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91 Canto VII Sequenze narrative ® IL DEMONIO PLUTO Alla vista dei due poeti, il demonio Pluto prorompe in un grido rabbioso: «Pape Satàn, pape Satàn, aleppe!». Virgilio* esorta Dante a non lasciarsi sopraffare dalla paura, quindi zittisce Pluto con parole analoghe a quelle già usate con Caronte e Minosse; il maladetto lupo cade a terra fiaccato. ® GLI AVARI E I PRODIGHI I due possono così entrare nel quarto cerchio, dove sono puniti gli avari e i prodighi. Divi- si in due schiere opposte, essi spingono col petto enormi macigni; quando si incontrano, si insultano, poi riprendono l’eterno cammino in senso opposto. Nel giorno del Giudizio, i corpi degli avari risorgeranno col pugno chiuso (segno di avidità), quello dei prodighi col capo rasato (simbolo di spreco). ® LA TEORIA DELLA FORTUNA Avendo sentito nominare daVirgilio la Fortuna*, Dante ne approfitta per chiedere chi sia co- lei che tiene nelle sue mani i beni terreni.Virgilio spiega che, allo stesso modo in cui Dio ha affidato alle varie gerarchie angeliche il movimento dei cieli, così ha affidato a un’altra intelli- genza celeste, la Fortuna appunto, il compito di regolare il continuo mutamento dei beni de- gli uomini (ricchezza, gloria, onore, potenza) senza che questi possano in alcun modo inter- venire; per questo, benché molti uomini la maledicano, la Fortuna continua a svolgere il com- pito affidatole da Dio, incomprensibile alla mente umana. ® DISCESA AL QUINTO CERCHIO Dante eVirgilio attraversano il cerchio e giungono in quello successivo, il quinto, presso un ru- scello dalle acque torbide che scorre fino alla palude Stigia, dove sono immersi dei peccatori che si picchiano e si mordono ferocemente. Sono gli iracondi; sotto di loro, completamente immersi nel fango, vi sono gli accidiosi, che covarono l’ira dentro di sé e che ora, con i loro la- menti, fanno gorgogliare l’acqua in superficie. Camminando lungo la sponda dello Stige, i due poeti giungono infine ai piedi di una torre. vv 97-130 vv 67-96 vv 16-66 vv 1-15 Posizione IV e V cerchio (incontinenti) Peccatori Avari e prodighi; iracondi e accidiosi Pena Avari e prodighi: abbrutiti e irriconoscibili, girano in cerchio facendo rotolare col petto enormi macigni e, nell’incontrarsi, si insultano. Iracondi e accidiosi: immersi nello Stige, si percuotono a vicenda. Contrappasso Avari e prodighi: in vita si affannarono a inseguire i beni materiali e fallaci, e ora spingono senza scopo pesanti macigni Iracondi e accidiosi: continuano a sfogare la propria ira, palese e nascosta, nelle acque luride e melmose dello Stige Dante incontra Pluto (il demonio custode del cerchio) Inferno, VII, 25-27, miniatura ferrarese, 1474-1482, Ms. Urb. Lat. 365, f. 17 v. Roma, Biblioteca Vaticana.

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Canto VII

■ Sequenze narrative

® IL DEMONIO PLUTO

Alla vista dei due poeti, il demonio Pluto prorompe in un grido rabbioso: «Pape Satàn, papeSatàn, aleppe!». Virgilio* esorta Dante a non lasciarsi sopraffare dalla paura, quindi zittiscePluto con parole analoghe a quelle già usate con Caronte e Minosse; il maladetto lupo cadea terra fiaccato.

® GLI AVARI E I PRODIGHI

I due possono così entrare nel quarto cerchio, dove sono puniti gli avari e i prodighi. Divi-si in due schiere opposte, essi spingono col petto enormi macigni; quando si incontrano, siinsultano, poi riprendono l’eterno cammino in senso opposto. Nel giorno del Giudizio, icorpi degli avari risorgeranno col pugno chiuso (segno di avidità), quello dei prodighi colcapo rasato (simbolo di spreco).

® LA TEORIA DELLA FORTUNA

Avendo sentito nominare da Virgilio la Fortuna*, Dante ne approfitta per chiedere chi sia co-lei che tiene nelle sue mani i beni terreni. Virgilio spiega che, allo stesso modo in cui Dio haaffidato alle varie gerarchie angeliche il movimento dei cieli, così ha affidato a un’altra intelli-genza celeste, la Fortuna appunto, il compito di regolare il continuo mutamento dei beni de-gli uomini (ricchezza, gloria, onore, potenza) senza che questi possano in alcun modo inter-venire; per questo, benché molti uomini la maledicano, la Fortuna continua a svolgere il com-pito affidatole da Dio, incomprensibile alla mente umana.

® DISCESA AL QUINTO CERCHIO

Dante e Virgilio attraversano il cerchio e giungono in quello successivo, il quinto, presso un ru-scello dalle acque torbide che scorre fino alla palude Stigia, dove sono immersi dei peccatoriche si picchiano e si mordono ferocemente. Sono gli iracondi; sotto di loro, completamenteimmersi nel fango, vi sono gli accidiosi, che covarono l’ira dentro di sé e che ora, con i loro la-menti, fanno gorgogliare l’acqua in superficie. Camminando lungo la sponda dello Stige, i duepoeti giungono infine ai piedi di una torre.

vv 97-130

vv 67-96

vv 16-66

vv 1-15

Posizione IV e V cerchio (incontinenti)

Peccatori Avari e prodighi; iracondi e accidiosi

Pena Avari e prodighi: abbrutiti e irriconoscibili, girano in cerchiofacendo rotolare col petto enormi macigni e, nell’incontrarsi, si insultano.

Iracondi e accidiosi: immersi nello Stige, si percuotono a vicenda.

Contrappasso Avari e prodighi: in vita si affannarono a inseguire i benimateriali e fallaci, e ora spingono senza scopo pesanti macigni

Iracondi e accidiosi: continuano a sfogare la propria ira, palese enascosta, nelle acque luride e melmose dello Stige

Dante incontra Pluto (il demonio custode del cerchio)

Inferno, VII, 25-27,miniaturaferrarese, 1474-1482, Ms. Urb. Lat. 365,f. 17 v. Roma, BibliotecaVaticana.

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■ Temi e motivi

La svolta narrativaCorrelato al canto precedente (tramite il riferimento a Pluto: Inf.VI, 115 e VII, 2) e al suc-cessivo (attraverso torre: VII, 130 e VIII, 2), il canto VII segna nel poema una svolta sul pianodella struttura compositiva. Anticipando infatti nella parte finale il passaggio al cerchio suc-cessivo e la visione complessiva del paesaggio (la palude Stigia*) e dei suoi abitanti (iracon-di e accidiosi), Dante si svincola dalla fissità dello schema finora adottato, che prevedeva lacoincidenza tra canto e ambiente descritto, e inaugura una partizione strutturale più mossae variata. Il canto è scandito in tre momenti (la pena di avari e prodighi, digressione sullaFortuna*, la palude Stigia), a ciascuno dei quali è associato un diverso tipo di linguaggio, atestimonianza della pluralità stilistica peculiare della "comedìa": quello realistico in relazio-ne ai peccatori, caratterizzato dalla frequenza di rime aspre (-ozza, -ézzo, -acca, -iddi, -oppa, -urli...); quello "dottrinale" (raro nella prima cantica) utilizzato per trattare il tema della For-tuna; infine un linguaggio di tono medio che sfocia tuttavia nella ripresa di rime aspre, attea rendere le parole confuse che gli accidiosi, sommersi nel fango, si gorgoglian ne la strozza,con le quali il canto si chiude, in perfetta simmetria con l’iniziale, inumana, voce di Pluto(Pape Satàn, pape Satàn aleppe!).

La FortunaAl centro del canto è posta la digressione sulla Fortuna*: tema per altro collegato alla que-stione della distribuzione dei beni terreni e pertanto strettamente connesso ai peccati puni-ti in questo cerchio. Il mondo antico la rappresentava come una dea bendata o cieca, chedistribuisce i suoi beni senza fare distinzione di merito tra i mortali; proprio per questoessa era reputata instabile e capricciosa, amica degli immeritevoli. Questa idea non potevaessere accolta dal Cristianesimo, che considerò invece la Fortuna uno strumento dellaProvvidenza, delegata a distribuire tra gli uomini e le nazioni i beni terreni e di trasferirliperiodicamente in base agli imperscrutabili decreti divini. Dante, in maniera originale, fadella Fortuna una intelligenza celeste, ministra del volere divino al pari degli angeli*, le cuiazioni, anche se incomprensibili per l’uomo, sono comunque rivolte a suo vantaggio, dalmomento che molto spesso è proprio la mancanza di beni materiali a rivelarsi per l’uomoil vero bene.

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Canto VII Inferno

«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!», cominciò Pluto con la voce chioccia;

3 e quel savio gentil, che tutto seppe,

disse per confortarmi: «Non ti nocciala tua paura; ché, poder ch’elli abbia,

6 non ci torrà lo scender questa roccia».

Poi si rivolse a quella ’nfiata labbia, e disse: «Taci, maladetto lupo!

9 consuma dentro te con la tua rabbia.

Non è sanza cagion l’andare al cupo: vuolsi ne l’alto, là dove Michele

12 fé la vendetta del superbo strupo».

Quali dal vento le gonfiate vele caggiono avvolte, poi che l’alber fiacca,

15 tal cadde a terra la fiera crudele.

Così scendemmo ne la quarta lacca, pigliando più de la dolente ripa

18 che ’l mal de l’universo tutto insacca.

Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa nove travaglie e pene quant’io viddi?

21 e perché nostra colpa sì ne scipa?

Come fa l’onda là sovra Cariddi, che si frange con quella in cui s’intoppa,

24 così convien che qui la gente riddi.

Qui vid’i’ gente più ch’altrove troppa, e d’una parte e d’altra, con grand’urli,

27 voltando pesi per forza di poppa.

Percotëansi ’ncontro; e poscia pur lì si rivolgea ciascun, voltando a retro,

30 gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?».

Così tornavan per lo cerchio tetro da ogne mano a l’opposito punto,

33 gridandosi anche loro ontoso metro;

poi si volgea ciascun, quand’era giunto, per lo suo mezzo cerchio a l’altra giostra.

36 E io, ch’avea lo cor quasi compunto,

® IL DEMONIO PLUTO«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!», cominciò a dire Pluto con lavoce aspra e roca (chioccia); e Virgilio (quel savio gentil), che necomprese il significato (che tutto seppe),

disse per confortarmi: «Non ti rechi danno (Non ti noccia) latua paura; poiché, per quanto potere abbia costui (poder ch’el-li abbia), non ci impedirà (non ci torrà) di scendere per questobalzo roccioso (roccia)».

Poi si rivolse a quella figura gonfia di rabbia (’nfiata labbia), edisse: «Taci, maledetto lupo! Sfoga (consuma) in te stesso la tuarabbia.

Il fatto che noi andiamo (l’andare) nella profondità infernale (alcupo) non è senza giustificazione (cagion); ciò è voluto (vuolsi) dalCielo (ne l’alto), là dove l’arcangelo Michele punì giustamente(fé la vendetta) la superba violenza (strupo: la ribellione degliangeli)Come le vele, gonfiate dal vento, cadono (caggiono) ravvolte,quando l’albero si spezza (fiacca), così (tal) cadde a terra (fiac-cato dalla risposta di Virgilio) il demone (fiera) crudele.

® GLI AVARI E I PRODIGHICosì discendemmo al quarto cerchio (lacca), percorrendo (pi-gliando) un tratto in più (più) del pendio infernale (dolente ripa)che racchiude (insacca) tutto il male dell’universo.

Ahi giustizia divina! Chi, come te, ammassa (stipa) tante di-verse e strane (nove) pene fisiche e morali (travaglie e pene)quante io ne vidi (viddi)? e perché la nostra colpa tanto cistrazia (ne scipa)?

Come fanno le acque (l’onda: il mar Ionio) sopra il vortice diCariddi (nello stretto di Messina), che si infrangono urtando-si (s’intoppa) con quelle del Tirreno, allo stesso modo è quinecessario che i dannati (gente) ballino la ridda (riddi).

Qui io vidi dannati più numerosi (troppa) che negli altri cer-chi (più ch’altrove), che spingevano (voltando) col petto (per for-za di poppa) pesanti macigni (pesi), da una parte (gli avari) edall’altra (i prodighi), con alte urla.

Si scontravano (Percotëansi) gli uni contro gli altri (’ncontro); equindi, proprio in quel punto (pur lì), ciascuno invertiva la dire-zione (si rivolgea), spingendo indietro anche i macigni (voltandoa retro), gridando: «Perché trattieni (il denaro)?» e «Perché sper-peri (burli)?»Così giravano (tornavan) per l’oscuro (tetro) cerchio da ciascu-na parte (mano) verso l’estremità opposta (l’opposito punto),gridandosi ancora (anche) il loro ingiurioso (ontoso) ritornello(metro);

poi ciascuno, una volta giunto, si voltava (si volgea) nel suo se-micerchio dirigendosi verso il punto dello scontro successivo(a l’altra giostra). Ed io, col cuore quasi turbato (compunto),

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dissi: «Maestro mio, or mi dimostra che gente è questa, e se tutti fuor cherci

39 questi chercuti a la sinistra nostra».

Ed elli a me: «Tutti quanti fuor guerci sì de la mente in la vita primaia,

42 che con misura nullo spendio ferci.

Assai la voce lor chiaro l’abbaia, quando vegnono a’ due punti del cerchio

45 dove colpa contraria li dispaia.

Questi fuor cherci, che non han coperchio piloso al capo, e papi e cardinali,

48 in cui usa avarizia il suo soperchio».

E io: «Maestro, tra questi cotali dovre’ io ben riconoscere alcuni

51 che furo immondi di cotesti mali».

Ed elli a me: «Vano pensiero aduni: la sconoscente vita che i fé sozzi,

54 ad ogne conoscenza or li fa bruni.

In etterno verranno a li due cozzi: questi resurgeranno del sepulcro

57 col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.

Mal dare e mal tener lo mondo pulcro ha tolto loro, e posti a questa zuffa:

60 qual ella sia, parole non ci appulcro.

Or puoi, figliuol, veder la corta buffa d’i ben che son commessi a la fortuna,

63 per che l’umana gente si rabuffa;

ché tutto l’oro ch’è sotto la luna e che già fu, di quest’anime stanche

66 non poterebbe farne posare una».

«Maestro mio», diss’io, «or mi dì anche: questa fortuna di che tu mi tocche,

69 che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?».

E quelli a me: «Oh creature sciocche, quanta ignoranza è quella che v’offende!

72 Or vo’ che tu mia sentenza ne ’mbocche.

dissi: «Maestro, spiegami ora (or mi dimostra) che tipo di pec-catori sono questi, e se questi tonsurati (chercuti) alla nostra si-nistra furono (fuor) tutti ecclesiastici (cherci)».

Ed egli: «Quando erano vivi (in la vita primaia) furono tutticosì ciechi (guerci) di mente che non fecero (ferci) nessuna(nullo) spesa (spendio) con misura.

Il loro grido ingiurioso (voce) lo dichiara (l’abbaia) chiara-mente, quando giungono nei due punti del cerchio in cui lacolpa opposta (contraria) li costringe a separarsi (li dispaia).

Questi, che non hanno capelli sulla sommità del capo (coper-chio/ piloso al capo), furono ecclesiastici (cherci), anche (e) papie cardinali, in cui l’avarizia esercita (usa) il proprio eccesso (so-perchio)».

E io: «Maestro, tra costoro (questi cotali) io dovrei certo (ben)riconoscere alcuni che furono macchiati (immondi) da questecolpe (mali)».

Ed egli: «Tu coltivi (aduni) un pensiero illusorio (Vano): la vitadissennata (sconoscente) che li (i) rese (fé) colpevoli (sozzi), orali rende (fa) irriconoscibili (ad ogne conoscenza or li fa bruni).

Andranno in eterno verso i due punti di incontro (a li duecozzi): gli uni (questi: gli avari) sorgeranno dal sepolcro col pu-gno chiuso, gli altri (e questi: i prodighi) coi capelli (crin) rasa-ti (mozzi).

La prodigalità (Mal dare) e l’avarizia (mal tenere) hanno lorotolto il paradiso (mondo pulcro) e li ha destinati (posti) a questarissa (zuffa): (a descrivere) quale essa sia non aggiungo altrebelle parole (non ci appulcro).

Ora, figliolo, puoi vedere l’instabilità (corta buffa = breve sof-fio) dei beni che sono affidati (commessi) alla fortuna, per iquali gli uomini si azzuffano (si rabuffa);

poiché tutto l’oro che c’è e fu sulla terra (sotto la luna) nonpotrebbe far cessare un attimo la pena (posare) di una sola(una) di queste anime fiaccate (stanche)».

® LA TEORIA DELLA FORTUNAIo dissi: «Maestro, dimmi ancora (anche): che cos’è questa for-tuna di cui tu mi parli (tocche), che tiene (ha) così strettamen-te (sì) tra gli artigli (branche) i beni del mondo?».

Ed egli a me: «Oh creature sciocche, quanta è l’ignoranza chevi danneggia (v’offende)! Ora voglio (vo’) che tu senta (‘mbocche)la mia opinione (sentenza) intorno a ciò.

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Colui lo cui saver tutto trascende, fece li cieli e diè lor chi conduce

75 sì ch’ogne parte ad ogne parte splende,

distribuendo igualmente la luce. Similemente a li splendor mondani

78 ordinò general ministra e duce

che permutasse a tempo li ben vani di gente in gente e d’uno in altro sangue,

81 oltre la difension d’i senni umani;

per ch’una gente impera e l’altra langue, seguendo lo giudicio di costei,

84 che è occulto come in erba l’angue.

Vostro saver non ha contasto a lei: questa provede, giudica, e persegue

87 suo regno come il loro li altri dèi.

Le sue permutazion non hanno triegue: necessità la fa esser veloce;

90 sì spesso vien chi vicenda consegue.

Quest’è colei ch’è tanto posta in croce pur da color che le dovrien dar lode,

93 dandole biasmo a torto e mala voce;

ma ella s’è beata e ciò non ode: con l’altre prime creature lieta

96 volve sua spera e beata si gode.

Or discendiamo omai a maggior pieta; già ogne stella cade che saliva

99 quand’io mi mossi, e ’l troppo star si vieta».

Noi ricidemmo il cerchio a l’altra riva sovr’una fonte che bolle e riversa

102 per un fossato che da lei deriva.

L’acqua era buia assai più che persa; e noi, in compagnia de l’onde bige,

105 intrammo giù per una via diversa.

In la palude va c’ha nome Stige questo tristo ruscel, quand’è disceso

108 al piè de le maligne piagge grige.

Dio (Colui), la cui sapienza (saver) supera (trascende) ogni co-sa, creò i cieli e prepose (diè) loro le intelligenze motrici (chiconduce), cosicché ognuna di esse (ogne parte) riflette la proprialuce intellettuale (splende) su ogni cielo (ad ogne parte),

distribuendo uniformemente (igualmente) la luce divina. Allostesso modo istituì (ordinò) una forza celeste generale (la for-tuna) che distribuisse (ministra) e mettesse in movimento (du-ce) i beni (splendor) mondani,

che al momento opportuno (a tempo) cambiasse (permutasse) lericchezze (ben vani) di popolo (gente) in popolo e di stirpe (san-gue) in stirpe, al di là di ogni resistenza (difension) dell’umanaragione (senni umani);

in modo che, seguendo il volere (giudicio) della fortuna (costei),che è nascosto (occulto) come la serpe (l’angue) nell’erba, unpopolo regna e l’altro soggiace (langue).

La vostra intelligenza (saver) non può contrastare (non ha con-tasto) con lei: essa provvede, giudica e attua (persegue) i suoidecreti (suo regno) come le intelligenze angeliche (li altri dèi) iloro.

I suoi mutamenti (permutazion) sono continui (non hanno trie-gue): la necessità (di seguire la volontà divina) la fa essere ra-pida; così spesso accade (vien) che qualcuno (chi) muti condi-zione (vicenda consegue).

Essa è tanto ingiuriata (posta in croce) anche (pur) da coloro chela dovrebbero (dovrien) lodare, mentre invece le danno a tor-to biasimo e cattiva fama (mala voce);

ma essa se ne sta beata e non ode tutto ciò: lieta con le altreintelligenze celesti (prime creature), gira (volve) la sua ruota (spe-ra) e gode beatamente.

® DISCESA AL QUINTO CERCHIOMa ora discendiamo ormai verso una angoscia (pieta) mag-giore; già le stelle che salivano quando io mi mossi stanno tra-montando (cade), ed è proibito (si vieta) sostare (star) troppo».

Noi attraversammo (ricidemmo) il cerchio fino all’orlo (riva)opposto, presso una fonte che gorgoglia (bolle) e si rovescia (ri-versa) in un canale (fossato) che nasce (deriva) da quella.

L’acqua era molto più scura (buia) del color perso; e noi, insie-me alle onde torbide (bige), scendemmo per un cammino ma-lagevole (via diversa).

Questo misero (tristo) corso d’acqua (ruscel), dopo essere sce-so alla base (al piè) dei tetri scoscendimenti della ripa (malignepiagge grige), si getta (va) nella palude che ha nome Stige.

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E io, che di mirare stava inteso, vidi genti fangose in quel pantano,

111 ignude tutte, con sembiante offeso.

Queste si percotean non pur con mano, ma con la testa e col petto e coi piedi,

114 troncandosi co’ denti a brano a brano.

Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi l’anime di color cui vinse l’ira;

117 e anche vo’ che tu per certo credi

che sotto l’acqua è gente che sospira, e fanno pullular quest’acqua al summo,

120 come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira.

Fitti nel limo, dicon: “Tristi fummo ne l’aere dolce che dal sol s’allegra,

123 portando dentro accidïoso fummo:

or ci attristiam ne la belletta negra”. Quest’inno si gorgoglian ne la strozza,

126 ché dir nol posson con parola integra».

Così girammo de la lorda pozza grand’arco, tra la ripa secca e ’l mézzo,

129 con li occhi vòlti a chi del fango ingozza.

Venimmo al piè d’una torre al da sezzo.

E io, che ero tutto intento (inteso) a guardare (mirare), vidi inquella palude (pantano) dei peccatori (gli iracondi) coperti difango (genti fangose), tutti nudi, dall’aspetto (sembiante) irato(offeso).

Essi si percuotevano non solo (non pur) con le mani, ma an-che con la testa, col petto e coi piedi, dilaniandosi (troncando-si) brano a brano coi denti.

Virgilio disse: «Figlio, stai ora vedendo le anime di coloro chefurono afflitti dall’ira (cui l’ira vinse); e voglio (vo’) inoltre (an-che) che tu sappia (per certo credi)

che sott’acqua vi è gente che sospira, facendo gorgogliare(pullular) la superficie (summo) dell’acqua, come ti rivela (dice)lo sguardo, dovunque (u’) si rivolga (s’aggira).

Conficcati (Fitti) nel fango (limo) dicono: “Sulla terra (nel’aere dolce che dal sol s’allegra) fummo tristi, portando dentrodi noi il fumo dell’accidia (accidïoso fummo);

ora ci rattristiamo nella nera fanghiglia (belletta)’. Pronuncia-no (si gorgoglian) queste parole (inno) nella gola (strozza), poi-ché non possono (avendo la bocca piena di fango) dirle chia-ramente (con parola integra)».

Così percorremmo (girammo) un grande arco della paludefangosa (lorda pozza), tra la riva asciutta (ripa secca) e il panta-no (’l mézzo), con lo sguardo rivolto ai dannati (a chi del fan-go ingozza).

Giungemmo infine (al da sezzo) ai piedi di una torre.

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