Agorà anno 2 n° 2

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Numero 2 Anno II Dicembre 2013 Se l’acqua è poca, la papera non galleggia Periodico di Lettere Roma Tre AGORA

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Periodico della Facoltà di Lettere di Roma Tre

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Numero 2 Anno II Dicembre 2013

Se l’acqua è poca,la papera non

galleggia

Periodico di Lettere Roma Tre

AGORA

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2 AGORA’

Eccovi svelato il segreto; quelle papere,

apparse in tutte le facoltà di RomaTre,

Sapienza e nei diversi quartieri di Roma, non

sono altro che il simbolo di uno slogan. Ne avete

tirate fuori di tutti i colori, dal PD alla fica; la que-

stione invece, dispiace per voi, è seria. Si parla di

DIRITTO ALLO STUDIO.

O meglio di RIFORMA del diritto allo studio.

L’ art. 2 del disegno di legge di Conversione del DL

104 parla di rifinanziamento del Fondo integrativo

statale per la concessione di borse di studio, incre-

mentato nella misura di 100 milioni di euro annui

a partire dal 2014, al fine di una più efficiente pro-

grammazione degli interventi per il diritto allo studio.

La previsione del Fondo Integrativo Statale è ad

oggi di 12, 8 mln di euro per il 2014 e 12, 1 per il

2015, per un totale di 112,8 mln per il 2014, in calo

rispetto ai 150,6 mln (insufficienti) del 2013.

A tale fondo vanno a sommarsi le quote delle

Regioni che, a fronte del d.lgs 68/2012 dovono

essere almeno pari al 40% del fondo statale (45,12

mln). Considerando, dunque, una media di 140 euro

di tassa regionale, che ogni studente paga annual-

mente, tale quota si confermerà la fonte primaria del

finanziamento al Diritto allo Studio nel nostro paese,

con un incidenza superiore al 50 % del finanzia-

mento complessivo. E’ evidente che lo stanziamento

previsto dal Dl 104 sia assolutamente insufficiente.

Riformare il Diritto allo Studio Universitario è

necessario al fine di rendere l’ Università, aperta

a tutti, un ascensore sociale della nostra società

moderna.

Trasporti pubblici, assistenza sanitaria, ristorazione,

accesso ai luoghi di cultura sono servizi di cui tutti

gli studenti fruiscono quotidianamente e indispen-

sabili per la loro vita universitaria.

Ma la spesa che influisce maggiormente sui costi

da sostenere per uno studente fuori sede, è ovvia-

mente l’ alloggio. L’ aumento dei costi di vita

universitaria, uniti al mancato reperimento dei

fondi da destinare ai borsisti fanno dell’ Università

un ostacolo difficilmente superabile per molte

famiglie italiane, e dell’ Italia il paese con meno

UNIVERSITA’

Periodico di informazione e approfondimento a cura di Ricomincio dagli Studenti Lettere e Filosofia

Contatti

338.4586458 (Riccardo)

[email protected]

facebook.com/agora.roma3

yieldroma3.blogspot.it

AGORA

Se l’ acqua è poca, la PAPERA non galleggia.

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Dicembre 2013 3

laureati d’ Europa.

Nel Lazio, e a Roma in particolare, lo studente fuori

sede ha serie difficoltà nell’ accedere ad un alloggio

a condizioni competitive: il prezzo del mercato degli

affitti, il predominio della locazione in nero, lo scarso

numero di alloggi pubblici, e la ristrettezza dei requi-

siti per l’ accesso rendono spesso problematico il

soggiorno per gli universitari.

L’ italia ha a disposizione 46.000 posti letto, a fronte

dei 165.000 della Francia e dei 220.000 della

Germania, cosa che nel fenomeno, tutto italiano, va

a ricreare la figura dell’ idoneo non vincitore.

Nel Lazio le residenze universitarie sono 18, per un

totale di circa 2000 posti letto, di cui solo 1500 circa

sono state effettivamente messe a disposizione nel

2013.

Come ricordato dalla presidente della Camera dei

Deputati, on. Laura Boldrini, durante la cerimonia d’

inizio dell’ Anno Accademico 2013-2014 è giunto il

momento in cui ognuno di noi percepisca ed inter-

preti al meglio il proprio ruolo attivo all’ interno

del sistema universitario, passo quest’ultimo, fon-

damentale al fine di abbandonare lo stereotipo

dello “studente troppo impegnato per seguire e

capire cosa gli succede intorno”. Come Unione

degli Universitari di Roma crediamo sia arrivato il

momento di ricominciare a investire sul diritto allo

studio. Per farlo proponiamo alla Regione un docu-

mento programmatico, con proposte e obiettivi

concreti. Vogliamo che il governo regionale

rispetti gli impegni assunti e che il riassetto di

Laziodisu, al momento commissariata, sia l’occasione

per riformare completamente il diritto allo studio.

Il documento suddetto è composto di numerosi

punti, tra i quali spiccano:

- Piano alloggi: chiediamo la costruzione di nuovi stu-

dentati, la messa a regime di tutti i posti esistenti e,

insieme all’associazione daSud, la destinazione per

il diritto allo studio degli immobili confiscati alla cri-

minalità organizzata;

- Rappresentanza: per sopperire al deficit democra-

tico di cui è affetto Laziodisu chiediamo un consiglio

studentesco di vigilanza eletto su base diretta negli

atenei che emetta pareri obbligatori e vincolanti

sulle decisioni dell’ente;

- Tassa regionale per il diritto allo studio: chiediamo

alla Regione una tassazione più equa, suddividendo

la tassa regionale in fasce di contribuzione così da

assicurarne la proporzionalità in base al reddito;

-Assistenza medica: oggi lo studente fuori sede ha

gravi difficoltà per accedere alle cure mediche di

base; riconoscere lo status di studente significa

anche garantire l’assistenza sanitaria per tutti, attra-

verso ambulatori dedicati.

-Mobilità a portata di studente: implementazione dei

collegamenti con le residenze universitarie e con gli

atenei. Abbattimento dei costi di abbonamento ai

servizi di trasporto

pubblico locale per tutti gli studenti.

- Carta d’accesso ai servizi: unificazione delle varie

tipologie di carte impiegate nei vari atenei attraverso

un’ unico strumento in grado di garantire conven-

zioni e agevolazioni sul territorio agli studenti.

Salva la Papera, migliora il tuo Ateneo..

Riccardo Mariano

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#salvalapapera

Le nostre proposte per una riforma regionale del diritto allo studio

Se l’acqua è poca la papera non galleggia

Che aspetti? Salva la papera anche tu!facebook.com/salvalapapera

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Dicembre 2013 5

Ucraina in protesta tra Russia e UE

Non è servita a nulla la disposizione

del governo ucraino che vietava

qualsiasi forma di manifestazione o

protesta in Piazza dell’Indipendenza a Kiev

fino al 7 gennaio. La popolazione si è river-

sata nelle piazze e nelle strade della capitale

e delle città secondarie per manifestare il pro-

prio malcontento a causa di Viktor Yanukovich,

contrario a qualsiasi di forma di associazione

con l’Ue. I motivi per cui il presidente ucraino

vi è ostile sono puramente economici: per

non incrinare i rapporti col Cremlino e con la

Russia tutta, rifiuta e “congela” la firma per l’ac-

cordo di associazione con l’Ue. Ha provato ad

avanzare la proposta dell’allargamento dell’ac-

cordo alla Russia, richiesta che però l’Unione

Europea non ha potuto soddisfare. E così in più

di 150mila – arrivati da tutto il Paese - hanno

deciso di far rumore e farsi sentire, non curan-

dosi delle “temibili” transenne poste attorno

ad un grande albero di Natale in Piazza dell’In-

dipendenza per scoraggiare qualsiasi forma

di rivolta. Hanno occupato il Municipio della

capitale e tentato di abbattere una statua di

Lenin. Tra loro c’erano liberali, nazionalisti:

la protesta non ha orientamento politico. E

poi c’erano anche loro: le Femen. Il gruppo

di femministe ha fatto parlare di sé non solo

per la “performance” a Kiev dove, in uno dei

monasteri simbolo della città, le ragazze hanno

inneggiato alla destituzione di Yanukovich, ma

anche a Parigi. Nella capitale francese, infatti,

di fronte alla sede dell’ambasciata ucraina

hanno dato il meglio. La notizia l’ho appresa

in modo istantaneo tramite la mia home di

Facebook: Amina Tyler ha condiviso la foto

delle “colleghe” che, col loro tipico topless,

davanti al portone dell’edificio hanno urinato

sulla foto del volto del presidente posta sul

marciapiede, per manifestare il loro disap-

punto con la solita ironia acre. Lo slogan della

protesta? “Yanukovich piss off” Mai interpreta-

zione dell’insulto fu più letterale..

Clorinda Paolucci

ATTUALITA’

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6 AGORA’

Quanto costa fare volontariato?È davvero così difficile cimentarsi in quest’attività?

Di questi tempi fare volontariato

è diventato veramente difficile.

Perché aiutare delle persone

meno fortunate di noi ci r isulta così

complicato? Le organizzazioni di volon-

tariato sono realmente così affidabili

come ci vogliono far credere? Pochi

giorni fa ho incontrato una ragazza che

da sola ha fatto nascere dal nulla un’or-

ganizzazione di volontariato a Roma. Ho

avuto l’onore di poterle rubare un’inter-

vista che racchiude a mio parere il succo

del suo lavoro. Lei si chiama Beatrice e

così come il suo nome, angelica è anche

la causa che porta avanti ormai da un

anno. La sua organizzazione si chiama

“Nuovo Agire”, ma conosciamola più nel

dettaglio:

D: Che cos’è “Nuovo Agire”?

R: “Nuovo Agire” è un movimento di

volontariato giovanile, nato un anno

fa. A seguito di una manifestazione ho

capito che molti giovani erano interes-

sati al mondo del volontariato, quindi il

tutto viene da questa idea: fare da fil-

tro per i ragazzi che vogliono fare del

volontariato, ma non sanno come fare,

non sanno a chi rivolgersi.

D : D a d ove è n a t o i l n o m e “ N u ovo

Agire”?

R: “Nuovo Agire” v iene dal l ’ idea di

pensare al volontariato in una maniera

diversa: sia volontariato inteso come

“fare sociale”, sia inteso come scoprire

una nuova dimensione della vita stessa.

Nelle nostre riunioni avviene un con-

fronto delle varie attività che facciamo,

quindi c’è anche un approccio che ci

permette di entrare in una realtà che

non viviamo in prima persona, ma che

comunque esiste.

D: Come ti sei interessata al sociale?

R: Tutto è stato a causa di un viaggio

che ho fatto quando avevo 17 anni, in

Africa. Da lì appunto è nata l ’ idea di

interessarmi anche di quello che è più

prossimo e vicino a noi senza dover cer-

care “l’altro” in Africa .

D : M i p u o i s p i e g a re i n co s a co n s i -

s t e l ’ a t t i v i t à c h e s vo l ge t e co n p i ù

successo?

R : L’ a t t i v i t à c h e s c a t e n a m a g g i o r

affluenza di pubblico e partecipazione

è quella in cui si coinvolgono i bam-

bini. A tutti piacciono i bambini. Andare

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Dicembre 2013 7nelle case famiglia e regalare un sor-

riso anche ai più piccoli è un’attività

che rende di buon umore tutti. Oppure

altre attività, come ad esempio l’aiuto

alla mensa della Caritas. È proprio da

qui che abbiamo iniziato io e i l mio

gruppo: ti rendi conto che quella è la

realtà sociale più vicina a te.

D: “Nuovo Agire” è un’Onlus?

R: No, è un movimento giovanile, non

c ’è bisogno di fare iscr izioni e non

a b b i a m o b i s o g n o d i s o l d i . L’ u n i c a

cosa di cui abbiamo bisogno è serietà:

quando una persona decide di parte-

cipare e da’ la sua disponibilità deve

realmente att ivarsi , perché ci sono

altri che contano sulla sua presenza.

Si lavora comunque in serenità, non ci

sono problemi tra i volontari. Ognuno

ha la sua vita ma trova sempre, almeno

una volta alla settimana, il tempo e lo

spazio per aiutare chi è meno fortunato.

A noi interessa solo aiutare, poter pene-

trare realmente nelle situazioni sociali

non proprio luminose. Non abbiamo

pregiudizi , abbiamo solo la voglia di

stare insieme ed essere utili in realtà

diverse dalle nostre.

Infine Beatrice mi spiega che hanno un

calendario dove sono racchiuse tutte

le attività, inoltre l’associazione ha un

sito internet (www.nuovoagire.it) e una

pagina Facebook.

Spero che con questa breve intervista vi

sia nata la voglia di approfondire questo

tema. Aiutare facendo del volontariato

può sembrare una scelta coraggiosa. Lo

è. Ma riuscire a contribuire tutti, anche

se in minima parte, non è così utopico...

basta ricordarsi che in realtà la vita è

tutta una social catena.

Elena Lazzari

Numero di telefono di Beatrice (per

chiunque fosse interessato a Nuovo

Agire): 3385047187

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8 AGORA’

JFK, il poeta della politica

La storia della famiglia Kennedy sem-

bra essere una storia romanzata;

nessuno, nemmeno il più fantasioso

degli scrittori, avrebbe potuto immagi-

narne le vicende, gli intrecci e il destino.

I Kennedy sono stati politici vincenti

e mariti traditori, abili conferenzieri e

uomini molto sfortunati. Cinquanta anni fa

moriva John, il più famoso della famiglia,

probabilmente il presidente più amato

dagli americani. Carismatico, affascinante,

misterioso. Il suo nome è leggenda, ini-

ziata alle 12:30 del 22 novembre 1963 a

Dallas, quando Lee Oswald pose fine alla

sua esistenza. Sulla morte di JFK sono

stati scritti migliaia di libri, ecco per-

ché non ho intenzione di parlare di essa.

Quello che mi interessa è fare, in breve,

una ricostruzione degli anni di presidenza

Kennedy, senza un’inutile retorica. Fu

eletto l’8 novembre in una competizione

molto serrata con Nixon (fondamentale

fu sicuramente l’appoggio economico

del padre, Patrick Kennedy, affarista con

pochi scrupoli). All’età di 43 anni divenne

così il primo presidente cattolico ed il più

giovane mai eletto. Sentiva la necessità

di una svolta nel mondo statunitense, un

bisogno di progresso che rendesse rea-

lizzabile per tutti il cosiddetto “sogno

americano”. Tutte queste idee erano

alla base della “Nuova Frontiera”, il pro-

gramma politico che si proponeva di

realizzare: lotta contro la povertà e la

Page 9: Agorà anno 2 n° 2

Dicembre 2013 9disoccupazione, leggi a favore dell’istru-

zione e contro la discriminazione razziale.

Se in politica interna ottenne grandi suc-

cessi, la sua posizione in politica estera fu

decisamente ambigua. Si dichiarò a favore

di un programma di distensione nei rap-

porti con l’URSS ma poi, insieme allo Stato

Maggiore americano, appoggiò lo sbarco

di controrivoluzionari addestrati nella

Baia dei Porci a Cuba, con il tentativo di

deporre il governo comunista di Castro.

Ma la spedizione si rivelò un disastro.

Mosca espresse la sua aperta solidarietà

a Castro, facendo costruire delle rampe di

missili nucleari sull’isola. Quando nell’Ot-

tobre 1962 un aereo spia americano le

individuò, Kennedy allarmò gli Stati Uniti;

fu ordinato il blocco navale attorno a

Cuba, ma Kruscev, saggiamente, non lo

fece forzare. Se avesse fatto diversamente

avrebbe provocato lo scoppio della terza

guerra mondiale. Ecco in sintesi i mille

giorni di JFK al potere. Sicuramente rivolu-

zionari. Anche per la ventata di aria nuova

che sua moglie Jacqueline portò alla Casa

Bianca. I due sembravano una coppia

Hollywoodiana: influenzarono la moda

dell’epoca e le loro fotografie compari-

vano spesso nei rotocalchi. Ciò che mi ha

sempre affascinato di John Kennedy sono

queste sue parole: “Non chiedete cosa

può fare il vostro Paese per voi: chiedete

cosa potete fare voi per il vostro paese”,

“l’ umanità deve porre fine alla guerra, o

la guerra porrà fine all’umanità “, “se una

libera società non può aiutare i molti che

sono poveri, non dovrebbe salvare i pochi

che sono ricchi”. Lo definirei il poeta

della politica. Così come lo è stato suo

fratello Robert (Ministro della Giustizia

durante il mandato di John) assassinato a

Los Angeles, l’altra Dallas. Il suo celebre

discorso sul PIL “che non tiene conto della

salute dei ragazzi, della qualità della loro

educazione, che non include la bellezza

delle poesie, che non misura né l’ingegno,

né il coraggio; misura tutto, eccetto quello

che rende la vita degna di essere vissuta”

rimane il più bel discorso che abbia mai

sentito da un politico. Quei mille giorni

di governo Kennedy hanno segnato una

svolta decisiva nella storia dell’umanità

intera. E di JFK lo stesso Fidel Castro disse:

“Credo che fosse un uomo pieno di entu-

siasmo, molto intelligente, con un carisma

innato, che cercava sempre di fare cose

positive. Commise degli errori, ma ritengo

che sia stato un uomo coraggioso capace

di correggersi e abbastanza coraggioso

da introdurre cambiamenti nella politica

degli Stati Uniti”.

Antonio Cerquitelli

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10 AGORA’

Come pidocchi

Recentemente mi è capitato di vedere

una puntata della serie tv demen-

ziale, ma a tratti geniale, “South

Park”. La puntata racconta di una civiltà

di pidocchi che si è formata sulla testa di

uno dei bambini protagonisti e che viene

presentata come una civiltà molto simile

a quella attuale. D’un tratto un pidocchio

si accorge che nel suo mondo avvengono

cambiamenti repentini e disastrosi che la

massa dei pidocchi continua a considerare

all’interno di un ordine naturale di eventi.

Da questo momento il pidocchio inizia a

sviluppare l’idea di essere un parassita di

un altro essere vivente, ma nel momento in

cui cerca di convincere il resto dei pidocchi

di tutto ciò, viene esclusivamente deriso.

Avrà presto però il modo di dimostrare

la giustizia della sua supposizione: uno

shampoo antipidocchi eliminerà una buona

parte della popolazione, costringendo il

mitico pidocchio a cercare una via d’uscita

aggrappandosi alla zampa di una mosca,

che lo porterà in una “nuova civiltà”. Oltre

alle risate, questa puntata mi ha fatto

pensare alla situazione odierna: scien-

ziati ed esperti di tutti i tipi (non un solo

pidocchio) ripetono a gran voce quanto la

nostra presenza sulla terra sia sempre più

insostenibile; il paradigma di crescita che

continuiamo a sostenere non tiene conto

della devastazione della natura e dell’im-

poverimento degli ecosistemi, considerati

invece semplici esternalità. Ma la cosa

APPROFONDIMENTI

Page 11: Agorà anno 2 n° 2

Dicembre 2013 11che a mio parere è più inquietante e non

giustificabile è quanto le istituzioni (inter-

nazionali, devono essere prese da tutti)

continuino a sostenere questo meccani-

smo di autodistruzione senza battere ciglia.

Hanno perso il ruolo di rappresentanza dei

cittadini, più o meno tutti interessati a non

morire per lo schifo che hanno respirato

o per un disastro ambientale, quanto più

casuale esso sia. Non possiamo attribuire

ad un’ignoranza questa mancanza: poche

settimane fa, la Segretaria esecutiva della

Convenzione sul Clima delle Nazioni Unite,

Christina Figueres, durante una conferenza

stampa, è scoppiata in un pianto incon-

trollabile nel denunciare che i paesi non

fanno quasi nulla per l’adattamento e la

mitigazione del riscaldamento globale, è

piuttosto un far finta di non vedere. La

dimostrazione di tutto ciò è avvenuta al

vertice che si è tenuto a Varsavia tra l’11 e

il 22 Novembre. Hanno partecipato all’in-

contro 192 paesi ma, invece di diventare

un occasione per unirsi e cercare di cre-

are una politica comune per mettere fine

quanto meno alla proliferazione di indu-

strie estrattive e proiettarsi verso il futuro

(in qualsiasi salsa esso possa essere inteso,

sicuramente dovrà prevedere un supera-

mento dell’industria estrattiva, base del

nostro sviluppo dalla seconda rivoluzione

industriale),ha invece visto la partecipa-

zione di proprietari di miniere di carbone,

molti azionisti delle multinazionali del

petrol io o della s iderurgia al imentata

con i l carbone, di aziende di automo-

bili e altri. Ovviamente non è stata presa

nessuna decisione importante, ma ci si è

limitati ancora una volta a “rimandare” al

vertice che si terrà a Parigi nel 2015. Gli

interessi sono altissimi, ma più passa il

tempo, più i l cambiamento che si pro-

fila diventa rivoluzionario, le misure che

potevano essere sufficienti venti anni fa

adesso non lo sarebbero più. Non solo ma

secondo la piattaforma di Durban, appro-

vata nel 2011, il piano di attuazione di

una riduzione delle emissioni del carbonio

sarà varato nel 2015 e attivo a partire dal

2020. Per i climatologi questi sette anni

lascerebbero un “pericoloso vuoto”, che

metterebbe regioni come quelle insulari

(vedi Filippine) in prima linea di fronte ai

cambiamenti climatici. Quel che sarà non

ci è dato saperlo ma chissà se riusciremo

a reggere l’urto dell’essere vivente terra

se dovessimo diventare per questa come

pidocchi, parassiti, o meglio ancora cellule

tumorali come ha scritto Leonardo Boff,

filosofo e teologo brasiliano.

Michele Bandiera

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12 AGORA’

Cirque du Soleil“Evoke imagination, invoke senses, pro-

voke emotions”. Questo è il Cirque du

Soleil . Nato nel 1984 da un’idea del

giovane e lungimirante Guy Laliberté, si

tratta di un circo di mimo, acrobazie, gio-

coleria. Il ventitreenne Guy, musicista

e mangiafuoco ambulante di Montreal,

durante un viaggio a Las Vegas conosce

un miliardario che, colpito dalla sua idea,

decide di finanziare il progetto, unico

nella sua straordinarietà. A distanza di

29 anni, Laliberté è oggi perennemente

iscritto nella lista di Forbes degli uomini

più ricchi del mondo e il Cirque du Soleil

è l ’azienda più importante a l ivello

internazionale in questo campo. Conta,

infatti, circa 5000 impiegati, di 50 nazio-

nalità differenti, che parlano più di 25

lingue.

Il Cirque du Soleil è una realtà molto

part icolare che non ha nul la a che

vedere con la tradizionale idea di arte

circense. Assistere a una sua rappre-

sentazione significa abbandonarsi a

una magia assai particolare: costumi,

luci e acrobazie, tutto contribuisce a

catapultare lo spettatore in un mondo

di favola. Ogni show ha una trama cen-

trale, come l ’ incontro tra Oriente e

Occidente, rappresentato in Dralion,

esibizione replicata a Roma per ben otto

serate. I due mondi sono rappresentati

da un drago e un leone che agiscono

e si fondono in un’unica creatura ani-

mata dai corpi degli artisti. Prendono

vita i quattro elementi costitutivi della

Natura, ciascuno legato ad un colore:

il blu per l’aria, il verde per l’acqua, il

rosso per il fuoco, l ’ocra per la terra.

Peculiarità importante, oltre alla totale

assenza di animali, è anche la musica: le

colonne sonore sono sempre eseguite

dal vivo, con la fusione di stili diversi.

Per novanta minuti sembra di vivere in

un universo parallelo, tutto ciò che ci

circonda diventa invisibile, la nostra

attenzione si concentra unicamente su

questi uomini volanti, saltatori, esperti

del nastro. Ogni definizione diventa ina-

deguata quando si parla del Cirque du

Soleil. Lo spettacolo supera i sogni e le

fantasie più ambiziose: colori, musica

e figure che formano un caleidoscopio

infinito che cambia in continuazione,

sorprendendo ogni volta anche le menti

dotate della più fervida immaginazione.

Isotta Rodriguez Pereira

Page 13: Agorà anno 2 n° 2

Dicembre 2013 13CULTURA

“Tame Impala make psychedelic

hypno-groove melodic rock music.’’ Questo è quello che si può leggere sul sito

ufficiale dei Tame Impala, un gruppo che

sta iniziando ad avere una diffusione e un

bacino sempre più ampio. La coverband

liceale di Perth, Australia, ha pubblicato

due Cd, Innerspeaker (2010) e Lonerism

(2012), ed è ormai una delle band inde-

pendent più promettenti. L’incontro dtra

Kevin Parke e Dom Simper è l ’ inizio di

una collaborazione che allargherà le pro-

prie file, includendo nel 2007 il bassista

Jay Watson. Due mesi dopo la   Modular

Recordings produrrà il primo EP della band:

‘Tame Impala’, che darà il nome al gruppo.

La loro musica è stata inizialmente diffusa

tramite il web e due anni dopo arriva il

primo cd, Innerspeaker. Il cd raggiunge la

vetta delle classifica indipendente e il 4°

posto in quella australiana. La poesia del

ritmo dei Beatles e una psichedelia all’al-

tezza della scena inglese negli anni ’60 e

‘70 sono solo alcuni dei tratti che si pos-

sono notare nelle canzoni dei Tame Impala.

Brani come ‘Elephant’, ‘Feels Like We Only

Go Backwards’’ sembrano quasi volerci

spingere sul bus del Magical Mystery Tour

dei Beatles, mentre non passa in secondo

piano il tentativo di proporre il rock clas-

sico in nuove forme, come in ‘Flow’ e ‘Half

Full Glass Of Wine’. Anche il loro stesso

aspetto ricorda le figure di Eric Clapton

negli Yardbirs o di giovani David Gilmour

alla chitarra. C’è da chiedersi se sia un

tuffo nel passato per i fans e gli ascoltatori,

o piuttosto se siano gli stessi Tame Impala

dei ‘pionieri del tempo’, capaci di toccare

corde antiche e forse (qualcuno dirà) stan-

tie, radicate in quelle persone che hanno

nel rock classico il proprio rifermento. In

ogni caso, a nostro avviso, all’ascolto, tutto

sembrano, tranne che scontati. Qualcuno

sembra averlo capito: tre date sono in

arrivo in Italia tra luglio e agosto 2014. È

però sull’evento del 23-24 marzo 2014 al

Finsbury Park di Londra che vorrei porre

l’attenzione: in questi due giorni i Tame

Impala divideranno il palco con uno dei

gruppi più popolari del momento, i feno-

menali Arctic Monkeys . Insomma, dopo

solo due album il gruppo australiano già si

trova a girare il globo per portare la pro-

pria musica e le proprie novità, per di più

al fianco dei magnati del nuovo rock: pro-

mettono più che bene, e questo è quello

che ci piace.

‘ B a s i c a l l y i t ’ s a l l a b o u t t h e fe e l i n g ’ ,

richiama..

Enrico Milazzo

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14 AGORA’

L’insolita ed emozionante opera prima di Pif

Come tutte le ragazze nate negli

anni novanta, ho conosciuto la

mafia tra i banchi di scuola e

attraverso i racconti della tv e dei “crime

movie” dove i criminali , impersonati

da attori di bell’aspetto, compiendo il

male trasmettevano paradossalmente

uno strano fascino a gran parte del pub-

blico. Crescendo, la consapevolezza

della realtà è arrivata e con essa anche

il risveglio. Parlando proprio di risveglio,

nelle ultime settimane un film è riuscito

a discostarsi dall’idea stereotipata della

mafia e ha portato un senso di realtà e

consapevolezza nelle sale cinemato-

grafiche. Al cinema è infatti approdato

un t imido personaggio televisivo. I l

suo nome è Pierfrancesco Diliberto, in

arte Pif, conosciuto al grande pubblico

prima come inviato de “Le Iene” e poi

per il suo programma “Il Testimone” in

onda su Mtv. Pif con “La mafia uccide

solo d’estate” di cui è ideatore, regista

e interprete, ha tentato di ridicolizzare

il fenomeno mafioso, rendendo i prota-

gonisti delle guerre di mafia, persone

buffe, ilari, sulle quali è possibile ridere.

L’esordio cinematografico di Pif, il quale

arrivato all’età di 40 anni ha finalmente

esaudito il sogno giovanile di diven-

tare regista, racconta la mafia tramite

lo sguardo di chi è stato bambino nella

Palermo degli anni ‘70. Il protagonista

della storia è Arturo (Pif) , concepito

i l giorno in cui Totò Riina, Bernardo

Provenzano e Calogero Bagarella com-

misero la Strage di Viale Lazio. Da quel

momento la sua vita a Palermo sarà

inconsapevolmente vissuta in contempo-

ranea ai crimini di una mafia strisciante

Page 15: Agorà anno 2 n° 2

Dicembre 2013 15e ignorata da gran parte dei cittadini.

Arturo vive le sue vicende tra gli anni

‘70 e ‘90, come tutti vive la quotidianità,

anche se in piena guerra di mafia: va a

scuola, si innamora della piccola Flora

(Cristiana Capotondi). Il giovane, con

il candore di un bambino prima, e uno

sguardo curioso in età adulta, comincia

a distaccarsi dall’indifferenza dei suoi

concittadini e dall’idea di quel “feno-

meno” che “uccide solo d’estate” o per

questioni “de femmene”. L’amore per

Flora e la vocazione per il giornalismo,

lo porteranno da ammiratore del “Divo”,

Andreotti, ad un percorso fino alla verità,

incontrando sulla sua strada alcuni degli

eroi della lotta contro la mafia: il gene-

rale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Boris

Giuliano, Rocco Chinnici. Il film è una

sorta di autobiografia che rimarca l’im-

pegno civile di Diliberto, già visto in

molte puntate del suo “Testimone”. La

pellicola è stata girata a Palermo (con i

fondi della Regione Lazio), con l’impe-

gno della produzione di non pagare il

pizzo, portando così avanti la campagna

dell’associazione ADDIOPIZZO, unione di

donne e uomini commercianti e consu-

matori che lottano a modo loro contro

la mafia. “La Mafia uccide solo d’estate”,

è un racconto che si impone nel cuore,

una storia dotata di morale, un’opera

che non solo fa ridere, ma commuove

e aiuta a riflettere con una leggerezza

che solo Pif nel suo insolito modo di

raccontare riesce a donare. L’intento di

questa favola dolce ed amara, forse, è di

lasciarci un importante insegnamento

da poter trasmettere un giorno ai nostri

figli, o a chi verrà dopo di noi. La cosa

più importante che possiamo fare per i

bambini, e non solo, è svegliarli, renderli

consapevoli del fatto che anche il male

esiste, poiché la miglior difesa è la com-

prensione della malvagità; solo la verità

può rendere delle persone dormienti

libere. È solo grazie a quelle persone

che si sono “svegliate” e che sono morte

per noi, che adesso si ha il coraggio di

gridare la parola mafia e non si ignora

più la sua esistenza. Vi invito ad andare

al cinema, a sostenere questo film che

merita di essere visto, e anche, perché

no, di essere portato nelle scuole con

l’obiettivo di far conoscere in un modo

innovativo uno stralcio della storia ita-

l iana. Vi lascio dunque pensare con

questa frase tratta dalla scena finale

del film: “Quando sono diventato padre

ho capito due cose: la prima è che avrei

dovuto difendere mio figlio dalla malva-

gità del mondo. La seconda è che avrei

dovuto insegnargli a distinguerla”.

  Paola Murolo

Page 16: Agorà anno 2 n° 2

16 AGORA’

Di ucronie e steampunk Viaggio nella letteratura di genere

Internet è un posto veramente meraviglioso,

per quanto virtuale sia. Facebook e Youtube

sono forse i due esempi più significativi di

quanto la rete possa offrire ai curiosi che cer-

cano di tutto sul web. Senza esagerare e con

un velo di ironia potremmo dire che anche

l’istruzione per costruire una bomba atomica

potrebbe risultare facilmente reperibile sul

web (cosa che da anni mio padre ripete con con-

vinzione). Potremmo trovare il mercato delle

droghe o un sito che parli di ucronie, ad esem-

pio. Le ucronie, dal greco ou (non) e chronos

(tempo), sono sostanzialmente delle non-realtà

temporali, degli avvenimenti che per caso non

sono successi, come d’altronde quello che è suc-

cesso veramente. Il discorso è un po’ contorto,

ma andiamo per ordine: parte della letteratura

non necessariamente fantascientifica si basa,

dai tempi di Tito Livio, sul chiedersi come sareb-

bero andati gli eventi futuri se qualcuno avesse

preso decisioni diverse da quelle che in realtà

ha preso. Ciò crea una infinità di cosiddette

realtà parallele, o alternative dove ad esem-

pio l’Impero Romano è tuttora vivo, attivo e la

cui espansione ha raggiunto il Canada (ne par-

lerò dopo), oppure dove Mussolini non invade

Page 17: Agorà anno 2 n° 2

Dicembre 2013 17

l’Etiopia, resta alleato all’Intesa e la sua ditta-

tura rimane in piedi fino agli anni ‘80, o ancora

dove Hitler riesce ad avere successo come

pittore e nel 2013 alternativo un suo quadro

è valutato milioni di dollari. Tutto ciò ha delle

implicazioni, ovviamente. Chi crede nel destino

è, senza mezzi termini, fottuto: noi siamo i

padroni delle nostre scelte e ciò che siamo

in questo momento è solo frutto delle nostre

scelte e/o, cosa che mette paura all’uomo sin

dai primordi del pensiero filosofico, del caso. È

un caso che esistiamo, se i nostri genitori non si

fossero mai incontrati in quella discoteca non

saremmo mai nati, ma esisterebbe un qualcuno

simile a noi. O al contrario, noi esisteremmo ma

saremmo completamente diversi: in una realtà

alternativa siamo andati nella scuola Y invece

che nella scuola X dove siamo andati nella

nostra realtà, abbiamo conosciuto altre persone,

abbiamo avuto diversi stimoli dall’esterno (che

sono ciò che forma essenzialmente una per-

sona) e di conseguenza siamo cresciuti con altri

interessi diventando totalmente altre persone

da quelle che siamo qui e ora. Non solo, in una

realtà alternativa la tecnologia potrebbe essere

stata sviluppata prima di quanto effettivamente

successo nella nostra realtà. Lo steampunk è il

genere che tratta queste interessanti questioni:

i libri, gli anime e i film di questo genere sono

in genere ambientati nella Londra vittoriana, o

comunque in generale a fine Ottocento, e pre-

sentano le moderne tecnologie rivisitate in

chiave retrò: un computer fatto in vetro, legno

e acciaio per esempio. In un giornale del 2013

alternativo potremmo tranquillamente leggere

che mancano 20 giorni alla Festa del Sole, in

quanto il Cristianesimo non ha mai preso piede

perché stroncato subito dai vari imperatori

romani e l’Impero si è dissolto per cause pura-

mente economiche. Nondimeno, in una realtà

parallela la lingua, tutto quello che abbiamo

davanti agli occhi, tutto quello che a noi sembra

scontato e usuale potrebbe essere leggermente

o radicalmente diverso, frutto del diverso “per-

corso” che ha avuto: le automobili potrebbero

andare a energia elettrica, idrogeno o anche

acqua, e potrebbero non chiamarsi neanche

così. Come per esempio in Romanitas, una trilo-

gia di romanzi ambientata ai giorni nostri dove

l’Impero Romano non ha mai conosciuto la crisi

del terzo secolo grazie al duro lavoro di Publio

Elvio Pertinace: in questa strana realtà esistono

il telefono, l’automobile e la televisione, ma si

chiamano rispettivamente longdictor, autoki

(da autokinetica) e longvisio, ovvero traduzioni

letterali dal latino o dal greco del termine ita-

liano. Le automobili non hanno marca, sono

prodotte dallo Stato e sono ornate da stemmi

familiari e da decorazioni perfettamente in

linea con quelle che potremmo vedere in affre-

schi dell’epoca romana. Una delle domande che

si pone il genere umano da più tempo in asso-

luto è se siamo soli nell’universo, se c’è qualcun

altro lì fuori. Non siamo soli, ci sono altri noi là

fuori.

Valerio Petrella

Page 18: Agorà anno 2 n° 2

18 AGORA’

Tattoo: una cultura distrutta dalla moda

Se pensate che i tatuaggi siano qualcosa di

moderno sbagliate !!

Nelle grandi civiltà del passato riscontriamo

evidenti tracce di questa tecnica decorativa del corpo.

I Celti adoravano divinità animali e in segno di devo-

zione si tatuavano i loro simboli. Nell’ Antica Roma il

tatuaggio era adoperato per marchiare i criminali. In

Britannia i guerrieri più valorosi portavano tatuaggi

come segni distintivi d’onore e valore, fattore che

influenzò molti soldati romani, i quali ammirando la

forza e l’audacia del nemico cominciarono a tatuarsi

i simboli delle proprie legioni d’appartenenza. Le

popolazioni indigene delle isole del Pacifico, venute

a contatto con i marinai europei nel 1700, trasmette-

ranno a quest’ultimi il grande valore culturale che esse

attribuivano al tatuaggio.

In periodi di particolare dolore, gli Hawaiani si tatua-

vano tre punti sulla lingua. A Samoa era diffuso il “pe’a”,

tatuaggio su tutto il corpo che richiedeva 5 giorni di

sopportazione al dolore,che veniva considerato come

grande prova di coraggio e forza interiore. Coloro i

quali riuscivano nell’impresa venivano onorati con

grandi festeggiamenti.

In Nuova Zelanda i Maori firmavano i loro trattati

disegnando fedeli repliche dei loro “moko”, tatuaggi

facciali personalizzati. La parola “tattoo” etimologica-

mente deriva dal polinesiano “tau-tau”. Fu Il Capitano

inglese James Cook nel 1769, mentre annotava usi e

costumi delle popolazioni indigene, a scrivere per la

prima volta la parola “tattow” poi destinata a diven-

tare “tattoo”.

In giapponese i tatuaggi sono chiamati irezumi (ireru

>inserire; sumi > inchiostro nero) o horimono (horu

>inscrivere; mono >qualcosa) Nel paese del Sol

Levante il tatuaggio era praticato fin dal 5° secolo

a.C per marchiare i condannati, ma anche per scopi

Page 19: Agorà anno 2 n° 2

Dicembre 2013 19estetici o magici. In Giappone vi erano dure leggi che

vietavano ai ceti più bassi della popolazione di portare

kimoni decorati. In segno di ribellione molti comincia-

rono a portare, nascosti sotto i vestiti, enormi tatuaggi

che coprivano tutto il corpo. Nel 1870 il Governo nip-

ponico dichiarò illegale questa pratica, ma il tatuaggio

continuò segretamente a esistere. Da qui deriva la

famosa tradizione appartenente alla Yakuza, la mafia

giapponese, nella quale i membri sono soliti tatuarsi

gran parte del corpo per rappresentare conflitti o par-

ticolari caratteristiche e qualità.

Il primo grande passo per la diffusione del tatuaggio si

ebbe nel 1891, quando il newyorkese Samuel O’Reilly

inventa e brevetta la prima macchinetta elettrica per

il tatuaggio. Per molto tempo questa pratica riguarda

solamente piccole e determinate fasce delle popola-

zione; minoranze etniche, carcerati, criminali o veterani

di guerra. Solamente negli anni ’70 e ’80 è iniziata una

progressiva diffusione del fenomeno soprattutto

grazie a punk, hippy e motociclisti. Spesso conside-

rati come simbolo di disagio e arretratezza mentale

(concetti non ancora pienamente superati), questa

forma d’arte, spesso utilizzata come ribellione e pro-

testa verso i vecchi e rigidi concetti morali presenti

alla base della società, ha poi interessato tutti gli strati

sociali e le fasce d’età. Ad oggi solo in parte sono stati

superati determinati taboo. In alcuni Paesi,soprattutto

del Vecchio Continente, sono presenti ancora fortis-

simi pregiudizi riguardanti i cosiddetti ”tatuati” tanto

da negare loro l’accesso a un cospicuo numero di

professioni.

Nel nostro Paese è fra gli anni ‘70 e gli anni ‘80 che

compaiono i primi tatuatori professionisti dando il via

a una grande crescita di tutto il movimento. Ad oggi

sono oltre 1000 le imprese che si occupano di tatuaggi

per un giro di affari che supera i 90 milioni di euro.

In Italia le persone tatuate sono circa un milione e

mezzo, cioè una media di 3 italiani su 100.

Ben presenti e fortemente radicati sono i pregiudizi

presenti nel Bel paese, che investono soprattutto i gio-

vani in determinate categorie lavorative.

Al giorno d’oggi tatuarsi è divenuta una pratica molto

comune,tanto che vien da chiedersi : si tratta di una

vera passione o semplicemente della moda del

momento ??

Entrando nello studio di un tatuatore qualsiasi e guar-

dando i suoi lavori, ci si può rendere facilmente conto

di quanto la maggior parte dei tatuaggi sia spavento-

samente uguale.

I tattoo dovrebbero rappresentare qualcosa di estre-

mamente soggettivo, quindi la domanda sorge

spontanea: ha forse senso tatuarsi per moda?.La moda

passa, i tatuaggi restano, tuttavia non tutti sembra

abbiano afferrato il concetto.Che senso ha farsi raffigu-

rare sulla pelle simboli fortemente tradizionali come

quelli Maori o della cultura giapponese se non se ne

conosce il vero e ricco significato per quelle popola-

zioni? Siamo arrivati al punto da dover ritenere i veri

anti-conformisti tutti quelli che non hanno tattoo?

Possibile che qualcosa di così importante come “mar-

chiarsi” la pelle per sempre venga ridotto

spesso a puro decorativismo?

A quanto pare l’estetismo sfrenato della società

odierna è riuscito a intaccare anche la splendida e

secolare tradizione del “tau-tau”.

Daniele Abbatini

Page 20: Agorà anno 2 n° 2

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