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WWW.DEMOCRATICA.COM PAGINA 2 Brexit Nell’UKaos si affaccia una nuova ipotesi: il capo dei laburisti potrebbe abbracciare l’idea di un secondo referendum n. 330 giovedì 17 gennaio 2019 “Le migrazioni arricchiscono le nostre comunità. Anche Gesù fu profugo” (Papa Francesco) D a sempre l’Italia ha avuto con Taiwan un rapporto cordiale, ma distaccato: il mancato riconoscimento diplomatico da parte del nostro Paese (come la gran parte degli Stati mondiali) nei confronti della Repubblica di Cina è dovuta essenzialmente alla volontà di non turbare il rapporto con la Repubblica Popolare Cinese, la Cina continentale, nei confronti della quale ci legano molti rapporti. Comprensibile, ma non per questo vale la pena sottovalutare ciò che si muove in quella parte del mondo. L’Italia deve aprire gli occhi su Taiwan REPORTAGE Marco Di Maio SEGUE A PAGINA 5 LA svolta DI Corbyn PAGINA 6 “Serotonina”, il male oscuro di Houellebecq (e i gilet che c’entrano?) IL LIBRO I nizierà martedì prossimo a Bari il tanto atteso congresso nazionale della Cgil che si chiuderà il 25 gennaio con l’elezione del nuovo segretario generale (in ballo ci sono i nomi di Maurizio Landini e Vincenzo Colla). Un appuntamento fondamentale per il mondo del lavoro che però potrebbe vedere un grande (e ingiustificato) assente: il governo. Al momento, infatti, non è previsto che alcun esponente dell’esecutivo presenzi o intervenga. Un atteggiamento che risulterebbe sfrontato e divisivo per diverse ragioni. In primo luogo per il semplice fatto che non era mai accaduto che un governo disertasse un appuntamento così importante. Congresso Cgil, lo strappo del governo L’EDITORIALE Stefano Minnucci SEGUE A PAGINA 3 PAGINA 3 Rieccolo. Berlusconi in campo alle Europee (e la Lega trema) POLITICA Il leader di Forza Italia si candida a Bruxelles: a 25 anni dalla discesa in campo contro “i comunisti” oggi il Cavaliere mette nel mirino i grillini. Ma e Salvini a temere la sua concorrenza sulla destra dello schieramento politico

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PAGINA 2

Brexit Nell’UKaossi affaccia una nuova ipotesi:il capo dei laburistipotrebbe abbracciare l’idea di un secondo referendum

n. 330giovedì

17 gennaio2019

“Le migrazioni arricchiscono le nostre comunità. Anche Gesù fu profugo” (Papa Francesco)

Da sempre l’Italia ha avuto con Taiwan un rapporto cordiale, ma distaccato: il mancato riconoscimento diplomatico da

parte del nostro Paese (come la gran parte degli Stati mondiali) nei confronti della Repubblica di Cina è dovuta essenzialmente alla volontà di non turbare il rapporto con la Repubblica Popolare Cinese, la Cina continentale, nei confronti della quale ci legano molti rapporti. Comprensibile, ma non per questo vale la pena sottovalutare ciò che si muove in quella parte del mondo.

“L’Italia deve apriregli occhi su Taiwan

REPORTAGE

Marco Di Maio

SEGUE A PAGINA 5

LA svolta DI Corbyn

PAGINA 6

“Serotonina”, il male oscuro di Houellebecq (e i gilet che c’entrano?)

IL LIBRO

Inizierà martedì prossimo a Bari il tanto atteso congresso nazionale della Cgil che si chiuderà il 25 gennaio con l’elezione del nuovo segretario

generale (in ballo ci sono i nomi di Maurizio Landini e Vincenzo Colla). Un appuntamento fondamentale per il mondo del lavoro che però potrebbe vedere un grande (e ingiustificato) assente: il governo. Al momento, infatti, non è previsto che alcun esponente dell’esecutivo presenzi o intervenga. Un atteggiamento che risulterebbe sfrontato e divisivo per diverse ragioni. In primo luogo per il semplice fatto che non era mai accaduto che un governo disertasse un appuntamento così importante.

“Congresso Cgil, lo strappo del governo

L’EDITORIALE

Stefano Minnucci

SEGUE A PAGINA 3

PAGINA 3

Rieccolo. Berlusconiin campo alle Europee (e la Lega trema)

POLITICA

Il leader di Forza Italia si candida a Bruxelles: a 25 anni dalla discesa in campo contro “i comunisti” oggi il Cavaliere mette nel mirino i grillini.Ma e Salvini a temere la sua concorrenza sulla destra dello schieramento politico

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2 giovedì 17 gennaio 2019

Jeremy Corbyn è davvero pronto a un secondo referendum sulla Brexit? Nel-la terra d’Albione sembra succedere di tutto in queste ore. La leader della Ca-mera dei Comuni, Andrea Leadsom, ha annunciato che il governo britannico

presenterà un nuovo piano Brexit il 21 gen-naio, cui seguirà un dibattito e il voto del 29 gennaio. Insomma Theresa May è intenzio-nata a portare a casa il risultato, nonostante ciò che è accaduto.

Proviamo a riassumere le puntate prece-denti: nel 2016 il referendum sulla perma-nenza del Regno Unito nell’UE sancisce la vittoria dei leave sui remain, ma in due anni non si trova la quadra su come uscire dall’UE. Theresa May, primo ministro conservatore, tratta con Bruxelles un accordo difficile ma a quell’accordo sembra non esserci alterna-tiva se non una ‘Brexit no deal’, cioè un’u-scita dall’UE senza nessuna intesa, un salto al buio che potrebbe terrorizzare i mercati e avere dei contraccolpi economici e sociali di non poco conto. Martedì scorso il parla-mento di Westminster va al voto e il risulta-to è disastroso per May: contro l’accordo vo-tano un po’ tutti, e il governo perde con 230 voti di scarto, una debacle storica. Dopo la mazzata sull’accordo, i laburisti presentano una mozione per sfiduciare il governo, ma ieri la Camera dei Comuni la respinge, per-mettendo a May di respirare ancora un po’. In questo scenario da caos totale, non è facile fare ipotesi. Corbyn appartiene alla sinistra radicale dei labour, quella per cui l’avversio-ne all’Europa comunitaria ha radici lontane. La sua opposizione all’accordo May si nutre sia della vocazione di una parte del Labour a leggere l’Unione europea come un freno agli obiettivi di stampo socialista, sia di questo sen-timento certamente poco sensibile alle sirene di Bruxelles. Non dobbiamo dimenticarci che il Regno Unito è un paese dove storicamente l’antieuropeismo è trasversalmente presente nella società e nella politica, e attraversa i la-buristi così come i conservatori. Attenzione,

però: è un antieuropeismo diverso da quello un po’ truce di Salvini o di Orban che strizza l’occhio all’idea fascista di Europa-Nazione. È un sentimento, quello britannico, più simile a un orgoglio nazionale, a una concezione di superiorità isolana che parte dall’impero bri-tannico, arriva alle Falkland e approda diret-tamente alla Brexit, un sentimento che può benissimo essere sintetizzato nel “Fog in the Channel, Continent cut off”, nebbia sulla Ma-nica, il Continente è isolato.

E allora Corbyn cambia idea sull’Unione Europea? No, però, in questo pantano poli-tico in cui si ritrovano tutti i partiti, potreb-be riprendere in mano il pallino. Il leader laburista sta più che altro tastando l’infido terreno in cui un po’ tutti i giocatori britan-nici si ritrovano a muoversi. Ha già messo sull’allerta May, scrivendole una lettera in cui specifica che la condizione per partecipare ai colloqui con il primo ministro è quella di gettar via dal tavolo della trattativa l’opzio-ne del ‘no deal’. “Se lei è intenzionata a voler raggiungere un accordo - scrive Corbyn - al-lora il ‘no deal’ deve essere escluso. Il Cancel-liere e il Segretario agli Affari economici si sono mostrati entrambi aperti ad escludere il no deal nella recente conference call. I 4,2 miliardi di sterline stanziati per pianificare il no deal potrebbero migliorare in modo si-gnificativo i servizi pubblici, a corto di soldi”. Corbyn ha anche avvertito che il Labour è pronto a presentare una nuova mozione di sfiducia. In merito all’ipotesi di un secondo referendum, Corbyn è stato, però, abbastan-za ambiguo. Ha detto che la “prima opzione” è quella di cercare di convincere i parlamen-tari a votare per il piano di Brexit alternativo del Labour. Solo se ciò fallisse, si prendereb-be in esame un secondo referendum. “Se il governo dovesse rimanere intransigente - ha spiegato il leader labour - se il supporto all’al-ternativa laburista fosse bloccato per meri ra-gionamenti di partito, mentre il paese rischia il potenziale disastro del ‘no deal’, il nostro compito sarà quello di guardare ad altre op-zioni di cui abbiamo parlato nella nostra mo-zione di conferenza, inclusa l’opzione di un voto pubblico”.

Brexit

Giovanni Belfiori CONDIVIDI SU

I sostenitori di “People’s Vote”, la più incisiva campagna di mobilitazione pubblica per un ripensamento della Brexit, tornano a chiedere con forza un secondo referendum dopo che l’accordo Brexit di Theresa May è stato respinto in Parlamento. Del movimento - lanciato lo scorso aprile 2018 – fa parte anche l’esponente laburista Andrew Adonis, con il quale democratica aveva parlato lo scorso giugno (leggi qui).

Ora il movimento chiede “un’ultima parola ai cittadini sulla Brexit”.

Si rafforza la campagna per tornare al voto

6 lunedì 4 giugno 2018

Andrew Adonis è uomo dalle molte vite. Figlio di un modesto emigrato cipriota, si è guadagnato la laurea a Oxford a forza di borse di studio per poi insegnar-vi Storia politica. Editorialista del Financial Times e dell’Observer, entra nel Labour Party con Tony Blair diventando poi il capo della Policy Unit del suo secon-

do governo. Da ministro dell’Educazione ha promosso una coraggio-sa riforma della scuola pubblica, all’insegna dell’autonomia e dell’ef-ficienza soprattutto nelle zone più disagiate del paese, guidando poi dal think tank Progress il lavoro di riflessione culturale avviato dal Labour dall’opposizione. Oggi è alla guida della più incisiva campa-gna di mobilitazione pubblica per un ripensamento della Brexit, pro-prio mentre la Gran Bretagna si avvicina alla data limite del marzo 2019 entro la quale dovranno essere negoziati i termini precisi del-la fuoriuscita dall’Unione europea. Nel libro “Saving Britain”, scritto con il giornalista Will Hutton e pubblicato proprio oggi, disegna un possibile itinerario culturale, sociale e politico per non perdere gli ul-timi fili che legano la Gran Bretagna all’Europa comunitaria.

Quali lezioni viene all’Italia dalla vicenda Brexit?“L’esempio che possiamo fornire a paesi come l’Italia è che i britanni-ci hanno scoperto il valore dell’Unione europea solo quando si sono trovati di fronte all’imminenza della fuoriu-scita. Per tutti i 45 anni della nostra perma-nenza nell’Unione non siamo mai riusciti a far prevalere nel dibattito pubblico le ragio-ni dell’Europa, anche perché noi europeisti abbiamo tutto per scontato. Inoltre abbiamo fallito nel nostro tentativo di rendere l’Unione più popolare per rispondere alla sfida dei po-pulisti: non abbiamo mai riunito i parlamenti dei paesi membri, non siamo mai riusciti a far dialogare con regolarità i politici delle diver-se nazioni (con l’eccezione dei Capi di Stato o dei ministri) e non possiamo certo affermare che esista una “società civile europea” degna di questo nome. Si tratta di obiettivi naturali per un progetto come quello comunitario. E proprio oggi, alla luce dei fallimenti che abbiamo davanti, i paesi fondatori dell’Unione euro-pea (a partire dall’Italia) dovrebbero tornare a lavorarci con grande urgenza: ad esempio convocando un nuovo “Congresso di Messina” proprio sul tema della democrazia europea. D’altra parte nel caso dell’Italia, che è anche membro dell’area Euro, l’uscita dall’Unione europea potrebbe avvenire solo con un enorme livello di devastazio-ne economica e occupazionale.”

Perché impegnarsi con tanta passione, come sta facendo in questi anni, per ribaltare il risultato di un referendum popolare?“La mia campagna ha l’obiettivo di convocare un nuovo referendum in cui si chieda ai cittadini britannici se sono d’accordo con i termini concreti della fuoriuscita dall’Unione europea. Nel 2016 nessuno ha votato per essere più povero (economicamente o spiritualmente). E oggi che l’elettorato britannico ha finalmente compreso la prospetti-

va reale che si trova davanti, sono convinto che la formulazione deci-sa da Theresa May per uscire dall’Unione possa essere respinta da un nuovo voto popolare. Con il risultato di avviare quelle grandi riforme di cui la Gran Bretagna ha bisogno per migliorare la nostra economia, la nostra democrazia e persino la nostra società. La Brexit va in dire-zione assolutamente contraria, peggiorando la condizione dei nostri cittadini e in particolare dei ceti più disagiati che nel 2016 votarono in grande maggioranza per l’uscita dall’Unione europea nella convin-zione che ne sarebbe venuto un qualche miglioramento”.

Come valuta il governo guidato da Salvini e Di Maio?“Il nuovo governo italiano mi ricorda molto il movimento populista pro-Brexit guidato da Nigel Farage: totalmente irresponsabile ma do-tato di largo consenso, con un mix di nazionalismo di estrema destra e di slogan che promettono di migliorare la vita dei ceti più deboli. Il vostro governo, analogamente a quello che si è insediato in Gran Bretagna subito dopo la vittoria della Brexit, certifica il fallimento di una politica che finora si è mossa lungo linee tradizionali e che deve rapidamente reinventarsi. Pensiamo ad esempio ai limiti mostrati dal “centro riformista”, con la sconfitta oggi di Renzi e ieri di Gordon Brown e poi di David Cameron: un’idea che deve essere del tutto ri-fondata”

D’altra parte il tema antieuropeo vede una saldatura tra i radicalismi di destra e di sinistra“Sì, è così. Perché la destra estremista guarda alla Brexit perché vuo-

le indebolire lo Stato di diritto, puntando a fomentare il caos e a creare le condizioni perché i ceti più forti se ne avvantaggino eco-nomicamente. E il legame con i populisti di sinistra permette di creare un fronte comune che guarda anche ai ceti che si sono impove-riti drammaticamente dopo la crisi finanzia-ria del 2007/2008 e che sono spaventati dalla crescita dell’immigrazione clandestina”

La vittoria dei populisti nasce anche da nostri errori?

“Certamente. E, per quello che posso comprendere, l’incapacità prin-cipale dei governi a guida PD è stata nella mancata soluzione alla crisi migratoria. Se la politica tradizionale non riesce a gestire le crisi so-ciali, apre di fatto le porte ai populisti e alla loro propaganda fondata sull’odio e sulle promesse pseudo-rivoluzionarie. E’ quello che è acca-duto oggi in Italia e ieri in Gran Bretagna”

Qual è il suo giudizio sulla leadership laburista di Corbyn?“Corbyn è molto efficace nella mobilitazione, soprattutto se si guar-da ai giovani. Dispone di alcune risposte (in tema di giustizia socia-le e d’irresponsabilità delle classi agiate) ma sulla grande questione dell’Europa ha scelto di rimanere alla finestra. Tuttavia riuscirà a vincere le prossime elezioni solo e soltanto se aderirà al movimen-to anti-Brexit: un fenomeno in enorme crescita, che rappresenterà anche per lui un test di leadership e la vera sfida politica del futuro. Per quanto mi riguarda, considerandomi a tutti gli effetti un moder-nizzatore laburista, auspico che Corbyn si metta alla guida del movi-mento.”

Pensieri e parole

Andrea Romano

“Ecco come ribalteremo la Brexit”

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SAVING BRITAINBrown Book Group Little Will Hutton Andrew Adonis

Parla Andrew Adonis, architetto del New Labour e oggi alla guida della campagna per un secondo referendum in Gran Bretagna

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Nell’UKaos spunta la “conversione” di Corbyn al referendumL’impasse dopo le votazioni in Parlamento, con la May che brancola nel buio e il capo dei laburisti che rivede la sua posizione

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3 giovedì 17 gennaio 2019

Alla caccia del decretone

Nonostante il “tutto risolto” an-nunciato stamani da Palazzo Chigi dopo il vertice di maggio-ranza, i dubbi sulle due misu-re simbolo del governo giallo-verde rimangono. Alle 18 (nel

momento in cui Democratica sarà on-line) è previsto il consiglio dei ministri che varerà il cosiddetto decretone, quel provvedimento in cui si inseriranno i dettagli per quota 100 e per reddito di cittadinanza. Ma tutto è ancora fumoso. E i conti pubblici non aiutano di cer-to viste le poche risorse a disposizione. Lo sa-premo al termine del Cdm, sperando che non serva soltanto a dare in pasto ai media un ti-tolone, ma che piuttosto ci siano finalmente i dettagli delle due misure tanto sbandierate in campagna elettorale.

Se l’impianto generale delle due misure è noto da tempo, sono i dettagli, ora, a creare discordanze, con la Ragioneria tirata in ballo ogni volta che emerge una divergenza tra i gialloverdi, e che comunque non avrebbe an-

cora bollinato il testo, anche per alcuni dub-bi sulla costruzione della platea del reddito. Soprattutto c’è la questione statali: risolta la querelle sulla finestra di prima uscita (all’ini-zio doveva essere a ottobre, poi, su insistenza dello stesso Salvini, è stata anticipata a luglio, nonostante le perplessità del ministro che la P.a. la deve gestire, Giulia Bongiorno) è emer-so il problema del trattamento di fine servizio, strettamente finanziario ma anche di equità tra ‘quotisti’, che lo prenderebbero solo al rag-giungimento dei 67 anni, e chi sta andando in pensione con le regole della Fornero, con dila-zione fino a 2 anni per la buonuscita.

Nel pomeriggio di ieri era sembrato che fosse in vista uno slittamento a venerdì del decreto per permettere ai tecnici di sciogliere gli ultimi nodi. E’ emersa infatti la necessità di chiarimento - a fronte di dubbi sollevati dagli stessi tecnici - della valutazione sull’impatto di spesa relativamente agli interessi degli istituti bancari che dovranno ‘anticipare’ i tfr di chi usufruirà della finestra pensionistica, prevista dalla riforma. Nodi che dovranno essere sciol-ti entro oggi per permettere al governo di dare il via libera al decreto.

Governo

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Il consiglio dei ministri cerca la quadra su quota 100 e reddito

Congresso Cgil, lo strappo del governo

Persino con Berlusconi – con il quale la confederazione non aveva di certo un buon feeling – c’era stata la presenza del ministro del Lavoro (ai tempi c’era

Sacconi). Si tratta quindi di una grave scorte-sia istituzionale.

C’è poi la delegittimazione che una scelta del genere comporterebbe, perché la man-cata partecipazione verrebbe interpretato come un messaggio lanciato al sindacato di si-nistra. A dimostrarlo c’è il continuo tentativo di disintermediazione da parte dell’esecutivo, come stanno a dimostrare il caso dei rider o le convocazioni di decine sigle tutte insieme in un’affollatissima Sala verde (dove alcuni non hanno nemmeno il tempo di dire la loro) per non risolvere nulla e raggiungere alcun accordo. Della serie: ascoltare tutti per non ascoltare nessuno. In quel caso si è scelta una strategia fine: è stata fatta uscire la notizia

che il governo ascolta tutti, lanciando al con-tempo un messaggio alle grandi organizza-zioni. Come dire: siete al pari di una qualsiasi sigla minore. Ma non era forse il caso di par-tire dalle tre sigle principali visto che insieme rappresentano circa 10 milioni di lavoratori? Magari avrebbe portato benefici per tutti.

A proposito di strategia comunicativa, die-tro l’assenza al congresso ci sia un altro aspet-to, ovvero quello di non esporre il ministro dello Sviluppo economico Di Maio a cospetto della platea del sindacato più importante del nostro Paese. Peraltro, con il possibile rischio che lo stesso ministro del Lavoro raccolga qualche contestazione, elemento dannoso per la sua immagine: non va dimenticato che dopo pochi giorni i tre sindacati saranno a Roma per la grande manifestazione contro la legge di Bilancio. D’altra parte per il M5S sarebbe come andare nella tana del lupo, nel-la casa di chi un giorno sì e l’altro pure vie-ne messo sul banco degli imputati. Questo è quello che avviene quando Di Maio minaccia: “I sindacati si autoriformino o ci pensiamo

noi”. Si pensi alle grida di Grillo di due anni fa, quando dal suo blog tuonava “meno diritti per i sindacati”. O, ancora, quando nel 2013 per aizzare il popolo gridava: “Eliminiamo i sindacati, sono vecchi come i partiti”. Insom-ma, siamo alle solite: è sempre colpa degli “al-tri”, che siano sindacati o politici, c’è sempre un’élite da mettere sotto accusa, alla continua ricerca di un bersaglio da colpire pur di ali-mentare il rancore dell’elettorato più agguer-rito e raccattare qualche voto in più.

Ma il sindacato non è un nemico del popo-lo. Il sindacato lo rappresenta, lo tutela nei luoghi di lavoro, ne difende i diritti. E, soprat-tutto, è una di quelle poche organizzazioni in cui è rimasta una struttura democratica, con un congresso che giunge alla prova finale di Bari con circa 800 delegati al termine di un lungo percorso fatto di migliaia di assemblee. Volendola collocare nel quadro costituziona-le, possiamo definirla una libera associazione con modalità organizzative democratiche, al-tro che casta e nemico da abbattere.

Stefano MinnucciSegue dalla prima

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Rieccolo:Silvio in campo

(e la Lega trema)

Rieccolo, disse Montanelli su Fanfani. Rieccolo, Silvio:”Ho deciso di presentarmi alle

Europee per portare la mia voce in un’Europa che va cambiata: ho deciso per senso di responsabilità di andare in Europa dove manca il pensiero profondo del mondo” e “per fermare i comunisti”. Non è un déjà vu, anche se lo sembra. Lo ha detto (o ridetto) Silvio Berlusconi, a margine di un comizio a Quartu Sant’Elena, in Sardegna, dove si è lanciato in un pronostico: “Il centrodestra unito è vincente in Italia, è il futuro dell’Italia, dell’Europa, del mondo, con i suoi valori e le sue idealità”.Un messaggio a Matteo Salvini per ribadire che i vecchi amici sono sempre a disposizione, perchè tanto “l’alleanza gialloverde è innaturale e non credo che riuscirà a reggere”. “Anche in Parlamento - sottolinea Berlusconi- ci sono molti fermenti venuti fuori recentemente che mi fanno pensare che questo governo non abbia ancora molto tempo per andare avanti”. Anzi arriva a definire il governo “una iattura”. Il bersaglio di Berlusconi è senza dubbio il M5s: “Penso che ci sia bisogno di cambiare questo Governo, perché una parte, quella dei 5 Stelle, è fatta da persone che non hanno alcuna esperienza né competenza. Sono come quei signori della sinistra comunista del 1994, ma in più hanno questo grave difetto. Non vedo nessuno tra loro a cui poter consegnare la fiducia”.Da qui la sua ridiscesa in campo che avviene, come sempre, per “senso di responsabilità”. Come 25 anni fa. (M.L.)

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4 giovedì 17 gennaio 2019

Finora coinvolti 10mila iscritti

“Io ed Anna Ascani siamo scesi in campo perché non ci

vergogniamo di quel che abbiamo fatto in questi anni al governo del Paese. Non dobbiamo chiedere scusa agli italiani. Anzi, rivendichiamo le cose fatte e vogliamo continuare su questa linea”

“Spero che la mia segreteria non porti a una spaccatura e

farò di tutto per creare un partito unito, dal nord al sud”

“I miei modelli sono Milano, Brescia, Ancona. Qui abbiamo

fatto coalizione, siamo stati aperti e abbiamo vinto. Io voglio fare solo il segretario. È un lavoro che richiede impegno a tempo pieno”

“Stamattina ho visto un anziano che armeggiava

dietro un cassonetto, gli ho chiesto se gli serviva una mano e non si è neanche voltato. L’aspetto più atroce forse è proprio questo: la solitudine di quell’uomo”

“Dietro il Pd c’è una comunità e una rete straordinaria di

circoli che sostiene il partito anche se la classe dirigente non sta indicando una chiara idea del Paese che vogliamo”

“La lega secessionista ora nazionalista non perde

occasione per ricordarci che considera il sud peso morto. Siamo convinti che chi è solidale lo è con tutti, italiani (tutti) e stranieri e chi è egoista (per dirla con eleganza) lo è sempre”

Roberto Giachetti

Nicola Zingaretti

Maurizio Martina

Dario Corallo

“La Commissione nazionale per il Congresso, all’una-nimita’, ha deciso, vista l’esiguita’ dei voti espressi finora, di rendere noto dopo questo fine settimana i dati parziali che saranno certamente piu’ signifi-

cativi tenuto conto che la rilevazione sara’ piu’ importante”. Lo afferma Gianni dal Moro, presidente Commissione nazionale del Congresso. “I Congressi di Circolo svolti dal 7 al 13 gennaio 2019, i cui risultati sono stati comunicati dalle Commissioni provincia-li alla Commissione nazionale per il Congresso, sono infatti 246.

Gli aventi diritto coinvolti in tali Congressi sono stati 10.972 pari al 2,77% del totale. I votanti complessivi risultano essere 5.360 pari a circa il 50% degli aventi diritto”, aggiunge Dal Moro. “E’ evidente che questo dato e’ assolutamente parziale e poco indi-cativo del risultato finale, anche in considerazione del fatto che i 246 congressi sono distribuiti in sole 10 regioni, molte delle quali del Nord. Di conseguenza qualsiasi altro dato diffuso non e’ uffi-ciale”.

Congresso

Francesco Boccia

Maria Saladino

Le voci dei candidati LEGGI SU DEMOCRATICA.COM

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5 giovedì 17 gennaio 2019

L’Italia apra gli occhi su Taiwan

Tanto più dopo il roboante mes-saggio di inizio anno con cui il leader cinese Xi Jinping ha annunciato di volersi riappro-priare dell’isola senza esclu-dere l’utilizzo della forza, o

meglio con “tutti i mezzi necessari contro le attività separatiste di Taiwan e le forze esterne che interferiscono nel processo di riunificazione”. A chi si riferiva? Sicura-mente agli Stati Uniti, a cui Taipei è legata a doppio filo; ma a molti stati che pur ri-spettando la volontà di Pechino, intratten-gono relazioni economiche, commerciali e culturali con l’isola di Formosa.

Quale realtà di fatto sulla scena inter-nazionale, Taiwan opera a tutto cam-po attivando canali di dialogo con so-cietà “like-minded” come quelle europee, nord-americane, quelle nel sud-est asiatico e nella regione Indo-Pacifico e facendo leva su tutte quelle forze, al livello di governo, a quello parlamentare, a quello di società civile che sono vocate al rafforzamento dei valori di libertà e democrazia. Alcuni stati membri della UE come Francia, Germania, Polonia e Olanda, pur senza riconoscimen-to formale, hanno una corposa presenza diplomatica di qualche decina di unità, contro le 5-6 della nostra rappresentanza. Nonostante questo (e grazie anche alla leg-ge che ha eliminato la doppia tassazione tra i due Paesi, voluta e approvata da noi nella scorsa legislatura) l’interscambio tra Roma e Taipei è ormai superiore ai 5 mi-

liardi di dollari con un incremento attorno al 15% annuo.

Per le democrazie occidentali e non solo, risulta facile il dialogo con la nazione in-sulare, che per la prima volta nella sto-ria di uno stato di lingua cinese ha eletto nel 2016 una donna come capo di Stato. Taiwan (dove vive una comunità italiana di poco inferiore alle 800 persone, a cui ne va aggiunto qualche altro centinaio che vi si ferma spesso per lavoro) è una democra-zia liberale, che si muove in un quadro po-litico di forte alternanza tra i conservatori del Kuomintang e i progressisti del Dpp; che riconosce e rispetta tutti i diritti e le li-bertà individuali, a partire da un grado di libertà di stampa, di opinione e di religione che tutti gli indici internazionali collocano al primo posto in Asia e ai vertici a livel-lo globale. La vivace economia taiwanese, tra le prime venti al mondo, è trainata da alcuni settori (su tutti l’ICT) su cui l’Isola è leader mondiale.

La questione centrale e più spinosa, dun-que, rimane anche quella politicamente più rilevante e di interesse internazionale: il rapporto con la Cina continentale, mai così teso come oggi negli ultimi vent’an-ni. Se per Pechino l’accettazione della “One-China Policy” e il Consenso del 1992 (“Una Cina, due interpretazioni”), rappre-sentano una precondizione essenziale ad ogni forma ulteriore di dialogo, a Taipei si persegue invece il mantenimento della condizione attuale, il consolidamento di una identità distinta e del modello politico originale di società aperta e democratica.

Il braccio di ferro con la Cina non sem-bra piacere agli elettori, che nella tornata

di votazioni amministrative del 24 novem-bre scorso hanno lanciato un messaggio negativo al partito della presidente Tsai: la quale per tutta risposta (in vista anche delle presidenziali 2020) ha lasciato la gui-da del partito e in questi giorni dato vita ad un nuovo governo. Se la maggioranza precedente del Kuomintang era stata boc-ciata nelle urne per un eccessivo avvicina-mento a Pechino, ora gli elettori sembrano non gradire la rigidità assoluta nel rappor-to con la Repubblica popolare, che ha già iniziato azioni diplomatiche, politiche ed economiche di ‘rappresaglia’. L’elettora-to taiwanese ha dimostrato di voler prag-maticamente puntare su forze capaci di lavorare con Pechino, ma con la pruden-za di non esporre Taiwan né alla prospet-tiva dell’assorbimento da parte della Cina continentale né al rischio di un potenziale conflitto con essa. In sostanza puntano sul mantenimento dello ‘status quo’.

A questo obiettivo deve tendere la posi-zione italiana ed europea, poichè un con-flitto - come prospettato da Xi Jinping e come confermato da un recentissimo rap-porto del Pentagono – sarebbe drammatico per le popolazioni interessate, ma anche per l’equilibrio globale. Taiwan, infatti, è ormai uno dei punti nevralgici delle rela-zioni sino-americane, uno dei punti bari-centrici del mondo e di un sistema di rap-porti che se venisse incrinato rischierebbe di provocare conseguenze negative per tutti. Potenziare l’attenzione su questa re-altà non deve essere una questione per soli appassionati, ma una linea d’azione anche per tutelare i nostri interessi in quell’area.

Reportage

Marco Di MaioSegue dalla prima

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Un Paese-chiave in una zona nevralgica dei rapporti fra Cina e Stati Uniti

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6 giovedì 17 gennaio 2019

Perché durante la lettura dell’ultimo romanzo, già best seller, di Michel Houellebecq Serotonina (La Nave di Teseo) mi è venuto spesso in mente Il male oscu-ro di Giuseppe Berto, gran libro di cinquant’anni fa di quello scrittore atipico, fuori dal mainstream di allora e oggi un po’ dimenticato? Sono due romanzi

certo diversissimi – appunto, è passato mezzo secolo! – eppure con un punto in comune, più di spessore di quanto non si possa dire con parole semplici: la depressione dell’uomo (del maschio) contemporaneo. Che va di pari passo con la caduta morale della società in cui è immerso. Anche qualcosa di stilistico – ma non siamo certo specialisti – accomuna le due opere, tragiche al fondo ma spesso grottesche, finanche comiche, in superficie. Opere en-trambe misogine, e senza speranza. Avvolte nel brutto. O meglio: nello scadimento di ciò che era stato bello (qui il “pasolinismo” di Houellebecq come rimpianto dell’età dell’oro e di un passato magico).

Diciamo subito che con Serotonina la protesta dei gilet gialli non c’entra niente: quella di affibbiare a Houellebecq capacità divinatorie è stata una riuscita operazione di marke-ting editoriale (era più persuasiva quella effettuata col precedente romanzo, Sottomissione, che descri-veva l’avvento al potere in Francia degli islamici). Lo scrittore francese va ben più a fondo nello scavo del-la grande afflizione del suo Paese: e sebbene vi siano pagine dedicate ad una immaginaria rivolta armata degli agricoltori normanni, ciò va letto come meta-fora grottesca e tragica di una Francia che ha smar-rito completamente la sua identità (in questo senso, contadina: e ci risiamo con Pasolini) ed è diventata non solo più a rischio povertà ma più “brutta”. L’e-stetica accompagna l’etica, il “fuori” si salda al “den-tro”. Luoghi così dolci come la zona della Manche (alta Normandia) sono qui umidi, inospitali, senza un senso: e parliamo delle terre di cui scrissero Cha-teaubriand, Maupassant, Proust, la Normandia dei meli fioriti e del mare a perdita d’occhio. Qui inve-ce al massimo ci sono strade larghe e autogrill, nella solitudine. E persino gli schizzi parigini raccontano di quartieri semiperiferici e grattacieli, e le brasserie non sono posti allegri ma luoghi di conflitto.

Il protagonista-Narratore è dunque un fallito più fallito di quan-to non sembri. Cerca e non trova. Se ne va in giro come un’automa, rimuginando e ancora rimuginando. È un depresso che di fatto

odia le donne, donne che non può soddisfare, donne che qui appaiono per lo più nel modo peggiore possi-bile (e vogliamo tacere su certe pagine francamente eccessive: che Houellebecq sia fissato con il sesso lo si capisce anche senza bisogno di citazioni porno), e la sua fuga da loro è una fuga senza fine e senza speranza, è una fuga dall’amore, dunque dalla vita, e non basterà certo il farmaco che alimenta la sero-tonina per migliorare l’umore a risolvere il dramma esistenziale. Gli scarni personaggi del romanzo paio-no marionette evanescenti non si nelle mani di chi, certo il filo della vita gli è sfuggito di mano da quel dì. La Francia di Houellebecq è tutt’altro che douce: è gelida,cinica. E il romanzo scorre via raccogliendo pagina dopo pagina l’inquietante interrogativo sulla ragione di “esserci”.

Tutto già detto? Certo. Ma la letteratura è così. L’importante è come viene detto: e anche se può può risultare antipatico, Michel Houellebecq riesce ogni volta a dire le cose meglio degli altri, a mostrarsi gran cronista del pavesiano “mestiere di vivere”.

Pensieri e parole

Mario Lavia

“Serotonina”, il male oscuro di Michel Houellebecq

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MichelHouellebecqSerotoninaLa nave di Teseopagg. 332

I gilet gialli non c’entrano nulla, qui si parla della difficoltà di vivere in un tempo come il nostro

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7 giovedì 17 gennaio 2019

La favola non è fuga dalla realtà, puro artificio, una sorta di delirio controllato a beneficio dell’evasione e dell’intrat-tenimento. È qualcosa di molto più serio e metafisico. È un’astrazione lirica, potremmo definirla. Librazione e li-berazione dell’essere. Il lato fantasmagorico di quel sen-timento tragico della vita che già Aristotele nei suoi studi

sulla poetica vedeva allacciati alla pietà e alla paura. Qui invece abbia-mo l’ibridazione, l’iridescenza, il senso della vastità, dell’intimità, della creazione giocosa, l’arte segreta e meravigliosa del Possibile. La catar-si della giustizia, quella indecostruibile, come diceva Derrida. Esatta-mente l’arcobaleno emotivo che ispira Cenerentola On Ice pirotecnica e ipnotica rielaborazione sul ghiaccio della famosa mini-storia per bam-bini e non solo, ad opera della compagnia internazionale The Imperial Ice Stars, fino al 20 gennaio a Roma (Teatro Brancaccio) e dal 22 al 27 gennaio 2019 a Milano (Teatro Arcimboldi).

Stupende interpretazioni di pattinaggio, piroette magistrali ed evo-luzioni aeree vengono eseguite su un palcoscenico ghiacciato tenuto a una temperatura di -15 gradi, in un’elettrizzante combinazione di te-atro e sport. Il cast è composto da 24 campioni olimpici, mondiali ed europei e comprende grandi talenti del pattinaggio russo.

E il racconto, magico, lo conosciamo tutti. La giovane popolana in-canta con le sue movenze il bel figlio di Lord Mayor, lo scapolo più ambito della città, e solo vincendo invidia e sgambetti delle sorellastre e forze occulte da queste scatenate, riuscirà a coronare il suo sogno d’amore col giovane nobile, non prima di aver assaporato cosa signi-fica vivere nell’incantesimo del lusso e degli scintillii regali e tornare all’improvviso agli stracci di una vita da serva. Bellissimo, infatti, è il quadro in cui il perfido Tempo si avvale di dodici ballerini vestiti di oro e tenebra, per altrettante letali ore dell’orologio, che si ricompattano, in una giostra sadica e macabra, nella fatidica Mezzanotte cui l’inno-cente Cenerentola viene issata, quasi impiccata, come soffocante ritor-no all’anonimato e all’umile nascita. Il fulgore dell’amore finale dipana ogni matassa e consacra la lotta, più che un banale e provvidenziale trionfo del Bene. Lo spettacolo è travolgente, quasi tachicardico in al-cune sue coreografie: impone il tormento della fantasia, per come la realtà dentro di noi ne viene sprigionata e spiazzata, per questo risulta armonico nelle metriche e nei rintocchi.

Insomma, una rutilante conferma che favole antiche e moderne, cartoon, gesta di supereroi, duelli cosmici per battere il Male sono tut-to tranne che fuori moda. Fra Ralph Spaccatutto, miti alla Aquaman, transformer, Grinch, creature aliene, l’intramontabile Uomo Ragno, befane, leoncini bianchi e Mary Poppins varie, nelle sale cinematogra-fiche è tutto un profluvio di novelle edificanti e difensori dell’umanità più o meno soprannaturali. E allora perché tanto successo?

“Innanzitutto sfatiamo il mito che il mondo delle fiabe sia un mon-do “fiabesco” – ci avverte Alberto Nutricati, giornalista salentino della Gazzetta del Mezzogiorno, studioso di tradizioni popolari e autore de L’enigma delle fiabe (Edizioni Ghetonia, pagg. 167, euro 18) -. I luoghi descritti dalle fiabe sono spaventosi, terrificanti, agghiaccianti. Le fia-be ci pongono dinanzi alle grandi difficoltà della vita e agli interrogati-vi ultimi dell’esistenza: morte, smarrimento, fuga, rapimenti, omicidi, offese, insidie, ecc. In esse abbondano situazioni raccapriccianti e im-perversano personaggi terribili e pericolosi come orchi, streghe, dra-ghi, re malvagi, ladri, assassini e furfanti di ogni risma. Ma allora qual è il significato profondo delle fiabe? Parlano all’uomo delle sue paure, delle sue ansie e delle sue angosce più profonde e gli indicano, attra-verso una serie di simboli tutti da decifrare, una strada da seguire per poterle affrontare e superare”.

A questo transfert, allora, dobbiamo mirare quando ci identifichia-mo in taluni personaggi onirici o letterari. Mentre, nei media mainstre-am, abbiamo la santificazione di conduttrici che diventano benefattrici dell’amore, del bel canto, dei ricongiungimenti, sulla falsa riga della De Filippi; fiction dove trionfa sempre l’esito più felice e auspicato (è appe-na andata in onda la prima puntata della Dottoressa Giò, sorta di spin off di Barbara D’Urso stessa, che durante Pomeriggio 5 cita le “battaglie” che fa la ginecologa della finzione che, a sua volta, fa le stesse facce e ha gli stessi modi di fare esibiti dalla soubrette ogni giorno su Canale 5); il bisogno di autorevolezza e saggezza che non troviamo nella società e nel suo caos postculturale ci viene scimmiottato dal bieco cinismo dei Masterchef o dagli improbabili giudici delle decine di talent show che imperversano nell’etere. Per non parlare della assoluta rinascita delle telenovelas sudamericane e dell’imminenza del tele-fumettone Adrian con un Celentano in versione graphic novel di cui qualcuno, una volta per sempre, e con metodo foucaultiano magari, dovrebbe dirci come è stato possibile che sia diventato un guru delle “verità” sul potere e sull’amore... Qui abbiamo semplificazioni oscene, riduzionismi della realtà molto convenienti, dualismi stupidi, regimi di illusioni e vere e proprie termoregolazioni degli affetti e del consenso che ci allontana-no da una vera conoscenza spirituale di ciò che ci circonda.

“Le fiabe mediatiche catapultano gli ignari spettatori-ascoltatori in un mondo surrettiziamente “fiabesco” con l’obiettivo di immergere il fruitore-consumatore in una realtà artefatta che promette semplici e appaganti soluzioni a problemi inesistenti – ammonisce Nutricati -. Qui, la fuga dalla prosaica realtà di ogni giorno è, invece, un obietti-vo più o meno esplicito, grazie all’identificazione non già con l’eroe, quanto piuttosto con il divo, in grado di ottenere ciò che vuole talora senza neppure mettere a cimento le proprie forze. Ecco perché le fiabe mediatiche sono false fiabe: il lieto fine è la regola e a vincere è sempre il buono e il bello. Come a significare che il bene – e ci sarebbe da chie-dersi quale bene – vince sempre sul male”. E in questi casi, potremmo dire, il lupo cattivo nemmeno viene ucciso...

Teatro

Carmine Castoro

Altro che Dottoressa Giò e Adrian,ridateci la favola di Cenerentola…

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8 giovedì 17 gennaio 2019

In redazioneCarla Attianese, Patrizio Bagazzini,Giovanni Belfiori, Stefano Cagelli,Maddalena Carlino, Roberto Corvesi, Francesco Gerace, Stefano Minnucci, Agnese Rapicetta

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