Luca Carbone Dialogo Con Opera Pasolini

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Il mondo della terra 1 di Luca Carbone A Giacomo Serafino Preambolo Comporta un’ambiguità irriducibile ogni cosa che ci tocca profondamente. Così è della parola e del silenzio. Il silenzio intorno a qualcosa può essere la conseguenza della propensione al non volerla affrontare, oppure il più certo segno della concentrazione, dell’intima adesione. Parlare di qualcosa è spesso un modo per tenerlo a distanza, per non commisurarsi realmente con, e a, ciò di cui si parla; ma la più condivisa e pertanto la più sociale delle cose umane è la parola (Bachtin, 1979). Il lato tragicomico dell’esistenza sta, per noi, nel voler e dover venire a capo di qualcosa, per quanto possibile disambiguandola. Ma non su un foglio bianco, né nella vita di ognuno, è facile disambiguare le ambiguità: non è neanche facile volerlo fare. Volentieri dividiamo, credenti e no, i nostri servigi fra “dio” e “mammona” («la robba»). Nonostante i fondamentalismi insorgenti, felicemente o infelicemente, abitiamo nel politeismo valoriale (Weber, 1948: 31-32). Molto poco, quasi nulla, può uno scritto. Come già annotava Leopardi, si sopravvive di gran lunga alla fama – effimera: dura, appunto, un giorno – dei propri lavori, i quali spesso peraltro meritano la loro sorte, perché a scriverli ci è voluto meno, di quanto si impiega a leggerli. E ancora si scrive troppo – troppo si comunica (siamo una società di emittenti, diceva Roland Barthes), e troppo poco si rilegge. Con Borges sono fermamente persuaso che rileggere è l’essenziale, in rapporto ai libri. Uno scritto, un libro, poi non sono la vita, e tanto meno un manuale d’istruzioni per vivere. La scrittura si coniuga ottimamente col giornalismo e l’attualità, ma nel saggio la sua importanza sta nell’essere sedimentazione dell’esperienza di processi non occasionali, né contingenti; d’esperienze che non siano il riflesso di crucci personali. Non riesco a sottrarmi alla pressione delle troppe parole che si disperdono, a livello istituzionale e non, intorno a temi come l’identità, la tradizione e il territorio, ed al tempo 1 Le opinioni espresse sono solo dell’Autore e non rappresentano necessariamente quelle dell’Ente promotore della pubblicazione. Aggiungo che per la parte riuscita della composizione, in quanto compenetrazione di forme e contenuti, qui più che in altri scritti, sono debitore di Angela Serafino, come le sono debitore per le pazienti revisioni delle prime versioni. Ringrazio Carla Izzi perché alcune parti dello scritto hanno trovato la loro giusta collocazione grazie ad una sua ulteriore revisione, di una versione quasi completa. Sono invece l’unico responsabile delle traduzioni dal francese e dall’inglese. Non menzionare nei ringraziamenti Mariano Longo e Fabio Tolledi sarebbe almeno disdicevole. 1

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Dialogo Con Opera Pasolini.

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  • Il mondo della terra1di Luca Carbone

    A Giacomo Serafino

    PreamboloComporta unambiguit irriducibile ogni cosa che ci tocca profondamente. Cos della

    parola e del silenzio. Il silenzio intorno a qualcosa pu essere la conseguenza della

    propensione al non volerla affrontare, oppure il pi certo segno della concentrazione,

    dellintima adesione. Parlare di qualcosa spesso un modo per tenerlo a distanza, per non

    commisurarsi realmente con, e a, ci di cui si parla; ma la pi condivisa e pertanto la pi

    sociale delle cose umane la parola (Bachtin, 1979).

    Il lato tragicomico dellesistenza sta, per noi, nel voler e dover venire a capo di qualcosa, per

    quanto possibile disambiguandola. Ma non su un foglio bianco, n nella vita di ognuno,

    facile disambiguare le ambiguit: non neanche facile volerlo fare. Volentieri dividiamo,

    credenti e no, i nostri servigi fra dio e mammona (la robba). Nonostante i

    fondamentalismi insorgenti, felicemente o infelicemente, abitiamo nel politeismo valoriale

    (Weber, 1948: 31-32).

    Molto poco, quasi nulla, pu uno scritto. Come gi annotava Leopardi, si sopravvive di gran

    lunga alla fama effimera: dura, appunto, un giorno dei propri lavori, i quali spesso

    peraltro meritano la loro sorte, perch a scriverli ci voluto meno, di quanto si impiega a

    leggerli. E ancora si scrive troppo troppo si comunica (siamo una societ di emittenti,

    diceva Roland Barthes), e troppo poco si rilegge. Con Borges sono fermamente persuaso che

    rileggere lessenziale, in rapporto ai libri. Uno scritto, un libro, poi non sono la vita, e tanto

    meno un manuale distruzioni per vivere. La scrittura si coniuga ottimamente col giornalismo

    e lattualit, ma nel saggio la sua importanza sta nellessere sedimentazione dellesperienza

    di processi non occasionali, n contingenti; desperienze che non siano il riflesso di crucci

    personali.

    Non riesco a sottrarmi alla pressione delle troppe parole che si disperdono, a livello

    istituzionale e non, intorno a temi come lidentit, la tradizione e il territorio, ed al tempo 1 Le opinioni espresse sono solo dellAutore e non rappresentano necessariamente quelle dellEnte promotore della pubblicazione. Aggiungo che per la parte riuscita della composizione, in quanto compenetrazione di forme e contenuti, qui pi che in altri scritti, sono debitore di Angela Serafino, come le sono debitore per le pazienti revisioni delle prime versioni. Ringrazio Carla Izzi perch alcune parti dello scritto hanno trovato la loro giusta collocazione grazie ad una sua ulteriore revisione, di una versione quasi completa. Sono invece lunico responsabile delle traduzioni dal francese e dallinglese. Non menzionare nei ringraziamenti Mariano Longo e Fabio Tolledi sarebbe almeno disdicevole.

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  • stesso, alla pressione del troppo silenzio che sembra avvolgere, soprattutto tra chi ha meno di

    cinquantanni, il mondo dellagricoltura.

    Pasolini era scandalizzato dalla mancanza di senso del sacro dei suoi contemporanei; anche

    senza la stessa grandezza danimo o le stesse capacit, si pu restare sconcertati dalla

    difficolt crescente di stare nella vicinanza delle cose e di farne vivere lesperienza in parole

    condivise. Tema peraltro poco originale, gi Walter Benjamin rilevava latrofia dellesperire.

    Sarebbe auspicabile non abbandonarsi a illusioni, molto diffuse in alcune aree di studio:

    alcuni temi, connessi nel mondo dellagricoltura, sono fuori dallagenda-setting del dibattito

    intellettual-accademico ed anche, parallelamente, dalle pratiche comuni. Fatte salve alcune

    riserve, dove puri teorici, praticanti zelanti e neo-adepti si sentono e si rappresentano, a

    torto o a ragione, come avanguardie del pianeta. Scriverne un modo per non perderne la

    semenza.

    Uno dei temi la storia. Un altro la terra. Un altro ancora la morte. Un altro il

    religioso, per cos dire, senza sacramenti. Un altro, forse fra tutti il pi impopolare, la

    necessit.

    1 Le storie , al meno, dalla pubblicazione della II Considerazione Inattuale di Nietzsche, Sullutilit e il

    danno della storia per la vita, che si discute se di storia ve ne sia troppa o troppo poca nella

    vita. Ma anche la storia, e sarebbe sorprendente cos non fosse, presenta enormi ambiguit.

    Non posso non concordare con chi afferma: Luomo nella storia (De Martino, 2002:

    279). Ma anche non domandare: quale storia? quale tra le molte storie?

    C molta storia monumentale e museale; molta storia celebrativa ed ideologica; molta storia

    analizzata e riproposta, molta immaginata dai fumetti ai film, che tutte dincanto si

    dissolvono e sembra realmente come se noi fossimo fatti della stessa materia di cui sono

    fatti i sogni allincombere delle emergenze. A fronte dellincalzare degli eventi, del

    susseguirsi delle crisi, della rincorsa agli incrementi nella produttivit, dei conflitti per

    legemonia, solo futuro prossimo e presente, contano. Innovare il verbo del non-nuovo

    incantamento.

    La storia o forse meglio la rappresentazione storiografica da tempo diventata sempre

    pi quello che da sempre anche stata, campo di manipolazioni nellambito della

    legittimazione di poteri concorrenti, mentre produzione e consumo impongono ovunque,

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  • nella moda come nella scienza, il canone delloriginale a tutti i costi, e del superato solo

    perch non gi venduto oggi: la dittatura dellattualit.

    Quanto adatta questa sia a favorire un approccio libero alla storia, e alla formazione di storici

    capaci, lo sottolineava gi il giovane Nietzsche, peraltro sulla scia, in certa misura, di Comte

    e Spencer. Molti, ma non solo e neanche soprattutto storici, possiamo ribadire ora, scrivono

    nellingenua credenza che proprio il loro tempo abbia ragione in tutte le opinioni popolari e

    chiamano oggettivit il commisurare le opinioni e le azioni del passato alle opinioni

    correnti del momento; in queste ultime trovano il canone di tutte le verit; il loro lavoro

    quello di adattare il passato alla trivialit attuale. Per contro essi dicono soggettiva ogni

    storiografia che non prenda come canoniche quelle opinioni popolari (Nietzsche, 1981:

    120). Senza esercitare, ad ogni passo, in ogni piega dei concetti e dellimmaginazione, la

    cautela metodologica necessaria a riconoscere e combattere quellingenua credenza, e senza

    essere disposti a correre il rischio di risultare soggettivi; sarebbe preferibile astenersi da un

    confronto con la storia, anche con quella del secolo appena trascorso.

    Nel frattempo la dittatura dellattualit tende ad agire retroattivamente, imponendosi anche

    alla tradizione, facendo del nostro legame con quel che non passa una sorta di stereotipo

    del tradre. Il tradre, in quanto tramandare (tra- manum dare), soltanto uno degli aspetti

    della storia, il pi intimo dellappartenenza, forse, se vero che la tradizione era la vita

    stessa (Pasolini, 1976), diventa la nostra ritrovata tradizione, la nostra identit.

    Concelebrata nelle sagre, riadattata nelle riscoperte, contaminata nelle neo-ritualizzazioni a

    fini turistico/alberghieri, viene violata o ignorata ovunque il mercato mondiale nelle sue

    dinamiche, standardizzanti dei processi e differenzianti dei prodotti e/o limitazione in

    piccolo formato di modelli metropolitani, lo imponga o semplicemente lo suggerisca. La

    colpa non sempre e solo del sistema: la parabola meridionale dallantico orgoglioso

    fatalismo al moderno vittimismo opportunistico appare decisamente regressiva.

    Peraltro, come gi annotava Gramsci la tradizione, se la percepiamo al di fuori delle

    rassicuranti cornici pregiudiziali, un oggetto piuttosto complesso, in ognuno di noi

    possono convivere, e convivono, il troglodita che ha per orizzonte la caverna della proto-

    comunit, accanto al cosmopolita che ha per orizzonte le epoche e il pianeta, insieme a molti

    altri tipi intermedi.

    Tutto questo confluisce in quello che fanno, tra altri, notare la Connell (2007) e Chambers:

    non si pu scindere, come in due fasi opposte e incomunicanti, il tempo storico in

    tradizione e modernit. Per vero dire, linscindibilit era gi molto chiara anche ad un

    autore, ormai fossilizzato in classico, quale Toennies, che del rapporto tra la

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  • prevalentemente moderna volont di ordinare tutto secondo scopi o utilit e la

    prevalentemente tradizionale volont di attenersi alle regole date, tramandate, radicate, ha

    scritto: noi ci accorgiamo come le tendenze empiriche possano coesistere e cooperare, anzi

    favorirsi e incrementarsi, nella direzione delluna e dellaltra, e come daltra parte, in quanto

    ogni specie aspira alla potenza e al dominio, esse debbano necessariamente urtarsi,

    contraddirsi e combattersi (1963: 176). Senza perdere la percezione delle differenze

    irriducibili, non bisogna comunque pensare che la storia fermenti in purezza, come il mosto

    di negroamaro.

    La nostra storia territoriale si fonda sulle pratiche agricole. Peraltro complesse e differenziate,

    dalle monocolture dellolio lampante, del vino da taglio, del tabacco, alle decine di variet di

    ecotipi locali di leguminose, ortaggi, alberi da frutta. Dalle centinaia di imponenti masserie,

    ai ritmi interminabili e continuamente cangianti dei muretti a secco. Dal farsi la salsa in casa

    tutta la famiglia, o pi famiglie insieme, tutti insieme per tutti, le bottiglie a centinaia per

    tutto il fabbisogno dellanno, al saper potare e innestare, al saper pesare, con gli occhi

    soltanto, il raccolto di un oliveto.

    Di questimmenso, orgoglioso, faticoso mondo che tutti, qui sino allincirca un quarto secolo

    di fa, ci ha cresciuti, poco si parla, al di fuori delle autocelebrazioni ombelicali. E mentre lo si

    abrade dallattenzione e dalla memoria, lo si lascia andare, concretamente, in rovina nelle sue

    emergenze paesaggistiche, come una passeggiata fuori dal paese mostra a chiunque abbia

    occhi per guardare. Si sostituiscono con i mattoni forati in cemento, quegli altri; o li si

    ricostruisce, ma senza la sapienza dellallineare illineari le pietre. Incapaci di coglierne la

    bellezza (Boero, 2007), indifferenti alla cancellazione di noi: [I]l luogo occupato da un

    gruppo non come una lavagna su cui si scrivono delle cifre e delle figure e poi si cancellano

    Il luogo accoglie limpronta del gruppo e ci reciproco (Halbwachs, 1987, 137).

    2 The silence of the land2

    Disregarding the land is not just . leggermente paradossale che una sociologa

    australiana, come Raewyn Connell, docente allUniversit di Sidney, una delle metropoli del

    continente sostenga ignorare la terra non una scelta teorica tra le altre, ma emerge come

    una tratto caratterizzante dellideologia neoliberale mentre nei dibattiti pubblici e nelle

    conversazioni private la terra, per noi, ha dignit di menzione spesso solo come il comparto

    economico in affanno o il posto per le vacanze. Sembriamo soffrire del complesso

    tipicamente provinciale del bisogno didentificazione con le ideologie dominanti del mercato 2 Il titolo tra virgolette perch lo stesso di uno dei capitoli del volume Southern Theory di Raewyn Connell.

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  • mondiale e della globalizzazione dallalto. Ed anche il molto parlare che si fa di glocale

    sembra pi na pezza a culure che il segno di una volont di pensare e praticare una

    visione/versione abitabile, e non colonizzata, dellappartenenza. Abitare il sud dal sud non

    meno difficile che pensare il sud da sud.

    Nel sottile e profondo godimento che riviene dallimitare (senzaltro criticamente) i modelli

    culturali e cultuali dominanti, riproduciamo quella tendenza ben esemplificata dal

    mainstream delle teorie sociali metropolitane: Coleman fornisce un caso estremo di un tratto

    generale della moderna teoria sociale: la sua mancanza di interesse per il luogo, il contesto

    materiale, e specificamente, la terra. La scienza sociale di solito preferisce generalizzazioni a-

    contestuali (context-free). Un prestigio particolare accumula la teoria che cos astratta che

    le sue tesi sembrano universalmente vere (Connell, 2007: 196).

    Daltra parte una delle fonti inesauribili dellinnovazione concettuale loblio disciplinare.

    Cos non sorprendente che la critica della Connell riecheggi quella avanzata, pi di

    centanni fa, dal geografo Friedrich Ratzel. La maggior parte dei sociologi studiano luomo

    come se si fosse formato nellaria, senza legami con il suolo (1900: 4).

    Per quanto critico verso lassolutizzazione dello spazio come fenomeno sociale, propria di

    posizioni quali quella di Ratzel, uno dei mai troppo mitizzati, e mai abbastanza ristudiati,

    padri fondatori delle scienze sociali, Georg Simmel a scrivere dando ampio rilievo alla

    componente spaziale nelle interazioni sociali, pochi anni dopo: Nella misura in cui una

    formazione sociale fusa o, per cos dire, solidale con una determinata estensione del

    territorio, essa presenta un carattere di unicit o di esclusivit (Simmel, 1998: 526).

    Un tratto eminente del provincialismo meridionale (e peraltro anche italiano) lesterofilia. Il

    meglio sta sempre altrove, soprattutto poi nella produzione intellettuale il centro franco-

    tedesco-anglicizzante. Cronofila, questa terra del sud divora i propri figli, anche quelli

    adottivi. Perci non posso fare a meno di richiamare, nel merito del discorso, quanto ha

    scritto, pi di un quarto di secolo fa, lamico e, se la parola non fosse fonte di abusi, maestro,

    il sociologo Gianni Giannotti: linguaggio e territorio sono requisiti essenziali senza di

    cui non vi comunit umana; insieme costituiscono la matrice istituzionale di tutta

    lorganizzazione sociale il complesso ecologico-culturale di base. () [L]e due istituzioni

    che in qualche modo costituiscono i termini dogni sistema sociale empirico sono una

    lingua ed un territorio. () Lingua e territorio racchiudono, ma anche esprimono e

    rappresentano, simbolicamente e materialmente la memoria (attiva e passiva) di s di tutta

    lorganizzazione sociale (1982: 165-166). Queste tesi, che, nella misura in cui le

    comprendo, condivido pienamente, anche se forse lasciano in ombra un terzo requisito

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  • essenziale, peraltro intrecciato strettamente agli e degli altri due, e che, come mostra la

    polemica della Connell, sono rimaste ampiamente insondate, pensando al, nel, dal Salento

    senza pensare solo per il Salento che sono state scritte.

    Forse non si tratta solo di una fortunata coincidenza, importante per tutti e sempre, infatti la

    terra/territorio la parte portante della nostra storia/tradizione, della nostra memoria

    collettiva attiva e passiva di noi; e questa non , puramente e semplicemente,

    comprensibile, anche nelle sue declinazioni attuali, senza quella. Come ribadisce la Connell

    (2007: 200), per alcune societ, tra cui la nostra (il nostro sud) aggiungo io, la terra non

    uninfrastruttura, ma parte dellordine sociale. E certo terra, suolo e territorio non sono

    concetti equivalenti, rimandano tuttavia allo stesso plesso di fenomeni, e mettere a fuoco

    teoricamente ed indagare questo plesso di fenomeni sarebbe un primo passo per

    sprovincializzarsi; per concretizzare lindicazione di Cassano ad apertura del Pensiero

    Meridiano: [l]a chiave sta nel ri-guardare i luoghi, nel duplice senso di aver riguardo per

    loro e di tornare a guardarli (2001: 9). E, detto per inciso contro facili fraintendimenti,

    lattenzione portata qui alla terra, non pensata in antitesi alla tematizzazione del mare

    mediterraneo, ma piuttosto per contribuire a cogliere la qualit delle terre sconfinanti le une

    nelle altre.

    La mia affermazione potrebbe sembrare, ad ogni modo, apodittica, ma, in attesa di venire in

    chiaro della questione con sufficiente certezza, direi che comunque meno arbitraria, del

    prospettare, pianificare, programmare politiche ed interventi, dalla formazione alla

    produzione, marginalizzando un intero mondo. Ed interessante, in merito, la chiosa di

    Ratzel sullinversione dellordine tra determinato e determinante, in cui si pu incappare. In

    politica come nella storia le teorie che fanno astrazione dal suolo prendono dei sintomi per

    delle cause (1900: 13).

    Senza dimenticare e senza ignorare, lo dice il fitopatologo ed agricoltore giapponese,

    Masanobu Fukuoka, teorico praticante dellagricoltura non-scientifica del non-intervento, che

    un pugno di terra vivo. [M]ilioni di microorganismi si concentrano in ogni singolo

    grammo di terra. Nel terreno ci sono i batteri, ma vi sono anche altri batteri che li eliminano e

    ancora altri che uccidono questi ultimi. Il terreno contiene batteri nocivi, ma anche molti altri

    che sono innocui, o persino benefici per luomo. Un bambino che si rotola spensierato e

    inconsapevole nel fango cresce pi sano e robusto. Questo significa che la conoscenza che

    nel terreno ci sono i germi pi ignorante dellignoranza stessa. (1992: 61)

    Senza quei milioni di batteri lagricoltura, la vita e la stessa storia sarebbero semplicemente

    impossibili.

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  • forse anche per questa conoscenza che nella coscienza del contadino che paga prezzi

    assurdi per un pezzo di terra non possibile alcuna equivalenza tra la terra e qualsiasi altro

    valore economico; essi sono reciprocamente incommensurabili. La terra un valore unico e

    nessuna somma di denaro pu essere troppo grande per pagarla (Thomas e Znaniecki,

    1968: 158). Non un mistero che nel Salento, spesso ancora oggi, al contadino possedere e

    coltivare la terra costi pi di quanto si spenderebbe acquistando i prodotti finali dal mercato.

    La terra non ha valore di scambio.

    Le scienze sociali, al contrario, riflettono e rafforzano, la tendenza sociale generale incarnata

    dai modernizzatori piccolo-borghesi, una volta fascisti, poi progressisti ed ora spesso soltanto

    catodizzati, che hanno guardato con disprezzo, e solitamente ancora guardano con sufficienza

    e degnazione, al mondo contadino, pur fruendone a volte volentieri dei prodotti; come se

    listruzione scolastica fosse garanzia dellevoluzione sociale, e non solo di una piccola

    ascesa incerta ed onerosa nella scala cetuale. Ascesa peraltro, qui nel Sud, interamente

    interna a reti di patronage, ibridatesi con le organizzazioni moderne, ma le cui radici, anche

    nelle citt, sono sempre ancora quelle pre-industriali (Luhmann, 1998).

    Nella mentalit piccolo-modernizzatrice interamente sinvera quanto affermava Pasolini di

    quella borghese. Tutti i borghesi sono razzisti, sempre, in qualsiasi luogo, a qualsiasi

    partito essi appartengano (Pasolini, 1976: 153). Certo, buona educazione, esercizi di

    simulazione della democrazia, patina di mondo rendono il razzismo sfumato, persino

    compiacente nel disprezzo ma in nulla ne modificano il fondo: la scissura resta, lignoranza

    cresce.

    Di avviso diverso stato, tra gli altri, uno dei pi importanti filosofi del ventesimo secolo,

    accusato, oltrech di simpatie naziste (sangue e suolo), di nostalgie arcadiche, il tedesco

    Martin Heidegger. Ma, quando racconta del legame tra la propria elaborazione teorica ed il

    mondo contadino, Heidegger parla di lavoro, contrapponendolo allidillio vacanziero:

    Lelaborazione di ogni pensiero diviene necessariamente dura e incisiva. La fatica di coniare

    il linguaggio simile alla resistenza degli svettanti abeti contro la tempesta. E il lavoro

    filosofico non si svolge come occupazione solitaria di un eccentrico. Esso appartiene

    integralmente al lavoro dei contadini. Come il giovane contadino trascina su per il pendio la

    pesante slitta cornuta per riportarla poi, carica di ciocchi di faggio, in pericolose discese, gi

    alla propria fattoria; come il pastore spinge con passo lento e meditabondo il suo gregge su

    per il pendio; come il contadino nella sua stanza appronta con cura le innumerevoli scandole

    per il tetto, cos il mio lavoro dello stesso tipo.

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  • Questappartenenza alla terra nelle modalit del lavoro, contesta di paesaggio Il

    dispiegarsi del lavoro rimane immerso nellaccadere del paesaggio; e di silenzio, come tutte

    le attivit che impegnano insieme la mano e la mente. Ed Heidegger non manca di rilevarlo,

    anche del tempo del riposo: [I]l cittadino ritiene di andare tra il popolo quando si degna di

    condurre un lunga conversazione con un contadino. () Quando alla sera, nel momento della

    pausa del lavoro, siedo con i contadini sulla panca attorno alla stufa o al tavolo nellangolo

    del Signore, per lo pi noi non parliamo affatto. Fumiamo in silenzio le nostre pipe.

    (Heidegger, 1992).

    Il ponderare filosofico una modalit del coltivare, si potrebbe arguire. Ci cui, nel

    racconto della propria esperienza, Heidegger rimanda il contatto diretto con lambiente

    naturale limmersione in esso. Infatti non si tratta di valorizzare intellettualmente i beni

    naturali, di concepirli con una loro dignit morale, quanto di viverli da dentro (Pellizzoni e

    Osti, 2003: 34). La possibilit anche mediante il lavoro di vivere da dentro lambiente

    naturale, con parole pi classicamente filosofiche Marx lo definisce il suo originario essere

    inestricabilmente intrecciato con le sue condizioni oggettive (1977: 499).

    Nella scrittura teorica un ruolo preminente sembrano assumere gli aggettivi e gli avverbi;

    dallappropriatezza nel loro uso, mi pare, si possano misurare lo spessore e la gittata di un

    pensiero. Certo qui li leggiamo in traduzione e potrebbero non esser stati resi alla lettera;

    per laggettivo originario e lavverbio inestricabilmente, questultimo soprattutto, indicano

    la dimensione nella quale il lavoratore non pu, appunto, essere districato dalle condizioni

    oggettive del e nel lavoro; condizioni, si potrebbe dire, esattamente opposte a quelle subite

    in regime di flessibilit, nelle quali il lavoratore quasi solo un prestatore dopera e quasi del

    tutto fungibile (come risulter chiaro, dal resto di questa esposizione, ci su cui dissento da

    Marx la definizione delle condizioni del lavoro come oggettive). La formazione della

    classe lavoratrice, dalle manifatture ai call-center, si basa sul processo di districamento dei

    lavoratori dalla condizione originaria.

    Ed in proposito ed, al tempo stesso, a proposito delluso degli aggettivi, ricordo una

    confronto con Gianni Giannotti, durante la revisione di un suo testo tratto dalla registrazione

    delle sue lezioni, le prime tenute dopo la grave malattia che laveva colpito. Alla mia

    domanda se pensava andasse bene la ripetizione, per ben tre volte, dello stesso aggettivo nel

    giro di un unico breve periodo, la sua risposta, dopo qualche secondo di riflessione

    silenziosa, stata che, cos comera stata trascritta (senza alcuna variazione rispetto alla

    registrazione), andava bene. Un elemento essenziale, da dover sempre tenere presente, che

    anche il pilastro essenziale su cui si fonda il modo di produzione capitalistico, e quindi un

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  • elemento essenziale del capitalismo, per lappunto lavvenuta riduzione del lavoro e della

    forza lavoro a merce e la nascita del mercato del lavoro (Giannotti, 2001-2002: 214-215).

    Proprio in quanto il modo di produzione capitalistico non potrebbe, secondo questa tesi, fare

    a meno di districare la forza-lavoro dai suoi legami di appartenenza, il pi forte dei quali

    quello con la terra, proprio per questo come ha scritto Rosa Luxemburg il capitalismo

    conduce sempre e ovunque una preventiva campagna di annientamento contro leconomia

    naturale [inclusa] leconomia contadina patriarcale. Questo non pu non accadere in

    quanto: [l]a comunit contadina a tipo comunista o il feudo si basano, nella loro

    organizzazione economica, sul vincolo del principale mezzo di produzione il suolo e delle

    forze-lavoro, in virt del diritto e della consuetudine (Luxemburg, 1968: 364).

    Mi chiedo da anni se non sia maturo il tempo di guardare agli intrichi della forza lavoro con

    le sue condizioni, dovunque ancora si manifesti, con uno sguardo meno annientante di quello

    modernizzatore.

    Mentre la lotta contro leconomia naturale continua nelle periferie della modernit, al centro

    si intanto consolidata la societ dello spettacolo, nella quale, anche lavorare diventato un

    evento. Il lavoro, come saper fare, nelle priorit socioculturali, stato sostituito in certa

    misura, lo osservava gi Braverman negli anni settanta, dal consumo. La pressione che si

    esercita su ogni nuova generazione, attraverso lo stile di vita, la moda, la pubblicit e il

    processo educativo ha come effetto, di svalutare le cose fatte in casa e di esaltare quelle

    prodotte in fabbrica o comprate in negozio (1978). Poter comprare conferisce status

    pi che saper fare.

    E sulla coercizione al, e incanto del, consumo sono state scritte alcune delle migliori pagine

    della critica sociale, pagine che si tende ad obliare, quando non sono riciclate come editoriali

    illuminati, misconoscendo il fatto che i processi divisati, dalle avanguardie elitarie sono

    emigrati nelle merci le pi a buon mercato. Ci che nella critica teorica appare superato,

    in offerta e ci travolge nella pratica coatta.

    La passione ipnotica e stregata che spinge a consumare, di volta in volta, gli ultimi ritrovati

    della tecnica, non rende solo indifferenti nei confronti di ci che viene propinato, ma torna

    anche a vantaggio della conservazione delle porcherie abituali e delle programmazione

    sistematica dellidiozia. Essa conferma e ribadisce il vecchio kitsch, in sempre nuove

    variazioni, come haute nouveaut (Adorno, 1995: 136)

    Tutto questo non comporta per solo lelevazione del kitsch a standard, per i funzionalisti

    una conseguenza tutto sommato accettabile, anzi accettata, ha altre due conseguenze ben pi

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  • profonde, anchesse individuate da Braverman, il deterioramento delle abilit manuali e la

    connessa atrofia della competenza; non casualmente gi rilevate da Walter Benjamin.

    Dellomologazione globale dei prodotti e dei servizi si discute molto, ma anche se la

    produzione industriale riuscisse a de-standardizzare i prodotti, differenziandoli uno ad uno,

    ed a personalizzare i servizi sino alla pura corrispondenza col desiderio, questo non

    cambierebbe in nulla il nostro diventare sempre pi dipendenti dal mercato e dalle

    organizzazioni, e sempre pi inabili ad interagire con cose non preconfezionate, in relazioni

    non predisposte.

    Andiamo quindi comunque perdendo quella possibilit, attuabile soltanto quando siamo

    assorbiti dentro la cosa, quando nel lavorare non siamo pi coscienti di noi stessi, neppure

    di noi stessi come corpi, in quanto nel lavoro siamo diventati la cosa su cui stiamo lavorando

    (Sennett, 2008: 170). Quando siamo intricati nelle condizioni oggettive del lavoro. Essendone

    sempre pi districati stiamo sempre pi diventando incapaci di cogliere il solo e medesimo

    nesso tra anima, occhio e mano, che reciprocamente influenzandosi determinano una

    prassi, nel contadino come nel pensatore (Benjamin, 1982: 273). Per il pensiero della prassi

    scissa dalla terra, la prassi del pensare si fa intrasparente.

    3 dalle foglie del cuoreLa trionfale marcia del progresso soffoca i moroloja (Imbriani, 2008). I moroloja, uno dei cui

    versi d il titolo a questo paragrafo, sono le nenie rituali con cui, nella Greca Salentina si

    celebrano i morti, e i vivi liberano il proprio dolore. Valanghe di parole sono state scritte sul

    senso della morte e sulla sua rimozione, nella cultura e nella prassi della modernit

    occidentale. Avere la presunzione di venire a capo del dibattito ridicolo, ma ci che qui

    conta che il fenomeno della morte il richiamo pi irrevocabile al senso del limite. La

    condizione umana una condizione, intrinsecamente ed estrinsecamente, limitata. La vita

    umana intrecciata con la morte. La nostra vita possibile nelle forma in cui si esprime,

    solo sulla base del sapere che la morte sar e del non sapere quando sar. () La morte

    nella vita si pone nella nostra coscienza come un limite ad un tempo fisso e mobile.

    (Simmel, 1938: 120-121).

    LArca originaria terra, come la definisce Husserl, il suolo di tutti i suoli, ed unica, e le

    sue innumerabili risorse sono, in gran parte, irrinnovabili, mentre quelle rinnovabili

    perdono tale capacit, quando lungamente sovrautilizzate. Il tema stato ed centrale in una

    giovane ma dignitosa ed agguerrita sub-disciplina: la sociologia dellambiente. La ridotta

    10

  • disponibilit di sicure risorse dalle quali la vita umana e le attivit sociali dipendono potrebbe

    essere inesorabile nel causare gravi cambiamenti sociali (Catton, 1983: 8-9).

    Attraverso gli apparati tecnologici di cui disponiamo individualmente e collettivamente (dai

    quali, per, siamo anche dipendenti), ognuno di noi impone un carico sulle risorse

    rinnovabili e non-rinnovabili del pianeta che molte volte pi grande del carico pro-capite

    imposto dai nostri antenati (Ivi: 9).

    Per sintetizzare questo mutamento, William Catton, uno dei fondatori della sub-disciplina, ha

    coniato una suggestiva immagine cognitiva, che riecheggia peraltro, penso

    inconsapevolmente, i pirandelliani giganti della montagna: [l]a tecnologia moderna ha

    convertito lHomo sapiens in quello che io chiamo lHomo colossus(Ivi: 10). Su cento

    uomini si stima che quindici allincirca siano Colossi: consumano da soli lottanta per cento

    delle risorse, lasciando solo il venti restante agli altri ottantacinque. Per una coincidenza

    degna di nota il Paese dei Colossi sembra un aggiornamento del Paese dei Balocchi. In questo

    paese, per quanto meschinamente e vilmente qualcuno si conduca negli affari quotidiani,

    dal punto di vista dellinterazione col pianeta, un Colosso; come lo , in eguale e anche

    maggiore misura, chi si conduce onestamente e laboriosamente. Il disincantamento del

    mondo si compie tra ombre di strani titani.

    Non posso che concordare pienamente e ribadire con Catton che senza una pi ampia

    prospettiva temporale il senso dei mutamenti sociali in atto ci sfugge, che dobbiamo pertanto

    esercitarci sulle varianze diacroniche nello studio dei processi storico-sociali; ma

    questesercizio deve renderci, in linea col rilievo di Nietzsche, non meno avvertiti delle

    diacronie concettuali.

    La nuova disciplina si venuta peraltro articolando proprio attraverso una discussione sui

    paradigmi, definibili come quelle nostre perception-guiding idee intorno al modo in cui

    le cose vanno che possono guidare i nostri sguardi piuttosto che semplicemente risultare

    da ci che abbiamo visto (Ivi: 4). Il paradigma , secondo Catton, che sintetizza forse troppo

    liberamente il dibattito, una concezione underlying cio: fondamentale, originale,

    primaria, principale, essenziale della natura del nostro oggetto [disciplinare] che fa s

    che certi tipi di questioni rispetto ad esso siano indagabili ed altre inindagabili, che fa s che

    certi tipi certi di indagine sembrino legittimi e promettenti ed altri tipi sembrino irrilevanti,

    impossibili, innecessari, o improduttivi (Ivi). Ed abbiamo visto come tra questi ricadano le

    indagini sul plesso terra/suolo/territorio.

    La definizione, proposta da Catton, di paradigma non manca certo dincisivit, singolare

    tuttavia, che, pur ripetendola quasi alla lettera, Catton sembri non fare riferimento ad una

    11

  • definizione sostanziale di idea-guida fondamentale, antecedente quella pi nota di Khun, ma

    in compenso elaborata e proposta da un sociologo, Charles Wright-Mills e, forse anche per

    questo, pi appropriata per la comprensione di processi ampiamente sociali e non solo

    scientifico-disciplinari.

    Per la comprensione di unepoca e di una societ pi importanti delle elaborazioni

    simboliche del filosofo, del teologo, del pubblicitario, dello scienziato e dellartista sono

    quelle dottrine che non sembrano affatto dottrine, ma piuttosto dei dati di fatto. Tali non-

    dottrine, nellesperienza di chi attua i ruoli tipici della propria situazione storica, sembrano

    categorie inevitabili della mente umana. Gli uomini pertanto non le considerano

    semplicemente come opinioni corrette, perch esse sono entrate talmente nella mentalit,

    hanno radici cos profonde, che in realt essi non ne sono affatto consci: non le vedono,

    bens vedono altre cose attraverso di esse. E sono queste non-dottrine, queste idee astratte

    che costituiscono il nucleo centrale; sono le cose che gli uomini danno per scontate quelle

    che caratterizzano unepoca (corsivi miei) (Giannotti, 1976: 214-215).

    Non basta criticare gli assunti di fondo di una disciplina condensati in un paradigma,

    proponendo nuovi paradigmi, per essere sicuri di aver definito lambito dinfluenza di quelle

    dottrine ed idee astratte che esercitano uninfluenza, pretendendo cogliere dati di fatto,

    come fossero innate categorie della mente.

    Non certo possibile qui, in questa sede, dirimere una tale questione, ma, si pu osservare

    come, se relativamente semplice comprendere e criticare lidea centrale, base dello

    sviluppo occidentale, che le risorse naturali siano illimitate o illimitatamente utilizzabili

    o, grazie alla tecnologia, illimitatamente differenziabili, e se rimane meno semplice

    affrontare il problema del limite, che significherebbe aprire una fase culturale nuova e

    difficile (Cassano, 2001: 76) ancor meno semplice ancora comprendere che lo stesso

    concetto di risorsa solo la conseguenza di una dottrina funzionalista, estesa, ai fini del

    dominio sulla natura, al di fuori della sfera dei mezzi. Soltanto nel medium della tecnologia

    luomo e la natura diventano oggetti fungibili di unorganizzazione () (Marcuse, 1967:

    181).

    Un albero di pero non solo risorsa, non solo funzionale, mai; cos come qualunque altro

    organismo vivente (e, in certo misura, anche qualunque altro elemento inorganico). La sua

    semplice presenza, o assenza, irriducibile alla sola funzione; perch, presumibilmente, lo

    anche al solo concetto. [I]l vivente non subisce la signoria del concetto alla stessa stregua

    che linorganico il concetto posteriore alla realt dellorganico (corsivo mio) (Simmel,

    1938: 191).

    12

  • Un albero di pero, inoltre, non mai solo quellalbero di pero: questalbero qui, davanti a

    me e radicato nella terra, e nessun altro, ed , insieme nello stesso tempo, parte vivente di un

    habitat, che parte di una comunit ecologica, che parte di un ecosistema, parte a sua volta

    della biosfera.

    Queste prospettive ecologiche, di cui Catton indica la carenza nelle scienze sociali, sono

    presenti e operanti entrambe nel pensiero e nella pratica contadini.

    E, per noi, come uomini che fanno esperienza del mondo, la percezione e luso di

    questalbero di pere petrucine insieme immediata nel legame, o non legame, che abbiamo

    con la sua presenza, e mediata dai millenni di memorie collettive che hanno elaborato il

    rapporto e la percezione della comunit umana cui apparteniamo (che ci ha formati quali

    siamo) con questalbero, questhabitat, questecosistema.

    Ogni albero, ogni grossa pietra, ogni buca, ogni prato, ogni campo ha una propria

    individualit e spesso un nome. La stessa tendenza si manifesta nellindividualizzazione e

    spesso anche nella antropomorfizzazione dei periodi di tempo. Almeno un terzo dei giorni

    dellanno sono individualmente distinti e il contadino non usa mai numeri, ma sempre nomi

    individuali per indicare queste date per la pressione del cristianesimo sostituendo, poi, i

    santi ai giorni (Thomas e Znaniecki, 1968: 171). E gli animali, le piante, i corpi celesti, la

    terra, lacqua, il fuoco vivono tutti ed anche i campi e i prati individualizzati i giorni e i

    periodi dellanno hanno una specie di esistenza (ivi: 172).

    Nello stesso tempo: [t]utto questo mondo di esseri animati e pi o meno coscienti

    connesso ad una solidariet generale che ha un carattere mistico ma le cui manifestazioni

    esprimono un principio morale identico alla solidariet della famiglia e della comunit (ivi:

    177).

    Il pensare contadino si fonda sul riconoscimento dellindividualit di ogni organismo

    vivente/senziente; e nel riconoscimento della comune appartenenza ad una totalit,

    spazialmente limitata ma inesauribile, se inviolata. In questa sfera il concetto di risorsa

    afono.

    certamente insensato aspettarsi che gli anziani contadini di oggi percepiscano e pensino la

    natura in questi stessi termini, il pi delle volte sono portatori ignari (ma non ingenui) di

    tali legami; lagricoltura stata industrializzata e chimichizzata soprattutto, e questo ha

    comportato che molte piante siano state bollate come nocive, nemiche della comunit e

    vengano sterminate; tuttavia non meno insensato credere che retaggi esperienziali

    istituzionalizzati nei secoli e nei millenni siano stati interamente cancellati nellarco dei

    cinquantanni, e poco pi, della modernizzazione dirompente.

    13

  • Il processo di individualizzazione del tempo, per fare un solo esempio, ancora chiaramente

    leggibile nei dittri, i proverbi: mprestame do giurni, frate marzu, e bbidi a sta vecchia ce

    li fazzu. Ci si rivolge a fratello marzo, come gi San Francesco a frate foco, e la

    vecchia sono gli ultimi, e pi freddi, giorni di febbraio; o udibile ancora in sentenze

    icastiche. LAcqua il secondo Dio.

    Si cancelleranno se saranno lasciati a stessi, come in ogni forma non si stancato di far

    sentire e comprendere Pasolini. Le sue opere hanno questa valenza emotivo/cognitiva

    fondamentale: di indicare con nettezza la possibilit di mutamenti irreversibili e, forse,

    catastrofici. Vivere con i contadini anziani, lavorare con loro, ascoltarli, discutere su un piano

    di parit per quanto difficile sia non irritarsi e non irritare permette di scorgere, ancora

    oggi, le trame millenarie che hanno tessuto e tessono le loro vite sin dentro la

    modernizzazione.

    Avendo presente che per la comunicazione in quel mondo, tenero e rude a un tempo, nel

    quale la scrittura inutile, vale, come chiave ermeneutica, un esempio riportato da Uspenskij,

    tratto da Odoevskij. Perch lesempio sia traslabile al nostro Sud, sufficiente sostituire a

    soldato, contadino, e limprecazione aggiornarla alle pi consuete nel proprio dialetto. Il

    soldato, che incontra un vecchio amico, non dice: salve, fratello, o qualcosa del genere, come

    si legge nei nostri romanzi, ma questo: Ehi! Ehi! Fermatelo! Eccolo! Ah! Fotti tua madre [in

    Russo: mat] e si abbracciano (1988: 52). I rapporti pi confidenti sono ritmati dalle

    varianti del turpiloquio amoroso. [L]oscenit () nelle conversazioni scherzose e gradevoli

    rappresenta il sale, il condimento, la sostanza del discorso (Ivi). In generale mi pare che

    pochi studiosi di altri paesi riescano a compenetrarsi dello spirito popolare come quelli Russi.

    La semantica dellespressione mat, una delle bestemmie pi stigmatizzate nella Russia antica,

    anche a causa della sua enorme diffusione, ci riconduce indirettamente al tema principale di

    questa parte, la morte. Nelle permutazioni semantiche lespressione infatti connessa, nella

    cultura popolare russa, alla Terra e alla Madonna. Le due Madri si coappartengono ed un

    unico interdetto le protegge. E quando si rischia la morte in combattimento bisogna indossare

    abiti puliti per non recare, morendo sporchi, offesa alla Terra. Anche nel trapasso bisogna

    essere in armonia con la terra, perch la terra sentita come il luogo in cui abitano gli

    antenati (Ivi: 70) . Il trapasso non conosce eternit. Il mondo contadino circolare, com

    noto, e in un senso peculiare; ed proprio riguardo al rapporto alla Madre Terra che la

    dottrina moderna della morte si rivela circoscritta, in quanto in questo rapporto non solo

    la morte nella vita, ma la vita nella morte. Alcuni legami si strutturavano, e spesso

    strutturano, quasi in maniera pura presso i popoli che non hanno goduto pienamente

    14

  • dellevoluzione universale di stampo euro-occidentale. Ricorro, per questo motivo, ad

    unesposizione etno-antropologica.

    La terra in realt appartiene in senso assoluto al gruppo sociale nel suo complesso, vale a

    dire allinsieme dei vivi e dei morti. La propriet del suolo dice il padre van Wing

    collettiva. Ma complessa ne la definizione. Solo il clan, o la stirpe, possiede il suolo

    indiviso; ora il clan, ovvero la stirpe, non composto soltanto dei viventi, ma anche e

    soprattutto dai morti . () Anche presso gli Ashanti, gli antenati sono i veri padroni del

    suolo. Anche se morti da molto tempo, essi continuano a portare un vivo interesse alla terra

    ove sono nati e che una volta hanno posseduto (Levy-Bruhl, 1948: 122-123).

    La solidariet tra i vivi ed i morti, si manifesta nel fatto che, secondo queste concezioni

    dominanti, i morti sono costantemente presenti allo spirito dei vivi, nel fatto che i vivi non

    fanno niente senza consultarli, nel fatto che benessere, prosperit, e lesistenza del gruppo

    sociale dipendono dal buon volere dei morti. Si manifesta come vita nella morte,

    profondamente e intimamente, poich i morti vivono con i membri del loro gruppo che

    vengono al mondo in quanto pur restando nel loro soggiorno sotterraneo o celeste, i morti

    sono tuttavia presenti, nello stesso tempo, poich i morti sono i nomi ed in un certo senso

    le anime dei bambini stessi (Ivi: 381).

    Aver presente i conflitti intrafamigliari nella scelta del nome del nascituro di quale dei

    nonni deve assumere il nome? sarebbe sufficiente per comprendere limportanza della

    compresenza dei morti nel mondo contadino e meridionale, se non fosse stato il primo teorico

    della comunit, una delle cui forme empiriche quella contadina, Ferdinand Toennies ad

    aver affermato che il tratto fondante della comunit, quel tratto cio venendo meno il quale

    soltanto la comunit viene meno, il legame di continuit tra i vivi e i morti. La convivenza

    comunitaria ha, infatti, come la famiglia, radici invisibili, metafisiche, per cos dire

    sotterranee, in quanto deriva da antenati comuni. I viventi sono uniti dalla successione delle

    generazioni che sono state e che saranno, dal presente e dal futuro (1963: 297).

    In questa dimensione la morte individuale, pur sempre temuta, non ha nulla dirreversibile;

    come non irreversibile il tempo, in quanto esiste solo il presente, ma un presente molto

    capace e ampio, che non si riduce al momento ma comprende passato e futuro e non

    separato da essi da alcun netto confine (Gurevi, 1983: 103).

    Tutto questo sembra lontano ed estraneo, ma cosaltro sono, in fondo, i paradigmi se non la

    persistenza dei pensieri dei nostri morti, dei nostri antenati, nelle nostre vite?

    15

  • 4 Religiosit e complessitLa spettacolarizzazione della vita ha i suoi lati intriganti chi potrebbe negarlo? ma

    senzaltro difficilmente conciliabile con il senso del religioso.

    Nel mondo contadino, cio nella quasi totalit delle societ conosciute prima dellirrompere

    del processo di industrializzazione, e per molto tempo anche dopo che il processo s diffuso,

    ed in metamorfosi rituali inesplorate, ancora oggi, anche latto pi semplice di usare i doni

    della natura assume un carattere religioso tutti gli atti che comportano un consumo di

    prodotti naturali erano o sono accompagnati da cerimonie religiose, ringraziamenti,

    benedizioni ed azioni espiatorie (Thomas e Znaniecki, 1968: 182).

    Le risorse mancano perch nessuno vorrebbe e potrebbe percepirle e definirle come tali:

    sarebbe empio.

    Nel pensare e nelle pratiche contadine, nei luoghi strutturati da e attraverso tali pratiche, a

    volte anche quando segnate dallo sfruttamento e in gran parte meccanizzate, tangibile la

    persistenza di quanto affermava uno dei primi grandi ricercatori empirici nelle scienze

    sociali, che ha studiato le famiglie lavoratrici europee, dagli Urali al Portogallo, Frederic Le

    Play: Esse [le pratiche agricole] stabiliscono tra la famiglia, il suolo, le piante e gli animali

    dei legami armoniosi ed intimi che completano il piacere del focolare domestico e creano,

    con lamore della patria, i pi nobili sentimenti della vita sociale. Nel fornire agli uomini i

    mezzi di produrre gli oggetti necessari allesistenza, assicurano loro la vera indipendenza, ed

    in questo modo li mettono al riparo dalla corruzione che proviene, in certe epoche, dalle

    classi dirigenti(1947). A queste affermazioni di un conservatore illuminato, fanno eco le tesi

    lapidarie del progressista Durkheim, sulla genesi e sullordine delle societ umane,: 1)

    Dans le principe tout est religieux In principio tutto religioso. (1897) 2) come essa

    (cfr. la societ) non tuttavia che la forma pi alta della natura, dentro e attraverso la societ

    la natura tutta intera che prende di se stessa una pi alta coscienza (1910).

    I fenomeni sociali fondamentali non sono equiparabili ad ideologie, siano esse di destra o

    di sinistra, e mai dipendono unilateralmente dai processi economici.

    Negli aprichi meridiani marghi quella tensione religiosa s assimilata la Chiesa, quasi pi

    chesserne assimilata; ed soltanto in omaggio ad un illuminismo e positivismo ridotti a

    formule stereotipe, che non siamo pi, e non siamo ancora, in grado di riconoscere e

    partecipare di questi legami al punto da non avvertirne la confidenza intrinseca e

    dogmatica. Lidea che le tradizioni siano riducibili ad una miscela di superstizioni e

    repressioni una banalit imperdonabile (Cassano, 2005: XV).

    16

  • Legami che sacralizzano, silenziosamente, i luoghi. Un fatto questo che caratterizza i nostri

    territori, quello di Zollino non meno di tanti altri. Come scrive Imbriani: sebbene esistano

    angoli riservati a pratiche puramente laiche, tuttavia quasi impossibile, ancora adesso, nei

    paesi dellItalia meridionale rintracciarne scevri e lontani da strutture, suoni, immagini che

    richiamano la presenza costante della chiesa: nei campi come nelle piazze, edicole, edifici,

    campane li segnano e caratterizzano (2008: 87).

    Non si tratta affatto di restaurare una qualche condizione passata; ma, come gi accennato,

    rescindere, sotto le bandiere dellinnovazione, una parte dellesperienza possibile del mondo

    non meno unilaterale ed arbitrario del volere che le cose, le relazioni, le istituzioni si fissino

    in configurazioni immodificabili. I conflitti, come gi sapeva Toennies, sono inevitabili, ma

    un dialogo tale quando li affronta e trascende dallinterno. Il punto , non negandone a

    priori la consistenza, confrontarsi col pensare contadino, senza precludersi alle questioni del

    presente. Il punto che poche cose sono pi cariche di potere degli sguardi, poche cose

    naturalizzano e neutralizzano le gerarchie pi di essi. Coltivare la metamorfosi nellocchio

    non quindi unoperazione onirica (Cassano, 2005: XXIII).

    La storia si modula in polarizzazioni dialettiche. Quanto precede pu indurre nella

    tentazione di pensare che i giardini dellEden, magari con biglietto dingresso ridotto, siano

    agevolmente visitabili in comitiva, su questa terra, oggi.

    Una pagina weberiana espunta dallacerrima disputa sul metodo nelle scienze storico-

    sociali, pu, da sola, far cadere i timori dincontrare Aminta, al canto sei piace, ei lice.

    In modo che siano comprensibili anche ai non senzienti, Weber elenca la molteplicit

    dinteressi che, prescindendo del tutto dagli infiniti conflitti di interessi tra allevatori di

    bestiame, ingrassatori di bestiame, coltivatori di grano, consumatori di grano, distillatori di

    acquavite e cos via potevano essere sussunti, gi un secolo fa, nel concetto agricoltura

    mediante lespressione interessi dellagricoltura. Lelenco comprende gli interessi di

    agricoltori che vogliono vendere il proprio podere; quello contrapposto di quelli che

    intendono comperare, accrescersi, affittare; linteresse di coloro che vogliono conservare il

    podere per lasciarlo in eredit ai successori, e mirano alla stabilit; linteresse contrapposto di

    quelli che vogliono si movimenti la propriet. Ed ancora: linteresse puramente economico

    del padrone pi capace, nel senso delleconomia privata, alla libert di movimento

    economico; linteresse antagonistico di determinati strati dominanti alla conservazione della

    tradizionale posizione sociale ed economica del proprio ceto ; linteresse sociale degli

    strati di agricoltori non dominanti al declino di quegli strati superiori , ma anche

    17

  • linteresse di questi stessi agricoltori che talvolta risulta in collisione col precedente, di

    possedere in quegli strati una guida politica (1974: 130-131).

    Ma oltre agli interessi degli agricoltori nellagricoltura, interessi, aggiungiamo, spesso

    perseguiti con caparbiet pari solo allastuzia, in spregio di qualunque regolamentazione

    formale, caratterizzati da forme di parsimonia sconfinanti nellavarizia, segnati da orgogliose

    avversioni intra/inter-famigliari che si ereditano per generazioni, vi sono gli interessi sociali

    generali che gravitano sulla produzione agricola. Ancora con Weber: interessi produttivi,

    derivanti dallinteresse in una nutrizione pi a buon mercato della popolazione, che non

    sempre coincide [oggi possiamo dire: quasi mai] con quello, in una nutrizione

    qualitativamente migliore, a cui possono contrapporsi in varia maniera gli interessi della citt

    e della campagna mentre non c alcuna garanzia [e qui Weber anticipa straordinariamente

    anche se a rovescio uno dei temi dominanti dellagenda politica attuale: lo sviluppo

    sostenibile] che linteresse della generazione presente sia identico con il probabile interesse

    di quelle future. Questi interessi sociali allagricoltura sono ancora quelli che, in forme

    mutate e complicate, determinano le politiche agricole nazionali ed internazionali. Lelenco

    degli interessi per lesempio, a detta di Weber, grossolano e semplificato da lui scelto,

    continua con quelli demografici, quelli socioculturali, quelli statali (Ivi; 132-133); e

    sappiamo, anche se forse non conosciamo ancora con la necessaria chiarezza, quanto

    questultimo intreccio sia stato determinante nella vessata questione meridionale. Mentre

    linarrestato processo di burocratizzazione ha portato alla proliferazione di agenzie,

    associazioni di categoria, enti di certificazione, promozione, controllo, ricerca; alla

    moltiplicazione di vincoli procedurali, alla legiferazione ai pi diversi livelli di governo, dalla

    Commissione Europea alle Province e dai pi diversi punti di vista (tutela del suolo, delle

    acque, uso di sostanze chimiche, sussidi a coltivazioni, protezione degli habitat e delle specie,

    brevetti e cos via); e la crescita del comparto industriale agro-alimentare ha portato alla

    formazione di monopoli a scala mondiale sugli alimenti (es.: Nestl), le sementi e gli erbicidi

    (es.: Monsanto), e coinvolge agronomi, consorzi agrari, grossisti, grande distribuzione,

    strategie di marketing, intere economie di produttori di materie prime e una miriade di

    organizzazioni che lavorano per contrastare i grandi monopoli: la selva dinteressi in gioco

    non ha oscurit da invidiare a quella dantesca.

    Non sorprende, allora, che alcune dinamiche innovative appaiono pi praticabili in territori

    marginali che non dentro i confini dellimmateriale impero occidentale. Cos sono scienziati,

    ecologi tra altri, quelli che, per potenziare e raffinare le tecniche di gestione nella

    conservazione di ecosistemi preziosi e minacciati, elaborano ambiti concettuali quali la

    18

  • Traditional Ecological Knowledge o, anche, la Local Knowledge. La prima, Berkes la

    definisce come: un corpo cumulativo di conoscenza, pratica e credenza, che si evolve

    mediante processi adattivi e trasmessi tra le generazioni, attraverso la trasmissione culturale,

    riguardanti le relazioni tra gli esseri viventi (includenti gli umani) gli uni con gli altri e con il

    loro ambiente. Si discute, a livello internazionale, se traditional sia sempre e/o soltanto

    local, ma il meno che si possa dire in questo contesto, assecondando lo stile acronimico

    anglo-sassone, che meglio sarebbe unificare lapproccio in un nuovo conio: TLEK:

    Traditional Local Ecological Knowledge (Carbone Izzi, 2008). Perch tempo e spazio sono

    categorie scindibili quando teoretiche ma inscindibili quando storico-esperienziali

    (Magnaghi, 2000). Ma la TLEK non individuabile e riconoscibile solo in societ esotiche,

    forma invece il nucleo del sapere e saper fare contadino ancora oggi, in molteplici e

    differenziate enclave agricole europee e meridionali in particolare. Ricordando quanto

    affermato da Durkheim e Le Play, non apparir casuale, che Berkes abbia intitolato uno dei

    suoi libri, in cui delimita lambito della TEK, The Sacred Ecology. Quali altre forze sociali,

    se non quelle religiose, avrebbero potuto perpetuare il mondo contadino, nella sua singolare

    autonomia, nonostante lenorme pressione sociale esogena ed endogena cui stato, ed ,

    sottoposto?

    Per fugare limpressione, inevitabile in post-illuministi quali siamo, che si vogliano

    enfatizzare aspetti spiritualisti ed inconcreti sottolineiamo con Bachtin che per la religiosit

    contadina e popolare tutti i fenomeni vitali, incluse la morte e la tomba: sono immersi in un

    evento unitario e caratterizzano i vari aspetti di una sola totalit: la crescita, la fecondit, la

    vita, intesa sotto il segno della crescita e della fecondit. La vita della natura e la vita umana

    sono fuse in questo complesso; il sole nella terra, nel prodotto consumato, e lo si mangia

    e lo si beve. Gli eventi della vita umana sono grandiosi quanto quelli della vita naturale (per

    essi si usano le stesse parole, gli stessi toni, in un senso tuttaltro che metaforico). E tutti i

    membri del vicinato (tutti gli elementi del complesso) hanno pari dignit. Il mangiare e il

    bere hanno, in questa serie, la stessa importanza della morte, della procreazione e delle fasi

    solari (Bachtin, 1979: 358).

    Il bios cosmico e sacro.

    19

  • 5 Del necessario [I]o sono sempre pi scandalizzato dallassenza di senso del sacro nei miei

    contemporanei, dice, come accennavo allinizio, Pasolini, nellintervista-saggio Il sogno del

    centauro (Cassano, 2001: 127).

    Ma quasi pi scandalosa del sacro senza sacramenti, la categoria della necessit.

    Di necessit sembra non si possa pi parlare, soprattutto sul piano individuale: chi pu

    decidere che cosa sia necessario per chi? Solo lindividuo, la risposta unanime. La necessit

    si declina nella rivendicazione dellaver diritto a qualcosa, al riconoscimento di qualcosa,

    allaccesso a qualcosa; allinclusione di tutti nel sistema sociale, ma in quanto individui.

    Ma una necessit declinabile solo sul piano individuale?

    Supponendo che lindividualismo sia, oggi, unideologia, quella dominante; che peraltro si

    concretizza non di rado nelle pratiche di un io prigioniero del suo etnocentrismo

    istantaneo, che ha orrore di qualsiasi vincolo, anche delle promesse fatte agli altri e a se

    stesso appena ieri (Cassano, 2005: XXX-XXXI); possiamo chiederci, come sempre con le

    ideologie, da che cosa, per cos dire, ci distragga.

    Una sola valutazione, espressa in un linguaggio scientificamente anodino, indica che storia e

    storiografia non coincidono, indica lirruzione dellaccadere storico come necessit:

    durante lintero corso della storia dellumanit, in nessun periodo si assistito ad

    uninterferenza con gli ecosistemi terrestri di proporzioni simili a quelle che si testimoniano

    nella seconda met del XX secolo (Board del Millennium Ecosystem Assessment, 2005).

    Le societ umane non hanno interferito con eufemismo che, innumerabili volte, sta per

    infierito su lArca Terra mai come nellultimo mezzo secolo o poco pi.

    Tra molto altro anche in conseguenza dellindustrializzazione dellagricoltura. Tratto questo,

    in cui anche la pratica dellagricoltura mostra la sua attuale insostenibile ambiguit. Basti

    pensare che dal 1945 si sono convertite ad uso agricolo pi foreste, savane e praterie che nei

    secoli diciottesimo e diciannovesimo e che di pari passo c stato un enorme incremento

    dellutilizzo di fertilizzanti artificiali a base di azoto e fosforo. Per dare una misura della

    smisuratezza del processo possono bastare due soli dati: Dal 1960 al 1990 quasi triplicato

    lutilizzo di fertilizzanti a base di fosforo. [E] dal 1985, stata utilizzata pi della met di

    tutti i fertilizzanti a base di azoto prodotti nella storia dellagricoltura (creati nel 1913) (Ivi,

    13).

    Pasolini, in non grande compagnia, allora come ora, attento alle varianze diacroniche, viveva

    nella piena consapevolezza di quanto veniva accadendo e le sue poche parole sono pi

    20

  • penetranti di molti saggi teorici: Mi pare che in fondo tutti questi movimenti di

    contestazione, studenteschi o altro, non siano che semplici parentesi nella storia dellumanit.

    Oggigiorno, la storia determina il suo orientamento in funzione di uno scopo unico:

    lindustrializzazione totale del pianeta lumanit, considerata dallalto, tende in modo

    uniforme a questa industrializzazione totale e al dominio universale della tecnologia sul

    pianeta (1999: 1464-1465).

    Nel mezzo di nel mezzo di e non davanti a, perch noi, volens nolens, siamo dentro

    questo processo, quale necessit sovrindividuale emerge, almeno agli occhi di alcuni, sempre

    pi nettamente?

    La necessit dellelaborazione di un modello di societ interamente differente da quelli

    tendenzialmente dominanti a livello planetario nella modernit, fondato su un rapporto

    interamente differente tra societ occidentalizzate e natura.

    Ancora in una dura e tagliente formulazione pasoliniana, in una sorta di poema in prosa

    dallimprobabile titolo Appunti per una poesia in lappone, cogliamo il nucleo della

    questione: Il modello di sviluppo quello voluto dalla societ capitalistica che sta per

    giungere alla massima maturit. Proporre altri modelli di sviluppo, significa accettare tale

    primo modello di sviluppo. Significa voler migliorarlo, modificarlo, correggerlo. No: non

    bisogna accettare tale modello di sviluppo. E non basta neanche rifiutare tale modello di

    sviluppo. Bisogna rifiutare lo sviluppo (1999).

    Se questa istanza, rifiutare lo sviluppo, non verr assimilata e coltivata con la debita

    determinazione ritengo che ancora per molto ci consegneremo alle dinamiche distruttive in

    atto. Daltro canto la domanda chiave stata gi posta, con decisione, anche proprio da

    Catton, pochi anni dopo le parole di Pasolini. Per linerzia radicale delle dinamiche di

    mutamento disciplinare (la morsa dei paradigmi non tutto giustifica), ignorando la domanda

    (lunica libert che le domande danno), si continua a ritenere, che le tematiche ambientali

    siano marginali per le dinamiche sociali, mentre sempre pi rapidamente, in realt, in quello

    che dalla e della realt ci dato cogliere, sembra stia accadendo lesatto opposto:

    determinanti centrali dei temi sociali ed economici sono le dinamiche ecologico/ambientali.

    [L]a grande questione che i sociologi dovrebbero cominciare a porsi questa: quanto a

    lungo pu questo pianeta tollerare una civilizzazione industriale? () tempo di

    domandare se lindustrialismo sia il culmine dellevoluzione culturale o sia semplicemente

    uno temporaneo spasmo nella saga culturale della nostra specie (corsivo mio) (Catton, 1982:

    12). Ignorando queste questioni, o disambiguandole unilateralmente in affermazioni come lo

    spazio intero del pianeta coincide ormai con il sociale, la disciplina, in una solo apparente

    21

  • neutralit scientifica, contribuisce a perpetuare la cecit alla necessit; inclusa la necessit di

    un ripensamento della disciplina a partire dalla sua configurazione originaria.

    Certo, allo stato dellarte, questa, pi che una necessit pu apparire come dissennatezza. Ma

    non il caso di trascurare la tesi formulata da Max Weber in una delle sue ultime e pi note

    conferenze, La politica come professione: perfettamente esatto, e confermato da tutta

    lesperienza storica, che il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse

    sempre limpossibile (1948: 120-121))

    Il fatto che un obiettivo appaia, e sia, impossibile non , in alcun modo, un motivo valido

    per rinunciarvi: non realizzeremmo nemmeno il possibile se non ritentassimo sempre ci che

    eccede il consueto. A questaffermazione si pu rispondere con una scrollata di spalle, forse

    con un sorriso di sufficienza; con questo atteggiamento per, pensarlo facile, asservendosi a

    quella, che appare, stato Georg Simmel ad averlo detto molto per tempo, come la nostra

    sorte immutabile, e cio limpotenza e, soprattutto, laccettazione del dato (1985: 99).

    Onorato laltare del fattibile, torniamo alla questione teorico-esperienziale; tra le molte e

    continue formulazioni che ne sono state, e vengono continuamente, proposte, ricorro ancora

    ad unaltra delle poesie in prosa di Pasolini, dal titolo Appunti per una poesia in terrone:

    Cos non si pu pi andare avanti () Bisogner tornare indietro e ricominciare daccapo.

    () Perch la nostra ansia, se giusto che non sia pi ansia di miseria, sia ansia di beni

    necessari.() Torniamo indietro e ricominciamo daccapo. Non vi troverete pi di fronte

    al fatto compiuto di un potere borghese ormai destinato ad essere eterno. Il vostro problema

    non sar pi il problema di salvare il salvabile. Nessun compromesso. Torniamo indietro.

    Viva la povert. Viva la lotta per i beni necessari (1999)3.

    Pasolini stigmatizza qui il progressismo ad ogni costo, quello che affermava nei suoi

    slogan Il progresso il nostro pi importante prodotto (Catton, 1982: 7), e che, nonostante

    tutte le critiche intercorse, tacitamente orienta la storia in quanto borghese, cio, nel

    linguaggio delle scienze sociali, la modernit e tutti i suoi post-. La cultura/civilt occidentale

    borghese quella metropolitana, determinata dal, e condeterminante il processo di

    industrializzazione totale del pianeta. Un tratto distintivo di quella compagine

    ideologico/culturale , secondo Pasolini, una sorta di paradigma, unidea conduttrice

    sinceramente o insinceramente comune a tutti: lidea cio che il male peggiore del mondo sia

    3 Chi ancora frequenta questi versi pasoliniani potrebbe trovare arbitrario che io abbia espunto dalle citazioni ogni riferimento al comunismo. Le motivazioni della scelta richiederebbero un altro saggio; mi limito a rilevare come comunismo, sia un concetto troppo mistificato nellambito della sfera pubblica, per poter essere richiamato senza precisazioni e delimitazioni, tediose in questa sede. Lomissione non rende, a mio avviso, le parole meno appropriate.

    22

  • la povert e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della

    classe dominante. E la colpa, storica, della sua generazione sarebbe stata nel credere che la

    storia non sia e non possa essere che la storia borghese (1976).

    Nella visione borghese del mondo, assolutizzatasi in quella piccolo-borghese in chi cio

    spesso proprio nella dignitosa povert contadina cresciuto e si formato la necessit si

    coniuga solo con la povert, se non con la miseria. La povert appare solo come uno stato di

    privazione. questa, ci domandiamo, lunica possibilit?

    Dalle pagine in cui Camus racconta della sua infanzia vissuta in Africa, Franco Cassano, ne

    Il pensiero meridiano, riprende, contrapponendosi implicitamente allidea conduttrice

    comune a tutti, il tema della povert felice, riportando queste parole dello scrittore: il bel

    caldo che regnava sulla mia infanzia mi ha privato di ogni risentimento. Vivevo in strettezze,

    ma anche in una specie di godimento. Mi sentivo forze infinite: si trattava soltanto di trovar

    loro un punto di applicazione. La povert non ostacolava queste forze: mare e sole in Africa

    non costano niente (2001: 99).

    Moltissime infanzie meridionali sono state felici, e colme di forze che spesso hanno dato i

    loro frutti altrove, perch il sole la terra e, non per tutti, il mare, non costavano niente,

    sebbene di poco daltro fossero prodighe le stagioni. E quella felicit parte grande della

    memoria dei viventi, non solo dei morti.

    Forse, allora, il prezzo pi alto del benessere diffuso, da cui sono esclusi comunque

    miliardi di nostri simili, lo stiamo pagando, perdendo la misura (Cassano, 2005) del

    necessario, dei beni necessari. Quei beni di cui troviamo la misura solo nel rapporto

    religioso con la terra, con il bios. Ed forse la perdita di questo rapporto, al di qua delle

    distruzioni crescenti ed eclatanti, il depauperamento esiziale che ci tocca, e cui siamo ciechi.

    Ed per cercare nuovamente quella misura, e la terra vivente, per coltivare una crescita, che

    non neghi la modernit e la rifugga, ma che nemmeno le ceda incondizionatamente e alla

    lettera, il campo, al di l di edulcorate nostalgie e tetre ideologie, che possiamo, prima che il

    passo, volgere lo sguardo allindietro.

    Allincirca negli stessi anni in cui scriveva Pasolini, il pi grande antropologo italiano di

    quegli anni, Ernesto De Martino componeva una sorta di zibaldone, per un progetto rimasto

    incompiuto, riordinato da Clara Gallini e pubblicato postumo col titolo La Fine del Mondo.

    Contributo allanalisi delle apocalissi culturali.

    Per una di quelle, sempre pi rare, corrispondenze (non coincidenze) tra poesia e teoria, da

    cui si genera la conoscenza, delle centinaia di frammenti scritti e trascritti da De Martino ce

    23

  • n uno in particolare dedicato ai beni necessari, o meglio, al pi necessario, ed insieme al

    pi religioso dei beni, quello che simboleggia, almeno per noi, tutti gli altri, il pane.

    Certo! Quale immagine pi idillica e sfruttata? Dal Bianco Mulino ai gialli campi di grano

    vangoghiani nei Sogni di Akira Kurosawa. Come ha scritto, nelle sue Satire, il grande

    pittore e poeta napoletano Salvator Rosa: Le metafore il sole han consumato,/ e, convertito

    in baccal, Nettuno/ Fu nomato da un certo il Dio salato (1833: 110). Quale metafora pi

    logora che quella del pane? Quale retorica pi scontata? Non meno scontata appare per

    lidea che il pane sia una rappresentazione, e non quello che , che innanzitutto

    percepiamo: una cosa, fatta con le mani e con la storia.

    Il frammento di De Martino, composto grazie alla penetrazione di uno sguardo volto

    allindietro, attento alle varianze diacroniche, fa emergere processi millenari nel presente e ad

    essi commisura le conquiste della modernit. La sua ricchezza lo rende, per cos dire,

    incommentabile. Ci che ho scritto sinora, sulla storia, la morte, la terra, il religioso, la

    necessit, pu esser letto come un tentativo di spostare lattenzione verso questi temi troppo

    volentieri marginalizzati, ma pu esser riletto anche come un tentativo, pi o meno destro, di

    rendere percepibili nel gioco delle risonanze e dei contrappesi le stratificazioni,

    desperienza e di conoscenza, che lo compongono e che attraversa.

    Se una minaccia la fame, una minaccia anche mangiar da soli: ch il pane come cibo che

    nutre si pu perdere anche quando si spegne la sua valorizzazione di cibo da mangiarsi in

    comune. Nel simbolo eucaristico il pane si assottigliato nell'ostia, perdendo qualsiasi

    significato nutritivo corporeo, per l'esclusivo vantaggio di un nutrimento di altro genere che

    distingue l'uomo dall'animale. Giustamente il mondo moderno volge la mente a coloro che

    non hanno pane, ai milioni che patiscono la fame: ma, d'altra parte, attenzione

    all'imbanditissimo self service delle nostre metropoli, dove si rischia di perdere il pane in

    altro senso [pi radicale ancora]4, perch malgrado la folla di individui solitariamente

    masticanti e deglutenti, non c pi n banchetto n commensale. Occorre ricordare che

    quando mangio il pane, mangio sempre, in un certo senso, il corpo del Signore: perch il

    pane tale per l'uomo in quanto racchiude molteplici memorie culturali umane, la invenzione

    della agricoltura, della domesticazione degli animali, della cerealicultura, sino a giungere al

    lavoro di contadini e di fornai che hanno realizzato questa pane che sto mangiando: un

    progetto comunitario dell'utilizzabile, con tutti i suoi echi di immani fatiche umane, di

    decisioni, di scelte, di gusti socializzati, sostiene e assapora questo pane qui ed ora, e ne

    condiziona l'appetibilit e il nutrimento. Senza dubbio il mio senso storico moderno mi rende

    4 Il passo tra parentesi quadre compare in altre due versioni precedenti del frammento, e non in questa.

    24

  • avvertito che io non mangio il corpo del Signore ma il pane: ma ci vero solo nel senso

    che siamo giunti in un'epoca in cui dobbiamo demistificare il pane, riconducendo lostia del

    banchetto eucaristico al pane dell'ultima cena, e il pane dell'ultima cena alla vicenda

    operativa umana che, attraverso la fondazione delle civilt cerealicole, giunge sino ai

    contadini e ai fornai che resero possibile il pane dell'ultima cena. Se per ci rendiamo conto

    delle ragioni che fecero occultare nel corpo del Signore il pane generato dalla fatica e

    destinato alla nutrizione del corpo, resta il problema di ritrovare il pane del banchetto, e di

    comunicare in tal modo, attraverso il suo diretto significato umano che accenna a contadini e

    a fornai, con la comunit intera e reale, davanti a cui testimoniare per l'uomo (2002: 616-

    617).

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