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La formulazione Hamiltoniana (o canonica) della Meccanica ` e alla base degli sviluppi della Meccanica Statistica, della Meccanica Quantistica e degli sviluppi pi` u recenti della teoria dei Sistemi Dinamici. Gli strumenti utili ai fini dello sviluppo successivo della teoria Hamiltoniana sono da un lato l’algebra delle parentesi di Poisson, che nasce in modo spontaneo dalla ricerca di integrali primi, dall’altro il gruppo delle trasformazioni canoniche, che si pu`o costruire partendo dalla ricerca di una classe di trasformazioni che mantenga invariata la forma Hamiltoniana delle equazioni. La ricerca di integrali primi ` e interessante in quanto la loro conoscenza consente immediatamente di ricavare informazioni qualitative sulla dinamica del sistema. A questo scopo, le parentesi di Poisson consentono di ricondurre la ricerca di integrali primi alla soluzione di un’equazione alle derivate parziali. Inoltre, grazie alle parentesi di Poisson l’insieme delle variabili dinamiche risulta dotato di una struttura algebrica profonda e interessante, che trova poi notevoli analogie nella Meccanica Quantistica. Il ricorso alle trasformazioni canoniche ha lo scopo di porre il sistema di equazioni in una forma che consenta di pervenire in modo semplice alla soluzione. Il risultato pi` u rilevante in quest’ambito ` e la possibilit`a di costruire una trasformazione canonica a partire da un’unica funzione, detta funzione generatrice. Quest’ultimo fatto con- duce in modo spontaneo alla scrittura dell’equazione di Hamilton–Jacobi: si tratta di un’equazione che, ove risolta, fornisce la generatrice di una trasformazione che pone il sistema in una forma direttamente integrabile. La connessione tra la conoscenza di integrali primi e l’integrazione mediante tra- sformazioni canoniche ` e stabilita dal teorema di Liouville: la soluzione dell’equazione di Hamilton–Jacobi pu`o ricondursi a una semplice operazione di quadratura quando si conosca un numero sufficiente di integrali primi del sistema. 9.1 La trasformata di Legendre Prima di addentrarci nelle equazioni di Hamilton vogliamo discutere uno strumento geometrico che ci sar`a utile sia nella deduzione della forma Hamiltoniana delle equa-

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IL FORMALISMO HAMILTONIANO

La formulazione Hamiltoniana (o canonica) della Meccanica e alla base degli sviluppidella Meccanica Statistica, della Meccanica Quantistica e degli sviluppi piu recentidella teoria dei Sistemi Dinamici. Gli strumenti utili ai fini dello sviluppo successivodella teoria Hamiltoniana sono da un lato l’algebra delle parentesi di Poisson, chenasce in modo spontaneo dalla ricerca di integrali primi, dall’altro il gruppo delletrasformazioni canoniche, che si puo costruire partendo dalla ricerca di una classe ditrasformazioni che mantenga invariata la forma Hamiltoniana delle equazioni.

La ricerca di integrali primi e interessante in quanto la loro conoscenza consenteimmediatamente di ricavare informazioni qualitative sulla dinamica del sistema. Aquesto scopo, le parentesi di Poisson consentono di ricondurre la ricerca di integraliprimi alla soluzione di un’equazione alle derivate parziali. Inoltre, grazie alle parentesidi Poisson l’insieme delle variabili dinamiche risulta dotato di una struttura algebricaprofonda e interessante, che trova poi notevoli analogie nella Meccanica Quantistica.

Il ricorso alle trasformazioni canoniche ha lo scopo di porre il sistema di equazioniin una forma che consenta di pervenire in modo semplice alla soluzione. Il risultatopiu rilevante in quest’ambito e la possibilita di costruire una trasformazione canonicaa partire da un’unica funzione, detta funzione generatrice. Quest’ultimo fatto con-duce in modo spontaneo alla scrittura dell’equazione di Hamilton–Jacobi: si tratta diun’equazione che, ove risolta, fornisce la generatrice di una trasformazione che poneil sistema in una forma direttamente integrabile.

La connessione tra la conoscenza di integrali primi e l’integrazione mediante tra-sformazioni canoniche e stabilita dal teorema di Liouville: la soluzione dell’equazionedi Hamilton–Jacobi puo ricondursi a una semplice operazione di quadratura quandosi conosca un numero sufficiente di integrali primi del sistema.

9.1 La trasformata di Legendre

Prima di addentrarci nelle equazioni di Hamilton vogliamo discutere uno strumentogeometrico che ci sara utile sia nella deduzione della forma Hamiltoniana delle equa-

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314 Capitolo 9

xx(p)

−g(p)

g(p)

yf (x)

y = px− g(p)y = px

Figura 9.1. Il procedimento geometrico per la costruzione della trasformata di

Legendre: per il punto (x, f(x)) si conduce la tangente al grafico della funzione

f(x), che ha pendenza p = f ′(x). L’ordinata all’origine della retta tangente si

denota con −g(p), e g(p) e la trasformata di Legendre di f(x).

zioni di moto, sia in altre circostanze: la trasformata di Legendre.

9.1.1 La trasformata di Legendre per una funzione di una variabile

Supponiamo assegnata una funzione f : U → R, x 7→ f(x), dove U ⊂ R e un aperto,e supponiamo che la funzione sia convessa, ovvero che sia di classe C2 e che valgaf ′′(x) > 0 in U . Il procedimento per la costruzione della trasformata di Legendre eillustrato in figura 9.1. Preso un punto x ∈ U si definisce p = f ′(x), e si osservache questa relazione puo essere invertita, grazie alla convessita di f(x), sicche risultadefinita in modo univoco una funzione x(p). Si traccia poi la retta tangente al graficodi f(x) nel punto

(

x, f(x))

. Si definisce infine la trasformata di Legendre di f(x) comel’ordinata all’origine di questa retta cambiata di segno, ossia

(9.1) g(p) =[

px− f(x)]

x=x(p).

Un modo alternativo per introdurre la stessa funzione e il seguente, anch’essoillustrato in figura 9.1. Assegnato p ∈ R ad arbitrio, si cerca il massimo della funzionedi due variabili G(p, x) = px− f(x), che rappresenta la distanza verticale (con segno)tra la retta per l’origine di pendenza p e il grafico di f(x). Se tale massimo esiste,la condizione di convessita di f(x) ne garantisce l’unicita, sicche risultano definiti siax(p), che e il punto x in cui il massimo viene raggiunto, sia la trasformata di Legendreg(p) = G(p, x(p)).

E interessante considerare la famiglia di rette y = px− g(p), dove p e consideratocome un parametro e g(p) e la trasformata di Legendre di f(x). Il procedimento stessodi costruzione della trasformata di Legendre mostra che il grafico di f(x) e l’inviluppo

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Il formalismo Hamiltoniano 315

x

f (x)y

Figura 9.2. La funzione f(x) e l’inviluppo della famiglia di rette y = px−g(p),

dove g(p) e la trasformata di Legendre di f(x).

della famiglia di rette al variare di p. Questo fatto suggerisce che ci sia modo di invertireil processo di costruzione, generando f(x) a partire da g(p). In effetti cio non e solopossibile, ma anche elementare. Si verifica infatti che la costruzione della trasformatadi Legendre e un’operazione involutiva, ossia se g(p) e la trasformata di f(x), alloraf(x) e la trasformata di g(p).

Per dimostrare questa affermazione dobbiamo anzitutto mostrare che la funzioneg(p) e convessa. Cio segue dalla definizione stessa. Infatti, differenziando la (9.1) senzatener conto della sostituzione (ossia considerando g come funzione delle due variabilix, p) si ottiene dg = x dp + p dx − f ′(x) dx. Procedendo poi con la sostituzione ericordando che p = f ′(x) si osserva che gli ultimi due termini si cancellano, e siottiene dg = x(p) dp. In virtu dell’invarianza del differenziale1 si conclude dunque che

1 La proprieta di invarianza del differenziale significa che si possono scambiare le opera-zioni di sostituzione di variabili e di differenziazione, e si perviene comunque allo stessorisultato. Se abbiamo una funzione di due variabili F (x, y), e vi sostituiamo y = y(x)otteniamo una nuova funzione f(x) = F (x, y(x)). Supponendo di voler calcolare il dif-ferenziale df di quest’ultima funzione possiamo procedere in due modi. Nel primo modoeseguiamo prima la sostituzione, calcolando espliciatmente f(x), e poi differenziamo f(x)scrivendo df = df

dxdx. In questo calcolo dobbiamo ricordare che df

dx= ∂F

∂x+ ∂F

∂y

dy

dx, sicche

alla fine abbiamo df =(

∂F∂x

+ ∂F∂y

dy

dx

)

dx . Nel secondo modo procediamo prima a dif-

ferenziare la funzione di due variabili F (x, y), scrivendo dF = ∂F∂x

dx+ ∂F∂y

dy; poi proce-

diamo alla sostituzione di variabili, e qui dobbiamo calcolare il differenziale dy = dy

dxdx .

Effettuata la sostituzione troviamo ancora df =(

∂F∂x

+ ∂F∂y

dy

dx

)

dx , che e esattamentel’espressione del differenziale trovata in precedenza. Ne concludiamo che nel calcolo deldifferenziale di una funzione le operazioni di sostituzione di varibili e di differenziazionepossono essere scambiate. Cio vale anche per funzioni di piu variabili. Si noti bene che

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316 Capitolo 9

g′(p) = x(p). Da qui si calcola

g′′(p) = x′(p) =1

p′(x)

x=x(p)=

1

f ′′(x)

x=x(p)> 0 ,

in virtu della formula per la derivazione della funzione inversa. Stabilito dunque cheg(p) e funzione convessa possiamo procedere alla costruzione della sua trasformata diLegendre definendo x(p) = g′(p), la cui inversa e proprio p(x) = f ′(x), e la trasformata

e f(x) =(

xp− g(p))

p=p(x).

Esempio 9.1: La diseguaglianza di Young. Due funzioni che siano la trasformata diLegendre una dell’altra vengono dette duali nel senso di Young. La definizione stessadi trasformata di Legendre implica la diseguaglianza di Young: px ≤ f(x) + g(p), perogni valore di p, x per cui le funzioni siano definite. Ad esempio, sia f(x) = xα

αcon

α > 1. Allora la sua trasformata e g(p) = pβ

β , dove 1α + 1

β = 1. La diseguaglianza di

Young in questo caso si scrive px ≤ xα

α + pβ

β per x, p > 0, α, β > 1 e 1α + 1

β = 1. Ladiseguaglianza di Young svolge un ruolo significativo nella costruzione degli spazi Lp

in Analisi Funzionale.

9.1.2 La trasformata di Legendre in piu variabili

L’aspetto che ci interessa particolarmente nella trasformata di Legendre e la connes-sione tra una trasformazione di variabili e la sua inversa. Formuliamo questa proprietanella forma in cui ci sara utile in seguito

Proposizione 9.1: Sia f(x1, . . . , xn, α1, . . . , αm) una funzione delle n variabili(x1, . . . , xn) ∈ U ⊂ R

n e di altre variabili α1, . . . , αm che hanno ruolo di parametri, esupponiamo che per tutti i valori di α che ci interessano sia soddisfatta la condizionedi non degenerazione

det

(

∂2f

∂xj∂xk

)

6= 0.

Sia y = y(x,a) una trasformazione di variabili generata da f tramite le equazioni

(9.2) yj =∂f

∂xj, j = 1, . . . , n .

Allora la trasformazione inversa x = x(y,a) e generata dalla trasformata di Legendreg(y1, . . . , yn) definita come

g(y1, . . . , yn, α1, . . . , αm) =

( n∑

j=1

xjyj − f(x1, . . . , xn, α1, . . . , αn)

)∣

x=x(y,α)

,

questa proprieta non si estende ai differenziali di ordine superiore al primo: in quel casoil risultato dipende dall’ordine in cui vengono eseguite le operazioni.

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Il formalismo Hamiltoniano 317

e si ha

(9.3)

xj =∂g

∂yj, j = 1, . . . ,m ,

∂g

∂αk= − ∂f

∂αk, k = 1, . . . ,m .

Corollario 9.2: La trasformata di Legendre e involutiva: se g(y,a) e la trasformatadi f(x,a) allora f(x,a) e la trasformata di g(y,a).

Dimostrazione della proposizione 9.1. L’argomento non e dissimile da quellosvolto nel caso di una sola variabile. L’inversa della funzione y(x,a) esiste in virtudella condizione di non degenerazione, quindi la trasformata di Legendre g(y, α) e bendefinita. Si procede a differenziare g prima della sostituzione, e si trova

dg =

n∑

j=1

(

xj dyj + yj dxj −∂f

∂xjdxj

)

−m∑

k=1

∂f

∂αkdxk .

Effettuando la sostituzione si cancellano il secondo e il terzo termine tra parentesi, esi ha

dg =

n∑

j=1

xj dyj −m∑

k=1

∂f

∂αkdxk .

Questa espressione deve essere confrontata col differenziale di g calcolato pensando diaver gia eseguito la sostituzione, ossia

dg =n∑

j=1

∂g

∂yjdyj +

m∑

k=1

∂g

∂αkdαk .

Per confronto si ricavano le espressioni (9.3). Q.E.D.

La dimostrazione del corollario 9.2 e lasciata al lettore.

9.2 Lo spazio delle fasi e le equazioni di Hamilton

Le equazioni di Hamilton costituiscono la forma piu evoluta ed interessante delle equa-zioni della dinamica. La deduzione delle equazioni consiste essenzialmente nel costruirela trasfomata di Legendre della Lagrangiana, usando le velocita generalizzate come va-riabili. In tal modo si introduce lo spazio delle fasi, e si descrive la dinamica generatada una funzione Hamiltoniana.

9.2.1 Lo spazio delle fasi

Come abbiamo discusso nel paragrafo 6.6, il formalismo lagrangiano descrive la di-namica nello spazio degli stati descritto dalle coordinate e velocita generalizzateq1, . . . , qn, q1, . . . , qn, e le equazioni del moto sono quelle di Lagrange, che riscriviamo

d

dt

∂L

∂qj− ∂L

∂qj= 0 , j = 1, . . . , n ,

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318 Capitolo 9

dove la Lagrangiana L(q, q, t) deve soddisfare la condizione di non degenerazione

det

(

∂2L

∂qj∂qk

)

6= 0 .

Come abbiamo gia avuto modo di osservare (ad esempio nel paragrafo 7.3.2), la formastessa delle equazioni di Lagrange suggerisce che si si possano riscrivere come

(9.4) pj =∂L

∂qj, pj =

∂L

∂qj, j = 1, . . . , n .

Le equazioni appaiono molto simmetriche, ma non sono in forma normale, perchenon e esplicitata la derivata q. Tuttavia questa forma delle equazioni suggerisce chesi possano introdurre come coordinate i momenti coniugati pj al posto delle velocitageneralizzate. Si osservi bene che la corrispondenza stretta tra la coordinata qj ela corrispondente velocita qj viene ereditata dal momento pj , il che giustifica l’usodell’aggettivo “coniugati”. Allo spazio descritto dalle coordinate q1, . . . , qn, p1, . . . , pnsi da il nome di spazio delle fasi, e le coordinate vengono dette canoniche.

9.2.2 Le equazioni di Hamilton

Veniamo ora alla scrittura delle equazioni. Per porre in forma normale il sistema delleequazioni (9.4) occorrerebbe invertire le relazioni pj = ∂L

∂qjrispetto alle coordinate q,

ricavando cosı un sistema di equazioni in forma normale che possiamo scrivere come

qj = ψj(q, p) , pj =∂L

∂qj, j = 1, . . . , n .

dove le ψj(q, p) sono funzioni note, costruite mediante inversione delle definizioni dei

momenti. E qui che entra in gioco la trasformata di Legendre: le funzioni inverse sonoin realta le derivate rispetto ai momenti p della trasformata delle Lagrangiana. Valedunque la

Proposizione 9.3: Le equazioni di Lagrange (9.4) sono equivalenti al sistema diequazioni di Hamilton

(9.5) qj =∂H

∂pj, pj = −∂H

∂qj, j = 1, . . . , n

dove la funzione Hamiltoniana H(q, p, t) e la trasformata di Legendre della Lagran-giana, ossia

(9.6) H(q, p, t) =[

n∑

j=1

pj qj − L(q, q, t)]

q=q(q,p,t)

.

Vale inoltre ∂H∂t = −∂L

∂t .

La dimostrazione e una ripetizione, parola per parola, della dimostrazione della propo-sizione 9.1 sulla trasformata di Legendre, a patto di sostituire rispettivamente le fun-zioni f e g con L ed H , le variabili x e y con q e p, e i parametri α con le variabili q

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Il formalismo Hamiltoniano 319

e t. Tuttavia, data la centralita di questo teorema, riformuliamo la dimostrazione inmaniera diretta.

Dimostrazione. Differenziando la funzione H prima di aver effettuato la sostitu-zione di variabili, e quindi pensandola come funzione di q, q, t, e poi effettuando lasostituzione abbiamo

dH =n∑

j=1

(

qj dpj + pj dqj −∂L

∂qjdqj −

∂L

∂qjdqj

)

− ∂L

∂tdt

=

n∑

j=1

(

qj dpj −∂L

∂qjdqj

)

− ∂L

∂tdt ,

dove abbiamo tenuto conto delle cancellazione di termini dovuta alla definizione stessadei momenti. L’espressione della seconda riga deve essere confrontata con il differen-ziale dell’Hamiltoniana a sostituzione effettuata, e dunque pensata come funzione dellesole variabili q, p, t, che e

dH =

n∑

j=1

(

∂H

∂pjdpj +

∂H

∂qjdqj

)

+∂H

∂tdt .

Dal confronto dei coefficienti segue l’asserto. Q.E.D.

Richiamiamo l’attenzione sul fatto che la descrizione della dinamica e cambiatasotto due aspetti.

Anzitutto lo spazio degli stati (ossia delle posizioni e delle velocita) introdottonell’ambito lagrangiano viene qui sostituito dallo spazio delle fasi (ossia quello dellecoordinate e dei momenti). Il legame tra i due ambienti e costituito dalla trasformatadi Legendre.

Il secondo aspetto riguarda le equazioni del movimento. Benche le equazioni sianodiverse, identico resta l’obiettivo di descrivere il moto come fenomeno deterministico,retto da equazioni differenziali in forma normale.

Dal punto di vista geometrico il passaggio allo spazio delle fasi si riconduce asostituire le velocita, che sono vettori dello spazio tangente alla varieta delle configu-razioni, con i momenti che sono definiti come differenziali di una funzione scalare (laLagrangiana), e come tali devono essere interpretati come forme lineari e non comevettori. In analogia con la costruzione del fibrato tangente vista nel capitolo 6 pos-siamo immaginare che a ogni punto della varieta M delle configurazioni sia associatouno spazio lineare, e precisamente quello dei funzionali lineari (detti anche covettori)sullo spazio tangente a quel punto. Alla struttura geometrica risultante si da il nomedi spazio cotangente, e si indica con T ∗M . Alla coppia di coordinate q, p cosı costruitesi da il nome di coordinate naturali sullo spazio cotangente. Il fibrato cotangente e asua volta una varieta differenziabile, e le coordinate naturali ne forniscono un atlante.

9.2.3 L’Hamiltoniana come energia del sistema

L’ Hamiltoniana assume un significato particolare nel caso di sistemi naturali con vin-coli olonomi, bilateri, perfetti ed indipendenti dal tempo: si mostra infatti che essa

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320 Capitolo 9

coincide con l’energia totale del sistema, H = T + V . A questo risultato si per-viene facilmente osservando che in questo casi i momenti coniugati alle coordinatepossono riscriversi come pj = ∂T

∂qj, e ricordando la forma generale dell’energia cine-

tica, discussa nel paragrafo 6.3.3. In effetti, nel caso che stiamo considerando abbiamoT = 1

2

∑nj,k=1 gjk(q)qj qk. Grazie al teorema di Eulero sulle funzioni omogenee2 (o

anche con un calcolo diretto) abbiamo allora

n∑

j=1

pj qj =n∑

j=1

∂T

∂qjqj = 2T ,

e sostituendo nella formula (9.6) che definisce l’Hamiltoniana abbiamo H = 2T −L =T +V . Naturalmente nel calcolo esplicito dell’ Hamiltoniana non bisogna dimenticareche l’ energia cinetica deve essere espressa come funzione dei momenti p, che sostitu-iscono le velocita generalizzate q come variabili indipendenti.

Nel caso di vincoli dipendenti dal tempo la forma generale dell’ energia cineticacontiene anche termini lineari in q e indipendenti da q, potendosi scrivere, con lenotazioni usate nell’enunciato della proposizione 6.8, come T (q, q, t) = T2 + T1 + T0 ,dove il pedice indica il grado in q. Possiamo ancora applicare il teorema di Eulero apatto di considerare separatamente i termini di diverso grado in q, e abbiamo

n∑

j=1

pj qj =

n∑

j=1

∂T2∂qj

qj +

n∑

j=1

∂T1∂qj

qj = 2T2 + T1

(il termine T0 non contribuisce al momento, essendo indipendente da q). Perl’Hamiltoniana abbiamo dunque

H = 2T2 + T1 − (T2 + T1 + T0 + V ) = T − T0 + V .

Nel caso di un sistema Lagrangiano generale invece il lettore si rendera immediata-mente conto, rivedendo il paragrafo 8.3.2, che l’Hamiltoniana coincide con l’integraledi Jacobi: e la definizione stessa di Hamiltoniana. Si vede dunque che in generalel’Hamiltoniana non coincide necessariamente con l’energia.

9.2.4 Alcuni esempi

Iniziamo con un esempio elementare, che pero mette in buona evidenza lo schema dicalcolo da seguire in generale

Esempio 9.2: Punto libero. Introducendo un sistema di coordinate cartesiane(x, y, z) lo spazio delle configurazioni si identifica con R

3, e la Lagrangiana, che coin-

2 Ricordiamo che una funzione f(x1, . . . , xn) si dice omogenea di grado k se perogni αR vale f(αx1, . . . , αxn) = αkf(x1, . . . , xn). Il teorema di Eulero afferma che∑n

j=1xj

∂f

∂xj(x1, . . . , xn) = kf(x1, . . . , xn) . Nel nostro caso applichiamo il teorema

all’energia cinetica, che e una funzione omogenea di secondo grado nelle velocitaq1, . . . , qn.

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Il formalismo Hamiltoniano 321

cide con l’energia cinetica, si scrive

L =1

2m(x2 + y2 + z2) ;

i momenti coniugati sono px = mx, py = my, pz = mz, e coincidono con le componentidella quantita di moto. Dal momento che il sistema e privo di vincoli, l’Hamiltonianacoincide con l’energia totale, ed e dunque

(9.7) H =1

2m(p2x + p2y + p2z) .

L’aspetto da sottolineare qui e la forma che assume l’energia cinetica quando si facciauso di coordinate cartesiane.

Esempio 9.3: Punto su una retta. Nel caso di un punto su una retta R, descrittadalla coordinata cartesiana x, e soggetto a un potenziale generico V (x) l’Hamiltonianasi scrive

(9.8) H =p2

2m+ V (x) ,

dove p = mx e la quantita di moto. Il calcolo e del tutto simile a quello dell’esempioprecedente.

Esempio 9.4: Il pendolo. Lo spazio delle configurazioni e una circonferenza.Nell’esempio 6.16 abbiamo ricavato la Lagrangiana

L =1

2ϑ2 +

g

lcosϑ ,

dove l e il raggio della circonferenza e g l’accelerazione di gravita. Il momento coniugatoe p = ϑ, e l’Hamiltoniana e

(9.9) H =1

2p2 − g

lcosϑ .

Esempio 9.5: Il moto centrale. Consideriamo un punto che si muova nello spazio inun campo di forze centrali con energia potenziale V (r), dove r e la distanza dall’origine,e facciamo uso delle coordinate sferiche r, ϑ, ϕ, la cui relazione con le coordinatecartesiane x, y, z e

x = r sinϑ cosϕ , y = r sinϑ sinϕ , z = r cosϑ .

La Lagrangiana si scrive

L =1

2m(

r2 + r2ϑ2 + r2ϕ2 sin2 ϑ)

− V (r) .

I momenti coniugati sono pr = mr, pϑ = mr2ϑ e pϕ = mr2ϕ sin2 ϑ, e l’Hamiltonianasi scrive

(9.10) H =1

2m

(

p2r +p2ϑr2

+p2ϕ

r2 sin2 ϑ

)

+ V (r) .

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322 Capitolo 9

Si osservi che grazie all’ortogonalita delle linee coordinate la metrica dell’energia ci-netica ha una forma diagonale. Cio si riflette nel fatto che scrivere l’energia cineticacome funzione dei momenti e semplice: basta portare a denominatore il coefficientedel quadrato di una delle velocita, e sostituire la velocita col momento corrispondente.Esempio 9.6: Il problema degli n corpi. Dette x1, . . . ,xn le posizioni degli n corpie m1, . . . ,mn le loro masse, la Lagrangiana si scrive

L =1

2

n∑

j=1

mj x2j − V (x1, . . . ,xn) ,

dove V (x1, . . . ,xn) e l’energia potenziale. I momenti coniugati sono pj = mj xj , 1 ≤j ≤ n e l’Hamiltoniana si scrive

(9.11) H =

n∑

j=1

p2j

2mj+ V (x1, . . . ,xn) .

Esempio 9.7: L’Hamiltoniana di un sistema naturale. Per un sistema naturale conLagrangiana L = T (q, q)− V (q) l’Hamiltoniana si scrive

(9.12) H =1

2

n∑

j,k=1

(g−1)j,kpjpk + V (q) ,

dove abbiamo denotato con g−1 la matrice inversa della metrica, e con (g−1)j,k i suoielementi. In effetti basta calcolare

pj =

n∑

k=1

gjk(q) qk

(si veda la nota 29 del capitolo 6). Invertendo si ha

qk =n∑

j=1

(g−1)kj(q)pj ,

e quindi si riscrive l’energia cinetica come

T =1

2

n∑

j,k=1

(g−1)j,kpjpk .

A questo punto basta riscrivere l’Hamiltoniana come H = T + V .

Esempio 9.8: Punto in un sistema rotante uniformemente. Abbiamo gia avuto mododi scrivere la Lagrangiana di di un punto in un sistema che ruoti uniformemente nel di-scutere il problema ristretto dei tre corpi. Ricaviamo ora l’Hamiltoniana, considerandoil caso spaziale, e assumendo naturalmente che le forze ammettano potenziale. Detteξ, η, ζ le coordinate cartesiane del punto in un riferimento cartesiano fisso, x, y, z lecoordinate nel sistema rotante, e scegliendo le origini dei due sistemi coincidenti e gliassi z e ζ coincidenti con l’asse di rotazione, abbiamo le relazioni

ξ = x cosωt− y sinωt , η = x sinωt+ y cosωt , ζ = z ,

Page 11: 9.1 La trasformata di Legendre - unimi.itIl formalismo Hamiltoniano 315 x f(x) y Figura 9.2. La funzione f(x) `e l’inviluppo della famiglia di rette y = px−g(p), dove g(p) `e la

Il formalismo Hamiltoniano 323

dove ω e la velocita angolare di rotazione. Con un facile calcolo si ottiene la Lagran-giana

L =1

2m[

(x− ωy)2+ (y + ωx)

2+ z2

]

− V (x, y, z, t) ,

dove V (x, y, z, t) e l’energia potenziale, che naturalmente potra dipendere dal tempo,dato che ne dipende il sistema di riferimento. I momenti coniugati sono px = m(x−ωy),py = m(y + ωx), pz = mz. Per scrivere l’Hamiltoniana non ci si puo piu limitare ascrivere l’energia totale, ma bisogna far ricorso alla definizione (9.6), e si ottiene

(9.13) H =1

2m

(

p2x + p2y + p2z)

+ ω (pxy − pyx) + V (x, y, z, t) .

Nel caso del problema ristretto dei tre corpi l’energia potenziale assumera la forma

V (x, y, z, t) = −Gm(1− µ)

r1− Gmµ

r2,

dover1 =

(x− µ)2 + y2 + z2 , r2 =√

(x+ 1− µ)2 + y2 + z2 .

Qui la scelta delle unita di misura di lunghezza e di massa sono tali che la massa totaledei primari e 1, e la distanza tra i primari e anch’essa 1.

9.2.5 Sistemi hamiltoniani generali

Il formalismo hamiltoniano, o canonico, e nato storicamente sulla base del formalismolagrangiano, ma puo formularsi in modo del tutto indipendente da quello. Riassumi-amo qui i punti essenziali.

Lo stato di un sistema viene identificato con un punto di una varieta differenziabiledi dimensione pari, detta spazio delle fasi, che verra denotata nel seguito conF . La va-rieta F viene dotata di coordinate, che verranno denotate con (q1, . . . , qn, p1, . . . , pn);le coppie di coordinate (qj , pj), 1 ≤ j ≤ n vengono dette canonicamente coniugate e ilnumero n e detto numero di gradi di liberta del sistema. Una funzione dello stato delsistema, o variabile dinamica, deve dunque esprimersi come una funzione f = f(q, p, t),ossia funzione delle coordinate canoniche e del tempo.

La dinamica sullo spazio delle fasi F e determinata dalla funzione HamiltonianaH(p, q, t), tramite le equazioni di Hamilton, o equazioni canoniche

(9.14) qj =∂H

∂pj, pj = −∂H

∂qj, 1 ≤ j ≤ n ,

che sono un sistema di 2n equazioni differenziali del primo ordine.Se H non dipende in modo esplicito dal tempo, il sistema viene detto autonomo; in

questo caso l’Hamiltoniana e un integrale primo del sistema (lo si verifica facilmente,e comunque si veda piu avanti). Se invece H dipende in maniera esplicita dal temposi parla di sistema non autonomo.3

3 L’uso dell’aggettivo “autonomo” puo giustificarsi se si pensa a un sistema isolato, che

non ha interazioni con nessun ambiente pensato in qualche modo come esterno. E questo

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324 Capitolo 9

E un fatto notevole che un sistema non autonomo possa sempre ricondursi a unoautonomo semplicemente estendendo lo spazio delle fasi. Precisamente, alle variabilicanoniche (q1, . . . , qn, p1, . . . , pn) si aggiunge una coppia di variabili coniugate (q0, p0)e si introduce la nuova Hamiltoniana4

(9.15) H(p0, p, q0, q) = H(q, p, q0) + p0 ,

dove abbiamo isolato le variabili q0, p0 e raggruppato q1, . . . , qn e p1, . . . , pn sotto isimboli q, p. In effetti, i sistemi di equazioni di Hamilton corrispondenti alle due Hamil-toniane sono sostanzialmente equivalenti. Per rendercene conto scriviamo le equazionidi Hamilton nei due casi, specificando esplicitamente gli argomenti di ciascuna fun-zione. L’Hamiltoniana H(q, p, t) ci dara il sistema di equazioni

(9.16) qj =∂H

∂pj(q, p, t) , pj = −∂H

∂qj(q, p, t) .

D’altro canto l’Hamiltoniana H(q0, q, p0, p) genera il sistema di equazioni (ricordandocome e definita H)

(9.17)

q0 = 1 , qj =∂H

∂pj(q, p, q0) ,

p0 = −∂H∂q0

, pj = −∂H∂qj

(q, p, q0) .

Si vede subito che i due sistemi di equazioni sono del tutto equivalenti ove si ponganocome condizioni iniziali q0(t0) = 0 e H(t0) = 0, ovvero p0(t0) = −H

(

q(t0), p(t0), t0)

:le soluzioni di uno qualunque dei due sistemi lo sono anche per l’altro.5

Tenuto conto di queste osservazioni, in questo capitolo verra trattata tutta lateoria nel caso di sistema autonomo. Le sole particolarita riguardano le trasformazionicanoniche dipendenti dal tempo, che possono trattarsi come una sottoclasse di quelleindipendenti dal tempo, e verranno considerate nel paragrafo 9.7.

Esercizio 9.1: Mostrare che le equazioni di Hamilton sono lagrangiane. Precisa-mente, si considerino q, p come coordinate e q, p come le corrispondenti velocita ge-neralizzate (sicche si considera un sistema fittizio con un numero di gradi di liberta

il caso, ad esempio, dei problemi del moto centrale, o dei due, tre o n corpi. Il caso nonautonomo si presenta invece quando si pensa a un sistema non isolato, ma inserito in unambiente che ne determina la dinamica, senza esserne influenzato. Si pensi ad esempioal problema ristretto dei tre corpi, ove i primari possono essere pensati come l’ambienteesterno in cui si muove il planetoide. Oppure si pensi a un acceleratore di particelle, oveuna particella carica si muove sotto l’azione di campi elettrici e magnetici esterni.

4 La formula e da leggersi nel senso che H(q, p, q0) e proprio la funzione H(q, p, t), ove sideve sostituire q0 ovunque compaia t.

5 Nel sistema (9.17) l’equazione per q0 si risolve immediatamente, essendo q0 = t. Sosti-tuendo nelle equazioni per qj , pj si ricavano le stesse equazioni del sistema (9.16). Sup-ponendo di aver risolto anche queste, e quindi di aver determinato le funzioni q(t), p(t),dalla (9.15) si ricava subito anche p0(t) = H(q(t), p(t), t) .

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Il formalismo Hamiltoniano 325

doppio), e si introduca la Lagrangiana

L(q, p, q, p) =

n∑

j=1

pj qj −H(q, p) .

Si verifichi che le equazioni di Lagrange corrispondenti sono proprio le equazioni diHamilton per H(q, p).6

Esercizio 9.2: Mostrare che i punti di equilibrio dei sistemi hamiltoniani sono ipunti stazioneari dell’Hamiltoniana. Mostrare poi che i punti di massimo o minimodell’Hamiltoniana sono punti di equilibrio stabile.

9.3 Parentesi di Poisson e variabili dinamiche

Consideriamo l’insieme delle variabili dinamiche, ossia l’insieme delle funzioni, che sup-porremo regolari, definite sullo spazio delle fasi F , ossia delle funzioni delle coordinatecanoniche q, p ed eventualmente del tempo. A tale classe appartengono quelle che infisica vengono chiamate osservabili. Esempi immediati e familiari sono l’energia cine-tica o potenziale, il momento angolare, oltre alle coordinate ed ai momenti coniugatistessi.

Cio che caratterizza in modo profondo e significativo la descrizione hamiltonianadella dinamica e il fatto che l’insieme delle variabili dinamiche possa dotarsi di unastruttura algebrica ben precisa, che consente in particolare di descrivere in modosemplice ed elegante l’evoluzione di una qualsiasi quantita. Questo aspetto rappresentaun considerevole passo in avanti rispetto alla descrizione Lagrangiana, nell’ambito dellaquale la caratterizzazione di una tale struttura sarebbe alquanto complessa, e poco opunto perspicua.

Mette conto osservare che la struttura algebrica, che esporremo nei prossimi para-grafi, ha svolto anche un ruolo determinante nel passaggio alla descrizione quantisticadella meccanica. In effetti, tale descrizione si formula assegnando la legge di evoluzionedelle osservabili (quantistiche, in contrapposizione alle osservabili classiche) e la loroalgebra, ossia il complesso delle operazioni ammesse tra osservabili e le leggi che legovernano.

9.3.1 L’algebra delle parentesi di Poisson

Date due funzioni differenziabili f(q, p), g(q, p) sullo spazio delle fasi F , la parentesi

6 Si tratta in realta di una Lagrangiana degenere, perche essendo lineare nelle velocitageneralizzate non soddisfa la condizione di non degenerazione sull’Hessiano. Questo tut-tavia non impedisce di scrivere le equazioni di Lagrange, che risultano essere di fattodel primo ordine, e non del secondo come ci si aspetterebbe dalla teoria sviluppata nelcapitolo 6.

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326 Capitolo 9

di Poisson {f, g} e la funzione su F definita come

(9.18) {f, g} =n∑

j=1

(

∂f

∂qj

∂g

∂pj− ∂f

∂pj

∂g

∂qj

)

Questa espressione si presenta come una operazione sullo spazio delle funzioni su F ; edunque interessante almeno elencarne le proprieta. Indicando con f, g, h delle funzionidue volte differenziabili su F e con α una costante reale si ha:i. linearita:

{f + g, h} = {f, h}+ {g, h} , {αf, g} = α {f, g} ;

ii. proprieta anticommutativa:

{f, g} = −{g, f} ;

iii. identita di Jacobi:

{f, {g, h}}+ {g, {h, f}}+ {h, {f, g}} = 0 ;

iv. proprieta di Leibniz:

{f, gh} = g {f, h}+ {f, g}h ;

v. relazioni con la derivata:

∂qj{f, g} =

{

∂f

∂qj, g

}

+

{

f,∂g

∂qj

}

∂pj{f, g} =

{

∂f

∂pj, g

}

+

{

f,∂g

∂pj

}

, 1 ≤ j ≤ n .

L’identita di Jacobi puo interpretarsi come un misura del difetto di associativitadell’operazione. La proprieta di Leibniz e di fatto l’estensione alla parentesi di Poissondella analoga regola di Leibniz per la derivazione di un prodotto.

La facile dimostrazione di queste identita e lasciata al lettore. Le prime tre pro-prieta in particolare conferiscono allo spazio delle funzioni suF dotato dell’operazionedi parentesi di Poisson la struttura di un’algebra di Lie.

9.3.2 Evoluzione di variabili dinamiche

L’interesse della parentesi di Poisson per l’evoluzione delle variabili dinamiche e chiar-ito dalla seguente

Proposizione 9.4: Sia f(q, p, t) una funzione differenziabile; allora la sua derivatatemporale e

(9.19) f = {f,H}+ ∂f

∂t.

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Il formalismo Hamiltoniano 327

Dimostrazione. Basta calcolare

f =

n∑

j=1

(

∂f

∂qjqj +

∂f

∂pjpj

)

+∂f

∂t,

sostituire qj e pj mediante le equazioni di Hamilton (9.5) e far uso della definizionedella parentesi di Poisson data dalla (9.18). Q.E.D.

In conseguenza di questa proposizione si puo caratterizzare la dinamica Hamil-toniana dicendo che la derivata temporale di una qualunque funzione f(q, p) (nondipendente esplicitamente dal tempo) su F e determinata dall’equazione7

(9.20) f = {f,H} .

Esercizio 9.3: Si consideri un sistema naturale con Hamiltoniana H = T + Vindipendente dal tempo. Si verifichi che il teorema dell’energia cinetica si puo ricavarefacendo uso della parentesi di Poisson.Suggerimento: calcolare T = {T,H}, verificando che risulta T =

∑n

k=1qkQk = Π.

9.3.3 Le equazioni canoniche e le parentesi di Poisson fondamentali

Tra le funzioni definite sullo spazio delle fasi possiamo annoverare le coordinate cano-niche stesse. La loro evoluzione e determinata dalle equazioni

(9.21) qj = {qj ,H} , pj = {pj ,H} , 1 ≤ j ≤ n ,

che altro non sono che una riscrittura delle (9.5) in forma piu simmetrica. Questaformulazione risultera utile piu avanti al fine di caratterizzare le trasformazioni cano-niche.

Richiamiamo fin d’ora l’attenzione sul fatto che le coordinate soddisfano le re-lazioni

(9.22) {qj , qk} = {pj , pk} = 0 , {qj , pk} = δjk , j, k = 1, . . . , n ,

dove δjk e il simbolo di Kronecker. A queste relazioni daremo il nome di parentesi diPoisson fondamentali.

9.4 Integrali primi

La definizione di integrale primo, o costante del moto, data per i sistemi di equazionidifferenziali (definizione 4.1) si applica anche ai sistemi hamiltoniani: una costantedel moto, o integrale primo, e una funzione definita sullo spazio delle fasi il cui val-ore si mantiene costante lungo le soluzioni delle equazioni di Hamilton. Abbiamo giavisto piu volte quanto la conoscenza di integrali primi si riveli preziosa sia ai fini diun’analisi qualitativa del movimento, sia per arrivare, ove possibile, alla scrittura delle

7 Si veda ad esempio [38].

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328 Capitolo 9

soluzioni delle equazioni. La caratterizzazione di integrali primi nell’ambito del for-malismo Hamiltoniano si riformula in modo naturale grazie all’operazione di parentesidi Poisson.

9.4.1 Ricerca di integrali primi

Ricordiamo ancora che stiamo considerando sistemi autonomi. La caratterizzazionedegli integrali primi in ambito hamiltoniano si basa sulla

Proposizione 9.5: Se H(q, p) e l’Hamiltoniana di un sistema autonomo, e f(q, p)una variabile dinamica (regolare) non dipendente esplicitamente dal tempo, allora fe integrale primo se e solo se vale

(9.23) {f,H} = 0 .

La dimostrazione e ovvia conseguenza della proposizione (9.23), tenuto conto che e∂f∂t

= 0 perche f e supposta non dipendere esplicitamente dal tempo.

Cio che e meno ovvio e che l’equazione (9.23) rappresenta di fatto un’equazionealle derivate parziali per la ricerca di integrali primi.8

Corollario 9.6: L’Hamiltoniana H(q, p) di un sistema autonomo e una costante delmoto.

Quest’ultimo corollario costituisce la riformulazione in ambito Hamiltoniano dellaproposizione 8.5 sull’esistenza dell’integrale primo di Jacobi per un sistema La-grangiano. L’Hamiltoniana coincide con questo integrale.

Dimostrazione. La parentesi di Poisson e anticommutativa, quindi {H,H} =−{H,H} = 0 . Q.E.D.

Corollario 9.7: (Teorema di Poisson) Se f , g sono costanti del moto per H, ancheh = {f, g} e una costante del moto.

Dimostrazione. Per l’identita di Jacobi, {{f, g},H} = {{g,H}, f}−{{f,H}, g} =0 perche {f,H} = {g,H} = 0 . Q.E.D.

Esempio 9.9: Sistema autonomo a un grado di liberta. L’Hamiltoniana H(q, p) euna costante del moto, quindi le orbite sullo spazio delle fasi sono le curve di livellodefinite come H(q, p) = E, dove E = H (p(0), q(0)) e una costante determinata daidati iniziali. Lo spazio delle fasi e bidimensionale, e quindi si applicano tutti i metodidi studio qualitativo discussi nel paragrafo 4.3, con le dovute attenzioni.

Esercizio 9.4: Studiare qualitativamente la dinamica di un sistema sullo spaziodelle fasi T× R con coordinate ϑ, p la cui Hamiltoniana e H(ϑ, p) = p(1− p) sinϑ .

8 Il lettore osservera immediatamente che ci si deve normalmente attendere che risol-vere un’equazione alle derivate parziali sia piu difficile che risolvere un sistema di equa-zioni differenziali ordinarie. Tuttavia l’equazione 9.4 e uno degli strumenti utili per losviluppo di metodi di approssimazione successiva, tipici della cosiddetta Teoria delleperturbazioni.

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Il formalismo Hamiltoniano 329

Esempio 9.10: Punto libero. L’Hamiltoniana e

H =1

2m

(

p2x + p2y + p2z)

(si veda l’esempio 9.2). E immediato verificare che, oltre all’Hamiltoniana stessa, sihanno le costanti del moto

px , py , pz , Mx = ypz − zpy , My = zpx − xpz , Mz = xpy − ypx ;

di queste solo 5 sono indipendenti (ad esempio, si puo scartare Mz). Il corollario 9.7consentirebbe, in linea di principio, di trovarne altre (che non potrebbero comunqueessere indipendenti da queste). Si puo pero verificare rapidamente che vale la tabella

(9.24)

{·, ·} px

py

pz

Mx

My

Mz

px 0

0

0

0

pz

−py

py 0

0

0

−pz∣

0

px

pz 0

0

0

py

−px∣

0

Mx 0

pz

−py∣

0

Mz

−My

My −pz∣

0

px

−Mz

0

Mx

Mz py

−px∣

0

My

−Mx

0

Da queste costanti del moto e facile ricavare l’orbita nello spazio delle fasi. In effettisi verifica subito che l’intersezione in R

6 delle superfici (che in particolare sono tutteiperpiani) px = c1, py = c2, pz = c3, Mx = c4, My = c5, dove c1, . . . , c5 sono dellecostanti, e una retta, e questa e l’orbita.

Esempio 9.11: Il problema degli n corpi. L’Hamiltoniana e (si veda l’esempio 9.6)

H =

n∑

j=1

pj

2mj+ V (x1, . . . ,xn) ;

il sistema ammette 7 costanti del moto indipendenti, e precisamente l’energia totaleH, le tre componenti della quantita di moto totale P =

j pj , e le tre componentidel momento angolare totale M =

j xj ∧ pj . Anche in questo caso si verifica cheil corollario 9.7 non aggiunge nessuna informazione rilevante, perche le costanti delmoto Px, Py, Pz,Mx,My,Mz si comportano ancora, rispetto alle parentesi di Poisson,come in tabella (9.24). Nel caso n = 2 (problema dei due corpi) lo spazio delle fasi eR

12, e la conoscenza di 7 costanti del moto consente di stabilire che il moto si svolgesu una superficie a 5 dimensioni; questo non sembra sufficiente, a prima vista, per

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330 Capitolo 9

stabilire l’integrabilita del sistema, in apparente contrasto col fatto che il sistema e ef-fettivamente integrabile. In effetti, in generale l’integrazione di un sistema di equazionidifferenziali x = f(x) su R

2n (o su una varieta di dimensione 2n) richiede la conoscenzadi 2n−1 integrali primi. Nel caso Hamiltoniano pero basta conoscere n integrali primiindipendenti, purche soddisfino l’ulteriore condizione che la parentesi di Poisson tradue qualunque di essi si annulli. Su questo si tornera piu avanti. Cosı, ad esempio,per n = 2 le costanti del moto H,Px, Py, Pz soddisfano le condizioni richieste, e le duemancanti si ottengono dalle tre del momento angolare col procedimento di riduzioneal moto centrale. Per n > 2 invece le 7 costanti del moto qui trovate sono insufficienti,e occorrerebbe cercarne altre. Ma i teoremi di Bruns e Poincare affermano che cio, ingenerale, non e possibile.

9.4.2 Variabili cicliche

Supponiamo, come abbiamo gia fatto nel caso del formalismo lagrangiano (para-grafo 8.3.1), che l’Hamiltoniana di un sistema non dipenda da una delle coordinate q,ossia che si abbia ∂H

∂qj= 0 per un qualche j. Supponiamo per semplicita che sia j = n,

il che si puo sempre ottenere semplicemente riordinando le coppie di variabili tra loroconiugate. Allora l’equazione di Hamilton per il momento pn coniugato a qn si scrivepn = 0, e dunque pn e un integrale primo. Fin qui, nulla di realmente nuovo rispettoal formalismo lagrangiano. Ma l’aspetto interessante e che in questo caso il sistemaHamiltoniano si puo ridurre a uno con un grado di liberta in meno, al quale bisognaaggiungere un’equazione che si integra direttamente. Illustriamo il procedimento.

Consideriamo l’Hamiltoniana H(q1, . . . , qn−1, p1, . . . , pn), indipendente da qn, escriviamo le equazioni di Hamilton separando quelle per qn, pn e specificando gli ar-gomenti:

qj =∂H

∂pj(q1, . . . , qn−1, p1, . . . , pn) ,

pj = −∂H∂qj

(q1, . . . , qn−1, p1, . . . , pn) , j = 1, . . . , n− 1 ;

qn =∂H

∂pn(q1, . . . , qn−1, p1, . . . , pn) ,

pn = 0.

Poiche pn e un integrale primo, abbiamo pn(t) = C, ovvero il suo valore al tempoiniziale. Se ora sostituiamo questo valore in tutte le altre equazioni possiamo fare treosservazioni.

(i) Il sistema delle equazioni per q1, . . . , qn−1, p1, . . . , pn−1, che chiameremo sistemaridotto, si disaccoppia dall’equazione per qn, perche non dipende da qn, mentrepn e stato sostituito da una costante.

(ii) Una volta risolto — se possibile — il sistema ridotto, il termine di destradell’equazione per qn diventa una funzione nota del tempo, e viene immediata-mente ricondotta alle quadrature.

(iii) Il sistema ridotto di equazioni e lo stesso che si otterrebbe sostituendo pn conC nell’Hamiltoniana originale, ossia considerando l’Hamiltoniana a n− 1 gradi

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Il formalismo Hamiltoniano 331

di liberta

H ′(q1, . . . , qn−1, p1, . . . , pn−1) = H(q1, . . . , qn−1, p1, . . . , pn−1, C) .

Queste osservazioni mostrano che l’esistenza di una variabile ciclica consente di fattodi ridurre di uno il numero di gradi di liberta del sistema, e di scrivere in modo ele-mentare l’Hamiltoniana del sistema ridotto. Se vi sono piu coordinate cicliche si puoapplicare ripetutamente il procedimento. Il caso particolarmente interessante e quelloin cui le coordinate cicliche siano n, pari al numero di gradi di liberta. In tal caso ilsistema si puo integrare completamente per quadrature. E questo, in effetti, il proce-dimento sottostante alla teoria dell’integrabilita secondo Liouville, di cui discuteremopiu avanti.

Esempio 9.12: Il moto centrale. In coordinate cartesiane l’Hamiltoniana si scrive

H =1

2m

(

p2x + p2y + p2z)

+ V (r) ,

dove r =√

x2 + y2 + z2. Lo spazio delle fasi e R6, e si conoscono 4 costanti del

moto indipendenti, e precisamente l’Hamiltoniana H e le tre componenti del momentoangolareM = x∧p. Ne segue che il moto deve svolgersi su una superficie di dimensione2. Grazie alla costanza della direzione del momento della quantita di moto possiamoricondurci a studiare il sistema piano scegliendo un riferimento cartesiano con l’assez orientato come il vettore momento angolare, sicche Mx = My = 0. Tuttavia non eimmediatamente evidente come si possa utilizzare la costanza del modulo del momentoangolare continuando a lavorare in coordinate cartesiane. E piu conveniente introdurrele coordinate polari r, ϑ e scrivere l’Hamiltoniana come

H =1

2m

(

p2r +p2ϑr2

)

+ V (r) .

Si vede subito che ϑ e una variabile ciclica, sicche potremo scrivere pϑ = ℓ con unacostante ℓ calcolata dai dati iniziali, e affiancarle l’equazione

(9.25) ϑ =ℓ

mr2.

Come abbiamo gia visto nella discussione completa del moto centrale, e grazie allanostra scelta dell’orientamento dell’asse z, abbiamo che pϑ e il modulo del momentoangolare, ossia pϑ = ‖Mz‖. L’Hamiltoniana ridotta, grazie all’osservazione (ii) fattasopra, si scrive

H =1

2mp2r + V ∗(r) , V ∗(r) =

ℓ2

2mr2+ V (r) .

Ci siamo quindi ricondotti allo studio del moto radiale. Il resto dello studio proseguerisolvendo l’equazione per r, e dunque ricavando r(t), e sostituendola poi nella (9.25),il che ci consente di determinare ϑ(t). Questo e quanto e stato gia fatto, e non occorreritornarvi. Possiamo pero aggiungere qualche osservazione di carattere geometrico. Nelsemipiano r, pr, l’equazione H(r, pr) = E puo dare, al variare di E, delle famiglie dicurve chiuse (stati legati) oppure delle famiglie di curve che si estendono all’infinito

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332 Capitolo 9

(stati d’urto). Nel primo caso l’orbita giace su una superficie che e topologicamentesimile a un toro T2 (il prodotto della circonferenza descritta da ϑ con la curva chiusa nelsemipiano r, pr); nel secondo caso la superficie e topologicamente simile a un cilindro.In generale non e possibile ottenere un risultato migliore di questo.

Esempio 9.13: Una particolarita del caso Kepleriano. Si e gia visto che nelcaso Kepleriano l’orbita e sempre chiusa, e questo non segue dalla discussionedell’esempio 9.12. Cio e dovuto al fatto singolare che il caso Kepleriano ammette,oltre alle costanti del moto dell’energia e del momento angolare, l’ulteriore costantedel moto (detta vettore di Runge–Lenz, ma sarebbe piu corretto chiamarla vettore diLaplace9)

(9.26) A = p ∧M− kmx

r,

dove k e la costante che compare nel potenziale Kepleriano, V = −k/r. Le componentidi questo vettore non sono tutte indipendenti dalle costanti del moto gia discusse;se ne puo pero ricavare una indipendente dalle precedenti, e farne uso per ottenerel’equazione dell’orbita.10

9.5 Trasformazioni canoniche

Lo studio delle soluzioni di un sistema di equazioni differenziali puo svolgersi anchemediante la ricerca di una trasformazione di coordinate sotto la cui azione il sistemaassume una forma particolarmente semplice. Questo e quanto abbiamo gia fatto, adesempio, nel discutere il problema dei due corpi o quello del moto centrale.

Nel caso del formalismo Hamiltoniano una trasformazione di coordinate deve es-sere – come implicitamente deve essere ogni trasformazione – un diffeomorfismo, masi deve anche specificare quali siano le coppie di coordinate tra loro coniugate, os-sia quali siano le nuove coordinate e i nuovi momenti. Inoltre e naturale chiedersisotto quali condizioni si possa operare una trasformazione di coordinate senza usciredall’ambito del formalismo canonico. La ricerca di queste trasformazioni conduce adisolare il gruppo delle trasformazioni canoniche.

9.5.1 Trasformazioni che mantengono inalterata la forma canonica delle equazioni

Si pone anzitutto il seguente problema: trovare una classe di trasformazioni (q, p) =C (Q,P ) invertibili tali che il sistema delle equazioni di Hamilton

qj =∂H

∂pj, pj = −∂H

∂qj, 1 ≤ j ≤ n ,

9 In effetti, questa costante del moto era gia nota a Laplace. Per una breve nota storica siveda [29].

10 Si veda [10].

Page 21: 9.1 La trasformata di Legendre - unimi.itIl formalismo Hamiltoniano 315 x f(x) y Figura 9.2. La funzione f(x) `e l’inviluppo della famiglia di rette y = px−g(p), dove g(p) `e la

Il formalismo Hamiltoniano 333

relativo a una qualunque Hamiltoniana H(q, p) venga trasformato nel sistema, ancoracanonico,

Qj =∂K

∂Pj, Pj = − ∂K

∂Qj, 1 ≤ j ≤ n ,

con un’opportuna Hamiltoniana K(Q,P ).11

Si osservi che il problema e stato enunciato nell’ambito dei sistemi Hamiltonianiautonomi, tuttavia l’osservazione fatta all’inizio del paragrafo 9.2.5, relativa all’am-pliamento dello spazio delle fasi, mostra che in realta il problema e del tutto gene-rale: basta considerare trasformazioni sullo spazio delle fasi esteso, con coordinate(q0, q, p0, p). Questo conduce a considerare trasformazioni in cui il tempo (q0 in que-sto caso) viene trattato al pari delle altre coordinate. La restrizione a trasformazionidipendenti dal tempo (che non deve essere trasformato) puo effettuarsi imponendo chela trasformazione su q0 sia l’identita, ossia q0 = Q0. Su questo torneremo piu avanti.

Esempio 9.14: Traslazione. Data la trasformazione

qj = Qj + aj , pj = Pj + bj , 1 ≤ j ≤ n ,

dove aj , bj sono delle costanti, si verifica subito che le equazioni mantengono la formacanonica con la nuova Hamiltoniana

K(Q,P ) = H(q, p)∣

q=Q+a , p=P+b;

qui si e usata l’ovvia notazione a = (a1, . . . , an), b = (b1, . . . , bn).

Esempio 9.15: Trasformazioni di scala. Consideriamo per semplicita un solo gradodi liberta. La trasformazione

q = αQ , p = βP

con α e β reali non nulli mantiene inalterata la forma canonica delle equazioni con lanuova Hamiltoniana

K(Q,P ) =1

αβH(q, p)

q=αQ , p=βP

.

11 Il lettore che abbia ben assimilato il formalismo lagrangiano potrebbe restare sorpresodall’enunciazione di questo problema, ben ricordando che le equazioni di Lagrange sonoinvarianti in forma rispetto a cambiamenti di coordinate. In effetti, sembrerebbe naturaleattendersi che le equazioni di Hamilton, essendo equivalenti a quelle di Lagrange, godanodella stessa proprieta di invarianza. Dobbiamo pero osservare che le sole trasformazioniammesse in ambito lagrangiano riguardano le coordinate generalizzate q sullo spaziodelle configurazioni: le trasformazioni sulle velocita q sono conseguenza di quelle sullecoordinate, e dunque non sono arbitrarie. In ambito hamiltoniano invece e consentitol’uso trasformazioni arbitrarie che coinvolgano sia le coordinate q che i momenti p.Abbiamo dunque a che fare con una classe di trasformazioni ben piu ampia di quellaammessa in ambito lagrangiano, e l’invarianza delle equazioni non e piu assicurata.

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334 Capitolo 9

Per verificarlo basta considerare la funzione K(Q,P ) = H(q, p)|q=αQ, p=βP , per laquale vale

∂K

∂Q= α

∂H

∂q,

∂K

∂P= β

∂H

∂p;

poi si calcola

Q =1

αq =

1

α

∂H

∂p=

1

αβ

∂K

∂P=∂K

∂P,

P = − 1

βp = − 1

β

∂H

∂q= − 1

αβ

∂K

∂Q= −∂K

∂Q.

Esempio 9.16: Scambio di coordinate. Consideriamo ancora il caso di un solo gradodi liberta. La trasformazione

q = αP , p = βQ

con α e β reali non nulli mantiene inalterata la forma canonica delle equazioni con lanuova Hamiltoniana

K(Q,P ) = − 1

αβH(q, p)

q=αP , p=βQ

.

La dimostrazione e simile a quella dell’esempio precedente, e viene lasciata al lettore.

9.5.2 Restrizione alle trasformazioni canoniche

Consideriamo ora una classe di trasformazioni che mantenga ancora inalterata la formacanonica delle equazioni, con l’ulteriore condizione che la nuova Hamiltoniana sia latrasformata della vecchia. Piu precisamente, consideriamo il problema di caratterizzarele trasformazioni invertibili (q, p) = C (Q,P ) che trasformano ogni sistema Hamilto-niano

qj =∂H

∂pj, pj = −∂H

∂qj, 1 ≤ j ≤ n

nel sistema Hamiltoniano

Qj =∂H

∂Pj, Pj = −∂H

∂Qj, 1 ≤ j ≤ n ,

con l’ulteriore condizione che si abbia

H (Q,P ) = H(q, p)∣

q=q(Q,P ) , p=p(Q,P )

A questa classe di trasformazioni si da il nome di trasformazioni canoniche.12 Si trattaevidentemente di una sottoclasse di quella del paragrafo 9.5.2.

12 Nella letteratura non c’e accordo completo sulla definizione di trasformazione canonica.

Nel testo di Levi–Civita e Amaldi[46] vengono dette canoniche le trasformazioni chemantengono la forma Hamiltoniana delle equazioni, senza pretendere che la nuova Ha-miltoniana sia la trasformata della vecchia, mentre le trasformazioni caratterizzate quivengono dette completamente canoniche. Questa distinzione e particolarmente rilevante

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Il formalismo Hamiltoniano 335

Al fine di caratterizzare la classe delle trasformazioni canoniche e utile richia-mare l’osservazione, gia svolta nel paragrafo 9.3.3, che le equazioni di Hamilton sonosemplicemente la particolarizzazione al caso delle coordinate dell’equazione generalef = {f,H}, valida per ogni f . Questo conduce in modo naturale a esprimere la con-dizione di canonicita mediante le parentesi di Poisson.

Di fatto, in queste note prenderemo in considerazione quattro diverse condizionidi canonicita, tutte tra loro equivalenti, e precisamente stabiliremo che una trasfor-mazione (q, p) = C (Q,P ) e canonica se e solo se verifica una delle seguenti condizioni:

(i) conserva le parentesi di Poisson fondamentali, come viene discusso nel para-grafo 9.5.3;

(ii) la matrice Jacobiana della trasformazione e una matrice simplettica, come vienediscusso nel paragrafo 9.5.4

(iii) conserva le parentesi di Lagrange, come viene discusso nel paragrafo 9.5.5;

(iv) (condizione di Lie) la forma differenziale∑n

j=1 (pj dqj − Pj dQj) e esatta, ossiae il differenziale dS di una funzione, come discusso nel paragrafo 9.5.6.

Naturalmente, per chiarire il significato di queste condizioni occorre dare le necessariedefinizioni. Questo e quanto faremo nei prossimi paragrafi.

9.5.3 Conservazione delle parentesi di Poisson

Sia f(q, p) una funzione e (q, p) = C (Q,P ) una trasformazione di coordinate sullospazio delle fasi F ; denotiamo poi con C f la funzione trasformata di f , ossia(C f)(Q,P ) = f(q, p)

(q,p)=C (Q,P ).

Lemma 9.8: Una trasformazione e canonica se a ogni coppia di funzioni f(q, p),

nel considerare trasformazioni dipendenti dal tempo, per le quali non basta trasfor-mare l’Hamiltoniana ma occorre aggiungere un termine (si veda la discussione di questopunto nel paragrafo 9.7), e dunque non sono completamente canoniche nel senso diLevi–Civita e Amaldi. Nello schema seguito in queste note tale distinzione e inessenzialegrazie all’introduzione dello spazio delle fasi esteso, come discusso nel paragrafo 9.2.5.Altri autori preferiscono chiamare canoniche tutte le trasformazioni che conservano laforma Hamiltoniana delle equazioni. Tale e, ad esempio, l’atteggiamento di Wintner[67]

e Gantmacher[28]. Quest’ultimo autore sottolinea anche la distinzione tra le trasforma-zioni del tipo degli esempi 9.15 e 9.16, per i quali la nuova Hamiltoniana deve esseremoltiplicata per un fattore numerico, da quelle che richiedono la sola trasformazionedell’Hamiltoniana, come nell’esempio 9.14, e riserva il nome di trasformazioni canonicheunivalenti a quelle che qui sono dette semplicemente canoniche. Il vantaggio principaledella sua scelta sta nel poter considerare come canoniche anche le trasformazioni degliesempi 9.15 e 9.16, che invece sarebbero escluse secondo la definizione qui adottata, salvonel caso αβ = 1 (esempio 9.15) o αβ = −1 (esempio 9.16). Rispetto a Gantmacher, lascelta di adottare la definizione qui data e dettata sostanzialmente dalla considerazioneche la discussione successiva sulle condizioni di canonicita ne risulta sensibilmente sem-plificata, mentre la generalita viene comunque conseguita componendo una trasforma-zione canonica con una trasformazione di scala (non canonica, secondo la definizione quiadottata) del tipo dell’esempio 9.15.

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336 Capitolo 9

g(q, p) si puo applicare il diagramma commutativo

(9.27)

f, gC−→ C f,C g

{·,·}

y

y{·,·}

{f, g}q,p −→C

C

(

{f, g}q,p)

= {C f,C g}Q,P ,

dove i pedici q, p e Q,P specificano rispetto a quali variabili debbano essere eseguitele derivate nel calcolo della parentesi di Poisson.

In parole, si deve ottenere lo stesso risultato sia calcolando la parentesi di Poissonrispetto alle variabili q, p e poi effettuando la sostituzione di variabili che sostituendole variabili e procedendo poi al calcolo della parentesi di Poisson rispetto alle nuovevariabili Q,P . Si noti che, per come e enunciata, la condizione e solo sufficiente.

Dimostrazione. Invertiamo la trasformazione, e consideriamo come funzione unadelle nuove coordinate Q, P espressa in funzione delle vecchie q, p , ossia f(q, p) =Qj(q, p) oppure f(q, p) = Pj(q, p), con j = 1, . . . , n. Avremo allora, come per ogni

funzione, f = {f,H}q,p, dove i pedici indicano che la parentesi di Poisson va calcolatarispetto alle vecchie coordinate. Ma poiche, per ipotesi, la trasformazione conserva leparentesi di Poisson abbiamo anche {f,H}q,p = {f,H}Q,P , ovvero Qj = {Qj , H}Q,P

e Pj = {Pj , H}Q,P , per j = 1, . . . , n, che sono proprio le equazioni di Hamiltonper le nuove variabili con una nuova Hamiltoniana che e la trasformata della vec-chia. Q.E.D.

Una condizione del tipo fornito dal lemma 9.8 non e concretamente utilizzabile alfine di verificare la canonicita di una trasformazione. Si puo pero ottenere una con-dizione facilmente verificabile se si considerano le parentesi di Poisson fondamentali,introdotte nel paragrafo 9.3.3, formula (9.22).

Proposizione 9.9: Una trasformazione

qj = qj(Q,P ) , pj = pj(Q,P ) , 1 ≤ j ≤ n

e canonica se e solo se conserva le parentesi di Poisson fondamentali

(9.28){qj , qk}Q,P = {pj , pk}Q,P = 0

{qj , pk}Q,P = δjk , 1 ≤ j ≤ n , 1 ≤ k ≤ n .

Nella dimostrazione della proposizione 9.9 si fa uso di due lemmi.

Lemma 9.10: Sia data la funzione composta f(ϕ1, . . . , ϕr), che dipende da q, ptramite le r funzioni ϕ1 = ϕ1(q, p), . . . , ϕr = ϕr(q, p), e sia g(q, p) una generica fun-zione su F . Allora si ha

{f, g} =r∑

l=1

∂f

∂ϕl{ϕl, g}

La dimostrazione e elementare, ed e lasciata al lettore.

Lemma 9.11: Una trasformazione conserva le parentesi di Poisson, ossia rendecommutativo il diagramma (9.27) per ogni f , g, se e solo se conserva le parentesi diPoisson fondamentali.

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Il formalismo Hamiltoniano 337

Dimostrazione. La necessita e evidente: le coordinate stesse sono funzioni su F .Per la sufficienza basta applicare opportunamente il lemma 9.10, ponendo r = 2ne ϕ1(Q,P ) = q1(Q,P ), . . . , ϕ2n(Q,P ) = pn(Q,P ), e considerando anche g funzionecomposta di (Q,P ) tramite le stesse funzioni ϕ1, . . . , ϕ2n. Si ottiene subito

{f, g}Q,P =∑

j,k

(

∂f

∂qj

∂g

∂qk{qj , qk}Q,P +

∂f

∂qj

∂g

∂pk{qj , pk}Q,P

+∂f

∂pj

∂g

∂qk{pj , qk}Q,P +

∂f

∂pj

∂g

∂pk{pj , pk}Q,P

)

,

e, tenuto conto delle parentesi di Poisson fondamentali, si ottiene subito {f, g}Q,P ={f, g}q,p, dove il membro di destra deve riesprimersi come funzione di Q,P ; questarelazione esprime proprio la commutativita del diagramma (9.27). Q.E.D.

Dimostrazione della proposizione 9.9. Se la trasformazione conserva le paren-tesi di Poisson fondamentali, allora si applica il lemma 9.8, che afferma proprio chela trasformazione e canonica. Proviamo il viceversa, supponendo che la trasforma-zione sia canonica. Consideriamo l’Hamiltoniana H(q, p) = qk, coincidente con unaqualsiasi delle coordinate, sicche le equazioni di Hamilton sono qj = 0 , pj = δjk.Poiche la trasformazione e canonica le equazioni di Hamilton per la nuova Hamilto-niana H (Q,P ) = qk(Q,P ) sono Qj = ∂H

∂Pj, Pj = ∂H

∂Qj. D’altra parte la derivata

temporale delle funzioni q1(Q,P ), . . . , qn(Q,P ), p1(Q,P ), . . . , pn(Q,P ), come quelladi qualunque altra funzione, e indipendente dalle coordinate, e dunque deve essere13

qj = {qj ,H }Q,P = 0, pj = {pj ,H }Q,P = δj,k. Con un ragionamento analogo, con-siderando l’Hamiltoniana H(q, p) = pk, ossia uno qualsiasi dei momenti, si mostrache vale qj = {qj ,H }Q,P = δjk, pj = {pj ,H }Q,P = 0. Concludiamo dunque che latrasformazione conserva le parentesi di Poisson fondamentali. Q.E.D.

Esempio 9.17: Trasformazioni nel caso di un grado di liberta. Nel caso n = 1 lacondizione di canonicita assume la forma particolarmente semplice

det

( ∂q∂Q

∂q∂P

∂p∂Q

∂p∂P

)

= 1 ,

ossia la trasformazione deve conservare l’area. Cosı, ad esempio, la trasformazione

(9.29) q = αQ , p =1

αP

e canonica perche conserva l’area del rettangolo di lati q, p: se il lato q viene sti-rato di un fattore α il lato p viene compresso dello stesso fattore. Non e canonicainvece la consueta trasformazione a coordinate polari (nel piano delle fasi): e noto chel’elemento di area in coordinate polari r, ϑ e r dr dϑ, e non dr dϑ. Si puo pero costruireuna trasformazione canonica se al posto del raggio si introduce una quantita che sia

13 Si ricordi che il fatto di poter scrivere la derivata temporale di una funzione come pa-rentesi di Poisson e conseguenza della forma delle equazioni di Hamilton. Dunque nellenuove coordinate vale qj = {qj ,H }Q,P , pj = {pj ,H }Q,P .

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338 Capitolo 9

proporzionale all’area del cerchio di raggio r, e precisamente I = r2/2. Infatti si puoverificare rapidamente la canonicita della trasformazione

(9.30) q =√2I cosϕ , p = −

√2I sinϕ ,

ove si assegna a ϕ il ruolo di coordinata e a I quello di momento coniugato: bastacalcolare la parentesi di Poisson

{q, p} = {√2I cosϕ,−

√2I sinϕ} = cos2 ϕ+ sin2 ϕ = 1 .

Alle variabili I, ϕ si da il nome di variabili d’azione e angolo.

Esempio 9.18: Gli oscillatori armonici. L’Hamiltoniana di un sistema di n oscilla-tori armonici si scrive

H(q, p) =

n∑

j=1

1

2

(

p2j + ω2j q

2j

)

,

con ω = (ω1, . . . , ωn) ∈ Rn. Si ottiene una forma piu simmetrica mediante la trasfor-

mazione

qj =Qj√ωj

, pj = Pj√ωj , 1 ≤ j ≤ n ,

che e palesemente canonica. La nuova Hamiltoniana e

H (Q,P ) =∑

j

ωj

2

(

P 2j +Q2

j

)

.

Una forma ancor piu semplice si ottiene eseguendo su ciascuna coppia di variabili latrasformazione a variabili d’azione ed angolo (9.30), ossia

Qj =√

2Ij cosϕj , Pj = −√

2Ij sinϕj , 1 ≤ j ≤ n .

Si ha allora l’Hamiltoniana

H(I, ϕ) =∑

j

ωjIj ,

che si integra in modo elementare.

9.5.4 Matrici simplettiche

Nei testi piu recenti si enuncia la proprieta di conservazione delle parentesi di Poissonin forma piu geometrica. Per questo occorre introdurre almeno la nozione elementaredi geometria simplettica.14

Consideriamo lo spazio vettoriale R2n, e denotiamone le coordinate (in modo un

po’ bizzarro ma conveniente) con (q1, . . . , qn, p1, . . . , pn). Consideriamo la matrice

(9.31) J =

(

0 I

−I 0

)

14 Il termine simplettico e stato introdotto da Hermann Weyl nel suo testo The classicalgroups, pubblicato nel 1939.

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Il formalismo Hamiltoniano 339

dove I e la matrice identita, I = diag(1, . . . , 1). Osserviamo subito che vale J2 = −I,sicche la matrice inversa di J e J−1 = −J.

Dati ora due vettori x,x′ ∈ R2n definiamo la forma bilineare

(9.32) [x,x′] = x · Jx′ ,

dove il punto indica il consueto prodotto scalare euclideo. In componenti scriveremox = (q1, . . . , qn, p1, . . . , pn), x

′ = (q′1, . . . , q′n, p

′1, . . . , p

′n), e

(9.33) [x,x′] =

n∑

j=1

(qjp′j − pjq

′j) .

Chiameremo questa forma bilineare il prodotto scalare simplettico, o piu semplice-mente il prodotto simplettico. E immediato verificare cha la forma bilineare cosı in-trodotta e antisimmetrica, ossia [x,x′] = − [x′,x] e non degenere, ossia [x,w] = 0 perogni x implica w = 0.

Esempio 9.19: La forma d’area in R2. Consideriamo due vettori u, v ∈ R

2, e calco-liamo l’area S orientata del parallelogramma che ha per lati i due vettori. Ricordandola formula del prodotto vettoriale si ricava subito S(u,v) = u1v2 − u2v1. Questa puo

scriversi come S(u,v) = u ·Jv, dove J =

(

0 1−1 0

)

, che e proprio la forma simplettica

definita sopra. Il lettore potra verificare che nel caso generale di R2n con coordinate(q1, . . . , qn, p1, . . . , pn) la forma simplettica rappresenta la somma delle aree orientatedelle proiezione del parallelogramma su ciascuno dei piani qj , pj .

In generale si da la

Definizione 9.12: Uno spazio simplettico e uno spazio vettoriale reale di dimensionefinita dotato di una forma bilineare antisimmetrica e non degenere.

Alla luce di questa definizione lo spazio R2n con la forma bilineare (9.32) e l’esempio

piu semplice di spazio simplettico. Una conseguenza immediata della definizione e chela dimensione di uno spazio simplettico deve essere pari (altrimenti cadrebbe necessa-riamente la non degenerazione). Inoltre vale un notevole teorema secondo il quale ognispazio simplettico puo essere dotato di una base in cui il prodotto simplettico abbiala forma (9.32). Dunque, l’esempio che stiamo considerando e del tutto generale.

Nella geometria simplettica la matrice J ha un ruolo simile a quello della matriceidentita I nella geometria euclidea. In effetti, il prodotto scalare euclideo e una formabilineare costruita proprio mediante la matrice identita.15 Procedendo per analogia, sipuo introdurre in uno spazio simplettico la nozione di ortogonalita: due vettori sono

15 Nel Programma di Erlangen, che fu la prolusione con la quale Felix Klein inaugurol’anno accademico a Erlangen nel 1872, all’eta di 23 anni, si definisce la geometriacome lo studio delle proprieta di invarianza delle figure geometriche rispetto a un fissatogruppo di trasformazioni. Nel caso euclideo si tratta delle trasformazioni ortogonali.Klein sottolineo come il punto di vista appena menzionato dia una visione unitaria dellegeometrie euclidea, affine e proiettiva. Nel nostro caso il gruppo di trasformazioni chedefinisce la geometria diventa il gruppo simplettico.

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340 Capitolo 9

ortogonali se il loro prodotto scalare simplettico e nullo.16 Useremo qui la notazionev 6 w per indicare che v e w sono ortogonali per il prodotto simplettico, riservando lanotazione v ⊥ w all’ortogonalita per il prodotto scalare euclideo.

Il concetto di ortogonalita in senso simplettico differisce sensibilmente rispetto aquello euclideo. Ad esempio, per quanto a prima vista possa apparire sorprendente,ogni vettore e ortogonale simplettico a se stesso.

Si puo anche introdurre il concetto di sottospazi ortogonali: due sottospazi V, W diuno stesso spazio simplettico X sono ortogonali se comunque si prendano v ∈ V e w ∈W vale [v,w] = 0. Non segue pero che V eW siano anche linearmente indipendenti: adesempio, ogni retta e ortogonale a se stessa. A un assegnato sottospazio V dello spazio

simplettico X si puo far corrispondere il sottospazio V6

ortogonale a V , definito comedi consueto come l’insieme dei vettori di X ortogonali a ogni vettore di V . Come nel

caso euclideo, valgono ancora la proprieta dimV + dimV6

= dimX e (V6)6

= V .

Pero i due sottospazi V e V6

non sono piu complementari, ossia non vale piu la

proprieta V ⊕ V6

= X. Anzi, si classificano i sottospazi nel modo seguente:

(i) se V ⊂ V6

si dice che V e un sottospazio isotropo;

(ii) se V ⊃ V6

si dice che V e un sottospazio coisotropo, nel qual caso V6

eisotropo;

(iii) se V = V6

si dice che V e un sottospazio lagrangiano;In particolare valgono le notevoli proprieta che la dimensione di un sottospazio isotroponon puo superare n, e se un sottospazio isotropo ha dimensione n allora e un sot-tospazio lagrangiano.

Infine, un sottospazio di uno spazio simplettico non e necessariamente, a sua volta,uno spazio simplettico (come invece avviene per i sottospazi di uno spazio euclideo).

Omettiamo la dimostrazione delle proprieta qui enunciate, ma suggeriamo unesempio sulla base del quale il lettore potra acquisire una sia pur minima familiaritacon i concetti piu elementari della geometria simplettica.

Esempio 9.20: Ortogonalita in uno spazio simplettico. Denotiamo la base canonicadi R2n con (e1, . . . , en,d1, . . . ,dn) e con (q1, . . . , qn, p1, . . . , pn) le coordinate, sicchepotremo scrivere

R2n ∋ x = q1e1 + . . .+ qnen + p1d1 + . . .+ pndn .

Allora si verificano facilmente le seguenti affermazioni.(i) Il prodotto simplettico e completamente definito dalle relazioni

[ej , ek] = [dj ,dk] = 0 , [ej ,dk] = δjk , j, k = 1, . . . , n .

(ii) Ogni sottinsieme non vuoto dell’insieme di vettori {e . . . , en} e base di un sot-tospazio isotropo. Lo stesso accade per ogni sottinsieme non vuoto dell’insiemedi vettori {d . . . ,dn}.

16 Nei testi inglesi si usa di solito l’aggettivo skew–orthogonal, o talvolta anche left–orthogonal.

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Il formalismo Hamiltoniano 341

(iii) Il sottospazi generato dalla basa {e . . . , en} e lagrangiano. Lo stesso vale per labase {d1, . . . ,dn}.

(iv) Piu in generale, data una qualunque partizione dell’insieme degli indici 1, . . . , nin due classi disgiunte J,K, il sottospazio generato dalla base {ej ,dk}j∈J, k∈K

e lagrangiano.17

(v) Dato un qualunque sottinsieme J ⊂ {1, . . . , n} il sottospazio generato dallabase {ej ,dj : j ∈ J} e un sottospazio simplettico di dimensione eguale allacardinalita di J . In particolare, ogni coppia di vettori {ej ,dj}, qualunque siaj ∈ {1, . . . , n}, e un sottospazio simplettico.

Esercizio 9.5: Calcolare quanti sottospazi lagrangiani distinti si possono generaremediante il procedimento del punto (iv) dell’esempio 9.20 qui sopra. (Risposta: 2n).

Sia ora M una matrice reale 2n × 2n, e denotiamo con M⊤ la sua trasposta. Sidice che M e una matrice simplettica se soddisfa la relazione

(9.34) MJM⊤ = J .

La definizione qui data significa che le matrici simplettiche sono quelle che conservanola forma del prodotto scalare simplettico. Il loro ruolo in geometria simplettica e anal-ogo a quello delle matrici ortogonali in geometria euclidea: ricordiamo che le matriciortogonali conservano la forma del prodotto scalare euclideo.

Proposizione 9.13: Una trasformazione qj = qj(Q,P ), pj = pj(Q,P ), 1 ≤ j ≤ n ecanonica se e solo se la sua matrice Jacobiana

(9.35) M =∂(q1, . . . , qn, p1, . . . , pn)

∂(Q1, . . . , Qn, P1, . . . , Pn)

e una matrice simplettica.

Dimostrazione. La dimostrazione e piu noiosa che difficile: basta verificare che lacondizione (9.34), ove scritta in modo esplicito per le componenti di M, altro non eche la (9.28).18 Infatti lo Jacobiano della trasformazione si scrive

M =

∂q1∂Q1

. . . ∂q1∂Qn

∂q1∂P1

. . . ∂q1∂Pn

.... . .

......

. . ....

∂qn∂Q1

. . . ∂qn∂Qn

∂qn∂P1

. . . ∂qn∂Pn

∂p1

∂Q1

. . . ∂p1

∂Qn

∂p1

∂P1

. . . ∂p1

∂Pn

.... . .

......

. . ....

∂pn

∂Q1

. . . ∂pn

∂Qn

∂pn

∂P1

. . . ∂pn

∂Pn

.

17 In altre parole, si puo costruire un sottospazio lagrangiano scegliendo in modo arbitrarioun vettore da ciascuna coppia (ej ,dj).

18 Per essere piu precisi, la verifica della canonicita mediante le parentesi di Poisson fon-damentali richiede un numero di operazioni pari a circa la meta di quelle necessarie perfar uso della condizione di simpletticita dello Jacobiano.

Page 30: 9.1 La trasformata di Legendre - unimi.itIl formalismo Hamiltoniano 315 x f(x) y Figura 9.2. La funzione f(x) `e l’inviluppo della famiglia di rette y = px−g(p), dove g(p) `e la

342 Capitolo 9

Osserviamo ora che ogni elemento della matriceMJM⊤ e il prodotto scalare simpletticotra due righe della matrice M, e che questo a sua volta e proprio una delle parentesidi Poisson fondamentali. Dunque abbiamo

MJM⊤ =

{q1, q1} . . . {q1, qn} {q1, p1} . . . {q1, pn}...

. . ....

.... . .

...{qn, q1} . . . {qn, qn} {qn, p1} . . . {qn, pn}{p1, q1} . . . {p1, qn} {p1, p1} . . . {p1, pn}

.... . .

......

. . ....

{pn, q1} . . . {pn, qn} {pn, p1} . . . {pn, pn}

.

Scrivendo infine l’uguaglianza MJM⊤ = J si ritrovano le condizioni (9.28). Q.E.D.

Esercizio 9.6: Sia n = 1. Mostrare che M e simplettica se e solo se vale detM = 1.

Esercizio 9.7: Mostrare che se M e una matrice simplettica allora vale | detM| = 1.Costruire un esempio di matrice 2n×2n, con n > 1, che abbia determinante 1 ma nonsia simplettica.

Esercizio 9.8: Sia M =

(

A B

C D

)

una matrice simplettica formata dai quattro

blocchi A, B, C, D che sono a loro volta matrici n × n. Trovare un’espressione per lasua inversa.Suggerimento: da MJM

⊤ = J dedurre M−1

J = JM⊤, e dunque M

−1 = −JM⊤J. Verificare poi

che quest’ultima espressione coincide con

(

D⊤ −B

−C⊤

A⊤

)

.

9.5.5 Conservazione delle parentesi di Lagrange

Supponiamo di aver assegnato le coordinate canoniche q, p come funzioni di due va-riabili u, v (ed eventualmente di altre variabili, che nella definizione che segue hannoil semplice ruolo di parametri).

Definizione 9.14: La parentesi di Lagrange [u, v] e la funzione di u, v definita come

(9.36) [u, v] =

n∑

j=1

(

∂qj∂u

∂pj∂v

− ∂qj∂v

∂pj∂u

)

.

Consideriamo la trasformazione identica: qj = Qj , pj = Pj , 1 ≤ j ≤ n. Facendoassumere volta per volta il ruolo di u, v a una coppia delle nuove coordinate Q,P(che in realta coincidono con le vecchie) possiamo scrivere le parentesi di Lagrangefondamentali

(9.37) [Qj , Qk] = [Pj , Pk] = 0 , [Qj , Pk] = δjk , j = 1, . . . , n .

Proposizione 9.15: Una trasformazione q = q(Q,P ), p = p(Q,P ) e canonica se esolo se conserva le parentesi di Lagrange fondamentali.

Page 31: 9.1 La trasformata di Legendre - unimi.itIl formalismo Hamiltoniano 315 x f(x) y Figura 9.2. La funzione f(x) `e l’inviluppo della famiglia di rette y = px−g(p), dove g(p) `e la

Il formalismo Hamiltoniano 343

In altre parole, per verificare la canonicita di una trasformazione si puo procedere acalcolare le parentesi di Lagrange tra tutte le coppie di coordinate Q,P derivando lefunzioni q(Q,P ), p(Q,P ), e verificando che il risultato sia proprio quello delle (9.37).

La dimostrazione si basa sul fatto che tra le parentesi di Poisson e quelle diLagrange esiste una connessione molto stretta. Per metterla in evidenza consideriamouna generica trasformazione di coordinate

qj = qj(u1, . . . , u2n) , pj = pj(u1, . . . , u2n) , 1 ≤ j ≤ n ,

dove u1, . . . , u2n non sono necessariamente coordinate canoniche. Come per ogni tra-sformazione, supponiamo che questa sia un diffeomorfismo, sicche possiamo scrivereanche le funzioni inverse u1(q, p), . . . , u2n(q, p) della trasformazione. Osserviamo chefacendo uso delle funzioni q(u), p(u) possiamo calcolare le parentesi di Lagrange[uj , uk], mentre facendo uso delle funzioni inverse u(q, p) possiamo calcolare le pa-rentesi di Poisson {uj , uk}.

La proprieta notevole e che la matrice delle parentesi di Poisson delle funzioniu e la trasposta della matrice delle parentesi di Lagrange delle stesse funzioni sonol’inversa l’una dell’altra.

Proposizione 9.16: Siano A e B le matrici 2n × 2n i cui elementi sono, rispetti-vamente, Ajk = {uj , uk} e Bjk = [uj , uk] , 1 ≤ j ≤ 2n , 1 ≤ k ≤ 2n. Allora vale larelazione

(9.38) AB⊤ = I ,

dove I e la matrice identita 2n× 2n.

Dimostrazione. La dimostrazione richiede un calcolo simile a quello svolto perdimostrare la proposizione 9.13. Denotiamo con

(9.39) M =

∂u1

∂q1. . . ∂u1

∂qn∂u1

∂p1

. . . ∂u1

∂pn

.... . .

......

. . ....

∂u2n

∂q1. . . ∂u2n

∂qn∂u2n

∂p1

. . . ∂u2n

∂pn

lo Jacobiano della trasformazione, e ricordiamo che che per un noto teorema di analisil’inverso di M e lo Jacobiano della trasformazione inversa, ossia

(9.40) M−1 =

∂q1∂u1

. . . ∂q1∂u2n

.... . .

...∂qn∂u1

. . . ∂qn∂u2n

∂p1

∂u1

. . . ∂p1

∂u2n

.... . .

...∂pn

∂u1

. . . ∂pn

∂u2n

Verifichiamo subito che vale MJM⊤ = A, la matrice i cui elementi sono le parentesidi Poisson {uj , uk}. Infatti l’elemento di posto j, k nella matrice MJM⊤ e il prodottosimplettico tra la riga j–esima e la riga k–esima della matrice M, che e proprio la

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344 Capitolo 9

parentesi di Poisson {uj , uk}. Calcoliamo ora, osservando che J2 = −I, e dunqueJ−1 = −J,

A−1 =

(

MJM⊤)−1

= −(

M⊤)−1

JM−1 .

Da qui, ricordando anche che J⊤ = −J, ricaviamo

(

A−1)⊤

=(

M−1)⊤

JM−1 .

Mostriamo ora che quest’ultima matrice coincide con B, la matrice i cui elementi sonole parentesi di Lagrange. Infatti, l’elemento di posto j, k della matrice e il prodottosimplettico della j–esima colonna con la k–esima colonna della matrice M−1 datadalla (9.40), che e proprio la parentesi di Lagrange [uj , uk]. Concludiamo dunque cheA−1 = B⊤. Q.E.D.

Dimostrazione della proposizione 9.15. Segue dalla proposizione 9.16, identifi-cando (u1, . . . , u2n) con (Q1, . . . , Qn, P1, . . . , Pn). Dire che la trasformazione conservala parentesi di Poisson fondamentali signica dire che la matrice A coincide con lamatrice simplettica J, come stabilito dalla proposizione 9.16. Viceversa, dire che latrasformazione conserva le parentesi di Lagrange fondamentali significa dire che lamatrice B coincide con J, come si verifica facilmente. Dunque, per ipotesi, una almenodelle due matrici A e B coincide con J. Poiche pero vale anche JJ⊤ = I, dalla (9.38)segue necessariamente A = B = J. Q.E.D.

Esercizio 9.9: Come visto nell’esercizio 9.6, le equazioni di Hamilton pos-sono scriversi in forma lagrangiana, pur di considerare la Lagrangiana degenereL(q, p, q, p) =

∑nj=1 pj qj − H(q, p). Come tali esse sono invarianti in forma per tra-

sformazioni regolari e invertibili delle variabili q, p, ossia

qj = qj(Q,P ) , pj = pj(Q,P ) , j = 1, . . . , n ,

con inverse

Qj = Qj(q, p) , Pj = Pj(q, p) .

Scrivere le equazioni di Lagrange per la Lagrangiana trasformata L(Q,P, Q, P ) emostrare che esse assumono la forma (con la notazione di matrici a blocchi)

(

[Q,Q] [Q,P ][P,Q] [P, P ]

)(

QP

)

=

(

HQ

HP

)

,

dove H(Q,P ) = H(q(Q,P ), p(Q,P )) e l’Hamiltoniana trasformata, e i pedici indicanole derivate. Nelle notazioni usate nel testo quest’ultima formula si scrive

n∑

k=1

[uj , uk]uk =∂H

∂uj.

Questo esercizio mostra come le parentesi di Lagrange emergano in modo naturalenella trasformazione di sistemi canonici.

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Il formalismo Hamiltoniano 345

9.5.6 Condizione di Lie

Come ultima condizione di canonicita mostriamo che deve essere soddisfatta la con-dizione di Lie. Benche questa condizione non appaia particolarmente comoda al finedi verificare la canonicita di una trasformazione, risultera molto utile per la discus-sione delle funzioni generatrici, che verra svolta piu avanti, nel paragrafo 9.6. Inoltreessa introduce un oggetto nuovo, che risultera significativo nello sviluppo formale dellaMeccanica Analitica, e precisamente la forma differenziale

j pj dqj .

Premettiamo alcune considerazioni volte a mettere in evidenza come la condizionedi Lie appaia in qualche modo naturale. A tal fine consideriamo la forma differenziale,detta 1–forma di Liouville,

(9.41) αL =

n∑

j=1

pj dqj .

Essa rappresenta, in un certo senso, il “lavoro dei momenti”. Vedremo nel seguito diquesto capitolo e nel successivo capitolo sul calcolo delle variazioni come questa formasvolga un ruolo centrale nella descrizione matematica della Meccanica Analitica e dimolti suoi risultati significativi. Val la pena di osservare che si tratta di una formadifferenziale definita sullo spazio delle fasi T ∗M , e non sulla varieta delle configurazioniM : i coefficienti dipendono dai momenti p.

L’aspetto che qui ci limitiamo a discutere e che la forma di Liouville e un oggettoche ha una proprieta geometrica ben definita, nel senso che mantiene invariata la suaespressione per trasformazioni di coordinate sullo spazio delle configurazioni, o tra-sformazioni puntuali.19 Sottolineiamo il fatto che qui ci restringiamo a considerareuna classe trasformazioni che sono tutte quelle ammesse nell’ambito lagrangiano, marappresentano solo una classe molto ristretta di quelle consentite nel contesto hamil-toniano. Ricordiamo d’altra parte che la definizione originaria delle coordinate sullospazio delle fasi prende le mosse proprio dall’estensione al fibrato cotangente T ∗Mdelle coordinate sulla varieta delle configurazioni M , realizzata tramite la trasforma-zione di Legendre: sono quelle che abbiamo chiamato coordinate naturali sul fibratocotangente.

Vogliamo dimostrare che la 1–forma di Liouville resta invariata per trasformazionidi coordinate sullo spazio delle configurazioni, tenuto conto dell’estensione ai momenti.In altre parole, consideriamo due carte locali suM , che denotiamo rispettivamente conU, q e con U ′, Q, e supponiamo assegnata una Lagrangiana L(q, q) e la corrispondentetrasformata L(Q, Q). Vediamo allora che tra i vecchi momenti p e i nuovi P sussistela relazione

(9.42) Pk =n∑

j=1

∂qj∂Qk

pj .

19 L’aggettivo puntuale sta per trasformazione di punto, ossia una trasformazione che iden-tifica un punto dello spazio delle configurazioni con coordinate diverse.

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346 Capitolo 9

Infatti basta calcolare

Pk =∂L

∂Qk

=

n∑

j=1

∂L

∂qj

∂qj

∂Qk

=

n∑

j=1

∂qj∂Qk

pj ,

dove abbiamo fatto uso dell’identita∂qj∂Qk

=∂qj∂Qk

e della definizione pj = ∂L∂qj

. Se ora

consideriamo lo spazio delle fasi T ∗M descritto localmente con le coordinate Q dellaseconda carta e con i rispettivi momenti P , e la forma differenziale α′

L =∑n

k=1 Pk dQk,e ne scriviamo la trasformata nelle coordinate q e nei rispettivi momenti p abbiamo

n∑

k=1

Pk dQk =n∑

k=1

n∑

l=1

∂ql∂Qk

pl

n∑

j=1

∂Qk

∂qjdqj

=

n∑

j=1

n∑

l=1

(

n∑

k=1

∂ql∂Qk

∂Qk

∂qj

)

pl dqj =

n∑

j=1

n∑

l=1

δljpl dqj =

n∑

j=1

pj dqj = αL .

Possiamo dunque considerare la 1–forma di Liouville come un oggetto geometrico,definito in modo indipendente dalle coordinate della carta scelta per rappresentare(localmente) la varieta M , e quindi indipendentemente dalle coordinate naturali sulfibrato cotangente T ∗M .

La condizione di Lie deriva dal considerare trasformazioni che non siano puntuali,ovvero che coinvolgano sia le coordinate che i momenti (e quindi non accettabili inambito puramente lagrangiano). In tal caso si perviene alla conclusione che se le coor-dinate sono canoniche allora le 1–forme di Liouville scritte in due sistemi di coordinatediversi possono differire per un differenziale esatto.

Proposizione 9.17: La trasformazione (q, p) = C (Q,P ) e canonica se e solo seesiste una funzione S tale che vale

(9.43)n∑

j=1

(Pj dQj − pj dqj) = dS

In altre parole, la forma differenziale∑n

j=1 (Pj dQj − pj dqj) deve essere chiusa.20

Dimostrazione. Consideriamo q, p come variabili indipendenti in un dominio (lo-cale) semplicemente connesso, e diamo una forma piu esplicita al membro di sinistra,osservando che vale

dQj =n∑

k=1

(

∂Qj

∂qkdqk +

∂Qj

∂pkdpk

)

.

20 La domanda che sorge spontanea e quali variabili tra q, p, Q, P debbano considerarsicome indipendenti in questa forma differenziale. Se si ricorda la proprieta di invarianzaformale del differenziale di una funzione (si veda la nota 1 di questo capitolo) si capisceche c’e una grande liberta di scelta. Qui, ai fini della dimostrazione, considereremocome variabili indipendenti q, p, e quindi supporremo di aver calcolato l’inversa dellatrasformazione, (Q,P ) = C−1(q, p).

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Il formalismo Hamiltoniano 347

Otteniamo

n∑

j=1

(Pj dQj − pj dqj) =n∑

j=1

[

Pj

n∑

k=1

(

∂Qj

∂qkdqk +

∂Qj

∂pkdpk

)

− pj dqj

]

=n∑

k=1

[ l∑

j=1

(

Pj∂Qj

∂qk− δjkpk

)

dqk +n∑

j=1

Pj∂Qj

∂pkdpk .

]

Denotiamo rispettivamente con Ak e Bk i coefficienti dei differenziali dqk e dpk, ossia

Ak =

l∑

j=1

(

Pj∂Qj

∂qk− δjkpk

)

, Bk =

n∑

j=1

Pj∂Qj

∂pk.

Perche valga localmente la (9.43) occorre e basta che siano verificate le eguaglianze

∂Ak

∂ql− ∂Al

∂qk= 0 ,

∂Ak

∂pl− ∂Bl

∂qk= 0 ,

∂Bk

∂pl− ∂Bl

∂pk= 0 .

Queste sono con le condizioni di chiusura della forma (9.43). Mostriamo ora che questecondizioni coincidono con la conservazione delle parentesi di Lagrange, e precisamenteche vale

(9.44)

∂Ak

∂ql− ∂Al

∂qk= [ql, qk] ,

∂Ak

∂pl− ∂Bl

∂qk= [ql, pk]− δkl ,

∂Bk

∂pl− ∂Bl

∂pk= [pl, pk] .

Per verificare la prima eguaglianza calcoliamo

∂Ak

∂ql− ∂Al

∂qk=

n∑

j=1

(

∂Pj

∂ql

∂Qj

∂qk+ Pj

∂2Qj

∂ql∂qk− ∂Pj

∂qk

∂Qj

∂ql− Pj

∂2Qj

∂ql∂qk

)

= [qk, ql] ,

in virtu del fatto che i termini con le derivate seconde si cancellano, e i termini ri-manenti sono proprio l’espressione della parentesi di Lagrange. Veniamo alla secondaeguaglianza, e calcoliamo

∂Ak

∂pl−∂Bl

∂qk

=

n∑

j=1

(

∂Pj

∂pl

∂Qj

∂qk+ Pj

∂2Qj

∂qk∂pl− δjkδkl −

∂Pj

∂qk

∂Qj

∂pl− Pj

∂2Qj

∂qk∂pl

)

= [qk, pl]− δkl .

Page 36: 9.1 La trasformata di Legendre - unimi.itIl formalismo Hamiltoniano 315 x f(x) y Figura 9.2. La funzione f(x) `e l’inviluppo della famiglia di rette y = px−g(p), dove g(p) `e la

348 Capitolo 9

La verifica della terza eguaglianza e simile a quella della prima:

∂Bk

∂pl− ∂Bl

∂pk=

n∑

j=1

(

∂Pj

∂pl

∂Qj

∂pk+ Pj

∂2Qj

∂pl∂pk− ∂Pj

∂pk

∂Qj

∂pl− Pj

∂2Qj

∂pl∂pk

)

= [pk, pl] .

Dunque la forma differenziale∑n

j−1(Pj dQj − pj dpj) e chiusa se e solo se

[qk, ql] = 0 , [qk, pl]− δkl = 0 , [pk, pl] = 0 ,

ovvero se sono conservate le parentesi di Lagrange. Q.E.D.

9.5.7 Il flusso Hamiltoniano come trasformazione canonica

Un aspetto notevole della dinamica hamiltoniana e che il flusso generato dalle equazionicanoniche puo vedersi come lo svolgersi graduale e continuo di una trasformazionecanonica. L’affermazione e da interpretarsi nel modo seguente. Sia (q, p) ∈ F unqualunque punto dello spazio delle fasi F ove i secondi membri delle equazioni diHamilton siano definiti. Il teorema locale di esistenza e unicita delle soluzioni delleequazioni differenziali assicura che per t in un intorno dello zero e ben definito ilflusso (q, p) → (qt, pt) = φt(q, p), che trasporta il punto (q, p) al tempo 0 nel suoevoluto (qt, pt) al tempo t. Ora, possiamo vedere il flusso come una trasformazione dicoordinate: per t fissato, (qt, pt) vengono assegnati come funzione di (q, p).

Proposizione 9.18: Sia dato un sistema canonico di equazioni con HamiltonianaH(q, p), e sia (q(t), p(t)) = φt(q, p) il flusso corrispondente sullo spazio delle fasi. Alloraper ogni t il flusso definisce una trasformazione canonica.

Dimostrazione. Applichiamo la proposizione 9.9, mostrando che per ogni t per cuiil flusso e definito vale {qt,j , qt,k} = {pt,j , pt,k} = 0 e {qt,j , pt,k} = δjk. Per t = 0l’affermazione e banalmente vera, perche il flusso al tempo 0 e l’identita. Mostriamoora che per qualunque t per cui il flusso e definito vale

(9.45)d

dt{qt,j , qt,k} = 0 ,

d

dt{pt,j , pt,k} = 0 ,

d

dt{qt,j , pt,k} = 0 .

A tal fine consideriamo un intervallo di tempo infinitesimo τ e calcoliamo (prendendo(q, p) come dato iniziale)

qτ,j = qj + τ∂H

∂pj(q, p) + o(τ) ,

pτ,j = pj − τ∂H

∂qj(q, p) + o(τ ) .

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Il formalismo Hamiltoniano 349

Da qui ricaviamo

{qτ,j , qτ,k} − {qj , qk} = τ

({

qj ,∂H

∂pk

}

+

{

∂H

∂pj, qk

})

+ o(τ) ,

{pτ,j , pτ,k} − {pj , pk} = −τ({

pj ,∂H

∂qk

}

−{

∂H

∂qj, pk

})

+ o(τ) ,

{qτ,j , pτ,k} − {qj , qk} = −τ({

qj ,∂H

∂qk

}

+

{

∂H

∂qj, pk

})

+ o(τ ) ,

dove i secondi membri devono essere valutati nel punto iniziale q, p. Dividendo amboi membri per τ e facendo il limite τ → 0 calcoliamo infine

d

dt{qj , qk} =

{

qj ,∂H

∂pk

}

+

{

∂H

∂pj, qk

}

=∂2H

∂pj∂pk− ∂2H

∂pk∂pj= 0 ,

d

dt{pj , pk} = −

{

pj ,∂H

∂qk

}

−{

∂H

∂qj, pk

}

=∂2H

∂qj∂qk− ∂2H

∂qk∂qj= 0 ,

d

dt{qj , pk} = −

{

qj ,∂H

∂qk

}

+

{

∂H

∂pj, pk

}

= − ∂2H

∂pj∂qk+

∂2H

∂qk∂pj= 0 .

Se ora consideriamo un’orbita (qt, pt) che sia soluzione delle equazioni canoniche perl’Hamiltoniana H(q, p) abbiamo che le relazioni (9.45) sono soddisfatte per ogni puntodello spazio delle fasi, e dunque per ogni punto dell’orbita. Concludiamo che le quantita{qt,j , qt,k}, {pt,j , pt,k} e {qt,j , pt,k} restano costanti lungo l’orbita, ed eguali al valoreiniziale. Q.E.D.

9.5.8 Il teorema di Noether in ambito Hamiltoniano

Abbiamo gia visto nel paragrafo 9.5 come venga impostato in ambito Hamitloni-ano il problema dell’esistenza di integrali primi. Sappiamo anche, alla luce del para-grafo 8.3.4, che esiste un legame profondo tra integrali primi e simmetrie. Riprendiamoora questo risultato riformulandolo in ambito Hamiltoniano. Cio ci condurra in modonaturale a una riformulazione piu generale del teorema di Noether.

Consideriamo una funzione f definita sullo spazio delle fasi T ∗M (visto comeil fibrato cotangente a una varieta). Possiamo ben considerare il campo vettorialeHamiltoniano definito da f , o, in termini piu semplici, possiamo scrivere le equazionicanoniche scegliendo f come Hamiltoniana, ossia

qj =∂f

∂pj, pj = − ∂f

∂qj.

In modo piu compatto, se consideriamo il differenziale di f , che in termini delle sue

componenti denotiamo con df =(

∂f∂q1

, . . . , ∂f∂qn

, ∂f∂p1

, . . . , ∂f∂pn

)

, possiamo scrivere il

campo Hamiltoniano generato da f come

Xf = J df ,

dove J e la matrice simplettica definita dalla (9.31).

Page 38: 9.1 La trasformata di Legendre - unimi.itIl formalismo Hamiltoniano 315 x f(x) y Figura 9.2. La funzione f(x) `e l’inviluppo della famiglia di rette y = px−g(p), dove g(p) `e la

350 Capitolo 9

Il campo vettoriale Xf genera un gruppo a un parametro di trasforma-zioni ϕs, dove consideriamo s come il tempo: questo e quanto abbiamo illustratonell’esempio 8.7. D’altra parte, per quanto abbiamo visto nel paragrafo 9.5.7, il flussoHamiltoniano e una trasformazione canonica. Quindi possiamo affermare che il campoXf genera un gruppo a un parametro di trasformazioni canoniche. Se il flusso e definitoper tutti i tempi si dice che il campo e completo. Nel seguito del paragrafo considere-remo solo questo caso.

In analogia con quanto abbiamo fatto in ambito Lagrangiano, diremo che ϕs e ungruppo di simmetria per il sistema con Hamiltoniana H (definita sullo stesso spaziodelle fasi T ∗M) se vale

H(

ϕs(q, p))

= H(q, p) ∀s ∈ R , ∀(q, p) ∈ T ∗M .

In altre parole, l’Hamiltoniana H(q, p) e costante lungo le orbite del campo vettorialeXf , il che equivale a dire che la funzione H e un integrale primo per l’Hamiltonianaf . Vale allora la

Proposizione 9.19: (Teorema di Noether). Se Xf e un campo vettoriale completola variabile dinamica f e un integrale primo per il sistema Hamiltoniano su T ∗Mdefinito da H se e solo se il gruppo a un parametro ϕs generato da f e un gruppo disimmetria per H.

Dimostrazione. Utilizzando il teorema di derivazione delle funzioni composte sicalcola

0 =d

dsH(

ϕs(q, p))

s=0= (dH) · dϕs

ds

s=0=

n∑

j=1

(

∂H

∂qj

dqjds

− ∂H

∂pj

dpjds

)

= {H, f, }.

Q.E.D.

Come si vede, la formulazione e la dimostrazione del teorema di Noether in ambitoHamiltoniano assumono una forma che li rende quasi banali. Dobbiamo pero osservareche mentre in ambito lagrangiano la conoscenza del gruppo disimmetria permette dicalcolare immediatamente l’integrale primo a essa associato, cio non e cosı diretto inambito Hamiltoniano. In effetti, consideriamo il generatore infinitesimale della sim-

metria, Xf = dds

s=0ϕs(q, p), e denotiamone le componenti con

(

Xj(q, p), Yj(q, p))

, e

proponiamoci di calcolare l’integrale primo f che genera il campo Hamiltoniano Xf .Deve essere J df = Xf , e quindi devono essere soddisfatte le equazioni alle derivateparziali

∂f

∂qj= Xj(q, p) ,

∂f

∂pj= Yj(q, p) ,

e l’integrale primo f si costruisce risolvendo questo sistema. Il procedimento non edunque cosı diretto come risulta essere invece in ambito lagrangiano, dove f e datoda un’espressione esplicita.

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Il formalismo Hamiltoniano 351

9.6 Funzioni generatrici

Nel paragrafo precedente abbiamo enunciato dei criteri di canonicita che ci consentono,assegnata una trasformazione, di stabilire se essa sia o non canonica. Sarebbe pero aus-picabile sviluppare un metodo che consenta di costruire delle trasformazioni che sianocertamente canoniche. Tale scopo si raggiunge grazie all’uso delle funzioni generatrici,che discutiamo in questo paragrafo.

9.6.1 Trasformazioni canoniche libere

Riprendiamo la condizione di canonicita di Lie, che riscriviamo

n∑

j−1

(Pj dQj − pj dpj) = dS .

La forma stessa di questa relazione suggerisce di considerare q, Q come variabili in-dipendenti. Piu in dettaglio, consideriamo la trasformazione q = q(Q,P ), p = p(Q,P ),e supponiamo che sia soddisfatta la condizione

(9.46) det∂(q1, . . . , qn)

∂(P1, . . . , Pn)6= 0 .

Allora potremo invertire le relazioni q = q(Q,P ) rispetto a P , ricavando P = P (q,Q)e sostituire queste funzioni in p = p(Q,P )

P=P (q,Q), sicche la trasformazione assume

la forma implicita p = p(q,Q), P = P (q,Q). Le trasformazioni che possono porsi inquesta forma vengono dette trasformazioni canoniche libere. Esprimendo la funzione Sstessa come S = S(q,Q), si ottiene dalla condizione di Lie, identificando i coefficientidei differenziali dello stesso nome

pj = − ∂S

∂qj, Pj =

∂S

∂Qj, 1 ≤ j ≤ n .

L’interesse sta nel fatto di poter scegliere in modo largamente arbitrario una funzioneS(q,Q): le due relazioni precedenti definiscono una trasformazione certamente cano-nica, con la sola condizione che si possano effettuare le inversioni necessarie per darealla trasformazione una forma esplicita. Vale dunque la

Proposizione 9.20: Sia data una funzione S(q,Q) soddisfacente la condizione

(9.47) det

(

∂2S

∂qj∂Qk

)

6= 0 .

Allora e definita (in forma implicita) la trasformazione canonica libera

(9.48) pj = − ∂S

∂qj(q,Q) , Pj =

∂S

∂Qj(q,Q) , 1 ≤ j ≤ n .

La (9.47) garantisce l’invertibilita (almeno locale) della seconda delle (9.48) rispettoa q, sicche si ottiene q = q(Q,P ). Per sostituzione nella prima delle (9.48), si ricavapoi p = p(Q,P ), sicche le vecchie variabili sono assegnate in funzione delle nuove.Viceversa, sempre grazie alla (9.47) si puo invertire la prima delle (9.48) rispetto a

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352 Capitolo 9

Q e sostituirla nella seconda; in tal modo si ottengono le nuove variabili in funzionedelle vecchie.

La funzione S viene detta funzione generatrice della trasformazione canonica.

Esempio 9.21: Scambio di coordinate. La funzione generatrice

(9.49) S(q,Q) =∑

j

qjQj

genera la trasformazione (palesemente canonica)

(9.50) pj = −Qj , Pj = qj , 1 ≤ j ≤ n ,

che scambia le coordinate coi momenti coniugati.

La proposizione 9.20 caratterizza le trasformazioni canoniche libere, ma non tuttele trasformazioni canoniche. Infatti, si verifica immediatamente che la trasformazioneidentita, q = Q, p = P , non e libera. E d’uso ricorrere a una forma diversa dellafunzione generatrice, ottenuta dalla precedente applicando il procedimento della tra-sformata di Legendre.

9.6.2 Un’altra forma della funzione generatrice

Nella maggior parte delle applicazioni si fa uso di trasformazioni canoniche costruitecol metodo fornito dalla seguente

Proposizione 9.21: Sia data una funzione S(P, q) soddisfacente la condizione

(9.51) det

(

∂2S

∂Pj∂qk

)

6= 0 .

Allora e definita (in forma implicita) la trasformazione canonica

(9.52) pj =∂S

∂qj(P, q) , Qj =

∂S

∂Pj(P, q) , 1 ≤ j ≤ n .

Dimostrazione. La condizione (9.51) garantisce che le (9.52) possono essere inver-tite (almeno localmente), in modo da esprimere la trasformazione in forma esplicita.Per verificare la canonicita basta introdurre la funzione S = S−

j PjQj , e calcolare

dS =∑

j

(

∂S

∂PjdPj +

∂S

∂qjdqj − PjdQj −QjdPj

)

=∑

j

(pjdqj − PjdQj)

sicche e soddisfatta la condizione di Lie. Q.E.D.

La funzione S introdotta da quest’ultima proposizione prende ancora il nomedi funzione generatrice. Come si vedra piu avanti, questa proposizione non aggiungenulla di sostanzialmente nuovo alla precedente proposizione 9.20; tuttavia l’uso diuna funzione generatrice S = S(P, q) e, di fatto, molto piu comune. In effetti, molte

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Il formalismo Hamiltoniano 353

trasformazioni interessanti possono esprimersi facilmente in questo modo. Questo eillustrato negli esempi che seguono.

Esempio 9.22: L’identita e le trasformazioni di scala. La funzione generatrice

S(P, q) = α∑

j

Pjqj

genera la trasformazione

pj = αPj , Qj = αqj , 1 ≤ j ≤ n ,

che si pone facilmente in forma esplicita. Per α = 1 si ha l’identita.

Esempio 9.23: Trasformazioni puntuali estese. Si supponga assegnata una trasfor-mazione di coordinate Qj = Qj(q1, . . . , qn), soddisfacente la condizione di invertibilita

(9.53) det∂(Q1, . . . , Qn)

∂(q1, . . . , qn)6= 0

La funzione generatrice

S(P, q) =∑

k

PkQk(q)

completa la trasformazione, essendo

pj =∑

k

Pk∂Qk

∂qj(q) , 1 ≤ j ≤ n .

Si osservi che la generatrice soddisfa la condizione (9.51) della proposizione 9.21. Infattida Qj = ∂S

∂qjs vede subito che la (9.51) altro non e che la (9.53). Il completamento

non e unico. Infatti la funzione

S(P, q) =∑

k

PkQk(q) +W (q)

con W (q) arbitraria soddisfa ancora la condizione (9.51), e definisce la trasformazionecanonica

Qj = Qj(q) , pj =∑

k

Pk∂Qk

∂qj(q) +

∂W

∂qj(q) , 1 ≤ j ≤ n .

Esempio 9.24: Trasformazioni prossime all’identita. La funzione

(9.54) S(P, q) =∑

j

Pjqj + εF (P, q) ,

dove ε e un parametro che tipicamente viene pensato come piccolo, genera una tra-sformazione canonica

(9.55) pj = Pj + ε∂F

∂qj(P, q) , Qj = qj + ε

∂F

∂Pj(P, q) , 1 ≤ j ≤ n

che per ε = 0 si riduce all’identita. La condizione di invertibilita (9.51) e palesementesoddisfatta per ε sufficientemente piccolo. Un procedimento tipico delle teoria delle

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354 Capitolo 9

perturbazioni consiste nell’invertire la trasformazione sviluppando in serie di potenzedel parametro ε, assumendo che la funzione F sia analitica in P, q. Il primo passo eelementare: basta invertire la seconda delle equazioni (9.55), ottenendo

(9.56) qj = Qj − ε∂F

∂Pj(P, q) ;

poi in questa e nella seconda delle (9.55) si sostituisce qj con la sua approssimazionea meno di termini di ordine ε, il che significa semplicemente che si pone qj = Qj , e sitrova

qj = Qj − ε∂F

∂Pj(P,Q) + ε2 . . .

pj = Pj + ε∂F

∂qj(P,Q) + ε2 . . .

dove i puntini stanno ad indicare termini che sono almeno quadratici in ε. Tale appros-simazione basta quando si intenda determinare l’Hamiltoniana trasformata a meno ditermini di ordine ε2: tale e lo scopo tipico della cosiddetta teoria adiabatica. Se invecesi vuole proseguire con lo sviluppo si sostituisce l’espressione per qj appena trovatanella (9.55) e nella seconda delle (9.55), e si calcola il termine di ordine ε2 come

qj = Qj − ε∂F

∂Pj(P,Q) + ε2

n∑

k=1

∂2F

∂Pj∂qk

∂F

∂Pk+ ε3 . . .

pj = Qj + ε∂F

∂Pj(P,Q)− ε2

n∑

k=1

∂2F

∂qj∂qk

∂F

∂Pk+ ε3 . . . ,

dove tutte le funzioni a secondo membro devono essere valutate in Q,P . Il proce-dimento puo essere iterato quante volte si vuole, e, a patto di aver la pazienza dicalcolare tutte le derivate necessarie, fornisce lo sviluppo della trasformazione finoall’ordine desiderato in ε. La serie ottenuta risulta essere convergente per valori di εsufficientemente piccoli.21

9.6.3 2n forme della funzione generatrice

Veniamo ora a discutere brevemente il problema se tutte le trasformazioni canoniche possanoessere espresse mediante una opportuna funzione generatrice. Questo argomento viene quisvolto per completezza, ma la lettura di questa parte puo essere omessa o posticipata senzapregiudizio per la comprensione dei paragrafi successivi.

21 In effetti, molti dei procedimenti tipici della teoria delle perturbazioni si fondano propriosull’uso di questo genere di sviluppi, che, come ben si puo immaginare, non sono sempreagevoli. Nel decennio 1960–1970, grazie ai lavori di Grobner[30], Hori[34] e Deprit[12], si einiziato a far uso di una tecnica nota sotto i nomi di serie di Lie o trasformata di Lie, checonsente di effettuare sviluppi di questo genere senza dover ricorrere ne all’inversione difunzioni ne alla sostituzione di variabili in funzioni note. Questo argomento pero esuladagli scopi di queste note, che hanno carattere introduttivo al formalismo hamiltoniano.

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Il formalismo Hamiltoniano 355

Le proposizioni 9.20 e 9.21 non caratterizzano tutte le classi di trasformazioni canonichepossibili. Per convincersene basta il seguente

Esempio 9.25: 2n trasformazioni canoniche. Sia data una qualunque partizione degliinteri 1, . . . , n in due classi J,K disgiunte, e si consideri la trasformazione (palesementecanonica)

(9.57)pj = Qj , Pj = −qj per j ∈ J

pk = Pk , Qk = qk per k ∈ K

Di tali trasformazioni ne esistono 2n distinte, ivi comprese quelle dell’esempio 9.21 (scambiodi tutte le coordinate, corrispondente a J = {1, . . . , n},K = ∅) e dell’esempio 9.22 (iden-tita, corrispondente a J = ∅,K = {1, . . . , n}). a eccezione di queste ultime due, nessuna diesse puo esprimersi mediante le funzioni generatrici S(q,Q) o S(P, q) delle proposizioni 9.20e 9.21. Tuttavia ciascuna di queste trasformazioni puo ottenersi se si fa uso della funzionegeneratrice22

(9.58) S(QJ , PK , q) =∑

j∈J

Qjqj +∑

k∈K

Pkqk

con la corrispondente trasformazione

(9.59)

Pj = −∂S

∂Qj

per j ∈ J

Qk =∂S

∂Pk

per k ∈ K

pl =∂S

∂qlper 1 ≤ l ≤ n .

Le trasformazioni di quest’ultimo esempio sono caratterizzate dalla condizione

(9.60) det

(

∂(p1, . . . , pn)

∂(QJ , PK)

)

6= 0

Tale condizione puo pero verificarsi, almeno localmente, per ogni trasformazione canonica.Vale infatti il seguente

Lemma 9.22: Data una trasformazione canonica q = q(Q,P ), p = p(Q,P ) e semprepossibile trovare una partizione degli interi 1, . . . , n in due classi disgiunte J,K tali chela (9.60) sia soddisfatta.

La dimostrazione di questo lemma fa uso delle proprieta degli spazi vettoriali simplettici. Illettore interessato puo riferirsi al testo di Arnold [4], §41 e §48.

Grazie a questo lemma si vede subito che ogni trasformazione canonica puo ottenersi (al-meno localmente) componendo le trasformazioni generate da tre funzioni generatrici S1, S2, S3

dove S1 e S3 sono semplicemente generatrici di uno scambio di coordinate (esempio 9.25), eS2 = S2(P, q) e del tipo della proposizione 9.21. Questo puo ben vedersi come un’ulterioregiustificazione del fatto di considerare le trasformazioni della proposizione 9.21 come rappre-sentanti una classe significativa di trasformazioni canoniche.

Un risultato generale e la seguente

22 Qui e nel resto di questo paragrafo usiamo la notazione QJ , PK per indicare l’insiemedelle n variabili {Qj , Qk : j ∈ J, k ∈ K}.

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356 Capitolo 9

Proposizione 9.23: Data una qualunque partizione degli interi 1, . . . , n in due classiJ,K disgiunte, sia S = S(QJ , PK , q) una funzione soddisfacente la condizione

(9.61) det

(

∂2S

∂(QJ , PK)∂q

)

6= 0

Allora e definita (in forma implicita) una trasformazione canonica

(9.62)

Pj = −∂S

∂Qj

per j ∈ J

Qk =∂S

∂Pk

per k ∈ K

pl =∂S

∂qlper 1 ≤ l ≤ n .

Viceversa, ogni trasformazione canonica puo rappresentarsi mediante una funzione genera-trice S(QJ , PK , q) per un’opportuna partizione J,K.

La dimostrazione si ottiene facilmente seguendo lo schema delle dimostrazioni delleproposizioni 9.20 e 9.21, e facendo uso del lemma 9.22.

In conseguenza di quest’ultima proposizione, si puo affermare che tutte le trasforma-

zioni canoniche possono ottenersi mediante una opportuna funzione generatrice della forma

descritta nella proposizione 9.23; l’ esempio 9.25 mostra che la classe di 2n funzioni generatrici

richiesta dalla proposizione e minimale.

9.7 Trasformazioni canoniche dipendenti dal tempo

La teoria fin qui esposta riguarda esclusivamente il caso autonomo, ma copre anche ilcaso non autonomo a condizione di considerare lo spazio delle fasi esteso, come discussonel paragrafo 9.2.5. Resta tuttavia interessante formulare la teoria per il caso nonautonomo senza far ricorso all’estensione dello spazio delle fasi. Cio e indispensabileanche per confrontare la teoria sviluppata qui con quella discussa nella stragrandemaggioranza dei testi.

La novita sostanziale introdotta dalla dipendenza temporale delle trasformazionidi coordinate e che la nuova Hamiltoniana non puo piu scriversi solo come trasformatadelle vecchia: occorre aggiungere un termine ulteriore. Qui dunque si deve far ricorsoalla caratterizzazione delle trasformazioni canoniche data nel paragrafo 9.5.1.

Ricordiamo che un sistema non autonomo con Hamiltoniana H(q, p, t) puo ren-dersi autonomo estendendo lo spazio delle fasi con una coppia di variabili coniugateq0, p0, e considerando l’Hamiltoniana

(9.63) H(q, p, q0, p0) = H(q, p, q0) + p0

E quindi lecito considerare trasformazioni canoniche sullo spazio delle fasi esteso, ossia

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Il formalismo Hamiltoniano 357

trasformazioni della forma23

q = q(Q,P,Q0, P0) , p = p(Q,P,Q0, P0) ,

q0 = q0(Q,P,Q0, P0) , p0 = p0(Q,P,Q0, P0) ,

per le quali valgono le condizioni di canonicita fin qui discusse. La classe di trasforma-zioni cosı ottenuta e pero troppo generale, perche la coordinata q0, che svolge il ruolodel tempo, puo essere trasformata in modo arbitrario, al pari di tutte le altre.

La scelta piu naturale consiste nel restringere la classe di trasformazioni dello spa-zio delle fasi esteso imponendo che il tempo non venga modificato, e quindi scrivendoq0 = Q0, mentre p0 = p0(Q,P,Q0, P0) dovra soddisfare la condizione di canon-icita. In particolare si dovra avere {q0, p0} = ∂p0

∂P0

= 1, sicche sara necessariamentep0 = P0 +ψ(Q,P,Q0) con un’opportuna funzione ψ(Q,P,Q0). Questo, naturalmente,avra delle conseguenze sulla forma dell’Hamiltoniana nelle nuove variabili: nella tra-sformazione di p0 compare il termine aggiuntivo ψ(Q,P,Q0). E anche utile osservareche le condizioni di canonicita {q0, qj} = {q0, pj} = 0 per 1 ≤ j ≤ n implicano cheqj , pj siano indipendenti da P0. Cio e naturale, se si pensa che p0 e P0 sono coordinatefittizie introdotte al solo scopo di rendere autonomo il sistema, ma ha la conseguenzache le parentesi di Poisson {qj , qk}, {qj , pk} e {pj , pk} coinvolgono solo le variabiliQ,P ,e non Q0, P0.

Queste osservazioni conducono in modo naturale alla seguente

Proposizione 9.24: Sia q = q(Q,P, t), p = p(Q,P, t) una trasformazione dipen-dente dal tempo che conserva, per ogni t, le parentesi di Poisson fondamentali. Allorala trasformazione e canonica, ed esiste una funzione F (q, p, t) tale che l’Hamiltonianatrasformata assume la forma

(9.64) H (Q,P, t) = H(q, p, t)− F (q, p, t)∣

q=q(Q,P,t),p=p(Q,P,t)

Dimostrazione. Basta considerare lo spazio delle fasi esteso, e mostrare che latrasformazione puo completarsi nella forma

(9.65)q = q(Q,P,Q0) , p = p(Q,P,Q0) ,

q0 = Q0 , p0 = P0 − F (q, p,Q0)∣

q=q(Q,P,Q0) , p=p(Q,P,Q0)

con un’opportuna funzione F (q, p,Q0); se cio e vero, la forma (9.64) si ottiene imme-diatamente dalla (9.63) semplicemente restringendo di nuovo lo spazio delle fasi, ossiaeliminando P0 (che compare solo come termine additivo dell’Hamiltoniana trasfor-mata) e sostituendo il tempo t a Q0. Per mostrare che il completamento e possibile, sicomincia col derivare rispetto a Q0 le relazioni {qj , qk} = {pj , pk} = 0, {qj , pk} = δjk

23 Come gia nel paragrafo 9.2.5, qui e nel seguito facciamo uso della notazione q =(q1, . . . , qn), p = (p1, . . . , pn), e mettiamo in evidenza le variabili q0, p0, in quanto svol-gono un ruolo particolare.

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358 Capitolo 9

per 1 ≤ j ≤ n, e si ottiene{

∂qj∂Q0

, qk

}

+

{

qj ,∂qk∂Q0

}

= 0

{

∂qj∂Q0

, pk

}

+

{

qj ,∂pk∂Q0

}

= 0

{

∂pj∂Q0

, pk

}

+

{

pj ,∂pk∂Q0

}

= 0

Ricordando che tutte le funzioni sono indipendenti da P0, e che le parentesi di Poissonsono conservate (poiche Q0 svolge solo il ruolo di un parametro), e denotando fj =∂qj∂Q0

, gj =∂pj

∂Q0

, si ottiene subito

∂fj∂pk

− ∂fk∂pj

= 0 ,∂fj∂qk

− ∂gk∂pj

= 0 ,∂gj∂qk

− ∂gk∂qj

= 0 .

Queste relazioni implicano l’esistenza, almeno localmente, di una funzione F (q, p,Q0)tale che

(9.66)∂qj∂Q0

=∂F

∂pj,

∂pj∂Q0

= − ∂F

∂qj.

Con questa funzione F si completa la trasformazione canonica come nelle (9.65); lacanonicita della trasformazione completa si verifica osservando che si ha banalmente{q0, qj} = {q0, pj} = 0, {q0, p0} = 1; e calcolando

{p0, qj} =∂qj∂Q0

− {F, qj} , {p0, pj} =∂pj∂Q0

− {F, pj} ;

queste due ultime espressioni, tenuto conto dell’invarianza delle parentesi di Poissonrispetto alle sole variabili q, p,Q, P , si annullano in virtu della (9.66). Q.E.D.

La proposizione precedente fa riferimento alla condizione di canonicita espressamediante le parentesi di Poisson (proposizione 9.9). Per quanto riguarda la funzionegeneratrice, basti considerare il caso di una funzione S(P, q, t). Si ha la seguente

Proposizione 9.25: Sia S(P, q, t) una funzione soddisfacente per ogni t la con-dizione

det

(

∂2S

∂Pj∂qk

)

6= 0 ;

allora la trasformazione

(9.67) Qj =∂S

∂Pj, pj =

∂S

∂qj, 1 ≤ j ≤ n

e canonica, e l’Hamiltoniana trasformata assume la forma

(9.68) H (Q,P, t) = H(q, p, t)∣

q=q(Q,P,t),p=p(Q,P,t)+∂S

∂t(P, q, t)

q=q(Q,P,t)

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Il formalismo Hamiltoniano 359

Dimostrazione. Consideriamo ancora l’Hamiltoniana (9.63) sullo spazio delle fasiesteso; la funzione generatrice

S(P, q, P0, q0) = P0q0 + S(P, q, q0)

soddisfa la condizione della proposizione 9.21, e completa la (9.67) con

Q0 = q0 , p0 = P0 +∂S

∂q0.

L’asserto segue dalla forma (9.63) dell’Hamiltoniana, restringendo nuovamente lo spa-zio delle fasi. Q.E.D.

9.8 L’equazione di Hamilton-Jacobi

Per l’integrazione di un sistema canonico, in generale non autonomo,24 si puo ricercareuna trasformazione canonica dipendente dal tempo che ponga l’Hamiltoniana in unaforma particolarmente semplice. A tal fine e naturale far uso della funzione generatrice,ad esempio nella forma S(P, q, t) della proposizione 9.25, osservando che deve esserepj = ∂S

∂qj, 1 ≤ j ≤ n. Se H(q, p, t) e l’Hamiltoniana, si cerca un’opportuna soluzione

dell’equazione di Hamilton-Jacobi

(9.69) H

(

q,∂S

∂q, t

)

+∂S

∂t= 0

(in pratica, si pretende che S sia la funzione generatrice di una trasformazione checambia l’Hamiltoniana H(q, p, t) nell’Hamiltoniana identicamente nulla).

Proposizione 9.26: Sia S(α1, . . . , αn; q1, . . . , qn, t) un integrale completo25 dell’e-quazione di Hamilton-Jacobi (9.69) per l’Hamiltoniana H(q, p, t), dipendente da ncostanti arbitrarie α1, . . . , αn, e soddisfacente la condizione

(9.70) det

(

∂2S

∂αj∂qk

)

6= 0 .

Allora le soluzioni del sistema delle equazioni di Hamilton per H si scrivono

(9.71) βj =∂S

∂αj, pj =

∂S

∂qj, 1 ≤ j ≤ n ,

dove β1, . . . , βn sono costanti.

Dimostrazione. La funzione S soddisfa le condizioni della proposizione 9.25, edunque α1, . . . , αn, β1, . . . , βn sono coordinate canoniche. Poiche S soddisfa l’equa-zione (9.69), l’Hamiltoniana trasformata e identicamente nulla, sicche le equazioni di

24 La considerazione di un sistema non autonomo qui e essenziale perche si ricercano 2ncostanti del moto indipendenti, e una almeno di esse deve dipendere dal tempo.

25 Si intende con questo un integrale (non necessariamente l’integrale generale) che dipendeparametricamente da n costanti arbitrarie, qui denotate con α1, . . . , αn.

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360 Capitolo 9

Hamilton sono

αj = 0 , βj = 0 , 1 ≤ j ≤ n .

Per inversione delle (9.71) si ricava allora

q = q(α, β, t) , p = p(α, β, t) ,

ossia le soluzioni. Q.E.D.

Esempio 9.26: Punto libero. Per ben comprendere il procedimento applichiamoloal caso elementare, e ben noto, di un punto nello spazio. Dall’Hamiltoniana

H =1

2m(p2x + p2y + p2z)

(esempio 9.2) si ottiene l’equazione

1

2m

[

(

∂S

∂x

)2

+

(

∂S

∂y

)2

+

(

∂S

∂z

)2]

+∂S

∂t= 0

Procedendo col metodo di separazione delle variabili, si cerca una soluzione della forma

S(x, y, z, t) = X(x) + Y (y) + Z(z) + T (t) ,

e quindi l’equazione diventa

(9.72)1

2m

[

(

dX

dx

)2

+

(

dY

dy

)2

+

(

dZ

dz

)2]

+dT

dt= 0 ;

deve dunque essere26

dX

dx= αx ,

dY

dy= αy ,

dZ

dz= αz ,

dT

dt= −

α2x + α2

y + α2z

2m,

con αx, αy, αz costanti arbitrarie. Integrando si ottiene la generatrice

S(αx, αy, αz, x, y, z, t) = αxx+ αyy + αzz −α2x + α2

y + α2z

2mt ,

e la corrispondente trasformazione e

px = αx , py = αy , pz = αz

βx = x− αx

mt , βy = y − αy

mt , βz = z − αz

mt .

Per inversione rispetto a x, y, z si ricava la ben nota soluzione.

26 Differenziando la (9.72) rispetto ad x si ottiene ddx

(

dXdx

)2= 0, e dunque dX

dxdeve essere

costante. Analogamente, differenziando rispetto a y, z e t si ottiene che sono costantianche le quantita dY

dy, dZ

dze dT

dt. Per la (9.72) le quattro costanti non possono essere tutte

arbitrarie, sicche l’ ultima puo essere calcolata in termini delle prime tre.

Page 49: 9.1 La trasformata di Legendre - unimi.itIl formalismo Hamiltoniano 315 x f(x) y Figura 9.2. La funzione f(x) `e l’inviluppo della famiglia di rette y = px−g(p), dove g(p) `e la

Il formalismo Hamiltoniano 361

9.9 Il teorema di Liouville

Il teorema di Liouville stabilisce una connessione tra l’esistenza di un numero suffi-ciente di integrali primi e l’integrabilita per quadrature di un sistema Hamiltoniano.Gli integrali primi pero oltre alle abituali condizioni di indipendenza devono soddisfarel’ulteriore proprieta di essere in involuzione, ossia che tutte le parentesi di Poisson tradi essi siano nulle.

Proposizione 9.27: Sia dato un sistema Hamiltoniano autonomo con n gradi diliberta ed Hamiltoniana H(q, p), e siano Φ1(q, p), . . . ,Φn(q, p) integrali primi indipen-denti che formano un sistema completo in involuzione. Sia inoltre27

(9.73) det

(

∂(Φ1, . . . ,Φn)

∂(p1, . . . , pn)

)

6= 0 .

Allora il sistema e integrabile per quadrature.

9.9.1 Sistemi in involuzione

Si dice che le r funzioni {Φ1(q, p), . . . ,Φr(q, p)} formano un sistema in involuzione sele funzioni sono indipendenti, ossia

rank

(

∂(Φ1, . . . ,Φr)

∂(q1, . . . , qn, p1, . . . , pn)

)

= r ,

e inoltre le parentesi di Poisson tra ogni coppia di funzioni si annulla, ovvero{Φj ,Φk} = 0 for j, k = 1, . . . , r.

Esempio 9.27: Coordinate canoniche. Le coordinate canoniche stesse fornisconouna classe di esempi di sistemi in involuzione. Le n funzioni p1, . . . , pn sono un sistemain involuzione, cosı come lo e un qualunque sottinsieme non vuoto di esse. Lo stesso valeper le n funzioni q1, . . . , qn. Piu in generale, considerando una qualunque partizionedegli indici {1, . . . , n} in due classi J, K disgiunte si ha che l’insieme delle n funzioni{qj , pk}j∈J,k∈K forma un sistema in involuzione. Il lettore notera che questi insiemisono costruiti con lo stesso procedimento usato nell’esempio 9.20 per costruire deisottospazi isotropi o lagrangiani di uno spazio simplettico.

Esempio 9.28: Le componenti del momento angolare. Nello spazio delle fasi R6 letre componenti del momento angolare Mx = ypz−zpy , My = zpx−xpz , Mz = xpy−ypx sono indipendenti, ma non formano un sistema in involuzione: la tabella (9.24)lo mostra in modo evidente. Si puo pero costruire un sistema di due funzioni in in-voluzione considerando, ad esempio, il quadrato del modulo del momento angolareΓ2 =M2

x +M2y +M

2z e la sua componenteMz lungo l’asse z. A queste due funzioni se

27 Questa condizione e puramente tecnica, ed ha il solo scopo di assicurare l’invertibilita delsistema di funzioni Φ1, . . . ,Φn rispetto alle p1, . . . , pn, sicche le Φ1, . . . ,Φn possono essereusate (almeno localmente) come coordinate. In generale, si puo mostrare che esiste unatrasformazione canonica del tipo discusso nell’esempio 9.25 (scambio delle coordinateqj , pj) che rende soddisfatta la (9.73).

Page 50: 9.1 La trasformata di Legendre - unimi.itIl formalismo Hamiltoniano 315 x f(x) y Figura 9.2. La funzione f(x) `e l’inviluppo della famiglia di rette y = px−g(p), dove g(p) `e la

362 Capitolo 9

ne puo aggiungere una terza E = 12m (p2x + p2y + p2z) + V (r), dove V (r) e una funzione

arbitraria di r =√

x2 + y2 + z2. Si riconosce in questa terza funzione l’energia di unpunto in un campo di forze centrali. Questo esempio puo riformularsi facendo uso dellecoordinate sferiche r, ϑ, ϕ, considerando le tre funzioni

J = pϕ

Γ2 = p2ϑ +p2ϕ

sin2 ϑ

E =1

2m

(

p2r +p2ϑr2

+p2ϕ

r2 sin2 ϑ

)

+ V (r) .

In effetti si tratta esattamente delle stesse funzioni definite sopra, scritte in coordinatesferiche invece che cartesiane.

Esempio 9.29: Oscillatori armonici. Consideriamo lo spazio delle fasi R2n con co-ordinate canoniche x1, . . . , xn, y1, . . . , yn. Le n funzioni

Φ1 =x21 + y21

2, . . . , Φn =

x2n + y2n2

formano un sistema in involuzione.

Il lettore avra forse osservato che in tutti gli esempi illustrati sopra il numeromassimo di funzioni di un sistema in involuzione e n, il numero di coppie di coordinatecanoniche sullo spazio delle fasi. In effetti, se lo spazio delle fasi ha dimensione 2nnon e possibile costruire un sistema in involuzione che contenga piu di n funzioniindipendenti. Alla radice di questo fatto sta la proprieta, enunciata nel paragrafo 9.5.4,che un sottospazio isotropo di uno spazio simplettico di dimensione 2n non puo averedimensione superiore a n.

Diremo che un sistema di funzioni in involuzione e completo se contiene n funzioni.

9.9.2 Sistemi in involuzione e trasformazioni canoniche

Torniamo a considerare le condizioni di canonicita di una trasformazione, espressemediante le parentesi di Poisson. In particolare, assegnata una trasformazione q =q(Q,P ), p = p(Q,P ) consideriamo la sua inversa Q = Q(q, p), P = P (q, p). Possiamoallora scrivere le condizioni di canonicita come

{Qj , Qk} = 0 , {Pj , Pk} = 0 , {Qj , Pk} = δjk .

Se isoliamo la seconda di queste condizioni, ossia {Pj , Pk} = 0 possiamo leggerla comela richiesta che le funzioni che esprimono i nuovi momenti P in funzione delle vecchiecoordinate formino un sistema completo in involuzione.

Viene spontaneo chiedersi se a un sistema completo di funzioni in involuzioneΦ1(q, p), . . . ,Φn(q, p) si possano associare altre n funzioni α1(q, p), . . . , αn(q, p) inmodo da costruire una trasformazione canonica che assegni alle Φ il ruolo di nuovimomenti e alle α quello di nuove coordinate. La risposta a questa domanda e positiva,e costituisce la base necessaria per la dimostrazione del teorema di Liouville.

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Il formalismo Hamiltoniano 363

Proposizione 9.28: Sia {Φ1(q, p), . . . ,Φn(q, p)} un sistema completo in involuzione,e sia soddisfatta l’ ulteriore ipotesi

(9.74) det

(

∂(Φ1, . . . ,Φn)

∂(p1, . . . , p1)

)

6= 0 .

Allora esiste una trasformazione canonica locale (q, p) → (α,Φ) la cui funzione gene-ratrice si costruisce per quadrature calcolando

(9.75) S(Φ, q) =

j

pj(Φ, q) dqj ,

dove p1(Φ, q), . . . , pn(Φ, q) sono ottenute per inversione del sistema di funzioniΦ1(q, p), . . . ,Φn(q, p) .

Dimostrazione. L’ invertibilita delle funzioni Φ1(q, p), . . . ,Φn(q, p) rispetto alle p eassicurata dalla condizione (9.74). Consideriamo la forma differenziale

j pj(Φ, q) dqj ;si dimostra che si tratta di una forma differenziale esatta. A tale scopo calcoliamo ildifferenziale dell’ identita

Φj = Φj(q, p)∣

p=p(Φ,q)

rispetto alle variabili Φ, q, ossia tenendo conto che nel membro di destra la variabile pdeve essere sostituita dalla sua espressione in funzione di Φ, q. Si ottiene

dΦj =∑

k,l

∂Φj

∂pk

(

∂pk∂Φl

dΦl +∂pk∂ql

dql

)

+∑

l

∂Φj

∂qldql .

Per confronto dei coefficienti di dq, dΦ si ottengono le identita

k

∂Φj

∂pk

∂pk∂Φl

= δj,l ,

k

∂Φj

∂pk

∂pk∂ql

= −∂Φj

∂ql, j, l = 1, . . . , n .

Sostituiamo ora la seconda di queste identita nella relazione {Φj ,Φm} = 0 , che el’ipotesi che le funzioni siano in involuzione. Con qualche calcolo si ottiene

{Φj ,Φm} =∑

l

(

∂Φj

∂ql

∂Φm

∂pl− ∂Φj

∂pl

∂Φm

∂ql

)

= −∑

l,k

∂Φm

∂pl

∂Φj

∂pk

∂pk∂ql

+∑

l,k

∂Φj

∂pl

∂Φm

∂pk

∂pk∂ql

= −∑

l

∂Φm

∂pl

k

∂Φj

∂pk

(

∂pk∂ql

− ∂pl∂qk

)

= 0

(si noti che nella seconda somma della seconda riga si possono scambiare gli indici disomma l e k senza alterare il risultato). Per la condizione (9.74) l’ ultima eguaglianza

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364 Capitolo 9

implica∂pk∂ql

− ∂pl∂qk

= 0 , l, k = 1, . . . , n ,

e questo significa che la forma differenziale∑

j pj dqj e esatta.28 Per integrazione sipuo dunque costruire la funzione generatrice (9.75), e questa soddisfa la condizione diinvertibilita della proposizione 9.25 in virtu della (9.74). Di conseguenza la trasforma-zione canonica cercata e definita implicitamente da

αj =∂S

∂Φj, pj =

∂S

∂qj, j = 1, . . . , n .

Q.E.D.

9.9.3 Dimostrazione del teorema di Liouville

Per la proposizione 9.28 possiamo costruire per quadrature una trasformazione cano-nica

α = α(q, p) , Φ = Φ(q, p)

tale che Φ1, . . . ,Φn siano i nuovi momenti. Per la proprieta di conservazione delleparentesi di Poisson che caratterizza le trasformazioni canoniche e lecito calcolare laparentesi di Poisson tra due funzioni qualsiasi rispetto alle nuove variabili α,Φ. Poichele funzioni Φ1, . . . ,Φn sono integrali primi per H abbiamo allora

{H,Φj} =∂H

∂αj= 0 , j = 1, . . . , n .

Questo significa che l’ Hamiltoniana trasformata e indipendente dalle nuove coordinateα1, . . . , αn, ossia H = H(Φ). Le equazioni di Hamilton si scrivono dunque

αj =∂H

∂Φj, Φj = 0 , j = 1, . . . , n ,

e sono integrabili in modo elementare. Si osservi che il procedimento richiede solo ope-razioni algebriche (inclusa l’ inversione di funzioni) e quadrature. Il teorema e dunquedimostrato.

Esempio 9.30: I sistemi a un grado di liberta. Consideriamo un punto di massa min movimento su una retta e soggetto a un potenziale V (x). L’Hamiltoniana e

(9.76) H =p2

2m+ V (x) .

Poiche l’Hamiltoniana stessa e una costante del moto, si ha, denotando ancora conH(x, p) = E,

p =√

2m[E − V (x)] ,

28 Ai fini dell’ applicazione al teorema di Liouville basta una proprieta locale, quindi nonsi pongono questioni di dominio.

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Il formalismo Hamiltoniano 365

e dunque

(9.77) S(E, x) =√2m

E − V (x) dx .

Da qui si ottiene la trasformazione canonica alle variabili E, α

p =√

2m[E − V (x)] , α =

m

2

dx√

E − V (x),

e la nuova Hamiltoniana e evidentemente H = E. Le soluzioni delle equazioni diHamilton si scrivono, semplicemente,

E(t) = E0 , α(t) = t− t0 ,

ove E0 and t0 sono i valori inziali dell’ energia e del tempo. Il calcolo della soluzione edunque ricondotto a quello dell’ integrale

(9.78) t− t0 =

m

2

∫ x

x0

dξ√

E0 − V (ξ),

dove x0 = x(0) e la posizione iniziale e E0 e l’ energia iniziale. Quest’ ultima formulafornisce riconduce la soluzione del problema a una quadratura.

Esempio 9.31: Oscillatori armonici. Le quantita

(9.79) Φl =1

2(y2l + ω2

l x2l ) , 1 ≤ l ≤ n

formano un sistema completo di integrali primi in involuzione per un sistema di oscil-latori armonici con Hamiltoniana

(9.80) H =1

2

n∑

l=1

(y2l + ω2l x

2l ) .

Si ha inoltre

(9.81) H =∑

l

Φl .

Si puo dunque applicare il teorema di Liouville. Invertendo il sistema (9.79) rispettoalle y si ha

yl =√

2Φl − ω2l x

2l ,

e la funzione generatrice assume la forma

S(Φ, x, t) =

n∑

l=1

Fl(Φl, xl) ,

dove

Fl(Φl, xl) =

2Φl − ω2l x

2l dxl , 1 ≤ l ≤ n .

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366 Capitolo 9

La trasformazione canonica per le nuove coordinate si scrive dunque

αl =∂S

∂Φl=

dxl√

2Φl − ω2l x

2l

=1

ωlarcos

(

ωlx√2Φl

)

.

La nuova Hamiltoniana e data chiaramente dalla (9.81), e le equazioni di Hamiltonhanno soluzioni della forma

Φl(t) = Φl,0 , α(t) = t− t0 ,

ove t0 e l’ istante iniziale e Φl,0 sono costanti da calcolarsi mediante i dati iniziali. Perinversione si ottengono infine le soluzioni

xl =

2Φl0

ωlcosωl(t− t0) .

Esempio 9.32: Moto in un campo di forze centrali. Come ultimo esempio conside-riamo l’ Hamiltoniana

H =1

2m

(

p2r +p2ϑr2

)

+ V (r) ,

che descrive il moto di un punto materiale in un campo di forze centrali. Come sistemacompleto di integrali primi in involuzione possiamo usare

(9.82) Γ = pϑ , Φ =1

2m

(

p2r −Γ2

r2

)

+ V (r) .

Per inversione si calcola

(9.83) pϑ = Γ , pr =

[

2m(

Φ− V (r))

− Γ2

r2

]1/2

,

e la funzione generatrice e

S(Φ,Γ, r, ϑ) =

∫[

2m(

Φ− V (r))

− Γ2

r2

]1/2

dr +

Γ dϑ .

La trasformazione canonica si completa definendo le nuove coordinate ϕ e γ coniugatea Φ e Γ come

ϕ =∂S

∂Φ= m

∫ [

2m(

Φ− V (r))

− Γ2

r2

]−1/2

dr

γ =∂S

∂Γ= −mΓ

1

r2

[

2m(

Φ− V (r))

− Γ2

r2

]−1/2

dr +

∂f

∂ϑ.

Se V (r) e noto, si puo calcolare per quadrature

(9.84) ϕ = f(Φ,Γ, r) , γ = g(Φ,Γ, r) + ϑ− ϑ0 ,

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Il formalismo Hamiltoniano 367

dove ϑ0 e fornito dai dati iniziali, e le funzioni f e g sono calcolate mediante gli integralidella formula scritta sopra. L’ Hamiltonian trasformata e H = Φ, sicche le soluzionidelle equazioni di Hamilton si scrivono

(9.85)ϕ = t− t0 , γ = γ0 ,

Φ = Φ0 , Γ = Γ0 .

In questa formula occorre inserire i valori di γ0,Φ0 e Γ0 calcolati mediante i dati inizialir0, ϑ0, pr,0, pϑ,0 al tempo t0 facendo uso delle (9.82) e (9.84). Si possono infine calcolarele soluzioni r(t), ϑ(t), pr(t), pϑ(t) nelle coordinate originali procedendo all’ inversionedelle (9.84), ottenendo espressioni della forma

r = r(Φ,Γ, ϕ) , ϑ = ϑ0 + γ − g(Φ,Γ, r)∣

r=r(Φ,Γ,ϕ).

Sostituendo la (9.85) in quest’ ultima espressione si determinano r e ϑ come funzionidel tempo e dei dati iniziali, ossia

r = r(Φ0,Γ0, t− t0) , ϑ = ϑ0 + γ0 − g(Φ0,Γ0, r)∣

r=r(Φ0,Γ0,t−t0).

Si possono infine calcolare i momenti pr and pϑ come funzioni del tempo sostituendola (9.85) e l’ ultima formula qui sopra nella (9.83). Con questo si ottiene la soluzionecompleta del problema.

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368 Capitolo 9