AbrahamYehoshua - Rizzoli Education

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- 1 © 2011 RCS Libri S.p.A., Milano/La Nuova Italia – M. Sambugar, G. Salà - Letteratura+ sezione-3 Dagli anni Cinquanta ai giorni nostri - 1 Abraham-Yehoshua La-vita-e-le-opere Abraham Yehoshua è nato nel 1936 a Geru- salemme. Dopo aver studiato letteratura ebraica e filosofia, negli anni Sessanta insegnò a Parigi per quattro anni. Yehoshua è riconosciuto come uno dei più grandi scrittori israeliani, dotato di una capacità particolare di cogliere il sentimento del suo popolo e il dramma del conflitto israelo- palestinese. La sua narrazione analizza i conflitti mediorientali attraverso i sentimenti che animano gli individui. Nelle sue opere cerca di fornire le chiavi per comprenderne il senso profondo e pro- pone un atteggiamento basato sulla tolleranza, la comprensione reciproca, lo sforzo di realizzare una convivenza anche se difficile. I personaggi sono sempre in movimento, alla ricerca di un’identità quasi impossibile da tro- vare. Yehoshua è capace di insinuarsi tra le pie- ghe del loro pensiero, dalla vittima all’aguzzino, riuscendo a comporre un quadro preciso delle situazioni rappresentate di cui sa costruire una mappa emotiva. Tra le sue opere ricordiamo i romanzi L’amante (1977), Un divorzio tardivo (1982), Cinque stagioni (1987), Il signor Mani (1990), Ritorno dall’India (1996), Viaggio alla fine del millennio (1997), Il responsabile delle risorse umane (2004) e Fuoco amico (2007). L’amante (1977) Il-contesto-- L’amante è il romanzo più noto di Abraham Yehoshua, tradotto in molte lingue. La storia si svolge ad Haifa, una città israeliana in cui vivono arabi e israeliani, separati da un muro di diffidenza e di sospetto, talvolta apertamente ostili gli uni nei confronti degli altri. L’epoca della vicenda è il 1973, l’anno in cui scoppiò la guerra del Kippur così chiamata perché iniziò il giorno sacro per gli ebrei, lo Yom Kippur. La guerra è sullo sfondo della vicenda narrata nel romanzo: non la vediamo direttamente, ma da mille segnali sappiamo che si sta svolgendo. La-trama-- Il romanzo racconta diverse vicende che si intrecciano. Adam è un uomo di quaran- tacinque anni, sposato con Asya, a cui è legato fin dai tempi della scuola. Asya è invecchiata con lui, e gli ha dato due figli: Yigal, il primogenito, è morto in un incidente stradale; la figlia, Dafi, ha ormai quindici anni e sta diventando una donna. Asya è professoressa in una scuola superiore della città, Adam è un ottimo meccanico, possiede un garage molto ben avviato. I soldi non mancano, ma la vita della coppia è diventata un po’ spen- ta, triste. Asya sembra invecchiare malinconica- mente, fin quando, un giorno, nella carrozzeria di Adam si presenta un giovanotto di nome Gabriel, che entra a far parte della famiglia. Dafi un giorno rientra a casa e trova la porta della camera del- la madre chiusa a chiave dall’interno. Adam non vuole accorgersi del legame nato tra la moglie e il ragazzo. Intanto la radio dà notizie drammati- che: è scoppiata la guerra. I giovani partono per il fronte, e anche Gabriel scompare. Inizia allora la sua ricerca di questo ragazzo, in cui è coinvolto anche Na’im, un giovane arabo che lavora nell’officina di Adam. Fra Na’im e Dafi nasce un sentimento strano: i due giovani prova- no attrazione e curiosità l’uno per l’altra, ma, al tempo stesso ostilità e imbarazzo. Il disprezzo che gli arabi sentono nei confronti degli israelia- ni è ricambiato dall’arroganza che gli israeliani riservano agli «arabetti», alle loro abitudini giu- dicate arcaiche e incivili. Alla fine Gabriel verrà ritrovato, e rivelerà di essere stato risucchiato dalla guerra che gli ha cambiato l’esistenza e l’ha fatto invecchiare precocemente. La-tecnica-narrativa-- La tecnica con cui Yehoshua racconta questa storia è estremamente raffinata. Egli fa parlare in prima persona i diversi perso- naggi. Ciascuno racconta quello che ha vissuto, quello che sa, quello che immagina, quello che pensa. Anche gli altri raccontano la stessa vicen- da, ma dal loro PUNTO DI VISTA. In questo modo emergono diverse sensibilità, diverse culture. Soprattutto si esprimono i pregiudizi, le motiva- zioni profonde dell’odio, ma anche il desiderio di un avvicinamento, di una complicità che talvol- ta sembra diventare possibile.

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La­narrativa­stranieradel secondo Novecento

© 2011 RCS Libri S.p.A., Milano/La Nuova Italia – M. Sambugar, G. Salà - Letteratura+

sezione­3 Dagli anni Cinquantaai giorni nostri

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Abraham­Yehoshua

La­vita­e­le­opere

Abraham Yehoshua è nato nel 1936 a Geru-salemme. Dopo aver studiato letteratura ebraica e filosofia, negli anni Sessanta insegnò a Parigi per quattro anni. Yehoshua è riconosciuto come uno dei più grandi scrittori israeliani, dotato di una capacità particolare di cogliere il sentimento del suo popolo e il dramma del conflitto israelo-palestinese. La sua narrazione analizza i conflitti mediorientali attraverso i sentimenti che animano gli individui. Nelle sue opere cerca di fornire le chiavi per comprenderne il senso profondo e pro-pone un atteggiamento basato sulla tolleranza, la comprensione reciproca, lo sforzo di realizzare

una convivenza anche se difficile.I personaggi sono sempre in movimento, alla ricerca di un’identità quasi impossibile da tro-vare. Yehoshua è capace di insinuarsi tra le pie-ghe del loro pensiero, dalla vittima all’aguzzino, riuscendo a comporre un quadro preciso delle situazioni rappresentate di cui sa costruire una mappa emotiva. Tra le sue opere ricordiamo i romanzi L’amante (1977), Un divorzio tardivo (1982), Cinque stagioni (1987), Il signor Mani (1990), Ritorno dall’India (1996), Viaggio alla fine del millennio (1997), Il responsabile delle risorse umane (2004) e Fuoco amico (2007).

L’amante (1977)

Il­contesto­­L’amante è il romanzo più noto di Abraham Yehoshua, tradotto in molte lingue. La storia si svolge ad Haifa, una città israeliana in cui vivono arabi e israeliani, separati da un muro di diffidenza e di sospetto, talvolta apertamente ostili gli uni nei confronti degli altri. L’epoca della vicenda è il 1973, l’anno in cui scoppiò la guerra del Kippur così chiamata perché iniziò il giorno sacro per gli ebrei, lo Yom Kippur. La guerra è sullo sfondo della vicenda narrata nel romanzo: non la vediamo direttamente, ma da mille segnali sappiamo che si sta svolgendo.

La­trama­­Il romanzo racconta diverse vicende che si intrecciano. Adam è un uomo di quaran-tacinque anni, sposato con Asya, a cui è legato fin dai tempi della scuola. Asya è invecchiata con lui, e gli ha dato due figli: Yigal, il primogenito, è morto in un incidente stradale; la figlia, Dafi, ha ormai quindici anni e sta diventando una donna. Asya è professoressa in una scuola superiore della città, Adam è un ottimo meccanico, possiede un garage molto ben avviato. I soldi non mancano, ma la vita della coppia è diventata un po’ spen-ta, triste. Asya sembra invecchiare malinconica-mente, fin quando, un giorno, nella carrozzeria di Adam si presenta un giovanotto di nome Gabriel, che entra a far parte della famiglia. Dafi un giorno rientra a casa e trova la porta della camera del-la madre chiusa a chiave dall’interno. Adam non

vuole accorgersi del legame nato tra la moglie e il ragazzo. Intanto la radio dà notizie drammati-che: è scoppiata la guerra. I giovani partono per il fronte, e anche Gabriel scompare.Inizia allora la sua ricerca di questo ragazzo, in cui è coinvolto anche Na’im, un giovane arabo che lavora nell’officina di Adam. Fra Na’im e Dafi nasce un sentimento strano: i due giovani prova-no attrazione e curiosità l’uno per l’altra, ma, al tempo stesso ostilità e imbarazzo. Il disprezzo che gli arabi sentono nei confronti degli israelia-ni è ricambiato dall’arroganza che gli israeliani riservano agli «arabetti», alle loro abitudini giu-dicate arcaiche e incivili. Alla fine Gabriel verrà ritrovato, e rivelerà di essere stato risucchiato dalla guerra che gli ha cambiato l’esistenza e l’ha fatto invecchiare precocemente.

La­tecnica­narrativa­­La tecnica con cui Yehoshua racconta questa storia è estremamente raffinata. Egli fa parlare in prima persona i diversi perso-naggi. Ciascuno racconta quello che ha vissuto, quello che sa, quello che immagina, quello che pensa. Anche gli altri raccontano la stessa vicen-da, ma dal loro punto di vista. In questo modo emergono diverse sensibilità, diverse culture. Soprattutto si esprimono i pregiudizi, le motiva-zioni profonde dell’odio, ma anche il desiderio di un avvicinamento, di una complicità che talvol-ta sembra diventare possibile.

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Gabriel è scomparso, lasciando un vuoto nel cuore di Asya. Adam decide di cercarlo e si fa aiutare da Na’im, un giovane arabo, sveglio e intelligente, che fra l’altro assomiglia fisicamente a Yigal, il figlio perduto e mai dimenticato di Adam e Asya. Na’im viene allora invitato a casa ed è accolto con corte-sia e calorosa ospitalità. Dafi, invece, guarda con

un certo sospetto il ragazzo venuto a turbare la tranquillità della sua famiglia. Poi viene la notte e Na’im rimane a dormire nella camera degli ospiti. La mattina seguente Adam e Asya escono presto e Dafi rimane sola con Na’im. Il ragazzo dorme fino a tardi, fin quando lei lo sveglia e gli offre la colazione.

Due mondi ostili(l’amante)

Na’imIntanto era venuta mattina, e io cominciavo a svegliarmi e a stirarmi nel

letto, in silenzio. Un paio di volte la porta s’è aperta e la ragazzina ha fatto capolino, per vedere che cosa facevo. Ma io ho continuato a dormire. Il tele-fono ha suonato, la radio andava a tutto volume. […] Dalla finestra si vedeva il cielo azzurro, si sentivano voci di bambini. Alla radio continuavano a ciar-lare, anche di sabato loro non si stancano. Adesso la ragazza era sulla soglia e bussava piano. Mi sono affrettato a chiudere gli occhi, e lei è entrata in silenzio, è andata alla libreria come se cercasse un libro, ma faceva un po’ di rumore per svegliarmi. Era in pantaloni e aveva addosso un pullover molto stretto, ho visto che aveva le tette piccole e sporgenti. Ieri ero sicuro che non le avesse ancora, pareva che le fossero spuntate durante la notte.

Infine, quando ha visto che non mi muovevo, mi è venuta vicino e con la sua mano calda mi ha toccato la faccia. Mi ha fatto molto piacere che lei mi abbia toccato, che non mi abbia chiamato soltanto. Alla fine mi sono deciso ad aprire gli occhi, che non credesse che ero morto.

E lei ha detto in fretta, con quella sua voce un po’ rauca:«Devi alzarti. Papà e mamma sono usciti stamattina. Sono già le undici.

Ti preparerò la colazione. Come lo vuoi, l’uovo?».Era tutta rossa in faccia, e molto seria.«Non importa...».«Per me è lo stesso».«Come vuoi tu».«Ma per me è lo stesso... Su, dimmi...».«Come lo prendi tu...» le ho detto sorridendo.«Io ho già mangiato... ti farò un uovo strapazzato...».Non sapevo che cosa fosse un uovo strapazzato. Ero disposto a provare

ma d’un tratto, con una sfacciataggine che non so da dove mi venisse, ho detto: «Va bene, ma senza zucchero, per favore...».

«Zucchero???».«Volevo dire... come ieri», ho balbettato, «che nel mangiare c’era un po’

di zucchero...».Quando ha capito che cosa volevo dire, è scoppiata a ridere.E anch’io ho fatto un sorrisino.

CONTENUTI Le difficoltà della convivenza tra israeliani e palestinesi Il desiderio sessuale come linguaggio universale

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Se n’è andata, e io mi sono vestito in fretta, ho rifatto il letto, sono anda-to in bagno a lavarmi la faccia e a pulirmi i denti, mi sono pettinato col loro pettine e poi ho asciugato il lavabo. Poi sono andato in cucina, e lì ho trova-to il tavolo carico di roba. Si vedeva che aveva tirato fuori tutto quello che c’era nel frigorifero e l’aveva messo sul tavolo. Forse era la prima volta che preparava la colazione per un ospite. Si è messa un grembiule e con molto entusiasmo ha cominciato a friggere qualcosa, e poi mi ha portato un uovo tutto pasticciato e anche un po’ bruciacchiato e mi ha dato del pane brucia-to e del semolino. Si è seduta davanti a me tutta tesa, a vedere come mangia-vo, e continuava a offrirmi altra roba – formaggio, acciughe, cioccolata. Vo-leva che mangiassi tutto quello che c’era in casa. […] Io mangiavo con la bocca chiusa, adagio. Ogni tanto rifiutavo qualcosa, e altre volte non rifiuta-vo. Lei mi stava dietro come se fossi un lattante o un cagnolino che gli dàn-no da mangiare. Io la guardavo solo ogni tanto, vedevo che era molto sve-glia, energica, non imbambolata come la sera prima. Aveva i capelli raccolti in una crocchia, gli occhi neri le brillavano. Non toccava cibo.

«Tu non mangi?» ho chiesto.«No... sono già troppo grassa...».«Grassa? Tu?».«Un po’...».«A me non pare...».E lei di nuovo scoppia a ridere. Fa quasi paura quel nitrito che le viene

fuori, come fosse un cavallo. Si vede che io ho qualcosa che la fa ridere. Poi smette di ridere, ridiventa seria. E poi ancora: sorride un po’, e di colpo, senza preavviso, scoppia a ridere. E io mangio e mangio, e intanto che man-gio m’innamoro sempre di più, m’innamoro in modo definitivo, assoluto, con tutto il cuore, sarei disposto a baciare quel piedino bianco che continua a dondolarmi davanti.

«Non era troppo zuccherato il mangiare?».«No... andava benissimo...» dico, e divento tutto rosso in faccia.

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Il regista Faenza aveva già trat-tato temi vicini all’ebraismo con Jona che visse nella balena (1993), ispirato alla storia reale di Jona Obersky, fisico nucleare olande-se che fu deportato da bambino in campo di concentramento. Con L’amante perduto, esplora il tema del conflitto israelo-palesti-nese. Il film di Faenza ripercorre le vicende di Adam, Asya e dell’amante scomparso avvalen-dosi di un cast internazionale funzionale alle esigenze della re-gia. La maggiore difficoltà di adattare cinematograficamente il romanzo era costituita dalla

struttura “polifonica” dell’opera, narrata in prima persona dai pro-tagonisti stessi. Gli sceneggiatori hanno ovviato al problema con un espediente: la vicenda è rac-contata esclusivamente da Dafi, che, preoccupata per il matrimo-nio dei genitori, si confida con uno scrittore suo vicino di casa al quale rivela i fatti accaduti. Contrariamente al romanzo, in

cui il conflitto politico e i messaggi di auspicata convivenza si colgo-no tra le righe, il regista esprime chiaramente l’invito alla ricon-ciliazione.

Anno: 1999 Origine: Francia, Gran Bretagna, ItaliaSoggetto: tratto dal romanzo L’amante di A. YehoshuaSceneggatura: S. Petraglia, R. FaenzaRegia: Roberto FaenzaInterpreti principali: Ciarán Hinds (Adam), Juliet Aubrey (Asya), Stuart Bunce (Gabriel)

Cine

ma L’ODIO­E­L’AMORE: L’amante perduto

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«Ma il caffè, lo bevi con lo zucchero?».«Il caffè sì».E lei va a prepararmi il caffè.È una giornata limpida, come se l’inverno fosse già finito. Alla radio

aspettano che vengano dei nuovi chiacchieroni a sostituire quelli vecchi che sono andati a riposare, e intanto suonano musica. E io sono già totalmente innamorato, sono prigioniero del mio amore. Non ho più neanche bisogno di guardarla, perché ormai l’ho nel mio cuore. Bevo il caffè. Che pazza vita. Non mi pare neanche di essere io. E lei continua a guardarmi, come se non avesse mai visto qualcuno mangiare.

D’un tratto sento la sua voce: «Di’ un po’, ci odiate tanto, voialtri?1»Per lo spavento, quasi lasciavo cadere la tazza.«Odiamo chi?».Sapevo bene di che cosa parlava, ma mi faceva strano che proprio lei

cominciasse a parlare di politica.«Noi... gli israeliani...».«Ma anche noi siamo israeliani...2».«No... voglio dire... gli ebrei...».Io la guardo negli occhi.«Non più tanto, ormai», provo a dire, francamente, e intanto guardo il

suo bel viso, i suoi capelli chiari. «Dopo che vi hanno sconfitti un pochino3, vi odiamo già meno...».

Lei ride. Le piace molto quello che ho detto.«Ma quel tuo cugino... quel terrorista...».«Quello era un po’ matto...» l’interrompo subito, non voglio che cominci

a parlarmi di Adnan.«E tu ci odii?».«Io... io non vi ho mai...» mentivo, perché delle volte mi fanno proprio

venire i nervi questi ebrei che non ci dànno mai un passaggio in macchina4, che non si fermano neanche quando piove e non c’è nessuno per la strada.

In quel momento ha suonato il telefono, e lei è corsa a rispondere. Dove-va essere una sua amica, perché è rimasta lì forse mezz’ora a parlare. Ride-va, e ogni tanto si metteva a parlare sottovoce; ad un certo punto ha persino parlato in inglese, perché io non potessi capire, forse diceva parolacce. Ho sentito anche che bisbigliava «è un arabo simpatico». Ha detto di me anche altre cose, che però non ho capito. [...]

Dafi

Dorme come un ghiro, e per causa sua mi tocca starmene chiusa in casa. Og-gi fa un tempo splendido. Stamane ho telefonato a Tali e ad Osnat e ho detto loro di non venire da me oggi. Si sarebbero divertite un mondo ma non volevo che lui si confondesse con tante ragazze intorno. Papà e mamma si sono alzati presto e sono usciti, e io devo stare qua a dargli la colazione e poi spedirlo via. È già tutto pronto. Ho messo in tavola tutto quello che c’era nel frigorifero, e ho anche aper-

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1.­Di’­un­po’...­voialtri?: Dafi è curiosa, vuole sapere se davvero gli arabi odiano tanto gli israe-liani come sente dire nel suo ambiente.2.­Ma...­israeliani...: Na’im vuol dire che, pur essendo arabo, è anche cittadino israeliano. In Israele infatti è rimasto un con-

sistente numero di arabi che la-vorano e hanno ottenuto la cit-tadinanza israeliana, a differen-za degli arabi che vivono nei territori governati dall’Autorità Nazionale Palestinese.3.­Dopo­che...­pochino: nei primi giorni della guerra del Kippur gli israeliani, colti di sorpresa, pati-

rono numerose sconfitte, ma poi risposero con un’offensiva nella penisola del Sinai, dove riusciro-no a circondare e ad annientare l’esercito egiziano, che era il set-tore più forte della coalizione contro Israele. Però Na’im vuol dire che la vulnerabilità dimostra-ta dagli israeliani nei primi giorni

della guerra è per lui sufficiente a renderli più umani ai suoi occhi, e quindi perdonabili.4.­­questi­ebrei...­macchina: ca-piamo da queste parole di Na’im come l’ostilità tra i due popoli na-sca anche da particolari molto marginali, da episodi minimi del-la vita quotidiana.

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to una scatoletta di acciughe e una di fagioli. Che prenda lui quello che gli piace, e che non faccia le smorfie come ieri, quando gli hanno dato le polpette. Io non voglio storie con quella gente – e che non pensi che gli diamo da mangiare poco perché lui è arabo. […] E quello continua a dormire. Ma che si crede, di essere in un albergo? E io sono nervosa – già due volte mi sono cambiata d’abito: in prin-cipio mi sono messa una gonna, ma ho sempre paura che m’ingrossi di dietro; allora mi sono messa la tunica, quella lunga, ma poi me la sono tolta perché mi pareva di esagerare, e alla fine mi sono messa i pantaloni di ieri, soltanto con un pullover aderente, tanto non vale la pena di nascondere quello che ormai non si può più nascondere. Ho acceso la radio a tutto volume – chissà che il quiz musi-cale non lo svegli. Ma lui dorme come un sasso, e io non ho mica voglia di star-mene in casa fino a sera. Alle undici ho bussato un po’ alla porta dello studio, e poi ho deciso di entrare, come se volessi cercare un libro. E lui era lì che dormiva tranquillo, sdraiato sulla schiena, con quel suo pigiama inverosimile, come se avesse iniziato l’eterno riposo. Allora ho deciso che bastava così, il resto del sonno poteva farselo da mamma sua. Mi sono avvicinata e gli ho messo direttamente la mano sulla faccia. Perché no, in fondo? Non è che un operaio di papà, e anch’io sono un po’ la padrona qui dentro. Alla fin fine ha aperto gli occhi.

«Papà e mamma sono usciti e mi hanno detto di prepararti la colazione. Come lo vuoi, l’uovo?».

Gliel’ho detto tutto d’un fiato, mentre lui, ancora con la testa sul cuscino, stava pensando a chissà che cosa. Già mi pentivo di averglielo detto. Infine l’ho persuaso a mangiare l’uovo strapazzato, perché quello so farlo bene. E quel bastardo, ancora sdraiato, mi ha pregato di non metterci zucchero, perché le polpette dolci, iersera, non gli erano piaciute. Roba da matti.

Ma si vede che uno si abitua a tutto. Quando è uscito dal bagno e ha visto la tavola imbandita per lui e carica di ogni ben di Dio, non si è mica entusiasmato tanto. Ieri ancora piagnucolava come un povero cucciolo, e adesso eccolo sedu-to, tutto tronfio e diritto, a mangiare a bocca chiusa come un gentiluomo. Bra-vo! Mangia questo, rifiuta quest’altro, ha le sue opinioni. E io sto a servirlo, gli spalmo le fette di pane, cambio i piatti, quasi non mi riconosco. Credo che non ci sia nessuno che io abbia mai servito in questa maniera, e neanche ci sarà. Ed ero anche tesa come una molla, accidenti. Avevo già dimenticato la sua somi-glianza con Yigal, quella era stata un’idea bislacca. Adesso, con quei vestiti da lavoro sporchi, sembrava più adulto, sul viso gli si vedeva persino un principio di barba e di baffi. Mangiava con molto appetito, ma lui può permetterselo, è magrissimo. Ha una specie di calma interiore, anche se ogni due minuti arros-sisce così, senza motivo. Dice anche grazie, molto gentilmente, ma sono sicura che in fondo ci odia, come tutti loro. Ma perché? Al diavolo, cosa gli abbiamo fatto? Non stanno poi tanto male, con noi. Allora gliel’ho detto in faccia, gli ho chiesto se ci odiano tanto. Lui si è spaventato, si è messo a balbettare, ha comin-ciato a spiegarmi che adesso, dopo che ci hanno sconfitti un pochino, non è più tanto grave. Loro ci hanno sconfitti? Ma sono impazziti!5

Però non mi sono accontentata di quella risposta vaga. M’interessava sapere se lui personalmente ci odiava, e che cosa pensava veramente. Allora mi ha detto che lui non ci odia per niente e mi ha guardato negli occhi, ma è diventato tutto rosso. Davvero, gli ho creduto.

Ha suonato il telefono, era Osnat. Era diventata inquieta perché le avevo detto che non poteva venire da me, e ha cominciato a farmi l’interrogatorio. Non ha smesso finché non è riuscita a tirarmi fuori tutti i particolari, ed è rimasta un po’ stupita quando ha sentito che si trattava soltanto di un ara-betto, un operaio di papà – anche se le ho detto che era abbastanza carino.

da L’amante, trad. A. Baehr, Torino, Einaudi, 1990

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5.­Loro...­impazziti!: na-turalmente Dafi ha una visione molto diversa delle cose. Per lei gli israeliani non sono af-fatto stati sconfitti, ma hanno stravinto la guer-ra, pur essendo stati at-taccati a tradimento dalle armate egiziane e siriane.

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Il brano può essere suddiviso in due­parti. La prima è quella in cui Na’im racconta il proprio risveglio e la colazione, la seconda quella in cui Dafi presenta gli stessi episodi, ma dal proprio punto di vista.

Il racconto di Na’im appare più­sincero, più­diretto. Il ragazzo dichiara di essere innamorato, anzi di inna-morarsi «sempre di più» di Dafi. Anche se è un estra-neo in quella casa, anche se prova imbarazzo in quella situazione per lui così inusuale, lo vediamo muoversi con disinvoltura e cortesia.

Il racconto di Dafi nasconde invece un­sentimento­più­ambiguo, complicato, difficilmente esprimibile. La ragazza prova curiosità e anche simpatia per quell’ara-

bo che il padre ha portato in casa e del quale ignora quasi tutto. Così, a prima vista, lo trova carino. Ma le è stato insegnato che bisogna guardarsi dagli arabi, e in effetti dalle sue parole traspirano diffidenza­e­sospetto.Il testo ci permette di comprendere le difficoltà che sor-gono continuamente nella­comunicazione tra persone che appartengono a due mondi diversi ed ostili.

La narrazione è condotta in prima­persona; il lin-guaggio è semplice, quotidiano, spontaneo e vicino al parlato. Mentre Na’im racconta gli eventi fa frequente-mente uso del discorso diretto, Dafi riferisce le vicende da un punto di vista interno e fa spesso uso del discor-so indiretto e dell’indiretto libero lasciando emergere i suoi sentimenti e le sue emozioni.

­PER­LAVORARE­SUL­TESTO

COMPRENSIONE

Il­riassunto

1.  ��Riassumi i contenuti informativi del testo in un massimo di 5 righe.

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La­diffidenza­di­Dafi

2.  ��Perché Dafi prova diffidenza nei confronti di Na’im?

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L’attrazione

3.  ��Rintraccia nel testo eventuali segni dell’attrazione reciproca che provano i due giovani e trascrivili qui sotto.

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­VERSO­L’ESAME­­ 1a­prova,­tip.­A Analisi�di�un�testo�in�prosa

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ANALISI

Analizzare­i­personaggi

4.  ��Metti a confronto i due racconti, quello di Dafi e quello di Na’im e inserisci nella tabella i sentimenti di chi sta narrando e i sentimenti che chi narra attribuisce all’altro.

Dafi Na’im

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5.  ��Leggendo il brano, che cosa si può comprendere della personalità o dei sentimenti dei personaggi? Per rispondere a questa domanda, aiutati anche con l’analisi svolta nell’es. 4. Segui inoltre la seguente traccia:• rintraccia nel testo tutti gli elementi (gesti, elementi fisici, pensieri, modo di parlare, sentimenti, ecc.) che riesci

a trovare;• fa’ alla fine una sintesi dei dati raccolti.

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La­narrativa­stranieradel secondo Novecento

© 2011 RCS Libri S.p.A., Milano/La Nuova Italia – M. Sambugar, G. Salà - Letteratura+

La­difficile­convivenza­fra­culture

6.  ��Il dialogo e la tolleranza sono l’unica strada che renda possibile una convivenza nel mondo contemporaneo, nel quale popoli di diverse culture convivono nel medesimo territorio. Ma perché la convivenza divenga possibile è necessaria prima di tutto il rispetto e la comprensione reciproci. Sviluppa questo argomento facendo riferimento alle vicende storiche del secondo dopoguerra e ai conflitti etnici, razziali e religiosi di cui sei venuto a conoscenza nel corso dei tuoi studi.

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