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ISLAM I SOTTOMESSI Ogni musulmano (muslim), sia egli istruito o no nella sua religione, intende realmente « sottomettersi » a Dio (tale è il senso del termine Islam) e rendergli così l'onore e la gloria che gli sono dovuti come Creatore e Signore; nel medesimo tempo egli cerca di obbedirgli in tutto, perché la volontà di Dio è per lui una legge di vita e di salvezza. Ogni musulmano sa anche di essere solidale con una moltìtudine di fratelli appartenenti a tutte le razze, a tutte le lingue e a tutte le civiltà, fratelli che costituiscono con lui attraverso il mondo una « comunità di credenti » (Ummà) vasta e potente, «la miglior comunità fatta sorgere per gli uomini», come dice il Corano (3,110). Unitamente a loro egli sa che tutto è cominciato in Arabia, a La Mecca, all'inizio del secolo VII, grazie alla predicazione e alla azione coronata da successo di un uomo di genio, di Maometto che i musulmani proclamano « inviato di Dio » (Rasul Allah). MAOMETTO

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ISLAM

I SOTTOMESSI

Ogni musulmano (muslim), sia egli istruito o no nella sua religione, intende realmente « sottomettersi » a Dio (tale è il senso del termine Islam) e rendergli così l'onore e la gloria che gli sono dovuti come Creatore e Signore; nel medesimo tempo egli cerca di obbedirgli in tutto, perché la volontà di Dio è per lui una legge di vita e di salvezza. Ogni musulmano sa anche di essere solidale con una moltìtudine di fratelli appartenenti a tutte le razze, a tutte le lingue e a tutte le civiltà, fratelli che costituiscono con lui attraverso il mondo una « comunità di credenti » (Ummà) vasta e potente, «la miglior comunità fatta sorgere per gli uomini», come dice il Corano (3,110). Unitamente a loro egli sa che tutto è cominciato in Arabia, a La Mecca, all'inizio del secolo VII, grazie alla predicazione e alla azione coronata da successo di un uomo di genio, di Maometto che i musulmani proclamano « inviato di

Dio » (Rasul Allah).

MAOMETTO

Maometto (570?-632), nacque alla Mecca, da una famiglia del clan umiliato e povero dei Banu Hashim, appartenente della tribù dei Quraish. Rimase subito orfano del padre e a sei anni anche della madre. Di lui, ad un certo momento della giovinezza, si prese cura un suo zio paterno, Abù Tàlib, da cui sarebbe nato Alì, che, come cugino di Maometto, avrebbe avuto un grande ruolo nella storia dell’Islam. Grazie alle imprese commerciali delle carovane de La Mecca, entrò in contatto con gente dello Yemen, della Siria e della Giordania, ed ebbe la possibilità di incontrare molti cristiani, ebrei e uomini « che

cercavano Dio ». Verso i 40 anni attraversò un periodo di crisi religiosa, abbandonò il politeismo della Mecca e si ritirò in una grotta del monte Hirà. Della sua esperienza religiosa non è possibile dire qualcosa di preciso. Il suo biografo Ibn Hisham dice che gli apparve l’arcangelo Gabriele, lo invitò ripetutamente e leggere e gli disse : “O Maometto, tu sei l’Inviato di Allah e io sono Gabriele”. Durante la vita ebbe anche altre esperienze spirituali, che considerò rivelazioni. Nel 610 cominciò a predicare il

Messaggio, che riteneva d'aver ricevuto da Dio: a proclamare cioè in maniera veemente il Dio unico, che crea e risuscita, che giudica, ricompensa e castiga, che invita alla bontà e alla misericordia, che invia i suoi profeti e li fa trionfare nonostante l'infedeltà degli empi. Seguito da pochi fedeli, ma respinto dalla maggioranza dei ricchi abitanti de La Mecca, che erano politeisti e che lo boicottarono e lo perseguitarono, egli si trasferì a Yathrib (Medina) nel 622 (anno dell'Egira, che segna l'inizio dell'era musulmana) e là fondò il primo Stato islamico con l'appoggio dei musulmani del luogo e l'alleanza temporanea di tre tribù ebraiche. Dieci anni di lotta e di predicazione dovevano dare un volto definitivo all'islamismo nascente e permettere infine a Maometto di conquistare La Mecca e unificare le tribù arabe della penisola.

IL CORANO

Maometto, semplice trasmettitore di un messaggio «ricevuto» da Dio e da lui « recitato », ha lasciato ai suoi il Corano (Qur'an significa recitazione), libro sacro che costituisce la fonte prima e ultima del loro pensiero e della loro azione, perché è la «parola stessa di Dio », sussistente da tutta l'eternità e contenente le « chiavi del mistero ». Il testo è derivato da un archetipo celeste, che è presso Allah ed e detto la “Madre del libro” (Sura 43, 4). La rivelazione è avvenuta in “una notte benedetta” (Sura 44, 3 ) dal 26 al 27 Ramadàn ma poi è stato rivelato a brani a Maometto dal 610 al 632 secondo le circostanze stesse della predicazione da lui svolta a La Mecca (610-622) e a Medina (622-632). Un brano posteriore ha abrogato un brano anteriore che tratta dello stesso argomento, cosicché i brani rivelati a Medina abrogano quelli rivelati alla Mecca, dandone uno migliore o uguale ( Sura 2, 106 ). La Sura 13, 39 dice: “Dio annulla o conferma ciò che vuole, e presso di lui è la Madre del libro”. Il « testo », comunicato in una lingua araba chiara e semplice, gode di un’autorità assolutamente divina.

Niente di vero lo può contraddire ed esso contiene il principio di ogni verità. Impararlo a memoria (come fa ogni piccolo musulmano nella scuola di catechismo o kuttab) significa portare nel proprio seno « la parola stessa di Dio »; recitarlo o leggerlo significa pregare e meditare. Conformarvisi significa unirsi alla volontà di Dio, che lo ha manifestato rivelando se stesso solamente sotto il velo dei suoi « bei nomi », che esprimono i suoi attributi o qualità essenziali. Comprendiamo allora come molti musulmani portino un Corano in miniatura appeso a una collana attorno al collo.

I musulmani rifiutano di applicare al Corano i metodi a cui ricorrono i cristiani per la critica e la lettura della Bibbia, perché ritengono che il Corano sia un testo « rivelato » letteralmente da Allah e non solo « ispirato »: il suo autore è Dio stesso e non Maometto. Secondo i Musulmani va quindi tutto interpretato letteralmente, senza che si posa tener conto della cultura e del modo di pensare e di sentire di Maometto e delle circostanze storiche del suo tempo. Anche i più radicali dei modernisti pensano all’ispirazione letterale del Corano da parte di Dio. Nell’Islam non si è mai sviluppato un liberalismo teologico di esegeti, come si è sviluppato nel mondo cristiano, che ammetta una certa libertà personale dell’autore, perché il Corano proverrebbe da Dio parola per parola.

ll testo si compone di 114 sure o capitoli classificati in ordine decrescente di lunghezza. Conservato dapprima per via di semplice memorizzazione da parte dei primi discepoli, è stato poi codificato molto presto secondo una scrittura semplificata in un testo unitario e definitivo, all’epoca del terzo Califfo Uthman (644-651): egli nominò una Commissione di quattro redattori che raccolsero i numerosi e disparati materiali scritti circolanti; dopo di allora continuò anche la recitazione a memoria del Corano e si formarono varie scuole. Nel III secolo dall’Egira si risolse il problema della

scrittura completa del Corano. Dettato in lingua araba, esso non può essere tradotto ufficialmente in un'altra lingua; pertanto

ogni musulmano è invitato ad imparare l'arabo, al fine di poter recitare il Corano e prender parte al culto islamico, dal momento che le parole della preghiera musulmana sono formulate dappertutto in arabo. Il Corano, immutabile nel suo testo, nelle sue parole e nel suo contenuto, è talmente importante per i musulmani e per la loro comunità da costituirne ad un tempo la Bibbia, la Costituzione, il Diritto civile, il Diritto penale, il Codice del galateo e il Libro delle rubriche liturgiche e da riassumere in sé solo tutte le regole della buona condotta musulmana. E’ stato meditato per tredici secoli da generazioni di esegeti, di grammatici, di teologi, di giuristi e di mistici.

VALORE DEL CORANO

Ogni musulmano crede che esistono quattro « libri sacri », con cui Dio ha fatto conoscere agli uomini il suo messaggio: essi sono la Torah (il Pentateuco, cioè i primi cinque libri della Bibbia), i Salmi (semplice raccolta di preghiere, rivelate, ma non vincolanti), il Vangelo (al singolare) e, infine, il

Corano, che « abroga » e rende inutili i libri precedenti. Quanto alle notevoli differenze tra il libro sacro dei Mussulmani e quelli degli Ebrei e dei

Cristiani, Maometto dice che essi hanno falsificato le loro Scritture. (Sura 4, 46 ). La fede musulmana più ortodossa afferma da sempre che la Torah e il Vangelo, che si trovano attualmente nelle mani degli ebrei e dei cristiani, non rappresentano le versioni originali, di cui parla il Corano: l'una e l'altro sono

stati « falsificati » e non rivestono quindi alcun interesse per il musulmano. Questi trova nel Corano quanto, nella pienezza della fede islamica, bisogna ritenere dei libri anteriori. Inoltre è in funzione di

quanto dice il Corano che gli ebrei e i cristiani sono conosciuti, giudicati e valutati. Il Corano non è forse il « sigillo della rivelazione » per sempre inimitabile? « Di': È certo che se gli esseri umani e i djinn si unissero per produrre una rivelazione simile al Corano, non saprebbero produrre niente di eguale, anche se un gruppo aiutasse l'altro » (Corano 17,88).

L’asserzione che Ebrei e Cristiani hanno falsificato i loro libri non è naturalmente sostenibile storicamente. E’ piuttosto il Corano, che pure ha pagine di grande elevazione spirituale, che per troppi

elementi, si discosta notevolmente dalla rivelazione che Dio ha fatto in Israele, in particolare per la negazione della Trinità e della divinità di Cristo, dell’Incarnazione e non è possibile sostenere una rivelazione di Dio in contraddizione con se stesso. Qualunque cosa ne pensino i Musulmani, non c’è nulla che possa provare che il Corano è rivelato.

A questo proposito lo studioso dell’Islam C. Mario Guazzetti dice: “Ciò tuttavia non significa necessariamente che sia opera di un falsario o di un impostore. Probabilmente, la verità è legata alla nozione di “inconscio”. E’ noto infatti che ci sono persone che credono sinceramente di ricevere messaggi uditivi, visivi, intellettivi dall’aldilà; la loro sincerità però non impedisce che tali messaggi provengano in realtà dal loro inconscio. Allo stesso modo, Maometto poteva essere convinto d’aver visto e sentito gli esseri soprannaturali che gli erano stati descritti da ebrei e da cristiani”.

Per i musulmani il Corano, che e è anche la prova suprema dell’autenticità della missione di Maometto ( vedi: Sura 2, 23,), ha una natura incomparabile, essendo come il Verbo di Dio fatto

libro. Tutti i suoi versetti possono servire di preghiera, come serve in modo particolare la prima sura, detta la Fatiha, che gli umili fedeli amano ripeterne, come fanno i Cristiani con il «Padre nostro »: “Nel

nome di Dio, il Benefattore Misericordioso. Lode a Dio, Signore dei Mondi, Benefattore

Misericordioso, Sovrano del Giorno del Giudizio, Te noi adoriamo, da Te imploriamo aiuto!

Guidaci per la via diritta, La via di coloro a cui hai donato i tuoi benefici, Che non sono oggetto del tuo corrucci. E che non sono fuorviati “. ( sura 1, 1 )

LA SUNNA

L'islamismo è essenzialmente la religione di un libro, il Corano, ma conosce anche le ricchezze apportate da una tradizione (sunna) viva, che propone modelli facili da imitare. I musulmani odierni pretendono di essere rimasti fedeli al costume di Maometto, così come è stato loro trasmesso dalle generazioni successive dei credenti. Nell'islamismo non si pensa, ne si decide niente senza ricorrere al testo del Corano e all'esempio del profeta: sono queste le due fonti essenziali di ogni sviluppo islamico autonomo. La « sunna » appare così come la « maniera eccellente», secondo la quale la prima comunità musulmana di Medina ha messo in pratica le regole del Corano imitando il modello profetico che aveva sotto gli occhi. A partire da allora e grazie alla posizione privilegiata che la persona di Maometto è venuta ad assumere nella devozione musulmana, ogni musulmano ritiene pertanto che i propositi, i silenzi e gli atti di Maometto (chiamati hadith) abbiano valore normativo e direttivo. La «

prova in base alla tradizione » è venuta così ad aggiungersi alla «prova scritturistica » e la « sunna » ha finito per diventare anch'essa un oggetto di meditazione per tutte le generazioni musulmane della storia.

Formulata molto spesso in forma di proverbi e di sentenze, ricca di allusioni alla vita di Maometto, essa risulta tanto più accessibile ai piccoli e ai semplici fedeli, in quanto non è priva di valore catechistico!

LA UMMA ISLAMICA

L’Islam è considerato una sola Umma, una sola comunità madre, di cui il capo è Allah. I giuristi islamici hanno coniato la formula: “ L’Islam è religione, stato e società”. E’ governata da Dio per mezzo di un’unica legge rivelata (shari’a). Nella storia plurisecolare, durante la sua fase espansionistica, l’Islam ha saputo integrare culture molto differenti, distribuite in una vasta area geografica. Tuttavia le divisioni ci sono state fin dall’inizio e si sono imposte varie interpretazioni della shari’a. Attualmente nell’Islam predominano due grandi confessioni: Il sunnismo che costituisce l’85 per cento della Umma e lo Sciismo che è seguito da circa il nove per cento. Nel II-IV secolo dell’Egira ha avuto una certa importanza il Sufismo, un movimento religioso ascetico-mistico, il cui nome proviene da “suf” (lana), perché i seguaci vestivano un saio di lana bianca. Il movimento entrò in crisi quando fu condannato per eresia al-Hallai (858-922). In seguito si formarono due correnti, quella

ortodossa di al-Ghazali (1057-1111) e quella con influssi filosofici di Ibn ‘Arabi ( 1165-1240 ) L’unità politica dell’impero islamico non esiste più, e la shari’a si è dimostrata insufficiente

per regolare i rapporti sociali e politici, tuttavia molti ulema (dottori) e numerosi musulmani continuano a pensare all’unità della Umma, che è più un mito che una realtà.

FEDE IN DIO

L'unità dell'islamismo è assicurata non solo dall'attaccamento affettivo dei suoi membri alla « comunità » e al suo fondatore, ma anche da un « Credo » semplice e monolitico, che promana direttamente dal Corano e che presenta al credente un insieme di verità, cui bisogna aderire con l'intelligenza, con il cuore e con le opere. « La fede (iman), dice una hadith, consiste nel credere in Dio, nei suoi angeli, nei suoi libri, nei suoi inviati e nel giudizio finale, nonché nel credere nella predestinazione e nel fatto che essa apporta il bene o il male ».

DIO NELL’ISLAM

I mussulmani adorano “il Dio uno vivo e sussistente, misericordioso e potente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini”, e vogliono essere anzitutto i testimoni del Dio unico, che non ha associati e che a nulla può esse uguagliato.

Mistero di Dio

Dio, posto in alto e nel medesimo tempo vicino, « possiede le chiavi del mistero, che lui solo

conosce perfettamente » (Corano 6,59) e che non comunica a nessuno; il Corano fa dire a Gesù, quando egli si indirizza a Dio: « Tu conosci quel che è in me, mentre io non conosco quel che è in te. Tu conosci perfettamente i segreti invisibili » (Corano: sura 5,116). Tale mistero di Dio viene ordinariamente intravisto attraverso i due più bei versetti coranici, quello del Trono e quello della Luce: « Dio — non vi è alcuna divinità al di fuori di lui — è il Vivente, il Sussistente. Nè sonnolenza, nè sonno lo colgono mai. A lui quel che è nei cieli e quel che è sulla terra. Chi intercederà presso di lui se non dietro suo permesso? Egli conosce quel che c'è nelle mani degli uomini e dietro di loro, mentre essi abbracciano della sua scienza solo quello ch'egli vuole. Il suo Trono si estende al di sopra dei cieli e della terra. Il

conservarlo non lo costringe affatto a piegarsi. Egli è l'Augusto, l'Immenso » (Corano 2,255); « Dio è la

Luce dei cieli e della terra. La sua luce è simile a una nicchia, dove si trova una lucerna; la lucerna è dentro un recipiente di vetro; quest'ultimo assomiglia a un astro scintillante; la lucerna è accesa grazie a un albero benedetto, un olivo né orientale nè occidentale, il cui olio risplenderebbe anche se nessun fuoco lo toccasse. Luce su Luce. Dio versa la sua Luce, dirige chi egli vuole » (Corano 24,35).

Dio è unico

Anzitutto, Dio, com'è presentato nel Corano, è «unico». L'unicità è il carattere fondamentale di

Allah: «II vostro Dio è un Dio solo» (s. 16, 22). «Dio! Non c'è altro Dio che Lui, l'Iddio a cui appartengono i nomi più belli» (s. 20, 8). E’ detto nella sura 112: «Dì: Egli, Dio, è Uno. Dio, l'Eterno. Non generò nè fu generato e nessuno gli è pari». E’ qui espressa l'essenza del Credo musulmano, rigidamente monoteista; contro il politeismo arabo, si afferma l'unicità di Dio: «L'Iddio vostro è un Dio unico, non c'è altro Dio che Lui, il Misericordioso, il Clemente» (sura 2, 163); contro il

cristianesimo, e forse prima ancora contro i pagani che ammettevano divinità femminili, si afferma che Dio «non generò» e che a Dio «nessuno è pari», cioè Dio è senza figli e senza eguali. Infatti Maometto accusa continuamente i cristiani di affermare che «Dio si è scelto un figlio» (s. 2, 116), mentre «Dio non sopporta che altri vengano associati a Lui: tutto il resto egli perdona, ma chi associa altri a Dio commette colpa suprema» (sura 4, 48).

Maometto, che ha del cristianesimo una conoscenza gravemente lacunosa, pensa che la «generazione» sia un fatto essenzialmente di ordine fisico e carnale e quindi ritiene che i cristiani credano che Gesù sia il figlio carnale di Dio: questo, per lui, è lo scandalo supremo, perché «non è da Dio prendersi un figlio» (s. 19, 35). Per Maometto, Gesù è soltanto «un semplice servo di Dio»: «O Gente del Libro! Non siate stravaganti nella vostra religione e non dite di Dio altro che la Verità! Che il Cristo Gesù figlio di Maria non è che il Messaggero di Dio, il suo Verbo che Egli depose in Maria, e uno Spirito che proviene da lui. Credete in Dio e nei suoi Messaggeri e non dite: "Tre"! Basta! E sarà meglio per voi. Perché Dio è un Dio solo, troppo glorioso e alto per avere un figlio! [...]. Il Cristo non ha disdegnato di essere un semplice servo di Dio» (s. 4, 171-172). Maometto nega esplicitamente la divinità di Gesù, chiamando i cristiani «empi». Probabilmente Maometto, avendo sentito che i cristiani credevano nella Trinità, pensa che la Trinità sia composta da Dio, da Gesù e da Maria: «E quando Dio disse: "O Gesù, figlio di Maria! Sei tu che hai detto agli uomini: Prendete me e mia madre come dèi oltre a Dio"? E rispose Gesù: "Gloria a Te! Come mai potrei dire ciò che non ho il diritto di dire?"» (sura.

5, 116).

Assoluta libertà

Il secondo carattere essenziale di Dio è l’assoluta libertà: Egli può fare quello che vuole e

nessuno può chiedergli conto di quello che fa: «Egli perdona chi vuole e tormenta chi vuole. A Dio appartiene il dominio dei cieli e della Terra e dello spazio fra essi. Dio è sovra ogni cosa potente» (s. 5,

17.19). Osserva A. Bausani: «II Dio coranico può anche cambiare idea, abrogare quello che aveva detto poc'anzi; anzi, generalmente, quasi tutte le prescrizioni coraniche, quasi a voler sempre rammentare questa libertà di Dio, sono corrette da frasi che suonano "a meno che Dio non voglia altrimenti" e simili. Quindi è inesatto parlare di "fatalismo coranico": sì bene bisogna parlare di libertà assoluta di Dio e di dipendenza totale dell'uomo dall'unico e vero motore e attore dell'universo». Infatti Dio «fa entrare chi

vuole nella sua misericordia» (s. 42, 8), «travia chi vuole e dirige chi vuole» (s. 35, 8). «A Dio appartiene il Regno dei cieli e della terra, Egli crea quel che vuole, concede a chi vuole femmine, concede a chi vuole maschi, oppure appaia assieme maschi e femmine, e rende chi egli vuole sterile. Egli è sapiente possente» (s. 42, 49-50). In realtà, per il Corano, Dio fa tutto: non esistono le «cause seconde». L'uomo non è libero: egli «non può volere nulla se non lo vuole Dio» (s. 29, 29).

Creatore

In terzo luogo il Dio coranico è «creatore dei cieli e della terra», «che aggiunge al Creato ciò

che egli vuole», e che ha creato tutto con perfezione: «Colui che creò sette cieli l'uno sull'altro, e tu non puoi scorgere nella creazione del Misericordioso ineguaglianza alcuna. Volgi in alto la vista: vedi tu fenditure? E volgi ancora in alto due volte la vista: tornerà a te la vista affaticata e stancata» (sur. 35, 1;

sura 57, 3-4).

Rapporti di Dio con l'uomo e dell'uomo con Dio

Ma quali sono i rapporti di Allah con l'uomo e viceversa? Anzitutto i rapporti di Dio con

l'uomo. Dio ha creato l'uomo: «Creò l'uomo da fango seccato come argilla per vasi» (s. 55, 14). Ma, come Dio ha creato l'uomo, così potrebbe farlo scomparire: «O uomini! Voi siete poveri di Dio, e Dio è il Ricco, il sempre Degno di Lode! Se Egli volesse, potrebbe farvi scomparire e creare creazione novella» (s. 35, 15-16). Come creatore dell'uomo, Dio conosce tutto ciò che c'è in lui: «In verità Noi creammo l'uomo, e sappiamo quel che gli sussurra l'anima dentro, e siamo a lui più vicini della vena grande del collo (la vena giugulare)» (s. 50, 16).

Inoltre Dio è Provvidente: Egli «si prende cura» (s. 30, 40) dell'uomo e ha creato tutto per lui: «E la terra l'ha destinata per gli uomini, piena di frutti e di palme cariche di involucri di fiori. E grani di cereali avvolti nelle loro pellicole, e piante odorose. Quale dunque dei «benefìci del Signore voi negherete?» (s. 55, 10-13). Dio hadato agli uomini tutte le cose come «segni» della sua esistenza e della sua bontà «per gente capace di riflettere»: «È Dio colui che ha innalzato i cieli senza pilastri visibili, e poi si assise sul Trono; e soggiogò il Sole e la Luna, e tutto corre verso un termine fìsso. Egli governa la

Causa, Egli precisa i suoi Segni, a che possiate con ferma certezza credere che un dì lo incontrerete! E’ Lui che ha spianato la terra e vi ha messo montagne immobili e fiumi, e di ogni frutto vi ha messo una coppia, e ravvolge il giorno nella veste nera della notte. Per certo vi sono Segni, in tutto questo, per gente capace di riflettere» (s. 13, 2-3).

Nei riguardi degli uomini Dio è «il Misericordioso»: questo carattere è tanto importante da essere, insieme con Allah, il nome proprio di Dio: «Dì: "Invocatelo come Allah, o invocatelo come Rahmàn"', comunque lo invochiate, a Lui appartengono i nomi più belli» (s. 17, 110) che sono 99, presi dal Corano o dai detti di Maometto. In quanto Misericordioso, Allah «il peccato perdona e il pentimento accetta» (s. 40, 3): «Correte dunque a gara verso il Perdono del Signore» (s. 57; 21), perché «Dio è perdonatore benigno» (s. 4, 16). Ma «il perdono si addice a Dio solo verso coloro che fanno il male per ignoranza e poi presto si convertono; allora solo Dio si converte a loro, che Dio è sapiente, saggio. Ma non si addice il perdono a Dio verso coloro che fanno il male finché, quando sopraggiunge a uno di loro la morte, dice: "Ecco, ora mi pento!"; nè verso coloro che muoiono negando: per questi abbiamo preparato castigo cocente» (s. 4, 17-18). Ma, se Dio è Misericordioso e «benefico con i suoi servi» (s. 42, 19) - cosicché anche il peccatore non deve disperare della sua misericordia, poiché «Dio tutti i peccati perdona: Egli l'Indulgente Clemente» (s. 39, 53), è anche «terribile nel castigare» (s. 5, 98) coloro che «non credono» nel suo inviato Maometto: «In verità, coloro che smentiscono i Segni di Dio avranno castigo violento, che Dio è forte e sa vendicarsi» (s. 3, 4). «In verità, la violenza del Signore è tremenda» (s. 85, 12) ed «è violento nell'ira» (s. 13, 13), cosicché «quando vuole male a un

popolo non v'è scampo» (s. 13, 11). Questo vale per gli idolatri, gli ebrei e i cristiani, tutti dannati al fuoco dell'Inferno.

Amore e timore

L'islàm è la religione della «sottomissione» e del «timore» di Dio: «Temete Dio e sappiate che davanti a Lui sarete tutti» (s. 2, 203); non è la religione dell'«amore». Indubbiamente Allah è misericordioso, clemente, paziente e «dolce con i suoi servi» (s. 2, 207) e «affettuoso e misericorde con

gli uomini» (s. 2, 143); ma essi devono temerlo: «Temete Dio e sappiate che egli è con chi Lo teme» (s.

2, 194). Così, per chi va in pellegrinaggio, «la migliore provvista per il viaggio è il timor di Dio: temetemi dunque, o voi dagli intelletti sani» (s. 2, 197). In conclusione: «Temete Dio e sappiate che Dio con violenza punisce» (s. 2, 196).

Nel Corano si parla anche dell'amore di Dio verso gli uomini: «Fate del bene, perché Dio ama i benèfici» (s. 2, 195). «Dio ama i pentiti, ama i puri» (s. 2, 222). «Dio ama quelli che confidano in Lui» (s. 3, 159). «Dio ama quelli che lo temono» (s. 9, 4.7). «Se veramente amate Dio, seguite me e Dio vi amerà e vi perdonerà i vostri peccati, perché Dio è indulgente, pietoso. Obbedite a Dio e al suo Messaggero, e se voi gli volgerete le spalle, sappiate che Dio non ama i negatori» (s. 3, 31-32). Sarebbe falso dire che il Corano ignora l'amore di Allah per gli uomini e degli uomini per Allah, anche se l'amore di Allah è soltanto per i «credenti» e non per i «negatori», che sono in primo luogo gli idolatri e poi anche gli ebrei e i cristiani, dichiarati in maggioranza «empi» e bestemmiatori, perché danno un figlio a Dio!

Tuttavia l'assoluta trascendenza di Allah impedisce che tra Dio e i «credenti» si stabilisca un

rapporto d'intimità profonda. Allah ha pietà e clemenza per la debolezza degli uomini peccatori, che si pentono delle loro colpe e credono nel messaggio che Egli trasmette ad essi per mezzo del suo

messaggero, Maometto, e nei segni, il più grande dei quali è il Corano. Ma Allah non entra in comunione con gli uomini: Egli parla loro soltanto attraverso Maometto. A loro volta, gli uomini hanno fiducia in Allah e si abbandonano a Lui; ma non possono entrare in comunione di amore con Lui, nè in questa vita nè nell'altra.

L'amore di Allah non è perciò della stessa natura della carità cristiana, virtù teologale, che è partecipazione all’agape divina. L'islàm ignora la divinizzazione dell'uomo e la realtà del soprannaturale. Il Paradiso infatti consiste non nell'unione con Dio, ma nel godimento di beni molto simili a quelli di questo mondo, anche se la descrizione della felicità del Paradiso fatta dal Corano va intesa, probabilmente, in senso simbolico.

ALTRI ARTICOLI DELLA FEDE ISLAMICA

Il musulmano crede in Dio, ma nel suo credo semplice e monolitico figura anche altro. L’hadith prima citato, dice: « La fede (iman) consiste nel credere in Dio, nei suoi angeli, nei suoi libri, nei suoi inviati e nel giudizio finale, nonché nel credere nella predestinazione e nel fatto che essa apporta il bene o il male ».

L'islamismo crede negli angeli, fatti di « luce », che sono anzitutto i puri adoratori di Dio e, poi, i suoi messaggeri presso gli uomini, cui trasmettono la rivelazione, come nel caso di Gabriele, intermediario privilegiato presso i profeti di Dio, o che hanno l'incarico di « registrare » le loro azioni e di « interrogarli » alla loro morte. Il Corano afferma anche l'esistenza del demonio, « il lapidato » (Iblis), fatto di « fuoco », che ha rifiutato di prosternarsi davanti ad Adamo su ordine di Dio (Corano 7,10-

12): da allora Satana, aiutato dalle sue truppe demoniache, odia in maniera implacabile il genere umano e tenta di stornarlo da Dio con ogni specie di tentazioni. Il Corano dice ancora che esistono degli djinn, degli « spiriti intermediari » tra gli angeli e i demoni, cui Maometto sarebbe stato ugualmente inviato.

II musulmano crede negli inviati di Dio, opera della sua misericordia verso gli esseri umani attraverso una storia, che si ripete di ciclo in ciclo. Egli distingue tra i « grandi profeti » e quelli che considera come « profeti minori ». I primi sono gli inviati: Abramo, « l'amico di Dio », fondatore della religione in spirito e verità (il « monoteismo primitivo »); Mosè, « l'interlocutore di Dio», legislatore per i figli di Israele; Gesù, il Messia, il figlio di Maria, che procede dalla « parola » e dallo « spirito » di Dio, maestro degli apostoli e dei cristiani; infine Maometto, il « sigillo dei profeti », perché il più perfetto e il più giusto, inviato a tutti gli esseri umani «per perfezionare la loro religione » (Corano: sura 5,3). I « piccoli profeti » appartengono sia alla tradizione biblica (Adamo, Noè, Isacco, Ismaele, Lot, Giacobbe, Giuseppe, Aronne, Davide, Saiomone, Elia, Eliseo, Giobbe, Dhu 1-Kifl (Giosuè?), Giona, Idris (Enoch?), Zaccaria, Giovanni Battista), sia a quella « araba » (Hud, Salih, Shu'ayb): essi riproducono tutti quanti - a somiglianza dei «grandi profeti » - la medesima avventura del « profeta, che grida nel deserto », per comunicare al suo popolo, nella « sua lingua », il medesimo messaggio del monoteismo fondamentale.

I musulmani attendono il giorno del giudizio, in cui Dio retribuirà tutti gli uomini

risuscitati, secondo la rivelazione che il Corano ne fa sin dagli inizi della predicazione maomettana. «Quando la terra sarà scossa dal suo terremoto, quando getterà via i suoi pesi e l'uomo dirà: "Che sta succedendo?", allora in quel giorno essa farà il suo rapporto secondo quello che le è stato rivelato dal suo Signore. In quel giorno gli esseri umani risorgeranno a gruppi, affinché vengano loro mostrate le loro azioni. Chi avrà fatto il peso di un atomo di bene, lo vedrà. Chi avrà fatto il peso di un atomo di male, lo vedrà » (Sura 99, o il « terremoto »). L'islamismo, appoggiandosi sul Corano e su tutta la tradizione, afferma pertanto l'interrogatorio nella tomba, la risurrezione generale alla fine dei tempi (dopo che si saranno verificati i dieci segni precorritori), il « grande raduno » dei risuscitati e il loro giudizio, che comporta una retribuzione rigorosa e l'intervento della misericordia di Dio: per la maggioranza dei musulmani è cosa certa che basta la sola fede a salvare e che quindi l'inferno non sarà eterno per il

credente peccatore (una volta espiata la sua pena, egli entrerà in paradiso). Dice il Corano «Chi fa il male ed è irretito nel peccato sarà dannato al fuoco ove rimarrà in

eterno. Mentre quelli che credono e operano il bene saranno nel Giardino, ove rimarranno in eterno» (s. 2, 81-82). Tanto le pene dell'Inferno, che, per i «credenti» rigenerati dalla fede, sono sempre temporanee, quanto le gioie del Paradiso sono descritte a colori vivaci. Nel paradiso « coloro che avranno creduto e adempiuto le opere pie... avranno, dei giardini, sotto i quali scorreranno dei ruscelli. Ogni volta che sarà loro accordato e attribuito qualche frutto, essi diranno: "Questo è quanto ci è stato attribuito anteriormente", e quanto sarà loro donato assomiglierà a quanto essi possedevano sulla terra. In quei giardini essi avranno delle spose purificate e saranno immortali » (Corano 2,25). Il « luogo del castigo » è l'inferno, che consiste nel « fuoco ardente », nel « corruccio » e nella « collera » di Dio: solo

i miscredenti vi dimoreranno per sempre. È importante notare che il Corano, anche se parla del ritorno dell'anima al Signore, suggerendo

una certa comunione, quando parla del Paradiso, non dice mai che quelli che vanno in Paradiso sono con Allah, lo vedono e partecipano alla sua felicità. Ciò è in consonanza con il fatto che, nei confronti di Dio, l'uomo è il suo «servitore» (abd) e gli deve «sottomissione» e obbedienza e Allah è il «Padrone», il «Signore» e nei riguardi degli uomini non ha nessun «obbligo».

L’islam crede nella predestinazione. Anche se il Corano afferma contemporaneamente che « Dio guida chi vuole e svia chi vuole » (Corano 74,31) e che « in quel giorno ogni uomo sarà retribuito in base a quel che avrà fatto » (Corano 53,39), il musulmano si sente portato da tutta la sua tradizione a esaltare la volontà misteriosa di Dio nei propri riguardi e ad abbandonarsi di conseguenza a una predestinazione, che lo predispone alla riuscita o all'insuccesso, al paradiso o all'inferno. Certo, « la verità emana dal vostro Signore, dice il Corano: chi vuole credere, creda, e chi vuole essere infedele, sia infedele » (18,29), ma tutti sanno che il medesimo Corano afferma anche: « Colui che lo vuole, imbocchi dunque la via che porta verso il Signore; ma voi non lo vorrete, se Dio non lo vuole » (76,29-

30). Il riformismo musulmano contemporaneo tende a esaltare i valori della libertà e dell'impegno; rimane però vero che la pietà musulmana incita i credenti a sottomettersi con tutta la loro anima ai decreti di Dio, anche se essi sono nascosti, così come vi si è sottomesso Abramo, a cui la fede musulmana fa volentieri riferimento. In pratica i musulmani conoscono come i cristiani l'affermazione dialettica della libertà dell'uomo e della elezione divina, nonché il difficile problema della fede e delle opere.

I CINQUE PILASTRI

Maometto avrebbe detto: “l’Islam è costruito (bunya) su cinque cose, l’attestazione per cui non vi è divinità all’infuori di dio, l’esecuzione della preghiera, l’elargizione dell’elemosina, l’adempimento del digiuno nel mese di ramadàn e il pellegrinaggio alla casa di Dio”. Questi cinque precetti vengono detti i “fondamenti”, o “pilastri” (arkan) dell’Islam, attorno ad essi gravita tutta l’attività religiosa del mussulmano, sono i pilastri del suo culto.

LA PROFESSIONE DI FEDE (SAHADAH)

La « professione di fede » (shahàda), che afferma nel medesimo tempo l'unicità di Dio e la

missione di Maometto, fa di ogni uomo un vero musulmano dal momento in cui essa viene pronunciata con le labbra e viene accompagnata dall'assenso dell'intelligenza e dalla adesione del cuore. Riaffermata dal musulmano in agonia, con l'indice destro puntato verso il cielo, essa costituisce l'ultima testimonianza, che riassume da sola l'essenziale del Credo musulmano. Ordinariamente viene sviluppata per mezzo di una preghiera più lunga: « Salutazioni, invocazioni e benedizioni a Dio! Che la salvezza sia su di te, profeta, così come la misericordia e le benedizioni di Dio! Che questa salvezza sia anche su di noi e sui servi pii di Dio. Io testifico che non vi è altro dio al di fuori di Dio e che Maometto è il suo servo e il suo inviato. O Dio, benedici Maometto come hai benedetto Abramo e la sua famiglia; colmalo dei tuoi favori come hai colmato Abramo e la sua famiglia attraverso i mondi. Tu sei degno di lode e di gloria ».

LA PREGHIRA RITUALE ( SALAT)

La « preghiera » rituale (salàt) viene normalmente recitata cinque volte al giorno in ore ben precise: alba, mezzogiorno, metà del pomeriggio, tramonto, sera. Il credente deve essere « puro » nel corpo, nell'abbigliamento e per quanto riguarda il luogo stesso della preghiera: per questo egli si preoccupa molto della purezza (abluzioni minori o maggiori con acqua e gesti precisi) e cerca di liberarsi delle impurità minori o maggiori che ha contratto, facendo nel medesimo tempo attenzione a indossare abiti appropriati e a trovarsi in un luogo purificato (a casa sua, nella moschea o in qualsiasi altro luogo). La sua preghiera si compone di un certo numero di atteggiamenti, di gesti e di invocazioni raggruppati in unità liturgiche dette rak'a. Ogni preghiera ne comprende due, tre o quattro e può essere prolungata con la recita di qualche versetto coranico. Il venerdì, a mezzogiorno, tale preghiera va fatta in assemblea nella moschea centrale del quartiere o della città, dopo una omelia particolare, al fine di testimoniare l'unità della «comunità musulmana ».

IL DIGIUNO ( SIYAM )

II « digiuno » (siyàm) di Ramadan esige che ogni credente si astenga da qualsiasi cibo, da qualsiasi bevanda e da qualsiasi esercizio della sessualità durante tutto il giorno (dall'aurora al

tramonto) per onorare Dio, per sentire la fame, per disciplinare il corpo e per imparare a compatire gli infelici: durante la notte il pasto, i festeggiamenti, le preghiere supplementari e le meditazioni religiose fanno del mese di Ramadan un mese di «raccoglimento » per la comunità musulmana è un mese di « più grande osservanza religiosa » per ogni musulmano, ovunque egli si trovi; esso costituisce un mese di festività notturne per le famiglie e di attività culturali rinnovate per le comunità locali.

L’ELEMOSINA LEGALE (ZAKAT)

L'elemosina rituale (zakàt), destinata a purificare l'uso dei beni di questo mondo, è costituita fin dall'inizio dell'islamismo nel trasferire alla « cassa della comunità » un decimo del reddito annuale di ogni credente (una specie di « decima »): i beni così raccolti erano destinati ad essere distribuiti in « elemosina... ai bisognosi, ai poveri, a quanti lavorano per loro, a quelli di cui bisogna conquistare il cuore, come gli schiavi, a quelli che sono gravati da debiti, che lottano sulla via di Dio o che si trovano in viaggio » (Corano 9,60). L'elemosina legale, inglobata molto presto nelle tasse richieste dagli Stati

moderni, continua tuttavia ad essere vivamente praticata nell'abitudine comune di donare ai poveri, soprattutto alla fine del mese di Ramadan (elemosina della «rottura del digiuno ») e in occasione di altre feste liturgiche.

IL PELLEGRINAGGIO ( HAJJ)

Ogni anno circa un milione di musulmani compiono il loro pellegrinaggio (hajj) a La Mecca, in Arabia, per rivivere i riti previsti dai costumi preislamici e quelli aggiunti da Maometto: i credenti, in tenuta « sacra » (perizoma e velo bianco senza cucitura), onorano la Ka'ba girando sette volte attorno ad essa, recitano la preghiera, corrono sette volte tra Safa e Marwa, vanno ad 'Arafat, una collina distante 21 km da La Mecca, per pregarvi « in piedi » e invocarvi la misericordia divina, poi ritornano a La Mecca passando per Muzdalifa e Mina, dove tagliano la gola a una pecora in memoria dell'atto compiuto una volta in quel luogo da Abramo, che era stato invitato a immolarvi il figlio Isacco. Spesso per il credente il pellegrinaggio è una occasione per convertirsi a costumi più rigidi e a una pratica più stretta; per la comunità musulmana si tratta di un « momento » privilegiato, in cui essa vede la propria coesione rinforzata dall'apporto di una moltitudine di pellegrini diversi e uniti ad un tempo.

FESTE

Il pellegrinaggio ha luogo il 10 dell'ultimo mese dell'anno liturgico musulmano, anno dai mesi lunari (e quindi più breve del nostro), che conta le annate a partire dall'anno in cui Maometto abbandonò la Mecca per Medina (622) : si tratta di quella che viene detta l'èra egiriana (egira o hijra, che significa « emigrazione »). L'anno lunare, di undici giorni più corto, sposta quindi le « feste » musulmane in rapporto al calendario solare gregoriano. Tali feste sono quattro. Anzitutto vi è la festa di 'Ashùrà', che cade il 10 del primo mese dell'anno (muharram), che comprende un digiuno facoltativo, che è talvolta testimone di una visita al cimitero e che rimane una grande festa per gli Sciiti, che onorano in questo giorno la morte di Husayn, figlio di Ali. Il 12 del terzo mese (rabì al-awwal) cade la festa di Mulud (o Mawlid nawabì) o della Natività del profeta, festa dedicata all'elogio del fondatore dell'islamismo e a preghiere di intercessione. Il mese di Ramadan costituisce il nono mese dell'anno liturgico e pertanto la « Piccola Festa » ('ìd saghir), che lo conclude e che dura parecchi giorni, cade all'inizio del decimo mese, il mese di shawwal: essa costituisce una occasione per fare elemosine, per riconciliarsi e per organizzare incontri familiari. La «Grande Festa » ('ìd kabìr) coincide con il momento culminante del pellegrinaggio, il 10 dell'ultimo mese, giorno in cui si immola la pecora in ricordo dell'atto posto da Abramo: in tutto il mondo musulmano i capi famiglia si preoccupano di riprodurre questo medesimo atto di devozione e di sottomissione, conferendo ad un tempo alla festa un carattere universale e abramico.

VITA MORALE E FAMILIARE

II musulmano, attento ad adempiere in ogni cosa la volontà di Dio espressa nella legge religiosa dell'islamismo, cerca di evitare l'atto interdetto, o biasimevole, o anche semplicemente indifferente, e di adempiere tutto quel che Dio dichiara obbligatorio per lui o gli raccomanda. Egli osserva più o meno fedelmente i diversi « interdetti alimentari », che derivano dal Corano, si rifiuta di bere vino o alcool, di mangiare carne di maiale o di una bestia non immolata ritualmente, di cibarsi di sangue, fonte o simbolo della vita. Più generalmente il musulmano si impegna con energia nel campo della vita morale e cerca di attuare i consigli di Maometto, il quale ha detto: « II mio Signore mi ha comandato

nove cose: di essere sincero in privato e in pubblico, moderato nella ricchezza e nella povertà, giusto nella collera e nella soddisfazione, di perdonare chi mi opprime, di riallacciare i rapporti con chi li rompe con

me, di dare a chi mi priva di qualcosa, di fare del mio silenzio una meditazione, dei miei discorsi una "edificazione", del mio sguardo una "considerazione" per imparare dagli avvenimenti e dalle cose che mi cadono sotto gli occhi ».

La vita familiare del musulmano è particolarmente legata alla sua fede e dipende dallo statuto personale, i cui testi essenziali si trovano nel Corano. L'islamismo è largo in materia di contraccezione, rigoroso e stretto di fronte all'aborto, tollerante nel campo della sessualità. La morale familiare intende fondare la famiglia su delle basi stabili e durature e fornire alle persone quanto loro occorre per svilupparsi. Ma la donna occupa una posizione inferiore in più di un campo, il figlio viene collegato in maniera troppo esclusiva al padre e all’uomo è permesso di avere fino a quattro mogli per dei motivi legittimi (ingiungendogli di essere equo nei limiti del possibile verso di loro: Corano 4,3) ed è riconosciuto allo sposato il potere di rinviare unilateralmente la moglie, senza dover fornire la minima spiegazione a chicchessia (nè alla stessa sposa, nè a un giudice). A tante ingiustizie alcuni codici moderni della famiglia cercano di rimediare, con più o meno successo.

DIALOGO CON L’ISLAM

A parte l’ebraismo nessun altra religione ha tanti elementi comuni col Cristianesimo come l’Islam, i cui seguaci “adorano con noi un unico Dio misericordioso” (LG, 16). Il dialogo non è facile, ma è m fermamente voluto e ricercato dai cattolici, che spesso ne ribadiscono la grande utilità, Giovanni Paolo II, ad esempio, in un’udienza del 5-5-1999 ha così esordito: “Ai Musulmani la Chiesa guarda con stima convinta che la loro fede in Dio trascendente concorre alla costruzione di una nuova

famiglia umana, fondata sulle più alte aspirazioni del cuore umano. Anche i Musulmani, come gli Ebrei e i Cristiani, guardano alla figura di Abramo come ad un modello di incondizionata sottomissione ai decreti di Dio. Sull’esempio di Abramo, i fedeli si sforzano di riconoscere nella loro vita il posto che

spetta a Dio, origine, maestro guida e fine ultimo di tutti gli esseri. Questa disponibilità ed apertura umana alla volontà di Dio si traduce in atteggiamento di preghiera, che esprime la situazione esistenziale di ogni persona davanti al Creatore. Sulla traiettoria della sottomissione di Abramo al volere divino la sua discendente, la Vergine Maria, Madre di Gesù che, specialmente nella pietà popolare, viene anche dai Musulmani invocata con devozione”.

CONVERGENZE E DIVERGENZE

Tra Cristianesimo e Islam esistono grandi convergenze, ma anche molte divergenze. A proposito di seguito viene fatta solo qualche riflessione.

Unico Dio

Tra Musulmani e cristiani è comune la fede in un unico Dio. Il Corano ha nutrito, e lo nutre

ancora oggi, il senso religioso di una parte rilevante dell'umanità, suscitando in essa la fede, l'adorazione di Dio e la sottomissione alla sua volontà, la lode di Dio mediante la recita dei «99 nomi più belli di Dio», servendosi del tasbih (una specie di rosario con 100 grani), il senso della preghiera, è dunque una vita di pietà che pervade tutti gli atti dell'esistenza: come non ricordare che il musulmano inizia e conclude tutto quello che egli compie con la niyya (retta intenzione) e con la bismillàh («Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso»)? Perciò il cristiano che legge il Corano con simpatia e col rispetto dovuto ad esso non può non essere impressionato dal senso di grandezza unica e di trascendenza di Dio che lo pervade. Allahu akbar («Dio è grande») esprime, in realtà, l'anima profonda dell'islam e fa di questa religione un fatto molto significativo nella storia religiosa dell'umanità.

E tuttavia, dinanzi alla figura di Allah, il cristiano prova un forte disagio: è un Dio «lontano», che si deve «temere» e al quale ci si deve «sottomettere», perché la sua volontà è assoluta, ma che è difficile amare. Egli cioè sente la distanza che separa il Dio di Maometto dal Dio di Gesù Cristo, che è il «Dio con noi», il «Padre nostro che è nei cieli», Colui che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio», affinché gli uomini fossero salvati, cioè divenissero suoi «figli» ed «eredi», e quindi partecipassero alla sua felicità nella vita eterna, vedendolo «come Egli è»

Monoteismi abramitici

Si parla spesso dei tre «monoteismi» abramitici, come se il monoteismo islamico fosse più o

meno eguale al monoteismo ebraico e al monoteismo cristiano. Si tratta di tre monoteismi diversi. In

particolare, il monoteismo cristiano è trinitario: Dio è uno nella natura, ma tre nelle Persone. Ora per Maometto, un simile monoteismo è un'orrenda bestemmia e coloro che lo professano sono «empi» e dannati al fuoco dell'Inferno.

In Maometto c’è stata una profonda incomprensione dei tre fondamentali misteri cristiani - la Trinità, l'Incarnazione e la Redenzione - che illuminano non soltanto il mistero di Dio, ma anche quello dell'uomo, il senso della sua esistenza, il suo destino temporale ed eterno. Purtroppo Maometto, se ha avuto una buona conoscenza dell'ebraismo, come appare dal Corano, ha avuto del cristianesimo una conoscenza non solo assai frammentaria e incompleta, ma addirittura falsa ed erronea; oppure ha interpretato i dogmi della Trinità e dell'Incarnazione in maniera assolutamente distorta.

Interesse per Gesù , Maria e i cristiani

II Corano e l'islamismo assegnano a Gesù un posto importante. Gesù, figlio di Maria, appare come un profeta particolarmente privilegiato: nato da una madre vergine per effetto della parola creatrice di Dio, si vede affidata « la Scrittura, la Sapienza, la Torah e il Vangelo »; è un taumaturgo eminente contraddetto dagli ebrei increduli e sostenuto dagli apostoli fedeli, egli si vede condannato alla croce, ma viene salvato da Dio, che lo «richiama » presso di lui prima che ritorni sulla terra come «segno dell'ora ». Però per il Corano è solo un uomo inviato da Dio: “Il Messia, Gesù, figlio di Maria, è

solo l'inviato di Dio e la sua parola gettata in Maria è uno spirito che viene da Dio. Credete in Dio e nei suoi inviati e non dite "Tre". Cessate di farlo “ (4,171). Di Maria il Corano fa una donna particolarmente benedetta. Maria, scelta fra tutte le donne, vergine per eccellenza, molto credente e molto devota, ella riceve l'annuncio di un bambino, che nasce effettivamente da lei senza concorso umano.

I musulmani provano un interesse particolare per i cristiani, « Troverai che coloro, che sono più vicini e più amici di coloro che credono, sono quelli che dicono: "Noi siamo cristiani". Tra costoro infatti si trovano dei preti e dei monaci, che sono persone che non si gonfiano di superbia » (Corano

5,82). E hanno tradizionalmente praticato una certa tolleranza nei confronti dei cristiani e degli ebrei, conferendo loro uno speciale statuto di ospiti protetti.

Valori

Comune alle due religioni è la giusta preoccupazione che la fede non sia separata dalla vita

e che ogni attività sia sottomessa alla volontà di Dio. Esiste un islamismo, che ha saputo educare un tipo di coscienza scrupolosa e attenta a obbedire alle minime manifestazioni della volontà di Dio per pervenire alfine a quello stato di « anima in pace », di « anima pacificata » così frequentemente cantato dal Corano. Il rapporto con Dio è però inteso come sottomissione e non come amore. Ma esiste un

altro islamismo, il quale pretende di far trionfare i « diritti di Dio » nella città e vuole imporli ricorrendo al braccio secolare, unendo così strettamente il potere temporale e il potere spirituale, con la conseguente giustificazione dello stato teocratico islamico, così diverso dal moderno stato democratico.

Esistono nell’Islam alti valori morali e religiosi che alimentano la vita spirituale di centinaia di milioni di uomini. Ma non mancano elementi non conformi alla dignità della persona umana, come per esempio, la predestinazione assoluta, l’esaltazione della guerra santa, la riduzione della felicità eterna a “godimenti creati”, le concessioni in campo etico alla debolezza umana, l’offuscamento della parità

sociale dell’uomo e della donna, tra l’altro per la poligamia e il maschilismo, ecc. . La figura del fondatore i cui propositi, silenzi e atti dovrebbero avere un valore normativo e

direttivo per ogni musulmano, non è solo brillante di luce, ma è anche offuscata da molte ombre, che gli stessi studiosi islamici non tentano neppure di nascondere.

L'islàm è la religione del «giusto mezzo», «lontana dagli estremi». Nell’Islam c’è una positiva valutazione della vita terrena, della prosperità economica, della giustizia sociale. Ma non si può vedere nel successo temporale il segno sicuro della benedizione di Dio; rimarrebbe senza significato l’esperienza umana fondamentale della sofferenza. Quanto alla vita mistica il Corano non ne parla, e l'islàm ufficiale ha mostrato nei suoi riguardi quasi sempre un atteggiamento di riserva, se non

di sospetto e di avversione, per il timore che si attentasse alla trascendenza assoluta e alla maestà di Allah. I musulmani rimproverano spesso i cristiani di essere « stravaganti » o «esagerati» nelle loro affermazioni teologiche, nelle loro esigenze etiche e nelle loro ricerche mistiche. Tuttavia le anime

profondamente religiose e assetate di Dio hanno potuto trovare, anche in molti versetti del Corano, materia di esperienza mistica.

ISLAM

(Sintesi)

Islam significa “sottomissione” a Dio. L’Islam è imperniato su una fede incrollabile nell’unico

Dio. (“Lui, Dio, è uno, l’Assoluto. Egli non genera e non è stato generato! Nessuno è uguale a Lui” :

Corano 112 ). L’Islam ha inizio con Maometto (570-532 ); egli era convinto che il contenuto del suo messaggio gli fosse stato rivelato da Dio, attraverso l’arcangelo Gabriele. E questo pensano i muslim ( musulmani ).

La dottrina di Maometto è contenuta nel Corano, (recitazione) composto di 114 Sure, considerato la “parola stessa di Dio”, sussistente da tutta l’eternità e contenente le “chiavi del mistero”. Scritto in una lingua araba chiara e semplice, gode di autorità divina; niente di vero lo può

contraddire ed esso contiene il principio di ogni verità; impararlo a memoria significa portare nel proprio seno la “parola stessa di Dio”, recitarlo o leggerlo significa pregare, conformarsi ad esso fare la volontà di Dio. L’Islamismo è essenzialmente la religione del libro, il Corano, ma conosce anche la ricchezza apportata dalla tradizione (sunna ), che appare come la maniera eccellente secondo la quale la prima comunità musulmana ha messo in pratica il Corano.

L’Islam crede in Dio unico, nei suoi angeli, nel suo libro, nei suoi inviati, nel giudizio finale, nella predestinazione. Cinque sono i pilastri dell’Islam: 1° Professione di fede (shahada ) “ Non c’è altro Dio che Dio e Maometto è l’inviato di Dio”. Con questa professione fatta davanti a due testimoni si diventa musulmani. 2° Preghiera rituale (salat) prescritta cinque volte al giorno. La si fa rivolti verso la Mecca; particolarmente importante è quella del mezzogiorno del Venerdì che porta un gran numero di fedeli alla Moschea. 3° Il digiuno nel mese di Ramadan, ( nono dell’anno islamico ), durante il quale i fedeli si astengono durante le ore diurne da cibo, bevande, fumo, rapporti sessuali. 4° Il pellegrinaggio alla Messa, che ogni adulto compie, se ha forze e mezzi, una volta nella vita. 5° L’elemosina (zakat); si tratta di un’imposta sul reddito che sta a significare che ogni cosa viene da Dio: la somma viene usata per le necessità della comunità, specialmente per i più bisognosi. A parte l’ebraismo nessun’altra religione ha tanti elementi comuni col Cristianesimo come l’Islam. Tuttavia il dialogo non è facile. Comune alle due religioni è la giusta preoccupazione che la fede non sia separata dalla vita e che ogni attività sia sottomessa alla volontà di Dio. Ma ciò non giustifica una legislazione minuziosa, che pretende regolare le cose una volta per sempre: ne rimangono soffocate le esigenze concrete dell’amore e del servizio dell’uomo e ci si espone all’incompatibilità con nuove situazioni impreviste. Tanto meno comporta la confusione tra lo spirituale e il temporale, con la conseguente giustificazione dello stato teocratico islamico, così diverso dal moderno stato democratico. I musulmani hanno tradizionalmente praticato una certa tolleranza nei confronti dei cristiani e degli ebrei, conferendo loro uno speciale statuto di ospiti protetti. Ma la dignità della persona umana e il riconoscimento dei suoi diritti esigono per tutti la parità sociale dell’uomo e della donna, offuscata tra l’altro dalla poligamia e dal maschilismo. Nell’Islam c’è una positiva valutazione della vita terrena, della prosperità economica, della giustizia sociale. Ma non si può vedere nel successo temporale il segno sicuro della benedizione di Dio; rimarrebbe senza significato l’esperienza umana fondamentale della sofferenza. Esistono nell’Islam alti valori morali e religiosi che alimentano la vita spirituale di centinaia di milioni di uomini. Ma non mancano in campo etico concessioni di troppo alla debolezza umana. Il rapporto con Dio è inteso come sottomissione e non come amore. Fanno eccezione i mistici; ma essi si trovano ai margini dell’ortodossia ufficiale. L’Islam rifiuta le verità fondamentali del cristianesimo: la Trinità, l’incarnazione e la redenzione e accusa ebraismo e cristianesimo di aver corrotto le Scritture. Tuttavia Islam e Cristianesimo si incontrano nella fede in un solo Dio, onnipotente e misericordioso, e animati da questa fede possono camminare insieme verso una più piena libertà, fraternità e convivenza pacifica.

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