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    TR A N S E U R O P A

    EDIZIONI

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    p i e r p a o l o p a s o l i n i

    l a d i v i n a m i m e s i s

    TRANSEUROPA

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    ARNOLDOMONDADORIEDITORESPA, MILANO EDIZIONESULICENZA PIERVITTORIOEASSOCIATI, TRANSEUROPA, MASSALANOTAALADIVINAMIMESIS APPAREPERGENTILE

    CONCESSIONEDELLAUTOREWALTERSITI

    WWW.TRANSEUROPAEDIZIONI.ITISBN

    COPERTINA: IDEAEPROGETTOGRAFICODIFLORIANEPOUILLOTINCOPERTINA: AUTORITRATTODIPIERPAOLOPASOLINIINIIEIIIDICOPERTINA: DATTILOSCRITTIORIGINALI

    CONCORREZIONIAUTOGRAFEDIPIERPAOLOPASOLINI

    INAUDITABIG

    La collana si propone di mostrareil laboratorio segreto dei Big della narrativa italiana,

    presentando materiali che si discostano dallaproduzione con cui lAutore conosciuto.Ogni libro corredato di contenuti extra

    che completano e articolano la lettura con lesperienzamultimediale attraverso lespansione on line.

    NELLASTESSACOLLANA:Fabio Geda,La bellezza nonostante

    Marcello Fois, Federico Garca Lorca, Nozze di sangueCarlo Lucarelli,Via delle OcheTiziano Scarpa,Lultima casa

    Valerio Evangelisti,Linquisitore e i portatori di luceAldo Nove,Mi chiamo Roberta, ho quarantanni, guadagno

    duecentocinquanta euro al mese

    PROSSIMEUSCITE:

    Vincenzo Cerami, Sua Maest (gennaio )

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    La Divina Mimesis esce da Einaudi nel novembredel . Pier Paolo Pasolini non ha fatto in tempoa vedere il volume, ma il testo pubblicato allora,che qui ripresentiamo, era stato inviato alleditore

    dopo la correzione delle bozze fatta personalmentedal poeta. In una intervista apparsa postuma su LaStampa, il novembre , Pasolini ricostruisce lagenesi dellopera: unidea che risale al , mafinora non sono riuscito a trovare la chiave giusta.Volevo fare qualcosa di ribollente e magmatico, ne uscito qualcosa di poetico comeLe ceneri di Gramsci,

    anche se in prosa. Per questo pubblico i primi duecanti: a un Inferno medievale con le vecchie pene sicontrappone un Inferno neocapitalistico. Ma siamo,per il momento, al mezzo del cammin di nostravita, allincontro con le tre fiere, eccetera. Alla

    Divina Mimesis, in effetti, lautore ha messo manoin momenti diversi (nel , , , , ),ma solo nel decide di pubblicare quello che ha

    scritto fino a quel momento, presentando il librocome documento. (NdR)

    NO

    TA

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    la divina mimesis

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    La Divina Mimesis: do alle stampe oggi questepagine come un documento, ma anche per faredispetto ai miei nemici: infatti, offrendo loro unaragione di pi per disprezzarmi, offro loro una ragio-

    ne di pi per andare allInferno.Iconografia ingiallita: queste pagine vogliono ave-

    re la logica, meglio che di una illustrazione, di una(peraltro assai leggibile) poesia visiva.

    []

    PREFAZIO

    NE

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    i primi canti della divina mimesis

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    Intorno ai quarantanni,mi accorsi di trovarmi inun momento molto oscuro della mia vita. Qualun-que cosa facessi, nella Selvadella realt del ,anno in cui ero giunto, assurdamente impreparato a

    quellesclusione dalla vita degli altri che la ripeti-zione della propria, cera un senso di oscurit. Nondirei di nausea,o di angoscia:anzi, in quella oscu-rit, per dire il vero, cera qualcosa di terribilmenteluminoso: la luce della vecchia verit, se vogliamo,quella davanti a cui non c pi niente da dire.

    Oscurit uguale luce. La luce di quella mattinata

    daprile (o maggio, non ricordo bene: i mesi in questaSelva passano senza ragione e quindi senza nome),quando arrivai (il lettore non si scandalizzi) davantial cinema Splendid (o Splendore? o Smeraldo? Sodi certo che una volta, invece, si chiamava Plinius:ed era uno di quelli dei tempi meravigliosi e nonlo sapevo quando i mesi erano veri, lunghi mesi, ein ogni mio atto sia pure arbitrario, puerile o col-

    pevole era chiaro che stavo facendo esperienza diuna forma di vita allo scopo di esprimerla). Una luceche gli uomini conoscono bene, in primavera, quan-do compaiono i primi i pi allegri, i pi cari deiloro figli con le maglie leggere, senza giacca; e per

    . Questa e le seguenti note, poi, non sono pi statescritte.

    CANTO

    I

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    p i e r p a o l o p a s o l i n i

    lAurelia Nuova se ne vanno chiotte e leggere coimusi bassi come topi attratti da loro stupendi odorilontani le Seicento delle famiglie borghesi di Roma,verso le prime merende sui prati, verso le aie con irecinti di canna e i glicini, gi verso il nebbioso, ma-culato Appennino

    Una luce felice e cattiva: tra i due portali del ci-nema, ecco laggi, appena svoltato con la mia mac-

    china da un lungo viale cui sera ridotta lAurelia Viale Gregorio VII, mi sembra tra una fiera di ben-zinai radi al sole, e il mercatino coperto, in fondo,con le sue piccole tettoie verdi ecco laggi qualco-sa di rosso, di molto rosso, un altarino di rose, comequelli che allestiscono mani fedeli di donne vecchie,nei diseredati paesi umbri o friulani o abruzzesi,vecchie come furono vecchie le loro vecchie, volon-terose a ripetersi nei secoli. Un altarino goffo, ma asuo modo festoso, un fitto di rose rosse che non sa-prei descrivere: e, quando fui vicino, tra quelle roserosse, scorsi il ritratto, doppiamente funereo, per-ch era quello di un uomo morto due giorni prima,di un loro eroe; di un nostro eroe. Gli occhi a fioredella pelle, sotto la fronte calva (una calvizie piena

    di dolcezza di adolescente lievitato dal bene dellavita). La luce era l, che illuminava rose e ritratto, ebandiere intorno, forse, affastellate, nellumilissimasolennit popolare (opera delle mogli degli iscrittidella sezione del Forte Boccea? o degli iscritti stes-si, autisti o muratori, con le loro grosse mani intimi-dite ma ispirate in quellopera di rose?).

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    Tutto ci tra i portali di questo cinema Splendid:scintillanti, la sera, ora impoveriti dalla luce, da que-sta luce. Miseri portali di vetro e metallo: ed ecco lamillesima, la miliardesima stretta al cuore, linteneri-mento, lillanguidimento, la lacrima. Anche la consta-tazione della miseria del poco lusso, aveva il potere distraziarmi.

    Ed essi erano l, ad attendere me, con un vecchio

    senatore, con un nuovo candidato alla Camera: nerie scuri, come i contadini che vengono in citt per gliaffari, e si radunano tutti in una piazza, che nereg-gia, della loro solennit, in quellaccecante vuoto chelestate imminente sta preparando tra palazzi e vicoli.E i saluti, le strette di mano, gli sguardi di intesa epretesa.

    E adesso erano raccolti, nelle file della platea, che,anchessa, stringeva il cuore, in quella luce mattuti-na (la luce dei magazzini, dei solai, dei viali, non deicinema) in quella sala dallo splendido nome e cheera lo splendido ritrovo del loro angolo di quartiere,nella lunga serie di notti in cui marcia, senza bandie-re, la vita.

    Dava a tutti loro, a tutti noi, allegrezza, intanto, il

    fatto che diciotto nuovi ragazzi si erano iscritti, dopoun comizio del partito al governo, al nostro partito:quellallegrezza che come quella delle bevute in co-mune, unallusione al verificarsi, fatale, di certi fattiil cui accadere era stato insieme sperato e insiemeseguito, e ora insieme salutato come un successo: equel successo mi stringeva il cuore.

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    La cerchia era rivolta al centro di se stessa, esclu-deva il mondo.(Che era l, fuori, come la calotta semiaperta sul

    soffitto dello Splendid dimostrava con chiarezzalampante: un azzurro di seta, appenninico, con ariadi mare.)

    Il palco degli anni quaranta; le bandiere degli anniquaranta; il microfono degli anni quaranta: tutto tra-

    ballante, di legno vecchio, di magazzino, inchiodatocon quattro colpi di martello, e ricoperto di poverastoffa rossa. Che stringeva il cuore!

    Oscurit su oscurit. Io ero l, di fronte a deglioperai: vestiti a festa, di scuro i padri, i figli conmagliette chiare del rosso melograno, del giallocanarino, dellarancio dorato, che erano di modaquellanno : ecco l la faccia dello sdentato, depu-tato alle certezze come un tifoso col suo cucciariello;la nota umoristica che rende quotidiana la fede: ilsuo posto al centro della platea, e la sua sedia sem-bra la pi alta di tutte. Quando batte le mani, con labocca sdentata che si apre in un tradizionale sorriso, il segno che si deve battere le mani: e allegramente.La cerchia rivolta verso quel suo centro pieno di

    certezza: il mondo fuori, radioso e indifferente. E ilcuore straziato.Sono qui, dunque: a annoverare come unico dato

    buono del mondo in cui storicamente sperimentoil fatto di vivere lesistenza di questi operai (chestringe il cuore).

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    Ah, non so dire, bene, quando incominciata:forse da sempre. Chi pu segnare il momento in cuila ragione comincia a dormire, o meglio a desiderarela propria fine? Chi pu determinare le circostanzein cui essa comincia a uscire, o a tornare l dove nonera ragione, abbandonando la strada che per tantianni aveva creduto giusta, per passione, per ingenui-t, per conformismo?

    Ma come giunsi, in quel mio sogno fuori dalla ra-gione di breve durata, e cos definitivo per il restodella mia esistenza (cos almeno immagino) ai piedidi un Colle, in fondo a quella orribile Valle chemi aveva talmente riempito il cuore di terrore per lavita, e per la poesia guardai in alto, e vidi, lass incima, una luce, una luce (quella del vecchio sole rina-to) che mi accecava: come quella vecchia verit, sucui non c pi nulla da dire. Ma che riempie di gioiail fatto di aver ritrovata, anche se porta con s, essa s,realmente, la fine di tutto.

    Alla luce, fatale, di quella vecchia verit, mi siquiet un po langoscia: che era stata lunico realesentimento durante tutto il periodo del buio, a cui lamia strada, giusta!, mi aveva fatalmente portato.

    Come un naufrago, che esce dal mare, e si aggrap-pa a una terra sconosciuta, mi voltavo indietro, ver-so tutto quel buio, devastato, informe: la fatalit delproprio essere, dei propri caratteri natali, la pauradi cambiare, il timore del mondo: a cui a nessunofu mai possibile scampare, portando a salvamento lapropria interezza.

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    Mi riposai un poco, non pensai, non vissi, nonscrissi: come un malato: poi ricominciai a andare (la vecchia storia). Su per la scesa deserta, dove vera-mente potevo dire di essere solo.

    Solo, vinto dai nemici, noioso superstite per gliamici, personaggio estraneo a me stesso, arrancavoverso quella nuova assurda strada, arrampicandomiper la china come un bambino che non ha pi casa,

    un soldato disperso.

    Ma ecco che subito, dopo pochi passi di quel miosolitario e scoraggiato salire, eccola l, uscita dai ri-postigli comuni della mia anima (che accanitamentecontinuava a pensare, per difendersi, per sopravvive-re per tornare indietro!), eccola l, la bestia agile esenza scrupoli, cangiante come un camaleonte, cosche i suoi colori che cambiano sono sempre quellidi prima. I colori dellesterno, prima di tutto: quellitrovati nascendo, e subito oggetto di un affetto tre-mendo, che non vuol davvero vederli cambiare. Epoi quelli dellinterno, a immagine e somiglianza a

    causa dellerrore della lealt infantile e giovanile diquelli del mondo. Il colore della purezza, soprattut-to, dellaltezza morale, dellonest intellettuale ma-ledetti colori dipinti dallillusione!

    Cos, la Lonza (in cui non ebbi, subito, difficol-t a riconoscermi), con tutti quei colori che le ma-

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    culavano la pelle, non si muoveva da davanti ai mieiocchi, come una madre-ragazzo, come una chiesa-ragazzo. Anzi, per una forza terribile quella dellaverit, quella della necessit della vita mi impedivadi proseguire per la mia nuova strada scelta nonper mio volere, ma per mancanza di ogni volere esu cui non c alcun bisogno di mistificazione, perchsi soli. E io, mistificatore, anzi, sottilissimo caso di

    mistificazione, a causa dello spreco di sincerit one-stamente voluta sono stato pi volte per arrender-mi e tornare indietro nel prepotente, nello stupido,nel volgare mondo appena lasciato.

    Ma ecco farsi avanti, accanto alla Lonza, il son-no e la ferocia riuniti insieme in una sola forma diLeone; che, bench spelacchiato, fetido di stalla-tico bestiale, pigro, vile, prepotente, stupido, privodi altro interesse che non fosse il poltrire, solo, e ildivorare, solo aveva tuttavia la potenza di chi nonsa il male, essendo per sua natura soltanto bene ciin cui tutto lui stesso consiste. Dal suo essere sonnoe ferocia, egoismo e fame rabbiosa, il Leone traevauna ispirazione a vivere che lo distingueva, con vio-lenza addirittura brutale, dal mondo esterno. Che lo

    ospitava quasi tremando.Lidea di s non ha ragione: e quando si esprimedistrugge la realt, perch la divora.

    Il saper divorare d poi una certezza per cui dif-ficile impedirsi di farne uso: impedirsi di entrare, permezzo di tale scienza, nel mondo, e istallarvisi, come

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    un re, un prepotente poeta. Sia pure parzialmente,anche in quel Leone, come in uno sproporzionatosegno premonitore, io mi riconobbi.

    Ma dovevo riconoscermi ancora in qualcosa diben peggio. Dal silenzio in cui si determinazione

    incontrollabile o fenomeno che a poco a poco si for-ma, fuori dagli accaniti e ingenui ritratti che il figlioper tutta la vita offre di s venne fuori una Lupa,che si affianc alle altre due bestie. I suoi connotatierano sfigurati da una mistica magrezza, la bocca as-sottigliata dai baci e dalle opere impure, lo zigomoe la mascella allontanati tra loro: lo zigomo in alto,contro locchio, la mascella in basso, sulla pelle ina-ridita del collo. E tra loro una cavit oblunga, cherende il mento sporgente, quasi appuntito: ridicolocome ogni maschera di morte.

    E locchio secco in uno spasimo; tanto pi abiet-to quanto pi simile agli spasimi dei santi: unariditallucinata, che dove posa la sua luce pare si attacchicome colla colata dalla pupilla fatta tonda, ora trop-

    po diritta ora sfuggente; e in mezzo il naso, ingrossa-to nella pelle e nei buchi, sopra il labbro superiorequasi sparito, per consunzione: il naso umano dellabestia, che fa di se stessa una cavia delle proprie bra-me divenute, incancrenendo, sempre pi naturali.

    Quella Lupa mi faceva paura: non per ci che

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    di degradante rappresentava, ma per il solo fatto diessere unapparizione, quasi oggettiva: la definizionedi s, un ecce homo, per cos dire, dalla cui realtla conoscenza non pu in alcun modo evadere. La suapresenza era cos indiscutibile da togliere ogni spe-ranza di poter giungere mai a quella cima misteriosache intravedevo davanti a me, nel silenzio. Mi ci eroincamminato cos volentieri inaridito, senza vivere,

    senza scrivere, e tuttavia, proprio nella mancanza ditutto, se non dellabominio della desolazione, pre-so da una nuova forma di vitalit che ora, il doveraccreditare alla presenza di quella bestia senza paceuna forza insuperabile qualcosa contro cui era sem-plicemente ridicolo cercar di misurarsi mi davaunangoscia da cui ero reso impotente. Ero respintoindietro dalla tentazione di ritornarmene l dove nonsi richiede, in fondo, che di tacere.

    E mentre rovinavo gi, giustamente ridicolo perla mia antica vittoria su un mondo cui io appartenevosenza nessuna ragione di ritenermene pi alto, ormaiprivo dellautorit della poesia, e fatto ignorante dal-le lunghe frequentazioni oscurantiste, pratiche e mi-stiche, ecco che mi apparve una figura, in cui dovevo

    ancora una volta riconoscermi, ingiallita dal silenzio.

    Come la percepii in mezzo a tutta quella solitu-dine, a quel dimenticatoio, a cui mi ero ridotto, gri-

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    dai: Piet, per favore, come nei sogni, quando ognidignit va perduta, e chi deve piangere piange, chideve chiedere piet chiede piet. Guarda lo statoin cui mi trovo, guarda, anche se io non so se sei unasopravvivenza o una nuova realt!

    Ah fece, guardandomi, con una sottile ma nonnaturale ironia nei suoi occhi fatti per essere serihai ragione, sono unombra, una sopravvivenza

    Sto ingiallendo pian piano negli Anni Cinquanta delmondo, o, per meglio dire, dItalia E qui sorriseancora, ironico, leggermente nevrotico: perch era-no solo la seriet, o la passione, la possibile luce deisuoi occhi: occhi tiepidi e castani sotto lo zigomopronunciato, la guancia magra e infantile, la boccadal brutto sorriso pieno di dolcezza: tirata dal ghignodellimpaccio di chi deve farsi perdonare unanticacolpa. Cos, con quel sorriso che lo deformava, as-somigliava un po a un povero bandito scalcagnato esporco. E disse: Sono settentrionale: in Friuli natamia madre, in Romagna mio padre; vissi a lungo aBologna, e in altre citt e paesi della pianura padana come scritto nel risvolto di quei libri degli AnniCinquanta, che ingialliscono con me. E qui ebbe

    un altro sorriso di sdentato bench nessun dente glimancasse. Ma quando il sorriso, bene o male, fin ditirargli la bocca sullombra delle estremit infossatedella chiostra giallastra dei denti, unaria di ingenuanobilt gli invase tutto il volto.

    Sono nato sotto il fascismo, bench fossi quasiancora un ragazzo quando cadde. E vissi poi a lungo

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    a Roma, dove del resto il fascismo, con altro nome,continuava: mentre la cultura della borghesia squisitanon accennava a tramontare, andando di pari passo(si dice cos?) con lignoranza delle sconfinate mas-se della piccola borghesia Sorrise, sorrise ancora,come un colpevole, quasi volesse attenuare quello cheaveva detto, o volesse scusarsi per la genericit a cuiera costretto dalle circostanze, o anche dalla sua an-

    goscia.Fui poeta, aggiunse, rapido, quasi ora volessedettare la sua lapide cantai la divisione nella co-scienza, di chi fuggito dalla sua citt distrutta, eva verso una citt che deve essere ancora costruita.E, nel dolore della distruzione misto alla speranzadella fondazione, esaurisce oscuramente il suo man-dato Mi guard un momento, non pi come siguarda una vittima da aiutare, ma uno scolaro, o unintervistatore: perci aggiunse che sono desti-nato a ingiallire cos precocemente: perch la piagadi un dubbio, il dolore di una lacerazione, divengonopresto dei mali privati, di cui gli altri hanno ragionedi disinteressarsi. E poi ognuno ha un momentosolo, nella vita.

    Ebbe una goccia, ancora, di sorriso malizioso edoloroso nellocchio incapace di sorridere, quindi,con aria amica, aggiunse: Ma tu, perch vuoi torna-re indietro, in mezzo a quella degradazione? Perchnon continui a salire su di qua, solo, come sei statodestinato a essere, e come sei?.

    Lo guardai. Tanta gentilezza, tanto desiderio di pre-

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    starsi e mettersi a disposizione, in quel frangente, miconfortava. Era misero, minuto, il mio soccorritore: nonera padre, non era fratello maggiore, non aveva limpo-nenza consolatrice di chi rappresenta lautorit; potevaessere tuttal pi una guida di montagna. Ma santo cie-lo!, in una circostanza come quella, in cui la mia vitapareva implicare cielo e terra, presentandosi come unagran favola edificante addirittura unesperienza dellal

    di l, unascesa su per erte mistiche con una paradisiacaluce di sole come succede ai santi quando sono gipersonaggi delle loro canzoni sacre in una circostanzacome quella, poteva capitarmi un incontro un po mi-gliore, o almeno un po pi romanzesco! Tutto era fattoper questo, mi pareva: per presupporre una grande gui-da, venuta su lungo le vie del necessario, con lo splen-dore della poesia, dal fondo della mia storia, della miacultura. Poteva essere, ad esempio, Gramsci stesso,lui, venuto fuori dalla piccola tomba del Cimitero degliInglesi a Testaccio, con la sua schiena di piccolo, erettoLeopardi, la fronte rettangolare della madre sardegno-la, la capigliatura un po romantica degli anni venti, equei poveri occhiali dintellettuale borghese Oppure,ecco!, poteva capitarmi Rimbaud, il mio Rimbaud dei

    diciotto anni, mio coetaneo, e castratore, col suo desti-no e la sua lingua gi divini, come quelli di un classicoche fosse per bello e coperto di nastri come Alcibiade,e non per fare lamore con lui, ma per ammirarlo contutta lanima infantile Oppure, infine, poteva essereCharlot

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    Non avevo invece davanti a me che lui, un piccolopoeta civile degli Anni Cinquanta, come egli amara-mente diceva: incapace di aiutare se stesso, figurar-si un altro. Eppure era chiaro che al mondo nelmio mondo non avrei potuto trovare bench cosmisera, cos, come dire, paesana, cos timida altraguida che questa.

    Ah sei tu! dissi allora ti riconosco, ti ricono-sco! Eh e arrossii nel dirlo, non per il vizio confes-sato, ma per il fatto che, ancora una volta, mi con-fessavo ti ho molto amato. Mi sei sempre sembrato,in fondo, devo ammetterlo, il pi alto dei poeti delnostro tempo, la loro vera guida, effettivamente.Ho letto e riletto i tuoi volumi, con grande soddisfa-zione: mi valga ora, per uscire da questa impasse,ah, ah, ah risi il lungo lavoro critico operato su dite, nel segno, senza prestigio sociale, del narcisismo!Tu sei colui il cui stile stato ragione per me di affer-mazione e successo!

    Mi guardai stordito dallo spiacevole trauma ditale ennesima confessione, dal cattivo gusto della ri-petizione di una coscienza ormai senza pi novit

    mi guardai intorno: e, delle tre bestie, quella che pimi fece paura fu la Lupa dalla mistica magrezza(con la carne divorata dallabiezione della carne, feti-da di merda e sperma).

    Ho bisogno del tuo aiuto balbettai, insicurocome non lo ero stato mai in tutta la mia vita per-

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    ch questa bestia pu finire col togliermi la forza e lavolont di esprimermi. E non posso sopportare nem-meno lidea di non essere pi uno scrittore.

    Bisogna cambiare strada mi disse egli allora,con la sua spaventata saggezza, cercando di correg-gere la gravit di quanto diceva con i toni di unalingua mondana e il pi possibile banalmente seuna situazione sembra pericolosa o indegna. Con

    questa bestia la cui presenza ti fa lamentare, nonc da scherzare molto continu: sentivo la suacontinua correzione linguistica, e mi commuoveva;perch capivo che, come lironia, non era fatta perlui, campione della seriet, della passione, del rigo-re del gergo Era la litote che egli ora applicava:lattenuazione. Imparata forse nella frequentazionedei letterati suoi coetanei. In fondo, in fondo s,era un atteggiamento borghese: la paura di dire laverit nella sublimit dellespressione frontale, il bi-sogno di porgerla quasi di nascosto, con negligenza,

    parlando daltro una tenia. E tu lo sai. La ripetizione di un sen-

    timento si fa ossessione. E lossessione trasforma ilsentimento Sorrise, prendendo in giro il proprio

    tono didascalico, e precisando umilmente: Come laripetizione di una parola nelle litanie Ripetizionech perdita di significato; e perdita di significato chsignificato Esaltante Ah, ah, ah!. Lo guardavoridere nel silenzio dellabominio della desolazione,nel dimenticatoio.

    Fin la sua povera, innocente, bambina risata di

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    conoscitore dello stile, e continu mantenendosicostantemente sul tono della lingua parlata: Ripetiallinfinito la parola sesso: che senso avr alla fine?Sesso, sesso, sesso, sesso, sesso, sesso, sesso, ses-so, sesso, sesso, sesso, sesso, sesso, sesso, sesso Ilmondo diventa oggetto di desiderio di sesso, non pi mondo, ma luogo di un solo sentimento. Questosentimento si ripete, e con s ripete il mondo, finch

    accumulandosi si annulla Del mondo resta solo laproiezione miracolosa Fattasi religione, lOsses-sione, bisogna vedere con chi si sposa. Ma intanto laReligione, quella Istituita, ha fatto tutti gli sposalizipossibili. E ancora ne far qualcuno. La sua voglia senza fine; ne avr di maschi Finch ne troveruno che ce lavr cos grosso che lammazzer. Ah,ah, ah! Questo qui, cos ben dotato, non sar padro-ne di fabbriche o di catene di giornali, non possiede-r feudi nel Sud, ma le sue ricchezze saranno spiritoaziendale, capitale cartaceo, e patria plurinazionale.Ah, ah, ah! Sar lui la salvezza del mondo: che nonsi rigenerer affatto con le morti assurdamente eroi-che a cui delegata lumile giovent di sempre: i ra-gazzi di Reggioo Palermo, gli adolescenti cubani o

    algerini, Grimau

    e Lambrakis

    Egli la caccer nel.Il riferimento alla manifestazione contro il governo Tam-

    broni, avvenuta a Reggio Emilia il luglio , durante la quale lapolizia attacc i dimostranti e ci furono cinque morti. (NdR)

    . Julin Grimau fu giustiziato dal regime franchista il aprile. (NdR)

    . Grigori Lambrakis, deputato della sinistra, fu ucciso dalla po-lizia greca a Salonicco il maggio . (NdR)

  • 7/25/2019 96 Pasolini Anteprima Sito 1

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    p i e r p a o l o p a s o l i n i

    pi profondo dellInferno, da tutte le Citt dellOc-cidente dove ancora regna, al servizio di coloro chelo precedono e di cui egli sar storico erede. Per iltuo bene, ora, mi pare la cosa migliore condurti in unluogo che altro luogo non che il mondo. Oltre, ioe te non andremo, perch il mondo finisce col mon-do. Quanto alle prospettive della Speranza (per cui simuore) e ai progetti di Colui che verr, io sono pre-

    maturo alle loro leggi. Non sono dunque autorizzatoa condurti in quei due Regni: uno, appunto, sperato,laltro progettato.

    Non ho da scegliere dissi vengo con te. Eglimi guard un istante, esaminandomi, timido e duro,di scorcio, con locchio umido sopra lo zigomo con-sunto. Indi si mosse, e io gli andai dietro.