Canto XXIII -  · Dante si trattiene a guardare l’albero rovesciato, ... cendo, attraverso il...

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467 Canto XXIII Sequenze narrative ® I GOLOSI Dante si trattiene a guardare l’albero rovesciato, ma Virgilio* lo sollecita a riprendere il cammino, perché il tempo loro concesso deve essere utilizzato in maniera più proficua. I tre poeti incontrano così una schiera di anime magrissime, che cantano un versetto del Miserere. Sono i golosi, sottoposti al tormento della fame e della sete, acuito dalla vista dei frutti e dell’acqua. ® INCONTRO CON FORESE DONATI Uno degli spiriti si rivolge a Dante con un’espressione di gioia e di meraviglia. Essendo irriconoscibile nell’aspetto, Dante capisce dalla voce che si tratta dell’amico Forese Dona- ti. Questi gli spiega che il dimagrimento delle anime è dovuto al continuo desiderio del- l’acqua del fonte e dei frutti dell’albero, che rimane però sempre inappagato. Sapendo che Forese* è morto da poco tempo e che si è pentito solo in fin di vita, Dante gli chiede per- ché egli si trovi già in questa cornice e non nell’Antipurgatorio. ® FORESE ESALTA SUA MOGLIE NELLA E CONDANNA LE DONNE FIORENTINE Forese gli spiega che il merito di ciò va attribuito alle preghiere di sua moglie Nella, che è rimasta ormai l’unica donna virtuosa in tutta Firenze. Egli prorompe quindi in un’aspra invettiva contro la corruzione e il malcostume delle donne fiorentine, che mostrano sfac- ciatamente con le poppe il petto. Presto tuttavia – profetizza Forese – l’ira divina si abbatterà su di loro. ® DANTE PARLA A FORESE DEL SUO VIAGGIO ULTRATERRENO Forese chiede quindi all’amico come abbia potuto visitare, pur essendo ancora vivo, il regno dei morti. Dante risponde che a salvarlo dalla vita peccaminosa in cui entrambi erano caduti è stato Virgilio, il quale, dopo averlo guidato nell’Inferno, lo sta ora condu- cendo, attraverso il Purgatorio, fino a Beatrice*. vv 115-133 vv 76-114 vv 37-75 vv 1-36 Posizione VI cornice Spiriti espianti Golosi Pena Soffrono fame e sete, ma non possono toccare i frutti degli alberi né bere. Ascoltano esempi di temperanza premiata e di golosità punita Contrappasso In vita furono dediti al vizio della gola, e ora, per contrasto, sono magrissimi, non potendo toccare il cibo che pure desiderano fortemente Dante incontra Insieme a Stazio*: Forese Donati* Purgatorio, XXIII, 19-21, miniatura ferrarese, 1474-1482, Ms. Urb. Lat. 365, f. 163 r. Roma, Biblioteca Vaticana.

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Canto XXIII

■ Sequenze narrative

® I GOLOSI

Dante si trattiene a guardare l’albero rovesciato, ma Virgilio* lo sollecita a riprendere ilcammino, perché il tempo loro concesso deve essere utilizzato in maniera più proficua. Itre poeti incontrano così una schiera di anime magrissime, che cantano un versetto delMiserere. Sono i golosi, sottoposti al tormento della fame e della sete, acuito dalla vista deifrutti e dell’acqua.

® INCONTRO CON FORESE DONATI

Uno degli spiriti si rivolge a Dante con un’espressione di gioia e di meraviglia. Essendoirriconoscibile nell’aspetto, Dante capisce dalla voce che si tratta dell’amico Forese Dona-ti. Questi gli spiega che il dimagrimento delle anime è dovuto al continuo desiderio del-l’acqua del fonte e dei frutti dell’albero, che rimane però sempre inappagato. Sapendo cheForese* è morto da poco tempo e che si è pentito solo in fin di vita, Dante gli chiede per-ché egli si trovi già in questa cornice e non nell’Antipurgatorio.

® FORESE ESALTA SUA MOGLIE NELLA E CONDANNA LE DONNE FIORENTINE

Forese gli spiega che il merito di ciò va attribuito alle preghiere di sua moglie Nella, cheè rimasta ormai l’unica donna virtuosa in tutta Firenze. Egli prorompe quindi in un’asprainvettiva contro la corruzione e il malcostume delle donne fiorentine, che mostrano sfac-ciatamente con le poppe il petto. Presto tuttavia – profetizza Forese – l’ira divina si abbatteràsu di loro.

® DANTE PARLA A FORESE DEL SUO VIAGGIO ULTRATERRENO

Forese chiede quindi all’amico come abbia potuto visitare, pur essendo ancora vivo, ilregno dei morti. Dante risponde che a salvarlo dalla vita peccaminosa in cui entrambierano caduti è stato Virgilio, il quale, dopo averlo guidato nell’Inferno, lo sta ora condu-cendo, attraverso il Purgatorio, fino a Beatrice*.

vv 115-133

vv 76-114

vv 37-75

vv 1-36

Posizione VI cornice

Spiriti espianti Golosi

Pena Soffrono fame e sete, ma non possono toccare i frutti deglialberi né bere. Ascoltano esempi di temperanza premiata e di golositàpunita

Contrappasso In vita furono dediti al vizio della gola, e ora, percontrasto, sono magrissimi, non potendo toccare il cibo che puredesiderano fortemente

Dante incontra Insieme a Stazio*: Forese Donati*

Purgatorio, XXIII, 19-21,miniaturaferrarese, 1474-1482, Ms. Urb. Lat. 365, f. 163 r. Roma, BibliotecaVaticana.

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■ Temi e motivi

Incontro con Forese, amico e poeta di DanteCome i due canti precedenti, collegati dalla figura di Stazio*, anche il XXIII e il XXIVcostituiscono una sostanziale unità narrativa, incentrata, pur nella diversità dei temi svilup-pati in ciascuno di essi, sulla descrizione della cornice* dei golosi e sull’incontro con l’a-mico di gioventù Forese Donati*, figlio di Simone (cfr. Inf. XXX, 31 ss.), fratello di Corso*(capo di parte Nera*) e di Piccarda* (che Dante incontrerà nel cielo della Luna; cfr. Par.III, 49), e lontano parente di Dante in quanto terzo cugino di Gemma, che diverrà mogliedel poeta. I due antichi compagni si tratterranno a parlare fin quasi al termine del cantosuccessivo (Purg. XXIV, 99). In questo primo «canto di Forese» il colloquio verte soprat-tutto sul tema del ricordo del passato, con quanto vi è in esso di positivo, come l’amiciziae gli affetti familiari, e di negativo, come la corruzione dei costumi, che sfocia nella con-danna delle sfacciate donne fiorentine (v. 101), espressione della decadenza morale di Firenze,che già preannuncia il tema politico del canto successivo culminante nella profezia, daparte di Forese, della morte violenta del fratello Corso, che di tale declino è uno dei diret-ti responsabili.

Il comune passatoLa maggior parte dei commentatori legge il canto alla luce della Tenzone* tra Dante eForese, uno scambio di tre sonetti ingiuriosi (Rime* LXXIII-LXXVIII) risalente agli annigiovanili (tra il 1293 e il 1296), nella quale i due antagonisti si insultavano apertamente esi scambiavano reciproche accuse inerenti la propria vita privata. In questa direzione, esoprattutto sulla base dei vv. 115-119 (Se tu riduci a mente/ qual fosti meco, e qual io teco fui,/ancor fia grave il memorar presente./ Di quella vita mi volse costui/ che mi va innanzi...), il cantopuò essere inteso come sconfessione di un periodo di «traviamento» morale rappresentatoletterariamente da quel genere poetico; e quel «traviamento», quella vita da cui lo trasse insalvo Virgilio* (vv. 118 ss.) viene quindi a coincidere con la selva oscura da cui prende lemosse il poema stesso e che sarà oggetto di accusa da parte di Beatrice*, che presto nel-l’Eden* rimprovererà Dante per aver distolto la mente da lei quando morì, per seguire l’il-lusoria e fallace attrazione dei beni terreni (Purg. XXX, 126-132). L’episodio può tuttaviaessere letto anche a prescindere dalla Tenzone, della cui autenticità non sono infatti tutticonvinti. G. Savarese propone di dare al verbo memorare non il valore di «ricordare», comeper lo più si intende, bensì quello, assai frequente in Virgilio, di «dire», «parlare», «racconta-re», qui usato in riferimento all’argomento trattato dai due amici: la Firenze corrotta, le sfac-ciate donne fiorentine, la punizione che il Cielo va preparando. In questo modo il senso nonsarebbe quello di una rievocazione di tempi ed esperienze verso cui provare rammarico overgogna, ma, al contrario, di aspetti luminosi e nostalgici di una comune giovinezza, deltempo dell’amore di Forese per Nella e di Dante per Beatrice.

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Canto XXIII Purgatorio

Mentre che li occhi per la fronda verdeficcava ïo sì come far suole

3 chi dietro a li uccellin sua vita perde,

lo più che padre mi dicea: «Figliuole,vienne oramai, ché ’l tempo che n’è imposto

6 più utilmente compartir si vuole».

Io volsi ’l viso, e ’l passo non men tosto,appresso i savi, che parlavan sìe,

9 che l’andar mi facean di nullo costo.

Ed ecco piangere e cantar s’udìe‘Labïa mëa, Domine’ per modo

12 tal, che diletto e doglia parturìe.

«O dolce padre, che è quel ch’i’ odo?»,comincia’ io; ed elli: «Ombre che vanno

15 forse di lor dover solvendo il nodo».

Sì come i peregrin pensosi fanno,giugnendo per cammin gente non nota,

18 che si volgono ad essa e non restanno,

così di retro a noi, più tosto mota,venendo e trapassando ci ammirava

21 d’anime turba tacita e devota.

Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,palida ne la faccia, e tanto scema

24 che da l’ossa la pelle s’informava.

Non credo che così a buccia stremaErisittone fosse fatto secco,

27 per digiunar, quando più n’ebbe tema.

Io dicea fra me stesso pensando: ‘Eccola gente che perdé Ierusalemme,

30 quando Maria nel figlio diè di becco!’.

Parean l’occhiaie anella sanza gemme:chi nel viso de li uomini legge ‘omo’

33 ben avria quivi conosciuta l’emme.

Chi crederebbe che l’odor d’un pomosì governasse, generando brama,

36 e quel d’un’acqua, non sappiendo como?

® I GOLOSIMentre io fissavo (li occhi... ficcava) le verdi fronde dell’albero,come è solito (suole) fare chi perde il proprio tempo (sua vita)dietro agli uccellini,

Virgilio, premuroso più che un padre, mi diceva: «Figliolo, oravieni via di lì (vienne), perché bisogna (si vuole) impiegare(compartir) in modo più utile il tempo che ci è stato assegna-to (imposto)».

Io rivolsi (volsi) lo sguardo (viso), e non meno in fretta (nonmen tosto) il passo, verso i due poeti (savi), i quali tenevanodiscorsi così (sìe) interessanti da rendermi (facean) il cammino(l’andar) per nulla faticoso (di nullo costo).

In quel momento (Ed ecco) si udì cantare piangendo il salmo‘Labïa mëa, Domine’ in modo tale da suscitare (parturìe) allostesso tempo gioia (diletto) e dolore (doglia).

Io allora chiesi a Virgilio (comincia’): «Dolce padre, che cosasignifica quello che sto udendo?»; ed egli mi rispose: «Forsesono anime che stanno sciogliendo (solvendo) il vincolo (nodo)del proprio debito (di lor dover) con Dio».

Così come fanno i pellegrini assorti nei loro pensieri (penso-si), quando raggiungono (giugnendo) per via (per cammin) per-sone sconosciute, e le guardano senza fermarsi (non restanno),

alla stessa maniera un gruppo (turba) di anime che veniva die-tro (di retro) di noi (venendo) ma più speditamente (più tostomota), nell’oltrepassarci (trapassando) ci osservava meravigliata(ci ammirava) silenziosa (tacita) e concentrata nella preghiera(devota).Ogni anima aveva gli occhi spenti (oscura) e incavati (cava), lafaccia pallida, e così magra (scema) che la pelle prendeva laforma (s’informava) delle ossa sottostanti.

Credo che neppure Erisittone fosse così scheletrito (fattosecco) fino alla sola pelle (a buccia strema) a causa del digiuno(per digiunar), quando più ne ebbe timore (tema).

Pensavo e dicevo tra me stesso: ‘Ecco come dovevano essereridotti gli Ebrei (la gente) che perdettero Gerusalemme, quan-do una donna di nome Maria giunse a divorare (dié di becco)il proprio figlioletto!’.

Le occhiaie parevano castoni di anelli senza gemme: chi leggenel volto umano la parola ‘omo’, su quei volti (quivi) avrebbemolto bene distinto (avria... conosciuta) la emme.

Chi, senza sapere (non sappiendo) come avvenga (como), potreb-be credere che il profumo di un frutto (pomo) e quello diun’acqua, provocando (generando) intenso desiderio di man-giare e di bere (brama), potessero ridurre in tale stato quelleanime (sì governasse)?

vv 1-36

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Canto XXIIIPurgatorio

Già era in ammirar che sì li affama,per la cagione ancor non manifesta

39 di lor magrezza e di lor trista squama,

ed ecco del profondo de la testavolse a me li occhi un’ombra e guardò fiso;

42 poi gridò forte: «Qual grazia m’è questa?».

Mai non l’avrei riconosciuto al viso;ma ne la voce sua mi fu palese

45 ciò che l’aspetto in sé avea conquiso.

Questa favilla tutta mi raccesemia conoscenza a la cangiata labbia,

48 e ravvisai la faccia di Forese.

«Deh, non contendere a l’asciutta scabbiache mi scolora», pregava, «la pelle,

51 né a difetto di carne ch’io abbia;

ma dimmi il ver di te, dì chi son quelledue anime che là ti fanno scorta;

54 non rimaner che tu non mi favelle!».

«La faccia tua, ch’io lagrimai già morta,mi dà di pianger mo non minor doglia»,

57 rispuos’io lui, «veggendola sì torta.

Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia;non mi far dir mentr’io mi maraviglio,

60 ché mal può dir chi è pien d’altra voglia».

Ed elli a me: «De l’etterno consigliocade vertù ne l’acqua e ne la pianta

63 rimasa dietro, ond’io sì m’assottiglio.

Tutta esta gente che piangendo cantaper seguitar la gola oltra misura,

66 in fame e ’n sete qui si rifà santa.

Di bere e di mangiar n’accende cural’odor ch’esce del pomo e de lo sprazzo

69 che si distende su per sua verdura.

E non pur una volta, questo spazzogirando, si rinfresca nostra pena:

72 io dico pena, e dovria dir sollazzo,

® INCONTRO CON FORESE DONATIStavo considerando stupito (in ammirar) che cosa le rendessetanto affamate, dato che ancora non mi era nota (manifesta) lacausa della loro magrezza e della loro pelle disidratata e squa-mosa (trista squama),quand’ecco che, dal profondo delle occhiaie scavate (delprofondo de la testa), un’ombra rivolse a me gli occhi e miguardò fissamente (fiso); poi gridò ad alta voce: «Che graziasingolare mi è concessa?».

Io non l’avrei mai riconosciuto solo a guardarlo (al viso); manella sua voce mi si rivelò (mi fu palese) la persona (ciò) che avevatrasfigurato (conquiso) in sé l’aspetto esteriore.

La voce fu la scintilla che ravvivò pienamente in me (tutta miraccese) la conoscenza di quel volto tanto mutato (cangiata lab-bia), e così potei riconoscere (ravvisai) la faccia di Forese.

Pregandomi mi diceva: «Non badare (non contendere) all’aridascabbia che annulla i miei lineamenti (mi scolora), né allamagrezza (difetto di carne) che mostro (ch’io abbia),

ma parlami piuttosto di te (dimmi il ver di te), e dimmi chi sonole due anime che ti accompagnano (fanno scorta): non restaresenza parlarmi (che tu non mi favelle)!».

Gli risposi: «Il tuo viso, che io già piansi (lagrimai) quandomoristi, mi causa ora (mo) un dolore (doglia) non meno inten-so, tale da farmi piangere, vedendolo (veggendola) così defor-mato (torta).

Perciò (Però) dimmi, per amore di Dio, che cosa vi consuma(sfoglia) a tal punto (sì): non farmi parlare di me finché (mentr’)sono in preda allo stupore (mi maraviglio), perché chi è domi-nato (pien) da un altro desiderio (voglia) può parlare con dif-ficoltà (mal)».Ed egli a me: «Dall’alto della divina volontà (De l’etterno con-siglio) scende nell’acqua e nella pianta rimasta dietro di noi unpotere (vertù) per il quale io (ond’io) dimagrisco (m’assottiglio)in questo modo.

Tutta questa gente che canta e piange per aver assecondato(per seguitar) la gola oltre il lecito (oltra misura), qui si purificasoffrendo la fame e la sete.

Ad accendere in noi il desiderio (cura) di bere e di mangiareè il profumo che emana dal frutto (pomo) di quell’albero edallo spruzzo d’acqua (sprazzo) che si spande (si distende) sullesue fronde verdi (verdura).

E non soltanto (pur) una volta, girando il ripiano di questogirone (spazzo), si rinnova (si rinfresca) la nostra pena: ho dettopena, ma (e) dovrei dire gioia (sollazzo),

vv 37-75

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Canto XXIII Purgatorio

ché quella voglia a li alberi ci menache menò Cristo lieto a dire ‘Elì’,

75 quando ne liberò con la sua vena».

E io a lui: «Forese, da quel dìnel qual mutasti mondo a miglior vita,

78 cinqu’anni non son vòlti infino a qui.

Se prima fu la possa in te finitadi peccar più, che sovvenisse l’ora

81 del buon dolor ch’a Dio ne rimarita,

come se’ tu qua sù venuto ancora?Io ti credea trovar là giù di sotto,

84 dove tempo per tempo si ristora».

Ond’elli a me: «Sì tosto m’ ha condottoa ber lo dolce assenzo d’i martìri

87 la Nella mia con suo pianger dirotto.

Con suoi prieghi devoti e con sospiritratto m’ ha de la costa ove s’aspetta,

90 e liberato m’ ha de li altri giri.

Tanto è a Dio più cara e più dilettala vedovella mia, che molto amai,

93 quanto in bene operare è più soletta;

ché la Barbagia di Sardigna assaine le femmine sue più è pudica

96 che la Barbagia dov’io la lasciai.

O dolce frate, che vuo’ tu ch’io dica?Tempo futuro m’è già nel cospetto,

99 cui non sarà quest’ora molto antica,

nel qual sarà in pergamo interdettoa le sfacciate donne fiorentine

102 l’andar mostrando con le poppe il petto.

Quai barbare fuor mai, quai saracine,cui bisognasse, per farle ir coperte,

105 o spiritali o altre discipline?

Ma se le svergognate fosser certedi quel che ’l ciel veloce loro ammanna,

108 già per urlare avrian le bocche aperte;

poiché ci conduce (mena) verso gli alberi quella stessa volontà(voglia) che condusse Cristo sulla croce a dire lietamente(lieto) ‘Dio mio’ (‘Elì’) quando ci liberò dal peccato col pro-prio sangue (vena)».

® FORESE ESALTA SUA MOGLIE NELLA E CON-DANNA LE DONNE FIORENTINEE io gli dissi: «Forese, dal giorno in cui sei passato a migliorvita ad oggi (infino a qui) non sono ancora trascorsi (vòlti) cin-que anni.Se in te venne meno la possibilità (possa) di peccare ancora (più)prima che giungesse in tuo aiuto (sovvenisse) l’ora del sinceropentimento (buon dolor) che ci riconcilia (rimarita) con Dio,

come puoi già essere giunto quassù? Io pensavo di trovartinell’Antipurgatorio (là giù di sotto), dove il tempo trascorsonel peccato si compensa (si ristora) con un equivalente tempodi attesa».

Perciò egli mi rispose: «Mi ha condotto così presto (Sì tosto)quassù a bere la dolce amarezza (assenzo) delle pene (martìri)mia moglie Nella col suo pianto dirotto.

Con le sue devote preghiere (prieghi) e con i suoi sospiri miha tratto dall’Antipurgatorio (de la costa ove s’aspetta), e mi haliberato dalla sosta (liberato m’ ha) negli altri gironi (giri).

La mia buona vedova (vedovella), che io ho amato intensa-mente, è tanto più cara e più diletta a Dio, quanto più è sola(soletta) nel fare il bene,

perché la Barbagia di Sardegna ha donne molto più pudichenel comportamento di quante non ne abbia la Barbagia diFirenze, dove io la lasciai morendo.

O amato (dolce) fratello, che altro vuoi che ti dica? Mi è giàdavanti alla mente (nel cospetto) un tempo futuro, rispetto a cuil’ora presente non è molto lontana (non sarà... molto antica),

in cui dal pulpito delle chiese (pergamo) verrà solennementeproibito (interdetto) alle sfacciate donne di Firenze di cammi-nare mostrando il petto con le mammelle (poppe) scoperte.

Quali donne barbare ci furono (fuor) mai, quali donne sarace-ne per cui si rendessero necessarie (cui bisognasse), per farleandare (ir) coperte, sanzioni (discipline) religiose (spiritali) ocivili (altre)?

Ma se quelle svergognate sapessero con certezza (fosser certe)quello che il Cielo a breve termine (veloce) prepara (amman-na) per loro, avrebbero (avrian) già la bocca spalancata perurlare di paura,

vv 76-114

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ché, se l’antiveder qui non m’inganna,prima fien triste che le guance impeli

111 colui che mo si consola con nanna.

Deh, frate, or fa che più non mi ti celi!vedi che non pur io, ma questa gente

114 tutta rimira là dove ’l sol veli».

Per ch’io a lui: «Se tu riduci a mentequal fosti meco, e qual io teco fui,

117 ancor fia grave il memorar presente.

Di quella vita mi volse costuiche mi va innanzi, l’altr’ier, quando tonda

120 vi si mostrò la suora di colui»,

e ’l sol mostrai; «costui per la profondanotte menato m’ha d’i veri morti

123 con questa vera carne che ’l seconda.

Indi m’ han tratto sù li suoi conforti,salendo e rigirando la montagna

126 che drizza voi che ’l mondo fece torti.

Tanto dice di farmi sua compagnache io sarò là dove fia Beatrice;

129 quivi convien che sanza lui rimagna.

Virgilio è questi che così mi dice»,e addita’lo; «e quest’altro è quell’ombra

132 per cuï scosse dianzi ogne pendice

lo vostro regno, che da sé lo sgombra».

perché, se la mia preveggenza (l’antiveder) qui non m’inganna,esse saranno infelici (triste) prima di quanto impieghi a met-tere la barba (impeli) sulle guance un bambino che ora (mo) siacquieta (si consola) al canto della ninna nanna.

Ma ora, fratello, cerca di (fa che) non nascondermi più ciò cheti ho chiesto! Vedi come non solo (non pur) io, ma tutti que-sti spiriti (gente) guardano stupiti (rimira) il punto in cui conla tua ombra (là dove) tu copri (veli) la luce del sole».

® DANTE PARLA A FORESE DEL SUO VIAGGIOULTRATERRENOPerciò io gli risposi: «Se richiami (riduci) alla memoria (amente) la vita che abbiamo condotto insieme (qual fosti meco, equal io teco fui), il ricordarla adesso (il memorar presente) sarà (fia)ancora spiacevole (grave).

Da quella vita viziosa mi distolse (mi volse) lo spirito (costui) chemi guida (mi va innanzi) appena l’altro giorno (l’altr’ier), quan-do a voi si mostrava piena la luna, sorella (suora) di quello»:

e gl’indicai il sole; «attraverso l’oscurità (notte) profonda del re-gno dei dannati (veri morti) costui ha guidato (menato) me conquesto corpo reale (vera carne) che lo accompagna (seconda).

Di lì (Indi) mi hanno sostenuto i suoi incoraggiamenti (confor-ti), aiutandomi a salire e a girare ripetutamente (rigirando)intorno a questo monte, che raddrizza voi che il mondoaveva reso storpi (fece torti).

Ed egli dice che mi accompagnerà (di farmi sua compagna) fin-ché (Tanto... che) non sarò giunto nel luogo in cui (là dove) visarà (fia) Beatrice: là (quivi) è necessario (convien) che io resti(rimagna) senza di lui.

Chi mi dice queste cose, è Virgilio» e glielo indicai (addita’lo)«e quest’altro è lo spirito (ombra: ossia Stazio) per il qualepoco fa (dianzi) fece tremare (scosse) tutte le sue pendici

la montagna del Purgatorio (vostro regno), che ormai lo allon-tana (sgombra) da sé».

vv 115-133

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