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La gestione dell’emergenza migratoria è anche intervento per lo sviluppo: le scelte e le risorse del Pd al governo AIUTARLI (DAVVERO) A CASA LORO “Un progetto visionario che vorrei nella mia città” (il sindaco di Chicago Emanuel Rahm sul “Bosco verticale” di Milano) S ul piano internazionale gli stati si trovano ad affrontare da tempo grandi questioni globali. La natura di queste sfide rende sempre più ineludibi- le che ogni stato, soprattutto quelli di medie di- mensioni come l’Italia, si dotino di una strategia chiara e di strumenti adeguati di politica estera. Per questo, in que- sti quattro anni di legislatura il PD ha lavorato affinché la cooperazione allo sviluppo tornasse a qualificare positiva- mente la politica estera dell’Italia. Per questo, abbiamo portato a termine la riforma della cooperazione interna- zionale: un modo per rendere più efficaci gli aiuti allo svi- luppo impiegati nei paesi più poveri. segue a pag.2 Il Partito L'impegno contro la radicalizzazione islamica Pensieri e parole Paolo Cognetti e la montagna come destino pag. 4 pag. 7 pag. 2-3 Una strategia di politica estera: lo sviluppo internazionale Giovedi 20 luglio 2017 17 Lia Quartapelle Avanti Matteo Renzi alla festa dell'Unità di Milano pag. 5

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La gestione dell’emergenza migratoria è anche intervento per lo sviluppo: le scelte e le risorse del Pd al governo

AIUTARLI (DAVVERO) A CASA LORO

“Un progetto visionario che vorrei nella mia città” (il sindaco di Chicago Emanuel Rahm sul “Bosco verticale” di Milano)

Sul piano internazionale gli stati si trovano ad affrontare da tempo grandi questioni globali. La natura di queste sfide rende sempre più ineludibi-le che ogni stato, soprattutto quelli di medie di-

mensioni come l’Italia, si dotino di una strategia chiara e di strumenti adeguati di politica estera. Per questo, in que-sti quattro anni di legislatura il PD ha lavorato affinché la cooperazione allo sviluppo tornasse a qualificare positiva-mente la politica estera dell’Italia. Per questo, abbiamo portato a termine la riforma della cooperazione interna-zionale: un modo per rendere più efficaci gli aiuti allo svi-luppo impiegati nei paesi più poveri. segue a pag.2

Il PartitoL'impegno contro la radicalizzazioneislamica

Pensieri e parolePaolo Cognetti e la montagna come destino

pag. 4 pag. 7

pag. 2-3

Una strategia di politica estera: lo sviluppo internazionale

Giovedi20 luglio

2017

17

Lia Quartapelle

AvantiMatteo Renzi alla festa dell'Unità di Milano

pag. 5

2Giovedi 20 luglio 2017

La riforma, votata con un ampio consenso parlamentare, è un solido risultato del la-

voro di questi anni. Il settore aspettava questo cambiamento da quattro legislature, da quando cioè la caduta del muro di Berlino aveva reso ana-cronistico il modello di cooperazione internazio-nale per il quale i paesi ricchi versavano ai paesi poveri un po’ di risorse per compensarli del colo-nialismo e del sottosviluppo. Oggi abbiamo una legge, la 125/2014, che ci permette di affronta-re insieme ai paesi del Sud del mondo alcune delle grandi sfide globali: contrasto agli effetti del cambiamento climatico; lotta alla povertà; ridu-zione delle diseguaglianze; regolamentazione dei flussi migratori.

Abbiamo poi incrementato in modo costante le risorse per la cooperazione. Decisione che in tempi di razionalizzazione della spesa indica che consideriamo la cooperazione una vera priorità. Mentre i governi del centrodestra avevano solo tagliato, arrivando nel 2010 a destinare lo 0,15% del Pil per l’aiuto, in questa legislatura abbiamo aumentato ogni anno le risorse per lo sviluppo: nel 2016 l’Italia ha destinato lo 0,26% del Pil agli aiuti e c’è un preciso calendario per arrivare entro il 2020 allo 0,30% del Pil, allineandoci così pro-gressivamente agli obiettivi fissati al livello interna-zionale. Gli aumenti hanno significato una crescita dell’impegno soprattutto attraverso il canale bi-laterale, ovvero l’aiuto gestito dal ministero de-gli Esteri e della Cooperazione internazionale secondo le priorità della nostra politica estera.

Forte di una riforma del settore e di maggio-ri risorse dopo anni in cui venivamo additati co-me i peggiori della classe a livello internazionale, l’Italia è tornata ad essere ascoltata con le nostre

proposte per lo sviluppo in ambito internaziona-le: dalle missioni di Matteo Renzi in Africa, al confronto con i presidenti africani al G7 di Taormina, al lavoro fatto da Enrico Giovannini per misurare gli obiettivi dell’Agenda 2030 in se-de ONU, fino alla proposta di Migration Compact che, oltre a rappresentare una strate-gia di intervento dell’Unione europea, ha anche ispirato il piano per l’Africa pre-sentato al G20 da Angela Merkel. Abbiamo così segnato l’a-genda, creando nuove idee e un nuovo modo di lavorare. Pri-ma di altri paesi, abbiamo anche capito che il nostro futuro, come Ita-lia e come Europa, dipende dal rapporto con l’Africa. E’ in Africa che fenomeni epocali co-me il cambiamento climatico o la transizione de-mografica stanno avendo effetti strutturali che

riguarderanno tutti. Ed è con l’Africa, e non soltanto per l’Africa, che dobbiamo costruire un

futuro più giusto. Per questo il PD ha pre-sentato una proposta di legge delega,

denominata Africa Act, che disegna la strategia complessiva dei no-

stri interventi con i paesi africani, concentrandoci so-prattutto sull’educazione delle nuove leadership; sull’impe-gno nell’ambito della tutela ambientale e della sicurezza; e sulla creazione di opportu-nità di investimento e impie-

go. Con questa proposta si traccia una nuova pista per lo

sviluppo del continente africano che può condurre verso importanti

benefici e vantaggi, diretti e indiretti, anche per le nostre economie e per le no-

stre società. L’Italia, l’Europa e l’Africa dovranno percorrerla insieme. Con spirito di cooperazione prima ancora che di solidarietà.

Focus

Lia Quartapelle(segue dalla prima)

Le scelte concrete del Pd:

Migration Compacte Africa Act

Il nostro intervento per lo sviluppo

Lo sviluppo

internazionale come

strategia di politica

estera: intervenire nelle

aree di origine dei �ussi

migratori

3Giovedi 20 luglio 2017

Noi e loro. Noi europei, noi italiani, noi donne e uomini di un mondo occidentale, sviluppato, evoluto, ricco, super tecnologico. Loro. Loro africani, arabi, abi-tanti delle savane, del sub Sahara, delle foreste equato-riali, donne e uomini in fuga dalle carestie, dalle guerre, dalla fame e dal sottosviluppo. Noi e loro, questo il para-digma di una relazione che in questi termini appare falsa, malata e soprattutto sterile. Noi abitanti dell’emisfero boreale amiamo dividerci al “loro” riguardo tra buonisti ed egoisti senza renderci conto che entrambe le posizioni sono accomunate da una so-stanziale pretesa di superiorità, di malce-lato paternalismo, da uno sguardo che si posa su di loro per valutare di volta in volta se meritano un aiuto, un’as-sistenza, un’incursione colonial-predatoria o in alternativa, come scriveva Fukuyama, la gentile esportazione dei nostri modelli di democrazia e di governo. Mai pensiamo a questo rapporto come a quello fra pari, come a quello tra es-seri che hanno bisogno gli uni degli altri per crescere, svilupparsi, costruire un futuro di equilibrio e di speranza. Il discorso vale, con minori varianti anche per i no-stri rapporti con i Paesi dell’Asia Centrale, del subconti-nente indiano o dell’America Latina.

Certo si, dirà, la differenza tra il nostro livello di svi-luppo ( e di potere) economico, finanziario, industriale, tecnologico e militare è incomparabilmente più elevato e dunque perché non dovremmo prendere semplice-mente atto di questa realtà? Perché non dovremmo es-sere soddisfatti di questa situazione e magari limitarci a costruire qualche pozzo o qualche ospedale segno della nostra splendida generosità? Se però guardiamo oltre i luoghi comuni non possiamo fare a meno di notare alcu-ni segnali che dovrebbero ridimensionare almeno un po’ le nostre certezze: secondo i dati del FMI l’Africa, in aggiunta ad immense ricchezze minerarie in parte non ancora esplorate, ha oggi un tasso di cre-scita del PIL mediamente superiore al 5% (in alcune sue regioni è superiore al 7%) mentre l’Europa arranca tra l’1% e il 2%. I nuovi mega trend rivelano una crescita per l’Africa di 5,4 trilioni di dollari entro il 2025, i suoi volumi commerciali tripliche-ranno entro il 2030, le importazioni sali-ranno del 60% entro il 2020. Secondo le stime ONU da qui al 2050 la popolazione Europea scenderà dagli attuali 719 milioni a 653milioni di abitanti mentre quella afri-cana raddoppierà dagli attuali 984 a 1 mi-liardo e 803 milioni. Metà della popolazio-ne africana si trasferirà nei centri urbani e il 58% sarà nel pieno dell’età lavorativa.

Attualmente il livello di welfare euro-peo è garantito da un debito pubblico che

appare difficilmente sostenibile nel medio periodo ed in ogni caso è un dato che i Paesi più indebitati della Terra (USA, Giappone, Italia) sono tutti occidentali. Avremo a breve una popolazione più vecchia, più ridotta e più indebitata e dunque in prospettiva più fragile e sfibrata. Siamo proprio sicuri che non guarderemo nel 2050 (forse anche prima) con altri occhi ad un continente africano ricco di energia, risorse e una popolazione ansiosa di accedere ad un più alto livello e qualità di vita?

Gli squilibri di oggi rischiano di essere capovolti do-mani, le ingiustizie di oggi rischiano di essere la fonte di

nuovi drammatici conflitti domani. Questo è già quello che ci ha insegnato la storia del 900.

Sapremo imparare dai nostri errori?Perché da qui a trent’anni il nostro

Continente riesca ancora a guarda-re con fiducia al proprio futuro è oggi che bisogna agire. La parola cooperazione non riguarda solo l’odierna capacità di prestare as-sistenza al continente nero ma è anche la condizione senza la qua-le la nostra vecchia e amata Eu-

ropa rischia di trovarsi margina-lizzata, avvizzita, irrilevante e irri-

mediabilmente impoverita sullo scenario mondiale, incapace di coglie-

re la grande occasione di porsi come partner di quello che è il suo più vicino e natu-

rale compagno di strada: l’Africa appunto. Non de-ve sorprendere che la Cina abbia già intuito le grandi po-tenzialità e stia impegnandosi in un programma di inve-stimenti industriali senza precedenti nel continente africano.

Se dunque vogliamo essere della partita, se voglia-mo che le nostre imprese partecipino a questo momento di svolta della storia del nostro pianeta, se vogliamo porre le premesse perché i rapporti futuri siano improntati a giustizia ed equità e non trovarci invischiati in un conflitto permanente così come è avvenuto (e in parte ancora oggi avviene) nel periodo post-coloniale dobbiamo dare spa-

zio alla cooperazione. Va però cambiato il significato co-munemente accettato di questa parola: da sinonimo di attività assistenziale (per non dire in certi casi persino caritatevole o filantropica) deve diventare una strategia mirata a consolidare la crescita economica, la stabilità, un progetto di politica finanziaria e industriale, una maggiore trasparenza politica e democratica, la riduzio-ne dei conflitti militari, l’adozione di politiche ambienta-li coerenti con gli standard volti a contenere i cambia-menti climatici. Gli investimenti fatti in nome delle poli-tiche di cooperazione non possono risolversi in interventi spot, incapaci di incidere ed avere impatto sulle condi-zioni economico sociali, ma devono diventare parte di una più ampia strategia di crescita concordata con le au-torità e le popolazioni locali. E’ necessario adottare stru-menti di misurazione dell’impatto che i progetti di coo-perazione sono capaci di generare sul terreno; tra questi la capacità di generare utili economici delle iniziative imprenditoriali nelle quali dovranno essere necessaria-mente coinvolti quei giovani africani dotati di spirito di iniziativa che oggi vengono a rischiare la vita sui barco-ni nel Mediterraneo e a marcire nei CIE. Rendere pro-fittevoli le iniziative economiche significa garantire loro durata nel tempo. Il Governo dei mille giorni è stato l’u-nico (e unico!) fino ad oggi nella storia repubblicana a vedere il proprio Presidente del Consiglio a visitare i Pae-si dell’area sub-sahariana, dal Senegal, al Kenia, all’Ango-la… Bisogna dare continuità a questa azione sviluppando le strutture della nostra Agenzia per la Cooperazione e lo Sviluppo e dando continuità alle nostre relazioni poli-tiche e industriali. Le nostre ONG, con la loro conoscenza profonda di quesi territori devono essere coinvolte a pie-no titolo in una strategia di ampio respiro. Esse possono dare un grande contributo contro l’assistenzialismo e la corruzione che sono le vere malattie endemiche che mi-nacciano il futuro del continente.

Infine bisognerà avere l’intelligenza di smetterla con questa stupida guerra ai migranti economici: bisogna piuttosto ripristinare la nostra capacità di regolamentarne i flussi nella consapevolezza che molti migranti sono ne-

cessari a rinvigorire alcune delle nostre attività economiche ormai anemiche ed esangui perchè abbandonate innanzi-tutto dagli italiani e al tempo stesso consentire a chi viene a lavorare da noi di ritrovare periodicamente la strada di casa perché solo in tal modo quel perio-do di lavoro svolto da noi diventerà anche un aiuto alla loro crescita e alla loro economia. Senza dimenticare che anche le rimesse monetarie dei migranti ai Paesi d’origine sono una fonte importantissima e ben mirata per lo svi-luppo delle loro comunità di prove-nienza. Insomma una cooperazione internazionale moderna e ben orga-nizzata può contribuire a trasformare un’immensa e biblica tragedia in una straordinaria occasione di crescita e svi-luppo. Anche per noi. Noi e loro, anco-ra una volta, accomunati da un comu-ne destino.

Focus La nostra cooperazione internazionale

Cooperare, un comune destino

Roberto Cociancich

L’impegno

del governo

dei 1000 giorni

per l'Africa

4Giovedi 20 luglio 2017

8­9 febbraio 2016 Patti

di cittadinanza siglati

con i Comuni di Firenze e Torino

Islam e radicalizzazione

La sicurezza nazionale contro l’integralismo Jihadi-sta passa anche e soprattutto dall’integrazione cultu-

rale. A metterlo in evidenza sono una serie di leggi e patti messi in campo dai governi a guida PD in questi ultimi anni. Tutti largamente condivisi con le maggiori comunità isla-miche riconosciute nel nostro Paese. L’ultima è la legge vo-tata alla camera contro il radicalismo e la diffusione dell’e-stremismo promossa da Andrea Manciulli e Stefano Dambruo-so che si pone l'obiettivo di prevenire la radicalizzazione inserendo corsi di formazione nelle scuole da una parte e dall’altra recuperando soggetti già coinvolti nel fenomeno all’interno delle carceri. Questa legge, in attesa di essere approvata al senato, va ad affiancarsi ad una serie di provve-dimenti già messi in campo. Il primo febbraio di questo anno al Viminale è stato firmato il Patto nazionale per un Islam italiano.

A sottoscrivere l’accordo è stato da una parte il ministro dell’interno Marco Minniti e dall’altra l’Ucoii, la Coreis, il centro islamico culturale Grande Moschea di Roma e la confederazione islamica italiana che assieme rappresenta-no oltre il 70% dei fedeli musulmani presenti nel nostro Paese. Un accordo dalla portata storica che vincola le parti ad alcuni impegni precisi che hanno come obiettivo quello contrastare il radicalismo islamico. Le comunità musulma-ne si sono impegnate nell’introdurre l’uso della lingua ita-liana accanto alla lingua araba nel sermone del venerdì, vengono finalmente resi pubblici i nomi e i recapiti degli imam e i predicatori devono essere debitamente formati . il Ministro dell’interno si è impegnato a favorire l’integra-zione sociale delle comunità.

L’ubicazione dei luoghi di preghiera e delle Moschee oggi è patrimonio condiviso col Viminale. Non è un caso infatti che il Patto nazionale ha seguito le orme del Patto di citta-dinanza siglato nel 2016 a Firenze, capofila di una serie di buone pratiche messe in campo anche da altre città: la To-rino amministrata da Fassino, Bergamo, Trieste, Catania. Oggi parlare di collaborazione tra amministrazioni di centro sinistra e comunità islamiche non è più un tabù. E’ l’unica arma possibile se si vuole sconfiggere il radicalismo alla ra-dice. Ma il vero pericolo di radicalizzazione si sa si annida nelle carceri. Ecco perché nel 2015 il ministero di Grazia e giustizia sigla un protocollo d’intesa per cui solo Imam ri-conosciuti e certificati possano avere il diritto di professa-re all’interno degli istituti penitenziari. Il fondamentalismo violento lo si può contrastare solo assieme ai musulmani e non senza o contro di loro, come qualche politico, alla ri-cerca di facile consenso, oggi cerca di raccontare.

Le leggi e i patti control’estremismo

1 febbraio 2017 Patto

per un Islam italiano

con il Ministero dell'interno

5 novembre 2015 Protocollo d'intesa

con il DAP

5Giovedi 20 luglio 2017Dal Partito

Per il Partito

Dalle feste de l’Unità di Milano e Melzo

Le date di “Avanti”Perché l’Italia non si ferma

Matteo Renzidialoga con

Antonio Di Belladirettore Rainews 24

Roma Oggi 20 luglio ore 18,30

Libreria Nuova Europa Centro commerciale i Granai

Matteo Renzidialoga con

Dario Nardellamodera Eva Giovannini

Firenze Venerdì 21 luglio ore 21

Spazio estivo Flower

Piazzale Michelangelo

Matteo Renzia Castel�orentino

Sabato 22 luglio alle 21.30, Arena centrale,

zona Parco Urbano, v.le Roosvelt/v.le di Vittorio

Matteo Renzi a Poggibonsi

Sabato 22 luglio alle 18.30,Poggibonsi, loc. Bernino,

impianti sportivi

7Giovedi 20 luglio 2017

Paolo Cognetti ha vinto lo Strega con il suo libro Le otto montagne. Da dieci anni vive

in una baita in quota sopra Brusson, nella Val d’A-yas. Di lui si dice: è un anarchico ecologista, attento all’immagine al punto da presentarsi sul palco del Ninfeo di Villa Giulia con la cravatta lavallière, simbolo di resistenza anti-borghese, tra Baudelaire e Yves Saint Laurent, e con il cane Lucky accucciato ai suoi piedi. Un dandy di montagna. E ora passia-mo a quello che non si sa o si sa di meno. La spinta per lasciarsi tutto alle spalle Cognetti l’ha trovata a 30 anni, come conseguenza dell’amore. Fu una de-lusione sentimentale a spingere il giovane metropo-litano, che adorava Milano ma ancora di più New York, alla ricerca di un rifugio sicuro. Dentro la sto-ria di Cognetti ci sono tutte le storie dei ricercatori dell’essenza: il Siddharta di Hermann Hesse e il Christopher McCandless di Into the wild, bellissima regia di Sean Penn. Attenzione però a citare Walden di Thoreau perché a sentire passi come questo: “Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza”, il buon Paolo sente l’esigenza di rimette-re i puntini sulle “i” e ti dice secco: “cominciamo a sfatare falsi miti”.

CominciamoThoreau è andato a qualche chilometro da casa e ci è andato per fare un’esperienza. Il che non diminui-sce la portata della sua ricerca, ma due anni senza comodità non significano fare l’eremita. E’ più un desiderio legittimo di stare un po’ appartati dalla società per fare un esperimento politico e sociale. Provare a vivere con poco, come fa lei.Mi piace l’idea di un futuro diverso e pos-sibile ma non sono un eremita. Anzi, certe sere quando mi ritrovo da solo in baita c’è da impazzire. E lei cosa fa a quel punto?Esco, la montagna ti costringe a creare re-lazioni forti. E’ il contrario della solitudi-ne. La città rende soli, ti chiude in casa, ti sbatte davanti allo schermo di un compu-ter , ti inghiotte nei deliri delle chat. E invece la montagna?Rende liberi e forti. Riscopri il corpo, i suoi bisogni essenziali. Passi giorni senza mettere mano al portafoglio. E poi è una forma d’arte. Potrei parago-narla alla visione di un’opera. Ti dà quel senso di astrazione. Però ci sono anche qui luoghi comuni da sfatare. Ancora?Quando leggo sulle riviste “panorama mozzafiato” mi vien voglia di lanciarle contro il muro.

La natura è matrigna.E’ indifferente all’uomo. E qui si sente. E’ semmai vero il contrario, è un mondo che esiste oltre gli uo-mini. Le piste da sci sono un po’ il cemento delle montagne? Quelle le ha fatte l’uomo.Non mi parli degli sciatori. Quando scendono in picchiata dalla pista vicina alla sua baita cosa pensa?Che dobbiamo tutti imparare a vivere la montagna in un altro modo. Le piste da sci sono le autostrade delle vette, per costruirle disboscano e cementifica-no e il ragionamento sul consumo di suolo è del tutto analogo a quello delle città. La monta-gna è fatica, te la devi meritare.

Lei non usa mai la parola natura.Dico boschi, dico roccia, dico alberi e la-ghi. Natura è un concetto astratto. Qui impari anche a dare alle cose i loro nomi.

Una nuova unità di misura della realtà che vale per tutto.Impari a vivere di poche cose. Abito una casa picco-lissima, non ci sono chiavi fuori dalla porta, ho un portatile e il telefono con cui sto parlando con lei. La semplicità di dentro ti apre alla bellezza di fuori. E poi cammino: tutti i giorni, quando vivo come di-co io, per tre o quattro ore. Alcune volte parto e sto via qualche giorno, dormo nei rifugi o all’aperto. Il ragazzo selvaticoQuella era la mia autobiografia. Poi ha completato l’opera con Le otto montagne. Una storia di amicizia maschile che dura una vi-ta: Pietro e Bruno nel perenne ondivagare dell’uomo tra restare nel proprio posto e perse-verare nella ricerca. La montagna come la casa del padre cui sempre si ritorna. Hanno scritto che è un classico, concorda?In qualche modo sì, ho pensato a Narciso e Boccado-ro o alle due vite di Siddharta, mi sono molto ispi-rato a Hermann Hesse. Il valore dell’amicizia per me è quello che accompagna le esistenze degli es-seri umani più di ogni altro, per questo è comune alle cose di tutti. C’è poi il tema del doppio, questi due ragazzi che crescono insieme e poi ognuno tro-va la sua strada con l’eterno ritorno della loro unio-ne, che resta, come il paesaggio, che è sostanza e non forma ed entra nelle loro vite per esserne parte. Nel libro lei scrive nella lingua della montagna, come un lessico famigliare delle vette.Ci sono due lingue per raccontare la montagna: una è quella della città con tutta la retorica dei paesaggi e del silenzio e della natura e l’altra è quella delle cose concrete. Ho usato la lingua vera, che non inganna ma descrive, quella di Mario Rigo-ni Stern, che dice larice o abete rosso o pino cembro, non albero. Allo Strega ha vinto la montagna di Cognetti sul mare della Ciabatti.Il libro di Teresa è molto urbano. Le nostre vicende e i nostri libri sono diversi, io partivo quasi da zero, lei era la favorita. Poi le cose sono andate come so-no andate. Ho un legame particolare invece con il romanzo di Alberto Rollo, Un’educazione milanese perché racconta la città degli anni Settanta in cui sono cresciuto e con Le cento vite di Nemesio di Marco Rossari, perché di galoppate nel Novecento, un secolo meraviglioso, c’è sempre un gran bisogno.

Pensieri e parole

Beatrice Rutiloni

Stregato dalla montagnaQualunque cosa sia il destino, abita quiIntervista a Paolo Cognetti

Paolo Cognetti, classe 1978, è 

nato a Milano. Documentarista 

e scrittore, ha pubblicato per Minimun 

Fax Manuale per ragazze di 

successo. Una cosa piccola che sta 

per esplodere e Sofia si veste 

sempre di nero. Con Le otto 

montagne per Einaudi ha vinto il 

Premio Strega Giovani e il Premio 

Strega 2017.

@paolocognettifanpage

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speso per acquistare libri

8Giovedi 20 luglio 2017