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Ready4AfricaNews - ANNO III, N.20 5-6-7 AGOSTO 2011 “Ma tu ci vivresti qui?” GLI ULTIMI GIORNI IN KENYA ANNO III N.20 HAPA TUKO + LEO-MAJOR MATURIPERL’AFRICA NEWS READY4AFRICA L’Africa che ti toglie le forze Pagina 2-3 Nairobi Kenya ma che passione Pagina 6-9 Rullo di tamburi preparativi per il rientro Pagina 4-5 Torno a casa per ripartire Pagina 10

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Ready4AfricaNews - ANNO III, N.20

5-6-7 AGOSTO 2011

“Ma tu ci vivresti qui?”GLI ULTIMI GIORNI IN KENYA

ANNO III N.20

HAPA TUKO+L E O - M A J O R

MATURIPERL’AFRICANEWSREADY4AFRICA

L’Africache ti toglie le forzePagina 2-3

Nairobi Kenyama che passionePagina 6-9

Rullo di tamburipreparativi per il rientroPagina 4-5

Torno a casaper ripartirePagina 10

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Ready4AfricaNews - ANNO III, N.20

L’Africa che ti toglie le forze

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Il bollettino medico si è infittito ogni giorno di più.

Chissà dove diavolo l’avremo preso, chissà se per tutti è stata la stessa cosa? Certo mi sarei aspettato

qualcosa del genere a Nairobi, nelle baraccopoli

anche se in effetti le altre due volte tutto è andato liscio. Fra immondizia, liquami e schifezze di tutti i

tipi non ci è successo nulla se non qualche martellata sulle dita o un po’ di tosse da smog ma appena usciti

da Nairobi è cominciata la falcidia. Certo aveva

iniziato Edoardo con qualche mal di pancia sospetto e vomito mentre eravamo ancora all’Orfanotrofio ma

francamente pareva cosa controllabile: una dormita, un giorno a casa e via. All’arrivo a Mugunda la cosa

si fa seria. La sera stessa sei sette hanno diarrea,

vomito, febbre, un mattone sullo stomaco e un’aria da lazzaretto. L’acqua qui è quel che è, noi ci stiamo

ormai poco attenti perché i primi giorni ci è andato tutto bene e ci scambiamo bottiglie come vecchi

amiconi, ma fatti i conti dell’incubazione proprio non

si capisce, e forse poco conta. Conta il fatto che c’è un via vai continuo in bagno, gente che si alza nel cuore

della notte decine di volte, tocca trasferire i pochi sani nello stanzone delle femmine e non fosse per la

farmacia della Tamara, la precisa scansione delle

pastiglie tenuta dalla Claudia staremmo freschi. Io racconto la mia, solo per dare un’idea di com’è

l’Africa vista così, solo perché è uno spaccato istruttivo dell’Africa vera. Ricordo che a salir sulla montagna

fino alla diga di Don Romano mi sentivo stanco

morto, ma sarà l’altitudine, pensavo, o la vecchiaia. Reggo fino a mezzanotte anche con il gruppo Mufoa

ma mi sento cadere e mi rifugio sotto le coperte infreddolito. A mezzanotte devo andare in bagno e ci

resta metà di me. Comincio ad avere freddo, sto sotto

le coperte.

B a g n o , c o p e r t e ,

b a g n o ,

c o p e r t e fi n c h e

v i e n e l a mattina, mi aggiungo umile alla lista degli infetti e

misuro la febbre. 38.5, freddo, debolezza assoluta,

dolori alle ossa e alla pancia che pare diventata lo scarico di un lavandino. Si deve partire per tornare a

Nairobi, sei ore e mezza di matatu per fare duecento chilometri, strade di sassi che sarebbe meglio la Parigi

Dakar. Si aspetta di vedere se le cose migliorano, ma

alle due massimo si deve partire. Io sono il più malandato, qualcuno sta meglio, i farmaci hanno

fatto calare la febbre, la mia invece è salita nonostante pastiglie e pastigliette. Parto a 40.1 steso fra bagagli e

coperte in fondo al matatu. Grazie amici miei, mi

sento coccolato come un bambolotto con una che mi porta l’acqua, Carlo che mi sistema le coperte, un

altro che mi chiede come sto: sto da cani ma mi sento curato come un vero patriarca. Provo a dormire ma

come fai se la pancia brontola, la strada è assurda e

hai male dappertutto. Ovviamente a metà strada devo fer mare tu t to e scendere per impe l lenze

comprensibili. C’è un bagno in un lavaggio auto: in altri tempi non l’avrei nemmeno guardato da lontano,

adesso mi pare un superlusso anche se non lo

puliscono dal giorno del diluvio e ha un’idraulica inesistente, puro buco nero. Ma via, risalgo pronto al

peggio. Che arriva ovviamente dopo un’ora perché devo riboccare tutto in pieno stradone fangoso

trafficatissimo: ok, dietro un mucchio di terra, carta

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igienica in tasca, buio, gente che passa qua e là, traffico.

Vent’anni di onorato servizio come docente di ruolo azzerati da una diarrea a quaranta di febbre, che ci vuoi

fare? Dico solo che oltre a un’altra bella percentuale di

me ci lascio anche le scarpe, nel fango, grazie a Dio vecchie e vissute. A Nairobi siamo bloccati in mezzo al

traffico per un’ora, incidente, caos di inversioni di marcia. Mi si delineano scenari ancora peggiori ma se

Dio vuole arriviamo all’orfanotrofio dove cado su un

materasso e esalo l’ultimo respiro della giornata. Notte disastrosa al ritmo di dieci quindici minuti: adesso mi fa

ridere ma la notte del 5 agosto 2011 non mi ha fatto ridere per niente. Al mattino misuriamo: trentanove, e

per tutta la mattina non cala. Nel frattempo alcuni

malati sono guariti ma sono entrate nella lista la Marta e la Angela, stessi sintomi anche se con febbre meno

forte. Problema: domani c’è il volo di rientro… Medico? Niente? Ospedale? Si ragiona, di discute fra

capi al capezzale del capo malato, si consulta la suora

infermiara e si opta per il medico indiano dell’orfanotrofio. Detto fatto e ci andiamo in auto in

pochi minuti. Dottor. Ajay Chhaniyara, lo cito perché merita, un gran dottore. Studio dimesso, linoleum tutto

tagliato e consumato, stanzette dozzinali, bagno

inutilizzabile, senz’acqua, segretaria di colore splendida ma mi resta appena un barlume di forza per

apprezzarla. Visita accuratissima, mai visto niente di simile in Italia: gentile, serafico, ci parla di sé, ci

racconta, ci spiega mostrandoci al computer

diagrammi, immagini di gastroenteriti e malarie varie, ci dice che fuori Nairobi il pericolo della malaria è reale

per cui vuole farmi il test antimalaria all’ospedale. Porco Giuda, domani c’è l’aereo… No problem, faccio

il prelievo qui, faccio la prima prova qui adesso, mando

in ospedale e per domani mattina sapete tutto, anzi facciamo anche le analisi delle feci. Prelievo, puntura

per abbassare la febbre, antibiotici, tutto consegnato lì sul suo tavolo, ordinato, con etichetta scritta a mano,

spiegazione paziente, ripetuta per il mio inglese

claudicante. I risultati scansionati delle analisi me le

spedisce via mail domani mattina, ovvio. Mi chiede se

ho fatto la profilassi antimalarica. Sì. Tre anni fa. Cosa ho usato? Malarone? No, Lariam. Uuuh, no no. Il

Lariam non lo usiamo più, dà effetti psichici pericolosi.

Czzzz. Questo qui lo sa al primo colpo senza che glielo chieda e in Italia cadono dalle nuvole. Ma Internet è

arrivato prima in Africa o in Europa? O ci documentiamo solo su quello che ci fa comodo? Finisco

la mia visita, tocca alle altre due malate, e credo

racconterebbero la stessa storia.Non credo sia perché siamo europei: il suo studio era

attrezzato per queste cose, Suor Assunta mi dice che spiega a tutti usando le immagini e i grafici del pc, ha le

etichette e le bustine trasparenti per tutti.

La mia Africa che funziona è questa: la pazienza e la puntigliosità del dottor di Sister

Assunta che tiene i conti della serva, di Sister Alicia che lavora con i piccoli della Somalia, di suor Rose che

lavora nel dispensario di Don Romano, di Suor Rose

che gestisce il centro per i bambini con handicap di Naro Moru. Questa cura minuziosa anche là dove

sembra che una corrente porti via tutto di continuo è la salvezza dell’Africa, qui stiamo sperimentando la

tenacia mentre da altre parti si sperimenta

l’iperefficientismo o la demagogia. Quando saremo alle strette verremo a copiare qui.

Tre postille. Il dottor Ajay Chhaniyara ha una figlia dottoressa in Inghilterra e con la sua competenza mi

chiedo cosa continui a fare qui in una topaia di Nairobi.

Risposta: il suo dovere di medico.Seconda postilla: fare l’esame delle feci lì, cioè in

ambulatorio, implica la spiegazione da parte della splendida segretaria, sorridente e vestita di tutto punto,

sull’uso di vasi e vasetti oltre alla consegna del materiale

in tempo reale. Diciamo che non ero del tutto a mio agio…

Terza postilla: arrivati a casa stiamo già meglio tutti e tre, la puntura ha fatto il suo effetto e la febbre sta

calando. Resto a letto tutta la sera, nottata ancora di

peregrinazioni ma meno frequenti. Al mattino 34.7 di

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Rullo di tamburiINIZIANO I PREPARATIVI PER IL RIENTRO

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Paolo sta ancora molto male, la

notte è stata tormentata da continue corse in bagno e la

febbre persiste, per cui decidiamo

che se per ora di pranzo non è cambiato niente ci rivolgeremo

ad un medico qui vicino che ci ha consigliato Suor Assunta. Nel

f r a t t em p o m i i n c a r i c o d i

recuperare la valigia nuova per Anna, che la Qatar mi aveva

promesso di farmi trovare oggi. Arrivato in centro, tuttavia, mi

dicono che devo andarla a

comprare io, e mi danno un tetto massimo di spesa, per fortuna

d i g n i t o s o , c o s ì a c c e t t o e ottempero (vi risparmio i lunghi

tempi tecnici di attesa). Risultato,

eccomi a girare per il centro di

Nairobi come un cretino con una valigia vuota. Nel frattempo per

fortuna mi ha raggiunto Claudia,

con cui mangio un boccone e r i e n t r o a l l ’ O r p h a n a g e .

Naturalmente andiamo di corsa, perché oggi alle 16,00 è prevista

una lezione di tamburi burundesi

con il gruppo di Simplice, uno dei figli della maestra Violette

della HIS, e così alle 15,15 guido un gruppo di 12 studenti fino alla

Shalom House, mentre Claudia

accompagna Paolo, Angela e Marta dal dottore perché stanno

a n c o r a m a l e . C o n t i a m o inizialmente di ritrovarci tutti in

centro per una serata conclusiva,

tuttavia c’è anche la festa dei 50

anni di vita religiosa di Suor Assunta, e alle 17,30 qualcuno

dovrà partecipare. Insomma, un

grosso intreccio di eventi, cui poi si aggiunge l’incontro fortuito con

Nestor, il Preside della HIS, che vuole incontrarmi nel tardo

pomer igg io in centro per

presentarmi delle persone che potrebbero aiutarci nel progetto

container. Confesso che tra telefonate in inglese, tempi stretti

e trasferimenti non agevoli fatico

un po’ a gestire l’intreccio. Ma tutto alla fine va per il verso

giusto: alla chiesa della Shalom House ci aspettano i suonatori,

che dopo averci dato un saggio

temperatura. A mezzogiorno sono quasi

nor ma le anche s e og ge t t i vamente deboluccio: tre passi e devo sedermi.

L’Africa ti mette in riga così, ti svuota dentro

e fuori, ti incendia e ti congela in meno di ventiquattro ore, prendere o lasciare. Torno

a rivedere il sole verso le dieci, più umile e rispettoso di qualche giorno fa: la truppa sta

abbastanza bene, ce la faremo. Tutti fanno

festa contenti al Patriarca, un po’ scassato ma almeno aviotrasportabile. E anche

l’Assicurazione credo sia contenta.Paolo

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della loro bravura, del senso del ritmo e dell’allegria che li contraddistingue, al grido “This is our culture!”,

ci passano le bacchette con cui fanno risuonare le pelli e ci propongono alcune sequenze semplici che però facciamo inizialmente molta fatica ad imitare. Ci accorgiamo che, oltre al problema di fare la sequenza

giusta, c’è quello di andare a tempo e soprattutto di ascoltare gli altri tamburi ed andare all’unisono con

loro. Dopo 15 minuti a molti fanno già male le braccia (e a me le orecchie), i burundesi capiscono che è una battaglia persa e dopo poco riprendono in mano (anzi, in TESTA) i tamburi e se ne vanno ballando,

cantando e ritmando con una apparente semplicità disarmante. Se non altro, oltre ad aver fatto una esperienza coinvolgente, abbiamo compreso la difficoltà di queste musiche e la grande abilità dei suonatori.

Ovviamente nel congedo non mancano gli abbracci calorosi, rituali quanto sentiti.

E adesso via di corsa in centro, con il bus 46, che ci deposita giusto in tempo davanti agli Archivi Nazionali. Mentre mi incontro con gli amici di Nestor, i ragazzi vanno al City Market per gli ultimi acquisti, e

qualcuno litiga persino con un venditore che lo voleva fregare (e forse ci è anche riuscito). Ma il malumore sparisce presto, quando si trova subito qualche sconosciuto sull’autobus durante il rientro che scambia

qualche battuta scherzosa con te. A causa dei ritardi dovuti ai festeggiamenti di Suor Assunta non

riusciamo a restare in centro, dunque la serata la concludiamo, invitando anche Nestor, vicino a casa in un raffinato ristorante cinese, rasserenati dalle notizie confortanti provenienti dai malati, che stanno meglio. A

quanto sembra, il rischio che qualcuno non riesca a partire domani è scongiurato.Carlo

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Rit. Nairobi, Kenya, ma che passione Nairobi, Kenya, grande emozione Una continua contraddizione Dentro le note di questa canzone

Se c’è una persona che per tutti è molto caraNon c’è dubbio che sto parlando di TamaraMettila in cucina e tu non te ne pentiraiMa non darle la cassa se va al Mercato Masai

O, mamma mia ma quanti banchi devo ancora fare?Con questo bel profumo che mi fa un po’ vomitareAngie ha un’energia che sfoga tutta martellandoMa non vuole dire di ci si sta vendicando

Uno di noi è molto bravo a lavare i piatti Ma è bravo anche ad “agganciare” raccontanto fattiLui parla polacco, italiano e kiswailiEd intrattiene tutti mescolando vari stili

Tra tutte le ragazze, Annalisa è ballerinaChe lo capisci dal modo come appoggia la scarpinaDella fotografia ha fatto professioneAdora le bambine, son .a sua gran passione

Se cerchi delle amiche pronte a ridere e scherzareMartina e Vele devi senza dubbio contattareSon sempre alla ricerca di una smoking zonePerché in compagnia, il fumo s’è più bon! Eh!

Nairobi KenyaMA CHE PASSIONE!

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Giulia fra tutte è la più convintaChe gli orologi in Kenya li fanno a dare a spintaSe poi una zanzara, lei vede da lontanEcco che accorre e le spruzza addosso dell’Autan.

Poi c’è Alessandro sì, lui ti stupisce per davveroPer lui le filastrocche non hanno alcun misteroNon stare a sfidarlo, perchè altrimenti perdiTe credi, dopo aver fatto tremila punti verdi.

Anna è un po’ sfigata la valigia le hanno rottoE deve aver pensato: qui c’è qualcosa sotto.Dimostra molto acume, è molto intelligente,ma le han detto “Sei di quarta!”, e non ha potuti dire niente.

C’è poi la Grande Zia, che cura il giornalino;è pronta ad ascoltare e a mediare nel casinogrande organizzatrice che più brava non l’hai mai vistama se deve far qualcosa, deve prima far la lista…

Silvia ha gli occhi azzurri tra i più belli della bandaChe le fanno il filo dal Burundi e dal RwandaSempre disponibile è una gran crocerossinaLei non ha paura cerca la sua medicina

Se hai cacato troppo e il tuo bagno si è intasatoNon ti preoccupare che Datele è già arrivato;jolly tuttofare è un ruolo che non gli convienema s’adatta a tutto il suo scopo è stare bene!

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Se non c’è il matatu e tocca attendere un pochinoC’è la Marta che ti fa sentire un po’ cretinoQualche suo giochino e l’attesa è un po’ più spicciaMa lei quando vede la Nutella s’impiastriccia

Edoardo si è ripreso con la chitarra in mano;ti si rivolge spesso con quello sguardo starnopoi ti spara una battuta che stenderebe un toroper fortuna c’è Daniele,lo riporta al suo lavoro.

Che dire del buon Tommaso, un grande casinistaDi tutti i ritardatari è il primo della listaMa non si sente in colpa, lui pensai ai suoi affariCon nonchalance consuma le schede cellulari

Chiara è molto sensibile, lo vedi a prima vistaLei s’innamora e soffre, ha lo sguardo che conquistaNon si tira mai indietro, quando c’è da lavorareE poi diventa un ‘altra, se si tratta di ballare

Jolanda no non sembra ma vive la passioneSerbando dentro tutta la sua grande emozioneL’Africa è per lei, come una magiaE allora con le treccine lei se la porta via!

Paolo è il gran Decano, che fa un metro e novantaLui corre, poi su butta, s’impegna e non s’incantaPensa sempre alla truppa, però alla fine lui pureÈ costretto a ricorrere alle nostre cure

E poi ci sono io, che come un deficienteMi inciampo, pedo cose, e non riesco a farci nienteDelmkio spirito goffo vi ho dato un buon assaggioMa se me lo chiedete vi faccio un bel massaggio!

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Son questi dell’Africa il Gruppo dei MaturiChe in questi venti giorni , si son fatti più duriRitorneranno a casa con la coscienza chenel cuore ci rimane un mare di perché!

Nairobi, Kenya, ma che passioneNairobi, Kenya, grande emozioneUna continua contraddizioneDentro le note di questa canzoneCarlo

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Siamo alla fase conclusiva del viaggio, manca poco

e saremo di nuovo a casa, anche se in tre settimane Nairobi e l’Africa un po’ lo erano diventate.

Prendiamo il volo verso le otto, dopo una notte in

aeroporto passata sui sacchi a peli. Ormai ci sentiamo a nostro agio e non è un problema

dormire a terra, tanto meno attirare così l’attenzione di chi, più contenuto, rimane

accomodato sulle poltrone. Ci imbarchiamo e ci

sediamo ai nostri posti. Questa volta la Qatar airlines ci ha concesso uno schermo a testa quindi

decidiamo come intrattenerci. Opto per la musica: suonano gli Oasis con “Wonderwall”. Sono vicino

al finestrino, accanto alle ali. Guardare da qui il

decollo è tutta un’altra storia. Con il naso attaccato al vetro (beata curiosità giovanile!) seguo l’estrema

leggerezza con cui le ruote si staccano dalla pista, la delicata rapidità con cui saliamo in quota.

Siamo sopra la terra ed il mare, a breve sopra le

nuvole. È fatta, ora sì che bisogna proprio tornare. Non saprei dire se mi spaventa maggiormente

l’idea di poter trovare qualcosa cambiato o la possibilità che il cambiamento sia avvenuto altrove,

dentro di me e dentro di noi. Non saprei nemmeno

dire se questo è un ritorno o una nuova partenza. Il bello in aereo è proprio che c’è chi inizia e chi

finisce un viaggio, ma i ruoli non sono mai troppo definiti. In fin dei conti la nostra esperienza non

finisce qui, è solo l’avvio di una crescita. Crescita

che si fonda non solo sulla consapevolezza che dovremo tornare agli obblighi che la quotidianità e

la vita richiedono, ma anche sull’aver preso atto di dubbi e contraddizioni insolubili. Non cercheremo

più di dare una risposta a tutto perché risposta a

tutto non c’è. Per certe cose è necessario farsi testimoni, non attori. Il margine di attività si

restringe parecchio, ma così è più bello. Ora

sappiamo cosa non poter fare e, soprattutto, come fare meglio e con più efficienza ciò che invece

possiamo. Il vantaggio dei venti giorni trascorsi sta proprio nell’aver acquisito una nuova prospettiva e

nuovi occhi. E non sono due nuovi occhi, ma 19

paia che sono riusciti a completarsi a vicenda e lavorare insieme, raggiungendo una visuale

complessiva straordinaria. Ci sono stati quelli di Tamara che come una madre ha cucinato e si è

presa cura di noi, quelli di Daniele che anche

l’ultima notte si è imbarcato con noi in discorsi senza fine su massimi sistemi; quelli della zia

Claudia che si è occupata del giornalino, quelli del Venti sempre pronti a cogliere la convenienza e la

trattazione migliore per un matatu e quelli di

Carlo, velocissimi nel seguire gli accordi del canzoniere nel tentativo di portare vita e animo

all’interno del gruppo. E non dimentichiamo quelli delle mie compagne di stanza che tra un mio urlo

notturno e l’altro sono diventate più amiche che

compagne di viaggio. Che dire, non credo fosse possibile trascorrere meglio tre settimane!

Silvia

Torno a casa per ripartire…COME UN RITORNO DIVENTA L’AVVIO DI UN

PERCORSO TUTTO NUOVO

READY4AFRICA NEWS

REDAZIONE:

JOLANDA BARRA ANNA BATTISTELLA CLAUDIA BEACCOSILVIA BURIOLLA

PAOLO VENTI CARLO COSTANTINO EDOARDO PICCININ

ANDREA SANTIN ALESSANDRO GIACINTA

TOMMASO MARTINVALERIA DE GOTTARDO

MARTA GREGO MARTINA DE FILIPPO

ANNALISA SCANDURRA CHIARA VENA

GIULIA LORENZON ANGELA BRAVO

TAMARA NASSUTTI DANIELE MARCUZZI

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Parenti, amici e conoscenti!

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