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L’ECO DI BERGAMO 9 LUNEDÌ 5 FEBBRAIO 2018 Segue da pagina 1 sempre sulle stesse, poche, persone. Così come nel dibattito pubblico, sui temi di rilievo della convivenza civile, intervengono, quasi sempre, le stesse, poche, persone. Un segnale che, come credenti, dovrebbe preoccuparci. La variante di questa tornata elettorale è che i cattolici – soprattutto coloro che sono candidati dal Par- tito democratico - sono stati posti in posizioni defilate e alcuni rischiano seriamente di non essere eletti. E dunque la rappresentanza di un mondo che, bene o male, costituisce la maggioranza della gente delle nostre comuni- tà rischia di essere azzerata rendendo eviden- te, nei fatti, anche la fine di un partito nato originariamente come sintesi delle diverse culture politiche che lo hanno fondato. Eppure la questione non può ridursi al numero di eletti al Consiglio regionale o al Parlamento nazio- nale. Occorre chiedersi quanto i cattolici – anche nella nostra terra bergamasca - siano ancora oggi, per la vita politica, un elemento significativo, in termini di lievito e di pensiero. Personalmente credo che la questione della presenza politica dei cattolici sia stata pratica- mente rimossa dopo la fine dell’unità nella Democrazia Cristiana: la diaspora che ne è seguita non ha consentito tuttora – al di là di un generico impegno alla testimonianza per- sonale e pubblica della propria fede – di trova- re il modo di mediare «laicamente» i valori cristiani nella cultura e nella società secolariz- zata e pluralistica di oggi. Non è sufficiente – avvertiva con lucidità il cardinale Martini – limitarsi a proclamare quelli che – qualche anno fa – chiamavamo «valori non negoziabi- li» ed esigere che la legislazione li promuova, «se non ci si fa carico di una ricerca paziente di soluzioni pratiche che tengano conto anche di chi ha concezioni diverse» (discorso di San- t’Ambrogio, 1996), se non si cercano strade politiche condivise. «Questo della mediazione antropologico-etica – precisava – è forse uno dei lavori più importanti e urgenti per i cristia- ni impegnati in politica, ed è uno dei contributi più fecondi che le comunità cristiane possono dare alla società civile oggi»; i principi della fede, lungi dal trasformarsi in motivo di con- flitto e di contrapposizione all’interno della convivenza civile, «devono risultare vivibili e appetibili anche per gli altri, nel maggior con- senso e concordia possibili» (ivi). Lo stiamo sperimentando in questi mesi. Di fronte alla semplificazione di slogan e proclami che par- lano seduttivamente alla pancia della gente, non si sono levate con forza voci di politici che davanti al fenomeno strutturale delle migra- zioni, siano stati capaci di assumere l’impegno evangelico («ero forestiero e mi avete accol- to») e di tradurlo, laicamente e con competen- za, dentro proposte possibili e praticabili. Dunque, ciò che abbiamo sotto gli occhi altro non è che il frutto di una lunga stagione che ha visto rinunciare molte comunità cristiane a formare credenti che hanno cura e passione per l’umano e che, laicamente e con rigore, non solo con le intenzioni, partecipano alla costru- zione della città di tutti. Comunità cristiane che hanno rinunciato a formare cittadini con- sapevoli che si può e deve fare politica – sapere e prassi che ha leggi e valori specifici che non possono venire posti a lato – solo se si pratica- no buone mediazioni, che siano incarnazione dei principi o dei valori attraverso l’azione. In caso contrario si condanna o al tradimento dei valori oppure all’inefficacia politica. La costru- zione della mediazione è il modo politico di mettere in pratica la necessaria coerenza con i valori cristiani. Per far questo, occorre costru- ire strumenti culturali adeguati e luoghi di incontro, dibattito ed elaborazione che, attual- mente, non vedo molto presenti nella comuni- tà cristiana. Se questo non accade, perde forza l’annuncio del Vangelo ma certamente si im- poverisce anche la città dove i cristiani, insie- me a tutti gli altri, vivono. di DANIELE ROCCHETTI IL COMMENTO Il viaggio a Canossa e il duplice obiettivo del presidente turco Segue da pagina 1 con il nostro Paese. La seconda assai più difficile da interpreta- re, soprattutto nelle intenzioni del Rais. Erdogan è il primo pre- sidente della Turchia a chiedere un’udienza al Papa. Il preceden- te più recente, a questi livelli, ri- sale al 1959, quando il presiden- te turco Celal Bayar fu ricevuto da Giovanni XXIII (che era stato delegato apostolico in Turchia dal 1934 al 1943) per un incontro che spianò la strada all’istituzio- ne di relazioni diplomatiche tra Turchia e Santa Sede, inaugura- te poi nel 1960. E se infine si ri- corda che solo un paio d’anni fa le relazioni tra i due Stati aveva- no sfiorato la rottura dopo che Papa Francesco aveva parlato di «genocidio» degli armeni nel 1915 da parte dei turchi e lo stes- so Erdogan, in risposta, lo aveva prima insultato («Delirio») e poi di fatto minacciato («Avverto il Papa di non ripetere questo er- rore»), diventa lecito chiedersi che cosa il presidente turco vo- glia ora ottenere. Due sembrano i suoi obietti- vi. Dopo che Donald Trump ha offerto la copertura degli Usa al- l’annessione di Gerusalemme Est da parte di Israele (illegale, secondo tutte le norme interna- zionali e secondo l’Onu, che considera quella parte della cit- tà «territorio occupato»), Erdo- gan si è proposto come leader del mondo islamico mediorien- tale e vindice dei diritti dei pale- stinesi. Anche Papa Francesco, prima ancora che Trump pren- desse le proprie decisioni, aveva espresso «grande preoccupa- zione» per le sorti di Gerusa- lemme. Pare inoltre che Erdo- gan e il Papa si siano consultati per telefono nelle ultime setti- mane. A Erdogan piacerebbe poter vantare un’alleanza con il Papa. Ma la posizione del Vati- cano e quella del Rais su Gerusa- lemme sono molto distanti: da decenni la Santa Sede indica in Gerusalemme una città interna- zionale da mettere sotto il con- trollo dell’Onu, mentre Erdo- gan vorrebbe Gerusalemme Est capitale di uno Stato di Palesti- na. La «crociata» del presidente turco, disertata dalle monarchie del Golfo Persico, ha dato pochi risultati e oggi, forse, Erdogan potrebbe acconciarsi a qualche compromesso tattico. Ma le dif- ferenze di fondo restano e sono troppo profonde per far imma- ginare una santa alleanza isla- mo-cristiana intorno alla Città Santa. Questo ci introduce al se- condo possibile intento di que- sta visita. Erdogan vuole accre- ditarsi come uomo di pace e lea- der musulmano pronto al dialo- go con il mondo cristiano. Il tut- to, però, mentre il suo esercito attacca il territorio di uno Stato sovrano come la Siria e i curdi che vivono nel cantone siriano di Afrin. E mentre la Turchia vi- ve una fase di islamizzazione che rischia di cambiarne il carat- tere multietnico e multireligio- so. Nel frattempo la Chiesa lati- na non ha alcun riconoscimento ufficiale in Turchia, ci sono pro- blemi con le proprietà, le par- rocchie e le organizzazioni reli- giose sono ostacolate in quasi tutti i loro tentativi di lavorare con i profughi cristiani arrivati in Turchia dalla Siria e dall’Iraq. Non a caso anche tra i cristia- ni di Turchia si percepisce qual- che perplessità su questa udien- za, rapidamente accordata e or- ganizzata. La diplomazia vatica- na è più che avvertita e sa che Er- dogan è leader da maneggiare con cura. In ogni caso, è lui che va a Canossa, costretto a ricono- scere il carisma e la statura in- ternazionale di Papa Francesco. di FULVIO SCAGLIONE CATTOLICI IN POLITICA QUESTIONE RIMOSSA L’aula della Camera FOTO ANSA Spreco alimentare Ogni anno buttiamo 145 chili di cibo a testa In Italia ogni anno si buttano nella spazzatu- ra 145 chili di cibo per abitante. Nelle mense scolastiche, un pasto su tre finisce nel casso- netto e nei supermercati lo spreco alimentare pesa per 18,8 chili all’anno ogni metro quadro. Ma sul fronte del cibo sprecato, ci sono anche buone notizie. L’Italia è il quarto Paese al mondo nella lotta allo spreco alimentare e, secondo la Coldiretti, nell’ultimo anno quasi tre italiani su quattro (71%) hanno diminuito o annullato gli sprechi alimentari. Per sensi- bilizzare sull’importanza di questo tema oggi si celebra la quinta Giornata nazionale di prevenzione e lotta allo spreco alimentare. Dice il saggio Il perdono è l’ornamento dei forti Gandhi fondato nel 1880 www.ecodibergamo.it ISSN edizione digitale: 2499-4669 DIRETTORE RESPONSABILE ALBERTO CERESOLI CAPIREDATTORI ANDREA VALESINI, MARCO DELL’ORO VICECAPIREDATTORI BRUNO BONASSI, DINO NIKPALJ, SILVANA GALIZZI, ROBERTO BELINGHERI SOCIETÀ EDITRICE S.E.S.A.A.B. spa Viale Giovanni XXIII, 118 - 24121 Bergamo PRESIDENTE LUCIO CASSIA AMMINISTRATORE DELEGATO MASSIMO CINCERA CONSIGLIERI LUCIO CARMINATI (vicepresidente), ENRICO BENAGLIO, SERGIO BERTOCCHI, BRUNO MARINONI, EMILIO MORESCHI, DARIO NICOLI, VITTORIO NOZZA, NANDO PAGNONCELLI, MAURIZIO RADICI, MARIO RATTI, MARCO SANGALLI COME ABBONARSI SPORTELLO Viale Papa Giovanni XXIII, 124 Bergamo. Orari: da lunedì a venerdì 8.30-12.30 e 14.30-18; sabato 8.30-12. Pagamento contanti, assegno, bancomat o carta di credito. CARTA DI CREDITO (CartaSi, Visa, Mastercard, Eurocard) tel. 035.358.899. 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L’ECO DI BERGAMO 9LUNEDÌ 5 FEBBRAIO 2018

Segue da pagina 1

sempre sulle stesse, poche, persone. Così comenel dibattito pubblico, sui temi di rilievo dellaconvivenza civile, intervengono, quasi sempre,le stesse, poche, persone. Un segnale che, comecredenti, dovrebbe preoccuparci. La variantedi questa tornata elettorale è che i cattolici –soprattutto coloro che sono candidati dal Par-tito democratico - sono stati posti in posizionidefilate e alcuni rischiano seriamente di nonessere eletti. E dunque la rappresentanza diun mondo che, bene o male, costituisce la maggioranza della gente delle nostre comuni-tà rischia di essere azzerata rendendo eviden-te, nei fatti, anche la fine di un partito nato originariamente come sintesi delle diverse culture politiche che lo hanno fondato. Eppurela questione non può ridursi al numero di elettial Consiglio regionale o al Parlamento nazio-nale. Occorre chiedersi quanto i cattolici – anche nella nostra terra bergamasca - sianoancora oggi, per la vita politica, un elementosignificativo, in termini di lievito e di pensiero.Personalmente credo che la questione dellapresenza politica dei cattolici sia stata pratica-mente rimossa dopo la fine dell’unità nella Democrazia Cristiana: la diaspora che ne è seguita non ha consentito tuttora – al di là diun generico impegno alla testimonianza per-sonale e pubblica della propria fede – di trova-re il modo di mediare «laicamente» i valori cristiani nella cultura e nella società secolariz-zata e pluralistica di oggi. Non è sufficiente –avvertiva con lucidità il cardinale Martini – limitarsi a proclamare quelli che – qualche anno fa – chiamavamo «valori non negoziabi-li» ed esigere che la legislazione li promuova,«se non ci si fa carico di una ricerca pazientedi soluzioni pratiche che tengano conto anchedi chi ha concezioni diverse» (discorso di San-t’Ambrogio, 1996), se non si cercano strade politiche condivise. «Questo della mediazioneantropologico-etica – precisava – è forse unodei lavori più importanti e urgenti per i cristia-ni impegnati in politica, ed è uno dei contributipiù fecondi che le comunità cristiane possonodare alla società civile oggi»; i principi della fede, lungi dal trasformarsi in motivo di con-flitto e di contrapposizione all’interno dellaconvivenza civile, «devono risultare vivibili e

appetibili anche per gli altri, nel maggior con-senso e concordia possibili» (ivi). Lo stiamosperimentando in questi mesi. Di fronte allasemplificazione di slogan e proclami che par-lano seduttivamente alla pancia della gente,non si sono levate con forza voci di politici chedavanti al fenomeno strutturale delle migra-zioni, siano stati capaci di assumere l’impegnoevangelico («ero forestiero e mi avete accol-to») e di tradurlo, laicamente e con competen-za, dentro proposte possibili e praticabili. Dunque, ciò che abbiamo sotto gli occhi altronon è che il frutto di una lunga stagione cheha visto rinunciare molte comunità cristianea formare credenti che hanno cura e passioneper l’umano e che, laicamente e con rigore, nonsolo con le intenzioni, partecipano alla costru-zione della città di tutti. Comunità cristiane

che hanno rinunciato a formare cittadini con-sapevoli che si può e deve fare politica – saperee prassi che ha leggi e valori specifici che nonpossono venire posti a lato – solo se si pratica-no buone mediazioni, che siano incarnazionedei principi o dei valori attraverso l’azione. Incaso contrario si condanna o al tradimento deivalori oppure all’inefficacia politica. La costru-zione della mediazione è il modo politico dimettere in pratica la necessaria coerenza coni valori cristiani. Per far questo, occorre costru-ire strumenti culturali adeguati e luoghi di incontro, dibattito ed elaborazione che, attual-mente, non vedo molto presenti nella comuni-tà cristiana. Se questo non accade, perde forzal’annuncio del Vangelo ma certamente si im-poverisce anche la città dove i cristiani, insie-me a tutti gli altri, vivono.

di DANIELE ROCCHETTI

IL COMMENTO

Il viaggio a Canossae il duplice obiettivodel presidente turco

Segue da pagina 1

con il nostro Paese. La seconda assai più difficile da interpreta-re, soprattutto nelle intenzioni del Rais. Erdogan è il primo pre-sidente della Turchia a chiedereun’udienza al Papa. Il preceden-te più recente, a questi livelli, ri-sale al 1959, quando il presiden-te turco Celal Bayar fu ricevuto da Giovanni XXIII (che era statodelegato apostolico in Turchia dal 1934 al 1943) per un incontroche spianò la strada all’istituzio-ne di relazioni diplomatiche tra Turchia e Santa Sede, inaugura-te poi nel 1960. E se infine si ri-corda che solo un paio d’anni fa le relazioni tra i due Stati aveva-no sfiorato la rottura dopo che Papa Francesco aveva parlato di«genocidio» degli armeni nel 1915 da parte dei turchi e lo stes-so Erdogan, in risposta, lo aveva prima insultato («Delirio») e poidi fatto minacciato («Avverto il Papa di non ripetere questo er-rore»), diventa lecito chiedersi che cosa il presidente turco vo-glia ora ottenere.

Due sembrano i suoi obietti-vi. Dopo che Donald Trump ha offerto la copertura degli Usa al-l’annessione di Gerusalemme Est da parte di Israele (illegale, secondo tutte le norme interna-zionali e secondo l’Onu, che considera quella parte della cit-tà «territorio occupato»), Erdo-gan si è proposto come leader del mondo islamico mediorien-tale e vindice dei diritti dei pale-stinesi. Anche Papa Francesco, prima ancora che Trump pren-desse le proprie decisioni, avevaespresso «grande preoccupa-zione» per le sorti di Gerusa-lemme. Pare inoltre che Erdo-gan e il Papa si siano consultati per telefono nelle ultime setti-mane. A Erdogan piacerebbe poter vantare un’alleanza con il

Papa. Ma la posizione del Vati-cano e quella del Rais su Gerusa-lemme sono molto distanti: da decenni la Santa Sede indica in Gerusalemme una città interna-zionale da mettere sotto il con-trollo dell’Onu, mentre Erdo-gan vorrebbe Gerusalemme Est capitale di uno Stato di Palesti-na. La «crociata» del presidente turco, disertata dalle monarchiedel Golfo Persico, ha dato pochi risultati e oggi, forse, Erdogan potrebbe acconciarsi a qualche compromesso tattico. Ma le dif-ferenze di fondo restano e sono troppo profonde per far imma-ginare una santa alleanza isla-mo-cristiana intorno alla Città Santa. Questo ci introduce al se-condo possibile intento di que-sta visita. Erdogan vuole accre-ditarsi come uomo di pace e lea-der musulmano pronto al dialo-go con il mondo cristiano. Il tut-to, però, mentre il suo esercito attacca il territorio di uno Stato sovrano come la Siria e i curdi che vivono nel cantone siriano di Afrin. E mentre la Turchia vi-ve una fase di islamizzazione che rischia di cambiarne il carat-tere multietnico e multireligio-so. Nel frattempo la Chiesa lati-na non ha alcun riconoscimentoufficiale in Turchia, ci sono pro-blemi con le proprietà, le par-rocchie e le organizzazioni reli-giose sono ostacolate in quasi tutti i loro tentativi di lavorare con i profughi cristiani arrivati in Turchia dalla Siria e dall’Iraq.

Non a caso anche tra i cristia-ni di Turchia si percepisce qual-che perplessità su questa udien-za, rapidamente accordata e or-ganizzata. La diplomazia vatica-na è più che avvertita e sa che Er-dogan è leader da maneggiare con cura. In ogni caso, è lui che va a Canossa, costretto a ricono-scere il carisma e la statura in-ternazionale di Papa Francesco.

di FULVIO SCAGLIONE

CATTOLICI IN POLITICAQUESTIONE RIMOSSA

L’aula della Camera FOTO ANSA

Spreco alimentareOgni anno buttiamo 145 chili di cibo a testaIn Italia ogni anno si buttano nella spazzatu-ra 145 chili di cibo per abitante. Nelle mense scolastiche, un pasto su tre finisce nel casso-netto e nei supermercati lo spreco alimentare pesa per 18,8 chili all’anno ogni metro quadro. Ma sul fronte del cibo sprecato, ci sono anche buone notizie. L’Italia è il quarto Paese al

mondo nella lotta allo spreco alimentare e, secondo la Coldiretti, nell’ultimo anno quasi tre italiani su quattro (71%) hanno diminuito o annullato gli sprechi alimentari. Per sensi-bilizzare sull’importanza di questo tema oggi si celebra la quinta Giornata nazionale di prevenzione e lotta allo spreco alimentare.

Dice il saggioIl perdono è l’ornamento dei fortiGandhi

fondato nel 1880www.ecodibergamo.itISSN edizione digitale: 2499-4669

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CAPIREDATTORIANDREA VALESINI, MARCO DELL’OROVICECAPIREDATTORIBRUNO BONASSI, DINO NIKPALJ,SILVANA GALIZZI, ROBERTO BELINGHERISOCIETÀ EDITRICE S.E.S.A.A.B. spaViale Giovanni XXIII, 118 - 24121 Bergamo PRESIDENTELUCIO CASSIAAMMINISTRATORE DELEGATOMASSIMO CINCERACONSIGLIERILUCIO CARMINATI (vicepresidente),ENRICO BENAGLIO, SERGIO BERTOCCHI,BRUNO MARINONI, EMILIO MORESCHI, DARIO NICOLI,VITTORIO NOZZA, NANDO PAGNONCELLI,MAURIZIO RADICI, MARIO RATTI, MARCO SANGALLI

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