Storia Del Diritto Romano AA. VV.

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www.giuristifedericiani.org 1 Storia del Diritto Romano- Prof. De Giovanni – AA.VV. La tradizione romanistica 1. Il significato di un’espressione. Con tradizione romanistica si intende tutta la forma mentis romana su cui si basa la scienza giuridica moderna: idee, schemi, nozioni provenienti da quella tradizione. Essa si riferisce  principalmente alla materia privatis tica, ma non mancano riferimenti anche nella sfera pubblicistica . 2. Il diritto romano comune. La tradizione giustinianea è stata interrotta nei cd secoli bui, cioè nel periodo medioevale in cui sono subentrati usi e costumi longobardi. Ma la tradizione giuridica è sopravvissuta a quegli anni, riprendendo vigore alla nuova fondazione dell’impero romano, nell’800, quando fu incoronato come ‘ imperatore dei Romani ’ Carlo Magno. In seguito ebbe inizio il ‘ Rinascimento giuridico ‘, quando a Bologna il retore Irnerio cominciò a insegnare il digesto ai suoi discepoli; dalla sua scuola prendono i natali Iacopo, Ugo, Bulgaro, Martino, Alberico, Rogerio, Piacentino, Azone e Accursio. Questi giuristi vengono ricordati come i  glossatori: la loro attività si concretizzò nel commento ai testi giuridici nella forma delle  glosse, semplici commenti fatti al bordo dei testi. Per quanto riguarda l’interpretazione, i glossatori stabilirono che si dovesse partire dal verbum, cioè dall’interpretazione letterale, che poi doveva essere estesa o ristretta, e poteva essere applicata per analogia ai casi simili. Il loro lavorio non era però teso a ricostruire la tradizione romanistica, bensì a costruire un diritto in grado di superare i particolarismi di età feudale e dare una certezza giuridica ai comuni, in vista delle crociate. All’inizio del tredicesimo secolo l’attività dei glossatori si esaurì per lasciare il posto ai commentatori( Bartolo da Sassoferrato e Baldo degli Ubaldi), con stile e metodi completamente diversi, ma che ebbero la loro stessa finalità pratica. Il loro metodo consiste in :  Praemitto, scindo, summo, casumque figuro,  per lego, do causas, connoto et obiicio. Essi inquadravano la fonte (praemitto), dividevano il testo per analizzare una parte alla volta(scindo), quindi le riunivano(summo); si porta poi la casistica per calare la norma nel contesto  pratico (casum figuro), si rilegge(per lego), si danno le ragioni dell’adozione. Infine si trova il  principio base del passo (connoto) e infine si discutono le tesi contrarie( obiici o). Il carattere che distingue i commentatori dai glossatori è il fatto che se questi erano legatissimi al testo, invece i commentatori ne prescindevano molto di più. Il mos italicus si propagò per tutta Europa, anche grazie agli studenti stranieri che vennero a formare la loro cultura nelle università italiane. Grazie all’opera soprattutto dei commentatori, il diritto giustinianea si affermò come diritto giurisprudenziale in tutti i paesi: in particolare in Francia esso fu denominato mos  gallicus e si deve soprattutto all’opera di Andrea Alciato nell’università di Bourges. 3. Tradizione romanistica e codificazioni nazionali. Il ius commune divenne inadeguato solo nel momento dell’affermarsi delle identità nazionali, che non ammettevano nessun tipo di vincolo sovrannazionale. In questo panorama si giunse alla codificazione in molti paesi d’Europa, per rispondere all’esigenza di certezza che si andava delineando. Inizialmente si trattò solo di riordinare le fonti già esistenti, di cui si riconfermava la validità. Il primo codice di diritto moderno fu il Code Napoleon del 1804, che si d iscostò dal mo s italicus,  per tendere per un tipo di compilazione più giurisprudenziale e pragmaticamente forense. Si voleva costruire il diritto more geometrico, cioè alla stregua delle scienze esatte; da questa razionalizzazione fu lasciato fuori il diritto pubblico, perché considerato arbitrario e mutevole.

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Storia del Diritto Romano- Prof. De Giovanni – AA.VV.

La tradizione romanistica

1. Il significato di un’espressione.

Con tradizione romanistica si intende tutta la forma mentis romana su cui si basa la scienzagiuridica moderna: idee, schemi, nozioni provenienti da quella tradizione. Essa si riferisce

 principalmente alla materia privatistica, ma non mancano riferimenti anche nella sfera pubblicistica.

2. Il diritto romano comune.

La tradizione giustinianea è stata interrotta nei cd secoli bui, cioè nel periodo medioevale in cui

sono subentrati usi e costumi longobardi. Ma la tradizione giuridica è sopravvissuta a quegli anni,

riprendendo vigore alla nuova fondazione dell’impero romano, nell’800, quando fu incoronato

come ‘ imperatore dei Romani ’ Carlo Magno.

In seguito ebbe inizio il ‘ Rinascimento giuridico ‘, quando a Bologna il retore Irnerio cominciò a

insegnare il digesto ai suoi discepoli; dalla sua scuola prendono i natali Iacopo, Ugo, Bulgaro,

Martino, Alberico, Rogerio, Piacentino, Azone e  Accursio. Questi giuristi vengono ricordati

come i  glossatori: la loro attività si concretizzò nel commento ai testi giuridici nella forma delle

 glosse, semplici commenti fatti al bordo dei testi. Per quanto riguarda l’interpretazione, i glossatori

stabilirono che si dovesse partire dal verbum, cioè dall’interpretazione letterale, che poi doveva

essere estesa o ristretta, e poteva essere applicata per analogia ai casi simili.

Il loro lavorio non era però teso a ricostruire la tradizione romanistica, bensì a costruire un diritto in

grado di superare i particolarismi di età feudale e dare una certezza giuridica ai comuni, in vista

delle crociate.

All’inizio del tredicesimo secolo l’attività dei glossatori si esaurì per lasciare il posto ai

commentatori( Bartolo da Sassoferrato e Baldo degli Ubaldi), con stile e metodi completamente

diversi, ma che ebbero la loro stessa finalità pratica. Il loro metodo consiste in : Praemitto, scindo, summo, casumque figuro,

 per lego, do causas, connoto et obiicio.

Essi inquadravano la fonte (praemitto), dividevano il testo per analizzare una parte alla

volta(scindo), quindi le riunivano(summo); si porta poi la casistica per calare la norma nel contesto

 pratico (casum figuro), si rilegge(per lego), si danno le ragioni dell’adozione. Infine si trova il

 principio base del passo (connoto) e infine si discutono le tesi contrarie( obiicio).

Il carattere che distingue i commentatori dai glossatori è il fatto che se questi erano legatissimi al

testo, invece i commentatori ne prescindevano molto di più.

Il mos italicus  si propagò per tutta Europa, anche grazie agli studenti stranieri che vennero a

formare la loro cultura nelle università italiane. Grazie all’opera soprattutto dei commentatori, il

diritto giustinianea si affermò come diritto giurisprudenziale in tutti i paesi: in particolare in Franciaesso fu denominato mos  gallicus e si deve soprattutto all’opera di Andrea Alciato nell’università di

Bourges.

3. Tradizione romanistica e codificazioni nazionali.

Il ius commune divenne inadeguato solo nel momento dell’affermarsi delle identità nazionali, che

non ammettevano nessun tipo di vincolo sovrannazionale. In questo panorama si giunse alla

codificazione in molti paesi d’Europa, per rispondere all’esigenza di certezza che si andava

delineando. Inizialmente si trattò solo di riordinare le fonti già esistenti, di cui si riconfermava la

validità.

Il primo codice di diritto moderno fu il Code Napoleon  del 1804, che si discostò dal mos italicus,

 per tendere per un tipo di compilazione più giurisprudenziale e pragmaticamente forense.Si voleva costruire il diritto more geometrico, cioè alla stregua delle scienze esatte; da questa

razionalizzazione fu lasciato fuori il diritto pubblico, perché considerato arbitrario e mutevole.

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La ricerca del diritto fu continuata da Pothier e poi dal tedesco Savigny, che considerò il diritto

come immanente nella coscienza comune del popolo: in ogni comportamento, guardando alla sua

essenza, si poteva trovare una regola di diritto. La teoria di Savigny fu sviluppata e ampliata dai

suoi allievi, fra cui principalmente Puchta.

4. Tradizione romanistica e diritto pubblico.Abbiamo detto che il ruolo del diritto pubblico è molto limitato rispetto alla sfera privatistica: esso

 però fu rivalutato soprattutto dall’opera di Teodoro Mommsen, che ricostruì il diritto pubblico

romano.

Capitolo 1: L’età delle origini

Forme costituzionali

1) La nascita di Roma

Le leggende sulla nascita di Roma non possono essere considerate sconclusionate, ma devono

essere esaminate con fiducia e attenzione.  Data della fondazione: circa 750 a.C., anche se il

 periodo protourbano , cioè di formazione di un nucleo ancora embrionale, si fanno risalire agli

anni trenta del settimo secolo.

Il passaggio al vero nucleo cittadino si fa risalire alla coincidenza della dimensione cittadina con

quella politica. La storiografia attribuisce la nascita di Roma alla struttura della famiglia e in

 particolare delle famiglie allargate che venivano chiamate gentes, da cui poi emergevano capi-

eroi.E’ ad uno di questi, Romolo, che viene attribuita la fondazione della città fra il Tevere e i sette

colli.

2) La città e i re

La formazione dei primi spazi pubblici nella città è sicuramente di natura religiosa, e le prime

relazioni si stabiliscono come relazioni fra i vari clan esistenti. Da questa realtà nasce la più

remota struttura di potere, la chiave di sviluppo che è il meccanismo re-sacerdote: il profilo dei

 primi re (quattro di origine latina e sabina- Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco

Marcio) rispecchia questo tipo di configurazione.

Oltre a ciò, nascono ad opera dello stesso Romolo, una serie di legami fra le gentes: prima un

collegio di notabili costituito dai patres delle gentes più importanti, embrione del futuro senato; poi la presenza di tre tribus (i Ramnes, I Tities e i Luceres ) che dividevano i cittadini maschi:

ogni tribù era poi divisa i 10 curie e la loro convocazione dava vita ad un comizio curiato.

3) La monarchia etrusca nella tradizione romana

Sicuramente gli ultimi due re, Tarquinio Prisco  e Tarquinio il  Superbo  furono di origine

etrusca, mentre dubbi rimangono su Servio Tullio, che regno nell’intervallo fra i due: la

connotazione di monarchia etrusca si lega però soprattutto ai grossi mutamenti istituzionali

verificatisi.

 Nel panorama di grossi scambi commerciali fra Roma e l’Etruria, molti etruschi pensarono di

trasferirsi nella città che veniva considerata di grande virtù: lo stesso Tarquinio Prisco si trasferì

a Roma e fece una serie di opere, fra cui la pavimentazione del foro, che favorirono lo sviluppoagricolo, commerciale e istituzionale della città.

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4) La riforma Serviana

Tarquinio Prisco aumentò il numero dei senatori, così da creare un gruppo favorevole al nuovo

monarca. Nella monarchia etrusca fu abolito l’istituto dell’interregnum e con esso il controllo

gentilizio sul monarca: questo spiega l’ostilità dell’aristocrazia gentilizia alle riforme attuate.

La tradizione ascrive a Servio Tullio la riforma dell’ordinamento tributo e centuriato,

attribuendogli il cambiamento dell’unità valutativa della ricchezza dalla c.d. centuria allamoneta di bronzo coniato.

Indubbiamente l’ordinamento centuriato era un’organizzazione prettamente militare: luogo della

riunione era il Campo di Marte , fuori dal pomerio cittadino, dove non era consentito l’ imperare 

cioè il comando militare, e durante la riunione un contingente armato sostava sul Granicolo.

E’ evidente che l’ordinamento centuriato abbia imitato un esercito politico, e ciò risulta anche

dalle armature e dalla struttura. Servio Tullio divise anche la popolazione in ulteriori tribù

urbane e rustiche che fungevano da distretti di leva, nei quali l’arruolamento avveniva

ovviamente per censo (questa organizzazione fu innovativa perché prescindeva

dall’appartenenza ad una gens.)

5) Verso la repubblicaIn questo contesto è ovvio che anche il potere centrale va modificandosi, e così può ascriversi

agli etruschi il concetto di imperium.

La tradizione riferisce che sia stato il patriziato a scacciare Tarquinio il superbo per aver

governato contro il popolo e il senato: d’altronde la continuità fra questa monarchia e la res

 publica romanorum è innegabile.

La produzione del diritto

1) Il primo ius. 

Come fonti del primo ius  un romano avrebbe potuto con sicurezza indicare due fonti: i collegi

 pontificali e le leggi delle XII tavole. Mentre per le leggi delle XII tavole si tratta di una

legislazione relativamente più recente, possiamo essere sicuri che il nucleo essenziale e più antico si

raccogliesse comunque intorno al collegio dei pontefici. Questo testimonia una connessione sempre

esistita tra religione e diritto, connessione che ha resistito a numerosi cambiamenti.

Come si fosse formato questo nucleo originale non lo sappiamo, probabilmente per stratificazione

di una rappresentazione ritualistica che più che avere, come in Grecia, una base mitologica, aveva

una base prettamente magico-animistica. Le regole derivanti da questa dimensione erano rigide e

allo stesso modo rigidamente rispettate, cosa che dava fiducia ed equilibrio a tutta la comunità:

sappiamo infatti che Roma nel periodo arcaico si trovava come città straniera in mezzo alla civiltà

italica. Già nell’età imperiale l’obbedienza a questi precetti aveva assunto una connotazione

automatica e non implicava più una partecipazione emotiva. Si formarono così dei rituali che i patres rispettavano nei momenti più significativi della loro vita di relazione, come il matrimonio,

ecc…, e il mancato rispetto di tali rituali significava estraniarsi alla comunità, mettersi in contrasto

col diritto. Per la connotazione etimologica del termine ius (la cui grafia era probabilmente ious) gli

storici hanno discusso all’infinito, come per mores, fas ecc…

2) Il sapere dei pontefici.

La conoscenza del ius era patrimonio esclusivo dei  pontifices (facitori di vie, coloro che aprono il

cammino) :

• Tre flamines di Giove, Marte e Quirino( ritualità sacrificale e simbolica);

• Il collegio delle vestali;

• Il collegio degli augures (conoscenza e memoria).Tutte le divinità di tradizione italica furono riadattate alle dimensioni cittadine, e fu definita la

 prima triade pre-capitolina: Giove indicava la sovranità, Marte la guerra, Quirino l’agricoltura. I

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 pontefici erano i custodi di tutta la sapienza: dal calendario, alle fasi lunari, alla scrittura; essi inoltre

registravano annualmente gli avvenimenti salienti della città. Essi prendevano le mosse soprattutto

sai mores, per combinarli poi con pratica sociale e immaginazione religiosa: da questo nascevano i

cd responsa, figura di comunicazione autoritaria che portava a conoscenza di tutti un sapere

nascosto.

3) Il paradigma del responsum. 

Il compito principale dei pontefici fu quello di rispondere ai quesiti che venivano loro posti dai

 patres: così essi producevano una serie di responsi che andavano sedimentandosi man mano; ogni

nuovo responso veniva confrontato con la massa di quelli già esistenti prima di essere pronunciato.

Dobbiamo tenere presente che lo sviluppo di questi responsa si ha su una base orale, il che

sottolineava l’importanza della connessione fra parola e potere. Grazie al controllo esercitato dal

collegio pontificale, ogni parola, ogni frase diveniva nella pratica una forma di disciplina della vita

comunitaria: una sorta di parola magica che dava vita ad un atto. Bisogna ancora sottolineare il

rapporto fra oralità ed evento: esso è nel caso specifico il responso, l’occasione che determina la

 parola.

Con l’impatto etrusco il quadro delle origini cambia, e man mano che si sviluppa in questo contestola sfera politica, allo stesso modo si indebolisce la connessione con la religione e dei rapporti di

 parentela.

4) Leges regiae?

Secondo una tradizione di età repubblicana, accanto allo ius pontificale sembra ci fosse lo ius di

 provenienza regia, denominato appunto leges regiae: ne sarebbero esistite due raccolte, una fatta da

Servio Tullio, l’altra risalente all’età di Tarquinio il Superbo e attribuita al pontefice massimo Sesto

Papirio. Anche per l’etimologia della parola lex bisogna risalire molto indietro, ed è probabile che il

significato avesse una connessione con la sfera politica, e che indicasse sin dall’inizio un testo

scritto. Ciò che suscita dubbi è la completezza di queste compilazioni giuridiche in epoca regia:di

sicuro alla fine dell’età repubblicana ce n’era una, lo ius papirianum, ma era stata compilata non

 prima del terzo secolo. Ed è altrettanto dubbio che queste leggi siano state approvate dai comitia

curiata.

Capitolo 2: L’età della Repubblica

Forme costituzionali

1) Alle radici del costituzionalismo moderno: la costituzione della repubblica romana.

Montesquieu, nell’esprite de loi, afferma che il cambiamento istituzionale dalla monarchia alla

repubblica a Roma ha cambiato le istituzioni e non lo spirito, il che ha permesso a quella piccola

comunità di assoggettare l’intero mondo antico.Polibio, analizzando la configurazione dello stato romano, disse che esso racchiudeva le tre forme

di stato teorizzate da Aristotele:

• I consoli rappresentano lo stato monarchico;

• Il senato rappresenta l’aristocrazia;

• Il popolo rappresenta la monarchia.

Su questa base ancora Montesquieu afferma che la degenerazione si ebbe solo perché venne a

rompersi l’equilibrio fra queste tre forze.

2) Le origini del consolato

Il trapasso alla repubblica viene raccontato precisamente da Livio, ma tutto il racconto è stato

inficiato dalla critica:•  Nel 510 a C fu cacciato Tarquinio il superbo

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• Egli fu subito sostituito da due consoli, il cui potere era unicamente limitato dalla

 provocatio ad populum, unico mezzo dei cittadini per sottrarsi alla condanna a

morte

•  Nei periodi di guerra poteva essere istituito un dittatore, il cui potere era illimitato

ma che non poteva durare in carica per più di sei mesi, ed era affiancato da un

magister equitum. Il collegamento fra queste istituzioni viene argomentata in maniera diversa: alcuni affermano che i

consoli derivino dalla coppia magister populi(sostituto del re) e magister equitum, altri invece li

fanno derivare da una coppia di pretori con comandi essenzialmente militari.

Considerata la difficoltà delle ricostruzioni, si deve cercare di considerare il consolato delle origini

come una magistratura non ancora formata che aveva come unico carattere definito, come attesta

Livio, l’annualità.

3) L’emergere del conflitto tra patrizi e plebei.

Il conflitto fra queste due classi non si instaura nel periodo fra l’istituzione della repubblica e il

decemvirato, ma trova le sue origini nella fine della monarchia etrusca, sicuramente non aliena dal

favorire il ceto economicamente più disagiato. Patricii erano i discendenti di quei patres che erano stati consiglieri di Romolo; l’origine della plebe

è più incerta: la differenza con il patriziato si fa gravitare o su diverse origini etniche o su diversi

culti religiosi (Minerva, Giove e Giunone per i patrizi, Cerere, Libero e Libera per i plebei), il cui

centro di interesse era per la plebe l’Aventino, il mons Plebeius. Inoltre ai plebei era negato lo ius

conubii, per cui essi non potevano che sposarsi con altri plebei.

Inoltre essi versavano in disagiatissime condizioni economiche: proprio in questo contesto essi per

rivendicare la liberazione dai debiti, passarono alla renitenza alla leva e poi alla secessione, che

secondo alcuni avvenne sul monte sacro, secondo altri sull’Aventino.

Sicuramente in questo contesto furono nominati i primi magistrati plebei, i tribuni e gli edili, che si

occupavano degli aedes, cioè dei templi dove la plebe si riuniva. Secondo Pomponio inoltre fu

definita la c.d. sacrosanctitas dei magistrati, cioè il potere di venire in aiuto di ciascun cittadino che

fosse minacciato dai consoli patrizi. Ancora una grande rivendicazione riguardò i tributis comitiis,

che venivano eletti da un’assemblea di plebei, divisi in tribù territoriali: con ciò si toglieva il

controllo delle elezioni ai patrizi, attraverso la clientela.

4) Dal decemvirato legislativo al compromesso patrizio-plebeo.

 Nell’anno 451-50 aC governò la città un decemvirato legislativo, la cui esistenza e modalità sono

alquanto incerte.

Esso fu fondato per ovviare ad una proposta plebea di un collegio di cinque cittadini con il compito

di fare leggi per limitare il potere dei consoli. Nel primo anno il decemvirato compì correttamente il

 proprio lavoro, ma poi per il secondo anno decise arbitrariamente di prorogarsi, forse perché ilcorpo di leggi sembrava incompleto: sta di fatto che il secondo decemvirato governò tanto

dispoticamente da suscitare la reazione popolare, che ripristinò il consolato.

I consoli del 449 avrebbero provveduto ad approvare tre importanti leggi Valerie-Oraziane:

• Legge sulla sacrosanctitas

• Legge di distinzione fra plebiscito (votato solo dalla plebe) e legge (votata da tutto il

 popolo)

• Legge che proibiva di creare magistrature sine provocatione 

Dovettero però essere condizioni di natura strettamente economica a esasperare la situazione: la già

ricordata condizione dei debitori, quasi tutti plebei, e il problema della spartizione dell’ager

 publicus.

 Nel 377 due tribuni della plebe, Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano promossero tre leggiche erano fortemente anti-patrizie:

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• La prima imponeva la deduzione dai debiti degli interessi, per poi pagare il residuo in rate

annuali

• La seconda fissava un limite di possesso dell’ager publicus in cinquecento iugeri

• La terza imponeva l’elezione di un console plebeo.

Questo portò alla reazione del patriziato, che sospese le magistrature per un quinquennio; nel 367 fu

eletto console il plebeo Lucio Sestio, cosicché si giunse ad un accordo fra le due classi, con laconcessione ai patrizi di una nuova magistratura, il pretore.

Anche a questo proposito la tradizione è oscura, perché c’è chi dice che fu votata conseguentemente

una legge licinia-sestia per definire l’esistenza di un console plebeo, e chi invece, come Livio,

afferma che semplicemente il senato accetto le elezioni di quell’ anno. In seguito si ebbe

 parificazione anche sul piano religioso, ma la compiuta uguaglianza si ebbe nel287 con la lex

 Hortensia, che sottopose i patrizi alle decisioni plebee.

5) La struttura della res publica.

Secondo Polibio la vera forza della costituzione romana, che venne in superficie nel contesto della

guerra annibalica fu che le decisioni definitive spettavano al senato, cioè ai migliori, e non a tutto il

 popolo.Per i romani la repubblica non fu mai un ente astratto che opera attraverso le istituzioni, ma fu

sempre un’espansione dello stesso popolo.

6) Le magistrature repubblicane.

I magistratus avevano il potere del popolo e la responsabilità ad esso connessa.

a) I consoli. Eletti dai comizi centuriati, duravano in carica un anno, a cui davano il nome. Erano la

 più alta magistratura dello stato, e i limiti al loro imperium potevano essere definiti solo

negativamente: la provocatio, l’intercessio e la nomina di altri magistrati per poteri rientranti

nell’imperium consolare; in caso di guerra era il console ad avere il potere supremo e a poternominare il dittatore, mentre era difficile che ingerissero nell’ambito di altre magistrature.

D’altronde pare che anticamente i consoli esercitassero il potere censuario e giurisdizionale del

censore e del pretore.

Il consolato è una magistratura collegiale: ognuno dei due ha potere per intero salvo il veto

dell’altro. Essi si dividono la competenza o col sistema del turno o delle province.

 b) I censori. Erano eletti ogni cinque anni e duravano in carica per il censimento fino

all’espletamento dei loro compiti, o al massimo diciotto mesi. Non erano titolari di imperio,

cosicché dovevano rivolgersi ai consoli nel caso avessero necessità di imporre.

Tramite il censimento, i censori registravano composizione delle famiglie e patrimoni, e

distribuivano i cittadini nelle centurie e tribù. Con questo sistema, essi imponevano un modello dicomportamento, potendo, tramite la nota censoria, attribuire un cittadino ad una centuria meno

qualificata, e sminuendo così il potere del suo voto. Inoltre controllavano le entrate e le uscite dello

stato.

c) Il dittatore. Questa magistratura fu istituita intorno al V sec aC, per problemi contingenti di

natura bellica: ad esso veniva affiancato il magister equitum, subordinato al potere e alla durata in

carica del dittatore stesso. Il dittatore aveva summa potestas, illimitata anche dalla provocatio. Il

dittatore veniva scelto, su autorizzazione senatoria, dai consoli; nel 217 Quinto Fabio Massimo fu

eletto poiché erano morti entrambi i consoli: a questo seguì uno snaturamento della magistratura,

che portò poi al disuso.

d) I tribuni della plebe. Erano eletti dai concili tributi sella plebe e duravano in carica un anno.

Essi non potevano allontanarsi da Roma perché dovevano essere a disposizione di chiunque

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invocasse il loro aiuto: in virtù di questo potere, essi potevano opporsi alle decisioni di qualunque

magistratura. Essi addirittura divennero titolari della  summa coercendi potestas, quindi potevano

 promuovere processi criminali e chiudere in carcere coloro che si opponessero al loro potere. Con la

 parificazione fra patrizi e plebei i tribuni divennero parte del governo della repubblica.

e) Il pretore. La magistratura del pretore urbano fu istituita in risposta alle rivendicazioni plebee;egli si occupava della giurisdizione delle controversie fra i cittadini romani. Eletto per un anno dai

comizi centuriati, aveva imperium e ius agendi cum populo e cum patres.

In un primo momento, per quanto riguarda il processo, il pretore aveva solo una funzione di

controllo delle procedure per legis actiones; nel periodo di espansione di Roma però, il processo

cominciò a cambiare, allargandosi anche ai peregrini: così il solo pretore urbano non era più

sufficiente. Venne istituito così il pretore peregrino che cominciò ad usare le procedure formulari,

che furono poi mutuate dall’urbano.

I pretori all’inizio dell’anno di carica emanavano un edictum, nel quale trascrivevano le formule di

giudizio a cui, con appositi adattamenti fatti con la collaborazione delle parti, si sarebbero in linea

di massima attenuti; col passare del tempo si creava una parte immutata dell’editto, il cd edictum

tralaticium, che nulla però impediva al pretore di cambiare tramite un decreto. Nel passaggio al principato, l’unico cambiamento che ebbe la pretura fu l’attenersi rigorosamente all’editto

 pubblicato, assolvendo così alla certezza del diritto.

f) Gli edili. Erano una coppia di magistrati, uno curule e l’altro plebeo. Assolvevano a compiti di

controllo della città, delle opere pubbliche e degli approvvigionamenti. Gli edili curuli si

occupavano anche delle controversie che sorgevano nelle nundinae.

g) Magistrature minori. La più importante è la questura, in ausilio ai consoli; poi c’erano i

quattuorviri per la cura delle vie, i triumviri per il controllo delle carceri e l’esecuzione delle pene

capitali.

7) Le assemblee popolari.

a) Comizi centuriati. L’organizzazione centuriata abbiamo detto avere un’organizzazione

 para-militare su base censitaria:

• Al vertice vi erano le 18 centurie dei cavalieri

• Poi 170 centurie di fanti, di cui 80 spettavano alla prima classe, 20 alla seconda,terza

e quarta, 30 alla quinta classe.

• C’erano poi 2 centurie di Fabri,2 di cornicines e tubicines (la fanfara), 1 degli

immunes militia, cioè quelli sprovvisti anche del minimo reddito.I voti venivano espressi personalmente, ma venivano computati per centurie, per cui è ovvio che

tutto il potere si trovava nelle mani dei maggiorenti, anche perché questi erano i primi a votare: se

veniva raggiunta la maggioranza, il resto non veniva chiamato per votare.

Si parla nelle fonti di una riforma dell’ordinamento centuriato, che non cambiò molto le cose se non

 per l’ordine della chiamata al voto, che veniva cominciata a sorteggio da una centuria della prima

classe.

I comizi centuriati potevano essere convocati solo dai magistrati con imperium per votare una

 proposta di legge o una sentenza senza possibilità di emendamenti. L’editto di convocazione doveva

 precedere la data stessa di almeno un trinundinum, cioè di almeno 3 mercati settimanali: durante

questo tempo il popolo veniva informato sulle questioni in informali conciones.

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 b) Comizi tributi. Nel 312 aC Appio Claudio attuò una riforma poco chiara, addirittura si pensò

che egli concesse a tutti di scegliersi la tribù territoriale. Il successore, Quinto Fabio Rulliano invece

stabilì le quattro tribù urbane, in contrapposizione delle restanti rustiche.

In queste assemblee anche i piccoli proprietari riuscivano a far sentire la propria voce, non essendo

sopraffatti dai più ricchi, anche se in sostanza essi avevano meno peso nella società, ridotti

com’erano in sole quattro tribù.I comizi tributi avevano quasi analoghe competenze che i comizi centuriati, soprattutto

sull’approvazione delle leggi.

c) Concili tributi della plebe. La plebe vi partecipava ordinata per tribù, per cui solo chi aveva un

minimo reddito poteva prendervi parte. Si è pensato che questa assemblea potesse essersi

sovrapposta ai comizi, ma gran parte della storiografia nega questa coincidenza.

 Nonostante la parola concilio indicasse riunione di una parte della plebe, probabilmente la

composizione delle due assemblee divenne pressoché la stessa e la diversità dei magistrati che le

 presiedevano passarono a poco a poco inosservate.

I concili venivano convocati da un edile o da un tribuno ed eleggevano i magistrati plebei.

8) Il senato Repubblicano.

Il senato ratificava e consigliava: la ratifica era imposta come auctoritas patrum sulle deliberazioni

dei comizi curiati e tributi, ed era successiva; nel 339 divenne preventiva con la legge Publilia

Philonis. Se si eccettua la nomina dell’interrex, pare che i poteri del senato siano essenzialmente

questi.

Alcune autorevoli fonti ci segnalano però che quest ’ assemblea era la vera titolare dell’imperium:

controllava tutte le entrate e le uscite, al di sopra dei censori, politica estera, aveva la capacità di

sospendere, in caso di pericolo, le garanzie costituzionali. Cicerone spiega perché un organo di

mera consultazione sia poi diventato titolare di imperium: l’annualità dei magistrati, e il principio

secondo cui il magistrato era responsabile del proprio operato inducevano tutti alla consultazione e

ad attenersi poi al consultum del senato. La lectio senatus si teneva ogni cinque anni e dai consoli

 passò ai censori: ogni cittadino ritenuto optimus poteva essere eletto e i senatori potevano essere

esclusi per indegnità: se non per questo, senatori si rimaneva per tutta la vita. Il senato era

convocato da un qualunque magistrato avesse lo ius agendi cum patribus , che doveva relazionare

inizialmente sull’argomento: dopo c’era la votazione e il testo era depositato presso l’erario di

saturno.

9) Le forme di organizzazione del dominio romano in Italia e nel mediterraneo.

Dalla metà del terzo secolo aC, Roma si lancia in una serie di guerre di conquista che la vedono

fronteggiare primo fra tutti per tre volte Annibale ( Prima guerra punica: 264, seconda: 219-202,

149-146); nel frattempo Roma assoggetta l’Italia settentrionale, le isole e si volta sul versanteellenistico: l’Istria, la Dalmazia, la macedonia e infine la Grecia; alla fine del secolo le conquiste si

volgono verso la Gallia, cisalpina e infine narbonense. Sorgono a questo punto numerose difficoltà

di organizzazione e la potenza ricorre a due forme: la federazione e l’incorporazione.

• La federazione venne usata da Roma soprattutto inizialmente con i latini: essi avevano una

condizione deteriore rispetto ai romani ma godevano di ius commercii, ius connubii, ius

 suffragii e ius civitatis mutandae. Essa stabilì con i socii foedus aequum e foedus iniquum:

con i primi si pretendeva una generale osservanza della maestà romana, mentre con la

seconda si richiedeva l’assoggettamento alla politica estera romana.

• Sciolta la lega latina Roma passa all’incorporazione, attribuendo la qualità di municipia alle

altre città, chi in migliori chi in peggiori condizioni. Inoltre i Romani cominciarono ad

espandersi e a fondare delle colonie, i cui abitanti acquisivano il titolo di  socii latininominis. Vennero fondate anche delle colonie minori, di solito di trecento cittadini con le

loro famiglie, che venivano ubicati vicino a porti e approdi con compiti di sorveglianza. Essi

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venivano condotti sul posto dal un comandante dell’esercito e il territorio veniva diviso

secondo il metodo delle centurie: prima si divideva con il decumano e il cardo massimo e

 poi con altre linee parallele a queste. L’assegnazione avveniva per sorteggio.

Per quanto riguarda i domini extra-italici, diversa era la condizione quando si ci trovava davanti ad

insediamenti già evoluti: essi conservavano la loro autonomia amministrativa e a volte anche fiscale

e assumevano la denominazione di civitates liberae sine foedere et immunes. La maggior parte deidomini di Roma era però libera da qualsiasi forma di autogoverno, tanto che essi accorpavano

questi territori in circoscrizioni chiamate province, governate da un governatore: per la Sicilia, la

Sardegna e la Spagna citeriore e ulteriore si crearono nuove magistrature, ma per il resto delle

 province si provvide con ex-pretori ed ex-consoli, il cui imperio si prorogava fino all’arrivo del

successore.

La provincia aveva un proprio statuto, emanato dal primo governatore, ed era ripartita per funzioni

amministrative. Il governatore aveva tutti i poteri ricompresi nell’imperium militiae  ed

amministrava la giustizia: per la giustizia criminale, non aveva alcun limite per i non cittadini,

mentre era limitato dalla provocatio per le questioni riguardanti i cittadini.

10) Res publica e tradizione familiare aristocratica.La grossa ascesa che ha segnato il cammino di Roma nella fase repubblicana deve essere ricondotto

alla coesione delle famiglie della grande aristocrazia patrizio-plebea: l’assemblea dei capifamiglia

riusciva in tal modo a scongiurare l’emersione di personalità di grande rilievo, avendo educato a

curare gli interessi della comunità, accontentandosi della virtus  e della dignitas. Con la

trasformazione in impero mondiale per la vittoria contro Cartagine, Il costume comincia a cambiare

e invale la possibilità di acquisire potere solo tramite il proprio esercito personale: l’imperium dei

governatori mette poi in pericolo l’unità della Repubblica.

11) La crisi della costituzione repubblicana.

Velleio Patercolo, storico, ritrova la causa della crisi dello stato repubblicano nell’assassinio di

Tiberio Gracco, con cui comincia lo spargimento di Sangue cittadino. Egli nel 133 aC aveva fatto

votare un plebiscito  Lex Sempronia Agraria  con cui voleva togliere l’ager publicus ai grandi

latifondisti che ne possedessero più di 500 iugeri, per darla a coloro che, avendo combattuto le

guerre annibaliche, avevano dovuto abbandonare i propri terreni. Con questa riforma si sarebbe

riformato quel ceto medio, che avrebbe ricominciato ad incrementare la popolazione e le centurie;

d’altronde non era un progetto di facile realizzazione. Tiberio Gracco istituì anche un collegio di

triumviri, composto da lui, il fratello Caio e il suocero Appio Claudio, che avrebbe dovuto

 provvedere a questo compito. Questa riforma fu però fortemente osteggiata dagli aristocratici,

appoggiati dalle ingrossate fila del popolino, facilmente manovrabile con proposte di riforme, che

non trovarono altro rimedio se non quello di reagire con la violenza, uccidendo Tiberio.

Dieci anni dopo la riforma agraria fu ripresa da Caio Gracco, eletto tribuno della plebe, cheinnanzitutto volle aiutare il ceto degli sfaccendati, imponendo la vendita di alcune partite di grano a

sottocosto, ma poi, con lungimiranza politica, diede voce anche alle esigenze dei cavalieri,

assegnando loro cariche tolte ai senatori; ancora egli era a favore dell’estensione della romanità ai

latini e della latinità agli italici, in modo da contraccambiare in qualche modo il tributo di sangue

che i socii avevano sempre pagato a Roma. L’unico ceto messo da parte da Caio, la nobilitas

senatoria, si risentì delle proposte di riforma del tribuno e lo fece uccidere, accantonando per la

seconda volta la riforma.

Dopo qualche decennio divenne reiteratamente console Caio Mario, che cercò di accaparrarsi le

simpatie dei nullatenenti e della plebe, con l’aiuto di un esercito mercenario: era questo l’inizio

dell’uso degli eserciti di nullatenenti che obbedivano al proprio capo in cambio dei bottini.

12) Dalla guerra sociale a Silla.

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Alle contrapposizioni civili si aggiungono le insurrezioni di natura sociale: i Socii di Roma

rivendicavano la cittadinanza con i suoi privilegi o pretendevano l’indipendenza. Con due leggi

dell’89 e del 90 aC , la cittadinanza fu attribuita a Latini ed Italici e le rivolte furono sedate. Questa

enorme immissione di cittadini sarebbe dovuta essere accompagnata dalla riforma delle istituzioni,

ma Roma mantenne la sua vetusta struttura senza volersi aprire all’Italia.

 Nell’88 però riprese anche la guerra civile, fra popolari guidati da Caio Mario e ottimati guidati daLucio Cornelio Silla: egli sconfisse gli avversari e si rivolse in oriente, contro Mitridate, che a sua

volta fu sconfitto, e , tornato a Roma, soggiogò definitivamente la città.

Silla si fece nominare Dictator le gibus scribundis et rei publicae constituendae, e cioè una nuova

magistratura con i pieni poteri del dittatore che avrebbe dovuto provvedere anche alla provocatio.

Silla cercò di indebolire il ceto equestre: nelle province sostituì i governatori nei compiti dei

 pubblicani; per la giurisdizione criminale sostituì ai cavalieri i senatori, che elevò al numero di

seicento, che andarono a sminuire il ruolo dei comizi;sottrasse il potere dell’intercessio al tribunato

 plebeo, portandolo quindi in una condizione di subordinazione rispetto alle altre magistrature;

inoltre ridusse alquanto il potere dei consoli, impedendo loro di esercitare l’imperium militiae( di

guerra distinto dall’imperium domi, di governo civile) in Italia. Nel 79 Silla abdicò spontaneamente,

ma la struttura costituzionale da lui creata si rivelò effimera.

13) Pompeo e Cesare.

 Negli anni successivi si affrontarono a Roma altri due personaggi: Gneo Pompeo e Caio Giulio

Cesare. Il primo, fervente sillano, acquisì un imperium extraordinarium per debellare la minaccia

dei pirati dal mediterraneo: questo imperio, in pratica infinito, suscitò le proteste dell’aristocrazia

senatoria perché era in effetti un attentato alla costituzione. Tornato a Roma, egli si presentò al

Senato e , trovatosi politicamente isolato, strinse un prima Triumvirato nel 59 con Cesare e Crasso:

Cesare divenne console e ottenne l’imperium sulle Gallie e le spagne mentre fece votare dei

 provvedimenti favorevoli ai suoi colleghi. Nel 55 il triumvirato fu rinnovato, per cui furono eletti

consoli Pompeo e Crasso, mentre fu prorogato l’imperium di Cesare; due anni dopo, morto Crasso,

Pompeo per volere del senato fu nominato consul sine collega: è ebidente la violazione

costituzionale che poneva le basi per il nuovo conflitto.

Cesare, calcolando che il suo proconsolato durasse fino a tutto il 49, contava di presentarsi come

console nel 48, senza deporre l’imperio e quindi l’esercito; Pompeo a quel punto fece emanare due

leggi:

• La prima stabiliva che i candidati al consolato dovessero essere inderogabilmente presenti a

Roma;

• La seconda stabiliva una pausa quinquennale fra una magistratura urbana e una

 promagistratura.

A cesare fu intimato di sciogliere l’esercito, pena l’applicazione del senatus consultum ultimumvotato contro di lui: egli invece nel 49 varcò in armi il Rubicone, e , giunto in città, sconfisse

Pompeo e assunse una serie di prerogative e poteri fortemente anticostituzionali: ai primi del 44 ac

gli fu conferita la dittatura a vita. E’ palese lo svuotamento e lo snaturamento delle istituzioni

repubblicane, che rimangono tali solo per il nome: la dittatura perpetua è tesa a superare tutte le

fratture del tessuto sociale e politico. Il superamento della dimensione cittadina porta allo sviluppo

di nuovi valori e priorità: l’assistenza ai bisognosi, il freno del lusso, la cultura. Eliminato Cesare,

tutta questa nuova realtà svanì e aprì le porte al conflitto fra il successore legittimo di Cesare, Marco

Antonio, e il suo figlio legittimo Ottaviano. Antonio, bramoso di controllare lo Stato, entrò in

conflitto con il senato e fu sconfitto da Ottaviano a Modena. Ma ottaviano stesso, considerando i

non buoni rapporti con il senato, decise di instaurare una nuova magistratura detta anch’essa

triumvirato, composta da egli stesso col rivale Antonio e Lepido. Essi si divisero le province equesta stessa spartizione mise le basi del conflitto: ad Antonio l’oriente e a Ottaviano tutto

l’occidente. Alla fine della magistratura, è probabile che Antonio vagheggiasse un impero

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ellenistico indipendente da Roma insieme alla regina d’egitto Cleopatra: così Ottaviano ottenne la

revoca dei poteri di Antonio e lo sconfisse ad Azio nel 31. Nel 27, ottenne la carica di princeps che

aprì la nuova era del principatus.

Produzione del diritto

1) Le XII tavole fra patriziato e plebe.Dopo il fallimento della riforma serviana, si fronteggiarono a lungo due ipotesi di ordinamento e

 potere: la prima che vedeva prevalere senz’altro le elites gentilizie, la seconda, che a sua volta si

divise in due correnti, la prima prevedeva l’egemonia della plebe, la seconda (quella prevalente) un’

accordo fra elites plebee e patriziato, così da formare un nuovo ceto dirigente.

L’episodio più significativo è sicuramente quello riguardante la redazione delle XII tavole: questo

fu segno di voler eliminare l’esclusività del sapere giuridico, per portarlo, con la forma scritta, alla

 portata dei più. L’idea della scrittura fu sicuramente di importazione greca, dove il V secolo fu il

secolo della democrazia e dei legislatori.

Le XII tavole non contenevano precetti di carattere istituzionale, ma erano volte a regolare i rapporti

 privati: in sostanza si sovrapponevano alla sfera fin ad allora ricoperta dalle pronunce pontificali.

Esse contenevano i principali rituali, le procedure (legis actiones), l’elenco tassativo dei criminicapitali.

2) La rivincita pontificale: come si forma un “diritto giurisprudenziale”.

La riforma plebea non riesce però a decollare: fin dall’inizio coloro che avevano scritto le leggi non

si erano dimostrati capaci di fornire l’interpretazione per l’applicazione pratica delle leggi. Così

rientrarono in gioco i pontefici che, con il loro lavorio esegetico, fecero nuovamente prevalere il

responsum sulla lex. Si viene così a formare un diritto di tipo giurisprudenziale, basato sulle

 pronunce e sull’interpretazione del diritto.

3) L’eclissi dei pontefici: il ius dalla religione alla politica.

Intorno alla metà del terzo secolo, Tiberio Coruncanio, un pontefice massimo di famiglia plebea,

violò la segretezza dei responsi pronunciandone uno in pubblico: questo comportamento fu

l’emblema di una società e di un modo di fare che stava cambiando. La conoscenza del diritto non

era più legata alla figura del sacerdote, pur restando ancorata alle persone di una certa levatura

sociale: il legame del diritto con la religione cominciò a farsi più labile, lasciando spazio alla

 politica. La nuova figura del sapiente nobile non si identificò immediatamente con quella del

giurista: il diritto era ancora una scienza che non si staccava da una preparazione culturale di tipo

aristocratico.

4) Il ius civile: un diritto per la repubblica.

I responsa non erano delle pronunce di carattere generale, e costituivano comunque un diritto di tipocasistica. Eppure essi non venivano dimenticati, ma venivano usati come parametri e come

 precedenti per le nuove pronunce. L’insieme di queste prescrizioni andò a formare il ius civile, il

diritto della città e dei cittadini di Roma. Al suo interno possono essere distinti tre strati:

• I mores maiorum arcaici;

• Le XII tavole;

• L’attività rispondente dei giuristi.

Oltre al respondère, l’attività dei giuristi era caratterizzata dal:

• Cavère, cioè dare consigli, gratuiti, il che era di solito segno di attività aristocratiche;

•  Agere, cioè l’assistenza nella fase in iure delle procedure  per  legis actiones e di quelle per  

 formulas.

5) Popolo e leggi.

Tutto questo non svilì né eliminò il paradigma della lex, che rimase lo stesso:

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•  Praescriptio, con nome e carica del magistrato proponente;

•  Rogatio, richiesta del magistrati al comizio;

• Dispositivo di legge, diviso in capita;

• Sanctio, disposizioni a tutela del rispetto della legge.

La sfera di influenza delle leggi non interferì però con i rapporti privati, tanto che queste

rimasero divise dai responsi: esse si occupavano dei rapporti con lo stato, delle magistrature,della repressione criminale.

La distinzione non fu però senza eccezioni: per es. la lex  Falcidia de legato, la lex  Aquilia de 

damno, la lex  Poetelia  Papiria de nexis…

6) Pretori ed editti.

Con lo stabilizzarsi dell’ordinamento repubblicano, vennero emergendo le figure dei pretori. Essi in

un primo momento amministrarono la giustizia seguendo le legis actiones stabilite dalle XII tavole,

 procedure di rigidi gesti e parole, la cui validità dipendeva dal rispetto di queste formalità.

La prima fase, detta in iure, si svolgeva davanti al magistrato giusdicente, ed era la riduzione della

controversa ad un rituale rigido di gesti e parole; la seconda fase era quella apud  iudicem, ed era un

giudice privato a valutare se il rituale costruito corrispondesse alla situazione verificata: chi aveva

asserito una situazione falsa perdeva.

I pretori tentarono di riformare questo sistema affiancando ad esso un altro sistema, basato sul ius 

edicendi, cioè sul potere di emanare edicta: esso non si basava più sulle certa  verba, ma sulle

concepta verba, parole concordate fra le parti e il magistrato. Pur restando la divisione in iure e

apud iudicem, la prima fase non era più un complesso rituale fisso, ma si svolgeva in maniera

informale accordo fra magistrato e parti in causa.

I pretori cominciarono ad emanare editti prima episodicamente, poi, dai decenni centrali del primo

secolo, all’inizio del loro anno di carica.

Fu sullo sfondo di questa società che cambia che, nel 242, attraverso una lex, fu istituito il Praetor  

 peregrinus: egli amministrava la giustizia per gli stranieri, e facendo questo non faceva cheallargare gli orizzonti del diritto oltre lo ius civile. Si venne a creare così una specie di diritto

commerciale romano, che prese il nome di ius  gentium, che si basava sui contratti di emptio-

venditio, locatio-conductio, societas e mandatum e si basava sui principi della consensualità, della

 buona fede e della reciprocità.

7) Il pensiero giuridico: oralità e scrittura.

Il pensiero giuridico del terzo secolo attuò una riforma senza eguali: il passaggio alla scrittura.

Prima di questo grande cambiamento, a Roma erano conosciuti solo due testi, passati alla forma

scritta solo per problemi contingenti di lotta politica: il de usurpationibus di Appio Claudio Cieco 

e i Tripertita di Sestio Elio Peto Cato.

• Il de usurpationibus non suscitò grande successo nemmeno per la cultura giuridica tardo-antica: esso era probabilmente la raccolta di pronunce pontificali, che, racconta la leggenda,

fu consegnato al popolo da un collaboratore di Appio Claudio, Gneo Flavio, ed andò a

formare lo ius  flavianum. Probabilmente la storia del furto e della consegna al popolo vuole

solo limitarne i connotati antipontificali e non bisogna dargli credito.

• I tripertita di Elio Sestio sono la riproduzione delle XII tavole con l’interpretazione

 pontificale e le clausole delle legis actiones. Anche qui c’è un intento anti-pontificale.

8) La “rivoluzione scientifica”.

Gli anni trenta e quaranta del secondo secolo sono considerati dagli studiosi gli anni della svolta; a

testimoniarlo è il giurista Pomponio:

• Una prima generazione di innovatori è costituita da Giunio Bruto, Manio Manilio, Publio Mucio Scevola che fondarono il diritto civile;

• Poi abbiamo Quinto Mucio Scevola che per primo istituì per genera il diritto;

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• Infine abbiamo Marco Antistio Labeone,, che innovò il diritto.

Ciò che invece solo i giuristi moderni sono stati in grado di individuare sono state le fasi di questo

cambiamento:

• Il definitivo passaggio dall’oralità alla scrittura;

• L’invenzione di concetti giuridici astratti, cui si collegarono tecniche platonico-

aristoteliche;• La rottura del legame del diritto con la politica: esso era diventato una scienza autonoma, in

grado di autolegittimarsi.

Da questi presupposti prese corpo una vera ontologia giuridica, un diritto formale e razionale: è

questa la cosiddetta rivoluzione scientifica.

Questa rivoluzione si concretizza nel pensiero di quattro giuristi, che, pur non lavorando ad un

 progetto unitario, continuarono l’uno l’opera dell’altro, attuando importanti cambiamenti.

• Publio Mucio Scevola, di cui sappiamo poco, caratterizza la sua opera con la massiccia

 presenza di ius  controversum, cioè di dispute dottrinali, e con la definizione di ambitus 

aedium.

• Quinto  Mucio  Scevola  affrontò il problema compositivo dell’ordine dell’opera;

 probabilmente stabilì un primo criterio di tripartizione: le XII tavole, Elio Sestio, i responsa.

Inoltre divise l’opera in capita e probabilmente in ognuno di essi fu trattata una singola

statuizione di ius, con relativa casistica. La sua opera, e per certi versi, seppure diversi, la

contemporanea opera di Cicerone, il de oratore, esprime l’esigenza di riordinare il grosso

 bagaglio del diritto, partendo dalle origini.

• Servio  Sulpicio  Rufo  continua ed in un certo senso rompe la discontinuità fra la sua e

l’opera di Mucio: egli tende molto di più a mantenere una casistica varia che non ad una

normalizzazione ellenistica.

• La riflessione si conclude con Antistio Labeone. Prima di lui è importante il pensiero di un

giurista della scuola serviana molto vicino a Cesare, Aulo Ofilio. Egli seguì di più la linea di

Cicerone, anche se poi fu smentito successivamente. Dopo le idi di marzo questo intentosistematore del diritto viene a tramontare per sempre.

Capitolo 3: L’età del principato

Forme costituzionali

1. Fratture e crisi della costituzione repubblicana.

Il periodo compreso fra Cesare e Silla viene considerato un periodo di intense rivoluzioni,

soprattutto per la formazione di una nuova classe dirigente, dovuta alle capacità politiche di

Ottaviano Augusto. Egli fu in grado di continuare il progetto di Cesare verso l’allargamento delleistituzioni alle nuove prospettive di uno stato universale.

Ma il tramonto delle antiche istituzioni era cominciato prima molto gradualmente: Mario,

costituendo un proprio esercito personale e mercenario, aveva prodotto un nuovo ed illimitato

 potere che andava ad inserirsi in maniera devastante nel vecchio ordinamento.

La morte di Cesare nel 44 aC sicuramente interruppe un progetto che il grande stratega aveva già

 ben Chiaro in mente: arrogandosi una serie di privilegi e poteri e adottando in fine Ottaviano, egli

sicuramente mirava alla formazione di un regime monarchico, in cui il sovrano sarebbe stato

coadiuvato da un’elite di estrazione periferica che avrebbe bilanciato la centralità del potere.

Ma è con l’emanazione della lex Titia  nel 43 che le cose sembrano ancora una volta cambiare:

questo provvedimento istituì i triumviri rei publicae costituendae e con esso Lepido, Ottaviano e

Antonio assunsero i compiti che spettavano ai consoli. Nonostante tutti e tre non accettarono tutte le

 prerogative e cercarono di mantenere le forme di governo tradizionali, il colpo era ormai stato

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inflitto. Il ruolo egemone di questo nuovo assetto fu assunto dall’ordo equester , costituito da

mercanti e imprenditori.

Inoltre il passaggio all’impero fu anche caratterizzato dal contatto con nuove esperienze religiose,

economiche e culturali derivanti dall’allargarsi dei confini: aumentarono le manumissiones, che

andarono ad influire negativamente sull’esistenza di un ceto medio contadino che si basava sulla

manodopera servile.La lex Fufia Caninia e la lex Aelia Sentia andarono a organizzare e a porre limiti alle

manumissiones, che erano considerate fonte di corruzione e di diminuzione della ricchezza per

l’eliminazione della manodopera servile.

2. Ottaviano e l’evoluzione del suo potere: la nascita del principato augusteo.

 Nel 31 aC Ottaviano rimane solo al potere, e comincia il percorso per la legalizzazione del suo

straordinario potere: è il 27 quando in senato egli dichiara di rimettere il potere ai suoi titolari,

dando così l’impressione di legalità e sortendo l’effetto sperato, cioè ottenendo i pieni poteri. Egli

viene definito  Augustus, termine utilizzato prima nelle sfere religioso-sacrali, e poi nel 23 riveste

una serie di privilegi attribuitegli dallo stesso senato: il suo potere è arricchito di auctoritas, che

indica il potere di ratificare tutti gli atti. Egli viene ad acquisire, disgiuntamente dalla magistratura,la tribunicia  potestas, con il relativo potere di intercessio e di ius agendum cum plebem; riveste il

ruolo di pontefice massimo, di perpetuus curator legum et morum, e inoltre acquisisce un imperium

maius et infinitum. Avendo assunto prerogative e non cariche, ci si accorge della diversità del ruolo

del princeps: tutti i suoi poteri sono rivestiti dall’auctoritas.

3. Forme ed esplicazioni del nuovo assetto istituzionale.

E’ difficile definire il principato: le caratteristiche di questa forma istituzionale variano troppo da

 periodo a periodo. Sul piano formale la legittimazione del potere imperiale, da Vespasiano in poi,

viene ritrovata nel consenso congiunto del senato e del popolo; cosicché sembra che il fondamento

repubblicano delle istituzioni non sia mai venuto a mancare. Sul piano sostanziale è invece

l’auctoritas dell’imperatore stesso a legittimare il suo potere, nonché la forza delle sue armate:

l’istituzione di nove cohortes praetoriae,  utilizzate come guardie personali dell’imperatore fanno

capire quanto l’imperatore stesso considerasse importante il potere militare. Altro instrumentum

regni utilizzato fu sicuramente la religione: gli imperatori venivano circondati di un’aura di

sacralità, che dopo la conversione di Costantino sarà il più importante motivo di legittimazione del

 potere.

4. La persistenza degli antichi organi della costituzione repubblicana.

Le antiche istituzioni repubblicane, anche nell’ultimo periodo della repubblica, erano divenute

inadatte per un’organizzazione politica divenuta ormai mondiale.

a. I consoli: il loro imperium militare diminuisce ma la giurisdizione si allarga ancheagli appelli per le questioni delle province.

 b. I pretori: uguale.

c. La censura: venne inclusa nei poteri imperiali.

d. Il tribunato: giustifica solo la potestas tribunicia dell’imperatore.

e. Gli edili: vengono via via sostituiti dai funzionari degli imperatori.

f. I questori: vengono ridotti a venti, due dei quali si occupano dell’imperatore.

g. I comizi: non curano più la legislazione criminale, ma hanno solo funzione

legislativa e di elezione dei magistrati: col passare del tempo saranno poi chiamati a

votare solo una lista, i cui nomi venivano proposti dall’imperatore e dal senato in

numero pari ai posti da ricoprire.

h. Il senato: vigilanza sulla vita religiosa, amministrazione delle province più antiche egiurisdizione criminale.

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5. I rapporti principe-senato.

I rapporti fra l’assise repubblicana e il titolare dei poteri supremi si esplica in una compressione dei

ruoli del senato, a vantaggio dell’imperatore stesso, una sorta di strumentalizzazione del potere

senatorio.

Alcune prerogative però restano comunque al senato; è sempre quest’assemblea a proclamare il

designato e ad assegnargli i poteri: in alcuni casi l’acclamazione dell’esercito può precederla, maquella che la legalizza è sempre la pronuncia del senato. L’assemblea senatoria servì moltissimo

anche per la risoluzione di alcuni momenti di crisi: si pensi per esempio ai periodi di anarchia

militare. La costituzione, ad opera di

Augusto, di una commissione senatoria con funzioni di collegamento sottolinea l’importanza che

quest’assemblea aveva per il sovrano. E’ sempre il senato a mettere sotto accusa l’imperatore e a

dichiararlo hostis publicus, pronunciando la damnatio memoriae: cancellazione dai documenti ed

eliminazione di tutti i provvedimenti. Tutti gli imperatori ebbero rispetto e considerazione del ruolo

del senato: Il solo Domiziano, che non dimostrò una particolare politica filosenatoria, fu ucciso

 proprio per questo.

6. Le vicende del potere imperiale dalla fine di Augusto a quella dei giulio-claudii; dall’avvento deiflavi alla scomparsa di Adriano; dall’età degli Antonimi a quella dei Severi.

In tutta l’età del principato non si riuscì mai a definire univocamente il criterio di successione degli

imperatori: si cercò di sostituire il criterio della forza con quello della legittimità e per un periodo si

scelse quello della successione naturale. A scegliere di volta in volta il criterio da utilizzare sembra

essere ancora l’assemblea senatoria.

• Età Giulio-Claudia:

L’adozione di Ottaviano da parte di Cesare e l’annessione al governo ancora durante la sua vita è il

 primo criterio adottato. Anche Augusto associa Tiberio al governo, dopo averlo fatto rientrare da

Rodi, dove si era ritirato per essere stato posposto nella successione ai nipoti di Augusto stesso.

I momenti di crisi della successione si hanno nel 37, alla morte di Tiberio, nel 41, anno

dell’assassinio di Caligola, succeduto a Tiberio per testamento; in quell’anno salì al trono Claudio,

zio di Caligola, acclamato dai pretoriani. A questo principe si deve, oltre alla libertà religiosa degli

ebrei, anche il ritorno del filosofo Seneca, che diventa precettore del figlio e successore di Claudio,

 Nerone. Il suo principato può essere diviso in due parti: una prima, detta del governo di Seneca, in

cui Nerone governa con equilibrio e oculatezza; una seconda, che segue all’incendio di Roma, in

cui l’imperatore si abbandona alle più insensate nefandezze, e, sotto consiglio del malvagio

Tigellino, prefetto del pretorio, arriva ad uccidere la madre Agrippina e Seneca, per poi suicidarsi

egli stesso.

• Età Flavia:

La sua morte, avvenuta ne 68, segna l’inizio del longus et unus annus (come lo chiama Tacito) dei

quattro imperatori (Galba, Otone, Vitellio e infine Vespasiano.) .Questo imperatore verrà sceltoforse soprattutto per la prospettiva di successione dei suoi due figli: prima avrebbe governato Tito,

repressore della rivolta giudaica, che al contrario dimostrò grande umanità per gli aiuti stanziati per

le città di Pompei, Ercolano e Stabia dopo l’eruzione dl Vesuvio. Durante il suo regno fu inaugurato

anche l’anfiteatro Flavio, il Colosseo. In seguito avrebbe governato Domiziano, che portò avanti

una vantaggiosa politica economica, ma che creò profondi dissensi per la sua concezione

autocratica e la decisione di eliminare tutti gli oppositori. Egli fu ucciso nel 96 da in una congiura di

 palazzo.

• Età Antoniniana (dinastia degli adottivi)

Dalla salita al trono di Nerva si inaugura la successione per adozione. Traiano, Adriano (spagnoli) e

Antonino Pio (gallia narbonense) unirono al governo il loro migliore collaboratore, che poi sarebbe

divenuto il loro successore, iniziando un periodo di prosperità.Traiano si dedica soprattutto alle campagne di conquista e di espansione.

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Adriano attua una serie di riforma, intraprende una serie di viaggi nelle province, e si occupa della

 politica produttiva dell’impero.

Antonino Pio, governando per un ventennio, mostra un assetto

istituzionale nel suo perfezionarsi e nei suoi limiti.

Marco Aurelio, figlio adottivo di Antonino, nonostante la sua cultura poliedrica che sembrava

segnare una politica equilibrata, non riesce a resistere alla tentazione di annettere al governo anchelui prima il fratello adottivo Lucio Vero e poi il figlio Commodo.

Commodo, imperatore a soli diciotto anni, viene ucciso dopo dodici anni di repressioni, politica

antisenatoria e megalomane, tanto da arrivare a proporre di cambiare il nome di Roma in

Commodiana.

Dopo Pertinace e Didio Giuliano, sul trono per pochissimo tempo, si presenta come figlio di Marco

Aurelio Settimio Severo; dopo il breve regno di Geta e Caracalla (costitutio Antoniniana) , e dopo il

 prefetto del pretorio Macrino, governarono Elagabalo e Alessandro Severo, che mise fine alla

dinastia a causa delle pressioni barbariche provenienti dal nord.

 Nonostante il felice governo di molti imperatori succeduti naturalmente, la scelta dei successori fu

sempre caratterizzata da una certa instabilità dei criteri, perché se quella naturale sembrava essere

contraria alla visione oligarchica dello stato, tuttavia era abbastanza compatibile con le istituzionirepubblicane l’aspirazione di trasmettere il principato nel proprio gruppo familiare. In sostanza però

si preferì il criterio adottivo, che sembrava evitare sul nascere eventuali contese sul raggiungimento

del vertice.

Poiché non c’era una stabilità di criteri, le armate si sentirono a loro volta autorizzate spesso ad

esprimere un proprio candidato alle successioni, fino a che, nel III secolo, divennero arbitro

assoluto delle vicende.

•  Il rifiuto del potere.

Prima di prendere il potere, quasi tutti gli imperatori, tranne i casi di trasmissione ereditaria,

compiono un gesto che assume poi i connotati di un rito. Ottaviano è il primo che, in maniera

teatrale compì il gesto di rifiutare il potere; Tiberio impiegò molto tempo ad accettare il potere, così

come Vespasiano che suscitò l’ira dei soldati che lo avevano proclamato imperatore. Anche Traiano

e Adriano, secondo quanto è attestato, compirono il rifiuto del potere. Il senso di questo gesto deve

forse essere ricercato nel valore della libertas rei publicae, espresso, alla cacciata di Tarquinio il

superbo dal giuramento di Bruto: l’aspirante al potere con questo gesto vuole chiedere

legittimazione della propria investitura a una larga fascia di cittadini.

 Nel delineare la storia imperiale, bisogna ancora analizzare alcune accuse che sono quelle di

usurpazione del potere: se negli ultimi secoli, stabilitasi la diarchia, è spiegabile come la causa per

cui uno dei regnanti non vuole riconoscere il potere dell’altro, nei primi secoli può essere solo

spiegato come la brama di potere di alcune popolazioni. Questi scontri possono terminare ex nunc

con la dichiarazione di Hostis publicus, o ex tunc, con la damnatio memoriae, per eliminazione o

rinuncia del principe considerato tiranno. Gli effetti di questi due provvedimenti sono pressoché glistessi: uno è sicuramente la rescissio actorum, cioè l’eliminazione di tutti gli atti da lui emanati.

7. I nuovi organi imperiali dell’amministrazione centrale.

La necessità di amministrare quest’enorme impero, induce gli imperatore a ideare nuovi settori

dell’amministrazione e a riadattare al nuovo assetto alcuni dell’età repubblicana.

a.  Praefectus annonae, coadiuvato dai curatores aquarum, operum publicorum et

viarum, fu istituito da Augusto che lo pose alle sue dirette dipendenze per

sovrintendere ai bisogni alimentari della città.

 b. Officia Palatina, prevalentemente affidati ai liberti, che, se inizialmente esclusi da

ogni tipo di carica, furono rivalutati dall’imperatore Claudio. Fra questi officia

ricordiamo quello ab epistulis, per l’evasione della corrispondenza imperiale, quelloa libellis  e a cognitionibus, per il disbrigo delle suppliche dei privati, quello a

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memoria, per determinate pratiche amministrative, quello a rationibus, per

l’amministrazione finanziaria.

La carriera dei funzionari fu graduata in cinque cariche, che progredivano come le magistrature ma

non avevano alcuna limitazione di tempo. Al vertice c’erano i  procuratores  e infine le grandi

 praefecturae. Ipiù importanti prefetti erano il praefectus urbi, di antichissima origine senatoria, e il

 praefectus vigilum; a capo di tutta l’amministrazione c’era il prefetto del pretorio, affiancatati da unaltro collega, che stava a capo della guardia imperiale, e sostituiva spesso l’imperatore in alcune

funzioni, soprattutto quelle giurisdizionali.

8. I Consilia principum.

Vista l’enorme sfera di influenza e di compiti investita dall’imperatore, e l’enorme mole di

decisioni da prendere in maniera repentina, è ovvio che egli si circondasse di una serie di

consiglieri, tra cui spiccano soprattutto i giuristi: questo gli permetteva di avere chiara visione degli

umori dei cittadini sui vari argomenti. Fino all’età di Adriano i consilia sono tanti quante sono le

questioni discusse: sotto l’impero di Adriano, però, i consilia vengono riassettati, senza però voler

cambiare la prassi che si era consolidata.

9. L’amministrazione dell’Italia.

L’Italia dominata da Roma costituì da sempre la minoranza privilegiata: il suo territorio continua

ad essere amministrato secondo le forme delle città stato, tramite l’ordo decurionum. Esso era una

sorta di Senato cittadino, costituito ogni cinque anni dai magistrati che ne nominavano i

componenti scegliendo fra i cittadini che avessero l’ingenuitas, l’età minima, il censo e il rispetto

del cursus honorum. Ma la divisione in undici province, attuata da Augusto, segnò il passaggio ad

una politica di depressione delle autonomie locali. Così, nonostante la giurisdizione dovesse

essere affidata al governo locale, quella criminale fu affidata al prefetto del pretorio, mentre

quella civile fu affidata a quattro consulares. Inoltre fu attuata una grossa organizzazione militare,

, e vennero a galla due altri burocrati, i curatores rei publicae, e i correctores, che furono preposti

stabilmente al controllo amministrativo del territorio italico: in questo modo esso fu in tutto

equiparato alle province.

10. L’amministrazione delle province.

 Nel 27 aC le province furono divise in senatorie e imperiali: le prime erano di pertinenza del

 populus, le seconde di pertinenza del princeps, il che determinava una differenza nelle forme di

governo e di amministrazione. Le province senatorie, più antiche e ricche, venivano governate per

un anno da una persona estratta dall’ordine senatorio, la cui carica si procrastinava fino all’arrivo

del successore. Le province imperiali sono quelle nuove e turbolente, che l’imperatore tiene sotto il

suo diretto controllo: in esse governano dei legati augusti, senza limiti di tempo, nel rispetto dei

mandata, delle istruzioni dell’imperatore. In queste province compare spesso la figura del legatusiuridicus, che sostituisce l’imperatore nell’amministrazione della giustizia: i cittadini tuttavia

 possono comunque appellarsi al tribunale dell’imperatore. Il legatus iuridicus esercita il proprio

 potere anche su quei territori in cui il re della provincia governa ostentatamente. Per le province

senatorie è invece il governatore che, anche tramite i viaggi attraverso le città più importanti,

amministra a giustizia.

11. Le finanze imperiali.

L’amministrazione finanziaria viene progressivamente sottratta dalle mani di legati e governatori

 per essere esercitata dai procuratores fisci. Dopo l’eliminazione delle societates publicanorum, la

riscossione delle imposte avviene diversamente nelle province: in quelle imperiali, i tributa (i fondi

stanziati si chiamavano praedia tributaria) vengono riscossi dall’amministrazione del fisco, mentrenelle senatorie gli stipendia(praedia stipendiaria) vengono riscosse dalle amministrazioni locali. Il

gettito delle province imperiali va ad alimentare le casse dell’imperatore, mentre le altre alimentano

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l’aerarium populi, che col passare del tempo va a confondersi con l’aerarium militare, il fiscus, il

 patrimonium e la res privata.

Il patrimonium principis e la res privata venivano affidate ai procuratores, mentre l’aerarium

militare, amministrato da tre prefetti di rango pretorio, provvedeva alla sistemazione dei veterani.

Del ficus caesaris invece non si sa molto. Col passare del tempo, vengono ad avere rilevanza altre

figure come il praetor fisci e l’advocatus fisci.

12. Dal principato alla monarchia assoluta.

E’ con un atto del principe Antonino Caracalla che si considera chiusa l’età imperiale: nel 212 fu

emanata in lingua greca la costitutio Antoniniana, che concedeva la cittadinanza a tutti gli abitanti

dell’impero e delle province. Sebbene Dione Cassio, avverso a questo imperatore, considerasse

quest’atto solo l’estrinsecazione della sua rapacità per i tributi, esso invece è solo un atto testimone

dello sviluppo. Questa concessione portò alla costituzione di una serie di centri autonomi nati

intorno agli accampamenti militari.

La giurisprudenza

1. Il ius publice respondendi e il problema della certezza del diritto.La giurisprudenza nell’età del principato dovette fare i conti con la figura dell’imperatore: egli

stesso decise però di farsi giurista fra i giuristi, e non legislatore, utilizzando la figura del principe

respondente. Augusto nominò alcuni giuristi che avevano il potere di dare responsi ex autoritate

 principis, cosicché le loro pronunce erano in grado di condizionare i tribunali. Gli altri giuristi

 potevano comunque esercitare la loro attività, ma non avevano alcun potere sulle pronunce dei

tribunali. Il principe con questa disposizione aveva senza dubbio posto un freno ed un controllo alla

giurisprudenza: d’altro canto il ius respondendi si deve inquadrare in una situazione in cui la

 produzione normativa era scarsa e si deve connettere il problema all’impossibilità del senato di

amministrare tutti i settori della giustizia. Cicerone, qualche decennio prima, aveva dedicato alcuni

 passi delle sue opere alla richiesta di riordino del diritto: un’esigenza che era sentita da molti.

In questo contesto si può inquadrare il processo codificatorio di Cesare, che alcuni dicono fosse il

residuo di un vecchio progetto di Pompeo. Cesare partiva dall’integrazione dei popoli italici per

 progettare uno stato municipale italico all’interno del più vasto impero; ma la sua morte segna il

crollo di queste aspirazioni, e con Augusto l’Italia si isola. A questo punto l’uso del ius publice

respondendi si fa più pregnante, e spesso vi si ricorre durante i processi; questo però comporta che

spesso le pronunce siano in contrasto fra loro e i magistrati non vi tengono più conto, inducendo le

 parti ad usare sempre di più i rescritti imperiali.

2. Le principali caratteristiche della giurisprudenza del principato.

 Nell’età del principato importantissime divennero le figure dei giureconsulti; a partire dal II secolo

essi divennero di estrazione provinciale ed equestre, e le loro aspirazioni non erano quelle diformarsi una carriera politica, ma quella di diventare burocrati del principato.

L’attività letteraria si sviluppò molto, con il delinearsi di numerose forme letterarie:

• Opere di casistica: libri responsorum, raccolte di responsi; libri  quaestionum  o

disputationum, casi anche immaginari posti all’attenzione del maestro; libri  digestorum,

antologie che raccoglievano sia gli uni che gli altri.

• Opere di commento a testi giurisprudenziali, soprattutto opere di Mucio, edicta, leges e

senatusconsulta.

• Opere di carattere didattico, le institutiones, trattazioni sistematiche elementari per giovani

discenti.

• Opere monografiche, su un solo rotolo di papiro (liber singulares)

3. Le scuole dei Sabiniani e dei Proculiani.

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 Nell’età fra Augusto e Adriano si formarono due scuole di giuristi: la Sabiniana, da Masurio

Sabino, fondata da Ateio Capitone, e la Proculiana, da Proculo, fondata da Labeone. Non ci furono

sostanziali differenze fra le due scuole, tanto che si pensa che l’appartenenza all’una o all’altra si

 basavano solo su simpatie e conoscenze personali. Le differenze furono del tutto eliminate da

Salvio Giuliano, sabiniano di particolare autorevolezza.

A. Scuola Sabiniana.• Ateio Capitone: de iure  pontificio, e i libri coiectaneorum, con pareri e congetture.

• Masurio Sabino: liber  tres iuris civilis.

• Cassio Longino: occupò cariche di prestigio, esiliato da Nerone fu riabilitato da

Vespasiano. Libri iuris civilis.

• Celio Sabino: libri ad edictum edilium curulium.

• Giavoleno Prisco: occupò cariche pubbliche e scrisse libri di responsa, quaestiones 

ed epistula.

• Aburnio Valente: i sette libri fideicommissorum.

B. Scuola Proculiana.

 Nerva padre: grande cultura ma opere perdute.• Proculo: epistula e responsa.

•  Nerva figlio: libri de usucapionibus.

• Petaso: probabilmente relatore del sc. Pegasianum, in tema di diritto ereditario.

• Celso padre: non si conoscono le opere.

• Celso figlio: implicato in una congiura contro Domiziano, fu nel consilium  principis 

di Adriano. 39 libri digestorum, dedicati al ius honorarium e alle principali leggi.

•  Nerazio Prisco: regula e responsa.

Altri giuristi autonomi furono:

• Sestio Pedio: molto sensibile al problema della sistemazione del diritto; Commenti

agli editti pretorii ed edili.

• Plauzio: riordinò i pareri dei giuristi.

• Aristone: opere di commento a Sabino e Cassio.

4. La giurisprudenza da Adriano a Commodo.

 Nell’età fra Augusto ed Adriano Salvio Giuliano  risolse la controversia fra i Sabiniani e i

Proculiani; inoltre pare che Adriano gli affidò un’opera di codificazione dell’editto dei pretori:

doveva diventare la redazione definitiva, non più annuale, ma perpetuo. Quest’opera non ci è

giunta, ma nonostante qualche autorevole dissenso, non ci sono molti dubbi sulla sua reale

esistenza.

• Cecilio Africano: Quaestiones.

Sestio Pomponio: Commenti alle opere di mucio e Masurio Sabino, scrisse una storiagiuridica di Roma liber   singulares enchiridii.

• Gaio: Giurista di cui non conosciamo neanche il vero nome, ebbe molta fortuna fra i

suoi successori. La sua maggiore opera sono le institutiones, che trattano di persone

cose materiali ed immateriali ed azioni. Ancora scrisse commenti ad opere di Mucio

e a lui sono attribuite le res cotidianae, una semplificazione delle institutiones.

• Ulpio Marcello: libri digestorum.

• Cervidio Scevola:libri digestorum, di regulae, quaestiones e responsa.

• Papirio Giusto: libri  costitutionum, con le costituzioni di Lucio Vero e Marco

Aurelio.

5. Giuristi e principe.Agli albori del principato si delinea la figura del giurista Antistio Labeone: contrario al nuovo

assetto istituzionale, attua però importanti rinnovamenti. Da lui in poi i giuristi diventano leali

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collaboratori degli imperatori, ricevendo in cambio protezione e preminenza per le fonti

giurisprudenziali. Bisogna però anche tenere presente la posizione di Sabino, che negava diretto

valore giuridico alle regulae emanate dai giuristi, che dovevano provenire dallo ius e non

diversamente.

Durante il regno degli Antonini lo sviluppo del diritto fra potere e giurisprudenza apre nuove

strade:nell’età di Adriano tutto lo sviluppo è teso al conseguimento della pax romana eall’eternitas imperii.

E’ in questo contesto che la giurisprudenza compie ulteriori passi, riconoscendo alle costituzioni

dei principi tutta l’importanza della fonte di produzione. La collaborazione fra giurisprudenza e

 potere imperiale si deve però alla cancelleria.

6. La giurisprudenza dell’età dei Severi.

La tendenza universalistica si acutizza nell’età dei severi: l’avvenimento contingente si ritrova

nell’emanazione della costitutio antoniniana, con cui Antonino Caracalla, nel 212, concede la

cittadinanza a tutti gli abitanti dell’impero.

Il ruolo del principe è determinante: ciò che egli dispone e fa costituisce il diritto. Anche il ruolo

dei giureconsulti cambia: infatti essi non sono più diretti produttori di norme, ma sono piuttostointerpreti e burocrati.

• Papiano: prefetto del pretorio per Settimio Severo, fu però condannato a morte da

Caracalla. Scrisse libri di digesta e responsa, definitiones e adulteriis, commentando la

legge Giulia sull’argomento.

• Ulpiano: fu prefetto del pretorio per Alessandro Severo; scrisse opere casistiche e

didattiche, ma le più importanti furono quelle monografiche di diritto pubblico.

• Paolo: ebbe una lunga carriera politica, fino a diventare prefetto del pretorio per

Alessandro Severo. Scrisse opere di vario genere, commenti ad autori precedenti e a

leggi, opere monografiche soprattutto in tema di diritto ereditario.

Giuristi di modesta levatura che bisogna ricordare sono:• Callistrato: diritto fiscale e cognitio extra ordinem.

• Trifonino: commento a scevola.

• Marciano: la sua opera più importante è un libro di institutiones, che si differenzia per le

sue finalità: sotto l’influsso della costitutio antoniniana Marciano cerca soprattutto di

chiarire i punti di più difficile applicazione del diritto provinciale agli stranieri.

• Marcellino: nelle sue opere si dedica alla divulgazione del diritto fa gli stranieri; scrive

 pandectae, regulae e differentiae in lingua straniera.

Con il tramonto dei giuristi severiani si trasforma il ruolo dei giureconsulti, sempre più tesi

all’inserimento nella burocrazia imperiale.

Il diritto prodotto dai comizi, dal senato, dai magistrati,dal principe.

1. L’ultima produzione legislativa dei comizi.

Durante l’età del principato un ruolo dominante viene assunto dalla giurisprudenza; tuttavia essa

non è la solo fonte, visto che si va affermando sempre di più la cognitio del pretore, e poi in modo

maggiore quella del principe. L’età di augusto fu l’ultimo momento di vitalità della produzione

legislativa, considerato che successivamente solo sotto Nerva si ebbe qualche provvedimento in

materia agraria.

Augusto attuò una serie di provvedimenti legislativi:

• Leges Fufia Caninia, Aelia Sentia et Iunia Norbana, sulla regolamentazione delle

manumissioni;

• Provvedimenti legislativi portarono all’acquisizione del titolo di Augusto, alla nomina del

 praefectus Aegypti;

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• Due leges Iuliae iudiciariae misero le basi del processo criminale ed abolirono

definitivamente le legis actiones.

2. La produzione normativa del senato.

Con lo scemare dell’attività normativa dei comizi, andò aumentando l’attività del senato nella forma

dei senatusconsulta: se inizialmente già  era riconosciuto il loro carattere vincolante, ora essidivenivano veri e propri atti di normazione. Come testimoniano anche giuristi come Pomponio e

Ulpiano, l’imperatore faceva ius in  senatu e cum  senatu: questo vuol dire che, considerata la svolta

autoritaria che aveva assunto il governo, le proposte del principe erano accettate sempre, e, una

volta preso il nome dell’imperatore, venivano emanate come senatusconsulta a carattere normativo.

La sfera di influenza, pur con interventi in altri campi del diritto, si svolgeva soprattutto nel campo

 privatistico.

3. Cognitio  praetoris e diritto prodotto dai magistrati.

Lo sviluppo del diritto ha portato ad una modificazione del ruolo del pretore: non era una modifica

 palese, ma solo un modo di mettere in rilievo un ordinamento, relegando in secondo piano quello

già esistente. Il diritto pretorio nasce quindi per stratificazioni successive, nell’opera dei vari pretorie nella redazione degli editti che essi emanavano di anno in anno. L’editto, prima della

codificazione probabilmente in età adrianea, si presentava come un documento in continua

formazione,che poteva essere continuamente modificato a seconda della sopravvenienza di nuovi

casi, che certo però non era portatore della certezza del diritto. E’ proprio per questa esigenza, e

anche per capillarizzare e rendere efficiente una burocrazia che doveva reggere un impero

mondiale, che Salvio Giuliano codificò l’editto del pretore: era questo il suo tramonto, al quale fu

sostituito dalla cognitio principis.

4. Il potere normativo imperiale.

A. Il fondamento.  Gaio definisce Costitutio i vari atti normativi del principe e la loro

estensione nello spazio e nel tempo. I segni dell’ attività normativa imperiale si trovano

nell’emanazione di edicta, decreta, epistula, rescripta, mandata. L’evoluzione del sistema

normativo si deve fondare su quella che lo stesso Augusto nelle res gesta ha chiamato

auctoritas, che va a creare delle diverse priorità nella produzione del diritto. 

B. Le forme della sua estrinsecazione. La forma che più delle altre si può avvicinare a quelle

magistratuali è sicuramente quella degli editti, che peraltro si differenziano molto da quelli

dei pretori: innanzitutto, perchè essi erano limitati nello spazio e nel tempo, cosa che non

avviene per quelli imperiali, e poi essi erano solo un programma di giurisdizione, mentre

quelli del principe sono astratti e si applicano a tutti i cittadini.

Il decretum contiene una sentenza emanata in primo grado dal tribunale imperiale, o, più

frequentemente, una sentenza di appello a quella di un altro tribunale, che va ad esseresemplicemente confermativa, o esplicativa, nel caso di pronunce oscure. L’epistula invece è

una lettera che viene inviata dall’imperatore a chi ha richiesto un suo intervento e chiede di

verificare la conformità della decisione ai fatti. Il rescriptum è una risposta ad una richiesta

avanzata da un privato, e mette fine ad una questione che è posta davanti ad un tribunale

non imperiale. Né il rescritto, né l’epistola avevano efficacia al di là del caso concreto: ciò

avveniva solo grazie all’attività della giurisprudenza. Il rescritto, com’è ovvio, superava in

autorità le pronunce del magistrato che doveva ovviamente conformarvisi.

I mandata  non vengono considerati fra queste fonti, soprattutto per il diretto legame che

c’era fra colui che l’emanava e il destinatario: esse erano istruzioni che l’imperatore inviava

a coloro che erano a lui gerarchicamente subordinate. Inoltre un aggiornamento delle fonti

non ha alcuna valenza, fatto salvo il principio quod principi placuit, legis habet vigorem.

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C. La durata delle statuizioni. Editti: efficacia perpetua, contenendo precetti generali.

Decisioni giurisprudenziali (rescripta, epistula, decreta): efficacia perpetua solo dopo

l’opera di interpretazione.

Considerazione a parte devono essere fatte sull’incidenza della damnatio memoriae e della

rescissio  actorum  sulle costituzioni. In generale, nel passaggio da un imperatore al suo

successore, si consideravano ancora vigenti i suoi provvedimenti: in primo luogo per unaserie di riferimenti ad editti di imperatori precedenti; in secondo luogo una serie di casi di

abrogazioni e poi delle citazioni fatte dai giuristi riguardo agli atti dei principes, utilizzando

il plurale. Riguardo invece ai benefici e ai privilegi, il momento di incertezza dei

concessionari quando c’era il passaggio da un imperatore all’altro veniva risolto dagli

imperatori singolarmente: Tito e Domiziano li confermarono tutti, mentre Nerva fece il

contrario.

5. Cognitio  principis e diritto prodotto dai funzionari imperiali.

 Nella fase più tarda del principato, avviene una sostituzione dei ruoli, in quanto il principe, come

tribunale di secondo grado, subentra al pretore nella funzione giurisdizionale. Gli imperatori

cominciarono così ad intervenire nell’ordo iudiciorum privatorum in secondo grado, per tutelarerapporti rimasti estranei alla sfera dell’ordinamento, oppure per assumere in primo grado la

giurisdizione di una lite. L’imperatore, partendo dai suoi interventi sui singoli casi, cercò però di

tendere ad un ordine superiore.

La repressione criminale.

1. Repressione criminale e pax deorum in età arcaica.

 Nell’età arcaica è difficile parlare di diritto criminale, in quanto esso non si distingueva ancora dalla

sfera religiosa del  fas. Reazioni primitive alla commissione di crimini si può riscontrare nella

necessità di mantenere la cosiddetta pax deorum, cioè il costante buon rapporto con le divinità, da

cui per altro dipendeva ogni sfera della vita.

2. Classificazione degli scelera e pene sacrali.

La classificazione si fa innanzitutto fra scelera expiabilia (  per esempio il divieto delle concubine di

toccare l’ara di giunone, per cui si doveva sacrificare un’agnella. )  e  scelera  inexpiabilia(  per

esempio la violazione dei doveri di fedeltà fra patrono e cliente ): per i primi basta, per l’espiazione,

il sacrificio di un animale come  piaculum, offerta espiatoria.; per i secondi invece il reo deve

rispondere direttamente con la propria persona, tramite la consecratio o tramite l’uccisione rituale,

il deo necari.

Mentre per la consecratio il reietto viene abbandonato dalla comunità e ucciso poi senza nessunrituale, diversa è la questione per il deo necari: si segue un diverso rito a seconda del crimine (chi

uccide il proprio padre viene sacrificato con la poena cullei, cioè viene gettato in un fiume chiuso in

un sacco con animali rituali.).

3. La perduellio.

Il reato di perduellio consisteva nell’alto tradimento contro la comunità cittadina; esso veniva

 punito con la  suspensio  all’arbor   infelix, preceduta dalla fustigazione. La sua origine viene fatta

risalire all’uccisione della sorella da parte dell’Orazio superstite, mentre la punizione sembra

comunque non permeata da quell’alone di religiosità che pervade le altre pene.

4. La repressione dell’omicidio.Un crimine a cui viene data una certa importanza è l’omicidio. Si tramanda una legge risalente a

 Numa Pompilio che divide due ipotesi di omicidio:

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• L’omicidio commesso con dolo, cioè volontario, per il quale la legge prevedeva un generico

 paricidas esto, epressione controversa, che pare regolasse però l’esercizio della vendetta.

• L’omicidio colposo, commesso per imprudenza, per cui la legge prevedeva il sacrificio di un

ariete, davanti a tutto il popolo.

Già dall’emanazione della legge numana si riscontra un orientamento verso le future previsioni

riguardanti questo argomento, soprattutto nell’ambito della distinzione fra omicidio doloso ecolposo. Anche coloro che sono coinvolti nel giudizio, saranno poi gli stessi dell’età repubblicana.

5. La vendetta privata.

In questa età l’ordinamento cittadino lascia largo spazio alla vendetta privata, non lasciando

comunque questa sfera priva di qualunque regolamentazione, per evitare pericolosi eccessi. Alcune

di queste fattispecie divengono poi fonte di obbligazione e di pene patrimoniali, mentre per altre è

 prevista la legge del taglione.

6. Crimini contro la sicurezza militare della civitas.

Sono quelli che mettevano in pericolo la sicurezza militare della civitas, come per esempio il

tradimento. Essi venivano puniti, senza rituali sacrali, dal re esercitando il suo imperium. Questodipende dalla necessità di operare contro questi crimini in maniera repentina, cosa che il resto delle

 pene rituali non poteva garantire.

7. La repressione criminale in età repubblicana: centralità della provocatio ad populum.

Il passaggio dalla monarchia alla repubblica è segnato da limiti legislativi posti al potere in materia

di repressione criminale:

• Lex Valeria de provocatione, 509: no alla pena di morte senza provocatio.

• Lex Valeria Horatia, 449: no alla creazione di magistrature senza provocazione.

• Lex Valeria, 300: che, rafforzando il contenuto della prima, considerava cosa indegna

condannare a morte senza provocazione.Con lo strumento della provocatio i patrizi potevano far dipendere le condanne a morte da

un’assemblea che essi controllavano; nella stessa prospettiva devono poi vedersi le leggi sacrate,

determinate dalla plebe, per chiunque impedisse ai tribuni di svolgere la loro azione di difesa. Così

ai comizi centuriati sarà attribuita la facoltà esclusiva di irrogare la pena capitale, soprattutto per

reati politici, mentre ai concilia tributa plebis sarà attribuita la competenza a giudicare su processi

multatici.

I limiti di applicazione della provocatio saranno poi superate da tre leges  Porciae, che la estesero

anche alla sola fustigazione, all’interno del pomerio, ovviamente solo per i cittadini, e anche per i

militari nei confronti dei comandanti.

8. La qualificazione giuridica della provocatio ad populum.La provocatio non può essere qualificata come un diritto di appello, ma semplicemente come

opposizione all’indiscriminato imperium e alla connessa coercitivo, cioè il potere di giudicare senza

alcun processo e dunque in via amministrativa.

9. La procedura dinanzi alle assemblee popolari.

Dopo la lex Valeria del 300 la provocatio divenne in una certa misura automatica. L’accusa veniva

 portata davanti ai comizi da collaboratori dei consoli, i questores parricidii, e poi anche dai tribuni;

il magistrato convocava l’accusato, comunicandogli i motivi, e lui doveva fornire dei garanti per la

sua comparizione.

 Anquisitio: era l’istruttoria, fatta in tre riunioni informali dell’assemblea che doveva decidere, per

discutere il caso. L’ultima riunione, fatta dopo almeno un trinundinum, era formale e, senza altrediscussioni, si passava alla votazione, fatta prima oralmente, poi su tavolette cerate.

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L’accusato poteva sottrarsi alla pena capitale allontanandosi da Roma, a cui seguiva l’ interdictio 

aqua et  ignis, con confisca dei beni, perdita della cittadinanza e divieto di tornare a Roma.

10. Il problema della repressione criminale senza ricorso al processo comiziale.

Si ci è spesso chiesto come i comizi potessero amministrare tutta la giurisdizione criminale, anche

quando vi fu un grosso aumento demografico; sono state avanzate una serie di ipotesi per trovareuna soluzione al problema: si è fatto riferimento all’amministrazione dei questores parricidii o di

magistrati minori. In ogni caso si sono posti due ordini di obiezioni:

• Le fonti sono incerte sul problema, per cui non si può mettere un punto fermo che metta in

discussione l’esclusività delle pronunce popolari riguardo alla pena di morte;

• Spesso la repressione di alcuni crimini, come per esempio la rapina, era lasciato

all’iniziativa dell’offeso, alleggerendo di gran lunga la mole dei reati.

Questo tipo di considerazioni riduce comunque molto l’entità del problema. C’è da dire che, per i

reati più gravi, era prevista la carcerazione preventiva, che non richiedeva un limite di tempo per la

convocazione dei comizi. Cosicché per i cittadini meno abbienti poteva capitare di terminare i

 propri giorni in attesa della condanna.

11. La crisi del processo comiziale e le questiones extraordinarie.

Il ricorso al giudizio popolare aveva comunque delle controindicazioni, in quanto perché c’era il

rischio che all’ultima riunione, quella delle votazioni, partecipassero persone diverse da quelle che

conoscevano già il caso, e poi il giudizio su determinate fattispecie presupponeva una certa

conoscenza tecnica. In più questo tipo di giudizio era inviso alla classe senatoria, che sempre più

frequentemente cominciò ad ingerirsi per questioni particolarmente importanti, spesso di rilevante

 peso politico. Si parlò in questo caso di quaestiones extraordinarie, nel senso di indagini particolari

affidate, in base ad un senatusconsulta, a speciali commissioni. Il primo caso, a carico di un

senatore accusato di ruberie, si ebbe nel 171 e costituì il modello per tutte le altre.

12. Le quaestiones perpetuae.

 Nel 149 aC fu emanata una lex Calpurnia de repetundis, che stabilì il carattere permanente della

corte che doveva giudicare i reati di malversazione dei governatori: era ancora una repressione

di stampo privatistico, basata sul sacramentum. Più tardi i reati di malversazione furono sottratti

alla repressione privatistica e furono sotto posti al giudizio di un tribunale permanente composto

da giurati dell’ordine equestre e presieduto da un magistrato; ovviamente la composizione della

giuria era una questione delicata soprattutto per i reati di natura politica: i senatori prediligevano

giurati del proprio ordo, mentre i populares preferivano i cavalieri.

In seguito una legge fatta votare da Caio Gracco stabilì che i tribunali perpetui atti a comminare la

 pena di morte dovessero essere votati dal popolo, unico organo che aveva la competenza di stabilire

la pena capitale.Silla diede un contributo fondamentale per lo sviluppo delle corti permanenti, emanando una serie

di leggi istitutive anche di nuove corti per diversi reati. Dopo Silla ci furono numerosi interventi

riguardo alle quaestiones perpetuae, che furono messi in atto da Cesare e da Pompeo. La definitiva

riforma fu invece fatta da Augusto nel 17 aC con la lex  Iulia iudiciorum  publicorum; fu stabilito che

le corti potevano funzionare nei confini di Roma e per i crimini connessi a Roma, mentre nelle

 province si lasciò il sistema della provocatio; nei municipi e nelle colonie invece furono istituite

delle corti, di cui non si sa se avessero competenza generale o particolare.

13. La procedura innanzi alle quaestiones perpetuae.

Ogni legge istitutiva di una quaestio stabiliva anche tutta la procedura per il singolo crimen, anche

se d’altronde essa era simile per tutti.Innanzitutto l’accusatore si presentava davanti al magistrato per farsi riconoscere la facoltà di

accusare, e a questo punto il magistrato registrava la causa nel registro dei processi; prima del

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dibattimento si formava la giuria, da cui accusato e accusatore potevano eliminare i membri che non

erano di loro gradimento. A questo punto si presiedeva alle arringhe di accusa e difesa, e poi

all’escussione dei testimoni, che venivano interrogati prima dalla parte che li aveva presentati e poi

dalla controparte. A questo punto la giuria votava: se non raggiungeva la maggioranza, si ritornava

al dibattimento. La giuria aveva la possibilità di scegliere fra la dichiarazione di reo o innocente,

senza poter influire sulla pena. Un correttivo al carattere accusatorio del processo viene dal fatto chese l’accusatore era tacciato di calunnia, era costretto a subire la stessa condanna eventualmente

 prevista per l’accusato.

14. Cenni sulle caratteristiche della repressione criminale nel principato.

Con l’avvento dell’età del principato anche la repressione criminale si innovò: fu introdotta una

cognitio extra ordinem, i cui protagonisti erano il senato, il principe e i funzionari ; vennero

aggiunte nuove pene, talvolta molto efferate.

15. Diritto e processo criminale in età augustea.

L’assetto definitivo abbiamo detto che fu dato da Augusto: egli previde questiones perpetuae per

molti crimini, per esempio per il peculato, per l’ambito (cioè il broglio elettorale) ecc…In particolare, nell’ambito di restaurazione anche morale perseguita dal principe, bisogna ricordare

la legge sull’adulterio: la congiunzione con donna sposata o anche nubile ma di condizione onesta

venne considerato come un crimen, punito dal marito o dal padre della donna con la morte se erano

colti in flagrante. Ovviamente l’adulterio del marito non veniva punito.

16. La cognizione criminale del principe.

Già all’inizio del principato fu riconosciuto all’imperatore la facoltà di giudicare i crimini: il suo

fondamento si ritrova nelle funzioni magistratuali assunte del principe o da una concessione della

legge de imperio. Sta di fatto che comunque il principe andò via via sostituendosi alle procedure

normali. Al principe si affiancò poi un consilium, che col tempo fu composto da giuristi importanti

che lo aiutavano nel giudizio; si ebbe poi anche la giurisdizione di secondo grado, come appello per

altre sentenze. Questa a partire da Claudio divenne la procedura principale nell’amministrazione

della giustizia criminale.

17. La cognizione criminale dei funzionari imperiali.

Invalse la prassi di assegnare una cognitio extra ordinem ai governatori per amministrare la giustizia

criminale nelle proprie province: essa divenne poi generale nell’età dei severi. A roma e nel raggio

di cento km la giustizia criminale fu amministrata dal praefectus urbi, che man mano andò a

sostituire le questiones perpetuae; limitate funzioni giudiziarie furono affidate al praefectus vigilum

e praetorium.

18. La cognizione criminale del senato.

Al senato, in virtù della competenza assegnata all’imperatore, fu data la facoltà di giudicare,

soprattutto coloro che appartenevano all’ordine senatorio. Il principe aveva comunque la possibilità

di avocare a sé la competenza della questione, quando lo ritenesse opportuno. Dopo il II secolo la

cognizione senatoriale va svanendo.

19. Gli interventi normativi dell’imperatore e del senato. Il ruolo dei giuristi.

Le innovazioni nel campo criminale si debbono in grossa misura all’attività degli imperatori: essi la

operavano non tanto con costituzioni generali, ma soprattutto con la risoluzione di casi singoli. Un

forte contributo fu dato dal senato, che tramite i senatusconsulta introduceva nuove fattispecie di

reato degne di repressione. In ultima analisi anche i giuristi diedero un contributo allo sviluppo dellagiurisdizione criminale, anche se il loro apporto non fu paragonabile a quello dato in campo

 privatistico.

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20. Le caratteristiche della cognitio extra ordinem criminale.

Esso è un processo inquisitorio, a differenza delle questiones perpetuae che avevano un fondamento

accusatorio. Le misure previste per gli accusatori di falso furono estese in questo processo anche ai

delatori, anche se la natura inquisitoria non subì cambiamenti. Tutta la cognizione era affidata al

funzionario, che compiva le indagini preliminari e aveva piena libertà di iniziativa probatoria; poteva variare ola pena con una certa elasticità, a seconda dei vari criteri usati per giudicare.

21. Le pene.

Le pene col passare del tempo divennero sempre più crudeli e efferate: fu prevista anche per i

cittadini la crocifissione, la vivicombustione, o la lotta con le belve nell’arena. Il carcere continuò

ad essere considerato come pena accessoria preventiva per evitare la fuga e l’inquinamento delle

 prove. Pene meno gravi erano l’esecuzione di opere pubbliche o la deportazione che implicava a

volte la perdita della cittadinanza e la confisca dei beni. Erano poi previste pene accessorie come la

flagellazione, e la confisca era lasciata alla discrezionalità del giudicante. Ciò che salta di più agli

occhi è che la crudeltà delle pene derivava soprattutto dalla condizione del reo: le pene più atroci

erano di solito inflitte agli humiliores.

22. La repressione criminale nell’età tardoantica.

 Nell’età tarda l’amministrazione della giustizia va sempre di più d identificarsi con la complessa

 burocrazia imperiale. Nelle province amministra il governatore, a Roma e Costantinopoli il

 praefectus urbi: si può poi fare appello al vicario della diocesi e al prefetto del pretorio, le cui

decisioni erano appellabili solo in casi particolari con una  supplicatio  all’imperatore. Da questi

 pochi dati si rileva la grossa complessità del sistema, reso ancor più farraginoso dai cd fori

 privilegiati per senatori, militari, funzionari ecc….

Il funzionario sottoponeva a giudizio l’imputato, senza neanche un’accusa; il processo non era più

 pubblico, tranne per la pronuncia della sentenza. Si fece largo uso della tortura, a cui erano sottratti

solo gli honestiores; le prove erano a carico del giudicante e non era possibile alleggerire o

appesantire le pene, concepite in modo rigido. Non ci fu una grossa innovazione delle fattispecie dei

reati, che rimasero pressoché gli stessi dell’età tardorepubblicana.

23. L’età giustinianea.

 Nella compilazione Giustinianea si trovano due libri, i libri terribiles, che trattano di repressione

criminale: essa assume un’importanza certamente inferiore rispetto alla materia privatistica, e

comunque i compilatori non si discostano molto dalla tradizione precedente tardoantica. Il

cristianesimo porta certamente delle novità, soprattutto nella concezione di nuovi crimini di tipo

religioso.