Africa 05-2013 Settembre-Ottobre 2013

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www.missionaridafrica.org n.5 settembre-ottobre 2013 Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano. anno 91 Africa

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Africa Missione e Cultura - Bimestrale di informazione e cultura africana edito dai Padri Bianchi - In questo numero il grave problema dell'obesità in Africa: i bambini sovrappeso stanno diventando un fenomeno sociale allarmante. È un effetto perverso dello sviluppo

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Generazione XXLGenerazione XXLGenerazione XXLGenerazione XXLGenerazione XXLGenerazione XXLGenerazione XXLGenerazione XXLGenerazione XXLGenerazione XXLGenerazione XXLGenerazione XXLAfrica

ZambiaZambia

Missione Zambesi

Somalia

A cacciadi pirati

Ghana

La città della boxe

Etiopia

L’ospedale volante

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Quando: sabato 23 e domenica 24 novembre 2013Dove: redazione Africa, Treviglio (BG)Quota di partecipazione: 200 euro, studenti 150 euroNumero partecipanti: 30

Dialoghi sull’AfricaUn weekend di incontri per capire, conoscere e confrontarsi

Claudio Agostoni, giornalista a Radio PopolareMarco Aime, antropologoValentina Furlanetto, giornalista a Radio 24Francoise Kankindi, Ass. Bene RwandaElisa Kidanè, missionaria e giornalista

Geneviève Makaping, giornalista e antropologaRaffaele Masto, scrittore e giornalista Marco Pastonesi, giornalista a La Gazzetta dello SportAlberto Salza, antropologoPietro Veronese, giornalista a la Repubblica

Info: [email protected] 334.2440655 www.missionaridafrica.org

I primi 8 iscritti possono fruire dell’ospitalità, semplice ma gratuita,

offerta dai missionari Padri Bianchi

3a edizione

A. S

empl

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violenza che è l’espressione di un impossibile compro-messo tra i politici, quelli interni e quelli esterni al Paese.

I due campiL’impossibile compromes-so, a livello politico, è quel-lo tra chi vuole una società laica, con una religione non invadente, e chi invece aspira a uno Stato confes-sionale. Questi ultimi possono con-tare su un’organizzazione come i Fratelli Musulma-ni che, nel dopo-Mubarak, hanno formato un partito politico, il Partito Libertà e Giustizia, di cui Morsi era il capo prima di essere elet-to Presidente. Illegali ma tollerati ai tempi di Muba-rak, i Fratelli Musulmani si fanno forti di una dif-fusa attività caritativa e di beneficenza che ha procu-rato loro milioni di segua-ci, complice anche la crisi economica che in Egitto ha picchiato duro. Quelli che invece aspirano a una so-cietà laica hanno una

rappresentanza politica indebolita dalla frammen-tazione in una molteplicità di partiti. Sanno benissimo cosa non vogliono, ma fan-no fatica ad avere un pro-getto, un programma. E dei leader all’altezza. Quando questi fautori di una socie-tà laica hanno vinto (prima contro Mubarak e poi con-tro Morsi) lo hanno fatto perché l’esercito ha ritenu-to oggettivamente utile una loro vittoria.

L’esercitoGià, l’esercito! Un esercito con privilegi inaccettabili, pur rappresentando certa-mente la stabilità politica. I generali che, peraltro, già nell’era Mubarak era-no i veri gestori del Paese, sono intervenuti per salva-guardare i propri privilegi. Anche se bisogna ammet-tere che sono dalla parte del popolo, della gente nor-male, la maggioranza cioè, e che non sono interessati a governare. Purtroppo, le scene di repressione che abbiamo visto in tivù fan-

no dei generali una sorta di mostro sanguinario con il quale è impossibile schie-rarsi.

Leader illuminatiIn realtà il problema dell’E-gitto - come di molti Paesi arabi lacerati da tensioni interne - è che avrebbe bi-sogno di politici illumina-ti, di leader che abbiano a cuore le sorti del loro popo-lo e che per questo motivo sappiano muovere leve e toccare nervi sensibili per far nascere dalla società il cambiamento; di leader che sappiano contare sui buoni sentimenti che di solito, come dicevamo all’inizio, risiedono negli animi del popolo, della gente comu-ne, più capace di accettare compromessi di quanto lo siano i politici navigati o, peggio ancora, cinici e op-portunisti. L’Egitto ci dimostra, anco-ra una volta, che, a soffiare sulle divisioni del popolo e a sfruttarle, si possono pro-vocare disastri dai quali poi è difficile uscire. •

L’Egitto è la dimostra-zione di quanto il popolo, spesso, sia

lontano dalla politica. Qua-si certamente una buona parte della cosiddetta gente comune è stanca di quanto sta succedendo: precarie-tà, manifestazioni, scontri, violenze. Non solo: di soli-to la gente comune è molto più capace dei politici di vi-vere insieme. Intendo dire che la grande maggioran-za musulmana dell’Egitto non avrebbe mai bruciato le decine di chiese cristiane del Paese. A rigor del vero, in certi luoghi i musulma-ni hanno aiutato i cristiani a difendere chiese e altre istituzioni. Intendo dire ancora che i musulmani più praticanti non disde-gnano di vivere a contatto con giovani che invece vo-gliono più laicità, come av-viene in qualunque società dove la tradizione cerca di resistere al “nuovo” che avanza. Eppure, su queste contraddizioni, l’Egitto è saltato letteralmente per aria, precipitando in una

editoriale

Compromesso impossibile

di Raffaele Masto

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sommario

lo scatto24. Rabbia e repressione Egitto

38. Strage silenziosa Kenya

50. Sole nero Kenya

copertinaAfrica XXLdi Alessandro Gandolfi

attualitàAfricanewsa cura della redazione

A caccia di piratidi Sergio Ramazzotti

Basta con la pauradi N. Cherigui e S. Wassenaar

Odissea Nubadi Francesco Cavalli

Sogno il Sudafrica di Mandeladi Lorella Beretta

Pastori in fugadi C. Six e G. Dubourthoumieu

societàOculisti con le alidi Fabrice Dimier

L’uomo che sussurra ai cavallidi Marco Trovato

«Good Morning Congo!»di D. Bellocchio e M. Gualazzini

libri e musicaLibri e musicadi P.M. Mazzola e C. Agostoni

culturaPer diventare adultidi Peter Harwood e Carl De Souza

La Puntina d’Orodi Emanuela Zuccalà e Loris Savino

Rivive il villaggio degli artistidi Paola Marelli

sportLa città della boxedi Bruno Zanzottera

viaggiSull’isola di Napoleonedi Enrico Casale

chiesaMissione Zambesidi M. Trovato e B. Zanzottera

Notizie in breveA cura di Anna Pozzi

togu naa cura della redazione

vita nostraa cura della redazione

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COME RICEVERE AFRICAper l’Italia:

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africa rivista

EditorEProv. Ital. della Soc. dei Missionari

d’Africa detti Padri Bianchi

dirEttorE rEsponsabilEAlberto Rovelli

dirEttorE EditorialE

Paolo Costantini

CoordinatorEMarco Trovato

wEbmastErPaolo Costantini

amministrazionEBruno Paganelli

promozionE E UffiCio stampaMatteo Merletto

progEtto grafiCoE rEalizzazionEElisabetta Delfini

dirEzionE, rEdazionEE amministrazionE

Cas. Post. 61 - V.le Merisio 1724047 Treviglio (BG)

tel. 0363 44726 - fax 0363 [email protected]

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fotoCopertina

Alessandro Gandolfi/ ParalleloZeroSi ringrazia Olycom

CoordinamEnto E stampaJona - Paderno Dugnano

Periodico bimestrale - Anno 91ettmbre-ottobre 2013, n° 5

Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48

L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forni-ti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite ver-ranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la testata

e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

4040Dall’Africa c’è semprequalcosa di nuovo

Plinio il Vecchio (I secolo d.C.)

@africarivista

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1 Somalia,emergenza sanitariaDopo 22 anni di servizio, Medici Senza Frontiere ha deciso di chiudere tutte le sue attività in Somalia, a causa degli attacchi per-manenti e della mancanza di tutela ai suoi operatori umanitari. Intanto nel Pae-se è scoppiata un’epidemia di poliomielite che ha già contagiato molti bambini.

2 Zimbabwe,Mugabe sfida il mondoIl governo dello Zimbab-we ha firmato un accordo con l’Iran per la vendita di uranio, in violazione del-le sanzioni internazionali che colpiscono entrambi i Paesi. Lo Zimbabwe è gui-dato dallo Zanu-Pf, il par-tito del Presidente Robert Mugabe (89 anni, al potere dal 1987 e al suo settimo mandato), che lo scorso 31 luglio ha vinto le elezio-ni con il 60,87% dei voti. L’ennesima vittoria eletto-rale permette a Mugabe di cambiare la Costituzione e sfidare l’Occidente.

3 Mauritania, vietato il partito anti-schiaviIn Mauritania il Ministe-ro dell’interno ha negato il riconoscimento ufficia-le del Partito radicale per una azione globale, forma-zione politica dichiarata-mente contro la schiavitù, fenomeno largamente tol-lerato nel Paese.

4 RD Congo, bambini in fugaPiù della metà dei 66mila congolesi fuggiti dalle re-centi violenze nell’est del RD Congo e giunti nel vi-cino Uganda, sono bambi-ni e minorenni. Molti sono scappati per paura di esse-re arruolati con la forza in una delle formazioni guer-rigliere che operano nella regione.

5 Mali,aria nuova a Bamako? Il neo Presidente Ibrahim Boubacar Kéïta (chiamato popolarmente IBK), vin-citore delle elezioni del 15 agosto scorso, ha promes-so di riportare la pace e la stabilità nel Mali, dopo

due anni di forti turbolen-ze cominciate con la di-chiarazione di secessione dei Tuareg del Nord, conti-nuate poi con l’occupazio-ne della regione da parte delle forze jihadiste, e con l’intervento militare fran-cese.

6 Madagascar,un’isola in crisiEconomia agonizzante e malcontento diffuso sulla grande isola, paralizzata da cinque anni di crisi po-litica e colpi di stato. Il 23 agosto dovrebbero tenersi le elezioni politiche e pre-sidenziali con le contesta-te candidature di Andry

Africanews, brevi dal continente

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news a cura della redazione

Rajoelina (l’attuale uomo forte), Didier Ratsirika (ex Presidente) e della moglie del suo successore, Lalao Ravalomanana.

7 Guinea Conakry, violenze etnichePermane una situazione di forte tensione in Guinea Conakry dopo un’esplo-sione di violenza etnica che ha fatto registrare al-meno cento morti. Prota-gonisti delle violenze: i Guerzé, cristiano-animi-sti, e i Konianké, a mag-gioranza musulmana.

Fonti: Bbc, Jeune Afrique, Misna, Reuters

16 settembre Ruanda (parlamentari) 20 settembre Swaziland (parlamentari) 24 settembre Guinea (legislative) 30 settembre Camerun (legislative) 8 ottobre Etiopia (presidenziali) 12 ottobre Mauritania (parlamentari) 24 novembre Guinea Bissau (presidenziali)

AL OTO

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attualità

A cacciadi pirati

testo e foto di Sergio Ramazzotti/Parallelozero

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In pattugliamento coi nostri soldati nel golfo di Aden infestato dai bucanieri somali

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Da un lato la difesa: la nave si chiama Ber-sagliere, è una frega-

ta della Marina militare italiana, 188 gli uomini di equipaggio, 113 i metri di lunghezza, impressionante la potenza di fuoco (can-noni, missili e mitraglia-tori), controllata da una centrale da guerra elettro-nica di ultima generazione. Dall’altro lato la minaccia: un dhow, il barcone da tra-sporto in legno diffuso in tutto l’oceano Indiano, co-struito a mano come mille anni fa da un maestro d’a-scia somalo, sospinto da un motore diesel arrugginito smontato da un camion, a bordo dei rampini d’ar-rembaggio legati a corde di canapa, qualche vetu-sto fucile, nel migliore dei casi un lanciagranate, vi-veri e acqua potabile ridot-ti all’osso e l’equipaggio composto da una mezza dozzina di uomini cui resta ben poco da perdere: i pi-rati del terzo millennio. È l’essenza dell’operazio-ne Ocean Shield, lancia-ta dalla Nato nell’agosto del 2009 per contrastare, con l’impiego di 5 navi da guerra e un sommergibile in pattugliamento nelle ac-que del Corno d’Africa, il fenomeno sempre più viru-lento della pirateria che ha origine sulle coste somale,

e che negli ultimi anni ha causato danni devastanti (intorno ai 16 miliardi di dollari complessivi, se-condo un rapporto com-missionato dal Congresso statunitense) alla naviga-zione mercantile e al com-mercio globale. Di fronte a queste cifre, è chiara la necessità di una missione come Ocean Shield, impo-nente (costa circa 350 mi-lioni di dollari l’anno) ma imprescindibile.

Tecniche di arrembaggio Ma chi sono i pirati somali? La maggior parte sono gio-vani, in genere tra i venti e i trent’anni, e provengono dalle frange della popola-zione meno istruite e più povere. I pirati operano in bande composte di quat-tro-sei persone, comanda-te, armate e organizzate dai “boss”. I finanziatori (coloro che acquistano i barchini, le armi e tutto il necessario per lanciare gli attacchi) in genere sono nascosti nell’entroterra, e si limitano a investire il

attualità

Il tratto di mare tra Somalia e Yemen è sorvegliato da una flottiglia della Nato che ha il compito di contrastare il crescente fenomeno della pirateria. Siamo saliti a bordo di una nave da guerra italiana.

La nave italianaè munita di elicotteri

con mitragliatori pesanti, 24 missili antiaerei

e un cannone in gradodi polverizzare un bersaglio

a oltre 100 chilometri

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riam racconta senza una lacrima quell’inferno dura-to più di un’ora: «Mi hanno violentata quattro volte sul sedile posteriore dell’auto. Avevano pianificato tutto. Sono assolutamente con-vinta che quei tre farabutti in divisa fossero degli stu-pratori seriali».

Sul banco degli imputatiA un certo punto Ahmed è riuscito a liberarsi e ad interrompere la violenza.

Miriam, 27 anni, ha un fisico esile e fragile, lo sguardo

schivo. Per farsi forza deve aggrapparsi al fidanzato Ahmed, quasi due metri di affetto: l’unica colonna che l’ha sostenuta in questi mesi difficili. «L’incubo è iniziato la notte del 3 set-tembre», inizia a raccon-tare con un soffio di voce. Dopo una romantica serata in un ristorante di Tunisi, Ahmed e Miriam stavano

C’è stata una colluttazio-ne, urla, spintoni, pugni. «Siamo riusciti a fuggire, ci siamo precipitati alla più vicina stazione di po-lizia per denunciare quan-to era accaduto», ricorda Ahmed. «Ma in poco tem-po siamo incredibilmente finiti sul banco degli impu-tati: accusati di essere stati sorpresi dai tre poliziotti mentre amoreggiavamo in macchina, costretti a difenderci in un tribunale

tornando a casa in auto, quando la polizia li ha fer-mati in una zona piuttosto isolata di un sobborgo del-la capitale. «Sembrava un controllo di routine, ma ben presto si è rivelato un vero e proprio calvario».Due agenti di polizia han-no violentano ripetuta-mente la donna nella loro auto, mentre un terzo po-liziotto ha ammanettato il fidanzato, cercando di estorcergli del denaro. Mi-

attualità

Basta con la pauraTunisia, parlano le vittime di «molestatori e stupratori in divisa»

A Tunisi cresce il numero di donne che dichiarano di aver subito stupri e abusi sessuali da parte di poliziotti. Un fenomeno esploso con l’avvento al potere del partito islamista. Le loro denunce cadono spesso nel vuoto

testo di Nadjet Cherigui foto di Steven Wassenaar/LightMediation

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Ogni volta che vedo un posto di blocco della polizia comincio a tremare.Non mi fido più a viaggiaresola in auto

dall’assurda accusa di im-moralità e indecenza pub-blica».«Non potevo credere che la realtà venisse ribaltata contro di noi», aggiunge Miriam. «Mi sentivo vio-lentata ancora nella mia dignità… Sono stata picchiata, insultata, mi-nacciata. Anziché consi-derarmi una vittima, lo Stato mi ha perseguitata. Ma non ho più paura. Sono determinata ad andare fino

in fondo: questi poliziotti devono essere puniti. Vo-glio continuare a lottare: non solo per me stessa,

ma anche per tutte le don-ne che hanno subito abusi e non hanno avuto la forza o la possibilità di parlare».

Basta con la pauraTunisia, parlano le vittime di «molestatori e stupratori in divisa»Basta con la paura

Una donna tunisina,vittim

a

di violenza carnale nel

maggio 2012. è al volante

della sua auto: ' 'Sono stata

violentata da sei poliziott

i

in un posto di blocco. Li

ho

denunciati. Ma sono stata

condannata a due mesi di

prigione per oltraggio e

diffamazione' '.

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Non voglio il veloSaïda Garrache è la com-battiva avvocatessa di Mi-riam. «Il nostro processo - dice - farà puntare i riflet-tori dei media su una piaga sociale che riguarda tantis-sime donne tunisine. A mi-gliaia restano vittime ogni anno di violenze, intimi-dazioni e comportamenti osceni. La polizia è com-plice di questo sistema. E la situazione è peggiorata con l’arrivo al potere degli islamisti».Khouloud Dridi, vent’anni, non ha paura di mostrare in pubblico le forme del suo corpo: indossa magliette attillate e canottiere occi-

dentali, non rinuncia ad una profonda scollatura… «Cerco di non cedere alla paura, nonostante il clima oscurantista: in giro vedo sguardi di riprovazione, sento commenti sprezzanti e insulti gratuiti», racconta. «Da quando il partito isla-mico Ennahda ha vinto le elezioni, i poliziotti si sen-tono legittimati a molestare e intimorire le donne. E ci accusano paradossalmente di tenere un comportamen-to indecente. Ma io voglio restare libera di vestirmi come meglio credo, senza essere costretta a nascon-dermi sotto un velo».

Falsa testimonianzaWarda, 34 anni, impren-ditrice bella ed elegante, è

attualità

dentali, non rinuncia ad Saïda Garrach

e,

avvocatessa delle vittime di

violenze sessuali,nell'uffic

io

della Tunisian Association

of Democratic Women.

' 'Cammino per le strade con

la schiena dritta, senza

farmi intimorire da insulti e

commenti sprezzanti ' '.

Khouloud Dridi, 20 anni, lavora in un negozio di vestiti nel centro di Tunisi. ' 'I poliziotti mi fermano per strada accusandomi di tenere un abbigliamento indecente. Per intimorirmi mi obbligano a fornirgli il mio numerodi cellulare' '.

Nessuno avrebbe mai potuto punirli perché nessuno avrebbe mai creduto alla denuncia di una donna contro uomini dello Stato

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attualità

Odissea N ubaSudan, bombe e fame: il dramma di un popolo senza pace

a cura della redazione foto di Francesco Cavalli

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Odissea N ubaSudan, bombe e fame: il dramma di un popolo senza pace Raid aerei, agguati e rappresaglie.

Nel silenzio prosegue la guerra infinita tra l’esercito di Khartoum e i gruppi ribelli del Kordofan meridionale. A farne le spese,i nobili e fieri abitanti dei monti Nuba

Riecheggiano ancora i rumori delle armi in Sudan. Il Kordofan meridionale subisce ogni giorno raid aerei, agguati e rappresa-

glie ad opera delle milizie governative. Nell’in-differenza del mondo, l’esercito sudanese sgancia bombe e proiettili d’artiglieria pesante sulle postazioni dei guerriglieri dell’Esercito di liberazione popolare del Sudan-Nord (Splm-N), che rispondono a colpi di kalashnikov e mortai.

Fuga dalle bombeA pagare il prezzo più alto, come spesso accade, sono i civili nuba, circa un milione di persone, già duramente colpiti dalla sanguinosa guerra civile del Sudan (1983-2005). I combattimenti sono ripresi nel luglio 2011 in coincidenza con la nascita del nuovo Stato indipendente del Sud Sudan. Dai confini del nuovo stato è rimasta esclusa la zona dei monti Nuba.«Dal luglio del 2011 il Presidente sudanese Omar el-Bashir ha scatenato una nuova guer-ra non dichiarata contro i Nuba, colpevoli di non accettare la sua politica accentratrice e islamizzatrice», racconta padre Kizito Sesana, missionario comboniano, profondo conoscitore dei monti Nuba e delle sue genti. «I piccoli vil-laggi dei Nuba sono stati bombardati indiscri-minatamente. Gli abitanti si sono rifugiati sulle montagne, riparandosi nelle grotte, e le terre fertili della pianura che erano già state disso-

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attualità

Sogno il Sudafrica di Mandela

Ex attivista antiapartheid, 65 anni, Mamphela Rampheleha fondato un partito per battere lo screditato Anc. Colpevole di aver tradito il programmadi Nelson Mandela

C’è la condanna dell’attuale governo «basato sulla corruzione

e l’arricchimento personale». C’è la preoccupazione per il Sudafrica. Ma c’è anche un preciso calcolo politico dietro la discesa in campo di Mamphela Ramphele. L’ex attivista del Black consciousness movement, medico e compagna dell’icona anti-apartheid Steve Biko (ucciso nel 1977), nei giorni critici per la salute di Nelson Mandela ha lanciato il suo partito: Agang, “costruiamo” in lingua seshoto.

IL SOGNO TRADITOManca meno di un anno alle presidenziali, ma Ramphele, 65 anni, un passato da direttore operativo della Banca mondiale e da presidente della compagnia mineraria Gold Fields, ha invitato i sudafricani a «costruire il Paese dei nostri sogni», quello immaginato da Mandela. Perché la realtà è un incubo. Più della metà della popolazione vive con meno di 40 euro al mese, un quinto è malata di aids, la disoccupazione giovanile è al 45%... L’istruzione nelle township e nelle aree rurali è affidata a insegnanti impreparati, tanto che agli studenti neri sono richiesti risultati

inferiori (è sufficiente che ottengano un voto pari al 30% rispetto agli altri). «Viaggereste su un aereo che ha solo il 30% degli strumenti tecnici?» ha chiesto Ramphele. La dottoressa ha le carte in regola per sottrarre voti al presidente Jacob Zuma, sempre che l’African national congress (Anc) lo ricandidi, viste le 700 denunce per estorsione a suo carico. Ramphele può soprattutto contare sul colore della pelle, che in Sudafrica ha sempre peso. Il principale partito di opposizione, Democratic alliance (Da), è invece ancora considerato espressione della minoranza bianca.

AMICA DI MBECKI E TUTUAlla sua leader, Helen Zille, non è servito circondarsi di figure di spicco nere e coloured. La Democratic alliance sta crescendo nei consensi, ma la distanza dall’Anc (il «partito nero») è di almeno 40 punti percentuali. Nei mesi scorsi Zille e Ramphele si sono incontrate spesso: all’ordine del giorno, la costituzione di un’unica forza d’opposizione, i Democratic. Al tavolo sedeva spesso anche l’ex presidente Thabo Mbeki, acerrimo nemico di Zuma. La decisione di correre da sole,

ognuna con le proprie storie e i propri obiettivi, appare un sapiente gioco di squadra per indebolire l’Anc. Ramphele ha incassato l’appoggio di Desmond Tutu, l’arcivescovo emerito premio Nobel per la pace, e si sta concentrando nelle aree dove l’Anc è più forte. Non punta solo a riscattare l’eredità tradita di Mandela, vuole vincere affidando la comunicazione al Benenson strategy group, regista della prima campagna elettorale del presidente Barack Obama. •

laberettina.blogspot.com

testo di Lorella Beretta - capeiteasy.com

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Anche il giovane leader sudafricano Julius Malema, espulso per insubordinazione dall'Anc, ha fondato un nuovo partito in vista delle prossime elezioni politiche: Economic Freedom Fighters (EFF), Combattenti per la libertà economica. Punta sui consensi dei delusi dal partito di Mandela, al potere dal 1994.

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attualità

Pastori in fugatesto di Caroline Six tradotto da Silvana Leone foto di Gwenn Dubourthoumieu

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Pastori in fugaBastoni in pugno e ka-

lashnikov a tracolla, i pastori turkana avan-

zano nella savana in una nuvola di polvere con cen-tinaia di vacche, capre e pecore. Sui muli e i drome-dari trasportano borracce, tegami, poche vettovaglie. Non stanno migrando ver-so pascoli più generosi. Sono in fuga dall’attacco

di una tribù sud-sudanese. Una donna inveisce contro una pattuglia di poliziotti keniani: «Che cosa aspet-tate a intervenire? Chi ci difende?». Agita in aria il suo bastone. «Ho perso tutto: i miei asini, i miei capretti, le mie pentole… Non ho più nulla».

Attacchi e razzieA pochi chilometri dalla frontiera con il Sud Sudan, a Nanam, l’incursione ar-mata è stata condotta da un gruppo di Toposa, una tribù pastorale vicina, che ha l’abitudine di sconfina-re con i propri greggi nei pascoli più verdi del Ke-nya. Nell’accampamento abbandonato dei Turkana,

un giovane mandriano ten-ta ancora di radunare due o tre capretti, perduti in mezzo alle tende squar-ciate: «Erano almeno 300 uomini inferociti. Abbia-mo lottato per tutto il gior-no, ci siamo arresi perché non avevamo più proietti-li. Un mio amico è morto,

Nelle sperdute savane al confine tra Kenya, Etiopia, Uganda e Sud Sudan, i pastori nomadi si contendono a colpi di armi da fuoco i pascoli e le sorgenti d’acqua. E la siccità acuisce le guerre tribali

Nella regione del lago Turkanasi moltiplicano le violenze fra tribù rivali

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due sono feriti». Un colpo di fucile riecheggia nell’a-ria, poi il secondo. I To-posa sono a poca distanza e sembrano determinati a occupare queste terre. La polizia keniana fugge a gran velocità. «Non siamo equipaggiati per fronteg-giare l’attacco, chiedere-mo rinforzi a Nairobi», si giustifica uno degli agen-ti. Le ricorrenti siccità che si accaniscono sulle zone aride dell’Africa orienta-le esasperano i conflitti cronici tra le comunità pa-storali della regione. I pa-scoli e le sorgenti d’acqua scarseggiano. Lo spazio vitale diventa un territorio da conquistare. Le diverse tribù che si contendono gli spazi, tradizionalmente ri-vali, moltiplicano gli attac-chi per tentare di imporre la propria supremazia.

Troppe armiSeduto sul suo piccolo sga-bello intagliato, il Turka-na Natoo Lore parla con

voce sommessa: «Ho per-so 100 capre negli ultimi due mesi. Ci resta poco per sopravvivere». L’ali-mentazione dei Turkana è a base di latte e sangue del bestiame. In alcuni periodi dell’anno, la dieta è arric-chita con frutti selvatici e farina di sorgo.Ma durante la stagione secca le persone patisco-no la fame. E i più deboli muoiono per malnutrizio-ne. «Perdiamo soprattutto i bambini e gli anziani: una vergogna per la nostra co-munità», lamenta Lodoe, un capoclan di Naporoto. «Più della metà della popo-lazione del distretto dipen-

attualità

Il prezzo delle armiNel Nord del Kenya anche i Pokot e i Turkana, due etnie di pastori seminomadi, sono in guerra per contendersi i pascoli e le esigue fonti d’acqua della regione. Il controllo delle sorgenti e dei pozzi è affidato a giovani armati con fucili automatici. La polizia non riesce a confiscare armi e munizioni che affluiscono in grandi quantità da Uganda, Etiopia e Sud Sudan. Un singolo proiettile costa l’equivalente di quaranta centesimi di euro, un intero caricatore una manciata di euro. Un kalashnikov di seconda mano al mercato nero vale circa 50 euro, uno nuovo dieci volte tanto. Oppure cinque vacche. I mercanti di armi scambiano spesso i loro prodotti con dei capi di bestiame. (Alain Buu)

Scene di guerre tribali: fughe, accampamenti

saccheggiati, pastori feriti. Nella regione del Turkana si comincia a combattere

all’età di dieci-dodici anni. Le razzie sono un costante

motivo di tensionetra le comunità

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lo scatto testo di Raffaele Masto foto di Mosaab El-Shamy /Afp

rabbia erepressione

Un uomo piange su uno dei tanti cor-pi deposti in un obitorio la sera del 14 agosto, giorno in cui l’eserci-

to egiziano ha messo in atto lo sgombe-ro dei due più grandi sit-in dei sostenitori del deposto presidente Mohamed Morsi. I morti in quella giornata, solo al Cairo, sono stati almeno 120, secondo giornali-sti indipendenti che hanno documentato quelle drammatiche ore. La sanguinosa repressione delle Forze di Sicurezza si è concentrata nelle due grandi piazze della capitale egiziana - Rabaa al-Adawiya e Al-Nahda - che stavano diventando il simbolo dell’opposizione guidata dai Fratelli Mu-sulmani. In queste piazze erano accampate migliaia di persone, anche intere fami-glie con donne e bambini che, nonostante la minaccia concreta di un attacco, erano stati portati sul luogo dove avrebbe potuto scatenarsi (come poi è avvenuto) una vera e propria battaglia. •

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società

Oculisti con le ali Oculisti con le ali

testo e foto di Fabrice Dimier/LightMediation

Etiopia, arriva l’ospedale oftalmico volante26 africa · numero 5 · 2013

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Oculisti con le ali Oculisti con le ali In Etiopia i medici oculisti scarseggiano e quasi tre milioni di persone soffrono di seri problemi alla vista. A curare gli occhi sono i dottorie gli infermieri del Flying Eye Hospital

Etiopia, arriva l’ospedale oftalmico volanteafrica · numero 5 · 2013 27

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All’aeroporto di Addis Abeba è atterrato un ospedale oculistico.

La notizia si è diffusa in tutta la città e ora ai piedi della scaletta del DC-10 parcheggiato sulla pista si è formata una lunga coda di persone bisognose di cure. Mentre un’infermie-ra etiope accoglie i pazien-ti stabilendo la priorità delle visite, l’équipe me-dica di Orbis prepara le sale operatorie alloggiate sull’aereo. Orbis (www.orbis.org) è una ong ame-ricana che collabora da tempo con il ministero del-la Salute etiopico. Perio-dicamente realizza delle missioni di cooperazione sanitaria volando su Addis Abeba. Ad attendere il suo ospedale oftalmico ci sono centinaia di persone non vedenti o ipovedenti che hanno necessità di essere operate. L’Etiopia dispone di un solo oculista per un milione di abitanti. La ca-renza di assistenza sanita-ria espone la popolazione a serie malattie agli occhi, come la cataratta, il glau-coma, il tracoma, l’onco-cercosi… Gli effetti sono devastanti: 1,2 milioni di etiopi sono ciechi e più di 2,8 milioni soffrono di problemi alla vista. L’1,6% della popolazione è affetto da un handicap visivo. Le persone accorse all’aero-porto di Addis Abeba han-no tutte problemi di vista e sperano di poter essere guariti dai «medici bian-chi venuti dal cielo».

Ospedale hi-techI dottori Frederick e Lehman - due chirurghi

specializzati negli inter-venti di cataratta - esa-minano accuratamente le cartelle cliniche di ciascu-no ed effettuano gli ultimi esami diagnostici prima di entrare in sala operatoria. Nell’arco di tre settimane - tanto l’ospedale volante americano si protrarrà nel-la capitale d’Etiopia - fa-ranno riacquistare la vista a un centinaio di persone. Il team sanitario di Orbis è composto da una ventina di professionisti di quindi-ci nazionalità diverse - me-dici, infermieri, tecnici di laboratorio - che operano in ogni parte del mondo. Ad affiancare i dipenden-ti dell’ospedale ci sono sempre dei volontari che impiegano parte del loro tempo libero, in genere le vacanze estive.Georges, infermiere vo-lontario inglese, è alla sua prima missione e osserva a bocca aperta e occhi sgra-nati le apparecchiature iper-tecnologiche allestite sull’aereo. «Tutte macchi-ne all’avanguardia in gra-do di funzionare in ogni condizione ambientale». All’interno della cabina passeggeri sono stati rica-vati diversi spazi funziona-li: una sala d’attesa dotata di quaranta posti a sede-re, la camere coi letti per i degenti, le sale operatorie, un salotto per le riunioni, l’ambulatorio, la sala di formazione per anestesisti e tecnici laser…

FormazioneI pazienti vengono fatti im-barcare a piccoli gruppi. Oggi sono in programma otto operazioni. Heather,

la caposala, accoglie le persone a bordo e le condu-ce negli ambulatori a loro assegnati perché possano essere preparati per l’in-tervento. Georges si mette al lavoro in sala operatoria preparando i ferri che ver-ranno usati dal chirurgo. Nel frattempo, Jacqueline, infermiera australiana con 15 anni di esperienza alle

spalle sul Flying Eye Hos-pital, istruisce un’infer-miera etiope nella sala di sterilizzazione. «In molte aree di questo vasto Paese mancano le cure elemen-tari e la popolazione vive in condizioni igieniche precarie. Dobbiamo scon-giurare il pericolo di un’in-fezione post-operatoria. Per questo è fondamentale

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lamiera della township di Alexandra e prima di allora non avevo mai visto anima-li così belli: me ne innamo-rai subito».

Più forte dell’apartheidIn breve tempo Enos di-venne amico del figlio del proprietario della fatto-ria, con cui condivideva la passione per i puledri: «Lui era bianco, io nero: la legge del regime segre-gazionista non permette-va di coltivare relazioni di amicizia interrazziali, ma il nostro rapporto era più

forte dell’apartheid».All’età di quindici anni trovò un impiego come maniscalco nella stalla del Woodmead Golf Course, luogo di ritrovo riservato ai ricchi afrikaner. La sua serietà e tenacia non passa-rono inosservati. Nel 1961 Enos venne assunto come stalliere da un’importan-te scuola di cavallerizzi. «Un giorno i padroni mi offrirono la possibilità di provare a cavalcare. Poco dopo mi iscrissero a una competizione equestre di salto con gli ostacoli per

La prima volta che ha accarezzato un ca-vallo era un bambi-

no. «All’inizio degli anni Cinquanta la mia famiglia si era spostata da poco a Rivonia, un sobborgo di Johannesburg, e io avevo trovato un impiego estivo

in una fattoria locale gestita da un tale John Walker: per racimolare qualche moneta di mancia tenevo d’occhio i purosangue dei bianchi che venivano a fare pic-nic in campagna», ricorda Enos Mafokate, 67 anni. «Ero cresciuto tra le baracche di

Cresciuto in una township ai tempi dell’apartheid, ha coltivato la passioneper l’equitazione tra mille difficoltà, riuscendo a conquistare le Olimpiadi.Oggi insegna a cavalcare ai giovani di Soweto

società testo di Marco Trovato foto Afp

L’uomoche sussurraai cavalliDalle baracche agli ippodromi: la favola di Enos Mafokate

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società

«Good Morn ing Congo!»

Tre, due, uno: «Bonjour à tous les amis de Paroles sur les en-fants, je suis Akilimali Saleh...». Ogni giovedì sulle frequenze di Radio Comico Fm, a Goma, nell’epicentro del Nord Kivu,

va in onda un programma che parla di diritti dei bambini e storie di infanzia. La singolarità? Che a condurre questa trasmissione, nella regione orientale della RD Congo, dove da vent’anni imper-versa una guerra civile per il possesso del sottosuolo, è un ragazzi-no di soli quindici anni: Akilimali Saleh. Una storia, quella del giovane reporter, fatta di giornalismo, pas-sione, rischi e senso di giustizia, in uno Stato dove i sogni e le spe-ranze vengono annichiliti dal perdurare del conflitto tra il gruppo rivoluzionario degli M23 e l’esercito lealista. E così, se da una parte proseguono i combattimenti tra i ribelli guidati dal generale Ma-kenga e i governativi, i colloqui di pace falliscono e nuove ondate di morte e violenza si palesano all’orizzonte, dall’altra c’è chi tiene viva la speranza del domani. Radio Comico Fm, un acronimo che significa Radio Communité Islamique du Congo. La stazione dell’emittente è posizionata sul tetto di una pompa di benzina, nella via principale di Goma. Una

Akilimali Saleh, quindici anni, è un baby reporter radiofonico. Trasmette ogni settimana da Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu,facendo sentire la voce dei bambini congolesi

testo di Daniele Bellocchio foto di Marco Gualazzini

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«Good Morn ing Congo!»

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casetta coperta di lamiera e tutta avvolta da fili e cavi: la sede di una radio pove-ra che però riesce ad avere oltre 30mila ascoltatori. Akilimali è lì dentro, se-duto, che ripassa il proprio servizio, pronto ad andare in onda. È un adolescente con il viso da bambino, ma la vita e le esperienze di un adulto. Ha incominciato ad andare a scuola a soli quat-tro anni; con voti brillanti e in anticipo rispetto ai suoi coetanei, ora sta già pen-sando all’università. «Mi sono avvicinato al giorna-lismo per passione e perché credo che questo mestiere e l’informazione possano aiutare moltissimo». Così spiega la sua decisione di andare alla ricerca di sto-rie e denunciarle davanti ad un microfono: «Fornisco consigli ai bambini, perché evitino la via della micro-criminalità, e lancio appelli alle famiglie, perché si fac-ciano carico dei figli e non si verifichino più casi da abbandono».

società

una regione senza paceSono tornati a riecheggiare i rumori delle armi nel Nord Kivu. Dopo dieci mesi di tregua, nonostante i molteplici accordi di pace siglati a più riprese, lo scorso luglio sono ripresi violenti combattimenti tra le Forze armate regolari del Congo (Fardc) e i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23), un gruppo di soldati congolesi (in maggioranza di etnia tutsi) che hanno disertato nell’aprile del 2012. A complicare la situazione ci sono i miliziani hutu delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda che seminano il terrore nei villaggi. Le

vittime civili dalla ripresa degli scontri armati si contano a centinaia, gli sfollati superano il milione. Il conflitto va inquadrato nella lotta per il controllo del sottosuolo di una regione ricchissima di risorse minerarie (stagno, tantalio e tungsteno, minerali necessari alla produzione di apparecchi elettronici come computer, cellulari e telecamere). Da mesi Kinshasa e l’Onu denunciano il coinvolgimento diretto del Ruanda e dell’Uganda nella nascita dell’M23 e nella ripresa delle ostilità che destabilizzano l’est della RD Congo (Rdc).

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lo scatto testo di Laetitia Dumont Foto di Simon Maina/Afp

Strage silenziosa

Ylao Ming, ex stella del basket Nba, os-serva la carcassa di un elefante ucciso dai cacciatori di frodo nella Sambu-

ru National Reserve, 350 chilometri dalla capitale Nairobi. Yao Ming, 33 anni, 229 centimetri di altezza, è un gigante buono: ritiratosi dai campi della pallacanestro nel 2011, dedica il suo tempo libero a pro-muovere iniziative benefiche a sostegno dell’infanzia e dell’ambiente. In Kenya si è recato per girare un documentario, The End of Wild, finalizzato a far conoscere al grande pubblico i drammatici risvolti del bracconaggio. Secondo un recente studio condotto da esperti naturalisti, la popola-zione degli elefanti nei Paesi dell’Africa centrale e orientale si è ridotta di circa due terzi negli ultimi dieci anni a causa della caccia illegale. E proprio la Cina è la prin-cipale destinazione del traffico clandesti-no dell’avorio. •

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copertina

AfricaXXLIl Kenya scopre il problemadell’obesità infantile

testo e foto di Alessandro Gandolfi/Parallelozero

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«Qui in Kenya - esordisce Vincent Onywera - l’obesità cresce ogni giorno di più. Secondo un nostro studio, nelle zone ur-bane il 17% delle studentesse e il 7% degli studenti fra i 9

e gli 11 anni mostrano segni di obesità. Le ragazze sono in numero maggiore perché stanno più spesso in casa, ma per entrambi il rischio di diabete e di artriti precoci è alto».Vincent Onywera è direttore del Centre for International Program-mes and Collaboration alla Kenyatta University di Nairobi, ed è stato il primo in Kenya a occuparsi di obesità infantile. «Questo argomen-to mi ha sempre interessato: un’abitudine presa in tenera età segui-rà i bambini fino all’età adulta. Sa una cosa? Noi keniani un tempo eravamo bravi in diverse discipline olimpiche, oggi stiamo perden-do il nostro primato. Ed è anche colpa della nostra alimentazione». Il professor Vincent è al computer, sta leggendo una email arrivata dalla Russia dieci minuti prima: lo hanno invitato a Mosca a parlare dell’obesità in Africa. «A Nairobi - continua - sta crescendo il merca-to delle attrezzature da palestra. Perché ci stiamo occidentalizzando, affidiamo i nostri figli ai videogiochi, usiamo troppo l’auto e man-giamo cibo spazzatura. Un cibo che qui è considerato buono e pre-stigioso».

Poco movimento, cibi grassi e bibite gassate in eccesso. Perfino a Nairobi i bambini sovrappeso stanno diventando un fenomeno sociale allarmante.È un effetto perverso dello sviluppo

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Bimbi in palestraNel mondo i bambini so-vrappeso sotto i cinque anni sono oltre 42 milioni. Secondo l’Organizzazio-ne mondiale della salute (Oms) l’obesità infantile è una delle sfide più gran-di che la sanità pubblica dovrà affrontare nel XXI secolo, e la questione oggi colpisce soprattutto i Paesi a basso e medio reddito: di quei 42 milioni, ben 35 vi-vono in Paesi in via di svi-luppo.«Vieni domattina alla Kids Gymnastics, al terzo piano del Lavington Green Cen-ter. Etienne arriverà verso le dieci». Patrick Owuor ha quarant’anni, vive a Nairo-bi ed è il primo in Kenya ad avere aperto una pale-stra riservata ai bambini:

copertinacopertina

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MonsignorFerrazzetta

a cura di Filomeno Lopes

Francescano, primo vescovo della Guinea-Bissau, Ferrazzetta (1924-1999) è stato un protagonista della storia della ex colo-nia portoghese. Ha mediato tra le fazioni in lotta nella guerra civile. È morto, senza vederne la fine, dopo oltre 40 anni di eroica dedizione ai lebbrosi, ai poveri, alla Chiesa locale. Questo ritrat-to mette in luce le sue straordinarie doti mo-rali e cristiane.

Il Mulino 2013, pp. 190, 13 euro

libri di Pier Maria Mazzola

Il cacciatore di larve

di Amir Tag Elsir

Un agente dei servi-zi segreti in pensio-ne sente impellere da dentro una vocazione di scrittore. Non ha mai letto un romanzo in vita sua, ma non si scoraggia e si mette alla scuola dello scrit-tore di grido della sua città. Tenta di carpir-gli, con disarmante ingenuità e ammire-vole ostinazione, i riti e i segreti che faranno diventare anche lui un grande autore - e far dimenticare il suo ingombrante passa-to di spione. Siamo a Khartoum (anche se la città non è partico-larmente riconoscibi-le) e il libro contiene in tono di commedia, oltre al finale a sor-presa, una satira so-ciale e politica che non poteva mancare in un’opera di questo tipo. Lettura molto pia-cevole. Finalista al Premio internaziona-le della fiction araba 2011, è il secondo ti-tolo sudanese in edi-zione italiana.

Nottetempo 2013, pp. 193, 14,50 euro

Le radicinella sabbia

di Marco Aime

Nel rieditare questo suo fortunato titolo, l’antropologo-narra-tore non aggiorna le pagine scritte all’e-poca tra Mali e Bur-kina Faso. Si trattava infatti, già allora, di un’operazione-verità, in cui Aime comu-nicava il fascino che l’Africa esercitava su di lui, sottolineando aspetti che fanno a pugni con l’immagi-nario stereotipato del “turista”, che sul ter-reno può anche spe-rimentare delusione davanti a popolazioni “inquinate” dalla mo-dernità. Oggi l’autore aggiun-ge solo una corposa postfazione, per met-tere in evidenza al-cune delle mutazioni più rilevanti osserva-bili quattordici anni dopo. C’è malinconia per certi interventi, per esempio paesag-gistici, di marca occi-dentale; c’è ancora e sempre ammirazione per popoli che conti-nuano a reinventarsi in dialettica con la (post)modernità.

Edt 2013, pp. 181,12 euro

Cristianesimo: Pentecostali

di Paolo Naso

«Oggi, quella pente-costale è una grande famiglia spirituale, composta solo in mi-noranza da bianchi, più concentrata nel-le aree urbane che in quelle rurali, com-posta più da donne che da uomini, con una marcata presen-za giovanile, colloca-ta nei Paesi in via di sviluppo più che nel primo mondo, più po-vera che benestante». È uno dei passaggi di questa “mappa” - densa, concisa e chiara - del fenomeno religioso più clamo-roso del XX secolo. Se i pentecostalismi hanno origini ame-ricane, è a sud il loro presente e futuro. Non solo America Latina o Corea del Sud, ma anche Africa. Alle ca-ratteristiche del feno-meno nel continente (specialmente in Ken-ya, Ghana e Nigeria) sono dedicate diverse pagine di questo lavo-ro, praticamente uni-co nel suo genere.

Emi 2013, pp. 159,12 euro

Il Corno d’Africadi Matteo Guglielmo

Uno sguardo appro-fondito - che unisce chiarezza a precisione - su un’area del conti-nente estremamente peculiare, e in par-ticolare su Eritrea, Etiopia, Somalia. L’autore, che ci ave-va già offerto un bello studio su Somalia. Le ragioni storiche del conflitto (Altravista 2008), aiuta il lettore seguendo una scan-sione cronologica ed esplicitando la chia-ve di lettura: per lui il conflitto (e il confine) è quella che rimane la più adeguata. Come suggerisce, infatti, nelle conclu-sioni, qui «i processi di costruzione degli Stati si sono in gran parte basati su una reciproca competi-zione» all’insegna di «una mutua e costan-te contesa militare». Egemonia regionale e «interessi» degli «in-terlocutori globali» sono fattori essenzia-li in questa strategica protuberanza d’Afri-ca.

Il Mulino 2013, pp. 190, 13 euro

PERCHÉ POCHICome mai sono rari i titoli africani in Italia? La risposta è nella domanda: se le vendite di questa nicchia di letteratura andassero bene, gli editori non si farebbero pregare. C’è poi la perdurante crisi. Il libro rimane la “merce” che fornisce l’utile più basso a ogni anello della catena produttiva, dall’autore al libraio passando per editrice, tipografia, ecc. Certo ci sono i Saviano e i Dan Brown. Ma quelli non fanno… testo.

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musica di Claudio Agostoni

MIss PerFuMAdo CesAriA evorASe si vuole avere una basica discografia di musica africana è tassativo includerci almeno un album di Cesária Évora, la regina scalza dell’arcipelago di Capo Verde. Se non ne possedete nemmeno uno potreste regalarvi l’edizione de luxe di Miss Perfumado. Edito per festeggiare i vent’anni dalla sua pubblicazione, è uno dei capolavori di Cesária, Cize per gli amici. E Cize è una delle trenta tracce di questo doppio cd (l’album originale opportunamente rimasterizzato e un secondo, composto da 17 chicche pescate da un repertorio sterminato) pregno di nostalgiche morne e di coladeras vischiose e profumate. Ci sono capolavori senza tempo come Angola (scritta da Ramiro Mendes) e Sodade, la quintessenza nostalgica della musica capoverdiana. Mentre tra le chicche meritano una segnalazione Mar Azul e la piano bar version di Nova Sintra.

LALAny roberto isAÍAsSe su LinkedIn trovate il profilo professionale di tale Roberto Isaías, lasciate perdere. È solo un suo omonimo equadoregno. Il nostro Isaías, quello vero, arriva dal Mozambico e sulla sua carta d’identità, alla voce professione, c’è scritto “compositore, produttore e cantante”. Fondatore del gruppo Kappa Dech, affianca da sempre l’attività artistica all’impegno sociale (è tra i promotori dell’Ocpa, acronimo dell’Osservatorio delle politiche culturali in Africa). Il disco è di qualche anno fa, ma merita di essere riscoperto perché è un lavoro capace di costruire un ponte tra i ritmi mozambicani e la musica brasiliana (non a caso tra i fan di Isaías, c’è un certo Gilberto Gil). Un ponte dove passano star internazionali come Marcus Miller e un grande bassista come Artur Maia…

nAtIve sun blitz the AMbAssAdorSe oggi la colonna sonora dell’Africa urbana è l’hip hop non c’è da stupirsi: è solo un came back. La conferma arriva da Samuel Bazawule, in arte Blitz the Ambassador, un rapper di successo negli States. Non è un figlio dei ghetti delle metropoli a stelle e strisce. È nato in Ghana, ad Accra, e musicalmente si è svezzato slalomeggiando tra afro-beat, highlife, jazz e suoni Motown. La sua vita è cambiata quando il fratello maggiore gli fece scoprire It Takes A Nation Of Millions To Hold Us Back dei Public Enemy. Trasferitosi negli Stati Uniti per frequentare il college, Blitz iniziò ad autoprodursi i primi tapes. Nel 2009 esce Stereo Type, il suo primo cd, a cui segue questo Native Sun. Due lavori con un’idea precisa: reinventare l’hip hop a sua immagine e somiglianza, portandoci dentro l’Africa e i suoi strumenti.

Un fIlm mUsICalEda nOn PERdERENei quartieri di Kinshasa, nelle piazze dei quartieri più popolari, si esibisce riscuotendo un discreto successo un’orchestra sinfonica che vanta un repertorio che passa da Carl Orff (l’autore dei Carmina Burana) a Beethoven. È l’Orchestre Symphonique Kimbanguiste ed è la protagonista del documentario di Claus Wischmann e Martin Baer in uscito in Germania il 14 settembre: Kinshasa Simphony.www.kinshasa-symphony.com

Una PaROla da ImPaRaREIl karindula è un genere musicale nato a Lubumbashi, una città mineraria del Katanga, nel sud est della RD Congo. Una musica basata su uno strumento che porta lo stesso nome: un enorme banjo che ha come cassa un barile di petrolio (su cui si siede il musicista) su cui viene tesa una pelle di capra. Il suono spazia dalla riproposizione di tradizionali ritmi bemba e luba al reggae. Su Youtube potete vedere il video di una Karindula Session.

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lo scatto testo di Marco Trovato foto di Simon Maina/Afp

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Tre abitanti di Kibera, il mag-giore slum di Nairobi, os-servano un’eclissi solare. Il

prossimo 3 novembre questo raro fenomeno astronomico sarà visi-bile in gran parte del continente africano (e solo parzialmente nel sud dell’Italia). Il cerchio incande-scente del sole sarà completamen-te oscurato per circa un minuto dal cono d’ombra creato dalla Luna. Nella fase massima dell’eclissi il giorno diventerà notte. L’eccezio-nale evento inizierà in Liberia e Sierra Leone, transiterà per una de-cina di nazioni dell’Africa occiden-tale e centrale per concludersi in Uganda, Kenya, Etiopia e Somalia. I tour operator hanno messo in ven-dita viaggi speciali per i turisti inte-ressati a non perdersi lo spettacolo mentre nei supermercati della capi-tali africani è già iniziata la corsa per accaparrarsi occhiali da salda-tore e speciali schermi protettivi. •

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cultura

Per diventareadulti

testo di Peter Harwood foto di Carl De Souza/Afp

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«U n colpo di pistola nelle vene» così Nelson Mande-

la ricordava nella sua bio-grafia il giorno in cui subì la circoncisione rituale del popolo xhosa. «La ceri-monia ebbe inizio a mez-zogiorno», raccontava il leader sudafricano. «Ci ordinarono di metterci in fila in uno slargo vicino al fiume. Eravamo avvolti in una coperta rituale. Quan-do, con un rullo di tamburi, la cerimonia ebbe inizio, ci fecero stendere la coperta sul terreno e ognuno di noi vi si sedette con le gambe protese in avanti. Il mo-mento cruciale era vicino. Non era più possibile torna-re indietro. Mostrare segni di debolezza sarebbe stato un disonore. La circonci-sione è una prova di corag-gio e di stoicismo; non si usano anestetici: un uomo deve soffrire in silenzio. Sulla destra, con la coda dell’occhio, vidi un uomo magro e anziano uscire da una tenda e inginocchiarsi davanti al primo ragazzo. Tra la folla serpeggiò agi-

tazione, e io rabbrividii leg-germente comprendendo che il rito stava per iniziare. Ad un certo punto il vec-chio si inginocchiò davan-ti a me. Lo guardai dritto negli occhi. Il suo viso era pallido. La mani si muove-vano così velocemente da sembrare guidate da una forza sovraumana. Senza dire una parola mi prese il prepurzio, lo trasse verso di sé e, con un unico movi-mento, calò la zavaglia. Mi parve che del fuoco si river-sasse nelle vene; il dolore fu così forte che affondai il mento nel petto. Molti se-condi passarono prima che mi ricordassi di lanciare il grido che mi avevano inse-gnato: Ndiyindoda!, Sono un uomo!».

Strage silenziosaAncora oggi, ogni pri-mavera tra le colline del Transkei, una regione grande quanto la Svizzera incuneata nel cuore del Su-dafrica, migliaia di ragazzi xhosa celebrano il passag-gio fondamentale all’età adulta con la circoncisio-

In Sudafrica ogni anno ventimila ragazzi di etnia xhosa si sottopongonoal rito tradizionale della circoncisioneche segna il passaggio all’età adulta.Ma decine di giovani muoionodopo essersi sottoposti alla cerimonia

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dall’80 al 100

cultura

ne. È una cerimonia che affonda le sue radici nella notte dei tempi, il momen-to più importante nella vita di ogni Xhosa. Solo dopo questo rituale è possibile sposarsi, mettere su casa, lavorare nei campi e parte-cipare alle decisioni della comunità. Gli adolescenti attendono con trepidazio-ne il grande giorno. Ma tal-

volta questo evento festoso si trasforma in un dram-ma. Ogni anno decine di giovani tra i 13 e i 21 anni perdono la vita durante il rituale. Nel 2013 le vittime sono state un cinquantina, nel 2012 ventisette, l’anno prima trentatré... Nell’arco degli ultimi quindici anni il bilancio dei morti supera quota 200.

Ragazzi xhosa si preparano per sottoporsi alla cerimonia della circoncisione, nei pressi di Qunu. Dopo essersi purificati nelle fredde acque di un fiume, camminano verso l’anziano che officerà il rito, indossando come unico indumento una coperta rituale. Alla conclusione della cerimonia, nel cuore della notte, i ragazzi seppelliranno i prepuzi nella savana, affinché nessun mago possa impadronirsene per usarli a scopi malvagi. Conosciuta fin dai tempi degli antichi egizi, la circoncisione è praticata in Africaper motivi culturali e religiosi

Celebrità xhosaDiffusi nella parte sudorientale del Sudafrica, gli Xhosa sono un gruppo etnico di origine bantu, il secondo per numero nel Paese dopo gli Zulu. Secondo la loro religione tradizionale, attorno al Dio della creazione, uDali o Tixo, si sviluppa un complesso olimpo di spiriti, benevoli e malevoli. Il rapporto fra lo Xhosa e il divino è mediato dai sacerdoti, i sangoma, depositari della magia e maestri di divinazione. Nelson Mandela è un celebre Xhosa. Altri personaggi famosi appartenenti a questa etnia sono Stephen Biko, Miriam Makeba, Thabo Mbeki, Desmond Tutu, Chris Hani, Oliver Tambo e Walter Sisulu: politici, artisti e attivisti accomunati da una vita consacrata all’impegno civile e alla lotta contro il regime dell’apartheid.

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cultura

In una polverosa bottega di Nouakchott sono conservati centinaia di dischi introvabili che hanno fatto la storia della musica. Ma il suo proprietarionon ha la minima intenzione di venderli ai collezionisti

testo di Emanuela Zuccalà foto di Loris Savino

La Puntina d’OroVisita all'ultimo negozio di dischi della Mauritania

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una rivendita di televisori. Un luogo di ritrovo per la gente del quartiere Medi-na 3, che qui viene a bere tè alla menta, a parlare di cal-cio, a godere della musica e delle doti affabulatorie del proprietario.

Vietato vendereAhmed Vall ha 54 anni ed è originario del deserto a sudest. Negli anni Settanta si è trasferito nella capita-le, faceva il tassista e nel tempo libero praticava la passione per la musica in un Paese che all’epoca go-deva di una scena vibrante. «C’erano discoteche, ne-gozi di dischi, e i concerti dell’Orchestra Nazionale

«N on conosce-te Malouma?». L’omino in ca-

micia marrone è scanda-lizzato. Estrae un vinile dalla pila sul pavimento, aziona il giradischi, assa-pora il fruscio della pun-tina. Nella stanzetta rosa si diffonde una voce fem-minile dal timbro blues su melodie saheliane. «Non conoscere Malouma in Mauritania è come igno-rare Adriano Celentano in Italia», sentenzia Ahmed Vall indicando una vec-chia copia di Disco Dance, l’album di Celentano del 1977, in bella mostra tra un disco dei Cock Robin e la colonna sonora di Grease.

erano affollati», racconta. «La gente andava pazza per il soul americano e per le orchestre senegalesi e ivoriane. Io facevo il dj, or-ganizzavo serate anche per il Rotary Club, negli hotel e nelle piazze. Giravo con la mia valigia piena di di-schi e facevo ballare fino al mattino. Negli anni Ot-tanta è finito tutto».Ahmed non sa spiegare perché: forse per la cre-scente povertà nel Pae-se, o per i conflitti etnici tra la popolazione bianca e quella nera durante la ventennale presidenza di Sid’Ahmed Taya. O per la progressiva islamizza-zione della società mau-

Il regno di Ahmed è fat-to così: caotico, africano e cosmopolita insieme. Un puzzle di vinili, alcu-ni rarissimi, tra nomi in-ternazionali e collezioni dall’Africa occidentale. Un viaggio schizofrenico da Fela Kuti ai Pink Floyd, dal soukous a James Brown, dal reggae giamai-cano alla rumba congole-se. Si chiama Saphir d’Or (“Puntina d’Oro”, quella del giradischi, ovviamen-te), il negozio di dischi di Ahmed Vall, ed è l’unico rimasto in tutta la Mau-ritania. Una porticina in lamiera su un vialone pol-veroso nel centro di Nou-akchott, tra un ristorante e

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cultura

merunesi, stabilitasi ad Abidjan nel 1978. «Il vil-laggio - ricorda la scrittri-ce, drammaturga, attrice, cantante… - fu creato con l’obiettivo di valorizzare le nostre culture ancestrali, contaminarle e arricchir-le tra loro, e trasmetterle a tutti quei giovani desidero-si di affermarsi in campo artistico a livello interna-

Le strade del successo passano da Abidjan. Di questo sono con-

vinti le centinaia di gio-vani africani diplomatisi al villaggio Ki-Yi che sor-ge alle porte della capita-le economica della Costa d’Avorio.Dal 1985 questa prestigio-sa accademia d’arte pana-fricana attira da ogni parte

Musica, danza, teatro e moda. Da oltre 25 anni un villaggio alle porte di Abidjan ospita centinaia di giovani provenienti da tutta l’Africa che ambiscono a percorrere la carriera artistica…

zionale». Da oltre 25 anni il Ki-Yi Village tiene cor-si di formazione, produce spettacoli di successo, fa ricerca e sperimentazione all’avanguardia. Soprat-tutto sforna giovani talenti nell’ambito della musica, della danza e del teatro e della moda.

Ai fasti di un tempoSotto la direzione artistica di Werewere Liking e di sua sorella Nserel Njock, da sempre attive per la dif-fusione della cultura, de-cine di studenti di diverse etnie e nazionalità - pro-venienti in particolare dai Paesi francofoni - frequen-tano ogni giorno labora-tori di recitazione, canto, poesia e percussioni, con-dividendo spazi e attività come una grande famiglia. Il villaggio si autofinanzia

testo di Paola Marelli foto Afp

del continente schiere di ragazze e ragazzi che so-gnano di lavorare nel mon-do dello spettacolo. L’idea di consacrare un intero villaggio all’insegnamen-to della musica, della dan-za e del teatro è venuta in gioventù alla celebre ar-tista Werewere Liking, un’intellettuale eclettica e poliedrica di origini ca-

Nell’aprile del 2011, con la proclamazione a Presidente di Alassane Ouattara, la Costa d’Avorio ha formalmente chiuso una guerra civile durata dieci anni. Ma nel Paese (un tempo potenza economica dell’Africa, leader nell’esportazione di cacao, caffè e legname) permane ancora un clima di forte insicurezza. La causa è da una parte la gran quantità di armi ancora in circolazione, e dall’altra una

grave crisi economica che ha fatto lievitare i prezzi, facendo esplodere il numero di furti, saccheggi e rapine. Inoltre molti sostenitori dell’ex presidente Laurent Gbabo (incarcerato dalla Corte Internazionale dell’Aja con l’accusa di crimini di guerra) non si sono rassegnati alla sconfitta e danno vita a proteste e manifestazioni spesso violente.(R. Masto)

La difficile stagione ivoriana

Rivive il villaggio degli artistiCosta d’Avorio, dopo la guerra torna in attività lo storico Ki-Yi Village

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con i concerti e gli spet-tacoli dei suoi artisti ve-terani - riuniti nel gruppo Ki-Yi Mbock - che tengono tour internazionali molto quotati. «Abbiamo vissu-to momenti molto difficili durante la guerra civile che ha sconvolto il Paese», con-fessa Werewere Liking. Le attività della scuola hanno subito una fase di stallo, il villaggio è precipitato sul-le soglie della bancarotta. Gli effetti della crisi non sono ancora superati. «Del centinaio di artisti di una volta ne restano una tren-tina e le finanze non sono ancora solide», spiega Lan-dry Louhoba, insegnante di danza, che ha ripreso da pochi mesi i suoi corsi. «Ma sono ottimista: il peg-gio è alle spalle… Il villag-gio degli artisti tornerà ai fasti di un tempo». •

Cinema di Abidjan presi d’assalto per il primo film d’animazione in 3D della storia della Costa D’Avorio, Pokou, principessa Ashanti. Racconta di un’antica leggenda locale che ha come per protagonista Abla Pokou, regina africana che nel XVIII secolo salvò il suo popolo dalla guerra guidandolo dal Ghana verso la Costa d’Avorio dove fondò l’etnia Baoulé. Personaggi, ambientazione ed effetti speciali sono stati realizzati al computer da una dozzina di tecnici ivoriani, tutti autodidatti. Il lungometraggio, costato circa 150mila euro, ha già incassato cinque volte tanto.www.afrikatoon.com(R. Masto)

CINEMA 3D

A Colpo d’oCChioPopolazione. 23 milioni Età media. 20 anni Lingua. francese Religioni. musulmani 39%, cristiane 33%, tradizionali 28% Città principali. Abidjan (sede del Governo) e Yamoussoukro (capitale) Presidente. Alassane Dramane Ouattara Economia. cacao, caffè, legname, petrolio, cotone, banane, ananas, olio di palma, pesce.

Rivive il villaggio degli artistiCosta d’Avorio, dopo la guerra torna in attività lo storico Ki-Yi Village

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sport

La città della boxe

Nel quartiere di Bukom, antico suburbio della capitale del Ghana, sono natie cresciuti i migliori campioni africani dei guantoni. E ancora oggi i giovaniqui si allenano in decine di palestre e ring ricavati tra le baracche di lamiera

testo e foto di Bruno Zanzottera/Parallelozero

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Ghana, reportage dal sobborgodi Accra che sforna i più forti pugili d’Africa

U no degli Stati afri-cani con i tassi di crescita economica

più alti del continente è il Ghana. La sua democra-zia sembra solida e la sua capitale Accra si sta ve-locemente trasformando in una grande metropoli congestionata di traffi-co e palazzi che spuntano come funghi, scardinando le vecchie abitazioni che vengono abbattute senza troppi rimpianti. Ma una piccola parte della città ha mantenuto intatta la tipica fisionomia di un villaggio di pescatori. Il suo nome è Old Accra, ma gli abitan-ti la conoscono come Ga Mashie, dal nome della po-polazione che si stabilì su queste coste alcuni secoli fa: i Ga, appunto. Qui la vita si svolge in gran parte all’esterno delle case, con banchetti di vendito-ri delle merci più svariate e… quadrati di legno e ce-mento che ospitano ogni giorno decine di incontri di pugilato.

La leggenda invisibileLo sport che tutti i giova-ni di Ga Mashie vogliono fare non è il calcio, come altrove, ma la boxe. «Vuoi incontrare Azumah Nel-son? Non puoi. Lui è una leggenda vivente, non puoi incontrare una leggenda. Al massimo puoi sentire la sua voce al telefono». Così si esprime Eben Martey, il giovane allenatore di una palestra ricavata nel cortile di una scuola elementare, dove il ring è un semplice

quadrato disegnato sul sel-ciato. Subito dopo compo-ne un numero telefonico. All’altro capo del filo una voce profonda conferma di non avere tempo per un incontro a quattr’occhi e la linea particolarmente disturbata rende difficile anche una semplice inter-vista telefonica. Eben mi guarda soddisfatto e dice: «Vedi, non si può incontra-re una leggenda».Azumah Nelson, tre volte campione del mondo dei pesi piuma e super-piuma, è considerato il più grande pugile prodotto dal con-tinente africano ed è nato nel quartiere di Bukom, vera anima pulsante del pugilato di Ga Mashie.

Polvere e sudoreMa non è l’unico. Altri pu-gili nati e cresciuti qui si sono laureati campioni del mondo. È il caso di Joshua Clottey o Ike “Bazooka” Quartey, il più giovane di 27 fratelli nati da 5 ma-dri diverse e da un unico padre, che fu campione mondiale dei pesi welter. Il volto di “Bazooka” cam-peggia dipinto sui muri di alcune delle 27 palestre tuttora in attività a Bukom. Con lui frasi del tipo No pain no gain (“Senza do-lore non si vince”) o Hard at training! Easy in the ring (“Duro in allenamen-to, tranquillo sul ring”) incitano i ragazzi che in-crociano i guantoni in gran numero sin dalla più tenera età. Tutte le palestre di Old Accra, nonostante nomi

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viaggi

«E i fu. Siccome im-mobile, dato il mortal sospiro…».

Era il 5 maggio 1821 e Na-poleone Bonaparte moriva solo, abbandonato da tutti, in un’isola sperduta dell’o-ceano Atlantico. Talmente sperduta che la notizia del-la sua scomparsa arrivò in Europa solo il 16 luglio. E proprio quel giorno Ales-sandro Manzoni scrisse di getto la sua ode in onore all’ex imperatore.Quell’isola è Sant’Elena e ancor oggi, al tempo di in-ternet e delle comunicazio-ni satellitari, una notizia come quella della morte del grande condottiero francese impiegherebbe

Sull’isola diNapoleoneAlla riscoperta di uno storico approdonel bel mezzo dell’Atlantico

Situata al largo delle coste occidentali dell’Africa, Sant’Elena è una delle più remote isole del mondo. La sua fama è legata all’esilio dell’imperatore francese. Ma la sua solitudine estrema è destinata a rompersi…

giorni a raggiungere l’Afri-ca e da lì l’Europa. Perché, nonostante tutto, Sant’Ele-na è ancora uno dei luoghi più sperduti della Terra.

Approdo strategicoSituata a 1900 chilometri dalla costa dell’Angola e a circa 3000 da quella del Brasile, Sant’Elena è un’i-sola di origine vulcanica. A scoprirla per caso fu, nel 1502, il navigatore galizia-no João da Nova. L’appro-do si rivelò una buona base per i marinai perché ricco di vegetazione e di acqua dolce. Ben presto diven-ne terra contesa da porto-ghesi, spagnoli, olandesi e britannici. Nel 1659 venne

testo di Enrico Casale

Benché non appartenga ufficialmente al continente africano, Sant’Elena si può raggiungere via mare dal Sudafrica a bordo di una storica nave della Royal Mail, oppure a bordo dei mercantili in partenza dal porto angolano di Lobito che fanno rotta per il Sudamerica

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chiese

Missione Zambesi

testo di Marco Trovato foto di Marco Trovato e Bruno Zanzottera

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In visita alle sperdute missioni cattoliche del Barotseland

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Missione Zambesi

Le acque sonnacchiose dello Zambesi serpeggiano nelle vaste pianure alluvionali del Barotseland, antico regno africano esteso alle estreme propaggini occidentali dello Zambia. «Siamo fortunati: la stagione delle

piogge è in ritardo», sorride suor Kasumi, comboniana di origini peruviane che si è offerta di accompagnarci a Kalabo, la più sperduta delle missioni cattoliche, vicinissima alla frontiera con l’Angola. La suora ha lo sguardo concentrato sul nastro di polvere bianca, fine come borotalco, che minaccia di inghiottire il nostro fuoristrada. «Presto sarà impossibile percorrere que-sta pista e le consorelle di Kalabo resteranno isolate per molti mesi».

Isolate dalle acqueGli operai cinesi che stanno costruendo la nuova strada di asfalto non fa-ranno in tempo a terminare i lavori. Con l’arrivo dei temporali lo Zambesi diventerà scuro e limaccioso e si gonfierà fino a rompere gli argini. «Le inondazioni aggraveranno i problemi sanitari», avverte suor Ruth Tu-itoek, infermiera comboniana impegnata nell’ospedale governativo di Ka-labo. «Qui la gente muore di malaria, infezioni respiratorie, dissenteria. L’Aids è una piaga devastante. Mancano dottori e medicine… E quando re-steremo isolati in mezzo all’acqua, tutto diventerà dannatamente più diffi-cile». Il fiume arriverà a lambire la missione di Kalabo. «Saremo assediate da serpenti e coccodrilli», sospira suor Daria Gabardi, 75 anni, lombarda, in Zambia dal 1980. «Dovremo muoverci con le canoe e attendere fiduciose la fine delle piogge, in primavera, quando lo Zambesi tornerà a ritirarsi la-sciando dietro di sé un’immensa palude fangosa».

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Nelle remote pianure alluvionali dello Zambesi, al confine tra Zambia e Angola, le suore comboniane devono conviverecon la solitudine e le difficoltà di annunciare il Vangelo in un vasto territorio sconvolto da periodiche inondazioni

In visita alle sperdute missioni cattoliche del Barotseland

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Spiriti ancestrali«Il Barotseland è il cuore caldo e umido dell’Africa», sorride padre James Con-nolly, il volto imperlato dal sudore, vicario generale della diocesi di Mongu. «I

chiese

primi missionari giunse-ro nella regione alla fine dell’Ottocento con l’obiet-tivo di convertire la popo-lazione al cristianesimo. Furono ben accolti. Ma non riuscirono a estirpa-

re credenze e tradizioni tramandate da secoli». La gente che abita queste polverose lande continua a credere nelle divinità del pantheon tradizionale, rende omaggio agli spiriti

Suor Kasumi, comboniana di origini peruviane, in una cappella rurale. Pagina precedente: Suora Daria Gabardi, 75 anni, lombarda, apre il cancello della missione di Kalabo

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responsabili di fatti gra-vissimi e indifendibili.

Il direttore

Due pesi due misure?

Ho visto (Contro la Ca-sta - Africa 4/2013) che vi accanite senza troppi riguardi contro la classe politica africana - avida, corrotta, incapace... Giu-sto, bravi. Ma perché non vedo lo stessa severità nei media italiani nel giudi-care la nostra impresenta-bile cricca di politicanti? Due pesi, due misure? Forse prima di giudicare l’Africa dovremmo guar-dare a noi stessi. E farci un esame di coscienza.

Viviana Scotti, Milano

Non generalizziamo si-gnora Scotti. I politici (italiani e africani) non sono tutti uguali: non tutti meritano di essere additati come corrotti, incapaci, avidi o impre-sentabili. E non tutti i mezzi di informazione sono uguali.

Il direttore

Eroi e criminali

Ho visto il vostro articolo Non sono un eroe su padre Mario Falconi, il missio-nario italiano che duran-te il genocidio del 1994 in Ruanda salvò 3mila persone dai machete dei carnefici. Ma perché non ricordate anche i sacerdoti cattolici che scapparono o chiusero gli occhi di fronte all’eccidio, o peggio par-teciparono attivamente ai massacri?

Domenique Igihozo,via mail

Gentile signor Igihozo, se invece “di vedere” l’ar-ticolo su padre Falconi avesse fatto anche lo sfor-zo di leggerlo, si sarebbe accorto che non c’è stata da parte nostra alcuna la-cuna, né tantomeno alcu-na censura. A pagina 73 abbiamo titolato Eroi e criminali in tonaca un te-sto piuttosto articolato in cui ricordiamo sacerdo-ti e gerarchi della Chiesa ruandese che nella pri-mavera del 1994 si resero

Nero o “di colore”?

Piccola nota polemica. Agli africani non piace definirsi “di colore” , ma “neri” ed hanno ragione. Attenzione all’uso delle parole!

Rosanna Conti, via mail 

Neri o “di colore”: qual è l’espressione “politica-mente corretta”? Il mi-nistro Kyenge, lo scorso giugno, ha dichiarato: «Sono nera, non di colore, e ne vado fiera». A voler essere rigorosi gli africa-ni non sono affatto neri (come noi occidentali non possiamo definirci “bian-chi”). Semmai il termine corretto per indicarli sa-rebbe “negri” (la negritu-dine è stato un movimento letterario, culturale e po-litico che si proponeva di affrancare gli africani dal complesso di inferiorità imposto dai colonizzato-ri). Ma il termine negro, col tempo, ha acquisito

nella nostra società un significato spregiativo. Quindi non è semplice di-stricarsi. Le parole, a vol-te, non aiutano. Il dibattito è aperto: mi piacerebbe sapere cosa ne pensano i lettori di Africa.

Il direttore

SOS dal Burundi

Sono un sacerdote, vi scri-vo dal Burundi. Vorrei lan-ciare un appello tramite le pagine di Africa per aiuta-re delle giovani donne del-la mia parrocchia, fuggite dalla guerra che sta deva-stando l’est del Congo. Si tratta di ragazze, spesso minorenni, che hanno do-vuto subire violenze terri-bili perpetrate da banditi e guerriglieri. Il progetto Giustizia e Pace che ho ideato mira a far conoscere i drammi di queste donne e difendere le ragazze che sono rimaste vittime di abusi. Costo preventivato: 5.450 euro. Maggiori in-formazioni:[email protected]

don Federico KyalumbaDiocesi di Uvira

togu na - la casa della parola a cura della redazione

lettere

Ritorna il campionato di calcio coi suoi problemi irrisolti. Che cosa dovrebbero fare i giocatori bersagliati dai cori razzisti negli stadi?

5% Uscire dal campo per protesta 15% Mostrarsi indifferenti 65% Esigere la sospensione della partita 15% Andare a giocare in un Paese più civile

africarivista

sondaggio PaReRi RaCColti sulla Pagina FaCebook di aFRiCa

chiese

«Non sono un eroe»Incontro con padre Mario Falconi,missionario coraggioso in Ruanda

Una coltre di nuvole grigie ha inghiottito le colline del Ruanda. La stagione delle piogge è arrivata in anticipo. I primi temporali hanno trasformato le piste in torrenti in piena. Non è stato faci-

le raggiungere la remota missione di Muhura, nei pressi del confine ugandese, 120 chilometri a nord della capitale Kigali. Il fuoristrada arrancava sulle salite, scivolava sulle pietraie, sprofondava nella fan-ghiglia. «Temevo che non ce l’aveste fatta a giungere fin quassù», ci accoglie padre Mario Falconi, settant’anni, fisico asciutto e slanciato, avvolto in una lunga tunica bianca. «Siete arrivati giusto in tempo per il pranzo: accomodatevi a tavola, così potremo parlare».

Situazione esplosivaQuesto missionario barnabita, nato in un paesino della provincia di Bergamo e trasferitosi quarant’anni fa nel cuore dell’Africa, ha una storia importante da raccontare: una storia personale che s’intreccia con quella di migliaia di altre persone. Ascoltiamo il suo racconto sot-to una tettoia in lamiera percossa da scrosci rabbiosi.«Pioveva a dirotto anche in quella dannata primavera della 1994», ricorda il sacerdote, capelli brizzolati, naso aquilino, il volto solcato dalle rughe, occhiali enormi che riflettono lampi di luce. «Ero arriva-to da poco in Ruanda, dopo diciott’anni di missione nell’Est del Con-go. Qui trovai una situazione politica e sociale molto tesa».

Durante il genocidio del 1994, costatoun milione di vittime, un missionariobergamasco riuscì a salvare tremilapersone dai machete dei carnefici.«Ancora oggi fatico a credere di essereriuscito a sopravvivere a quei giorni infernali»

testo di Marco Trovato

africa · numero 4 · 2013 6968 africa · numero 4 · 2013

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lo scatto testo di Nzioka Museru foto di Tony Karumba/Afp

contro la casta

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Manifestanti kenioti prendono a calci un maiale di cartapesta imbrattato di sangue: è l’inso-

lita protesta anti-casta andata in sce-na nelle scorse settimane davanti al Parlamento di Nairobi, la capitale del Kenya. Centinaia di persone sono sce-se in piazza per contestare la decisione dei deputati locali - già tra i più pagati al mondo - di aumentarsi lo stipendio, portandolo a circa 8mila euro al mese (oltre 100 volte superiore al salario medio di un lavoratore). Ai cortei han-no partecipato anche decine di veri su-ini liberati dai dimostranti nelle strade della città. «I maialini simboleggia-no l’ingordigia dei nostri politici», ha spiegato Boniface Mwangi, leader del gruppo Occupy Parliament che è fini-to in manette insieme a dozzine di altri manifestanti. •

keny

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8 africa · numero 4 · 2013

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www.missionaridafrica.orgn. 5 settembre . ottobre 2013

padri bianchi . missionari d’africa

Tra i neri del BrasilePadri Bianchi in una “nazione arcobaleno”

testo di Sara Milanese foto di Matteo Merletto

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La decennale presenza dei Padri Bianchi, Missionari d’Africa, a fianco delle popolazioni più povere ed emarginate del grande Paese latinoamericano

stato ricco e bianco, meta, soprattutto nel secolo scorso, di immigrati europei: tedeschi, italiani, polacchi, ucraini. Don Pedro Fedalto, vescovo di Curitiba, si ri-velò aperto a una dimensione universale della Chiesa e accolse i missionari con l’obiettivo di aprire i brasiliani al mondo intero, e in particolare a quello africano.

La missione di PinhaisPer i primi due anni la pastorale dei Padri Bianchi si concentra in città, «poi con il vescovo ausiliario, che aveva apprezza-to molto il nostro stile e il nostro lavoro, abbiamo cercato un luogo migliore dove iniziare una parrocchia. Così ci siamo tra-sferiti a Pinhais». Inserito nella regione metropolitana di Curitiba, Pinhais è il più piccolo per estensione dei circa 400 comuni dello stato di Paraná. Ma è anche tra i 15 mu-nicipi più densamente popolati. «La gioia più grande di quegli anni è stata quella di immergerci nel contatto con le persone. Con padre Jacques, nei primi anni siamo riusciti a costruire 7 cappelle, partendo da vere e proprie capanne di paglia!»

Nella decade degli anni ‘90 Pinhais co-nosce un veloce sviluppo economico e commerciale, tanto da rientrare, nell’an-no 2000, nella classifica dei 100 migliori municipi del Brasile. Qui, come altrove in Brasile, sono ben evidenti le disugua-glianze sociali: benchè la popolazione sia a maggioranza bianca, anche in Paraná è presente da secoli una nutrita comu-nità afrodiscendente, e lo testimonia la presenza di oltre 100 quilombos (accam-pamenti di ex schiavi africani, ndr) su tutto il territorio paranemense. Gli afro-

Il bairro Federação, a pochi passi dalle spiagge e dai rinomati hotel per turisti, è un quartiere popolare e tranquillo. Qui si trova una delle due case dei Padri Bianchi in città e in tutto il Paese. È su Salvador, capi-tale dello Stato di Bahia e capitale culturale dei negros brasiliani, che i missionari hanno deciso di con-centrare la loro attività pastorale.

«Il cuore africano del Brasile è la Bahia e di questa, Salvador», lo conferma padre Hubert Roy, 84 anni, belga, che con padre Angelo Lee si occupa oggi della pastorale a Federação. Padre Hubert è arri-vato in Brasile per la prima volta nel 1984, anno indicato dagli sto-rici come quello che segna l’inizio del lento passaggio alla demo-crazia, dalla dittatura instaurata-si 20 anni prima.Quella dei Padri Bianchi è quin-di una presenza attiva da quasi 30 anni. La città ideale per fare missione è sembrata da subito Salvador, ma per l’e-piscopato brasiliano non era un’ipotesi possibile. Dopo varie ricerche, l’unica diocesi a rispondere fu Curitiba, ca-pitale nello stato di Paraná,

Statua di Zumbi dos

Palmares (1655-1695),

una sorta di Spartaco

brasiliano. Eroe della

resistenza negra ai

colonizzatori, fu il

leader del Quilombo

de Palmares, la prima

Repubblica democratica

brasiliana (1602-1694)

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padri bianchi . missionari d’africa africa · numero 5 · 2013 79

«I brasiliani sono un popolo religioso, con una forte spiritualità e alla ricerca del sacro, atteggiamento che li spinge verso queste nuove Chiese. Dopo un passato di forte impegno sociale, oggi la Chiesa cattolica in Brasile insiste maggiormente sul culto e le pratiche religiose, affidando ai movimenti carismatici la sua missione evangelizzatrice. La scelta di Rio come sede della Giornata Mondiale della Gioventù ha di certo risposto anche al bisogno di affermare la presenza della Chiesa cattolica in Brasile e in tutta l’America latina».

padre Angelo Lee

un popoloreligioso

clero locale nel 2009: «Lo abbiamo deci-so in accordo con il vescovo locale, che mi ha concesso di rimanere a Pinhais per collaborare con i preti diocesani fino alla fine del 2012. Dopo un periodo trascorso in Europa ad occuparmi della mia salute, sono a Salvador dai primi di giugno.»

Il futuro della Chiesa: i giovaniUna delle priorità per la congregazio-ne oggi sono i giovani: «Come ha detto anche l’arcivescovo di Rio nel discorso di accoglienza di Francesco per la Giornata Mondiale della Gioventù, dobbiamo ascol-tare questi giovani, quelli che sono scesi nelle strade le scorse settimane, quelli che hanno accolto la croce della GMG durante tutto questo anno, che hanno pregato per questo incontro» conclude padre Hubert. Sono stati tanti i motivi che hanno portato in piazza i giovani brasiliani lo scorso giu-gno: corruzione, spreco di denaro pubbli-co, mancanza di servizi sanitari, sistema scolastico carente... l’aumento del prezzo del biglietto dell’autobus è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. A Salvador però, i giovani in piazza hanno manifestato anche contro le discrimina-zioni razziali: nel carcere locale ci sono quasi esclusivamente detenuti negros; i quartieri più popolari, dove la presenza di afrodiscendenti è maggiore, sono quelli anche più carenti di servizi; la polizia non si fa scrupolo di calpestare i diritti dei senza fissa dimora, quasi tutti neri. La sfida del nuovo movimento di protesta di Salvador è ora quella di riuscire a coinvolgere anche la parte della città più ricca. Così da far di-ventare veramente il Brasile una “Nazione arcobaleno”.

PROGETTI ATTIVIda AMICI DEI PADRI BIANCHI - ONLUSProgetto 04-10 MaliChiesa di MasinaReferente: padre Alberto Rovelli

Progetto 05-10 MaliFormazione dei catechistiReferente: padre Arvedo Godina

Progetto 07-10 Borse di StudioAiutare i seminaristi Padri BianchiReferente: padre Luigi Morell

Progetto 09-10 MozambicoAdotta un bambinoReferente: padre Claudio Zuccala

Progetto 01-11 RD CongoCentro nutrizionale e acquedottoReferente: padre Italo Iotti

Progetto 04-11 MaliUn dispensario a GaoReferente: padre Alberto Rovelli

Progetto 13-11 KenyaA scuola grazie a suor AgataReferente: padre Luigi Morell

Progetto 14-12 RD CongoCon i giovani di GomaReferente: padre Giovanni Marchetti

Progetto 15-12 MaliLotta contro la carestiaReferente: padre Vittorio Bonfanti

Progetto 18-2013 GhanaUna moto per Tom ZendaagagnReferente: padre Richard K. Baawobr

Per ogni invio, si prega di precisare sempre la destinazione del vostro dono (numero progetto, sante messe, rivista, offerte, ecc) ed il vostro cognome e nome

Le donazioni (assegni, bonifici e versamenti) sono detraibili e vanno intestate a:amici dei Padri Bianchi - onLUs

ccP: n. 9754036iBan: it32 e076 0111 1000 0000 9754 036

credito cooperativo di treviglio BgiBan: it73 H088 9953 6420 0000 0172 789

Paypal: http://www.missionaridafrica.org/progetti/

info: 0363 44726 - [email protected]

Page 66: Africa 05-2013 Settembre-Ottobre 2013

80 africa · numero 5 · 2013

«Grazie Signore»Le ultime parole di un Missionario

a cura della redazionePadre Ugo Ceccon ci ha lasciati proprio mentre siamo in chiusura di questo nu-mero di Africa. Se ne è andato all’età di 83 anni, circondato dai suoi confratelli, dai sacerdoti che lo hanno conosciuto e da tante, tantissime persone che hanno avuto modo di incontrarlo e apprezzarlo. Se ne è andato il 14 agosto scorso, dopo aver ricevuto l’unzione di malati dalle mani di suo fratello padre Mariano.Volendo condividere con i nostri lettori la serenità e la fiducia che padre Ugo ha saputo diffondere attorno a sé, pubbli-chiamo un estratto di una sua Lettera di commiato, scritta il 26 dicembre 2006. Gli fa eco l’ultimo saluto rivoltogli da suo fratello Mariano, nella chiesa della Pieve a Castelfranco Veneto, alla fine delle ese-quie, lunedì 19 agosto.

Lettera di commiatoStamattina ho rifatto il mio testamento spirituale. Desidero completarlo con una parola di saluto a quanti mi hanno incon-trato nella mia vita, ricordando innanzitut-to la mia famiglia, i Padri Bianchi, le comu-nità d’Africa e d’Italia dove ho vissuto e i tanti amici che ho sempre sentito vicino e

infine la comunità che mi ha accolto al mio ritorno dall’Africa.La parola che ora mi viene spontanea ma che sempre ha accompagnato la mia vita, è un immenso GRAZIE! Mi sono sempre considerato fortunato nella vita e ho sem-pre gustato la gioia che considero vera: la gioia di sentirsi amato e impegnato ad amare. So che questo lo devo soprattut-to al Signore che non mi è mai mancato. Ma so di doverlo anche alla mia famiglia, alla parrocchia, ai miei educatori e, in verità, a tutti coloro che sono diventati la mia grande famiglia. Ricordo la paura che mi colse in prossimità del sacerdozio. Ero allora a Thibar (in Algeria, ndr) e non mi sentivo capace di essere sacerdote e missionario. Ma fui incoraggiato a fare fiducia nel Signore. E sempre sono stato grato al Signore che mi aveva chiamato. Penso di essere sempre stato cosciente dei miei limiti e, dal mio ritorno dall’Africa, nel giugno 2004, mi pare di avere accet-tato serenamente l’impoverimento che accompagna l’età e la minor salute.A quanti mi ricorderanno, chiedo l’aiuto della loro preghiera e la certezza che ab-braccio tutti nel Signore.

Mi piace dire un grazie particolare a Maria, madre di Gesù, madre mia e madre di tutti, per il suo amore.Grazie ancora.

Padre Ugo Ceccon,sacerdote missionario dei Padri Bianchi

Il saluto del fratelloMi sono sempre chiesto come sia nata la mia vocazione... Certo, essa viene prima di tutto dal Signore. Ma per chiamarmi il Signore si è servito di mio fratello Ugo. In famiglia, Ugo mi voleva bene e io gli vole-vo bene, e quando entrò dai Padri Bianchi sul suo esempio ho voluto anch’io diven-tare missionario.La mamma avrebbe voluto che entrassi in seminario diocesano per seguirmi poi in una parrocchia. Il papà mi disse: «Se il Signore ti chiama, vai! E come abbiamo aiutato Ugo, aiuteremo anche te». Ed è così che anch’io sono entrato nel semi-nario dei Padri Bianchi per prepararmi a essere missionario in Africa. Laggiù in missione, Ugo ha sempre voluto aiutarmi. Di lui ho sempre ammirato la sua capacità di adattarsi ai compiti più diversi che svol-geva con tutta la sua forza, mettendosi anche in pericolo di morte. Grazie Ugo per l’amore e l’esempio che mi hai sem-pre dimostrato. Riposa in pace.

A TREVIGLIO

Il XXXV raduno degli ex alunni dei Padri Bianchi avrà luogo il 29 settembre 2013, ultima domenica di settembre, a Treviglio, presso la casa dei Padri Bianchi.

Potete inviare fin d’ora le vostre adesioni a:

Rizzi [email protected]. 339 834 95 71padre [email protected]. 0363 44726fax 0363 48198Oppure per lettera aRedazione Africa, XXXV Raduno Cas. Post. 61, Viale Merisio 17, 24047 TREVIGLIO BG

Nato a Solagna (Vi) nel 1930 e ordinatosacerdote nel 1954, padre Ugo haservito la Chiesa missionaria per 35anni in RD Congo e per 25 in Italia

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Le ville di Mobutu

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