di 18 fiorini mensilida parte del Governo austriaco, con la seguente motivazione «Peravere mostrato spontaneità ed intrepidezza nell’assalto a prua del for-te di San Giovanni d’Acri, superando con un pugno di trenta bravi, peril primo, le posizioni nemiche, portandovi la I.R. bandiera, che rimasetraforata da varie palle. San Giovanni d’Acri (Siria) 4 novembre 1840».Per quello stesso fatto d’arme gli venne conferita anche la “Medagliad’Oro ottomana al Merito”.Negli anni seguenti continuò a prestare servizio a bordo di diverseunità, conseguendo la promozione ad Alfiere di Fregata nel 1844 e diAlfiere di Vascello nel 1846. Dopo lo scoppio della ribellione di Venezia,Domenico Chinca si congedò dall’Imperiale Marina Austriaca e, nel-l’aprile del 1848, passò nella Marina Repubblicana Veneta con la qua-le partecipò alle dure giornate della sollevazione contro gli austriaci.Prese parte attiva alla difesa della città lagunare ricoprendo diversiincarichi sia in mare che a terra. Nella primavera di quell’anno la Re-pubblica perse la propria flotta, per una serie di tradimenti, e la pos-sibilità di esercitare il potere marittimo in Adriatico. Quindi, ricoprì unaserie di incarichi a terra e il 21 marzo divenne membro della Commis-sione per l’armamento straordinario della Marina. Alla fine di maggio,si intensificò l’attacco austriaco sulla laguna e, una volta cadute Mar-ghera e la testa del ponte di San Giuliano, la difesa si appoggiò alla

Angelo SavorettiNato a Roma il 30/9/1970, ha assolto gli obblighi di leva nell’Esercito e nel1998 ha vinto il Concorso Allievi Marescialli della Marina Militare. Si è lau-reato nel 2007 in lettere moderne a indirizzo storico contemporaneo pressol’Università di “Tor Vergata” di Roma. Nel 2008 ha vinto una borsa di studiobandita dallo Stato Maggiore della Marina Militare; nel 2018 ha vinto il pre-mio letterario Marincovich. È autore di numerosi articoli e due volumi a ca-rattere storico. Collabora con il dott. Giorgio Giorgerini, uno dei massimiesperti di storia e strategia navale.

DomenicoChinca

Fra i vari incarichi è stato sottocapo di Sta-to Maggiore dell’ammiraglio Bettolo e poi,da capitano di corvetta, direttore della “Ri-vista Marittima”. Dopo il comando della Regina Elena saràcollocato nella riserva nel novembre del1909 con il grado di contrammiraglio.

nnn

43Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Q uando, alla fine dell’ottocento edall’inizio del novecento, iniziano adiffondersi le cartoline illustrate, il

varo di una nave, ed in particolare di unanave da guerra, era un evento che riempi-va le prime pagine dei quotidiani e dei gior-nali illustrati. Nessuna meraviglia quindi seiniziano subito a diffondersi anche le car-toline ricordo del varo, che vengono gelo-samente conservate e collezionate. Ce lo fa capire ad esempio la prima car-tolina, che l’allora tenente di vascello Al-berto Del Buono scrive alla principessaElisabetta Corsini. Il 19 giugno 1904 erastata varata alla Spezia la nave da batta-glia Regina Elena ed il 30 luglio (ben undicigiorni dopo!) l’ufficiale si scusa con laprincipessa: “Oggi finalmente posso in-viarle il lapis ricordo che la mia disavve-dutezza mi fece mancare di consegnarlenel giorno del varo. Le rinnovo le scuse”.(È l’unica volta che ho visto usare il termi-ne “lapis ricordo” per indicare la cartoli-na, forse per via che queste venivanospesso scritte con il lapis... ). Alberto Del Buono, fiorentino, era entratoin Accademia a Livorno nel 1889, a sedici

anni, ed aveva preso parte, sulla R. NaveVesuvio, alla campagna in Cina per la rivol-ta dei boxer (1900-1902). Promosso nel1913 capitano di corvetta, andrà in conge-do nel gennaio del 1918. Ma in realtà un altro fiorentino (del Mugel-lo per la precisione), il conte Galeazzo Pe-cori Giraldi, anch’egli tenente di vascelloall’epoca del varo della Regina Margheri-ta, aveva già provveduto a soddisfare i de-sideri della giovane principessa una setti-mana prima, ringraziandola della visita abordo (egli era imbarcato sulla nave dabattaglia Regina Margherita, e darà le di-missioni dalla Regia Marina nel marzodell’anno successivo).

Erano davvero bravi i fotografi e gli editoridi cartoline. Pensate che molte di queste(come la terza del varo della Regina Elena)sono fotografate, stampate, vendute escritte il giorno stesso del varo (vedi tim-bro postale). La corazzata Regina Elena era stata co-struita su progetto elaborato dal colonnel-lo del genio navale Vittorio Cuniberti (vedifoto), uno dei più importanti ingegneri na-vali del suo tempo. Sua era l’idea della co-razzata monocalibro, ripresa subito dagliinglesi che la misero in pratica realizzandol’HMS Dreadnought, unità rimasta famosanella storia dell’evoluzione navale. Le unità della classe Regina Elena aveva-no caratteristiche ben equilibrate fra pe-so, protezione e potenza di armamento;da queste deriveranno le corazzate mo-nocalibro, poi adottate da tutte le princi-pali marine. La Regina Elena parteciperà alla guerraitalo-turca ed alla prima guerra mondiale,anche se in ruoli non di rilievo. Nel dopo-guerra sarà impiegata essenzialmentecome nave ammiraglia dipartimentale enave scuola, fino alla radiazione nell’otto-bre del 1927. Questa cartolina ritrae la nave alla fondanel golfo della Spezia nel 1907 e porta la fir-ma del comandante, il capitano di vascelloDavid Gerra. Nato nel 1857, era stato pro-mosso guardiamarina nel 1876 ed avevapartecipato al secondo viaggio di circum-navigazione della corvetta Garibaldi, co-mandata da quell‘Enrico Costantino Morinche diventerà poi Ministro della Marina trail 1893 ed il 1903.

42 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Le cartolineraccontano...Roberto Liberi A.I.C. (r) e Socio del Gruppo di Livorno

Testimonianze

Il contrammiraglioEnrico Costantino Morin

Il colonnello GN Vittorio Cuniberti

La più diffusa rivista italianaper gli studiosi e per i veri appassionatidi storia militareFondata da Erminio BagnascoDiretta da Maurizio Brescia

TUTTI I MESIIN EDICOLA DAL 199368 pagine - € 7,00www.edizionistoriamilitare.it

In ogni numero, rigorosi articolidedicati agli avvenimenti, agli uominie ai mezzi (terrestri, navali e aerei)che hanno fatto la storia, accompagnatida un imponente apparato illustrativo.L’immagine d’epoca, sempre puntualee di elevato livello tecnico,è infatti una delle caratteristiche salientidi questo mensile che si avvaledella collaborazione dei più affermatispecialisti nei vari settori storico-militariEdizioni Storia Militare srl

DOSSIER

Bimestrale in edicoladal 1° marzo del 2012Pubblicazione dedicataa specifici argomentistorico-militari

il fondo, come per dimostrare che la iella vuole la sua parte, la tor-cia finisce sul fondo fangoso con la parabola che è la parte più pe-sante rivolta verso il fondo ed è il buio totale.La cernia col suo dibattersi ha staccato tonnellate di fango e dialtri corpuscoli dalle pareti e non vedo assolutamente nulla.Anche l’aria inizia a mancare, con grande fatica riesco a tirare lalevetta della riserva con la mano sinistra e per un po’ ho sollievo.Sono in difficoltà, cerco l’uscita e mi porto verso il fondo, lascian-domi cadere sperando di vedere il barlume di luce che me la indi-casse.Nulla di questo, anzi peggio, perché la cernia disperata, anche piùdi me, si dibatte e alcune delle sue spine dorsali mi trafiggono do-lorosamente. Cerco invano di districarmi girando all’inverso dellespire del cordino ma quell’indemoniata, con ragione, fa esatta-mente il contrario, stringendo sempre più.Inizio ad essere in angoscia perché la riserva ha circa 15 minuti diautonomia, ma la sua durata dipende molto dalla profondità rag-giunta, quindi mi riporto sul fondo per cercare la lampada, la cerniaè più tranquilla ma appena la tocco per cercare di liberarmi il brac-cio destro, ricomincia a dibattersi.Oramai è tutto fango in sospensione e non vedo nemmeno la miamano, quando la respirazione diventa difficoltosa. Le bombole so-no vuote, penso che sia giunta la mia ora.Mi viene in mente la mia famigliola e pensando a quello che sa-rebbe accaduto loro senza di me mi si stringe il cuore in una morsadolorosa.Conscio di essere alla fine, rassegnato, lascio la presa del fucileche però rimane appeso al mio polso avvolto dal cordino che micollega alla cernia, succhio rumorosamente l’ultima bolla d’aria emi lascio andare.La cernia fa un movimento verso l’alto e mi trascina per qualchemetro, sono quasi incosciente, aspiro ma non c’è aria e pare chele bombole esaurite vogliono succhiare la poca aria che ho neipolmoni anche se già priva dell’ossigeno, sto per perdere cono-scenza ma sono ancora abbastanza lucido da accorgermene.All’improvviso il pesce ha un guizzo verso l’alto ed un barlume dichiarore sulla destra mi dà una scossa, la cernia tira verso quellache pare sia l’uscita trascinandomi lentamente, muovo le pinne emi trovo all’aperto quasi vicino alla superficie.È come una boccata d’ossigeno, lascio il boccaglio dell’erogato-re e pinneggiando forsennatamente mi ritrovo a galla, il respiroè quasi un urlo. Il pesce si dibatte adagio accanto a me, semprelegato.Nell’ultimo tentativo di liberarsi mi ha salvato trascinandomi fuoridall’inferno.Non dall’apertura da cui sono entrato ma da quella altra che nonconoscevo affatto. Luigi preoccupatissimo accorre, mi aiuta a li-berarmi delle bombole.Rimango qualche minuto con ancora la cernia attaccata al brac-cio, per riempire d’aria fresca i polmoni sofferenti. Poi risalgo inbarca dopo avere sganciato la cernia e l’autorespiratore.Lacrime di coccodrillo direte, ma se avessi potuto ridarle la vita loavrei fatto con tutto il cuore.La carico in barca tra le acclamazioni di Luigi che non ne ha maivista una così.Pesa 14 chili, ho rimorso a venderla ma non l’avrei mangiata innessun caso. Poi racconto tutto a Luigi pregandolo di non dire nul-la a casa.

nnn

Una ghiacciaia sul mareMario Veronesi - Socio del Gruppo di Pavia

Il Regio trasporto Europa apparteneva alla società di naviga-zione Rubattino, noleggiato a Genova nel 1866 per servizi

della Regia Marina. Nell’agosto dello stesso anno venne ac-quistato ed iscritto nel quadro del regio naviglio come naveoneraria. Iniziò nel 1867 le sue attività al servizio della RegiaMarina con due importanti missioni: il trasporto degli oggettidestinati all’esposizione di Parigi e il trasporto da Paola a Ve-nezia delle ceneri dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, e di Do-menico Moro, fucilati a Cosenza il 25 luglio 1844.Nel 1880 trasportò in Australia l’oggestistica che gli espositoriitaliani inviarono a Melbourne in occasione della mostra inter-nazionale che si svolse in quella città. Nel 1887 fu destinata a Massaua per disimpegnarvi il serviziodi nave distillatrice e ghiacciaia, in sostituzione di nave Eridanorichiamato in Italia. L’Europa venne dotato dei macchinari oc-correnti per la produzione di ghiaccio. Il 9 maggio ultimati i la-vori di all'estimento la nave partì da Brindisi, raggiungendo PortSaid il 18 maggio dove si provvise di carbone, di acqua e di seifuochisti arabi per il servizio di bordo. Raggiungendo Massauail 28 maggio. Il primo giugno l’Europa assunse la posizione diarmamento ridotto, con soli tre ufficiali e l’equipaggio limitatoa quello strettamente necessario per lo speciale servizio di na-ve distillatrice locale. Rimase 30 mesi in quelle acque, riuscì uti-lissima alla piazza in momenti di grave mancanza d’acqua po-tabile, svolgendo un regolare e costante servizio nella produ-zione di acqua e come deposito di ghiaccio.Il 30 ottobre del 1888, ricevette dettagliate istruzioni per il suoimmediato rientro: “viste le non buone condizioni e la vetusitàdelle caldaie, che consigliarono di affaticare il meno possibilela nave in caso di mare grosso e di utilizzare largamente l'im-piego delle vele”. Raggiungendo Venezia il 2 dicembre. L’Euro-pacontinuò il suo lavoro di nave trasporto materiali per altri an-ni sino al 1901 anno in cui fu posto in disarmo.Radiato dal quadro del regio naviglio con decreto reale del 26agosto dello stesso anno.

Regio trasporto Europa• Costruito in Inghilterra, varato nel 1865• Dislocamento 1100 ton., Lungh. m. 77,63, largh. m. 9,96• Apparato motore dalla forza di 410 cavalli• Scafo in ferro, un’elica, carico normale di carbone 128 ton.• Equipaggio 10 ufficiali, 87 marinai

45Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

L a pesca subacquea mi appassiona sempre più e visto cheriesco molto bene le catture di pesce pregiato aumentano.Inizio a concretizzare monetariamente. Vendo il pesce con

discrezione ad una trattoria di Le Grazie e dopo aver diviso il rica-vato con Luigi, che mi accompagna con la barca per l’assistenzain superficie, mi resta abbastanza per coprire le spese e rispar-miare qualche cosina.Durante tale attività, svolta sempre di notte, mi sono capitate di-verse avventure pericolose che avrebbero anche potuto avereesito nefasto.Accade anche alla Palmaria una bellissima notte in cui c’era lunapiena ed il mare calmo. Ho iniziato con l’immergermi proprio nelcanale che separa la Palmaria dall’isola del Tino, dove una voltac’era la cava di marmo pregiato.La parete in quel punto è verticale fino ad una profondità di 25 me-tri, ricca di anfratti e di piccole grotte, alcune volte ho sorpresogruppi di bellissimi branzini quasi in superficie ed ho avvistato einseguito una bella cernia che vedevo sparire verso il fondo senzariuscire a trovare la sua “ dimora”, per quanto cercassi nelle tanee sotto i massi del fondale.Mi dirigo verso la parte profonda, fronte al mare aperto, quandoun’ombra veloce passa pochi metri sotto di me. La vedo in contro-luce, al chiarore della luna, grossa sagoma nera irta di aculei, lapinna dorsale eretta in segno di allarme.Mi tuffo pinneggiando verso il fondo ma la perdo di vista. Incavolato,dopo l’ennesimo smacco, comincio ad esplorare la parete quasicentimetro per centimetro. Infine scopro dietro un masso, una stret-ta e alta apertura nella roccia. Non l’avevo mai vista prima.Mi affaccio e con sorpresa vedo che la caverna si allarga dopoqualche metro e sale molto verso l’alto. Ho una grossa torcia che

lascia intravedere il chiarore anche in superficie quando sono al-l’esterno ma non porto la sagola con il palloncino, di solito m’in-tralcia negli spostamenti tra le rocce e, del resto, Luigi è diventatobravo a seguire il chiarore della torcia e le bolle dell’autorespira-tore ad aria.Non risalgo per dire a Luigi della grotta commettendo un errore;l’altro errore lo faccio entrando nell’antro senza considerare chestavo per tirare la riserva d’aria, in quanto ne avevo già consumatoparecchia nella ricerca.Esploro la grotta partendo dal fondo cercando di non sollevarefango con le pinne per non nascondere il lieve chiarore che indical’uscita dalla caverna. Lentamente esploro anche verso l’alto equella grotta appare sempre più larga ed alta di quanto potessi im-maginare, pare quasi la volta d’una cattedrale, infine dirigo la luceverso il “soffitto” e quasi al centro vedo le macchie gialle del ven-tre della cernia.Con un sobbalzo rallento per osservare bene la sua posizione, èproprio attaccata con la schiena alla volta, sicura del suo mimeti-smo tanto da rimanere immobile. Allungo il fucile e sparo mentresi lancia in avanti, questo fa si che manchi la testa dietro le bran-chie, colpo che sarebbe stato mortale, la freccia colpisce venticentimetri oltre e passa da parte a parte il bestione che cerca difuggire trattenuto dalla sagola che unisce la freccia al fucile.Come se avessi colpito un treno, comincia a roteare su se stessae intorno alla grotta, velocemente tanto, che in pochi secondi lasagola mi lega il braccio intorno al torace, sono a contatto con lacernia ma non posso fermarla. Nella mano sinistra stringo la lam-pada e la destra è legata a quel treno impazzito.Cerco di mollare la lampada, convinto di avere il cinturino dellastessa attorno al polso, invece la torcia cade velocemente verso

44 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

La cerniaAntonio Della BrunaSocio del Gruppo di Pinerolo

Testimonianze

47Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

signore, che poi si trasformò in “adattato-re”, sempre in pelle, per il sesso maschile.Tra il 1899 e il 1920, periodo bellico che in-teressò il Sud Africa, diverse illustrazionidel tempo riportano soldati che indossanoorologi in adattatori in pelle. In un primomomento questi adattatori vennero rite-nuti dei contenitori di bussole, ma verifi-che successive portarono alla scopertache contenevano orologi.L’indubbia comodità e praticità di indossa-re al polso l’orologio sviluppò una commer-cializzazione di una evidente portata, a cuisi aggiunse la richiesta da parte di alcunieserciti belligeranti di poter dotare i propriuomini di uno strumento segna tempo conspecifici requisiti tecnici. Nasce così l’oro-logio “militare”, strumento a cui si chiede-vano delle caratteristiche peculiari, qualila precisione e l’affidabilità. Di modo che lecase costruttrici dovettero affrontare di-verse problematiche.Nel mondo dell’orologeria la precisione èstata sempre argomento di studio e di pro-gresso. Nel secolo XVI, sebbene già esi-stevano orologi a molla, a bordo delle navisi navigava ancora con la clessidra. Larealizzazione di un orologio di precisione,quale il cronometro marino, risale alla se-conda metà del secolo XVIII. Ciò permisedi risolvere l’annoso problema del calcolodella longitudine nella determinazione delpunto nave. La precisione del cronometrodoveva essere nell’ordine di grandezzadei secondi di tempo, poiché un minutoproduceva un errore di quindici primi digrado sulla longitudine, determinando unanavigazione imprecisa e decisamente in-sicura. Agli inizi del Novecento l’osserva-torio astronomico londinese di Kew, l’isti-tuto inglese responsabile della certifica-zione dei cronometri marini, sottoponevadetti orologi a test di durata di quaranta-cinque giorni e la tolleranza di precisione

doveva essere dell’ordine di pochi secon-di al giorno per l’ottenimento da parte del-la casa costruttrice della ambita certifica-zione di classe “A”. Durante la GrandeGuerra anche gli orologi da battaglia furo-no sottoposti a perfezionamenti tecniciper migliorare la precisone, ma molto dipiù si fece nel settore dell’affidabilità. Al fi-ne di soddisfare le specifiche tecniche, lecase costruttrici di orologeria si impegna-rono soprattutto a migliorare la robustezzadi tutte le componenti dell’orologio, dallacassa al bilanciere. D’altronde con l’intro-duzione del cinturino si presentò la que-stione della polvere e dell’acqua, deleteriper qualsiasi meccanismo. Si avviò la co-struzione di esemplari con casse partico-lari, dal fondello a scatto a quello a vite. Simisero in campo i materiali e le tecnologiepiù disparate per poter migliorare la tenu-ta stagna della cassa. L’americano Depol-lier nel 1916 fu tra i primi a realizzare unacassa a due valve, in cui sistemò un movi-mento Waltham, al fine di avere una buonatenuta all’acqua. Poi vennero realizzatiquadranti netti e ben leggibili, con numeriluminescenti per una idonea visione not-turna. Un altro inconveniente da risolvereera la vulnerabilità del vetro minerale, fa-cilmente scheggiabile, anche se si pote-vano applicare delle griglie di metallo (me-sch guard in francese) a protezione delvetro e del quadrante. Insomma una gri-glia metallica che però determinava unanon facile lettura dell’ora mostrata. Al po-sto del vetro minerale si fece ricorso al ve-tro di “celluloide” che a detta delle casecostruttrici offriva una protezione “quasiinfrangibile”.Per capire meglio le problematiche deltempo sull’orologio da polso ed il suo impie-go in tempo di guerra, si riporta ciò che unautore scrisse nell’Horological Journal delDicembre 1917 (da Antica Orologeria Zam-

berlan, www.orologeria.com): “Con l’av-vento della guerra, sorse una forte doman-da per un orologio che sopportasse il duroimpiego derivante dall’uso di servizio e, pa-re, la domanda è stata adeguatamentesoddisfatta. Due comandanti di sottomari-no contattarono una ditta e chiesero diprendere in considerazione la costruzionedi un orologio speciale per il loro lavoro.Venne spiegato come dovesse soddisfarecerti requisiti:1 doveva essere a tenuta stagna: anchequando un sottomarino è in superficieinfatti la plancia è più o meno bagnatadalle onde;

2 doveva essere non magnetico: in immer-sione il sottomarino è alimentato daenergia elettrica e in uno spazio così li-mitato gli orologi costruiti con materialimagnetici vengono necessariamente in-fluenzati;

3 per la stessa ragione un bilanciere dicompensazione classico (in ottone e ac-ciaio) sarebbe stato improponibile. Il bi-lanciere doveva essere di un materialeche mostrasse il minimo di espansione econtrazione al variare della temperatu-ra. Questa condizione è soddisfatta conl’impiego di una lega di ferro e nickel chesi espande e contrae talmente poco chequesto fattore può essere trascurato;

4 il quadrante doveva essere sempre benleggibile. Dato che i classici indici lumi-nosi gialli quando posti su un quadrantebianco non erano ben distinguibili allaluce della luna, del tramonto o alla luceartificiale smorzata, si usò un quadrantenero, rendendo facile leggere l’ora esat-ta in qualsiasi condizione di luce. Un oro-logio rispondente a tutti questi requisiti edotato di una piccola lancetta dei secon-di luminosa è sul mercato da alcuni mesie sembra avere una particolare utilità.”

Le forniture militari si moltiplicarono e lecase orologiaie dovettero affrontare un al-tro, non meno importante, requisito, quellodell’economicità del prodotto, come puntorichiesto dagli eserciti.L’introduzione di un marchio, il “Broad Ar-row”, nel quadrante o nel fondello degliorologi di proprietà del Regno Unito, fu l’e-sempio manifesto di come l’orologio entròa far parte dell’equipaggiamento militare.Nella Grande Guerra l’orologio non solo fusotto osservazione, ma ebbe quello svilup-po tecnologico che ancor oggi permanenella produzione orologiaia mondiale.

nnn

46 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Cultura marinara

O gni conflitto è stato accompagna-to dalla ricerca e dalla innovazio-ne. Durante la Grande Guerra le

nazioni belligeranti si fronteggiarono acolpi di nuove invenzioni tecnologiche. Sisvilupparono nuove armi, dalla mitraglia-trice al carro armato; nuove costruzioninavali, dal sommergibile alle motosiluran-ti. La Grande Guerra, definita anche la pri-ma guerra industriale moderna, ebbe unruolo trainante poi nell’evoluzione dell’a-viazione. Seppur gli Stati Maggiori, all’ini-zio del conflitto, non erano sicuri dell’effi-cacia del mezzo aereo come sistema dicombattimento, il suo utilizzo andò manmano accrescendosi, in particolar modo

nelle missioni di bombardamento e inquelle di ricognizione. In effetti durante ilconflitto l’esplorazione dall’alto del cam-po di battaglia è stato appannaggio delpallone aerostatico d’osservazione. Seb-bene il drachen, o pallone-drago (di origi-ne tedesca) rappresentò un emblema del-la Grande Guerra per la sua caratteristicafattura, l’evoluzione tecnologica dell’ae-reo con l’applicazione della fotografia ae-rea non lasciò alcuna possibilità di pro-gresso ad un sistema statico e facilmentevulnerabile.Altri settori ebbero, per forza maggiore, unnotevole progresso, basti pensare alla sa-nità e alla logistica. Ma anche negli stru-menti di alta precisione trovarono spazio laricerca e lo sviluppo. Tra questi possiamoannoverare l’orologio, che ebbe una parti-colare espansione sia dal punto di vistatecnico che di produzione. In sostanza siebbe l’affermazione dell’orologio “da pol-so” e di quello “militare”.Agli inizi del Novecento risultava innegabi-le la popolarità dell’orologio da tasca, so-prattutto nella sfera maschile, mentre alfemminile, in ambienti alquanto esclusivi,venivano già indossati al polso dei piccolie preziosi orologi. Una prima esclusiva

realizzazione di un orologio maschile dapolso fu ad opera dell’orologiaio Louis Car-tier dietro esplicita richiesta da parte delbrasiliano Alberto Santos-Dumont, pionie-re del volo, nonché progettista di dirigibilie di aeroplani. La richiesta era sostenutadalla difficoltà a leggere l’orologio da tascamentre pilotava. Louis Cartier impiegò treanni e nel 1904 presentò il modello da polso“Santos de Cartier”, modello tuttora in pro-duzione, meccanicamente più evoluto, madal disegno identico all’originale. Il 12 no-vembre del 1906 Santos-Dumont entrò nel-

la storia come il primo pilota a volare su unapparecchio, il “14 bis”, in grado di decol-lare autonomamente, a differenza dei fra-telli Wright che sì volarono, ma con decolloassistito da una catapulta. È ragionevolepensare che in quello storico volo indos-sasse il “cartier”.Ma non fu solo Santos-Dumont a lamentar-si dell’orologio da tasca, vincolato ad unacatenella per l’estrazione da dove riposto.Sin dall’inizio del primo conflitto mondiale,molti ufficiali capirono l’estrema praticitàdi avere un orologio con delle asole e il po-terlo legare al polso con un nastro.Cosicché l’orologio da polso si diffuse consuccesso tra i militari, che lo denominaro-no “orologio da battaglia”.In effetti già delle ditte inglesi di orologiavevano tentato di commercializzaremodelli con “braccialetto in pelle” per le

Lo sviluppo dell’orologio nella Grande GuerraCapitano di Vascello (r) Lelio del ReConsigliere Nazionale ANMI per le Regioni Abruzzo e Molise

Cartolina ricordo del volo del 14 bis(Archivio L. del Re)

Il marchio “Broad Narrow” sul fondellodi un orologio militare da tasca inglese(Archivio L. del Re)

Dal film “Orizzonti di gloria”, l’attore Kirk Douglascon indosso un orologio da polso(da www.sanvitalegioielli.it)

A sinistra, Regia Nave Liguria con drachen,in una foto cartolina dell’epoca(Archivio L. del Re)

Foto di un copri cassa di metallo applicatoad un orologio da polso(da wristwatchredux.net)

48 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2018

Giorgio Giorgerini

CONVERSANDODI STRATEGIA NAVALEE DI POTERE MARITTIMOAracne editrice

Q uesto volume contiene, anzi è,una raccolta selezionata dei

tanti contributi scritti ed orali (con-ferenze, convegni, lezioni) dell’au-tore sulla materia navale, che spa-ziano dal lontano 1953 al 2015. Nonsembri arco di tempo eccessivoperché quanto detto sia da consi-derarsi poco attuale o superato,perché le valutazioni e le conside-razioni qui riassunte sviluppano unpensiero validissimo ed in tanti casipremonitore. Qui emergono con lu-cida chiarezza dottrine, interpreta-zioni, analisi e sintesi che hannofatto e tuttora fanno quello che l’au-tore stesso, con precisa definizio-ne, chiama “l’animus politico e mi-litare” che consentirebbe, qualoraben inquadrato e sviluppato, di ac-quisire quella indispensabile capa-cità di prevedere e decidere perl’interesse nazionale sul mare. Lecitazioni e le riflessioni storiche,sempre appropriate e puntuali, ma-gistralmente inserite nel contestonarrativo, sono propedeutici, indi-spensabili punti di riferimento chesoccorrono a sostegno delle tesi edell’inquadramento dei contesti neiquali si snodano le “tesi” su cui èarticolato il volume, molto più effi-caci dei tradizionali capitoli. Si spa-zia dalla problematica ed economiadi un programma navale alle lezionida trarre dalle sconfitte, dallo“show the flag” alla strategia marit-tima verso il futuro, fino alla politicae dottrina marittima nel mondo glo-bale 2020-2040. E’ dunque questanuova opera del prestigioso esper-to navale, titolo che dobbiamo cer-tamente riconoscere ed attribuireall’autore, la decisiva spinta ad unaseria, approfondita riflessione sulpotere marittimo partendo da comeè andato progressivamente evol-vendo fino ai nostri giorni, caratte-

rizzati da fenomeni globalizzantiche hanno modificato le relazionisocio-politico-economiche, spin-gendola fino al prevedibile futuro.Nessuno può infatti negare che lacomplessità delle problematicheafferenti la sicurezza richieda unosforzo collettivo, in ambito multina-zionale, nel quale apportare il con-tributo nazionale ragionato e defini-to nei termini della più appropriataeconomia ed esigenza operativa.Dice saggiamente e opportuna-mente l’Ammiraglio Guido Venturo-ni nella sua prefazione al volume:”In questo quadro, la nozione di do-minio del mare sin qui esercitatadall’Occidente sulla superficie, so-pra e sotto di essa, essendo la con-seguenza di un Potere Marittimo si-nora indiscusso, necessita di unacontinua opera di manutenzioneper rispondere alle nuove sfide”. Inquesto scenario l’antologia delGiorgerini è quanto mai benvenuta,tempestiva ed utile alla compren-sione prima ed all’azione poi.

Enrico Cernuschi

L’ULTIMO SBARCOIN INGHILTERRAEdizioni Mursia

L a storia, accuratamente vera,documentata e dimenticata, è

la seguente:«Il 24 luglio le galee degli Strozzierano in vista di St. Andrews. Gliscozzesi non erano stati informatidell’arrivo degli italiani e i due pic-coli lancioni inglesi che pattuglia-vano la costa furono colti di sorpre-sa e costretti a rifugiarsi sotto il ca-stello».Filippo Strozzi l’uomo più ricco d’Ita-lia è avviato verso un malinconicotramonto mentre il re di Francia si èinvaghito di Diana di Poitiers divent’anni più vecchia di lui. Contem-poraneamente un’invisibile e inaf-ferrabile multinazionale del crimineusa il terrore e la corruzione per

controllare l’economia e le finanzedi un mondo dominato dalla monetaunica. E contro costoro si battonosenza esclusione di colpi un pugnodi marinai, banchieri e crittografiitaliani d’ogni regione, tutti uniti innome della sopravvivenza. Enrico Cernuschi racconta la crisieconomica, finanziaria e navaleche sconvolse l’Europa nel XVI se-colo. Una vera e propria guerramondiale dimenticata e conclusacon la conquista, a cannonate e aspada tratta, di un antico castelloscozzese, teatro di orribili delitti,congiure e tradimenti.Il volume è illustrato con mappe diVincent P. O’Hara.

Antonio Sanson

BAIMAISELF1165 giorni da uomo libero,navigando sugli oceanidi tutto il mondoEdizioni Il Frangente - Verona

A ntonio è un socio ANMI e primadella sua avventura è venuto a

trovarmi, gli ho consegnato il guido-ne della nostra Associazione – cheha sempre inalberato- e gli ho fattolo scaramantico augurio di noi mari-nai, quello che coinvolge la balena(e lui ne ha incontrate tante!). L’ho ri-trovato tre anni dopo, abbronzato,sempre allegro, vivace e, se possibi-le, ancor più entusiasta, mi ha ricon-segnato il guidone con il valore ag-giunto che tutti noi marinai vorrem-mo avere provato, il sale, le sfilac-ciature e il sapore dei mari e delleterre “vissuti” nel viaggio intorno almondo (fa bella mostra di sé in Pre-sidenza).Antonio pensava di cavarsela così,con poche parole. Credo siano pas-sate ore ed ore e tutti noi, presentiall’incontro, non ci stancavamo disentirlo raccontare, dettagli ed im-pressioni, ricordi e visioni, senti-menti e passione. Ora tutto quelloche ho avuto la fortuna e la venturadi ascoltare dalla sua viva voce èracchiuso qui, in questo libro che

cattura sguardi e attenzione fin dalprimo istante in cui capita fra le ma-ni. “Il giro del mondo è il sogno nelcassetto di ogni velista”, dice Anto-nio, “miglia dopo miglia le isole, i na-vigatori, gli incontri hanno trasfor-mato la paura in un’avventurastraordinaria”.Antonio ha scritto questo libro, cre-do, innanzi tutto per sé, perché nongli sfugga alcun particolare dei suoi1165 giorni “da uomo libero suglioceani” e proprio per questo si legged’un fiato, presi dalla narrazione diun’impresa che tutti noi vorremmo ri-petere e che possiamo compiere conla fantasia immersa in queste pagine.Scritto in maniera fluida, accattivan-te, il libro ci regala le medesimeemozioni, le apprensioni, le atmosfe-re e le esperienze vissute con unacarica che coinvolge il lettore pro-prio perché scritto da un marinaio enon da un romanziere, essenzialenella prosa e romantico nelle consi-derazioni. Ecco allora che partiamoanche noi e siamo a bordo, la barca,le sue attrezzature, gli adattamenti,gli allenamenti, i tentativi e le miglio-rie, ma il soggetto appare subito lei,la barca! E con lei, solida compagna,via, attraverso Gibilterra, alle Cana-rie, la prima traversata atlantica, iCaraibi, fino a Panama. Venti e sole,piogge e onde, pesci volanti in co-perta e troppo grossi per essere is-sati a bordo, ore di sonno e ore diguardia, descritte tanto realistica-mente da farci essere a bordo e con-dividere i turni. Ora tocca al Pacifico,le Galapagos (una delle sue delusio-ni) fino alla Polinesia francese, alleIsole Marchesi e Della Società(Maupiti, l’indimenticabile, vero An-tonio?), le Tonga, e finalmente il giu-sto riposo in Nuova Zelanda.L’avventura riprende poi da Timor,con l’attraversamento dell’Oceanoindiano, le Mauritius, il Sud Africa equindi di nuovo l’Atlantico, Sant’Ele-na lussureggiante, i Caraibi e stavoltala traversata Ovest-Est e finalmente ilMediterraneo e... a casa, a Grado.Grazie, Antonio, per averci regalatoquesto tuo entusiasmo, grazie peravere voluto condividere con noiquesta tua unica (e ti auguriamo ripe-tibile) voglia di conoscere il mondo.Dopo avere letto questo tuo stupen-do diario, così vero, così appassio-nante, condivido quanto scrivi: “Il gi-ro del mondo in barca a vela non è lacura di tutti i mali, è però un’eccellen-te medicina”. Lo è stata per te, leg-gendoti lo è, e tanto, anche per noi.

nnn

Recensioni di Paolo Pagnottella

Crociera dei Marinai d’Italia 2019

MSC LIRICAProseguendo nell’iniziativa che tanto successo ha sempre riscosso,

la Presidenza Nazionale organizza ancora una volta, in collaborazione con MSC CROCIEREche ha concesso tariffe speciali per i Soci ANMI, la “Crociera dei Marinai d’Italia 2019”quest’anno dedicata, con un itinerario nel Mediterraneo Orientale, alla commemorazionedei marinai italiani caduti in combattimento nelle acque dell’Egeo e del Dodocaneso,con speciale riferimento al simbolo dell’eroismo subacqueo italiano, il R. Smg. Sciré

Per i Soci ANMI sono previsti due porti di imbarco28 ottobre - Venezia partenza ore 16,30 • 29 ottobre - Bari partenza ore 17,00

a seguire l’itinerario prevede:

Tutte le informazioni di dettaglio, inerenti a tariffe, modalità di iscrizione,attività a bordo e terra, etc. sono pubblicate sul sito

www.marinaiditalia.com

Associazione Nazionale Marinai d’Italiain collaborazione con MSC Crociere

30 ottobrenavigazione

31 ottobreHeraklion - Grecia dalle 8,00 alle 18,00

1 novembrenavigazione

2 novembreHaifa- Israelearrivo ore 7,00

3 novembreHaifa- Israele

partenza ore 21,00

4 novembreLimassol- Cipro

dalle 8,00 alle 18,00

5 novembre Rodi- Grecia

dalle 9,00 alle 18,00

6 novembreMykonos - Greciadalle 8,00 alle 18,00

7 novembrenavigazione

8 novembreRagusa- Croazia(in croato Dubrovnik)

dalle 7,00 alle 14,00

9 novembreVenezia

10 novembreBari