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Matoli! di tempo Interattivo 69 Capitolo 3 Modelli del tempo interattivo: il tempo della famiglia Ferdinand de Saussure è uno degli autori più suggestivi che abbiamo! incontrato nel corso della nostra ricerca. Il suo nome, celebrato fra i lin-i guisti, è quasi sconosciuto fra gli psicoterapeuti. Eppure è proprio a Saussure 1 che dobbiamo idee essenziali, riguardanti sia il tempo che il linguaggio. Nel | suo Cours de linguistique generale (1922), infatti, egli scriveva (pp. 99 sg.): È certo che tutte le scienze avrebbero interesse a rilevare più scrupolosamente gli assi dove sono , situate le cose di cui si occupano; bisognerebbe dunque distìnguere (...): i) l'asse della simulta- neità, concernente i rapporti tra cose esistenti, donde è escluso ogni intervento del tempo; j) ; l'asse delle successioni, su cui è possibile considerare solo una cosa alla volta, dove però sono situate 1 tutte le cose del primo asse con i loro cambiamenti (...) Per meglio dar rilievo a questa oppo-,] sizione e a quest'incrociarsi di due ordini di fenomeni relativi al medesimo oggetto, preferiamo I parlare di linguistica sincronica e di linguistica diacronica. È sincronico tutto ciò che si riferisce i all'aspetto statico della nostra scienza, è diacronico tutto ciò che ha a che fare con le evoluzioni. ] Oggi possiamo meglio intendere l'intuizione di Saussure se consideriamo j che la dicotomia non è tanto fra diversi fenomeni relativi allo stesso oggetto, quanto fra diverse descrizioni operate da osservatori. Per tutte le possibili t descrizioni, quindi, esiste un asse della sincronia e un asse della diacronia, i Tale dicotomia è alla base di un importante cambiamento di rotta nell'evo»! luzione del nostro modello. Il nostro gruppo, infatti, nei primi anni settanta lavorava secondo un1; modello essenzialmente sincronico, in cui il compito del terapeuta era quello! di osservare le relazioni nel presente. A un certo punto, però, i limiti di que- i sto modello sono emersi, ed è prevalso un modello diacronico. Se leggiamo j le pubblicazioni di terapia familiare degli ultimi vent'anni, possiamo osser- vare che le maggiori innovazioni sono venute, da una parte, dall'apertura i della «scatola nera», cioè dall'introduzione della semantica accanto alla* pragmatica della comunicazione, e dall'altra dall'introduzione della visione diacronica accanto a quella sincronica. Dal punto di vista lessicale, l'uso del ùnefeedforward accanto zfeedback, l'enfasi sul concetto di «causalità spi- Drme» accanto a «causalità circolare», infine la preferenza accordata I concetto di « storia » piuttosto che a quello di « pattern », sono tutti esempi il rilievo crescente che il tempo assume nel nostro campo. Concentreremo ora la nostra attenzione sullo studio della famiglia, che il sistema con il quale più frequentemente ci troviamo a interagire nella fllOltra attività clinica. Se osserviamo la famiglia attraverso l'asse della sin- j ironia, descriviamo quel sistema di elementi e di relazioni tra gli stessi che Idratterizza ciò che definiamo «famiglia»: un'osservazione sincronica defi- niice l'appartenenza alla classe delle famiglie o, se ci focalizziamo su una fctniglia reale, una famiglia com'è al momento dell'osservazione. Se invece osserviamo la stessa famiglia attraverso l'asse della diacronia, ; II descriveremo secondo due cornici temporali distinte: come espressione i dtlla stabilità del sistema familiare (il ciclo del tempo), mantenuta da eventi - ricorsivi generazionali e transgenerazionali; oppure come espressione del i Cambiamento (la freccia del tempo), fatto di mutamenti irreversibili che ren- dono la famiglia costantemente diversa da quella che era prima. I due punti ' di vista, statico e dinamico, non sono inconciliabili. Stabilità e cambia- mento, ciclo e freccia del tempo, sono risvolti complementari del tempo della famiglia.' Ogni volta che dall'osservazione di un individuo ci muoviamo verso quella di «sterni composti da più individui, passiamo a un nuovo livello logico, cioè I quello dell'entità più complessa costituita dagli individui e dalle loro inter- Itioni. Il sistema è più della somma delle sue parti.2 Così una descrizione di! tempo della famiglia non può limitarsi a considerare i tempi dei singoli membri della famiglia e il modo in cui si compenetrano, ma deve anche rife- rirli al tempo proprio della famiglia come sistema. Una relazione simile può •fiere ritrovata fra il tempo familiare e il tempo culturale. Le descrizioni, così, variano a seconda dell'aspetto che si voglia mettere I fuoco. Ciascun individuo mostra un insieme di tratti costanti, ma nello •tesso tempo appare diverso a seconda delle persone con cui entra in con- tatto e dei contesti in cui è immerso. Più il contatto è emotivamente impor- tante e prolungato, più i tratti sovraindividuali diventano importanti; la fami- glia è probabilmente il sistema sociale in cui il tratto di cui ci occupiamo (la temporalità, appunto) agisce nel modo più sottile e complesso. Per usare la terminologia di Elias, in una famiglia il coordinamento di serie di eventi è •Ottoposto alla calibrazione più delicata; spesso la famiglia opera come un 1 La complementarità fra stabilità e cambiamento richiama un'altra complementarità: quella fri «rottura e sistema, che secondo Wilden sono due fàcce della stessa medaglia, e che riman- dino Cuna alla visione sincronica, l'altro alla visione diacronica. ' L'idea non è soltanto nostra. È stata formulata i suo tempo da Ruesch e Bateson (1951, P. 187).

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Matoli! di tempo Interattivo 69

Capitolo 3

Modelli del tempo interattivo:il tempo della famiglia

Ferdinand de Saussure è uno degli autori più suggestivi che abbiamo!incontrato nel corso della nostra ricerca. Il suo nome, celebrato fra i lin-iguisti, è quasi sconosciuto fra gli psicoterapeuti. Eppure è proprio a Saussure 1che dobbiamo idee essenziali, riguardanti sia il tempo che il linguaggio. Nel |suo Cours de linguistique generale (1922), infatti, egli scriveva (pp. 99 sg.):

È certo che tutte le scienze avrebbero interesse a rilevare più scrupolosamente gli assi dove sono ,situate le cose di cui si occupano; bisognerebbe dunque distìnguere (...): i) l'asse della simulta-neità, concernente i rapporti tra cose esistenti, donde è escluso ogni intervento del tempo; j) ;l'asse delle successioni, su cui è possibile considerare solo una cosa alla volta, dove però sono situate 1tutte le cose del primo asse con i loro cambiamenti (...) Per meglio dar rilievo a questa oppo-,]sizione e a quest'incrociarsi di due ordini di fenomeni relativi al medesimo oggetto, preferiamo Iparlare di linguistica sincronica e di linguistica diacronica. È sincronico tutto ciò che si riferisce iall'aspetto statico della nostra scienza, è diacronico tutto ciò che ha a che fare con le evoluzioni. ]

Oggi possiamo meglio intendere l'intuizione di Saussure se consideriamo jche la dicotomia non è tanto fra diversi fenomeni relativi allo stesso oggetto,quanto fra diverse descrizioni operate da osservatori. Per tutte le possibili tdescrizioni, quindi, esiste un asse della sincronia e un asse della diacronia, iTale dicotomia è alla base di un importante cambiamento di rotta nell'evo»!luzione del nostro modello.

Il nostro gruppo, infatti, nei primi anni settanta lavorava secondo un1;modello essenzialmente sincronico, in cui il compito del terapeuta era quello!di osservare le relazioni nel presente. A un certo punto, però, i limiti di que- isto modello sono emersi, ed è prevalso un modello diacronico. Se leggiamo jle pubblicazioni di terapia familiare degli ultimi vent'anni, possiamo osser-vare che le maggiori innovazioni sono venute, da una parte, dall'apertura idella «scatola nera», cioè dall'introduzione della semantica accanto alla*pragmatica della comunicazione, e dall'altra dall'introduzione della visionediacronica accanto a quella sincronica. Dal punto di vista lessicale, l'uso del

ùnefeedforward accanto zfeedback, l'enfasi sul concetto di «causalità spi-Drme» accanto a «causalità circolare», infine la preferenza accordata

I concetto di « storia » piuttosto che a quello di « pattern », sono tutti esempiil rilievo crescente che il tempo assume nel nostro campo.Concentreremo ora la nostra attenzione sullo studio della famiglia, che

fé il sistema con il quale più frequentemente ci troviamo a interagire nellafllOltra attività clinica. Se osserviamo la famiglia attraverso l'asse della sin-j ironia, descriviamo quel sistema di elementi e di relazioni tra gli stessi cheIdratterizza ciò che definiamo «famiglia»: un'osservazione sincronica defi-niice l'appartenenza alla classe delle famiglie o, se ci focalizziamo su unafctniglia reale, una famiglia com'è al momento dell'osservazione.

Se invece osserviamo la stessa famiglia attraverso l'asse della diacronia,; II descriveremo secondo due cornici temporali distinte: come espressionei dtlla stabilità del sistema familiare (il ciclo del tempo), mantenuta da eventi- ricorsivi generazionali e transgenerazionali; oppure come espressione deli Cambiamento (la freccia del tempo), fatto di mutamenti irreversibili che ren-dono la famiglia costantemente diversa da quella che era prima. I due punti

' di vista, statico e dinamico, non sono inconciliabili. Stabilità e cambia-mento, ciclo e freccia del tempo, sono risvolti complementari del tempodella famiglia.'

Ogni volta che dall'osservazione di un individuo ci muoviamo verso quelladi «sterni composti da più individui, passiamo a un nuovo livello logico, cioèI quello dell'entità più complessa costituita dagli individui e dalle loro inter-Itioni. Il sistema è più della somma delle sue parti.2 Così una descrizionedi! tempo della famiglia non può limitarsi a considerare i tempi dei singolimembri della famiglia e il modo in cui si compenetrano, ma deve anche rife-rirli al tempo proprio della famiglia come sistema. Una relazione simile può•fiere ritrovata fra il tempo familiare e il tempo culturale.

Le descrizioni, così, variano a seconda dell'aspetto che si voglia mettereI fuoco. Ciascun individuo mostra un insieme di tratti costanti, ma nello•tesso tempo appare diverso a seconda delle persone con cui entra in con-tatto e dei contesti in cui è immerso. Più il contatto è emotivamente impor-tante e prolungato, più i tratti sovraindividuali diventano importanti; la fami-glia è probabilmente il sistema sociale in cui il tratto di cui ci occupiamo (latemporalità, appunto) agisce nel modo più sottile e complesso. Per usare laterminologia di Elias, in una famiglia il coordinamento di serie di eventi è•Ottoposto alla calibrazione più delicata; spesso la famiglia opera come un

1 La complementarità fra stabilità e cambiamento richiama un'altra complementarità: quellafri «rottura e sistema, che secondo Wilden sono due fàcce della stessa medaglia, e che riman-dino Cuna alla visione sincronica, l'altro alla visione diacronica.

' L'idea non è soltanto nostra. È stata formulata i suo tempo da Ruesch e Bateson (1951,P. 187).

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tutto armonico. In un tale contesto, scegliere il livello di descrizione olistic0 analitico ha conseguenze notevoli.

Jerome Bruner, nel suo libro La mente a più dimensioni (1986), descrivdue tipi di pensiero, che denomina «pensiero paradigmatico» e «pensiernarrativo ». Il pensiero paradigmatico è quello caratteristico dell'argomen|tazione logica, che ricorre alla categorizzazione e alla concettualizzazionper arrivare al massimo della coerenza. È il pensiero su cui si fonda il discorscientifico. Il pensiero narrativo, viceversa, non insegue il massimo della <renza ma «si occupa delle vicissitudini delle intenzioni umane» (p. 21).discorso narrativo, quindi, opera soprattutto mantenendo aperti i significati^offrendo a chi lo segua non uno schema di una realtà riproducibile seguendoparametri rigorosi, ma un racconto dispiegato nel tempo, un'immagine dia-cronica di una realtà esperibile.

Per quanto il modo paradigmatico sia stato considerato a lungo l'unicche permettesse la fondazione «scientifica» di una disciplina, gran pardelle scienze umane (si pensi alla storia) hanno sempre seguito, almenoparte, il modo narrativo. E qualsiasi scienziato, a partire proprio dagli irre-fprensibili fisici teorici, riconosce che il modo narrativo è irrinunciabile nella!formulazione iniziale - anche se non nella formalizzazione matematica - dijuna teoria.

L'uso del pensiero paradigmatico o di quello narrativo, la messa a fuoco Isul tempo del singolo o sui tempi collettivi, la prospettiva sincronica e dia-fcronica ci serviranno da guida in una sommaria ricapitolazione di alcuneiteorie della famiglia che abbiamo incontrato nel nostro percorso.

Tempo e famiglia

Descrivere il tempo nella famiglia o la famiglia nel tempo può parere un jcompito semplice. Proviamo a riprendere per un istante l'esempio dei due ',!individui A e B. Ammettiamo che A e B siano soggetti di sesso opposto, jche decidano di vivere stabilmente insieme; in questo caso, le premesse per ;!una coordinazione tra i tempi rispettivi sono già concordate. È possibileperò - è anzi inevitabile - che permangano differenze d'un certo rilievo fra1 tempi di A e quelli di B.

Ad esempio, A può essere una donna con una progettualità rivolta a unfuturo lontano, mentre B può essere un uomo abituato a vivere alla gior-nata, con una progettualità limitata a pochi mesi. Oppure A può essere unadonna dai ritmi veloci, B un uomo con ritmi lenti. Come abbiamo avutomodo di osservare nel capitolo 2, differenze di quest'ampiezza possono crearedifficoltà tra i due, che spesso risultano mascherate nel periodo prematri-moniale, periodo dell'amore nascente. Difficoltà possono sorgere anchequando due individui rigidamente, e utopicamente, tendono ad avere tempi

Itici. Ciò è ben visibile, ad esempio, nelle coppie simbiotiche, che rea-Dno drammaticamente alle inevitabili fluttuazioni temporali cui non sono

mate.Per una coevoluzione armonica dei tempi di una coppia, è importante

i lia presente un ampio spettro, una vasta gamma (range) di tempi possi-li. Lo stesso vale per i movimenti del corpo: più ristretta è la gamma diCimenti a disposizione, minore è la capacità di adattamento. Il giovane,

I esempio, ha una gamma di movimenti più ampia del vecchio. Potremmoendere l'esempio dalla coppia ai membri di una famiglia, di un'istituzione

I di ogni altra organizzazione sociale.In una prospettiva diacronica, A e B inizieranno un processo di mutuo

Influenzamento,3 sviluppando un proprio insieme di premesse e costruttiffOndivisi, un ethos e naturalmente un proprio tempo. Come il tempo di Af I B in quanto singoli, anche il tempo della famiglia AB si caratterizza per' (in suo ritmo, un suo orizzonte, una sua prospettiva. Nelle crisi d'adatta-mento, che si verificano quando si costituisce una nuova famiglia, emerge11 necessità di armonizzare i ritmi appresi nella propria famiglia d'origineeon quelli del coniuge e di ricercare una comune prospettiva e un comuneOrizzonte temporale. Ulteriori crisi di adattamento avvengono in corri-ipondenza di momenti critici della vita familiare, quali nascita, adolescenza,Mparazione, morte.

Al momento della nascita di un figlio, la famiglia va incontro a una com-plessa serie di cambiamenti. Il nuovo arrivato non può essere consideratouna tabula rasa, ma è un personaggio dotato di un senso del tempo ancorapotenziale. Il neonato - chiamiamolo per comodità C - induce gli altri mem-bri della famiglia a una nuova regolazione reciproca, quella che Bateson defi-nirebbe una «ricalibrazione». I ritmi sono inizialmente sconvolti dalle esi-genze del nuovo arrivato, il quale, assimilando le coordinate di tempo della(•miglia, vi apporta la propria novità e la propria individualità. Nel tempo,li consolida una nuova cornice temporale.

Un punto molto controverso della psicologia dello sviluppo è il contri-buto dei fattori biologici, genetici e ambientali ai comportamenti nei primiperiodi della vita del bambino. Accanto a teorie che privilegiano i fattoriambientali, ce ne sono altre che enfatizzano l'importanza dei fattori biolo-gici. In neonati sottoposti, subito dopo il taglio del cordone ombelicale, auno stimolo standard, tattile o elettrico, sono state osservate reazioni diver-lissime, distribuibili secondo una curva di Gauss, relative a resistenza elet-trica cutanea, ritmo cardiaco, pressione arteriosa, risposta psicomotoriaosservabile attraverso la visione dei fotogrammi d'una ripresa cinematogra-

1 Quello che Maturana e Varela (1980) hanno definito «accoppiamento strutturale». OgniIndividuo è stimolato dall'ambiente (in cui hanno uni parte di primo piano i soggetti per luipiù significativi) e stimola a sua volta l'ambiente i modificarli,

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fica. Ciò ha dimostrato un'enorme variabilità di risposta, ben prima chepotessero agire fattori ambientali esterni. Risultati simili inducono a ipo-tizzare che il bambino è, fin dalla nascita, un attore attivo nelle relazionicon i genitori: è ben diverso, a parità di genitori, avere a che fare con unbambino ipoattivo e docile oppure con un bambino iperattìvo dalla nascita.Ad esempio, un bambino che piange tutte le notti può mettere a dura provala vita familiare e provocare nei genitori reazioni emotive diverse da quellesuscitate da un altro fratello o sorella, con conseguenze che potranno diven-tare sintomatiche in un lontano futuro.

La famiglia, così modificata, si comporterà in modo diverso. In questosenso, C con la sua presenza influenza i tempi di persone e organizzazionianche assai lontane, che non entrano in contatto diretto con lui,

Tempo e modelli della famiglia

È possibile suddividere le correnti teorie della famiglia secondo i tre assiche abbiamo individuato. In tal modo, ogni modello dovrà situarsi più omeno vicino a un estremo di ciascun asse: sincronico o diacronico, centratosugli individui o sul sistema, fondato sul modo paradigmatico o su quellonarrativo. Ci limitiamo qui a inserire nell'asse sincronia-diacronia alcuni deipiù rilevanti modelli di terapia o consulenza familiare. E ovvio che in unarelazione - terapeutica e non - che si protrae nel tempo non possono essereignorate né le istanze relative al «qui e ora» né quelle connesse a un oriz-zonte temporale più vasto. Esistono teorie che privilegiano la dimensionesincronica, accanto ad altre che privilegiano quella diacronica. La visionesincronica si basa sulla distinzione, quella diacronica sulla continuità, sul

flusso.All'interno dell'asse sincronia-diacronia, il modello strutturale proposto

da Minuchin (1974) si colloca in prossimità del polo sincronico: l'osserva-tore cerca nel sistema osservato la struttura, cioè la posizione reciproca deivari componenti della famiglia e le loro relazioni in un dato momento; talestruttura è messa in rapporto con una norma. Minuchin, pur essendotutt'altro che insensibile all'aspetto evolutivo delle famiglie, come dimo-strano certe sue penetranti indagini sul farsi e svilupparsi della famiglia« senza problemi », descrive le famiglie mediante metafore spaziali: confini,sottosistemi e così via; in questo spazio metaforico si muovono individui chesi alleano, si triangolano, si contrastano, passano da una parte all'altra deiconfini. Il tutto assume la forma di una teoria microsociologica.

Un modello prevalentemente sincronico è quello strategico del MentalResearch Institute, nella sua prima formulazione, che Jackson (1957) sinte-tizzò nella definizione di «omeostasi familiare». In questo caso, un osser-vatore descrive il sintomo e la funzione del sintomo all'interno delle rela-zioni familiari nel «qui e ora». Il tentativo è di cambiare i pattern relazio-

nali, con l'idea che emergano altri pattern più funzionali. Anche altri tera-peuti, come Haley (1963), operano all'interno del modello strategico secondouna prospettiva sincronica. La versione narrativa di questa stessa teoria nac-que ad opera di Ferreira (1963), con l'introduzione del concetto di «mitofamiliare », messo in rapporto con l'omeostasi stessa.

Tra i modelli prevalentemente diacronici, ricordiamo quello multigene-razionale di Murray Bowen (1978), che mette l'accento sulle complesse rela-zioni tra generazioni e individui e sulla loro maturazione nel tempo; la teo-ria del paradigma familiare di David Reiss (1981), in cui l'elemento diacro-nico ha una posizione centrale; infine, le più recenti teorie narrative, basatesui sistemi linguistici di significato e sulle storie, che riscuotono attualmentenotevole interesse (Anderson e Goolishian, 1988; White e Epston, 1989).

Tempo e cibernetica

Gran parte delle terapie sistemiche, e la nostra non fa eccezione, si fon-dano sul paradigma cibernetico. Furono i primi terapeuti familiari ad adot-tare quel modello, basato sul concetto di autoregolazione. Norbert Wiener(1948), fondatore della cibernetica, la definì come «la teoria del controlloe della comunicazione sia nella macchina che negli animali» (p. 35). L'atten-zione era centrata sui processi attraverso cui i sistemi autoregolati mini-mizzavano le perturbazioni esercitate dall'ambiente su di essi. Esempio clas-lico usato dai primi cibernetici era il termostato, strumento che agisce inmodo da ricondurre sempre le condizioni termiche dell'ambiente al puntodesiderato, riducendo al minimo le variazioni di temperatura. Tale regola-zione era ottenuta tramite la retroazione negativa, idea cardine di quella cheinni dopo sarebbe stata definita prima cibernetica.

La teoria cibernetica si era sviluppata durante la seconda guerra mon-diale con scopi soprattutto bellici: le macchine autoregolantisi discendevanodirettamente dai sistemi di puntamento dei cannoni antiaerei, che dovevanoridurre al minimo, per mezzo di retroazioni negative, gli errori di mira.Anche il contributo di teorici provenienti da aree diverse si centrò automa-ticamente sui fenomeni che minimizzavano la differenza. Cannon (1932),•d esempio, fu l'ideatore del concetto di omeostasi, termine che passò imme-diatamente a denotare il complesso di fenomeni mediante i quali un orga-nismo minimizza le variazioni del proprio ambiente interno, mantenendotempre entro un raggio limitato le variabili principali, quali il Ph, la tem-peratura e così via.

Oltre alla retroazione negativa, un altro fondamentale punto d'interessedei primi cibernetici era la possibilità di prevedere il futuro con la massimaiccuratezza possibile: il sistema di puntamento antiaereo, per essere efficace,doveva poter predire con una certa esattezza dove si sarebbe trovato un ber-

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saglio mobile, veloce, guidato da un essere intelligente e capace di cercarevie di fuga (Wiener, 1948).

Il tempo, in un mondo di retroazioni negative, è essenzialmente ciclico:il termostato opera in modo da minimizzare il passare del tempo, ogni ritornoalle condizioni di partenza non porta con sé alcuna novità. Il tempo, nelledescrizioni della prima cibernetica, è quindi concepibile come un ciclo per-fetto, in cui è possibile invertire ogni mutamento e tornare alla stasi. I ciber-netici, d'altro canto, conoscevano assai bene la termodinamica e il suo postu-lato d'irreversibilità, e sapevano che il ciclo perfetto non è che un'illusione(ibid.). Ne deriva un carattere particolare del tempo in questa teoria: untempo reale e irreversibile, in cui però la massima cura è posta nel preve-dere in che modo un dato sistema si opporrà al cambiamento, e quali pro-babilità esistono che il cambiamento sia annullato. Il tempo della primacibernetica assume così il carattere di un tempo stocastico, probabilistico,sostanzialmente prevedibile.

La famiglia, letta secondo la prima cibernetica, era considerata un sistemache, sottoposto a perturbazione, riportava le sue condizioni quanto più pos-sibile vicine a quelle di partenza, attraverso un complesso di retroazioninegative. Le nuove condizioni della famiglia erano cioè interpretate comesegnali di un potenziale cambiamento cui la famiglia reagiva minimizzan-dolo. Un sintomo in un membro della famiglia evitava un cambiamento diportata maggiore nel sistema familiare.

Le teorie fondate sulP«omeostasi familiare» (Jackson, 1957) si occupa-vano, come già accennato, del tempo presente. Se la famiglia tende a man-tenere le variazioni a zero, conviene che l'osservazione e la terapia siano sin-croniche e non si occupino di storia, di prospettive o di svolgimento dia-cronico; così, almeno, teorizzarono gli autori della Pragmatica della comuni-cazione umana (Watzlawick, Beavin e Jackson, 1967), per anni uno dei testipiù autorevoli in tema di teoria e terapia sistemica.

I terapeuti che fondavano le proprie teorie sulla prima cibernetica nonpotevano certo essere insensibili al tempo. Ma la teoria su cui si basavanonon permetteva di rilevare il cambiamento come un continuum, un divenire,bensì obbligava a vederlo come passaggio da un fotogramma all'altro in unapellicola cinematografica. Invece d'un flusso, quello che si vedeva era unasuccessione di pattern statici ripetitivi. Ciò era dovuto principalmente a dueragioni. La prima era la centralità della retroazione negativa, la secondal'analogia con le macchine calcolatrici di Wiener, i cui circuiti hanno sem-pre la possibilità di ripartire da zero, cioè di azzerare il tempo trascorso, pertrasformarsi in tabula rasa.

Si noti per inciso che un'importante differenza fra il modo in cui adoperiamo la macchina equello in cui ci serviamo del cervello è che la macchina funziona per cicli successivi - privi direlazioni reciproche o con relazioni minime, limitate - e può » ogni ciclo ripartire da zero, men-

tre il cervello, per sua natura, non può mai, neppure approssimativamente, cancellare le sue pas-llte registrazioni (Wiener, 1948, p. 165).

Un sistema umano come la famiglia non può ovviamente rispondereappieno al modello della macchina che riparte da un tempo zero completa-mente vuoto. Necessariamente, conserva una sua memoria e una capacitàdi apprendimento. Da considerazioni di questo genere emerse l'importanzadella distinzione tra sistemi meccanici e sistemi viventi.

Lynn Hoffinan, con il suo articolo Deviation-Amplijying Processes in NormalGroups (1971), rese nota nel campo della terapia familiare la seconda ciber-netica di Magoroh Maruyama, introducendo così una dimensione diacro-nica. Maruyama (1968) aveva enfatizzato in cibernetica la differenza tralistemi viventi e non viventi: se nei secondi prevale la morfostasi, che si pro-duce attraverso retroazioni negative, nei primi prevale la morfogenesi, cheli produce per una prevalenza delle retroazioni positive su quelle negative.Egli descrisse così due tipi di processi cibernetici: processi di riduzione delladifferenza (prevalenza delle retroazioni negative) e processi di amplifica-zione della deviazione (prevalenza delle retroazioni positive). I processi diamplificazione della deviazione possono essere descritti soltanto entromodelli diacronici ed evolutivi. Se prima l'osservatore rilevava soprattuttole retroazioni negative, ora cercava di cogliere l'interazione tra retroazioninegative e positive, e le tendenze del sistema verso la morfostasi o la morfo-genesi. Uno stesso evento in uno stesso sistema avrà conseguenze diversele si verifica in un periodo in cui è massima la retroazione negativa (mas-lima stabilità) oppure in uno in cui è massima quella positiva (massima insta-bilità). Con un diverso linguaggio Prigogine, fervido sostenitore dell'irre-versibilità del tempo nei sistemi biologici, enfatizzava il processo di cam-biamento, che è in relazione alla lontananza dei sistemi dall'equilibrio. Iterapeuti, di conseguenza, diventavano attenti alla scansione degli interventie alla prospettiva in cui inscriverli.

I processi ipotizzati da Maruyama sono tali che gli effetti di un eventoiniziale di portata trascurabile (kick) possono essere ridotti o annullati, oppureamplificati dalla prevalenza delle retroazioni positive, conducendo a una cre-icente divergenza dalle condizioni iniziali. Una piccola, insignificante dif-ferenza fra due membri di una famiglia, ad esempio due bambini, può rap-presentare l'inizio, il kick, di un'amplificazione della differenza nel tempoche può portare allo sviluppo di due storie, di due destini, completamentedivergenti. Nel nostro lavoro di clinici osserviamo spesso gli effetti di que-Ito processo, cioè la co-creazione di una condizione di paziente psichiatrico.La teoria del «capro espiatorio» può essere vista nei termini di questo pro-cesso. Anche in sociologia, la relazione tra devianza e norma può essere vistaattraverso la stessa lente.

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All'inizio degli anni ottanta sono entrate nel campo della terapia fami-liare le idee di Heinz von Foerster. La più importante si riferisce al ruolodell'osservatore nel processo di conoscenza. Egli propone una «ciberneticadi secondo ordine » (« cibernetica della cibernetica »), cioè la cibernetica delsistema osservante, per cui ogni descrizione fatta da un osservatore includei pregiudizi, le teorie, le caratteristiche dell'osservatore stesso. Questa si dif-ferenzia dalla « cibernetica di primo ordine », cibernetica del sistema osser-vato, che separa l'osservatore dall'osservato. Di essa fanno parte la prima ela seconda cibernetica, di cui ci siamo appena occupati.

La centralità dell'osservatore conduce a una prospettiva costruttivista,cioè a una prospettiva che mette al centro il processo « conoscere » in rela-zione all'oggetto «conosciuto». Tre autori all'interno del paradigmacostruttivista, che hanno avuto e hanno un'importante influenza nel campodella teoria e della prassi sistemico-relazionale, e di cui qui ci limitiamo acitare il nome, sono Ernst von Glasersfeld, Humberto Maturana e FranciscoVarela. Centrali nel loro pensiero sono i concetti di «co-creazione dellarealtà» e di «coevoluzione» nelle relazioni umane, che implicano il fluiredel tempo e conducono a una prospettiva storica. Dal loro pensiero allerecenti teorie sulla narrativa, il passo è breve.

Tempo e paradosso

Vogliamo ora affrontare un pezzo della nostra storia, che ci riconducealla lotta che abbiamo dovuto sostenere con il problema Tempo. Agli inizidegli anni settanta i paradossi avevano una posizione centrale nella teoria enella prassi del gruppo di Milano, tanto da ispirare il titolo al libro che uscìnel 1975, Paradosso e controparadosso. Allora, il nostro interesse verso i para-dossi era derivato dalla lettura del libro Pragmatica della comunicazione umana,e soprattutto dal classico articolo Towarda Theory ofSchizophrenia di Bateson,Jackson, Haley e Weakland, centrato sul concetto di doppio legame. Il dop-pio legame vi era definito come un paradosso pragmatico in cui un'ingiun-zione è impartita e negata a due livelli logici differenti, senza che sia offertala possibilità di commentarla o di uscire dal campo. In questa forma il dop-pio legame, se ripetuto nel contesto di una relazione significativa di dipen-denza affettiva, era visto come generatore di patologia.4

In anni successivi, l'idea di doppio legame e di paradosso fu sottoposta acritiche, in particolare, da parte di Dell (1981) e di Cronen, Johnson eLannamahn (i98z). La critica riguardava soprattutto il concetto dei livellilogici russelliani, su cui Bateson aveva fondato la sua teoria del paradosso.Come ricordano Cronen e collaboratori, il doppio legame si basava su unafilosofia in cui il linguaggio era visto come rispecchiamento di una realtà

4 Bateson (ipySb, p. 221) dichiarò però che «non c'è un singolo passaggio che io rimpiangatanto nella mia vita quanto quella "ricetta" all'inizio del lavoro originale sul doppio legame ».

I, esterna, di per sé aliena dall'autoriflessività. Tale filosofia era portata allesue estreme conseguenze dalla teoria dei tipi logici di Whitehead e Russell,secondo la quale una classe non può essere membro di sé stessa. SpencerBrown mosse a Bertrand Russell e alla teoria dei tipi logici una critica deci-siva: la teoria dei livelli logici era adatta a un sistema logico come quello deiPrincipia Mathematica, un mondo ordinato e atemporale, da cui i paradossidevono essere espunti per mantenere la necessaria coerenza logica. Nel lin-guaggio naturale, che non è così ordinato e coerente, anzi abbonda di con-cetti maldefiniti, di fuzzy concepts, il paradosso è inevitabile, e contribuiscealla ricchezza delle lingue e alla creatività.

Bertrand Russell, da ultimo, concordò con le critiche di Spencer Brown.Bateson, a sua volta, venuto a conoscenza di esse, accettò nelle sue ultimeopere di ridiscutere il ruolo della teoria dei livelli logici nei sistemi umanid'interazione. In Mente e natura (1979) Bateson esemplifica così il suo mutatoatteggiamento (p. 170):

Io ritengo che sia il tentativo di affrontare la vita in termini logici e la natura coercitiva di taletentativo a renderci inclini al terrore di fronte a un accenno anche minimo alla possibilità chequest'impostazione logica giunga a crollare.

Si può affermare che il paradosso esiste nella logica, che è senza tempo,ma non esiste nella vita reale, in quanto la vita reale si svolge in sequenzetemporali. Nel dominio della logica, le contraddizioni tra livelli creano para-dosso; nella vita, dove c'è sequenza e successione, i paradossi compaionoquando, nel linguaggio, si cancellano le sequenze temporali5 (non va dimen-ticato, comunque, che la risoluzione dei paradossi attraverso la considera-zione del tempo era già stata notata nel 1948 da Norbert Wiener).6

Un classico esempio di paradosso, citato anche da Watzlawick, Beavin eJackson (1967), è quello di Epimenide: «Io Epimenide di Creta, dico chetutti i Cretesi sono bugiardi.» Nel mondo della logica, una tale afferma-zione è paradossale: il valore di verità dell'affermazione di Epimenide è inde-terminabile. Proprio Bateson, che aveva proposto quel classico paradossocome esempio di situazione indecidibile, ne indicò la soluzione chiamandoin causa il tempo:

Tra l'altro Bateson, formatosi alla logica nei primi decenni del secolo, ignorava che logi-che più moderne avevano accolto la dimensione del tempo, tradizionalmente trascurata. Dal1050, le logiche temporali costituiscono una branca importante delle cosiddette «logiche spe-culi» (Dalla Chiara Scabia, 1979).

6 «La soluzione di Bertrand Russell ai suoi stessi paradossi fu di attribuire a ogni enunciatouna quantità, il cosiddetto "tipo", che serva a distinguerlo fra quelli che formalmente sembranoenere il medesimo enunciato, secondo cioè che si tratti di "cose", nel senso più semplice, diclassi di "cose", di classi di classi di "cose " ecc. Il metodo con cui risolviamo i paradossi consi-ite anche nel riferire un parametro a ogni enunciato, e questo parametro è il tempo in cui l'enun-ciato è stato espresso. In entrambi i casi, introduciamo ciò che possiamo chiamare un parame-tro di uniformazione, per risolvere un'ambiguità che è dovuta semplicemente al fatto di averlotrascurato» (Wiener, 1948, pp. 170 sg.).

78 Capitolo terzo Modelli di tempo Interattivo 79La verità della questione è che la logica non può simulare tutti i passaggi dei sistemi causali cheoperano nel tempo. La logica crolla quand'è confrontata con i paradossi dell'astrazione: il men-titore cretese o la versione più sofisticata, di Russell, la classe delle classi che non sono membridi sé stesse, che è membro di sé stessa. I logici si sono affannati sopra questi paradossi per 3000anni, ma se un simile paradosso è proposto a un computer, quello risponderà: « Sì, no, sì, no,sì, no... » finché non si rompa o esaurisca l'inchiostro.Il computer opera per causa ed effetto; ne deriva che quando gli eventi interni al computer sonousati per simulare il «se ... allora» della logica, ['«allora» diventa temporale. «Se io chiudoquesto interruttore, allora (quasi subito) la luce si accenderà», rna il «se ... allora» della logicanon contiene il tempo. « Se tre lati di questo triangolo sono uguali a tre lati di quel triangolo,allora i triangoli sono uguali. » Non c'è tempo in quell'« allora ».Perciò, quando sono simulati nel mondo della causalità i paradossi russelliani finiscono per ope-rare così: « Se al tempo i la dichiarazione del Cretese è vera; allora al tempo 2 non è vera; senon è vera al tempo 2, allora è vera al tempo 3; e così via...» Non c'è contraddizione, e il vec-chio «se ... allora» della logica è obsoleto (Bateson, 19783, p. 55).

I paradossi, quindi, nascono quando il tempo viene cancellato attraversol'introduzione di simultaneità di due o più eventi o comportamenti separatiin sequenze temporali. Se nelle relazioni umane, attraverso una significazioneverbale o non verbale, si crea una situazione in cui simultaneamente devonoessere presenti comportamenti contraddittori, allora la situazione è parados-sale. Il paradosso, in altri termini, nasce e vive nel linguaggio. È nel linguag-gio (verbale e non) che possiamo illuderci di vivere nella logica atemporale.E nel linguaggio che spesso, per citare un'ultima volta Bateson (ipyzb), tbingsend up in a mudale; le cose finiscono nella confusione, nel disordine.7

Naturalmente, gli sforzi degli autori sopra citati nel rivedere il concettodi paradosso sono stati molto importanti per noi nell'orientarci nei com-plessi rapporti fra tempo e linguaggio. Come il concetto di paradosso subìl'evoluzione di cui s'è detto, il nostro grande interesse per i paradossi s'affie-volì alla fine degli anni settanta, mentre progressivamente cresceva l'inte-resse verso il tempo e il linguaggio.

Fondamentale fu l'assunto che nella vita reale il paradosso non esiste, inquanto il tempo lo cancella, e che i paradossi esistono soltanto nel linguaggioin quanto, nello stesso, il tempo può essere cancellato. Al tempo di Paradossoe controparadosso, si riteneva che i sintomi fossero in relazione con dei doppi

7 Cronen, Johnson e Lannamann (1982, p. 93) abbandonano la dizione stessa di «doppio;legame» e di «paradosso», sostituendola con «anello autoriflessivo» (reflexive loop):«Quando jdi due o più livelli in un sistema non è chiaro quale sia di ordine più elevato, si forma un anelloautoriflessivo.» In questa concezione, gli anelli autoriflessivi sono di due tipi. I primi non hannoeffetto patogeno, sono quei «paradossi» che caratterizzano la creatività e il linguaggio, e sonodefiniti charmed loops; i secondi sono patogeni, e sono definiti strange loops. È proprio la possi*rbilità di esperire e commentare nel tempo i diversi aspetti di un anello autoriflessivo che deter- :|mina la differenza tra i due tipi di anello: «C'è una dimensione temporale nell'esperienza delle '_relazioni autoriflessive: (...) le persone controllano le relazioni tra significati di ordine inferioree superiore nel corso temporale della conversazione. Il monitoraggio permette loro di perce-pire mutamenti di contesto e problemi nell'adattamento tra il contesto presupposto d'ordinesuperiore e i significati di ordine inferiore » (p. 97).

legami, quindi dei paradossi, che potevano essere sciolti con interventi ad hoc(controparadossi). La relazione terapeutica stessa era ritenuta allora una rela-zione paradossale, in quanto il terapeuta, agente di cambiamento, connotavapositivamente e metteva in relazione i comportamenti di tutti i membri dellafamiglia, alleandosi quindi simultaneamente con Pomeostasi. Alla stessa guisadi Bateson quando analizza il paradosso di Epimenide, se introduciamo iltempo in questi interventi, li priviamo della loro caratteristica paradossale.Una connotazione positiva di tutti i comportamenti, ora, può portare a uncambiamento, poi. L'«ora» e il «poi» che sono nella mente del terapeutanon sono trasmessi nell'intervento terapeutico nel « qui e ora », e pertanto sicrea una situazione che può essere descritta come paradossale: «Va bene senon cambiate, va bene se cambiate», un classico «doppio legame terapeu-tico.» In altre parti del libro descriveremo casi in cui le domande circolari, inparticolare quelle ipotetiche, e alcuni rituali hanno tra gli effetti più impor-tanti quello di introdurre sequenze temporali in quelle relazioni dove la can-cellazione del tempo aveva prodotto disagio, malessere, follia.

Non va dimenticato, comunque, un altro fatto: la cancellazione del tempo,in altri momenti, è (verrebbe voglia di dire, paradossalmente) fonte di crea-tività, di arte, di poesia.

Tempo e paradigma

Useremo spesso in questo libro termini, quali «pattern», «mito», «spie-gazione», «paradigma», cui sono stati attribuiti nel tempo diversi signifi-cati. Noi abbiamo trovato interessante una descrizione di John Mince chemette in relazione questi termini come una serie di trasformazioni lingui-stiche. Il suo è un tentativo di evidenziare la concatenazione dei processicognitivi e linguistici dalla «prima legge della forma» di G. Spencer Brown(1972) fino al concetto di paradigma di Kuhn (1962), costruendo una scaladi distinzioni fatte da un osservatore. Elencheremo in questa sede le primesette delle dieci proposte:

Prima Legge della Forma: « Si tracci una distinzione.»

i. L'unità evocata riceve un nome (parola). (Esattamente in questo punto ha inizio la biolingui-Itica.)

1. All'unità è data animazione o azione attraverso il verbo attivo/passivo.j. È generata una descrizione.

4. E generata una descrizione della descrizione, cioè una spiegazione.

J. Se la spiegazione è accettata da un parlante e da un ascoltatore, è generata una convinzione(btlicf).6. Una serie di convinzioni confluiscono nell'interazione con gli altri in un mito che dura neltempo.

7. Una serie di miti confluiscono nell'interazione con gli altri, nel corso del tempo, in \m para-digma (Mince, 1991, comunicazione personale).

80 Capitolo terzo Modelli di tempo interattivo 81

Tra i molti autori che si sono cimentati nelle descrizioni delle interazionifamiliari in relazione al tempo, abbiamo scelto il lavoro di David Reiss (1981),uno dei più prestigiosi ricercatori nel campo della terapia della famiglia. Sitratta di un esempio interessante di come, partendo da modelli statici, si èarrivati a concepire la famiglia in maniera dinamica. Se nei suoi primi scrittiReiss s'era occupato di delineare quelli che ha definito «costrutti condivisi»(shared constructs) della famiglia, e che erano necessariamente costruzioni sta-tiche, una sorta di «istantanee» della famiglia in un dato momento, lo svi-luppo della teoria lo ha condotto in seguito a collegare tra di loro i « costrutticondivisi » in una dimensione temporale, arrivando a formulare il concettodi «paradigma familiare» (concetto derivato da Kuhn). In questo modo, lasua ricerca è passata da una prospettiva sincronica a una prospettiva dia-cronica. Il paradigma familiare è situato a un metalivello rispetto agli assuntiche una famiglia si costruisce in relazione a specifici avvenimenti, appuntoi «costrutti condivisi».

Quello che Reiss definisce paradigma è l'insieme delle premesse e regole,costruito e stabilizzato a partire da fatti contingenti, ma in seguito raffinatoattraverso un processo di astrazione, fino a perdere tutte le caratteristiche che10 legavano a singoli avvenimenti, diventando un assieme di assunti così gene-rali da poter orientare i familiari in una pluralità estesissima di situazioni. Einteressante notare che il paradigma familiare non è da ricercarsi nella memo-ria, ma nel modo stesso di organizzarsi proprio di quella famiglia:

Sosteniamo che la memoria, nella sua accezione convenzionale derivata dalla psicologia dell'indi-viduo, non è il mezzo né il «deposito» per la conservazione del paradigma familiare. Al con-trario, è la struttura stessa del comportamento interattivo familiare a costituire il fattore pri-

mario di deposito e di conservazione (Reiss, 1981, p. 203).

Quello che è il sistema di significati proprio della famiglia, o se si preferisce11 pensiero o le premesse della famiglia, muta costantemente nel tempo. Il para-digma è concepibile come la forma base delle relazioni dei membri della fami-glia tra di loro e con il mondo circostante, forma che Mary Catherine Bateson(1984, p. 81) ha messo in relazione con «quel genere di coerenza tematica chemio padre chiamava ethos, la pervasività e congruità di stile entro un sistemache rende ogni cultura qualcosa di più che una lista di tratti e istituzioni ».

Tempo e rituali familiari

Come riesce il paradigma a mantenersi relativamente stabile nel tempo?Attraverso i rituali, ovvero eventi solenni, ben distinti e rarefatti nel tempo;e attraverso la serie degli eventi minimi e routinari che scandiscono il tempodella quotidianità.

David Reiss (1981) definisce «cerimoniali» un particolare genere dirituali, cioè avvenimenti di grande impatto emotivo, con forti connotazioni

simboliche. Sono episodici, si verificano in poche occasioni significative, erichiedono la presenza di tutti i membri della famiglia. Noi abbiamo unavisione più ampia del rituale, che include anche eventi che Reiss definisceregolatori, e che si svolgono nella vita quotidiana, caratterizzandone l'anda-mento.

I rituali sono tra i più importanti fattori di continuità nel tempo dellafamiglia. Citeremo uno degli esempi di Reiss. Si tratta di una famiglia incui i valori guida erano l'aggressività e l'autonomia dei membri maschi; ilrituale che perpetuava questo sistema di valori si svolgeva ogni volta che ilpadre tornava a casa da una delle sue lunghe assenze per lavoro: il padres'impegnava in un breve corpo a corpo con ciascuno dei figli, mentre lamadre se ne stava in disparte a incitarli. In un rito così semplice è racchiusoun insieme di significati sorprendentemente ricco. Innanzitutto, il paradigmafamiliare - aggressività controllata e ben diretta - è messo in atto con grandepregnanza emotiva; in secondo luogo, il rapporto padre-figli è ribadito intutta la sua potenza. Va notato, oltretutto, che all'epoca dell'infanzia edell'adolescenza dei figli il padre limitava la propria forza per non far loromale, mentre in seguito i figli adulti si limitavano a loro volta per non nuo-cere al padre settantenne: il rito marcava, nella continuità, l'irreversibileevoluzione biologica della famiglia.

Per mezzo di quel rituale, il passato della famiglia (la tradizione di forza,indipendenza e autonomia maschile) entra nel presente di tutti i familiari ene plasma la forma:

Attraverso ogni ripetizione, la famiglia di nuovo sperimenta un aspetto cruciale del proprio pas-sato, come se il passato fosse presente: la durezza e il successo nella competizione, propri delpassato remoto della famiglia, e insieme il passato più recente, quando i figli adulti erano bam-bini. In effetti, la fusione di passato e presente si cristallizza intorno all'esperienza di paternità:i figli, uno dei quali ora è un padre, sperimentano sé stessi come padri del proprio padre, in unrituale il cui speciale significato deriva dai ricordi di sé come figli piccoli del padre. L'esperienzadi fusione del tempo, percepita nei pochi e fugaci avvenimenti di questo rito, può essere con-cepita come una de-differenziazione di passato e presente, che permette al passato di vivere nelpresente, di dargli forma e guidarlo (Reiss, 1981, p. 238).

Questi rituali «di celebrazione», che presentificano il passato, tutelanola continuità della famiglia. Un rituale, invece, che offusca o cancella il pas-sato è quello che Goffman (1961) ha battezzato «rituale di degradazione».L'esempio tipico è la comparsa di un capro espiatorio in una famiglia. Icomportamenti suoi e dei familiari che lo circondano si ripetono e si rinfor-zano ciclicamente, assumendo la natura regolare e inesorabile del rito.L'effetto di quest'ultimo rituale sulla famiglia è opposto a quello del rito dicelebrazione: invece di tutelare la continuità fra passato e presente, provocaun arresto, un blocco. Nel presente avviene una polarizzazione fra valorinegativi, attribuiti al capro espiatorio, e valori positivi, attribuiti agli altri.

82 Capitolo terzo Modelli di tempo interattivo 83

Questa polarizzazione si contrappone a una situazione precedente, moltodiversa, di cui si perdono le tracce: in precedenza, ciascun membro dellafamiglia aveva la sua quota di positività e negatività, di bianco e di nero, orauna persona è nera e gli altri sono bianchi, e l'oblio ha isolato totalmentequesta realtà da quella passata.8 In questi casi, è come se la presentificazionedel passato fosse esclusa dalla consapevolezza dei partecipanti. La famigliasi irrigidisce in un pattern ripetitivo che le impedisce di muoversi lungo laspirale del tempo.

Gli eventi minimi, i «regolatori», agiscono nel tempo e sul tempo inmaniera più continua e sottile. Sono quegli atti ripetuti che danno regola-rità quotidiana alla vita familiare. I regolatori orientano la famiglia nel tempo,consentendo a ogni familiare di costituirsi un orizzonte temporale e di sin-cronizzarlo con quelli degli altri membri della famiglia. Il grado di sincro-nizzazione dei tempi individuali dei componenti della famiglia è evidenzia-bile nelle caratteristiche di rigidità o flessibilità, di armonia o disarmonia,di maggiore o minore conflittualità, osservabili nell'unità familiare. A cia-scuno è noto che esistono famiglie «lente» o «veloci», famiglie i cui mem-bri sono ben sincronizzati e altre in cui ogni membro segue propri orari eabitudini. Anche la mancanza di sincronia può essere un regolatore comeun altro; anche in questo caso i familiari - come ogni sistema umano neltempo - troveranno la loro coerenza. Casi di famiglie desincronizzate inquesto modo sono stati studiati da Minuchin e dal suo gruppo in Familiesofthe Slums (Minuchin e altri, 1969). Si potrebbe persine proporre una tipo-logia familiare basata sul parametro della sincronizzazione, che andrebbedalla famiglia «sincrona» alla famiglia «asincrona». Il che, tra l'altro, sug-gerirebbe un'analogia con la nota tipologia minuchiniana che situa le fami-glie su un asse che va dalle famiglie «invischiate» a quelle «disimpegnate».

All'interno del processo evolutivo familiare, la sincronizzazione hacomunque un ruolo fondamentale a molti livelli. Se non si crea nella fami-glia una sufficiente sincronizzazione linguistica, comportamentale, affettivae cognitiva, cioè una significativa esperienza di intimità, i rischi di futuredisfunzioni diventano rilevanti.

Un esempio elegante della complementarità tra intimità e individuazioneè fornito da Mary Catherine Bateson che, nel suo libro With a Daughter's Eye(1984), racconta di come sua madre, stretta tra esigenze contrastanti, lavoroe maternità, voglia d'esperimento e attaccamento alla tradizione, cercava dicreare attorno alla figlia un ambiente che le desse insieme un senso di conti-nuità e la possibilità di crescere flessibile e adattabile. Proprio per questomotivo, le diede da un lato una casa stabile e una solerte governante - «nes-

8 Cari Whitaker, con una delle sue pittoresche metafore, rappresenta la terapia familiarecome un evento in cui il terapeuta entra nella famiglia dove il paziente designato è il «cavalierenero » e gli altri i « cavalieri bianchi », e il suo compito è quello di rendere rutti grigi.

suno che abbia avuto una governante inglese può crescere senza un sensodi continuità» (p. 29) - portandola però nel contempo a vivere nella stessaabitazione d'una numerosa famiglia di amici, con molti figli d'età diversa.In tal modo Catherine poteva crescere insieme ad altri nella stabilità, maaveva anche la possibilità di scegliere se starsene per conto proprio.

Per costituire una famiglia, è necessaria innanzitutto una continuità affet-tiva, la reciproca «fiducia di base» (Bowlby, 1982), la certezza per ciascunoche gli altri possano rendersi disponibili nei momenti di necessità. Tale con-tinuità affettiva è la base di quella sicurezza che permette a ognuno di noidi staccarsi dall'altro e di ritirarsi in sé stesso. Secondo Eliot Chapple (1970)abbiamo un ritmo interno che detta la possibilità d'interazione con gli altrie con noi stessi, cioè la capacità di vivere in un « tempo pubblico » e in un« tempo privato ». Ove la famiglia è la prima istituzione sociale, questa costi-tuisce il contesto di apprendimento della capacità di modulare l'interazionecon gli altri, di passare dall'estraneità all'intimità e viceversa. Il bisognod'intimità è universale, ed è al centro della vita familiare,9 dove esperiamoe sviluppiamo diverse intimità: con il genitore, con i fratelli, con il coniuge,con i figli, e infine con noi stessi. Per Lynn Hoffman (1981) questa danzadell'intimità è uno dei motivi dell'esistenza e della persistenza dell'istitutofamiliare, al di là dei mutamenti culturali. Uno sviluppo armonioso delleesperienze d'intimità all'interno della famiglia favorisce il processo di indi-viduazione e separazione, permettendo così di vivere non solo il tempo col-lettivo della famiglia, ma anche il proprio tempo individuale.

Nel libro testé citato di Mary Catherine Bateson c'è un vivido esempiodella trasmissione di un'originale esperienza d'intimità madre-figlia da unagenerazione all'altra. L'autrice narra di come sua madre, Margaret Mead,cercasse di trovare una calibrazione tra i ritmi del proprio lavoro e quellidelle poppate della figlia, in modo da creare una regolarità nuova, un sistemamadre-bambina la cui coerenza non era predeterminata.

Quando Margaret pianificò il modo di curarmi e nutrirmi, cercò di combinare la generosità dellemadri più primitive, che accudiscono i bambini ogni volta che piangono e rimangono costantementecon loro, con le risorse della civiltà, l'orologio, e anche questo significava prender nota. Prendevanota delle ore in cui io chiedevo cibo e poi, analizzando questi tempi, costruiva un orario dall'ordineimmanente nei ritmi del mio corpo, che avrebbe reso il processo abbastanza prevedibile da consen-tirle di programmare lezioni e riunioni e sapere quando essere a casa per occuparsi di me. Conservoancora il taccuino con quegli orari e altre osservazioni, come pure quello in cui mia nonna avevaannotato le sue osservazioni di Margaret bambina, e quello dove io trascrivevo le mie osservazionidi mia figlia Vanni, mentre io uscivo tra una poppata e l'altra, a tenere un seminario o ad analizzarefilm delle interazioni di altre madri con i loro bambini (M C. Bateson, 1984, pp. 22 sg.).

Non va dimenticato, comunque, che la prossimità emotiva e l'intimità della famiglia occi-dentale evoluta non valgono per tutte le forme di famiglia. Nei secoli passati (e tuttora in altresocietà, come quella indiana tradizionale) la famiglia eri certo una depositarla di paradigmi eregolarità, ma non sempre dispensava intimità, sia tra coniugi lia tra genitori e figli.

84 Capitolo terzo Modelli di tempo interattivo 85

Uno degli autori di questo libro si è trovato anni fa, a Tei Aviv in Israele,a colazione con Mary Catherine Bateson e sua figlia Vanni. Mary Catherineraccontò che in quel periodo si trovava in Israele con la figlia sedicenne, permostrarle il Medio Oriente, come la madre Margaret aveva fatto con leiquando lei stessa era sedicenne. Il minimo che si può dire è che in quellafamiglia l'intimità e la continuità non erano mai mancate!

Tempo e narrazione

L'uso della narrazione come metafora per descrivere le relazioni fami-liari e, soprattutto, la loro evoluzione nel tempo, è uno sviluppo relativa-mente tardivo, anche se il suo primo abbozzo è rintracciabile negli scritti diFerreira (1963) sul «mito familiare».

Le narrazioni che noi facciamo costruiscono la nostra realtà, possono essestesse diventare realtà. Questo è l'assunto di base delle teorie narrative dellafamiglia. In tale ottica, la famiglia è la storia narrata dai suoi stessi attori.Alla storia contribuiscono tutte le persone, reali e ipotetiche (ad esempio ;un bambino non nato), passate e presenti, che nel tempo diventano signifi-1cative per quel gruppo umano. Come nelle antiche tradizioni orali, ciascuno Iracconta, ricreandola ogni volta, la sua versione personale, la sua storia. Il fmodo in cui le varie storie s'intersecano costituisce la vita della famiglia; la'jconcordanza o discordanza delle storie genera concordia o conflitti tra i suoi jcomponenti.

Carlos Sluzki scrive:

La nostra realtà sociale è fatta e si svolge attraverso delle narrazioni, che danno vita ai conte-!;!sti, alle cornici, in cui noi diventiamo consapevoli di noi stessi e degli altri (...) ordinando nel |tempo gli avvenimenti. (...)Ciò che chiamiamo realtà consiste e, riflessivamente, si esprime nelle descrizioni che le persone jdanno di avvenimenti, persone, idee, sentimenti, storie ed esperienze (...) Queste descrizioni, alloro volta, si sviluppano attraverso le interazioni sociali che contribuiscono a definire (Sluzki,,j1991, pp. 5 sg.).

a

L'attualità del modello narrativo può essere spiegata in tanti modi. Unodei più plausibili, comunque, è la limitatezza dei modelli paradigmatici, chejrivelano tutti, presto o tardi, innegabili carenze.10 Bruner (1986, pp. 54 sg.)|osserva come spesso gli economisti, quando le teorie falliscono, ricorrono!a racconti, sui manager giapponesi o su altre contingenze del mondo eco-Inomico, per spiegarsi gli eventi:

i10 È singolare che, analogamente ai terapeuti della famiglia, Paul Ricoeur (1985) abbia riscon- \o la stessa limitatezza nelle teorie filosofiche del tempo. LVaporetica della temporalità » può

essere risolta, alla fine, soltanto dal ricorso alla narrazione, al racconto, al pensiero narrativo.

Una volta che abbiano preso forma, queste narrazioni «fanno» gli eventi e «fanno» la storia.Else appartengono alla realtà dei soggetti della storia. Per un economista (o per uno storicoiconomicista) ignorarle, sia pur argomentando che a foggiare il mondo dell'economia sono le« forze economiche generali », sarebbe come mettersi i paraocchi.

Una delle prime metafore narrative delle interazioni familiari è stato ilgià citato «mito familiare» di Ferreira (1963). Il termine «mito» si riferi-ice a una serie di convinzioni condivise da tutti i membri di una data fami-glia, cui i familiari attingono la propria identità, e a una «storia» che indicaloro il modo di vivere e di adattarsi alla realtà interna ed esterna della fami-glia. Il mito è concepito come un costrutto sovraindividuale, come unacostruzione statica, al di fuori dello scorrere del tempo. Il mito familiare eraconsiderato una storia che plasma le interazioni della famiglia e, coerente-mente con il paradigma dell'omeostasi familiare, prevalente in quegli anni,diventava una sorta di stabilizzatore delle interazioni.

Come i miti greci classici, anche quelli familiari sono storie con un'evo-luzione temporale interna, non coordinata a quella esterna. La famiglia chevive nel mito percepisce la propria vita nel divenire, ma all'osservatore esternopuò sembrare che giri su sé stessa, senza una vera evoluzione, può sembrareferma in relazione al tempo della cultura in cui l'osservatore è immerso. Sela discrepanza con l'esterno diventa eccessiva, possono sorgere seri problemi.Così la «famiglia Gasanti» descritta in Paradosso e controparadosso (SelviniPalazzoli, Boscolo e altri, 1975) era immobilizzata in una cornice temporaleestranea al contesto della cultura circostante. Torneremo più estesamentelui mito nel capitolo 8.

Gli anni ottanta hanno visto un ravvivarsi dell'interesse per la metaforanarrativa. Fra i diversi autori, citeremo White e Epston (1989), che hannoproposto una concezione narrativa spiccatamente diacronica, in cui sono leItorie personali ad avere la funzione cardine: quando di una persona si puòraccontare una sola storia, le sue opzioni nel futuro si trovano a essere dram-maticamente ridotte. Michael White (1984) offre un illuminante esempiodi questa concezione nel descrivere un caso di encopresi infantile. Nellefamiglie dei bambini encopretici le uniche storie che si riuscivano a rac-contare erano storie di vergogna e di sporcizia, che continuamente confer-mavano l'incapacità dei bambini di controllare gli sfinteri e la delusione deigenitori, che non riuscivano a indurre i bambini a controllarsi. Localizzarenella storia i rari episodi in cui il bambino s'era comportato in modo da nonconvalidare le sconsolanti premesse diventava un modo per coagulare sto-rie nuove, che consentivano di liberarsi dal sintomo. Nel caso dei bambinicon encopresi, il loro essere encopretici determinava tanto la percezione cheavevano di sé stessi, quanto quella dei genitori, in modo tale che il percorsodei bambini diventava una lunga serie di insuccessi. Per poterla interrom-pere, era necessario allora trovare un punto di discontinuità, un «successo

86 Capitolo terzo

unico », che poteva fungere da punto di partenza per la costruzione di unanuova storia, una storia fatta di successi. Un analogo modo di procedere erastato seguito, anni prima, da Milton Erickson (1980). Uno dei cardini delmetodo ericksoniano era la tendenza a enfatizzare la positività nei raccontifatti dai suoi pazienti.

White e Epston (1989) citano un esempio storico di come l'inserimentodel passato in una storia piuttosto che in un'altra può cambiare il senso delpresente e del futuro e avere effetti pragmatici di grande portata. Fino aglianni quaranta, la storia degli Indiani d'America era narrata da tutti (nativie antropologi) come una storia in cui il passato era glorioso e il futuro eral'assimilazione nel meltingpot della cultura americana, mentre il presente siriduceva a una descrizione di disfacimento e disperazione. Negli anni cin-quanta iniziò a farsi strada una diversa lettura di quella storia. In essa il pas-sato era visto come sfruttamento da parte dei bianchi, il futuro come risor-gimento. E, per quanto gli eventi quotidiani del popolo indiano non fosseromutati granché, il senso loro attribuito cambiava completamente: la vitamisera e marginale era letta non più attraverso la lente della disgregazionee dell'inferiorità razziale, ma come un esempio della dignità d'un popolosfruttato che ha come unica scelta la resistenza passiva.

Tradotta in termini più generali, la teoria, che deve molto ai lavori diMichel Foucault (1966), implica che una famiglia è formata da un insiemedi storie variamente intrecciate, storie che spesso affondano le proprie radiciin tempi remoti, e che non solo danno forma al passato e al presente, maimpongono a tutti i familiari vincoli nella costruzione o nell'immaginazionedi un futuro.

Quanto più il sistema familiare riesce ad accettare una pluralità di storie,anche contrastanti, tanto più i suoi membri hanno la possibilità di arricchirsiemotivamente e intellettualmente, di rendersi autonomi, di individuarsi esepararsi nel corso del tempo. Se una famiglia è aperta a poche storie, o èraccolta intorno o è dominata da un mito, entrerà facilmente in crisi di frontea storie incompatibili con le proprie, e sarà possibile la nascita di sintomi.Ci sono periodi nella vita di una famiglia, primo fra tutti l'adolescenza, cherichiedono ai suoi membri un alto grado di flessibilità e tolleranza per per-mettere il sorgere di nuove storie. In caso contrario, possono nascere dellestorie cliniche. Il già citato esempio della famiglia Gasanti apparteneva pro-prio a questa categoria.

Naturalmente l'individuo e la sua famiglia sono immersi in una cultura,che al giorno d'oggi è in rapida evoluzione. La cultura fornisce un reperto-rio di possibili temi narrativi, di modelli che possono anche entrare in con-trasto con i miti o le storie trasmesse alla famiglia attraverso le generazioni.In questa chiave, una famiglia « normale » - con tutte le riserve d'obbligosul termine - sarebbe una famiglia in cui è possibile mediare e risolvere i

Modelli di tempo interattivo 87

conflitti che nascono inevitabilmente al suo interno e in relazione con lacultura circostante. Ne deriva che l'intrecciarsi delle storie provenienti dallegenerazioni passate con quelle offerte dalla cultura presente può essere fontedi creatività e di crescita, come può essere fonte di sintomi e di angosce. Inletteratura, spesso le famiglie del primo tipo sono descritte come flessibili,quelle del secondo come rigide.

A volte, per alcune persone, un modo per uscire dalle sofferenze e dal-l'angoscia, e di trovare un'armonia tra storie personali e culturali, è l'entrarein terapia. Nell'incontro terapeutico ha luogo

una trasformazione della storia narrata che lasci spazio a nuove esperienze, significati e(interazioni non più vincolati a definizioni sintomatiche e vissuti patologici (...) La domandacircolare è probabilmente lo strumento più efficace al servizio di una conversazione trasforma-tiva (Sluzki, 1991, pp. 6 sg.).

In terapia a volte vengono raccontate storie assai dissimili e divergenti,risalenti al passato più remoto, da parte di familiari che vivono a stretto con-tatto. Un esempio è quello di una ragazza anoressica diciottenne, la secondadi tre figlie. In terza seduta, la ragazza narrò di quanto la madre, fin dallasua infanzia, l'avesse trascurata e trattata con noncuranza, lasciandola solae isolata, tanto che la ragazza era arrivata a eleggere madre la madre diun'amica. Allibita, la madre raccontò invece che quella figlia le era sempresembrata la più forte e autosufficiente, tanto che le aveva sempre concessotutta la libertà possibile, senza capire perché la figlia la ripagasse con mal-celata ostilità. Per anni madre e figlia avevano narrato a sé stesse storiediverse, inconciliabili, che le avevano progressivamente allontanate.Ciascuna attribuiva significati ai comportamenti dell'altra in base alla pro-pria storia, convalidandola così sempre di più. Un secondo esempio è quellodi Jim, un giovane adulto che raccontò una storia della sua vita molto diversada quella raccontata da sua madre (« sta raccontando la storia di un ragazzoche non ho mai conosciuto», disse a un certo punto la madre). Ci occupe-remo più a lungo della storia di Jim nel capitolo 5.

Il più alto grado di divergenza tra le storie raccontate si raggiunge nellefamiglie con un paziente psicotico, il quale spesso racconta storie inverosi-mili o incomprensibili, che tendono a creare un clima d'incompatibilità eincomunicabilità con gli altri membri della famiglia. Un compito del tera-peuta è entrare in contatto con lo psicotico, accettando il suo codice pri-vato e la sua logica, con la prospettiva di riuscire poi a creare un ponte trale sue storie e quelle degli altri.

Vale la pena, a questo punto, di approfondire la relazione tra mito e sto-ria. Una prima distinzione è riferibile proprio al tempo: il mito si slega dalfluire del tempo e si condensa in una storia «compiuta» con un principioe una fine. Una storia presente ha sempre un futuro, mentre un mito non

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ha futuro. Il tempo del mito è un tempo prigioniero, congelato. La stinvece, fluisce come un fiume nel tempo quotidiano: la storia è aperta."

Una seconda distinzione ci riporta alla critica letteraria, e alla differziazione tra caratteri e figure nella narrativa. Secondo la teoria del racccdi Amelie Rorty (19760), in una narrazione

i caratteri sono tratteggiati nelle linee essenziali; i loro aspetti sono abbozzati senza presuche costituiscano un'entità rigorosamente unitaria. Compaiono nei romanzi di Dickens, noiaquelli di Kafka. Le figure sono quelle che troviamo nei racconti moraleggianti, nei romanzi (ficanti e nelle agiografie, ossia in quelli scritti che presentano in forma narrativa dei tipi di ida imitare (p. 302).

Mentre nei miti personali e familiari, come in quelli culturali, i pernaggi sono «figure» statiche e stilizzate, nelle storie non mitiche i pernaggi sono «caratteri» realistici, in carne e ossa, e possono essere descin maniera fluida, dinamica, aperta al cambiamento.

Un'ulteriore distinzione su cui vorremmo soffermarci è quella tra siste narrazione. «Sistema», per definizione, si riferisce a un gruppo di elimenti in reciproca relazione entro un confine (boundary), e necessariamerichiede una dimensione spaziale. Come descriveremo nel capitolo che segnei primi anni settanta abbiamo lavorato con l'approccio sistemico-cibenerico di Palo Alto, che si basava prevalentemente sulla dimensione sincnica. In seguito, abbiamo introdotto il tempo. La narrazione, invece, si rifrisce propriamente alla temporalità, più che alla spazialità. In essa le vicendumane sono storie che si dipanano nel tempo. Da questa breve descrizionrisulta che per noi è stato facile accettare anche il pensiero narrativPossiamo dire che oggi ci serviamo di entrambe queste lenti, in una « visionbinoculare» che ci consente di orientarci nel tempo e nello spazio.1' Conaffermò Bateson, due punti di vista sono meglio di uno.

11 Un diverso modo di concettualizzare l'incontro fra il mito e la storia particolare di un soggetto o di un gruppo di soggetti è che la storia « compiuta » del mito confluisce in essa, iquistando senso e tempo.

12 La dicotomia sistema/narrazione è per certi versi analoga a quella che, negli anni settanta, Iopponeva sistema e struttura. In quel caso, Minuchin e Haley scelsero la visione strutturale, il|gruppo di Milano quella sistemica.