Pasolini Sade e la pittura

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EDIZIONI FALSOPIANO Mathias Balbi PASOLINI SADE E LA PITTURA PASOLINI

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Un film unico (Salò) e un'analisi dettagliata e approfondita dei suoi riferimenti pittorici e visivi.

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EDIZIONI

FALSOPIANO

Mathias Balbi è iscritto all’Ordine Nazionale dei Giornalisti e al SNCCI. Collabora da tempo

con alcuni periodici, tra i quali “Film D.O.C.”, “La Magnifica Ossessione” e “Cinergie”. Ha pub-

blicato Le ombre della psiche nel western classico (1945-1960) (Graphos, 2001) e ha par-

tecipato alle raccolte La congiura degli hitchcockiani e C’era una volta in America. Cinema,

maccartismo e guerra fredda, entrambe pubblicate da Falsopiano nel 2004.

EDIZIONI

FALSOPIANO

L’insistenza del rapporto tra immagine pittorica e immagine filmica è sempre stata argo-

mento ineludibile per gli studiosi dell’opera cinematografica di Pier Paolo Pasolini. Pen-

siamo ai saggi o alle monografie di Brunetta, Marchesini, Galluzzi e dello stesso Zigaina.(...)

Chi non conosce il tanto citato parallelismo tra il Cristo Morto di Mantegna a Brera e la ri-

presa in scurto di Ettore morente nel suo letto di contenzione in Mamma Roma? Chi non

conosce la tanto dibattuta quaestio dei prestiti figurativi esplicitati da Pasolini nei primi tre

film (il Masaccio di Accattone e Mamma Roma, la Deposizione del Pontormo in La ri-

cotta), quasi a titolo di omaggio al magistero longhiano? Ecco pertanto dispiegarsi nel pre-

sente volume (...) il tracciato completo del rapporto tra Pasolini e le arti, dall’affezione

quasi morbosa per il “colore” nei disegni di gioventù alla “fulgurazione pittorica” d’epoca

universitaria, dalla vertenza critica su una personalità controversa come quella del Ro-

manino (1485 ca.-1550 ca.) alla scoperta, sempre di ascendenza longhiana, del manie-

rismo e del barocco, nonché, per li rami, dei dispositivi della contaminazione e del

crossover (o, addirittura, della iteratività warholiana).

Dalla prefazione di Sergio Arecco

€ 19,00

Mathias Balbi

ISBN 978-88-89782-77-4www.falsopiano.com/pasolinipittura.htm

PASOLINISADE E LA PITTURA

Mathias Balbi

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FALSOPIANO CINEMA

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a mia madre

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Mathias Balbi

PASOLINISADE E LA PITTURA

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© Edizioni Falsopiano - 2012

via Bobbio, 14/b

15100 - ALESSANDRIA

http://www.falsopiano.com

Per le immagini, copyright dei relativi detentoriProgetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri - Roberto Dagostini

Stampa: Arti Grafiche Atena - VicenzaPrima edizione - Aprile 2012

Ringraziamenti

Voglio ringraziare Graziella Chiarcossi per le preziose indicazioni sui materiali d'archivio rela-tivi alle sceneggiature di Salò o le 120 giornate di Sodoma conservati presso l'Archivio con-temporaneo “A. Bonsanti” del “Gabinetto Letterario G. P. Vieusseux” di Firenze e pressol'“Archivio Pier Paolo Pasolini” della Cineteca di Bologna.In relazione ai due enti voglio ringraziare per la loro disponibilità nei miei confronti rispetti-vamente la dott.ssa Eleonora Pancani e il dott. Roberto Chiesi.Alessandra e Giuseppe Zigaina per la loro collaborazione.Il prof. Gianluca Ameri dell’Università degli Studi di Genova.

In copertina: Pier Paolo Pasolini sul set di Salò o le 120 giornate di Sodoma.

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INDICE

Prefazione

di Sergio Arecco p. 11

Introduzione p. 17

Nota p. 29

Scheda filmografica p. 31

PartE PrIma - Il ProgEtto p. 33

Capitolo Primo

Pier Paolo Pasolini. Nascita e vita p. 35

Friuli materno e Bologna paterna p. 35Parola dipinta. Poesia e pittura p. 38Alla corte di Longhi tra scuola e “fulgurazione” p. 42Una postilla. Pasolini e le riviste p. 59“Il Setaccio” (1942-1943) p. 59“Stroligut” (e Academiuta di lenga furlana, 1944-1947) p. 63“Officina” (1955-1958) p. 65

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PartE sECoNDa - Il mIstEro p. 73

Capitolo Secondo

Pasolini, sade e le arti p. 75

La “fulgurazione” e il pastiche p. 75La pittura di Pasolini. Il pastiche e l’alchimia p. 78Salò e le arti. Teatro, architettura, musica, voce, suono p. 84Teatro p. 84Architettura p. 88Musica, voce, suono p. 92

PartE tErza - la mImEsIs p. 111

Capitolo Terzo

Premessa metodologica p. 113

Fuori testo. la bibliografia e la didascalia p. 113

Balla, Boccioni, Duchamp, Léger, (Sironi) p. 117Bosch p. 133Bruegel il Vecchio p. 141Cagnaccio di San Pietro p. 145Caravaggio p. 149Casorati p. 155Daumier (e Goya) p. 160Dix (e Nuova Oggettività) p. 163Donghi p. 169

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Feininger p. 173Giorgione p. 175Grosz p. 178Kokoschka p. 182Magritte p. 183Mantegna, Masaccio, Piero della Francesca p. 186Savinio p. 197Signorelli p. 200Vermeer p. 205

Art-Déco e Liberty p. 208Arte bizantina p. 212

appendice. Due tavole fuori testo p. 215

Conclusione. Pasolini, longhi e Bacon p. 217

Immagini p. 219

Bibliografia p. 237

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PREFAZIONE

di Sergio Arecco

Se poi fotogramma, per etimo,

significa descrizione di luce e, dunque, anche d’ombra?

Di questo ci si convince rilevando che, portate in film,

le immagini del Caravaggio e della sua cerchia

sembrano girate addirittura dinnanzi a noi su corpi veri, e non dipinti.

(Roberto Longhi, Il Caravaggio e la sua cerchia, 1951)

L’insistenza del rapporto tra immagine pittorica e immagine filmica è semprestata argomento ineludibile per gli studiosi dell’opera cinematografica di PierPaolo Pasolini. Pensiamo ai saggi o alle monografie di Brunetta, Marchesini,Galluzzi e dello stesso Zigaina. Perché dello stesso? Perché Giuseppe Zigaina,conterraneo, di due anni più giovane e amico intimo di Pasolini fin dall’adole-scenza, ha avuto modo di cogliere, più di chiunque altro, la genesi remota dellapassione figurativa del compagno, fin dai primissimi disegni giovanili in quel diCasarsa, e ha avuto modo di seguirne da vicino (più da vicino di chiunque altro)gli sviluppi successivi, propiziati in ambiente universitario dalla frequentazioneassidua delle lezioni di Roberto Longhi presso l’ateneo di Bologna.

“A Roberto Longhi sono debitore della mia ‘fulgurazione figurativa’”. Chi nonconosce questa dichiarazione (che è anche una dichiarazione d’amore filiale),con la quale Pasolini introduce la sceneggiatura di Mamma Roma (1962)? Chinon conosce il tanto citato parallelismo tra il Cristo Morto di Mantegna a Brerae la ripresa in scurto di Ettore morente nel suo letto di contenzione in MammaRoma? Chi non conosce la tanto dibattuta quaestio dei prestiti figurativi esplici-tati da Pasolini nei primi tre film (il Masaccio di Accattone e Mamma Roma, laDeposizione del Pontormo in La ricotta), quasi a titolo di omaggio al magisterolonghiano?

Ebbene, Mathias Balbi, il giovane e valente studioso autore del volume, si faintenzionalmente critico della critica, al fine di ricostruire passo passo, come nes-suno ha fatto finora con un simile scrupolo e rigore, la traiettoria di un’arte cine-

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matografica come quella pasoliniana, intimamente connessa sia con la storia del-l’arte italiana tout court sia con la storia dell’arte italiana così com’è ridefinitadalla specifica rilettura longhiana. Per poi finalizzare il tutto alla disamina dellegenealogie figurative di Salò o le 120 giornate di Sodoma o, per meglio dire, conun bisillabo che Balbi definisce giustamente “sibillino”, Salò, o tutt’al più, Salò-Sade: sigillo non solo oggettivamente definitivo dell’opera pasoliniana, maanche, a prescindere dalle circostanze fatali e fattuali che lo hanno reso tale, sigil-lo di un percorso creativo al quale, sul finire del 1975, Pasolini stesso intendecomunque assegnare un valore conclusivo. Non solo: conclusivo in illo signo, nelsegno di un’estetica del pastiche ipernaturalistico maturata fin dalla gioventù –secondo la preziosa testimonianza di Zigaina – e destinata a sublimarsi figurati-vamente in quell’analogon irripetibile dell’ “universo orrendo”, apparentabilesolo a certe pagine non meno irripetibilmente “analogiche” come quelle del cap.55 dell’incompiuto Petrolio, rappresentato da e in Salò.

Ecco pertanto dispiegarsi nel presente volume, grazie all’attenzione davverocapillare di Balbi, il tracciato completo del rapporto tra Pasolini e le arti, dall’af-fezione quasi morbosa per il “colore” nei disegni di gioventù alla “fulgurazionepittorica” d’epoca universitaria, dalla vertenza critica su una personalità contro-versa come quella del Romanino (1485 ca.-1550 ca.) alla scoperta, sempre diascendenza longhiana, del manierismo e del barocco, nonché, per li rami, deidispositivi della contaminazione e del crossover (o, addirittura, della iterativitàwarholiana).

Pasolini che, assistendo alle lezioni bolognesi di Longhi, ha l’impressione diassistere, contestualmente, a una sorta di messa in scena cinematografica, assi-curata dallo scorrere delle diapositive in bianco e nero, dell’arte pittorica diMasaccio e aiuti.

Pasolini che propone a Longhi una tesi di laurea sul cinquecentesco pittorefriulano Pomponio Amalteo, la cui maestria ha sempre ammirato fin dall’infan-zia “cattolica” condivisa visceralmente con la madre Susanna, frequentando laParrocchia Nuova di Casarsa (Deposizione) o, ancor più, Santa Croce di Casarsa(Storie della Passione e della Vera Croce) – dopodiché, di fronte alle perplessitàdel maestro, opterà per una laurea in letteratura italiana, con una tesi sulla poe-sia di Giovanni Pascoli, discussa con Carlo Calcaterra.

Pasolini che, in una “Lettera” del 4/10/1962 a Vie Nuove, il settimanale del PCIsu cui scrive, si appella ancora a Longhi perché smentisca, con tutta la sua auto-rità di maestro e di specialista di Masaccio, la derivazione “automatica” dell’im-magine dell’Ettore morente di Mamma Roma dall’imago princeps del Cristomorto di Brera: “Ah, Longhi, intervenga lei, spieghi lei, come non basta mettereuna figura di scorcio e guardarla con le piante dei piedi in primo piano per par-

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lare di influenza mantegnesca!”.Pasolini che s’invaghisce, auspice Longhi, di Caravaggio e dei caravaggeschi,

e intraprende un suo tragitto assolutamente personale, che dalla luce accecantedei primi film lo conduce a un elogio progressivo dell’ombra che quella lucenasconde e sottende.

Pasolini che, di Longhi (questa volta in concorrenza con Gianfranco Contini),assimila, per una curiosa empatia, lo speciale impasto di tradizione filologica etraduzione metaforica, un metalinguaggio affascinante che fonde insieme letturadel fatto o artefatto pittorico e lettura dell’antefatto storico, in pagine che sono altempo stesso creazione di un mito figurativo e ri-creazione letteraria del mito inesame.

Pasolini che, ritraendo amorosamente la Maria Callas degli anni di Medea edel dopo-Medea, officia quel medesimo rito esorcistico o alchemico che officia-va da giovane ritraendo le figure di Casarsa o ritraendo se stesso come – lo sot-tolinea ancora Zigaina – qualcosa di enigmatico, sondabile soltanto per vie ini-ziatiche o misteriche.

Pasolini che, ogni volta che si mette in campo, mette in campo una “divinamimesis” che è tutt’uno con quell’imitatio Christi e soprattutto quell’imagoChristi che si porta dentro da sempre, come disegno archetipico: un’immaginemimetica alla quale finirà per dare definitivamente corpo con l’immagine delproprio stesso corpo morto, vilipeso e oltraggiato.

Pasolini che, attraverso il cosiddetto “teatro di parola” fonda, artaudianamen-te, un’archeologia del verbo fatto carne e sangue, urlo e suono inudibile, in osse-quio a un’interpretazione quanto mai estensiva ed estrema del pastiche linguisti-co, da intendersi in senso non solo figurativo ma anche plastico, letterario e musi-cale (o a-musicale).

Mathias Balbi esamina punto per punto, con un’acribia che non lascia nullad’inesplorato, tutta questa tessitura di rimandi culturali. E, citando quantoPasolini scrive in calce alla citata “Lettera” a Vie Nuove a proposito del figurati-vismo di Mamma Roma – “O che, se mai, si potrebbe parlare di un’assurda esquisita mistione tra Masaccio e Caravaggio” –, quasi anticipa un’intuizione chesi va proprio in questi giorni concretizzando grazie alla mostra fiorentina“Novecento sedotto”, nell’ambito della quale al fotogramma di Ettore disteso inscurto nel suo letto di morte non viene affiancato il Cristo morto di Mantegnabensì, provocatoriamente, il Compianto sul Cristo morto di Orazio Borgianni(1615, proveniente non a caso dalla “Fondazione Studi Storia dell’Arte RobertoLonghi” di Firenze). Giusto perché si è voluto tener conto, a detta della curatri-ce della sezione Valentina Gensini, del suggerimento di Pasolini (Masaccio“commisto” a Caravaggio) e del fatto sintomatico che, com’è scritto nel Catalogo

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della mostra, “il corpo livido del caravaggesco Borgianni e quello del figlio dellaprostituta Anna Magnani hanno in comune la ricerca di una bellezza che non hapaura di rappresentare con autenticità il dolore” (laddove il Cristo di Mantegnatrasmetterebbe più un senso di dolente costernazione che di smarrita bellezza).

Del resto è stato proprio Longhi a tessere, in Il Caravaggio e la sua cerchia,un elogio inaspettato di Orazio Borgianni (1578-1616 ca.): “Per molto pubblicosarà una rivelazione il Borgianni che, in Ispagna, da molto giovane, aveva cono-sciuto anche il Greco, e, tornato a Roma sui primi del secolo nuovo, diede, sedobbiamo credere alle parole del Baglione, qualche ombra di preoccupazione alCaravaggio stesso”. Con Borgianni, fa capire Longhi, siamo alle soglie del manie-rismo, se non della vanitas barocca: il tratto visionario sotteso agli intensi effettiluministici e agli squarci improvvisi di nature morte introduce a quel ludicomascherarsi e smascherarsi dei doppi spazi e dei doppi fondi che sarà cifra manie-ristica per vocazione o elezione; mentre il trionfo della “bellezza del dolore” pre-lude a quell’illusionistico estetismo della morte che sarà tratto distintivo dell’e-stasi del capriccio, macabro o fantasmagorico che sia. Inutile nasconderlo: sonoepifanie che si riversano come un trauma su una sensibilità già di per sé predi-sposta come quella pasoliniana e sfoceranno, nel cinema e non solo (la letteratu-ra e la critica pasoliniana del periodo se ne fanno carico in egual misura) nell’esi-bizione sempre più compiaciuta di un sacro ostentatamente e sistematicamenteprofanato: un’oltranza che si esalta già in Uccellacci e uccellini e Che cosa sonole nuvole?, attinge un primo vertice in Teorema e Porcile e culmina in Salò.

Salò, appunto, o Salò-Sade. E a tal proposito ci piace ricordare una querelleche, all’epoca, divise i due più influenti scrittori del Novecento italiano, AlbertoMoravia e Italo Calvino. Quest’ultimo accusò Pasolini di aver fatto un film sba-gliato, per non aver avuto il coraggio di prendere a bersaglio se stesso e la propriaintrinseca “crudeltà”, il proprio innato “sadismo” in fatto di rapporti sessuali –come se, in ogni suo film, e in Mamma Roma in primis, Pasolini non avesse par-lato di se stesso nella forma più autentica e straziata, vaticinando addirittura nellamorte mantegnesca o borgiannesca di Ettore la propria stessa morte. Al cheMoravia, indignato, ribatté che Salò-Sade non intendeva affatto essere un film“sadico”, bensì “una riflessione cinematografica sull’opera di Sade”, un modo permettere a nudo i meccanismi del fascismo, consistenti nel dissimulare il “disordi-ne mortuario” sotto un “falso ordine vitale”. Facendo notare che le scene più“sadiche” erano quelle viste attraverso il binocolo dei Signori, per cui tutto finivaper apparire filtrato, calato “in un’aria di sogno, con carnefici e vittime resi mutidalla distanza, in brani separati, come in una nebbia che si squarcia ogni tanto”.

Calvino, sulla scia di Michel Foucault – il quale in Sade, sergent du sexe mini-mizzò la grandiosità necrofila della mise en scène totalitaria della Storia rivendi-

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cando l’origine piccolo-borghese dei fatti più sinistri e disgustosi e attribuendol’invenzione dei lager alle morbose immaginazioni congiunte di un allevatore dipolli, Himmler, e di un’infermiera, sua moglie –, non capì che la chiave di lettu-ra di Salò non poteva che essere quella del “pathos della distanza”, della traspo-sizione astratta del trauma del fascismo-sadismo, e dei suoi derivati anche perso-nali, nella langue del vocabolario fantasmatico sadiano. Come non rilevare che imolteplici “brani separati” del film sono figurativamente stilizzatissimi? Chel’intero film è il prodotto di una suprema astrazione formale, di una sublimazio-ne retorica che mette in ombra qualsiasi riflesso privato? La luce di Pasolini è,ancora una volta, la luce-ombra riflessa dalle pale d’altare di un suo intimo tea-tro della memoria pittorica, questa volta esibite con tanto di firma occulta, allacui decrittazione può molto aiutarci il minuzioso inventario scandito da Balbinell’ultima parte del volume, addirittura in ordine alfabetico: da Balla a Vermeer,passando per artisti apparentemente lontanissimi tra loro nel tempo e nel canonecome Cagnaccio di San Pietro e Daumier, Donghi e Feinenger, Grosz e Magritte,Savinio e Signorelli –, tutti campioni, appunto, di un alto grado di stilizzazionedella figura e del tratto. Giusto perché ogni “brano separato” trovi il suo possibi-le ascendente e il suo possibile codice di riferimento.

Balbi, pur tornando opportunamente a evocare in fine Longhi e i Fatti diMasolino e di Masaccio, conclude il suo saggio nel nome di Francis Bacon,“concordanza” troppo suggestiva – in tema di trattamento diretto e indiretto dellafigura – per non essere richiamata. Quando, esaminando i provini fotografici rea-lizzati negli anni Settanta da uno sconosciuto – forse il compagno – per il pitto-re irlandese e fondati perlopiù sulla costante di corpi maschili che brutalmente sisfiorano o si torcono o si avviluppano nella lotta, scopriamo un teatro di osses-sioni erotiche puntualmente trasformatesi in opere d’arte. Quando visitiamo lostudio londinese del pittore, ora trapiantato pari pari a Dublino, scopriamo unaccumulo, casuale e fantasmatico, di spazzatura e fotografie, ritagli e bottiglievuote di champagne, barattoli di pittura e scatole di conserve, fogli squarciati epolvere. In altri termini, un caos perfettamente organizzato, o un delirio punti-gliosamente studiato, pronto per essere trasferito sulla tela in forma antropomor-fica. In proposito, Milan Kundera ha scritto in Un incontro che “ciò che [i qua-dri di Bacon] suscitano non è l’orrore che conosciamo, quello dovuto alle folliedella Storia […]. In Bacon l’orrore è del tutto diverso: proviene dal carattereaccidentale, improvvisamente svelato dal pittore, del corpo umano”. Ebbene,l’ecce homo di Pasolini, in particolare del Pasolini estremo di Salò, così intensa-mente scandagliato da Balbi, non ha nulla da invidiare all’ecce homo di Bacon.

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INtROduZIONE

“La morte non è nel non comunicare

ma nel non poter più essere compresi”

Pier Paolo Pasolini, Una disperata vitalità

Una nuova teoria di argomentazioni e dibattiti sopra l’opera pasoliniana ed inparticolare sopra il film che più si è (da sempre, da subito) configurato come unodei testi eccellenti e più metodologicamente nodosi e meno scindibili in partisemplici quali Salò o le 120 giornate di Sodoma, può condurre a qualche per-plessità critica.

Nel rivolgere intanto lo sguardo all’epoca intensa di Salò, al periodo coinci-dente con la sua uscita (1975) e a quello appena precedente - il biennio 1973-’74,incipit anche dell’idea-Salò, della sua travagliata e ardita storia produttiva, quan-to cornice di una malcelata querelle che ha diviso Pasolini dall’allievo-discepo-lo Sergio Citti - ci si ritrova a coltivare la convinzione che se, nella storia dellacultura, i detrattori hanno solitamente bisogno di occasioni e “testi” spinosi perespletare i loro compiti, mai come nella finale e tragica stagione della vita di PierPaolo Pasolini questi hanno potuto trovare terreno facile e fecondo.

E ciò a più di un livello, due come minimo, e ci riferiamo tanto ovviamente allivello del cinema pasoliniano, quanto a quello intellettuale-critico e giornalistico,a cui si potrebbe allegare la non parentetica attività poetico-letteraria del poeta.

Allora, enumerando e identificando con nomi precisi, Salò, gli Scritti corsarie le Lettere luterane (gli interventi giornalistici antologizzati) e, in unione e anti-cipazione a Salò, il romanzo-fiume Petrolio e l’auto-revisione poetica de Lameglio gioventù, con il titolo di La nuova gioventù.

Il “Salò-Sade”, per richiamare la sintetica definizione critico-giornalistica conla quale il film fu rapidamente etichettato in quei mesi precedenti e successivialla sua deflagrante comparsa, muoveva dal riflusso di un periodo molto precisoed importante per Pasolini, quello iniziato nel 1973 con la collaborazione gior-nalistica al “Corriere della Sera” e “Il mondo” (e occasionalmente con “PaeseSera”), il cui punto d’arrivo è la confluenza nelle pubblicazioni degli Scritti cor-sari e delle Lettere luterane.

I piccoli e grandi interventi del Pasolini appassionato critico e analista dispe-rato di un’”accanita denuncia, sostenuta da una lucida e tagliente analisi, della

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società dei consumi prodotta dalla seconda rivoluzione industriale e dominata dalneocapitalismo tecnologico” 1 costituiscono il romanzo personale della rabbia edella disperazione pasoliniane di quegli anni, coincidenti con la degenerazionedella società dell’”ordine orrendo” e dell’”inferno neocapitalista”; ma questi ele-menti-cardine della presenza intellettuale di Pasolini nell’Italia della metà deglianni Settanta si riformulano, trasportati nell’ambito del cinema pasoliniano e nelquadro della genesi ed elaborazione di Salò, come movente di attualizzazione epresentificazione della realtà codificata in quel cinema.

Nelle Lettere luterane Pasolini dice: “Se oggi volessi rigirare Accattone, nonpotrei più farlo. Non troverei più un solo giovane che fosse nel suo “corpo” nean-che lontanamente simile ai giovani che hanno rappresentato se stessi inAccattone” 2.

Da qui, un’ideale gerarchia di temi, condurrebbe ai successivi stadi criticidella “mercificazione”, della “omologazione”, della “mutazione antropologica”e, soprattutto, del “genocidio delle culture particolari” (ovvero popolari).

L’epistolario di Pasolini con Gianni Scalia (amico e suggeritore occulto dellariunione degli ultimi suoi articoli e loro pubblicazione negli Scritti corsari) seguee cronachizza l’applicazione pasoliniana di uno schema marxiano allo studiodell’”Ordine orrendo” di cui parlava in relazione alla società di quel periodo;Scalia dirà in seguito:

“Credo che l’ultima ricerca di Pasolini (la sua ‘scoperta di Marx’) sia tutta qui:capire la società del capitale nella sua ultima figura. Insomma Pasolini stava facen-do a suo modo, con i suoi mezzi e la sua cultura, attraverso le sue “intuizioni”,un’analisi della società del capitale da marxista, direi, globale ed integrale, inmezzo a marxisti progressisti e storicisti: ritrova l’analisi della totalità del capita-le, della sua produzione non solo di merci e di plusvalore, ma di rapporti sociali(di “umanità”, come diceva), totalmente alienati nella “mercificazione” ...Riconosceva, in mezzo a un marxismo endemico, o, meglio, introuvable, l’analisimarxiana, incentrandola in tre grandi questioni: la “mutazione antropologica” pro-dotta dal capitale nella sua ultima figura di “modernità”; la totalizzazione e socia-lizzazione del modo di produzione capitalistico nel “produttivismo-consumismo”;il “genocidio delle culture” [...] nella produzione culturale capitalistica” 3.

Certo, si potrebbero segnalare le eccezioni mosse da alcuni al marxismopasoliniano, nonché, ugualmente frequenti, le obiezioni di banalità e conformi-smo (quà e là oggettivamente in parte condivisibili) dei giudizi e invettive con-tenuti negli Scritti corsari 4; ricordando magari, tra gli altri, l’intervento diLeonardo Sciascia, sospeso a metà tra riconoscimento dei difetti conformistici

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della polemica pasoliniana e una sua difesa e rivalutazione, in una replica ad uncorsivo di André Frossard comparso su “Le Figaro” del 4 novembre 1975 5, asigillare lo status quo della persistenza di una élite intellettuale schierata comun-que a tutela della posizione autoriale di Pasolini, in opposizione ai linciaggi suc-cessivi alla morte del regista da parte, in prima istanza, della stampa cattolica 6.

L’incunearsi della trattatistica polemica di pasolini nella realtà quotidiana epolitica di quel biennio (1973-’75), esercitata sulle colonne del “Corriere dellaSera”, si scandiva sui temi sopra elencati; nodali per Pasolini i passaggi relativiagli incubi, anche personali ed intimi, della “mutazione antropologica” e del“genocidio”.

Al secondo dei due punti fissati nell’articolo del “Corriere” del 10 giugno1974 (“Gli italiani non sono più quelli”), Pasolini afferma:

che l’Italia contadina e paleoindustriale è crollata, si è disfatta, non c’è più, e alsuo posto c’è un vuoto che aspetta probabilmente di essere colmato da una com-pleta borghesizzazione, del tipo che ho accennato qui sopra (modernizzante, fal-samente tollerante, americaneggiante ecc.)” 7.

L’inferno a portata di mano, la “fossa di serpenti” in cui l’Italia si era muta-ta, la “borghesizzazione” e l’”omologazione” erano moventi di un ripiegamentointrospettivo sofferto per Pasolini, che portava il suo “vissuto” (come amavadefinirlo lui) a combaciare con una realtà che aborriva.

La ripulsa era il carattere prevalente nel suo rapporto con i nuovi giovani; eraun nuovo ordine che per Pasolini toccava e interessava anche una rinnovata poe-tica (e una realtà) del corpo, elemento dalla presenza discreta ma costante intutta la produzione letteraria di quel periodo - a partire dalle premesse seminalidelle “prove” teatrali di Orgia e Porcile 8.

Nell’Abiura della “Trilogia della Vita” la verifica incontrovertibile di questanuova realtà: pubblicazione che diventa così pietra angolare di una preziosafibrillazione polemica, per Pasolini sempre più impellente:

“[...] nella prima fase della crisi culturale e antropologica cominciata verso la finedegli anni Sessanta [...] l’ultimo baluardo della realtà parevano essere gli “inno-centi” corpi con l’arcaica, fosca, vitale violenza dei loro organi sessuali [...]. Oratutto si è rovesciato: la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e perla liberalizzazione sessuale è stata brutalmente superata e vanificata dalla decisio-ne del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza.Secondo: anche la realtà dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomes-sa dal potere consumistico: tale violenza sui corpi è diventato il dato più macro-

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scopico della nuova epoca umana. Terzo: le vite sessuali private (come la mia)hanno subito il trauma sia della falsa tolleranza che della degradazione corporea” 9.

Un glissement violento ma quasi impercettibile nella realtà contingente: l’i-postasi di un’idea polemica che per Pasolini non rappresentava semplicementeuna tesi sospesa e volatile, ma un sempre più stratificato sistema di rituali e dipotere: ma il Potere con la “P” maiuscola e la cultura con l’interrogativo asso-luto, come comparivano ancora nell’articolo del “Corriere” 24-6-1974 (“Il pote-re senza volto”), impuntato per di più su un quesito secco e di foggia rivoluzio-naria a suo modo: “Che cos’è la cultura di una nazione?” 10.

Al Pasolini marxista - quantomeno nell’applicazione di quel metodo alla pas-sionale e ideologica collezione di analisi disseminate e ricollocate negli Scritti -non era infine occulta l’intima relazione tra elementi singoli ma convergenti nellacornice (anche semantica) dell’”inferno neocapitalista”: intanto la “spettralità”delle merci del rivoluzionato universo dei consumi (leggi “seconda rivoluzioneindustriale”), dentro a cui sta la corruzione, che è attigua alla brutalità e poi allaviolenza e alla nuova (ma già prima menzionata) ecatombe modernista del corpoe dei corpi del consumo/consumismo, dalle quali si giunge alla finale coscienzadella rimozione del sacro e della sacralità così cari a Pasolini poeta e cineasta euomo, per lui “unica fonte di realtà” 11, come ricorda Conti Calabrese, che sotto-linea anche metodologicamente la cogente aderenza tra gli apparati dottrinale esacrale di questo Pasolini marxiano:

“Durante la prima rivoluzione industriale i rapporti sociali, o meglio l’umanitàespressa da tali rapporti si trovava (come Marx sostiene) sottoposta al valore discambio, ma limitatamemte al solo momento della produzione. L’alienazionerisultava circoscritta alla sola attività lavorativa che, cristallizzata nella forma-merce, appariva come entità sovrasensibile ed estranea ai lavoratori. Convinzionedi Pasolini è che durante quel periodo storico i rapporti sociali fossero ancoramodificabili, proprio perché la cultura e la vita delle classi subalterne non eranoancora intaccate dalla forma-valore [...] È il periodo denominato Età del Pane,locuzione utilizzata per ricordare un’epoca in cui beni ‘necessari’ radicavanonella vita un chiaro senso di primarietà ed essenzialità: essi cioè la riconduceva-no sempre a essere un avvenimento prioritario e carico di meraviglia, fenomenomisterioso dove il sacro poteva ancora manifestarsi” 12.

La condensata significazione sociale e semantica di quella meraviglia -espressione adattabilissima a tutta l’opera pasoliniana, tra poesia e cinema - lega

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la resistenza (difettosa) e la sparizione (incalzante e vincente) della sacralità nellamodernità borghesizzata-imbarbarita pasoliniana al discorso dei Calderon ePetrolio da un lato (per quel che attiene a una sorta di sua disperata persistenza)e alle premesse di Salò (per quel che riguarda l’assenza e la morte di un sacroormai annichilito dentro ad una specie di Mistero medievale, come lo definiràPasolini13) dall’altro.

Quel sacro in forma di tentativo nel Calderon (1973) 14, tentativo di appura-mento della sua esistenza, qua disilluso sardonicamente al principio; il triplicesogno del ripensamento pasoliniano sul dramma di matrice seicentesca (da Lavida es sueno, di P. Calderon de la Barca, 1635) costituisce lo schema su cui siinnerva una lettura in cui è “il tema, soprattutto, ad essere diverso. Il Calderondi Pasolini è infatti una cupa, scabra parabola sull’impossibilità di evadere dal-l’universo concentrazionario della propria condizione sociale. Tre sogni succes-sivi, tre ambienti: aristocratico, proletario, medioborghese” 15.

Dove, più precisamente, l’inabissamento più palese e provato (quello anchepiù teatrale, per l’appunto) del più piccolo spunto o barlume sacrale? Ancora unavolta tra gli estremi del Potere rituale e dei rituali del/sul corpo; Manuel e poiRosaura ne fanno il controcanto:

“Manuel [...]Quello che conta è che la Borghesia vuole eliminare | il suo recente passato e laChiesa | sbirra e puttana: da sola essa non era in grado di farlo. | Aveva bisognodi agnelli rivoluzionari; | li ha trovati tra i suoi figli, naturalmente. | Li ha fatti edu-care dai vecchi Dei dimenticati, | puzzolenti di inutile stallatico, | che li chiamas-sero a sé, | e li rimandassero poi nel mondo a distruggere tutto” 16.

Come un nesso che dialetticamente ispira e prefigura il discorso bipolare diSalò tra Potere e corruzione-degradazione dei corpi è il successivo intervento diRosaura:

“Anch’io sono lì. uno scheletro bianco quasi | senza più capelli, nella cuccia; hole gambe | scoperte, sottili come quelle di un feto, solo | sono grossi i nodi degliossi delle ginocchia; | tengo la guancia senza carne contro | la tela del capezzaledove | già mi hanno preceduto tanti che sono morti” 17.

L’infuocato assunto di Salò è l’adattamento consecutivo e la silloge, così, diun unico discorso che muove da eterogenei flussi: la critica socio-politica (Scritti

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corsari, Lettere luterane); la poesia (Calderon); la letteratura (Petrolio) 18. Il rac-colto filosofico, socio-politico e altresì artistico di appena un biennio (certo par-ticolare e intensamente “corsaro”, rivoluzionario per Pasolini e per la società cheillustrava) 19 risiede allora eminentemente ed estremisticamente in Salò e, nondi-meno, nel suo prospettarsi a rebours, nel suo relativizzarsi all’immediato prece-dente cinematografico della Trilogia della Vita, abiurata sintomaticamente rigaper riga proprio nella congiuntura di quel biennio vicinissimo a Salò, chePasolini nell’Abiura trasformava in interrogativo finale 20.

Sicuramente, la sottolineatura di trilogie tematiche già esplorate e assodatequali Potere, corporalità e Morte: alla terza delle questioni in ballo è indirizzatoil lungo e raffinato saggio di Lino Micciché comparso nel 1978 su“CinemaSessanta”, composita analisi (catalogante al suo interno anche il Mito,altra giuntura fondamentale dell’opera pasoliniana) sulla lunga presenza dellaTodestriebe nell’universo poetico e anche cinematografico del poeta; la sintesieletta della considerazione di Salò come “capitolo conclusivo di una Tetralogiadella Morte” non può che essere per noi stimolante:

“Ecco dunque, per sinteticamente concludere, se non il senso almeno il senso pre-valente del Salò-Sade pasoliniano. [...] la storica contaminazione di sesso e pec-cato, materia e decomposizione, Eros e Thanatos, e sfocia nell’assoluta identifi-cazione di “libido” e “mortido” in un presente dove il sesso è “obbligo e bruttez-za” e che, pur iniziato in qualche astorica Salò, è di “questi anni” e anzi ne espri-me il “vissuto” 21.

Il “Salò-Sade” inattesa postilla terminale, che diventa meccanismo intrusoscardinante la risaputa e chiusa autosufficienza di un progetto (“Trilogia dellaVita”) per sottolineare la traiettoria dell’Abiura e diventarla esso stesso con il suosemplice aggiungervisi (e magari sovrapporvisi).

E se si volesse restare al saggio di Micciché - nell’ottica di una chiusura deldiscorso che metta le basi per il seguito - , se ne ripescherebbe l’interrogativometodologico (“Ma allora, così definito in tutto il suo riduttivismo il rapportoSade-Pasolini, qual è il senso del pasoliniano Salò-Sade?”) 22 volgendolo nelladirezione del finale valore di Salò in quanto oggetto estetico.

Lo sfuggente statuto estetico di Salò o le 120 giornate di Sodoma è anche lasommatoria di una pubblicistica plurale e criticamente variegata, istantaneamen-te sviluppatasi e germogliata nel tempo (con fasi alterne, ma sempre ricorrente)sopra all’”oggetto-Salò”, coadiuvata certo dalla coincidente similitudine dell’as-sassinio di Pasolini con la scabrosità dell’evento filmico di quello stesso 1975 23.

La finalità di questa pubblicazione parte da due elementi definiti e preesistenti:

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1) La fortissima e fondamentale importanza, all’interno del cinema pasoli-niano, della pittura: importanza primigenia, in quanto alla pittura Pasolini dedi-ca già gli anni dell’infanzia e della giovinezza scolastica, iniziando una piccolacarriera ancillare, da pittore e disegnatore, che dall’inizio degli anni Quaranta loaccompagnerà fino alla morte;

2) La considerazione di questo aspetto dentro alla peculiarità di Salò e la presad’atto della gracile consistenza di una pubblicistica critica concentrata sul coté piùstrettamente iconografico del film 24, che ha così generato nel corso degli anni lostatus complessivo di una sparuta presenza critica su Salò in tale direzione.

In sintesi, Salò è il crogiuolo di una variegata e stratificata teoria di sugge-stioni pittoriche, visive, psicanalitiche, filosofiche e altro; oltre a ciò l’esperien-za filmica e visiva del film è anche il fronteggiare la sua oscurità progettuale esemiologica, all’interno della quale il ‘pittorico’ è parte inestricabile e delle cuifonti si propone quantomeno un censimento, indipendentemente da un approfon-dimento strettamente specialistico.

Oscurità voluta e casuale a un tempo per Pasolini che, tra intenzionalità e sno-bismo intellettuale, anticipava e auspicava che il film non sarebbe stato capito eneanche avrebbe dovuto esserlo 25.

Opera, questo Salò o le 120 giornate di Sodoma, frutto anche di un tragittosofferto e confuso cominciato già nel 1972 nelle mani del discepolo Sergio Citti(iniziale ipotesi di regista) e proseguito con revisioni, riscritture e vuoti di finan-ziamento (in cui rientra anche il fallimento della casa di produzione PEA) 26.

Quale il confronto, poi, dell’autore con questa ‘lettera postuma’ consegnatanelle mani dei posteri con la trepidazione connessa alla percezione della sua impor-tanza relativa (per l’intellettuale-Pasolini e in relazione alla sua, in fondo breve equasi minore rispetto al resto, opera cinematografica) e assoluta (il sigillo di opera“maledetta”, incatenata, non visibile e poco analizzabile, incunabolo di una manie-ra scellerata di trattare l’”esperienza del limite” nel testo cinematografico)?

La reale qualità del sentimento di Pasolini nei confronti del suo ultimo “testo”avrebbe potuto magari condensarsi - se gli fosse stata concessa vita ancora dopol’uscita di Salò - nella stessa frase sfuggita in privato a Flaubert parlando del suoSalambò (titolo dalla curiosa somiglianza a Salò): una “truculente facetie”.

Non così inopportuno, in fondo, l’accostamento della grande fantasmagoriaflaubertiana, opera vulcanica e visuale estremisticamente come, a suo modo, Salòe, inoltre, oggetto di un recupero poetico-stilistico novecentesco affine, per epocae protagonisti, alle presenze artistiche stratificate nel film:

“Questo secondo modo di leggere Salambò ha trovato un primo varco, una primaapertura grazie agli uomini della generazione simbolista e si è andato poi conso-

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lidando fino agli anni della prima guerra, quando il simbolismo da fenomeno fran-cese è diventato europeo e ha esaltato l’illustrazione, la decorazione, il giuoco esa-sperato delle luci e dei suoni. Un itinerario critico che verrà ripreso più tardi,quando al simbolismo fu sostituito il surrealismo e la letteratura apparve in tuttala sua libertà, come un delirio dell’immaginazione” 27.

Salò allora sperimentale opera a-temporale, ma sotto il segno inverso di unaprecisissima congiuntura storica, che antologizza parti di teoria dell’arte nove-centesca e non, quanto teorie psicanalitiche che vengono fuori dai cascami degliincubi posteriori alla Prima guerra mondiale? Si, e qui la sua utilità: al di là deidubbi su di essa, sulla linea poetica del Pasolini di Poesie in forma di rosa:“Bisogna deludere. Saltare sulle braci | come martiri arrostiti e ridicoli: la via |della Verità passa anche attraverso i più orrendi | luoghi dell’estetismo, dell’iste-ria | del rifacimento folle erudito”.

Note

1 G. Conti Calabrese, Pasolini e il sacro. Milano, Jaca Book, 1994, p. 15. È da segnalare chel’autore sottolinea di seguito anche la più volte richiamata somiglianza tra la critica pasolinia-na e la “Scuola di Francoforte” che consisteva in una “radicale critica alla modernità, nel-l’ambito di un marxismo critico, individuando in una ragione ridotta a semplice strumento dicalcolo una delle origini del processo disgregativo e disumanizzante di una società dominatadal sistema di produzione capitalistica” .

2 Cfr. Il mio ‘Accattone’ in Tv dopo il genocidio. “Corriere della Sera”, 8 ottobre 1975, orain: P. P. Pasolini (da qui in avanti PPP), Lettere luterane. Torino, Einaudi, 1991, p. 155.

3 G. Scalia, La mania della verità. Bologna, Cappelli, 1978, pp. 39-40.

4 In merito a questo, si veda la Prefazione di Alfonso Berardinelli agli Scritti corsari:“Anche gli interlocutori meno rozzi gli rimproveravano, nello stesso tempo e come sempre,l’ostinazione passionale e lo schematismo ideologico. Ciò che Pasolini diceva era insommain larga misura risaputo. La sociologia e la teoria politica avevano già parlato”. MaBerardinelli ribalta poi il giudizio su Pasolini rammentando l’intelligenza e “l’inventivitàinesauribile del suo stile saggistico” e la “astuzia socratica della sua arte retorica e dialetti-ca, della sua ‘psicagogia’, che sa far emergere con tanta chiarezza i pregiudizi intellettuali(di ceto, di casta), e spesso l’ottusità un pò meschina e persecutoria dei suoi interlocutori.Che sembrano avere sempre torto. [...] Mentre Pasolini stava cercando di rivelare qualcosadi nuovo, loro non facevano che difendere nozioni acquisite”. PPP, Scritti corsari. Milano,Garzanti, 2007, pp. VII-VIII.

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5 Cfr. L. Sciascia, Dio dietro Sade. “Rinascita”, n. 49, 12 dicembre 1975, p. 31. L’articolodi Frossard si imperniava su un atteggiamento di ironico sfatamento della “sacra” reputazionedi Pasolini-marxista integerrimo, coltivata e riconosciuta anche Oltralpe, guardandola soprat-tutto in relazione alla riduzione cinematografica delle “Centoventi giornate di Sodoma”, echiosando sull’impossibilità di “portare il non conformismo più avanti di così senza caderenell’insignificanza, a forza d’esagerazione” (trad. it. riportata nell’articolo di Sciascia); a ciòSciascia replicava: “C’è del conformismo nel proclamarsi marxista, e specialmente in Italia;c’è del conformismo e non c’è alcuna originalità nel continuare ad essere cattolico in un paesecattolico, c’è del conformismo e molta banalità nel manipolare per il cinema le care vecchiemanie del caro vecchio marchese de Sade: ma questi tre conformismi messi assieme, e vissu-ti per come Pasolini li ha vissuti, hanno prodotto un tragico, disperato anticonformismo; [...]occorrerà una ferma e seria analisi delle due conformistiche componenti da cui generava l’an-ticonformismo di Pasolini; e specialmente da quella marxista. E in questo senso si potrebbeanche azzardare una specie d’ipotesi di lavoro; che certe verità dette da Pasolini [...] fosseromarxiste in quanto verità, per la capacità e mobilità del marxismo a far propria ogni verità [...]e non lo fossero per estrazione, per adesione, per meditazione”.

6 Per una rassegna più esaustiva dell’articolistica successiva alla morte di Pasolini con rife-rimento particolare a quella di estrazione cattolica o politicamente avversa allo scrittore, siveda ad esempio la scheda di R. Escobar (Il linciaggio) in: Id., Pier Paolo Pasolini. Salò o le120 giornate di Sodoma. “Cineforum”, XVI, n. 4, aprile 1976, pp. 183-184; in particolare suSalò si rimanda alla ricca rassegna contenuta in: Da Accattone a Salò. A cura di V. Boarini.Bologna, Compositori, 1982.

7 PPP, Scritti corsari, cit., p. 40 (con il tit.: 10 giugno 1974. Studio sulla rivoluzione antro-pologica in Italia).

8 Nella “Autointervista” sul “Corriere della Sera” del 25 marzo 1975, Pasolini affermavaperò: “non sono contento né di Porcile né di Orgia: lo straniamento e il distacco non fanno perme, come del resto la crudeltà”.

9 PPP, Trilogia della Vita. Bologna, Cappelli, 1975, pp. 7-8 (corsivo mio).

10 L’articolo muoveva altresì da una piccola querelle di Pasolini con un articolo di MaurizioFerrara apparso in “L’Unità” del 12-6-1974: “Che cos’è la cultura di una nazione? Correntementesi crede, anche da parte di persone colte, che essa sia la cultura degli scienziati, dei politici, deiprofessori [...] invece non è così. E non è neanche la cultura della classe dominante [...] Non è infi-ne neanche la cultura della classe dominata, cioè la cultura popolare degli operai e dei contadini.La cultura di una nazione è l’insieme di tutte queste culture di classe: è la media di esse. E sareb-be dunque astratta se non fosse riconoscibile - o, per dire meglio visibile - nel vissuto e nell’esi-stenziale [...] Oggi - quasi di colpo, in una specie di Avvento - distinzione e unificazione storicahanno ceduto il posto a una omologazione che realizza quasi miracolosamente il sogno interclas-sista del vecchio Potere. A cosa è dovuta tale omologazione? Evidentemente a un nuovo Potere.

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Scrivo Potere con la P maiuscola solo perché sinceramente non so in cosa consista questo nuovoPotere e chi lo rappresenti. So semplicemente che c’è”. PPP, Scritti corsari, cit., p. 45 (con il tit.:24 giugno 1974. Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo).

11 Ritroviamo nella lunga intervista di Jean Duflot con Pasolini (§ Eloge de la barbarie.Nostalgie du sacré): “Jean Duflot.- On aurait tort de vous reprocher d’etre un profanateur avecTheoreme, dans la mesure ou cette profanation s’exerce contre le profane. Pasolini. - Jedefends le sacré parce que c’est la parte de l’homme qui résiste le moins a la profanation dupouvoir, qui est la plus menacée par les institutions de l’Eglise”. J. Duflot, Entretiens avec PierPaolo Pasolini. Paris, Belfond, 1981, p. 87.

12 G. Conti Calabrese, Pasolini e il sacro, cit., p. 19 (corsivo mio).

13 Per una panoramica sulle dichiarazioni di Pasolini relative a Salò (che interesserebbe unabibliografia fin troppo nutrita e qui non segnalabile) si veda in particolare l’”Intervista rilasciataa Gideon Bachmann e Donata Gallo” dal titolo Conversazione con Pier Paolo Pasolini pubbli-cata su: “Filmcritica”, XXVI, n. 256, agosto 1975, ora in: Pier Paolo Pasolini. Per il cinema, acura di W. Siti e F. Zabagli, Milano, Mondadori, 2001, II, pp. 3023-3031, nel quale si può recu-perare una precisa definizione di Pasolini in merito al già analizzato Potere maiuscolo: “È unpotere che manipola i corpi in modo orribile e che non ha nulla da invidiare alla manipolazionefatta da Hitler [...] istituendo dei nuovi valori alienanti e falsi, che sono i valori del consumo;avviene quello che Marx definisce il genocidio delle culture viventi, reali, precedenti” (p. 3027);ancora sul film si possono ricordare l’”Autointervista” di Pasolini intitolata Il sesso come metafo-ra del potere in “Corriere della Sera”, 25-3-1975 (sempre in Pier Paolo Pasolini. Per il cinema,cit., pp. 2063-2067); e ancora: PPP, De Sade e l’universo dei consumi, in: Il cinema in forma dipoesia. A cura di L. De Giusti. Pordenone, Cinemazero, 1979, pp. 63-66.

14 Calderon seguirà in un certo modo il destino di Salò: la sua prima messa in scena si rea-lizza soltanto nel maggio-giugno 1978, ovvero alcuni mesi dopo la conclusione del lungo pro-cesso che incatenò la proiezione di Salò subito dopo l’anteprima parigina del 22 novembre1975. La prima di Calderon, che andò in scena in due parti, ebbe la regia di Luca Ronconi ele scene di Gae Aulenti. Tra gli interpreti: Gabriella Zamparini, Edmonda Aldini, AnitaLaurenzi e Carla Bizzarri.

15 Cfr. Prefazione di G. Davico Bonino a: PPP, Teatro. Calderon, Affabulazione, Pilade,Porcile, Orgia, Bestia da stile. Milano, Garzanti, 1988, p. 11.

16 Ibidem, p. 133.

17 Ibidem, p. 162.

18 Come anticipato all’inizio, si deve includere anche l’esperienza poetica in forma dialetta-le de La nuova gioventù (1974), relativamente in particolare alla Seconda forma de “La meglio

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gioventù”: come giustamente sottolinea G. Santato “Salò è l’equivalente cinematografico dellaNuova gioventù [...]”; l’autore rimanda inoltre all’inclusione nel film del canto popolare Ilponte di Perati, “da cui era tratta la citazione che apriva il Volume secondo della Meglio gio-ventù, anche nella ristampa del 1975”. Cfr. G. Santato, Pier Paolo Pasolini. L’opera. Vicenza,Neri Pozza, 1980, p. 263. Il contatto ribadito tra poetica del corpo e poesia nel Pasolini di quelperiodo è presente già nell’”Introduzione” de La nuova gioventù: “Se duciu i zòvins | comu-nis’c a si tajassin | i ciaviej, ghi colarès la mascara ai zòvins fassis’c. [...] ‘na frangeta | o ‘nabaseta, un rissul tajàt [...] fassis’c ta l’anima e tal cuàrp” (“Se tutti i giovani comunisti sitagliassero i capelli, cadrebbe la maschera ai giovani fascisti [...] una frangia o una basetta, unricciolo tagliato [...] fascisti nell’anima e nel corpo”). PPP, La nuova gioventù, Torino,Einaudi, 1975, p. 161 (corsivi nel testo).

19 Si potrebbero inevitabilmente porre riferimenti anche nel passato dell’opera pasolinianadegli anni Cinquanta, localizzando le suggestioni di un’ossessione del corpo e della corporalitàincredibilmente disseminata e sempre in presenza; si veda la forte, intima contiguità di corpora-lità e ministero della Chiesa in L’usignolo della Chiesa cattolica: “IV. Martire. Vergine, ancheil Tuo occhio impallidisce col mon | do. Che cosa guardi in noi? Altro Martire. Ecco il petto, ilgrembo, le spalle: che cosa | guardi in noi? | Vergine. Figlio, figlio stringiti al mio cuore. Queidue spettri | sono scuri di carne. | Martire. Sto fermo nella mia tomba, nudo, rosso di ferite. | AltroMartire. Sotto il cielo vivo stanno le mie carni ferite!” E ancora: “La Chiesa ferita si è aperta lepiaghe con le Sue mani, e un | lago di sangue le è caduto ai piedi. Ed essa prima di morire ha |fatto di quel lago uno specchio, e un lampo ha illuminato la Sua | immagine dentro il sangue. [...]Ah bestemmie ed eresie, unica dolce memoria di Cristo... [...] Cristiani, e voi detergete col san-gue la polvere dai nomi. | Un usignolo canta, vuole morire: prendete il suo sangue...”. Cfr. PPP,L’usignolo della Chiesa cattolica. Torino, Einaudi, 1976, pp. 26, 30.

20 “[...] Sto dimenticando com’erano prima le cose. Le amate facce di ieri cominciano aingiallire. Mi è davanti - pian piano senza più alternative - il presente. Riadatto il mio impe-gno ad una maggiore leggibilità (“Salò”?)”. PPP, Trilogia della Vita, cit., p. 11.

21 L. Micciché, Pasolini, la Morte e la Storia. “CinemaSessanta”, XIX, n. 121, maggio-giu-gno 1978, pp. 8-17 (15). Il saggio in questione rielabora precedenti interventi di Micciché sul-l’argomento già comparsi su “CinemaSessanta” (n. 105) e in: Id., Il cinema italiano degli anni60. Venezia, Marsilio, 1976, pp. 151-171.

22 Nell’appuntarsi sul “Salò-Sade” come problema estetico Micciché dice: “Il testo pasoli-niano ha, infatti, una sorta di fredda e distaccata continuità descrittiva, dove si perdono quasiinteramente i valori dell’iterazione sadiana, trasformata in pura ridondanza [...] Nel cinema,l’inevitabile realismo fotografico rende la “inimmaginabilità” del gesto non già un “impossi-bile realistico”, ambiguo se non altro perché, anche nella fiction cinematografica, vi è il datorealistico del “profilmico””. L. Micciché, Pasolini e la Morte, cit., pp. 14-15.

23 Proseguendo sulla linea delle aderenze tra poesia e prefigurazione del suo destino tragico, si

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può recuperare l’epitaffio inequivocabile che Pasolini inserisce in Per una “Nota dell’editore”, inchiusura alla Divina Mimesis: ”Ma moltissimi appunti, specie quelli più brevi, [...] sono stati repe-riti fuori dal corpo dattiloscritto dell’opera [...] Un blocchetto di note è stato addirittura trovatonella borsa interna dello sportello della sua macchina; e infine, dettaglio macabro ma anche - lo siconsenta - commovente, un biglietto a quadretti [...] riempito da una decina di righe molto incer-te - è stato trovato nella tasca della giacca del suo cadavere (egli è morto, ucciso a colpi di basto-ne, a Palermo, l’anno scorso)”. PPP, La Divina Mimesis. Torino, Einaudi, 1993, p. 61.

24 Segnaliamo due estremi in senso cronologico: una breve e approfondita analisi si può ritro-vare nel recente S. Murri, Pier Paolo Pasolini. Salò o le 120 giornate di Sodoma. Torino,Lindau, 2007, pp. 153-161 (§ Il quadro iconologico. Volti, figure e ambiente. A cura di F. DePaolis); uno dei primi accenni si può invece recuperare in un articolo di Mario Verdone imme-diatamente successivo all’uscita del film che si puntualizzava, in una breve parentesi, sullapresenza dell’Avanguardia in Salò: “Nella ‘Villa Triste’ i quadri futuristi sono una citazionetemporale [...] I quadri futuristi sono efficaci? Si, e questo va a vantaggio della messinscena.Sono efficaci perché in primo luogo servono a datare il film. Sono efficaci anche perché sonofalsi, e quindi il peso della loro presenza arriva attutito. Non si tratta dei veri ciclisti diBoccioni o delle vere strisce colorate di Balla. Sono imitazioni - almeno così risultano - chenon disturbano, proprio perché sono false. Fossero stati veri avrebbero scomposto i piani delregista. Ed anche in questo calcolo trovo un merito di più della realizzazione”. Cfr. M.Verdone, Riesame di “Salò-Sade”. “La Fiera letteraria”, 1 agosto 1976, p. 6.

25 Si vedano alcune dichiarazioni di Pasolini in un’intervista rilasciata a Gideon Bachmanne Donata Gallo il 2 maggio 1975, durante le riprese di Salò: “Facendo un film di questo gene-re tu ti muovi su un terreno pericoloso, nel senso non soltanto di non essere capito ma anchedi essere mal capito: non ci pensi? No, perché il mio è un mistero; è quello che si chiamamistery, il mistero medioevale: una sacra rappresentazione, e quindi è molto enigmatica. Nondeve essere capita. Certo che rischio di essere capito male o non capito, ma questo è intrinse-co al film stesso”. De Sade e l’universo dei consumi, in: Pier Paolo Pasolini. Il cinema informa di poesia, cit., ora in: Pier Paolo Pasolini. Per il cinema, cit., II, pp. 3019-3022 (3020).

26 In merito all’articolata genesi della sceneggiatura a più mani di Salò, si rimanda al detta-gliato articolo di A. Sebastiani, Per le sceneggiature di Salò o le 120 giornate di Sodoma, con-tributi preliminari. “Palazzo Sanvitale”, n. 5, febbraio 2001, pp. 111-116; l’articolo muove daun’interessante comparazione dei testimoni conservati presso la Cineteca di Bologna e pressoil Fondo Pier Paolo Pasolini nell’Archivio contemporaneo Bonsanti del “Gabinetto scientificoletterario G. P. Viesseux” di Firenze.

27 Cfr. Introduzione di C. Bo a: G. Flaubert, Salambò. Milano, Rizzoli, 1989, p. III.

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Nota dell’autore

L’approfondimento del presente saggio, che, come anticipato nell’introdu-zione, si focalizza su una disamina dei rapporti tra inquadrature e sequenze delfilm e loro riferimenti pittorici, propone una scansione organizzata su di una par-titura sinottica che viene mutuata da quella contenuta nel recente saggio diSerafino Murri su Salò 1, per la completezza e l’esaustività del dettaglio informa-tivo.

Per quel che riguarda la titolazione delle parti della pubblicazione è opportu-no un breve chiarimento: le denominazioni “Progetto”, “Mistero” e “Mimesis”hanno provenienza interamente pasoliniana e specificamente sono derivate dal-l’ambito letterario e poetico dell’opera di Pasolini.

I primi due titoli rimandano a Petrolio (1972-1992) e precisamente richiama-no le considerazioni progettuali di Pasolini, relative al processo di elaborazionee composizione del poema:

“Come spiega Pasolini nell’“Appunto 43. Lampi sul ‘Linkskommunismus’”, inuna prima stesura il testo era composto da una serie di appunti, seguiti ognunodalla dicitura “Dal Mistero”, oppure “Dal Progetto”. Alle pagine rifinite Pasoliniaveva infatti dato originariamente il nome di “Misteri”, e alle pagine in abbozzoquello di “Progetti”. I testi appartenenti all’ordine del “Mistero”, cioè le pagineperfettamente compiute (al momento di quella prima stesura ancora molto fram-mentaria) erano pochissime; erano di conseguenza preponderanti gli appunti verie propri, quelli cioè appartenenti all’ordine del “Progetto”. Tutta l’opera era adogni modo concepita come una vivente coesistenza di quel “Mistero” che dovevaessere, e del suo “Progetto”” 2.

L’assegnazione di queste denominazioni alle prime due parti del saggio èvolta ad una medesima caratterizzazione dei momenti della vita e dell’opera diPasolini, quali sono richiamati all’interno dei singoli capitoli.

Per quel che riguarda invece la terza parte, la “Mimesis” (ovvero l’emulazio-ne della pittura operata da Pasolini attraverso il cinema, come viene intesa nelpresente studio), anche troppo immediato è il riferimento al lavoro poetico ‘rivi-sitatore’ della Divina Mimesis (1975), anche questo lavoro finale di Pasolini che,al pari di Petrolio, confluisce idealmente e progettualmente nel discorso cinema-tografico di Salò o le 120 giornate di Sodoma, sorta di loro complemento e inte-grazione, nella cornice dell’ultimo periodo dell’opera pasoliniana precedente allamorte dello scrittore.

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Note

1 Cfr. S. Murri, Pier Paolo Pasolini. Salò o le 120 giornate di Sodoma. Torino, Lindau,2007, pp. 65-68.

2 C. Benedetti, Pasolini contro Calvino. Per una letteratura impura. Torino, BollatiBoringhieri, 1998, p. 160.

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SALO’ O LE 120 GIORNAtE dI SOdOMA (1975)*

Scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini.Collaborazione alla sceneggiatura: Sergio Citti, Pupi Avati. Direttore della fotografia: Tonino Delli Colli. Operatori alla macchina: Carlo Tafani, Emilio Bestetti. Aiuto operatore: Sandro Battaglia. Assistente operatore: Giancarlo Granatelli. Scenografia: Dante Ferretti. Costumista: Danilo Donati. Aiuto costumista: Vanni Castellani. Musica (consulenza): Ennio Morricone. Esecuzione al pianoforte: ArnaldoGraziosi (Edizioni musicali Eureka). Musica: J. S. Bach, Pastorale in fa mag-giore BWV 590 (eseguita alla fisarmonica); F. Chopin, Preludio op. 28 n. 4,Preludio op. 28 n. 17, Valzer op. 70 n. 2, Valzer op. 34 n. 2; Carl Orff, CarminaBurana; Salvatori-Puccini, Inno a Roma; Son tanto triste, di Ansaldo-Bracchi;Tu amore, di Ansaldo-Bracchi; Tu sei la musica, di Ansaldo-Bracchi; Fiori d’a-rancio, di D’Anzi-Galdieri; Il maestro improvvisa, di D’Anzi-Bracchi; Dormibambina, di Pintaldi-Bonfanti; Valzer di mezzanotte, di Amodio-Cittadino; Quelmotivetto che mi piace tanto, di Casolaro-Galdieri; Settembre ti dirà, di Ala-Moretti; Torna piccina mia, di Cesare Bixio-Andrea Bixio; La canzone del pla-tano, di Barzizza-Morbelli; Stelutis alpinis, di Enrico Zardini; canto militare Sulponte di Perati. Montaggio: Nino Baragli, Tatiana Casini Morigi. Assistente al montaggio: Ugo De Rossi. Aiuto regia: Umberto Angelucci. Assistente alla regia: Fiorella Infascelli. Segretaria di edizione: Beatrice Banfi.Interpreti e personaggi: Signori: Paolo Bonacelli (il Duca: Blangis), GiorgioCataldi (Il Vescovo, doppiato da Giorgio Caproni), Uberto Paolo Quintavalle(Sua Eccellenza: Curval, doppiato da Aurelio Roncaglia), Aldo Valletti (ilPresidente: Durcet, doppiato da Marco Bellocchio). Narratrici: Caterina Boratto(signora Castelli), Elsa de’ Giorgi (signora Maggi), Hélène Surgère (signoraVaccari, doppiata da Laura Betti), Sonia Saviange (la pianista). Vittime(maschi): Sergio Fascetti, Bruno Musso, Antonio Orlando, Claudio Cicchetti,Franco Merli, Umberto Chessari, Lamberto Book, Gaspare Di Jenno. Vittime(femmine): Giuliana Melis, Faridah Malik, Graziella Aniceto, Renata Moar,Dorit Henke, Antinisca Nemour, Benedetta Gaetani, Olga Andreis. Figlie:Tatiana Mogilansky, Susanna Radaelli, Giuliana Orlandi, Liana Acquaviva.

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Militi: Rinaldo Missaglia, Giuseppe Patruno, Guido Galletti, Efisio Etzi.Collaborazionisti: Claudio Troccoli, Fabrizio Menichini, Maurizio Valaguzza,Ezio Manni. Ruffiane e serve: Paola Pieracci, Carla Terlizzi, Anna MariaDossena, Anna Recchimuzzi, Ines Pellegrini.Produzione: PEA (Roma)/Les Productions Artistes Associés (Paris). Produttore: Alberto Grimaldi. Organizzatore generale: Alberto De Stefanis. Direttore di produzione: Antonio Girasante. Ispettori di produzione: Alessandro Mattei, Renzo David, Angelo Zemella.Segretario di produzione: Vittorio Cudia. Pellicola: Kodak Eastmancolor. Formato: 35 mm., colore, 1:1.85. Macchine da presa: Arriflex. Durata: 111 min.Riprese: 3 marzo-9 maggio 1975. Teatri di posa: Cinecittà, teatro n. 15. Esterni: Lombardia: Salò; Mantova. Emilia: Gardelletta, frazione di Vado. Gliinterni della villa dei “Signori” girati a Mantova (Villimpenta) e Villa Arrigoni(Ponte Merlano). La facciata della villa dei “Signori”: Bologna, Villa Aldini.

* La scheda del film è ripresa, con leggere modifiche, da quella contenuta in: Pier PaoloPasolini. Per il cinema, a cura di W. Siti e F. Zabagli, Milano, Mondadori, 2001, II, pp.3351-3352.

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Parte prima - Il Progetto

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Capitolo Primo

PIER PAOLO PASOLINI. NAScItA E VItA

Friuli materno e Bologna paterna

“Parma, un viale e il riso di mia madre” 1.A sancire la continuità intima-sentimentale tra radici e arte in Pasolini sono

l’implacata reiterazione di un movimento all’indietro e la predominanza dellalocalizzazione fisica e poi della identificabilità nominale del suo impulso poeti-co: nella multiforme costellazione dei ‘nomi’ Pasolini declina e legittima (inten-zionalmente e no) grande parte della sua opera, e quella poetica in particolare.

Seppure la biografia pasoliniana dei primissimi anni di vita e dell’adolescen-za sia toccata da una grande mobilità geografica 2 sarà uno soltanto il nome elet-to della memoria e del più intimo affetto: Casarsa, paese natale della madreSusanna.

Casarsa, locus fondamentale per il Pasolini uomo e per la sua opera intellet-tuale, è in fondo l’origine di tutto: nel 1921 il padre Carlo Alberto vi presta ser-vizio come ufficiale e la madre, Susanna Colussi, vi lavora come maestra ele-mentare.

Nel loro primo incontro, sotto il segno paterno del “piglio militaresco, ilmonocolo incastrato nell’orbita sinistra e l’aplomb degli ufficiali di carriera,sublimato nei futuri film di Erich von Stroheim” si racchiude il destino di duecaratteri che collideranno per un’intera esistenza matrimoniale, ovvero la fortepassione amorosa del padre e la distaccata spigolosità della madre, che determi-nerà il rapporto molto difficile tra i due e il cui movente principale sta nelladifformità del sentire politico e religioso di Susanna.

Entrambi, però, figli di illustri famiglie fiorite attraverso le generazioni:

“Carlo Alberto appartiene a una delle più illustri famiglie di Ravenna, i Pasolinidall’Onda, nobili degli Stati della Chiesa, che per tradizione hanno sempre assol-to importanti incarichi in Vaticano. [...] Si sposano nel dicembre del 1921.Susanna ha trentun anni, uno più del marito, ma ne dimostra molti di meno. Lasua famiglia appartiene al clan numeroso dei Colussi, che sei secoli prima hannopartecipato alla fondazione di Casarsa. Il paterfamilias Domenico da anni si èallontanato dalla servitù dei campi costituendo un primo nucleo industriale condelle trebbiatrici e un laboratorio per la distillazione dell’acquavite” 3.

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Roberto LasagnaWalt Disney. Una storia del cinema

Nicola BoariWakamatsu Koji. Il piacere della distruzione

Meris NicolettoValerio zurlini. Il rifiuto del compromesso

Ignazio Senatoreroberto Faenza. Uno scomodo regista

Nicolò Barretta - Andrea Chimento - Paolo Parachinialla ricerca della (in)felicità. Il cinema di todd solondz

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