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    LA DIMENSIONE ETICA

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    LADIMENSIONEETICA

    NELLESOCIETCONTEMPORANEE

    IsaiahBerlin,AmartyaK.Sen,VittorioMathieu,GianniVattimo,SalvatoreVeca

    Edizioni dellaFondazione Giovanni Agnelli

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    La dimensione etica nelle societ contemporanee / scritti diIsaiah Berlin, Amartya Kumar Sen, Vittorio Mathieu... [et al.]- VII, 133 p.

    1. Etica 2. Politica e moraleI. Berlin, Isaiah II. Sen, Amartya Kumar

    La traduzione di Berlin di Gilberto Forti; la traduzionedi Sen di Carlo Scarpa, revisione di Vera Zamagni.

    Copyright 1990 by Edizioni della Fondazione Giovanni AgnelliVia Giacosa 38, 10125 Torino

    tel.011 6500500,fax 011 6502777e-mail: [email protected] Internet: http://www.fga.it

    ISBN 88-7860-046-6

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    Indice

    PRIMA PARTE

    Sulla ricerca dellIdealeIsaiah Berlin

    Premessa 3

    1. La ricerca dellIdeale 42. Il significato della storia 73. Relativismo, pluralismo e conflittualit dei valori 8

    4. Riflessioni sulla possibilit di giungere a uno stato perfetto 14Conclusioni 17

    La libert individuale come impegno socialeAmartya Kumar Sen

    Premessa 211. Idee astratte e orrori concreti 212. Libert negativa e libert positiva 233. Carestie e libert 264. Calcolo utilitarista contro libert 285. La libert e i suoi mezzi 326. Lintervento sociale e la natura della povert 34

    7. Scelta sociale e libert 368. Impegno sociale e diseguaglianza 38

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    VI Indice

    SECONDA PARTE

    Bioetica in cammino

    Vittorio Mathieu1. Criteri di valutazione 43

    1.1. Limperativo etico caratterizza luomo 431.2. Il fine giustifica i mezzi? 45

    2. Classificazione delle fattispecie atte a sollevare problemi di bioetica 462.1. Griglia dei problemi 462.2. Il processo riproduttivo 472.3. Sperimentazione e trapianti 482.4. Eutanasia 502.5. Ingegneria genetica 512.6. La manipolazione dellatomo 52

    3. Classificazione dei valori a cui si ispirano i giudizi in materiadi deontologia scientifica 523.1. Il criterio dellutilit 533.2. Il criterio della convivenza civile 583.3. Il criterio della qualit della vita 61

    3.4. Il principio dautorit 654. Considerazioni conclusive 694.1. Interessi meritevoli di protezione 694.2. Tutela delle generazioni a venire 694.3. Tutela del processo procreativo 704.4. Tutela dellembrione 714.5. Tutela della famiglia 724.6. Conseguenze della diagnosi prenatale di malattie 734.7. Sperimentazione su embrioni e su esseri viventi 75

    4.8. Tutela degli indifesi 764.9. Tutela dellambiente 774.10. Difesa militare 774.11. Ricerca e morale 78

    Individuo e istituzione: una prospettiva ermeneuticaGianni Vattimo

    Premessa 81

    1. Listituzione come repressione e oppressione: Foucault 852. La riflessione sulle condizioni della comunicazione: Gadamer eHabermas 92

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    Indice VII

    3. I limiti dellistituzione: le etiche dei diritti (Rawls e Nozick) 994. Quale fondamento per i diritti? Il senso di unetica come pietas 106Conclusioni 110

    Alcune osservazioni su etica e ambienteSalvatore Veca

    Premessa 1131. Etiche ambientali ed etiche ecologiche 1152. Le radici delletica razionale 1173. Criteri di estensione delletica razionale alle problematiche

    ambientali 120

    4. Riflessioni su unetica fondata sui diritti dellambiente 1245. Le tesi delle etiche ecologiche 127Conclusioni 131

    Nota sugli autori 133

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    PRIMA PARTE

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    Sulla ricerca dellIdeale*

    Isaiah Berlin

    Premessa

    A mio giudizio vi sono due fattori che pi di tutti gli altri hannocontribuito a foggiare la storia umana nel nostro secolo. Il primo losviluppo delle scienze naturali e della tecnologia, che certamente lapi brillante avventura del nostro tempo; e a questo fattore stato de-dicato da ogni parte un grande e crescente interesse. Laltro fattore, senzadubbio, va ricercato nelle grandi tempeste ideologiche che hanno alte-rato la vita di pressoch tutta lumanit: la Rivoluzione russa e le sueconseguenze, le dittature totalitarie di destra e di sinistra e le esplosionidi nazionalismo, di razzismo e talvolta di fanatismo religioso, fenomeniche, curiosamente, nessuno dei grandi pensatori dellOttocento avevamai previsto.

    Quando i nostri discendenti, tra due o tre secoli (se lumanit soprav-viver fino ad allora), si soffermeranno a considerare la nostra epoca,saranno questi due fattori, credo, ad apparire i pi importanti e caratte-ristici, quelli pi meritevoli di analisi e di spiegazione. Ma bene ren-dersi conto che questi grandi movimenti ebbero inizio sotto forma diidee nella mente di uomini: idee su ci che sono stati, sono, potrebberoessere e dovrebbero essere i rapporti tra gli uomini; e rendersi conto

    del modo in cui questi rapporti si sono trasformati in nome di un finesupremo nella visione dei leader e, soprattutto, dei profeti non disarma-ti. Queste idee costituiscono lessenza delletica.

    La riflessione etica consiste in un esame sistematico dei rapporti chegli esseri umani intrattengono tra loro, delle concezioni, degli interessie degli ideali da cui scaturiscono i comportamenti intersoggettivi, e deisistemi di valori su cui si fondano i fini assegnati alla vita.

    Queste convinzioni sul modo in cui la vita dovrebbe essere vissuta,

    * Testo presentato in occasione del conferimento all'Autore del Premio InternazionaleSenatore Giovanni Agnelli (Torino, Teatro Regio, 15 febbraio 1988).

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    su ci che uomini e donne dovrebbero essere e fare, sono loggetto dellaricerca morale; e, quando sono riferite a gruppi e nazioni e addiritturaallumanit nel suo insieme, danno luogo a quella che si chiama filosofiapolitica, che altro non se non etica applicata alla societ.

    Se vogliamo sperare di comprendere il mondo spesso violento in cuiviviamo (e se non tentiamo di comprenderlo non possiamo presumeredi riuscire a operare razionalmente in esso e su di esso), il nostro inte-resse non pu limitarsi alle grandi forze impersonali, naturali o artificia-li, che agiscono su di noi. I fini e i motivi che guidano lazione umanadevono essere considerati alla luce di tutto ci che sappiamo e compren-diamo; le loro radici e la loro crescita, la loro essenza e soprattutto laloro efficacia devono essere esaminate criticamente con tutte le risorseintellettuali di cui disponiamo. Questa esigenza ineludibile, indipenden-temente dal valore intrinseco della scoperta della verit sui rapporti umani,fa delletica un campo di primaria importanza. Soltanto i barbari nonhanno la curiosit di sapere da dove vengono, come sono arrivati doveora si trovano, qual la loro destinazione probabile, se davvero voglio-no andarci e, in questo caso, per quale motivo, o al contrario perchnon vogliano recarvisi.

    Lo studio delle varie idee sulle concezioni della vita che esprimonoquesti valori e questi fini la materia che ho cercato di chiarire a mestesso dedicandole quarantanni della mia lunga vita. Se avrete la pa-zienza di proseguire la lettura, vorrei dire qualche cosa sul modo in cuimi accadde di immergermi in questa materia, e in particolare su una svoltache modific i miei pensieri sulla sua essenza. Sar inevitabilmente undiscorso un po autobiografico: per questo vi presento in anticipo le miescuse, ma non conosco altro modo per darne un ragguaglio.

    1. La ricerca dellIdeale

    Da giovane lessi Guerra e pacedi Tolstoj. Lo lessi troppo presto, eil vero effetto di questo grande romanzo si fece sentire su di me solopi tardi, insieme a quello di altri scrittori russi di met Ottocento, ro-manzieri e pensatori. Questi scrittori influirono non poco sulle mie idee.Mi sembrava, e mi sembra ancora, che lo scopo principale di questi scrit-tori non fosse di dare un quadro realistico della vita e dei rapporti reci-proci fra gli individui o i gruppi sociali o le classi; che il loro scopo nonfosse unanalisi psicologica o sociale in senso stretto anche se, natural-mente, i migliori tra loro raggiunsero proprio questo obiettivo, e in ma-niera stupenda. Il loro atteggiamento mi sembrava essenzialmente mo-

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    rale: il loro interesse pi profondo si rivolgeva alle cause che determina-vano lingiustizia, loppressione, la falsit nei rapporti umani, la prigioniadietro muri di pietra o di conformismo la sottomissione passiva agioghi creati dalluomo , la cecit morale, legoismo, la crudelt, lu-miliazione, il servilismo, la miseria, limpotenza, lesasperazione, la di-sperazione in cui tante persone vivevano.

    In breve, a questi scrittori interessava la natura di tali esperienze ela loro origine nella condizione umana: prima di tutto in Russia, ma an-che, implicitamente, nel resto dellumanit. E, per converso, essi vole-vano capire che cosa potesse dar luogo alla situazione opposta, a un re-gno di verit, amore, onest, giustizia, sicurezza, relazioni personali fon-date sulla possibilit di dignit delluomo, sul rispetto reciproco, sullin-

    dipendenza, sulla libert, sullappagamento spirituale.Alcuni, come Tolstoj, trovarono questo regno ideale nel mondo dellagente semplice, non guastata dalla civilt; come Rousseau, anche Tolstojvoleva credere che luniverso morale dei contadini non differisse moltoda quello dellinfanzia, non essendo stato distorto dalle convenzioni edalle istituzioni di una civilt nata dai peggiori vizi delluomo avidit,egoismo, cecit spirituale ; voleva credere che lumanit si potesse salvarepurch gli uomini guardassero la verit che avevano sotto il naso:dovevano soltanto guardare, ed essa era l, nel Vangelo, nel Discorso

    della Montagna.Altri russi credevano nel razionalismo scientifico o in una rivolu-zione sociale e politica fondata su una veridica teoria del cambiamentostorico.

    Altri ancora cercavano una risposta negli insegnamenti della teolo-gia ortodossa, o nella democrazia liberale dellOccidente o in un ritornoagli antichi valori slavi, soffocati dalle riforme di Pietro il Grande e deisuoi successori.

    Tutte queste concezioni avevano in comune lidea che esistessero so-luzioni ai problemi fondamentali, che fosse possibile scoprirle e, con unadose sufficiente di altruismo, realizzarle sulla terra. Tutti quanti crede-vano che lessenza degli esseri umani fosse di poter scegliere il propriomodo di vivere: era possibile trasformare le societ alla luce di idealiautentici professati con sufficiente fervore e dedizione. Se, come Tol-stoj, pensavano qualche volta che luomo non fosse veramente(libero mapiuttosto determinato da fattori che sfuggivano al suo controllo, essi sa-pevano anche, come lo stesso Tolstoj, che la libert poteva s essere unaillusione, ma unillusione senza la quale non si poteva vivere o pensare.

    Nulla di tutto ci faceva parte del mio programma scolastico, che

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    era interamente dedicato a scrittori greci e latini, ma queste idee rima-sero ugualmente in me.

    Quando divenni studente allUniversit di Oxford, cominciai a leg-gere le opere dei grandi filosofi e scoprii che quelle idee facevano partedel pensiero dei maggiori maestri, specialmente nel campo della rifles-sione etica e politica.

    Socrate riteneva che, se era possibile giungere a una conoscenza certadel mondo esterno usando metodi razionali Anassagora non era forsearrivato a stabilire che la luna era molte volte pi grande del Pelopon-neso, per quanto piccola potesse apparire nel cielo? gli stessi metodiavrebbero offerto la medesima certezza nel campo del comportamentoumano, per quanto concerneva il modo di vivere e di essere. A tali ri-sposte si poteva arrivare in virt del ragionamento. Platone pensava cheunlite di saggi pervenuti a questa certezza dovesse essere investita delpotere di governare gli altri, i meno dotati intellettualmente, attenen-dosi a modelli dettati dalle giuste soluzioni dei problemi personali e so-ciali. Gli stoici ritenevano che la realizzazione di queste soluzioni fossepossibile a ogni uomo che intendesse vivere secondo ragione.

    Ebrei, cristiani, musulmani (del buddhismo conoscevo troppo poco)credevano che le vere risposte fossero state rivelate da Dio ai suoi pro-feti e ai suoi santi, oppure accettavano linterpretazione che i maestridavano delle verit rivelate o quella che la tradizione consegnava ai fedeli.

    I razionalisti del Seicento pensavano che le risposte si potessero tro-vare grazie a una particolare intuizione metafisica, a una speciale appli-cazione del lume della ragione di cui tutti gli uomini erano dotati.

    Gli empiristi del Settecento, affascinati dai nuovi e immensi territoridi conoscenza dischiusi dalle scienze naturali che, basandosi sulle tecnichematematiche, avevano fatto giustizia di tanti errori, superstizioni epregiudizi dogmatici, si domandarono, come Socrate, perch mai glistessi metodi non dovessero servire a fissare leggi altrettanto inconfutabilinel regno delle cose umane. Con i nuovi metodi scoperti dalle scienzenaturali si poteva introdurre un ordine anche nella sfera sociale: sipotevano osservare fenomeni ricorrenti, formulare ipotesi e poi verifi-carle sperimentalmente e fissare cos determinate leggi; e poi scoprireche queste leggi appartenenti ad ambiti specifici dellesperienza poteva-no essere ricomprese in leggi pi ampie, ricomprese a loro volta in leggiancor pi ampie, e cos via sempre risalendo, fino a comporre un grandesistema armonioso, retto da nessi logici permanenti e suscettibile di es-sere formulato in termini esatti, ossia matematici. La riorganizzazionerazionale della societ avrebbe messo fine alla confusione spirituale eintellettuale, al regno del pregiudizio, della superstizione e della supina

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    accettazione di dogmi non verificati, ai comportamenti ottusi e crudelidei regimi oppressivi che quellottenebramento intellettuale alimentavae favoriva. Si trattava dunque, semplicemente, di scoprire i bisogni es-senziali delluomo e i mezzi per soddisfarli. Ci avrebbe creato quel mon-do felice, libero, giusto, virtuoso, armonioso che Condorcet vaticinavanel 1794, con commovente fervore, dalla cella della sua prigione.

    Questa visione alla base di tutto il pensiero progressista dellOtto-cento; e ispirava gran parte dellempirismo critico di cui mi imbevvi aOxford da studente.

    2. Il significato della storia

    A un certo punto mi resi conto che ci che tutte queste concezioniavevano in comune era un ideale platonico. Mi resi conto, in primo luo-go, che, come nelle scienze, tutte le domande autentiche dovevano ave-re una e una sola risposta vera, tutte le altre essendo necessariamenteerrate; in secondo luogo, che doveva esserci una via attendibile e sicuraper pervenire alla scoperta di queste verit; in terzo luogo, che le rispo-ste vere, quando fossero state trovate, dovevano necessariamente esse-re compatibili tra loro e formare un tutto unico, perch una verit e questo lo sapevamo a priori non pu essere inconciliabile con unaltra.

    Questo tipo di onniscienza era la soluzione del puzzle cosmico. Nel casodella morale, potevamo allora immaginare come doveva essere la vitaperfetta, fondata su una corretta comprensione delle regole che go-vernavano luniverso.

    Daccordo, forse potremmo non arrivare mai a questa condizione diconoscenza perfetta forse siamo troppo miopi o troppo deboli o cor-rotti o soggetti a peccare per raggiungerla. Gli ostacoli, sia intellettualisia di natura esterna, possono essere troppo numerosi. Di pi, ceranostate forti divergenze di opinioni sulla via da percorrere: per alcuni, co-me ho detto, la via giusta era quella delle chiese, per altri quella dei la-boratori; alcuni credevano nellintuizione, altri nellesperimento o nellevisioni mistiche o nei calcoli matematici.

    Ma anche se non eravamo capaci di arrivare alle risposte vere o, insostanza, al sistema ultimo che le abbracciava tutte, le risposte doveva-no esistere altrimenti le domande non erano reali e fondate. Le rispostedovevano essere note a qualcuno: forse Adamo nel Paradiso terrestre leconosceva; forse noi vi perverremo soltanto alla fine dei nostri giorni;se non le conoscono gli uomini, forse le conoscono gli angeli; e se nongli angeli, Dio s, certamente. Quelle verit eterne dovevano, in teoria,essere conoscibili.

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    Alcuni pensatori dellOttocento, Hegel, Marx, ritenevano che la que-stione non fosse cos semplice. Non cerano verit eterne: cera lo svi-luppo storico, cera un cambiamento perenne, gli orizzonti umani mu-tavano a ogni nuovo passo nella scala dellevoluzione; la storia era undramma in molti atti; e a muoverla erano i conflitti di forze nel regnodelle idee e nel regno della realt, conflitti che qualcuno chiamava dia-lettici e che prendevano la forma di guerre, rivoluzioni, sconvolgimentiviolenti di nazioni, classi, culture, movimenti. E tuttavia il sogno di Con-dorcet, dopo inevitabili rovesci, sconfitte, ricadute, ritorni alla barba-rie, si sarebbe avverato. Il dramma avrebbe avuto un lieto fine la ra-gione umana aveva celebrato i suoi trionfi in passato, non poteva esseretrattenuta per sempre. Gli uomini non sarebbero pi stati vittime dellanatura o delle loro societ per tanti versi irrazionali: la ragione avrebbevinto; alla fine sarebbe cominciata unarmoniosa collaborazione univer-sale, la storia vera.

    Se cos non fosse, avrebbero qualche significato le idee di progresso,di storia? Non c forse un movimento, per quanto tortuoso, dalligno-ranza verso la conoscenza, dal pensiero mitico e dalle fantasie infantiliverso la percezione della realt quale , verso la conoscenza dei veri fi-ni, dei veri valori, delle verit fattuali? E possibile che la storia sia unamera successione di eventi, priva di senso e causata soltanto da un mi-scuglio di fattori materiali e dal gioco di una selezione del tutto casuale un racconto pieno di fragore e furore che non significa nulla?

    No, era impensabile. Sarebbe venuto il giorno in cui uomini e donneavrebbero preso la propria vita nelle loro mani, cessando di essere ignaritrastulli alla merc di forze cieche che non comprendevano. Quantomeno, non era impossibile immaginare un simile Paradiso terrestre; ese era immaginabile, noi potevamo, in ogni caso, tentare di camminarein quella direzione.

    Questa idea stata al centro del pensiero etico, dai greci ai visionari

    cristiani del Medioevo, dal Rinascimento alle ideologie progressiste del-lOttocento; ed ancora oggi accettata da molti.

    3. Relativismo, pluralismo e conflittualit dei valori

    In una certa fase delle mie letture mi imbattei, inevitabilmente, nel-le principali opere di Machiavelli. Mi fecero unimpressione profonda,durevole, e scossero la mia vecchia fede. Da esse ricavai non gi gli inse-gnamenti pi ovvi quelli sul modo di conquistare e conservare il poterepolitico, o sulla forza o lastuzia che i governanti devono usare se vo-

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    gliono rigenerare le proprie societ o proteggere se stessi e i loro statidai nemici interni o esterni, o sulle principali qualit che i governantida un lato e i cittadini dallaltro devono possedere perch i loro statiprosperino ma qualcosa di diverso.

    Machiavelli non era uno storicista: pensava che fosse possibile re-staurare qualcosa che somigliasse alla Roma repubblicana o della primafase dellimpero. Credeva che per questo occorresse una classe dirigen-te d uomini coraggiosi, capaci, intelligenti, dotati, che sapessero coglie-re le occasioni e sfruttarle, e cittadini che fossero sufficientemente pro-tetti, patriottici e sinceramente orgogliosi del loro stato, incarnazionidelle principali virt pagane. Fu cos che Roma si afferm e conquistil mondo, e ci che alla fine ne determin la caduta fu lassenza di que-

    sto tipo di saggezza e vitalit e coraggio nei tempi avversi, lassenza dellequalit sia dei leoni sia delle volpi. Uno stato in decadenza era facilepreda di vigorosi invasori che possedessero queste virt.

    Ma a fianco di queste Machiavelli pone la nozione delle virt cristia-ne umilt, accettazione delle sofferenze, rinuncia alle cose terrene, spe-ranza di salvazione in unaltra vita e osserva che queste qualit nonaiutano certo lavvento di uno stato di tipo romano, del tipo che eglistesso auspica palesemente: chi si attiene ai precetti della morale cristia-na destinato infatti a essere travolto dalla corsa sfrenata di coloro che

    ambiscono al potere e che possono, essi soli, ricreare e dominare la re-pubblica da lui voluta. Egli non condanna le virt cristiane: si limitaa osservare che le due morali sono incompatibili, e non riconosce un cri-terio preminente che ci aiuti a stabilire quale sia la vita giusta per gliuomini. Per lui la combinazione di virt e valori cristiani qualcosadimpossibile. Machiavelli lascia semplicemente a noi la scelta; ma sadove vanno le suepreferenze.

    Tutto questo istill in me unidea che mi provoc quasi uno shock:lidea che non tutti i valori supremi perseguiti dallumanit, ora e in pas-sato, fossero necessariamente compatibili tra loro. Questa consapevo-lezza veniva a minare la mia precedente convinzione, basata sulla philo-sophia perennis, che non potesse esservi conflitto tra fini veri, tra rispo-ste vere ai problemi centrali della vita.

    Poi feci la conoscenza della Scienza Nuova di Giovan Battista Vico.A Oxford non cera quasi nessuno, a quel tempo, che avesse sentito par-lare di Vico, ma cera un filosofo, Robin Collingwood, che aveva tra-dotto il libro di Croce su Vico e mi raccomand di leggerlo. Quel libro

    mi apr gli occhi su uno scenario nuovo. Mi sembr che a Vico interes-sasse la successione delle culture umane: per lui ogni societ aveva una

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    propria visione della realt, del mondo in cui viveva, di se stessa e delsuo rapporto coi proprio passato, con la natura, con le proprie aspirazioni.

    Questa visione di una societ si estrinseca in tutto ci che i suoi mem-bri fanno, pensano e sentono si manifesta e si invera nelle forme lessicalie linguistiche che essi usano, nelle immagini, nelle metafore, nelle formedi culto, nelle istituzioni cui essi danno vita e che realizzano edesprimono la loro percezione della realt e del posto che vi occupano: attraverso tutto ci che essi vivono. Queste visioni variano di voltain volta, passando da un assetto sociale a quello successivo: ciascuna hapropri caratteri, valori, forme creative, mai commisurabili tra loro: cia-scuna va intesa di per s, per quello che va compresa, ma non neces-sariamente giudicata.

    I greci di Omero, ci dice Vico, quelli della classe dominante, eranocrudeli, barbari, meschini, spietati verso i deboli; ma furono loro a crearelIliade e lOdissea, cio qualcosa che noi, nel nostro tempo tanto piilluminato, non saremmo capaci di fare. Questi grandi capolavori crea-tivi appartengono a loro, e col mutare della visione del mondo scompareanche la possibilit di quel tipo di creazione.

    Noi, per parte nostra, abbiamo le nostre scienze, i nostri pensatori,i nostri poeti, ma non c una scala ascendente che porti dagli antichiai moderni. Se cos, non pu non essere assurdo dire che Racine unpoeta migliore di Sofocle, che Bach solo un Beethoven rudimentaleo che, poniamo, gli impressionisti sono la vetta alla quale aspiravano in-vano i pittori fiorentini. I valori di queste culture sono diversi, e nonsono necessariamente compatibili tra loro. Voltaire era in errore quan-do riteneva che i valori e gli ideali delle luminose eccezioni in un maredi tenebra i valori e gli ideali dellAtene classica, della Firenze rinasci-mentale, della Francia del Grand Sicle e dellet in cui lui stesso vive-va fossero pressoch identici (la concezione illuministica di Voltaire,essenzialmente identica, indipendentemente dal luogo a cui si riferisce,sembra condurre allineludibile conclusione che, per lui, Byron sarebbestato felice di pranzare con Confucio e Sofocle si sarebbe sentito per-fettamente a suo agio nella Firenze del Quattrocento, o Seneca nel sa-lotto di Madame du Deffand o alla corte di Federico il Grande). La Ro-ma di Machiavelli, in realt, non mai esistita.

    Per Vico vi una pluralit di forme di civilt (secondo cicli ricorren-ti, ma questo secondario), e ciascuna ha la propria forma. Con Ma-chiavelli si era delineata lidea di due concezioni incompatibili. Ora, conVico, si delineavano societ le cui culture prendevano forma in funzio-ne di determinati valori: valori, e non gi mezzi in vista di certi fini,bens fin in s e per s, fini ultimi, che differivano tra loro, non in tutti

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    i sensi dal momento che tutti erano valori umani ma differivano pursempre in modo profondo, inconciliabile, non riconducibile a una sintesidefinitiva.

    In seguito giunsi logicamente al pensatore tedesco del Settecento Jo-hann Gottfried Herder. Se Vico pensava a una successione di culture,Herder si spingeva oltre: confrontava le culture nazionali di molti paesie di molti periodi e ne concludeva che ogni societ aveva il proprio cen-tro di gravit, come lui lo chiamava, diverso da quello di altre societ.Se vogliamo, come Herder auspicava, capire le saghe scandinave o lapoesia della Bibbia, non possiamo applicare a esse i criteri estetici dellaParigi del Settecento. I modi in cui gli uomini vivono, pensano, sento-no, si parlano, gli abiti che indossano, le canzoni che cantano, gli diche adorano, il cibo che mangiano, le credenze, gli usi e i costumi cheli caratterizzano questo a creare le comunit, e ciascuna di esse hail suo proprio stile di vita. Le comunit possono somigliarsi tra loroper molti versi, ma i greci differiscono dai tedeschi luterani e i cinesidagli uni e dagli altri; ci cui aspirano, ci che temono o adorano diffi-cilmente confrontabile.

    Questa concezione stata definita relativismo culturale o morale ene ha parlato, a proposito di Vico e di Herder, un grande studioso re-centemente scomparso, il mio amico Arnaldo Momigliano, per il qualeavevo una grande ammirazione. Ma era in errore. Questo non relati-vismo. I membri di una cultura possono, grazie allimmaginazione, ca-pire (Vico diceva entrare) i valori, gli ideali, le forme di vita di unaltracultura o societ, anche remotissima nel tempo o nello spazio. Possonogiudicare inaccettabili questi valori, ma con una sufficiente apertura men-tale possono concepire come si possa essere a pieno titolo un essere umanocon cui entrare in relazione vivendo al tempo stesso nella prospettivadi valori largamente diversi dai propri, ma che nondimeno ciascuno puriconoscere come valori, come scopi dellesistenza, dalla realizzazionedei quali gli uomini siano appagati. Io preferisco il caff, tu preferiscilo champagne. Abbiamo gusti diversi. Tutto qui, non c altro da dire:questo relativismo.

    Ma non questa la visione di Herder e quella di Vico: nel loro casoparlerei piuttosto di pluralismo, cio di una concezione per la quale so-no molti e differenti i fini ai quali gli uomini possono aspirare, e tutta-via gli uomini restano pienamente razionali, pienamente uomini, capacidi comprendersi e di solidarizzare tra loro, di attingere luce luno dal-laltro, cos come noi ne attingiamo dalla lettura di Platone o da quelladei romanzi del Giappone medioevale mondi, mentalit cos distantida noi.

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    Certo, se noi non avessimo alcun valore in comune con figure cosremote, ogni civilt sarebbe chiusa nel suo bozzolo impenetrabile, e noisaremmo esclusi da ogni possibilit di comprensione; questo il sensodella tipologia di Spengler. La comunicazione tra culture lontane nel tem-po e nello spazio possibile solo perch ci che rende gli uomini umani comune a tutti e funge da ponte tra loro.

    Ma i nostri valori sono nostri e i loro sono loro. Noi siamo liberi dicriticare i valori di altre culture, di condannarli, ma non possiamo fin-gere di non comprenderli affatto o di considerarli semplicemente sog-gettivi, i prodotti di creature di un ambiente diverso, con gusti diffe-renti dai nostri, che non ci dicono nulla. Esiste un mondo di valori og-gettivi. Chiamo cos quei fini che gli uomini perseguono in assoluto e

    rispetto ai quali le altre cose sono mezzi. Non posso ignorare quelli cheerano i valori dei greci: non saranno i miei valori, ma posso intuire checosa sia una vita vissuta alla luce di essi, posso ammirarli e rispettarli,e perfino vedermi intento a perseguirli, anche se non lo faccio e nondesidero farlo, e forse non potrei se lo desiderassi. Le forme di vita va-riano tra loro. I fini, i princpi morali sono molti. Molti, ma non innu-merevoli, perch devono restare entro lorizzonte umano. Se non vi re-stano, vuol dire che sono fuori della sfera umana. Se incontro uominiche adorano gli alberi, e non perch siano simboli di fertilit o siano

    divini, con una vita misteriosa e con poteri propri, o perch il tal boscosia sacro ad Atena ma solamente perch sono fatti di legno; e se poidomando loro perch adorano il legno ed essi dicono: Perch legno.e non danno altra risposta: ecco, allora io non so che cosa intendono;anche se sono esseri umani non sono per individui con i quali io possacomunicare: tra loro e me c una vera barriera. Per me non sono uma-ni. Non posso nemmeno chiamare soggettivi i loro valori se non possoimmaginare che cosa potrebbe significare vivere una vita come la loro.

    Quello che chiaro che i valori possono scontrarsi tra loro ed

    questo il motivo per cui vi sono civilt incompatibili. Vi pu essereincompatibilit di valori tra culture diverse, tra gruppi della stessa cul-tura o fra te e me. Tu credi che si debba dire sempre la verit, a qualun-que costo; io no, perch credo che a volte possa essere troppo dolorosao devastante. Possiamo discutere il nostro rispettivo punto di vista, pos-siamo cercare di arrivare a un compromesso, ma in sostanza ci che tupersegui pu essere inconciliabile con i fini ai quali ritengo di aver dedi-cato la mia vita. Pu benissimo accadere che vi sia un conflitto di valorinellanimo di uno stesso individuo; e non detto che per questo alcunidebbano essere veri e altri falsi.

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    La giustizia, una giustizia rigorosa, per alcuni un valore assoluto,ma non sempre compatibile, in concreto, con valori altrettanto assolutiagli occhi di quelle stesse persone, quali la piet e la comprensione.

    Libert e uguaglianza sono tra gli scopi primari perseguiti per secolidagli esseri umani; ma libert totale per i lupi significa morte per gliagnelli; una totale libert dei potenti, dei capaci, non compatibile coldiritto che anche i deboli e i meno capaci hanno a una vita dignitosa.Un artista che voglia creare un capolavoro pu essere indifferente allamiseria e allo squallore a cui condanna col suo tipo di esistenza la pro-pria famiglia: noi possiamo condannarlo e sostenere che il capolavorodevessere sacrificato ai bisogni umani, oppure possiamo schierarci dallaparte dellartista; ma in entrambi i casi ci troviamo di fronte a valori che

    per certi uomini e donne sono valori assoluti e che risultano comprensibilia tutti noi se abbiamo elasticit mentale o solidariet o comprensione pergli esseri umani.

    Luguaglianza pu esigere la limitazione della libert per coloro cheaspirano al dominio sugli altri. Senza un minimo di libert ogni scelta esclusa e perci non c possibilit di restare umani nel senso che attri-buiamo a questa parola, ma pu essere necessario porre dei limiti allalibert per fare posto al benessere collettivo, per sfamare gli affamati,per vestire gli ignudi, per dare un alloggio ai senzatetto, per consentirela libert degli altri, per non ostacolare la giustizia e lequit. Di fronteal dilemma di Antigone, Sofocle suggerisce una soluzione e Sartre offrequella contraria, mentre Hegel propone la sublimazione a un livellosuperiore magra consolazione per chi tormentato da dilemmi di questotipo. La spontaneit, meravigliosa qualit umana, non compatibile conquella volont di organizzare, di pianificare, di calcolare (quanto, come,dove) dalla quale pu dipendere in larga misura il benessere della societ.

    Tutti sappiamo quali tremende alternative abbia posto il recente pas-

    sato. Un uomo deve resistere a tutti i costi a una tirannia mostruosa,anche mettendo in pericolo la vita dei genitori o dei figli? lecito tor-turare i figli per strappare loro informazioni su traditori o criminali pe-ricolosi?

    Questi conflitti di valori fanno parte dellessenza di ci che sono ivalori e di ci che noi stessi siamo. Se qualcuno ci dice che queste con-traddizioni saranno risolte in un mondo perfetto in cui tutte le cose buonepossono ricomporsi in unarmonia ideale, a costui dobbiamo rispondereche i significati che attribuisce alle parole che per noi denotano i valoriin contrasto non sono i nostri significati. Dobbiamo affermare che un

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    mondo in cui quelli che per noi sono valori incompatibili non sono inconflitto tra loro un mondo assolutamente fuori delle nostre possibilitdi comprensione; che i princpi coesistenti armonicamente in quellaltromondo non sono i princpi che noi conosciamo nella nostra vitaquotidiana: se vengono trasformati, diventano concezioni ignote a noiqui sulla terra. Ma sulla terra che noi viviamo, ed qui che dobbiamocredere e agire.

    La nozione di un tutto perfetto, la soluzione finale in cui tutte lecose buone coesistano mi sembra non solo irraggiungibile lapalissiano ma anche unincoerenza concettuale; io non so che cosa sintenda perunarmonia di questo genere. Alcuni dei Beni Supremi non possonocoesistere. Questa una verit concettuale. Noi siamo condannati a sce-

    gliere, e ogni scelta pu comportare una perdita irreparabile. Beati colo-ro che accettano senza discutere di vivere secondo una disciplina, cheobbediscono spontaneamente agli ordini dei capi, spirituali o temporali,e ne accettano la parola come legge inviolabile; e beati coloro che per vieproprie sono pervenuti a convinzioni chiare e incrollabili su ci chedevono fare e ci che devono essere, senza nutrire il minimo dubbio.

    Io posso dire soltanto che coloro che riposano su questi comodi lettidogmatici sono vittime di forme di miopia che si sono loro stessi procuratee portano occhiali che possono anche dare lappagamento, ma non certo la

    comprensione di ci che la condizione umana.

    4. Riflessioni sulla possibilit di giungere a uno stato perfetto

    Tutto questo valga come obiezione teorica ed unobiezione fon-damentale, mi sembra allidea dello stato perfetto come scopo legittimodei nostri sforzi. Ma c anche, in aggiunta, un ostacolo pi pratico,sociopsicologico, che si pu prospettare a chi si rifugia in una fede ele-

    mentare, una fede di cui lumanit si nutrita per tanto tempo e che refrattaria a tutti gli argomenti filosofici.

    vero che alcuni problemi possono essere risolti e alcuni mali curati,nella vita individuale come in quella sociale. Possiamo salvare uominidalla fame o dalla miseria o dallingiustizia, possiamo liberare uominidalla schiavit o dalla prigionia, ed bene che sia cos tutti gli uominihanno un senso innato del bene e del male, a qualunque cultura appar-tengano; ma qualsiasi studio della societ mostra che ogni soluzione creauna situazione nuova che a sua volta genera nuovi bisogni e problemi,nuove domande. I figli hanno ottenuto ci cui aspiravano i loro genitori

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    e i loro nonni: maggiore libert, maggior benessere materiale, una socie-t pi giusta; ma una volta dimenticati i vecchi mali, i figli si trovanodi fronte a problemi nuovi, prodotti proprio dalla soluzione di quelli vec-chi, e questi a loro volta, pur potendo essere risolti, determinano nuovesituazioni, e quindi nuove esigenze; e cos via, allinfinito e in modo im-prevedibile.

    Noi non possiamo legiferare per le conseguenze sconosciute delle con-seguenze di altre conseguenze. I marxisti ci dicono che quando la lottasia vinta e la storia vera sia cominciata, i nuovi eventuali problemi ge-nereranno le proprie soluzioni, cui si potr pervenire pacificamente conle forze unite di unarmoniosa societ senza classi. A me questo sembraun bellesempio di ottimismo metafisico che non trova alcun conforto

    nellesperienza storica. In una societ in cui i medesimi scopi sono uni-versalmente accettati, i problemi possono soltanto riguardare i mezzi,tutti risolvibili con metodi tecnologici. Si tratta di una societ in cuila vita interiore delluomo, la libera riflessione morale, spirituale ed este-tica sono ridotte al silenzio ed per questo che si dovrebbero distruggereuomini e donne o asservire intere societ? Le utopie hanno il loro valore nulla permette di allargare in modo cos meraviglioso gli orizzonti creatividelle potenzialit umane ma come guide al comportamento umanopossono rivelarsi letteralmente fatali. Eraclito aveva ragione, le cose non

    possono restare immobili.La mia conclusione che lidea stessa di una soluzione finale non soltanto impraticabile, ma se vedo bene, e se tra alcuni valori il con-flitto inevitabile anche incoerente. La possibilit di una soluzionefinale anche a voler scordare il senso terribile che questa espressioneassunse al tempo di Hitler si dimostra unillusione; e assaipericolosa, per giunta.

    Infatti, se veramente si crede che una tale soluzione sia possibile, chiaro che nessun prezzo sarebbe troppo alto, pur di arrivarvi: creareunumanit giusta, felice, creativa e armoniosa per sempre quale costopotrebbe essere troppo alto di fronte a questo traguardo? Per fare questaomelette, non c limite al numero di uova che si devono rompere eraquesta la fede di Lenin, di Trockij, di Mao e, per quel che ne so, di PolPot.

    Se io so qual lunica strada vera per arrivare alla soluzione ultimadei problemi della societ, so anche da che parte devo spingere la caro-vana umana; e poich voi ignorate quello che io so, a voi non pu essereconcessa libert di scelta, nemmeno la minima libert, se la meta de-vessere raggiunta. Voi sostenete che una data politica vi render pi

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    felici o pi liberi o vi far respirare meglio; ma io so che siete in errore,io so quello di cui avete bisogno, quello di cui tutti gli uomini hannobisogno; e se c qualche resistenza, ispirata dallignoranza o dal ranco-re, essa devessere spezzata e centinaia di migliaia di esseri umani pos-sono anche perire perch milioni di esseri umani siano felici in eterno:che altra scelta abbiamo, noi che possediamo la conoscenza, se non quelladi sacrificarli tutti quanti?

    Alcuni profeti armati cercano di salvare tutta lumanit, altri invecesoltanto la propria razza in nome delle sue qualit superiori; ma qualeche sia la motivazione, i milioni di persone massacrate nelle guerre onelle rivoluzioni camere a gas, Gulag, genocidi, tutte le mostruositper le quali sar ricordato il nostro secolo sono il prezzo da pagare

    per la felicit delle generazioni future. Se il vostro desiderio di salvarelumanit serio e sincero, dovete indurire il cuore e non tener contodei costi.

    La risposta a tutto questo fu data pi di un secolo fa dal radicalerusso Aleksandr Herzen. Nel suo saggio Sullaltra sponda, che in sostan-za un necrologio delle rivoluzioni del 1848, Herzen disse che il suotempo era stato testimone di una nuova forma di sacrificio umano, del-limmolazione di esseri viventi sugli altari di astrazioni: Nazione, Chie-sa, Partito, Classe, Progresso, le Forze della Storia. Sono tutte astrazio-

    ni invocate al tempo di Herzen e nel nostro: se esse esigono il massacrodi esseri viventi, occorre soddisfarle. Ecco le parole di Herzen:

    Se il progresso il fine, per chi lavoriamo? Chi il Moloch che, allavvici-narsi degli schiavi, non li compensa ma si ritrae, e per tutta consolazione dellemoltitudini esauste e condannate che gridano Morituri te salutant, sa soltantorispondere beffardamente che dopo la loro morte tutto sar bello sulla terra?Davvero volete condannare tutti gli esseri viventi oggi alla triste funzione...di miserabili galeotti, immersi nel fango fino al ginocchio, costretti a trascinareun barcone... che... sulla prua porta scritto Progresso nel futuro?... Un fineche sia infinitamente remoto non un fine, bens, se volete, una trappola; un

    fine devessere pi vicino devessere, quanto meno, il salario del braccianteo il piacere del lavoro compiuto.

    S, lunica cosa della quale possiamo essere sicuri la realt del sacri-ficio, il morire e i morti. Ma lideale per cui essi muoiono rimane irrea-lizzato. Le uova sono rotte, si diffonde labitudine di romperle, ma lo-melette non si vede ancora. Possono essere giustificati i sacrifici per finia breve scadenza, pu essere giustificata la coercizione se la condizioneumana cos disperata da richiedere davvero provvedimenti di tale gra-vit. Ma gli olocausti in nome di fini remoti, no: solo una crudele irri-sione di tutto ci che gli uomini hanno caro, ora e in qualsiasi tempo.

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    Conclusioni

    Se la fede antica e perenne nella possibilit di realizzare larmoniaultima unillusione e sono giuste le posizioni dei pensatori a cui misono richiamato, Machiavelli, Vico, Herder, Herzen; se ammettiamo chei Beni Supremi possono scontrarsi tra loro, che alcuni di essi non posso-no convivere bench altri lo possano in breve, se ammettiamo che non sipu avere tutto, n in teoria n in pratica ; e se la creativit umana pudipendere da una variet di scelte che si escludono a vicenda: ebbene,allora, per ripetere la domanda di Cernyevskij e di Lenin, Che fare?Come scegliere tra varie possibilit? Che cosa e quanto dobbiamo

    sacrificare a che cosa?Non c, mi sembra, una risposta chiara. Ma i conflitti, anche se nonsi pu evitarli, possono essere attenuati. Si pu arrivare a un equilibriotra le rivendicazioni, si possono raggiungere compromessi. Nelle situa-zioni concrete non tutte le richieste hanno la stessa forza: tanto di li-bert e tanto di uguaglianza; tanto per una recisa condanna morale etanto per uno sforzo di comprensione di una data situazione umana; tantoper la piena applicazione della legge e tanto per le prerogative della pie-t; per sfamare gli affamati, vestire gli ignudi, guarire gli infermi, dare

    un tetto a chi non lha.Si devono fissare le priorit, mai definitive, mai assolute. Il primodovere pubblico quello di evitare punte estreme di sofferenza. Rivolu-zioni, guerre, assassinii, misure estreme possono imporsi in situazionidisperate. Ma la storia ci insegna che raramente il loro risultato quelloche si era previsto; non ci sono garanzie, a volte non ci sono neancheprobabilit in misura sufficiente, che atti cos gravi porteranno a un mi-glioramento.

    Possiamo assumerci il rischio di azioni drastiche, nella vita persona-

    le come nella prassi politica, ma dobbiamo sempre sapere, mai dimenti-care, che possiamo sbagliare, che un eccesso di sicurezza sugli effettidi tali interventi provoca invariabilmente sofferenze di esseri innocentiche si potevano evitare. Cos dobbiamo ricorrere ai cosiddetti compro-messi: regole, valori, princpi devono, in situazioni specifiche, sottosta-re a concessioni reciproche. Le soluzioni utilitaristiche sono qualche voltasbagliate, ma pi spesso ho limpressione sono benefiche.

    La cosa migliore, come regola generale, mantenere un equilibrioprecario che impedir l sorgere di situazioni disperate, di scelte intolle-

    rabili questo il primo requisito per una societ degna, un traguardoal quale possiamo sempre sforzarci di arrivare, alla luce dei limiti della

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    nostra conoscenza e anche della nostra imperfetta comprensione degliindividui e delle societ. Una certa umilt, in questo campo, quantomai necessaria.

    Potr sembrare una risposta molto banale, non il tipo di risposta chevorrebbero i giovani idealisti, non la bandiera per cui sarebbero prontia combattere e a soffrire, se necessario, in nome di una societ nuovae pi nobile. E non dobbiamo, naturalmente, esasperare lincompatibi-lit dei valori c gi unampia e durevole intesa, tra persone di societdiverse, su ci che giusto e ingiusto, bene e male. Certo le tradizioni,le prospettive, gli atteggiamenti possono legittimamente variare: iprincpi generali possono trascurare troppe esigenze umane. La situa-zione concreta determinante, quasi tutto. Non si sfugge: quando sidecide, si decide; a volte il rischio morale non pu essere evitato. Pos-siamo solo pretendere che nessuno dei fattori importanti sia dimentica-to, che gli scopi che cerchiamo di realizzare siano visti come elementidi un complessivo modo di vivere che pu essere favorito o danneggiatodalle decisioni.

    Ma, in definitiva, non si tratta di un giudizio puramente soggettivo:la decisione dettata dalle forme di vita della societ cui apparteniamo,una societ fra altre, con valori che si scontrino o no tra loro fanno partedel patrimonio comune della maggioranza dellumanit in tutta la suastoria conosciuta. Ci sono valori, se non universali, almeno tali dacostituire un minimum senza il quale le societ difficilmente potrebberosopravvivere.

    Ben pochi, oggi, sarebbero disposti a difendere la schiavit o lomi-cidio rituale o le camere a gas naziste o la tortura di esseri umani in no-me del piacere, del profitto o anche del bene politico, oppure il doveredei figli di denunciare i genitori, come pretendevano la Rivoluzione fran-cese e quella russa, o lassassinio gratuito. Non ci sono giustificazioniper un atteggiamento di compromesso su fatti di questo genere. Ma daltraparte la ricerca della perfezione mi sembra una ricetta, una via obbligatache porta allo spargimento di sangue; e le cose non migliorano se arichiederlo il pi sincero degli idealisti, il pi puro dei cuori. Non mai esistito un moralista pi rigoroso di Immanuel Kant, ma anche lui,in un momento di folgorazione, disse: Dal legno storto dellumanitnon si mai cavata una cosa dritta.

    Costringere gli uomini a indossare le belle uniformi imposte da ideo-logie accettate dogmaticamente quasi sempre una strada che conducealla disumanizzazione. Possiamo fare solo quel che possiamo; ma questodobbiamo farlo, nonostante le difficolt. Certo vi saranno scontri socialio politici, ed inevitabile, per il fatto stesso che i valori positivi si

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    scontrano tra loro. Ma questi conflitti, credo, possono essere ridotti alminimo promuovendo e conservando un delicato equilibrio che costan-temente minacciato e richiede costanti correzioni: questa, ripeto la pre-condizione per lesistenza di societ degne e per un comportamento mo-ralmente accettabile, altrimenti siamo destinati a smarrire la strada.

    Direte che, come soluzione, un tantino insipida? Che non questala sostanza di cui son fatti gli appelli allazione eroica da parte di con-dottieri ispirati? Ma se c un fondo di verit in questo modo di vedere,forse pu bastare.Un illustre filosofo americano del nostro tempo ha detto: Non c unaragione a priori per supporre che la verit, una volta scoperta, risultinecessariamente interessante. Se la verit, o anche unapprossima-

    zione alla verit, pu gi essere sufficiente; e io, di conseguenza, nonmi sento tenuto a presentare delle scuse per averci provato. La verit,ha scritto Tolstoj nel romanzo da cui ho preso le mosse, la cosa pibella che ci sia al mondo. Non so se sia cos nel regno delletica, ma misembra che questa idea non si possa scartare alla leggera, essendo giabbastanza vicina a ci che la maggior parte di noi desidera credere.

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    La libert individuale come impegno sociale*

    Amartya Kumar Sen

    Vorrei cominciare col dire quanto mi senta profondamente onorato:ho la massima ammirazione per il magnifico clima intellettuale dellIta-lia contemporanea. Ho inoltre particolarmente a cuore i miei rapporti

    con questo splendido paese anche in ragione dei miei legami personali,in quanto sono stato sposato per lunghi anni con una grande italiana,Eva Colorni, fino alla sua prematura morte nel 1985. Per molte ragionidiverse, quindi, mi sento estremamente privilegiato di trovarmi qui.

    Premessa

    Intendo esaminare le implicazioni che derivano dal considerare la li-

    bert individuale come un impegno sociale. Mi occuper in questa sededi quella concezione delletica sociale che vede la libert individuale sia(a) come un valore centrale in qualsiasi valutazione della societ, sia (b)come un prodotto inscindibile degli assetti sociali. Per lanalisi della so-ciet contemporanea, ritengo che questa prospettiva abbia alcuni van-taggi rispetto ad altri approcci (quali il calcolo utilitarista dei piaceri edei desideri che, in modo implicito o esplicito, alla base di molte scelteattuali di politica sociale), e possa anche avere, come sosterr, impli-cazioni di ampia portata per una valutazione delle istituzioni sociali e

    delle scelte politiche.

    1. Idee astratte e orrori concreti

    Anche se mi propongo di discutere le idee fondamentali che sonoimplicite nella nozione di libert individuale intesa come impegno so-ciale, la mia preoccupazione principale in questo saggio riguarder la ri-

    * Testo presentato in occasione del conferimento all'Autore del Premio InternazionaleSenatore Giovanni Agnelli (Torino, Lingotto, 5 marzo 1990).

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    levanza pratica di questo punto di vista. Cercher di illustrare le impli-cazioni di tale approccio partendo da problemi tratti dalla vita quotidia-na. Se molti degli esempi che ho scelto riguarderanno fenomeni econo-mici, questo dovuto non solo al fatto che io sono di professione, inprimo luogo, un economista (anche se mi prendo spesso la libert di par-tecipare a dibattiti di etica), ma anche alla mia profonda convinzioneche lanalisi economica possa offrire un contributo alletica che sta a fon-damento del mondo in cui viviamo Alcuni dei pi laceranti problemidelletica sociale sono infatti di natura profondamente economica.

    In questa sede, forse mi perdonerete se indulger ad alcune remini-scenze della mia infanzia, che in realt ebbero poi uninfluenza decisivasui miei interessi e sul mio impegno successivo. Tra gli eventi che miturbarono maggiormente nella mia infanzia vi fu lesperienza della care-stia del Bengala nel 1943, nella quale, secondo le attuali stime, moriro-no circa tre milioni di persone. Si tratt di una calamit incredibilmen-te atroce, che si manifest con una subitaneit che allora mi risult deltutto incomprensibile. Allepoca avevo nove anni e studiavo in una scuoladi una zona rurale del Bengala. Tra la gente che conoscevo a scuola ele loro famiglie non vi era alcun segno apparente di sofferenza, e infatti,come scoprii quando studiai la carestia oltre tre decenni pi tardi, lamaggioranza della popolazione del Bengala sub ben poche privazionidurante il periodo di carestia. La carestia era confinata ad alcune speci-fiche categorie professionali (come succede in quasi tutte le carestie),mentre per il resto della popolazione le cose andavano sostanzialmentein modo quasi normale.

    Un mattino, un uomo di estrema magrezza apparve nel recinto dellanostra scuola, mostrando un comportamento poco equilibrato, che comeavrei appreso pi tardi un segno tipico di prolungate sofferenze dainedia. Era venuto da un lontano villaggio per cercare cibo e vagabon-dava nella speranza di ottenere aiuto. Nei giorni seguenti, arrivarono de-cine, poi migliaia, e infine una vera processione di innumerevoli perso-ne emaciate, con le guance scavate, gli occhi sbarrati, spesso portando inbraccio dei bambini ridotti a pelle e ossa. Cercavano la carit delle famigliepi agiate e del governo. La carit privata si estese considerevolmente,sebbene fosse purtroppo inadeguata a salvare i milioni di persone colpi-te dalla carestia. Per, per varie ragioni, le autorit dellIndia britanni-ca non trovarono modo di impostare un piano pubblico di assistenza suvasta scala, se non dopo circa sei mesi dallinizio della carestia. assaidifficile dimenticare la visione di quelle migliaia di persone raggrinzite,che mendicavano flebilmente, soffrivano in modo atroce e morivano insilenzio. La natura di questo grave fallimento sociale deve considerarsi

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    ancora pi intollerabile alla luce dei successivi studi sulla carestia, chemostrarono come la disponibilit complessiva di cibo in Bengala non fosseparticolarmente bassa durante il periodo della carestia. Coloro che mo-rirono mancavano piuttosto dei mezzi per procurarsi il cibo a disposi-zione. Torner sul tema generale pi avanti nel corso di questo saggio.

    Laltra mia esperienza di orrore fu di un tipo alquanto differente.Essa mi capit quando ero ancora pi giovane avevo circa otto anni,credo. Allora vivevo a Dacca, che in quel periodo era la seconda cittdel Bengala in ordine di grandezza, ora capitale del Bangladesh. Scop-piarono improvvisamente delle violenze di natura etnica tra gli ind ei musulmani, con insensate uccisioni di membri di entrambe le comuni-t da parte di criminali della fazione opposta. Per quanto la citt pre-sentasse un tessuto misto dal punto di vista etnico, vi era una concen-trazione di musulmani in alcune zone e di ind in altre. Io provenivoda una famiglia ind, e vivevamo in unarea di Dacca prevalentementeabitata da ind delle classi medie.

    Un pomeriggio, un uomo entr dal nostro cancello, urlando in modopietoso e sanguinando abbondantemente: era stato accoltellato alla schie-na. Era un lavoratore giornaliero musulmano, il cui nome, ci disse, eraKader Mian. Era venuto a consegnare un carico di legna a una casa vici-na, in cambio di un modesto compenso. Mentre veniva trasportato al-lospedale da mio padre, egli continuava a ripetere che sua moglie gli

    aveva pur detto di non addentrarsi in unarea ostile durante i disordinietnici, ma egli aveva dovuto ugualmente uscire in cerca di lavoro, per-ch la sua famiglia non aveva nulla da mangiare. Un ben pesante prezzodovette pagare per la sua mancanza di libert economica: mor infattiqualche tempo dopo allospedale.

    E possibile obiettare che i ricordi dolorosi di unet facilmente im-pressionabile non possono rappresentare un valido oggetto per unana-lisi seria, e non si deve pretendere che queste esperienze siano pi pro-fonde di quanto non possano essere state. Peraltro, io ritengo che que-

    sti casi abbiano una certa rilevanza per le tesi centrali che sto cercandodi sostenere. Perci mi prender la libert di tornare su questi terribilieventi, ma solo dopo avere definito in modo pi chiaro i termini gene-rali della questione.

    2. Libert negativa e libert positiva

    Dal punto di vista concettuale, la libert individuale ben lungi dal-lessere scevra da ambiguit. Il primo destinatario del Premio Agnelli,Sir Isaiah Berlin, ha introdotto una importante e influente distinzione

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    fra concezioni negative e positive della libert1. Tale distinzionepu interpretarsi in molti modi diversi. Uno di questi fa riferimento alruolo svolto dalle ingerenze di altri nel privare una persona della sualibert di azione2.

    Secondo questa prospettiva la libert intesa in senso positivo (la li-bert di), riguarda ci che, tenuto conto di tutto, una persona pu o me-no conseguire. Linteresse non tanto rivolto verso i fattori causaliallabase di questo, ovvero se lincapacit da parte di una persona di rag-giungere un certo obiettivo sia dovuta alle restrizioni imposte da altriindividui o dal governo. Al contrario, la concezione negativadella libert(la libert da) si concentra precisamente sullassenza di una serie dilimitazioni che una persona pu imporre a unaltra (o che lo stato o al-tre istituzioni possono imporre agli individui). Ad esempio, se io nonfossi in grado di passeggiare liberamente nel parco perch invalido, que-sto sarebbe una carenza della mia libert positiva, ma non vi alcunatraccia di violazione della mia libert negativa. Daltra parte, se non possopasseggiare nel parco non perch sia invalido, ma perch mi assalirebbe-ro i malviventi, allora si ha una violazione anche della mia libert nega-tiva (e non solo della mia libert positiva).

    Secondo questa interpretazione, che leggermente diversa dalla di-cotomia classica di Berlin, chiaro che una violazione della libert ne-

    gativa implica una violazione della libert positiva, mentre non veroil contrario. Nella tradizionale letteratura libertaria si affermata latendenza a prestare attenzione prevalente alla concezione negativadella libert, tanto che alcuni hanno sostenuto la tesi che si dovesse ri-servare il termine libert solo alla sua interpretazione negativa. Dal-tra parte, molti autori (da Aristotele a Karl Marx, dal Mahatma Gandhia Franklin Roosevelt) hanno mostrato molto interesse verso le libertpositive in generale, e non solo verso lassenza di limiti.

    possibile sostenere che, se noi riteniamo importante che una per-

    sona sia posta in grado di condurre la vita che preferisce, allora ci dob-biamo servire della categoria generale della libert positiva. Se, cio, ri-teniamo di grande importanza lessere liberi di scegliere, allora lalibert positiva che ci interessa. Ma non si deve pensare che questa ar-gomentazione a favore della libert positiva implichi che la libert ne-

    1 Si veda I. Berlin, Four Essays on Liberty, Oxford, Oxford Clarendon Press, 1969. Si vedaanche il saggio precedente.

    2 Si veda R. Dworkin, Taking Rights Seriously, London, Duckworth, 1978 (2 ed.), trad. it. Idiritti presi sul serio, Bologna, Il Mulino, 1982; si veda inoltre A. Sen, Rights and Agency inPhilosophy and Public Affairs, 11, inverno 1982, ripubblicato in S. Scheffler (a cura di),Consequentialism and Its Critics, Oxford, Oxford University Press, 1988.

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    gativa non debba ricevere una speciale attenzione. Ad esempio, in ge-nerale pu essere negativo per una societ che una persona non possapasseggiare nel parco, ma, in coerenza con tale diagnosi, si pu conside-

    rare particolarmente spiacevole dal punto di vista degli assetti socialichetale incapacit sia il risultato di ostacoli o minacce posti da altre perso-ne. Lingerenza di altri nella vita di una persona ha risvolti sgradevoli forse intollerabili che vanno ben oltre la mancanza di libert positivache ne risulta.

    Se si accetta questo, allora non vi una particolare ragione di discu-tere se si debba assumere una visione della libert di tipo positivo oppuredi tipo negativo. Una adeguata concezione della libert dovrebbe esseresia positiva, sia negativa, poich entrambe sono importanti (anche se

    per ragioni differenti).Invero, date le interrelazioni tra le caratteristiche sociali, i due aspettisono collegabili tra loro in diversi modi. Si consideri il caso di KaderMan, il lavoratore giornaliero cui prima ho accennato. La sua mortelo ha privato della fondamentale libert positiva di continuare a vivere(come avrebbe scelto di fare). Questo gi in s abbastanza drammati-co, ma ci che rende la tragedia ancora pi terribile che questa priva-zione della libert positiva di continuare a vivere fu determinata dal-latto offensivo di un assalitore, non dalle forze naturali dellet o della

    malattia. Non solo mor: fu ucciso. Questo spaventoso aspetto delle-vento ci conduce dalla concezione positiva a quella negativa. Inoltre,se Kader Mian avesse ascoltato sua moglie e minacciato dalla criminalitetnica non avesse accettato il lavoro retribuito che gli veniva offerto,allora, di nuovo, si sarebbe avuta una perdita di libert negativa: laperdita della libert di accettare un lavoro a causa di ingerenze (inquesto caso, con intenzioni omicide) da parte di altri.

    Ma vi un ulteriore aspetto di connessione reciproca fra la libertpositiva e quella negativa. Kader Mian dovette affrontare il rischio di

    venire ucciso da quei criminali perch era povero e la sua famiglia avevafame. La povert non in s una violazione della libert negativa: ve-ro che una persona in estrema povert non libera di fare molte cose(quali nutrire bene la sua famiglia, rimanere a casa quando vi sono di-sordini che minacciano la sua vita), ma la povert e la conseguente man-canza di libert positiva non sono necessariamente dovute a una inge-renza da parte di altri. Fu per proprio questa mancanza di libert posi-tiva che costrinse Kader Mian ad andare in cerca di un qualche guada-gno in un territorio ostile, e che quindi lo rese soggetto allatto di vio-

    lenza da parte dei criminali. Possiamo considerare il suo omicidio come

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    una estrema violazione della sua libert negativa, ma egli fu spinto inquel territorio chiaramente rischioso innanzitutto dalla sua povert e dallaconseguente mancanza di libert positiva.

    Se dunque vi una distinzione effettiva tra laspetto positivo e quel-lo negativo della libert, questi diversi aspetti possono essere profonda-mente intrecciati tra loro. Concentrarsi solamente su uno oppuresullal-tro non solo incompleto dal punto di vista etico, ma pu anche risulta-re incoerente dal punto di vista sociale. Limpegno sociale nei confrontidella libert individuale deve riguardare entrambe le libert, positiva enegativa, insieme alle loro estese relazioni reciproche.

    3. Carestie e libert

    Le interrelazioni tra i diversi aspetti della libert possono talvoltaassumere forme piuttosto complesse. Si consideri il venir meno su largascala, in una carestia, della libert positiva di sopravvivere. La carestiadel Bengala del 1943, a cui ho fatto riferimento sopra, fu in realt lulti-ma importante carestia in India. Non vi sono state grandi carestie dopolindipendenza, nonostante gravi siccit, inondazioni e altre catastrofi.A che cosa si pu attribuire tale differenza? E, spingendoci al di l diquesto interrogativo, come possibile eliminare la persistenza di terri-bili carestie nel mondo (ad esempio, nella fascia sub-sahariana dellAfrica)?

    Ho gi ricordato come la carestia del Bengala del 1943 avesse luogosenza che la disponibilit di cibo fosse eccezionalmente bassa. Questo vero anche per molte altre carestie (quali quelle dellEtiopia del 1973e dei primi anni ottanta). Alcune carestie sono infatti avvenute quandola disponibilit di cibo era al suo livello massimo (come, ad esempio,nel caso della carestia del Bangladesh del 1974). Nello spiegare le care-stie, non si deve quindi guardare tanto alla disponibilit totale di cibo(anche se questo pu costituire uno dei molti fattori scatenanti), ma alpossesso di titoli da parte dei gruppi vulnerabili, ovvero ai diritti dipropriet sul cibo che tali gruppi sono in grado di farsi riconoscere3.Dobbiamo pertanto concentrare lattenzione sui cambiamenti economi-ci e politici che privano particolari categorie professionali della loro ca-pacit di disporredel cibo. Per esempio, la diffusione di una disoccupa-

    3 Si veda A. Sen, Poverty and Famines, Oxford, Clarendon Press, 1981; si veda inoltre M.Ravallion, Markets and Famines, Oxford, Oxford University Press, 1987, e J. Drze e A. Sen,Hunger and Public Action, Oxford, Oxford University Press, 1981.

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    zione su vasta scala che conducesse a una generalizzata incapacit di con-seguire un reddito, o a uno sproporzionato aumento del prezzo del ciborispetto ai salari, o a una accentuata caduta del prezzo dei manufattidegli artigiani, potrebbero condurre a una situazione di fame assai diffusa.

    Alla luce di questa analisi, non deve sorprendere che una politica diintegrazione dei redditi (ad esempio, offrendo impiego pubblico, o pa-gando un salario alle persone indigenti in cerca di lavoro) possa costitui-re uno dei modi pi efficaci di prevenire le carestie. Questo in effettiil modo in cui le carestie sono state sistematicamente prevenute inIndia dopo lindipendenza. Ogniqualvolta vaste categorie professionalihanno perso la loro capacit di guadagno (ad esempio, quando i lavoratoriagricoli sono rimasti senza lavoro per una grave siccit o una

    inondazione) il potere di acquisto perduto dalla popolazione colpita stato ricostituito in larga misura attraverso la creazione di occupazionenel settore pubblico. Questo avvenuto pi e pi volte in diverse partidellIndia: nel Bihar nel 1967, nel Maharashtra nel 1973, nel BengalaOccidentale nel 1979, nel Gujarat nel 1987 ecc. Leliminazione dellecarestie in India stata in massima parte il risultato di sistematici interventipubblici.

    Per dire la verit, il progetto di massima per questo tipo di interven-ti era stato sostanzialmente delineato gi durante la dominazione bri-

    tannica, in particolare con i Codici per la carestia del 1880. Anche sequelle procedure sono state molto perfezionate, la strategia di base del-la reintegrazione dei redditi in linea di massima la stessa. Come quindistato possibile che le carestie abbiano continuato a verificarsi fino al 1943,ma non dopo lindipendenza del 1947? Il fatto che le procedure diprevenzione delle carestie delineate nei Codici per la carestia non pos-sono ovviamente essere molto efficaci, a meno che non vengano effetti-vamente applicate, e al momento giusto. Durante la dominazione britan-nica, i Codici per la carestia furono spesso chiamati in causa troppo tar-di. Talvolta, come nel caso della carestia del Bengala del 1943, i Codicinon vennero affatto richiamati n applicati. Al contrario, a partire dal-lindipendenza, le misure di prevenzione delle carestie sono state utiliz-zate abbastanza prontamente non appena si manifestava la minaccia diuna potenziale carestia.

    Che cosa pu spiegare questa diversit? Ho cercato altrove di argo-mentare che quanto ha effettivamente determinato il cambiamentodella situazione stata la natura pluralistica e democratica dellIndia dopo

    lindipendenza. In presenza di una stampa relativamente libera, con ele-zioni periodiche e con attivi partiti di opposizione, nessun governo pu

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    sfuggire a severe sanzioni nel caso si verifichino ritardi nellapplicazio-ne di misure di prevenzione e si consenta alla carestia di scatenarsi. Equesta minaccia che mantiene i governi allerta4.

    Il contrasto acuto non solo rispetto allIndia prima dellindipen-denza, ma anche relativamente a molti paesi dellAfrica sub-sahariana,nei quali i governi non si devono preoccupare troppo della minaccia dipartiti di opposizione e in cui la stampa ben lungi dallessere libera.Anche la carestia che colp la Cina nel 1958-61, nella quale morironofra i 23 e i 30 milioni di persone, fu in parte causata dalla prosecuzionedi politiche governative disastrose, che a loro volta furono rese possibilidalla natura non democratica del sistema politico di quel paese. Per treanni, nonostante le gravi condizioni di carestia, la politica governativanon venne in sostanza invertita.

    Il governo non si sentiva minacciato, non vi erano partiti di opposi-zione, nessun quotidiano pot avanzare critiche alle politiche pubbli-che. In realt, la carestia in massima parte non fu neppure menzionatadalla stampa di regime, nonostante la carneficina che si stava verifican-do nel paese. Invero, nella terribile storia delle carestie mondiali diffi-cile trovare un caso in cui si sia verificata una carestia in un paese cheavesse una stampa libera e unopposizione attiva entro un quadro isti-tuzionale democratico.

    Se vale questa analisi, allora le diverse libert politiche presenti inuno stato democratico fra cui elezioni regolari, liberi giornali e libert diparola (senza veti o censure da parte del governo) devono essere vistecome la vera forza motrice della eliminazione delle carestie. Qui, dinuovo, si pu vedere come un insieme di libert di criticare, di pubblicare,di votare sia connesso da un legame causalead altri tipi di libert, qualila libert di sfuggire alla morte per fame e carestia. La libert negativadella stampa e dei partiti di opposizione di criticare, scrivere eorganizzare la protesta pu risultare assai efficace nella salvaguardia dellelibert positiveelementari della popolazione pi vulnerabile.

    4. Calcolo utilitarista contro libert

    Il porre laccento sulla libert positiva o negativa come base dellavalutazione sociale pu essere messo a confronto con altri approcciquali lutilitarismo. La tradizione utilitarista pone in rilievo non tanto

    4 Si veda A. Sen, How is India Doing in The New York Review, 16 dicembre 1982; inoltre,

    dello stesso autore, Resources. Values and Development, Oxford-Cambridge (Mass.), Blackwell-Harvard University Press, 1984.

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    la libert di raggiungere risultati, quanto piuttosto i risultati conseguiti.Inoltre, essa valuta questi risultati in termini di condizione soggettiva,quale il piacere o il desiderio (lutilit). Vi sono per sostanziali diffe-renze allinterno della generica prospettiva utilitarista. Per esempio, giu-dicare limportanza di quanto si ottenuto dalla misura in cui ci gene-ra piacere pu condurre a conclusioni diverse da quelle che si traggonogiudicando secondo lintensit dei desideri soddisfatti. Ma dietro i di-versi tipi di strategie ce n una comune, che comprende (a) la concen-trazione sui risultati e (b) la valutazione secondo certe condizioni sog-gettive (quali il piacere o il desiderio) delle persone interessate.

    La tradizione utilitarista sviluppata da Jeremy Bentham, John StuartMill e altri ha avuto un notevole impatto sociale in termini pratici,

    nel rendere sistematica e ordinata la valutazione di politiche antagoni-ste. Le implicazioni del ragionamento utilitaristico sono state analizza-te in profondit ed effettivamente applicate da economisti, analisti so-ciali e pubblici funzionari. Alcuni dei cambiamenti sociali determinatidalla tradizione utilitarista (a partire dalle prime riforme delle prigioniin Gran Bretagna, problema che preoccupava molto lo stesso Bentham)non solo hanno ridotto la sofferenza e aumentato la felicit, ma hannoanche, insieme ad altri effetti, contribuito ad accrescere le libert dellepersone. Daltra parte queste estensioni delle libert, quando si sono ef-

    fettivamente verificate, hanno costituito solamente risultati fortuiti diuna politica di stampo utilitaristico, poich la libert come tale non co-stituisce un valore nel calcolo utilitaristico. In altri casi, le prescrizioniutilitariste si sono invece trovate a scontrarsi con le richieste di libertindividuale. Questi conflitti emergono per svariate ragioni, ivi compre-sa la componente di paternalismo che implicita nella pretesa di orga-nizzare una societ in modo da condurre le persone al risultato delluti-le massimo, invece di lasciare loro maggiore libert, compresa la libertdi commettere degli errori.

    Un diverso tipo di difficolt riguarda le distorsioni che si generanoquando le condizioni soggettive del piacere e del desiderio si adeguanoa situazioni di persistente diseguaglianza. Intendo dire che in circostan-ze di diseguaglianza e iniquit di vecchia data, i diseredati possono es-sere indotti a considerare il loro destino come praticamente inevitabile,da sopportarsi con rassegnazione e tranquillit. Essi imparano ad adat-tare di conseguenza i loro desideri e piaceri, perch non ha molto sensocontinuare a struggersi per quanto non sembra loro realizzabile e le cuiprospettive essi non hanno mai avuto motivo di considerare attentamente.Il calcolo utilitaristico in realt profondamente distorto nel caso di co-

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    loro che, essendo cronicamente in condizione di privazione, non hannoil coraggio di desiderare molto pi di quanto gi posseggano e gioisconoper quanto possono dei loro piccoli sollievi, poich le loro privazioni ap-paiono meno acute usando il distorto parametro dei piaceri e dei desi-deri. La misura dellutilit pu isolare letica sociale dalla valutazionedellintensit della privazione del lavoratore precario, del disoccupatocronico, del coolie sovraccarico di lavoro o della moglie completamentesuccube, i quali hanno imparato a tenere sotto controllo i loro desiderie a trarre il massimo piacere da minime gratificazioni.

    Sebbene la questine vada alle radici pi profonde del calcolo utili-tarista, il problema non di natura esclusivamente teorica e ha conse-guenze pratiche piuttosto serie. Consentitemi di illustrare questo punto

    facendo riferimento a due dei maggiori insuccessi sociali del mio paese,lIndia.Il primo concerne la diseguaglianza dei sessi ovvero, tra donne e

    uomini. Naturalmente, la posizione di svantaggio delle donne non rap-presenta una peculiarit dellIndia, e vi sono prove di una estesa dise-guaglianza di origine sessuale perfino in questioni elementari quali lasalute e lalimentazione in molte regioni del mondo (ad esempio, nellamaggior parte dei paesi dellampia fascia che si estende dallAsia occi-dentale alla Cina). Ma in India sono stati effettuati confronti piuttosto

    accurati tra i tassi di mortalit, di malattia, di assistenza ospedaliera,di cure alimentari ecc. (io stesso ho preso parte alla elaborazione di al-cuni di questi confronti)5, e, nonostante una certa variabilit interre-gionale allinterno dellIndia, essi confermano con chiarezza un quadropiuttosto definito, che vede la donna sistematicamente svantaggiata ri-spetto alluomo in gran parte del paese, specialmente nelle zone rurali.

    La diagnosi di significative diseguaglianze basate sul sesso di appar-tenenza e la necessit di cambiare stata tuttavia fortemente messa indiscussione. stato sottolineato abbastanza plausibilmente come le

    donne dellIndia rurale non provino invidia per la posizione delluomo,non vedano la loro situazione come una forma di penosa diseguaglianza enon ambiscano a un cambiamento. Anche se la politicizzazione dellapopolazione rurale sta modificando lentamente questo quadro inerte (uncambiamento in cui i movimenti delle donne, di recente sviluppo,cominciano a giocare un ruolo importante), nondimeno quella os-servazione empirica costituisce tuttora sostanzialmente una rappresen-

    5 Si veda Sen, Resources. V alues and Development cit.; inoltre, dello stesso autore, Commoditiesand Capabilities, Amsterdam, North-Holland, 1985.

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    tazione corretta della attuale situazione nellIndia rurale. Sarebbe diffi-cile sostenere che vi sia, al momento, una diffusa insoddisfazione perle diseguaglianze tra i sessi o un travolgente desiderio di cambiamentiradicali tra le donne dellIndia rurale. La vera questione riguarda lin-terpretazione e la significativit di questa osservazione empirica.

    In un senso oggettivo, le donne nellIndia rurale sono veramente menolibere degli uomini per molti versi, e non vi nulla nella storia del mon-do che stia a indicare che le donne non apprezzerebbero una maggiorelibert se effettivamente giungessero ad averla (invece di considerarlacome impossibile o innaturale). Lassenza di scontento attuale odi spontanei desideri di mutamento radicale non pu eliminare la rile-vanza morale di questa diseguaglianza se la libert individuale com-

    presa la libert di valutare la situazione del singolo e la possibilit dicambiarla viene accettata come un valore fondamentale. Dunque, mentrei difensori dello status quo trovano conforto e sostegno alle loro tesi inalmeno alcune versioni dellutilitarismo, questa difesa non pu esseremantenuta se la libert individuale diviene veramente un impegno so-ciale. Poich sfruttamento e diseguaglianza persistenti spesso prospera-no creandosi alleati passivi proprio in coloro che vengono bistrattati esfruttati, la discrepanza tra argomentazioni basate sullutilit ed argo-mentazioni basate sulla libert pu essere netta e ricca di conseguenze.

    Il secondo esempio riguarda lanalfabetismo in India. A partire dal-lindipendenza nel 1947, lIndia ha compiuto notevoli progressi nelli-struzione superiore, ma pochissimi in quella elementare. Nel censimen-to del 1981, solo il 41 per cento della popolazione adulta risultato ingrado di leggere e scrivere mentre il tasso di alfabetismo femminile erasolo del 28 per cento. Listruzione elementare non ha mai ricevuto lim-portanza di cui hanno goduto altri obiettivi sociali nella politica india-na. Molti fattori possono spiegare questo insuccesso politico, ma unar-gomentazione che viene spesso avanzata che lanalfabeta indiano non particolarmente scontento del proprio stato, e listruzione non rap-presenta uno dei desideri pi intensi dellindiano che di essa privato.

    Come descrizione della condizione psicologica dellanalfabeta india-no, pu anche essere corretta. Ma lanalfabetismo costituisce altres unamancanza di libert non solo una mancanza della libert di leggere,ma anche una riduzione di tutte le altre libert che dipendono dalle for-me di comunicazione in cui necessario il possesso della capacit di leg-gere e scrivere. Qui, di nuovo, unetica sociale che faccia perno sulla

    libert ci porta in una direzione piuttosto differente rispetto a quellaindicata da calcoli sociali basati sui piaceri o sui desideri.

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    5. La libert e i suoi mezzi

    Di recente, la tradizione utilitarista ha subto attacchi anche da mol-ti altri punti di vista. Per esempio, John Rawls e Bernard Williams, tragli altri, hanno avanzato profonde critiche alle fondamenta stesse delleargomentazioni utilitariste6. Molti sistemi alternativi di filosofia poli-tica hanno ricevuto crescente attenzione (ivi compresi le vigorose anali-si di differenti aspetti delle procedure del liberalismo e della libert digiudizio effettuate, fra gli altri, da James Buchanan, Ronald Dworkine Robert Nozick)7.

    Pu risultare utile confrontare lapproccio che sto cercando di pre-

    sentare con alcuni aspetti della teoria della giustizia di John Rawls, teo-ria che ha grandemente contribuito a una radicale rigenerazione dellafilosofia politica e delletica moderna. La teoria rawlsiana della giustiziaha fatto veramente molto per portare al centro dellattenzione limpor-tanza politica ed etica della libert individuale. I suoi princpi di giu-stizia salvaguardano la priorit della libert individuale, fatta salvauna simile libert per tutti. Il suo approccio alla diseguaglianza non siconcentra sulla distribuzione dellutilit, quanto piuttosto sulla distri-buzione di beni primari. Questi sono gli strumenti (come reddito, ric-

    chezza, libert e cos via) che aiutano le persone a perseguire liberamen-te i loro rispettivi obiettivi.Tuttavia, compiere confronti fra beni primari posseduti da persone

    diverse non esattamente equivalente a confrontare le libert di cui di-verse persone beneficiano, anche se le due cose possono essere stretta-mente collegate. I beni primari costituiscono mezzi per la libert, manon possono rappresentare lambito della libert, a causa delle differen-ze tra gli esseri umani per quanto riguarda la loro capacit di trasformarebeni primari nella libert di perseguire i loro obiettivi. Date le differen-

    ze di sesso, et, caratteristiche specifiche, diversit ambientali, che pos-sono essere predominanti fra i gruppi e allinterno di essi, unuguale di-stribuzione di beni primari pu accompagnare livelli di libert assai

    6 Si veda J. Rawls, A Theory of Justice, Cambridge (Mass ), Harvard University Press, 1971, trad.it. Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, 1982; si veda inoltre B. Williams Ethics and TheLimits of Philosophy, London-Cambridge (Mass.), Fontana Press - Harvard University Press, 1985,trad. it. Letica e i limiti della filosofia, Bari, Laterza, 1987.

    7 Si veda J. M. Buchanan, Liberty, Market and the State, Brighton, Wheatsheaf Books, 1986; siveda inoltre R. Dworkin, A Matter of Principle, Cambridge (Mass.), Harvard University Press,

    1985, e R. Nozick, Anarchy. State and Utopia, Oxford, Blackwell, 1974, trad. it. Anarchia, stato eutopia. I fondamenti filosofici dello stato minimo, Firenze, Le Monnier, 1981.

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    diversi tra loro. Ad esempio, una uguale dotazione di beni primari purendere persone con invalidit fisiche meno libere di perseguire il lorobenessere. Inoltre, gli invalidi possono trovarsi svantaggiati non solo nellaloro ricerca di benessere, ma anche in mancanza di speciali facilitazioni nella loro partecipazione alla scelta di istituzioni sociali comuni e nellaloro capacit di influenzare decisioni politiche di carattere generale (nonnecessariamente connesse ai loro handicap).

    Mentre molte forme di invalidit sono piuttosto rare, gli esseri uma-ni sono in generale profondamente diversi nelle loro caratteristiche per-sonali e ambientali. Vi sono differenze di et ed energia, sesso e bisognifisici (ad esempio, legati alla gravidanza), predisposizione alle malattie,costituzionale o indotta dallambiente, e cos via; queste differenze in-fluenzano la misura in cui le persone sono capaci di costruire liberamentela loro vita a partire da una dotazione fissa di beni primari. Data larilevanza delleterogeneit personale e ambientale, porre laccento suibeni primari non pu servire al nostro scopo di confrontare le libertche gli individui hanno realmente (anche se pu essere sufficientementeappropriato per lo scopo che Rawls si prefigge).

    Invece di concentrarsi sui beni primari o sulle risorse che gli indivi-dui detengono, possibile focalizzare lattenzione sugli effettivi tipi divita che le persone possono scegliere di condurre e che concernono di-versi aspetti del funzionamento umano (human functionings). Alcunidi tali aspetti sono estremamente elementari, come nutrirsi adeguata-mente, godere di buona salute ecc., e questi possono essere tenuti ingrande considerazione da parte di tutti, per ovvie ragioni. Altri posso-no essere pi complessi, ma pur sempre largamente apprezzati, come adesempio raggiungere il rispetto di s, o prendere parte alla vita della co-munit. Anche il functioningdi tipo utilitarista essere felice potrebbeessere inserito qui, ma risulter come un aspetto in mezzo a molti altri(invece di essere la base della valutazione di tutti i risultati, come nelcalcolo utilitarista basato sulla felicit). Gli individui possono, comunque,differire di molto luno dallaltro nella importanza relativa che ciascunoattribuisce a questi diversi aspetti per quanto tutti siano rilevanti e unateoria della giustizia basata sulla libert deve essere pienamente conscia diqueste diversit (esistono varie tecniche di analisi capaci di tener contodi esse).

    La libert di condurre diversi tipi di vita si riflette nellinsieme dellecombinazioni alternative di functionings tra le quali una persona pu sce-gliere; questa pu venire definita la capacit di una persona. La capa-cit di una persona dipende da una variet di fattori, incluse le caratte-ristiche personali e gli assetti sociali. Un impegno sociale per la libert

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    dellindividuo deve implicare che si attribuisca importanzaallobiettivo di aumentare la capacit che diverse persone posseggonoeffettivamente, e la scelta tra diversi assetti sociali deve venire influenzatadalla loro attitudine a promuovere le capacit umane. Una pienaconsiderazione della libert individuale deve andare al di l dellecapacit riferite alla vita privata, e deve prestare attenzione ad altriobiettivi della persona, quali certi fini sociali non direttamente collegaticon la vita dellindividuo; aumentare le capacit umane deve costituireuna parte importante della promozione della libert individuale.

    6. Lintervento sociale e la natura della povert

    Spostare laccento dai beni primari e dalle risorse alle capacit e allelibert pu determinare una differenza sostanziale nellanalisi empiricadelle diseguaglianze sociali. Questo pu, come si discusso in precedenza,influenzare la valutazione delle diseguaglianze dovute al sesso, alla clas-se, allinvalidit o alla posizione delle persone. Poich queste sono alcu-ne delle pi scottanti questioni sociali nel mondo moderno, le concretedifferenze dovute a questo spostamento di prospettiva possono rivelar-si niente affatto trascurabili.

    Questo spostamento rilevante anche in relazione ad altre questio-ni, legate alle prime, quali la scelta dei criteri per stabilire lesistenzadi stati di privazione o povert, ovvero, se considerare la povert in ter-mini di basso reddito (una carenza di risorse) oppure in termini di in-sufficiente libert di condurre esistenze adeguate (una carenza di capa-cit). Ad esempio, una persona che non sia particolarmente povera intermini di reddito, ma che debba spendere gran parte di questo redditoper la dialisi ai reni, pu venire considerata povera, proprio a causadella poca libert che ha di conseguire apprezzabili functionings. La ne-cessit di tener conto di differenze nella abilit di trasformare redditie beni primari in capacit e libert veramente centrale nello studiodei livelli di vita, in generale, e della povert in particolare.

    Queste differenze non riflettono sempre necessariamente caratteri-stiche personali immutabili, e talvolta sono correlate a condizioni socialiche lintervento pubblico in grado di modificare. In particolare, lostato della salute pubblica e dellambiente epidemiologico pu avere unaprofonda influenza sulla relazione tra reddito personale, da un lato, elibert di godere di buona salute e lunga vita, dallaltro. Alcuni dei paesipi ricchi sono estremamente carenti negli interventi pubblici in talsenso. Per esempio, le strutture sociali per lassistenza sanitaria negli

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    Stati Uniti sono pi deficitarie di quelle di altri paesi molto pi poveri,e questa carenza si ripercuote specialmente su particolari gruppi, qualii neri. Gli Stati Uniti possono anche essere il secondo paese del mondoin termini di prodotto nazionale lordo pro-capite, ma la speranza mediadi vita alla nascita della popolazione statunitense minore di quella diuna dozzina di altri paesi, e gli Stati Uniti dividono la tredicesima posi-zione con una mezza dozzina di altre nazioni (si veda la Tavola 1 delWorld Development Report 1989della Banca Mondiale).