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LA CHIESA CHIESA MILITANTE TRIONFANTE Nella venticinquesima vetrata della Cupola grande di Lorenzo Gigotti, è raffigurata la Chiesa. Nella parte alta è raffigurata la chiesa trionfante A sinistra in alto la Trinità è raffigurata con i simboli tradizionali, ma cambiati e stilizzati modernamente. Da questi si sprigiona a raggiera il reticolo delle lastrine dalla policromia molto chiara, che costituisce il fondo. Un angelo dalle grandi ali, librato in volo, addita quella fonte di luce ai beati che sono in adorazione. Nella vetrata bassa, è raffigurata la Chiesa militante dall’ascetica figura del Papa sotto cui è Pietro, la salda roccia posta da Cristo per fondamento, e, dinanzi, un angelo con una chiesa tra le mani e due fedeli in atteggiamento di ascoltare la parola del Pontefice. _______________

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LA CHIESA

CHIESA MILITANTE TRIONFANTE

Nella venticinquesima vetrata della Cupola grande di Lorenzo Gigotti, è raffigurata la Chiesa. Nella parte alta è raffigurata la chiesa trionfante A sinistra in alto la Trinità è raffigurata con i simboli tradizionali, ma cambiati e stilizzati modernamente. Da questi si sprigiona a raggiera il reticolo delle lastrine dalla policromia molto chiara, che costituisce il fondo. Un angelo dalle grandi ali, librato in volo, addita quella fonte di luce ai beati che sono in adorazione. Nella vetrata bassa, è raffigurata la Chiesa militante dall’ascetica figura del Papa sotto cui è Pietro, la salda roccia posta da Cristo per fondamento, e, dinanzi, un angelo con una chiesa tra le mani e due fedeli in atteggiamento di ascoltare la parola del Pontefice.

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LA CHIESA

Pentecoste

Il Signore Gesù raduna i suoi discepoli nella Chiesa, comunità storica vivificata dallo Spirito, segno pubblico ed efficace del regno di Dio e della salvezza, popolo della nuova alleanza aperto a tutte le genti, santa e bisognosa di purificazione, una su tutta la terra e presente nella molteplicità delle Chiese particolari, fedele all’eredità apostolica e inesauribilmente creativa in culture ed epoche diverse. Nel nostro paese molti si dichiarano cattolici per tradizione culturale, perché la Chiesa è “l’agenzia del sacro” più autorevole. Molti vedono la comunità cristiana come un fatto sociale positivo, perché svolge un’importante azione educativa e assistenziale. Nello stesso tempo, però, non la ritengono necessaria per il loro rapporto con Dio. L’individualismo religioso è molto diffuso. Ma è giusto considerare la Chiesa come una realtà semplicemente umana? Occorre ricercare la sua origine e il segreto della sua vitalità. Durante la vita pubblica, Gesù di Nazareth ha avviato con i discepoli un’esperienza di comunione e di missione. Risorto dalla morte, li riunisce di nuovo intorno a sé con le apparizioni pasquali dei quaranta giorni, e traccia il programma della loro missione universale. Con l’ascensione si sottrae al loro sguardo; ma essi rimangono uniti nel suo nome e si raccolgono in una casa di Gerusalemme insieme a Maria, sua madre. Sono pochi: gli apostoli, i parenti, alcune donne, altri seguaci; in tutto, dice l’evangelista Luca, circa centoventi persone. Eppure sono persuasi che da loro sta ripartendo il raduno dell’Israele degli ultimi tempi: per questo, con l’elezione di Mattia al posto di Giuda, reintegrano il collegio dei Dodici, simbolo delle dodici tribù introdotte nel regno messianico. Riconoscono di essere uomini poveri, fragili e deboli, ma aspettano fiduciosi il dono dello Spirito Santo, promesso dal Maestro, e perseverano “assidui e concordi nella preghiera” (At 1,14). Viene il giorno di Pentecoste: festa della mietitura, in cui si offrono al tempio le primizie del raccolto, ma soprattutto festa dell’alleanza, in cui si celebra la legge data da Dio attraverso Mosè. Quanto accade in questo giorno ai seguaci di Gesù, viene narrato come una teofania, simile a quella del monte Sinai: rumore fragoroso, vento potente, lingue di fuoco. “Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi” (At 2,2-4). Lo Spirito è la nuova legge scritta nei cuori, che era stata promessa attraverso i profeti: “Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi” (Ez 36,27). “Era conveniente che nel giorno in cui fu data la legge antica, in quello stesso giorno, fosse data la grazia dello Spirito”.La nuova legge dello Spirito è vita in Cristo, energia di amore, luce di sapienza, varietà di doni, prima ancora di essere comandamento. Consacra i discepoli di Gesù come assemblea della nuova alleanza, germoglio del popolo di Dio radunato negli ultimi tempi, secondo le promesse e le attese. Il popolo messianico nasce aperto a tutte le genti. Il gruppo originario narra “le grandi opere di Dio” (At 2,11), cominciando a “parlare in altre lingue” (At 2,4). Pietro fa risonare il primo annuncio del vangelo davanti a una folla di persone “di ogni nazione che è sotto il cielo” (At 2,5). Molti di loro accettano il messaggio e si fanno battezzare. È davvero la festa del raccolto! “Lo Spirito riconduceva all’unità le tribù separate e offriva al Padre le primizie di tutte le genti”.

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Una perenne Pentecoste

A Pentecoste si completa la fondazione della Chiesa e si avvia la sua espansione. L’evento di quel giorno è un mistero perenne. La comunità cristiana vive e si rigenera incessantemente in una comunicazione di fede e di carità, attivata dallo Spirito Santo: “Dove è la Chiesa, là è anche lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio, là è la Chiesa e ogni grazia”. Ogni giorno la Chiesa nasce dall’alto, dallo Spirito del Signore. Solo secondariamente sorge dalla libera decisione dei credenti, “che si sottomettono a lui” (At 5,32) e si lasciano convocare. È l’iniziativa della grazia a suscitare la risposta della fede. Il dono risplende nella povertà di coloro che lo ricevono: “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi” (2Cor 4,7); “Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,27-28). La Chiesa vive per il dono dello Spirito Santo, accolto con umiltà e fede dai seguaci di Gesù Cristo. ( La verità vi farà liberi : 414-420 )

Segno del Signore risorto. Consacrati come Gesù

Nella teofania al fiume Giordano, Dio con l’effusione dello Spirito Santo ha consacrato e presentato pubblicamente Gesù di Nàzaret come Messia, per manifestare attraverso di lui la potenza misericordiosa del suo regno. Nella Pentecoste, Gesù, risorto dalla morte e costituito Messia e Signore nella pienezza del suo potere, consacra e presenta pubblicamente con il dono dello Spirito la comunità dei credenti come popolo messianico, per manifestare attraverso di essa l’efficacia della sua redenzione. Lo Spirito Santo ha condiviso la vicenda terrena di Gesù come “un compagno inseparabile,... una presenza continua”. Ora viene comunicato ai suoi discepoli, perché partecipino alla sua vita e cooperino alla sua missione.

Regno di Dio e signoria di Gesù

Gesù, mentre predicava il vangelo del Regno, perdonava i peccatori e guariva i malati: indicava così che il regno di Dio era già presente come germe di una salvezza completa, spirituale e corporea. I discepoli, da parte loro, proclamano che Dio ha risuscitato Gesù, il Crocifisso, e lo “ha costituito Signore e Cristo” (At 2,36). Il cuore del loro messaggio e della fede cristiana è questo: Gesù è morto, è risorto, “è il Signore” (Rm 10,9). Ormai il regno del Padre si identifica con la signoria del Risorto: perciò Filippo in Samarìa reca “la buona novella del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo” (At 8,12) e Paolo a Roma incontra la gente “annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo” (At 28,31). Come quella del Maestro anche la predicazione dei discepoli si mostra efficace, operando conversioni e guarigioni in gran numero. I miracoli, uniti all’annuncio del vangelo, manifestano lo Spirito Santo, dato alla Chiesa come primizia della salvezza totale; nello stesso tempo indicano che Gesù è veramente risorto e continua ancora a operare attraverso i suoi inviati. Il primo miracolo che viene narrato dagli Atti degli Apostoli è la guarigione dello storpio che chiedeva l’elemosina alla porta Bella del tempio di Gerusalemme: “Vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l’elemosina. Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: “Guarda verso di noi”. Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa. Ma Pietro gli disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”. E, presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi camminava; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio” (At 3,3-8). Il miracolo attira la folla. Pietro allora prende la parola e spiega: “Uomini d’Israele, perché vi meravigliate di questo e continuate a fissarci come se per nostro potere e nostra pietà avessimo fatto camminare quest’uomo?... Il nome di Gesù ha dato vigore a

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quest’uomo che voi vedete e conoscete” (At 3,12.16). Successivamente Pietro e Giovanni vengono arrestati e portati davanti al sinedrio, il tribunale supremo. E lì Pietro ribadisce con forza: “Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo... In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,10.12). Le conversioni e i miracoli, che accompagnano la predicazione degli apostoli e dei loro collaboratori, attestano tangibilmente che il regno di Dio coincide con la presenza del Signore risorto e che questa coincide con il dono dello Spirito Santo. Come Dio, re e Padre, si rendeva visibile attraverso Gesù, così il Signore Gesù si rende visibile attraverso la comunità dei credenti, animata dal suo Spirito.

Il tempo della Chiesa

Il Nuovo Testamento attribuisce alla Chiesa un tempo specifico nella storia della salvezza. L’evangelista Luca distingue il tempo della preparazione, in cui sono in vigore “la Legge e i Profeti fino a Giovanni” (Lc 16,16), il tempo dell’attuazione “in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi” (At 1,21), il tempo della Chiesa, dall’ascensione di Gesù alla sua ultima venuta gloriosa, in cui la salvezza viene diffusa e testimoniata “fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). Paolo conosce un tempo tra la risurrezione di Cristo e il compimento totale, durante il quale le potenze ostili vengono sottomesse i popoli entrano nella Chiesa. Secondo Matteo, Gesù stesso prevede un futuro, in cui “molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe” (Mt 8,11); sarà anche stagione in cui la zizzania crescerà insieme al grano in attesa della mietitura. Analogamente, secondo Giovanni, il Maestro preannuncia che lo Spirito e i discepoli gli renderanno testimonianza e le pecore disperse si raduneranno in un unico gregge.

La Chiesa segno e strumento

Nel Nuovo Testamento il regno di Dio, presente nella storia durante il tempo intermedio tra la Pasqua e la parusia, viene chiamato anche regno di Cristo. La Chiesa ne è l’attuazione manifesta, il segno pubblico e lo strumento efficace, o sacramento. In virtù di una comunicazione speciale dello Spirito, acquista una funzione profetica; diventa il “sale della terra”, la “luce del mondo”, la “città collocata sopra un monte” (Mt 5,13-14), la “nazione santa” (1Pt 2,9) chiamata a rivelare la santità di Dio in mezzo a tutti i popoli. Sebbene il Regno faccia germogliare grandi valori ovunque, solo nella Chiesa si rende apertamente visibile. Non è la fede della Chiesa che deve essere subordinata a criteri mondani, ma al contrario è il mondo che deve essere valutato in base all’insegnamento e all’esperienza di fede della Chiesa. Solo nella comunità dei credenti è possibile seguire Cristo in modo adeguato. Custodendo la testimonianza degli apostoli, essa offre la possibilità di conoscerlo fedelmente; celebrando i sacramenti, procura la possibilità di incontrarlo personalmente. A differenza di ogni altra aggregazione umana, non solo conserva la memoria del suo fondatore, ma nello Spirito mantiene un contatto vivente con lui e da lui continua a ricevere luce. Con il dono dello Spirito Santo, il regno di Dio e del suo Messia si manifesta pubblicamente nella storia mediante la Chiesa. ( La verità vi farà liberi : 421-428)

La comunità cristiana. L’esperienza originaria

Lo Spirito Santo riunisce i credenti nella Chiesa. L’amore del Padre, rivelato dal Figlio morto e risorto, viene comunicato ai discepoli, perché diventino la famiglia di Dio, inviata al mondo come segno tangibile della sua vicinanza. Nel giorno stesso di Pentecoste si forma la prima comunità, quella di Gerusalemme, madre e modello di tutte le altre che seguiranno. Secondo il racconto di Luca, la sua crescita è prodigiosa. Ancor più mirabile appare il quadro della vita comunitaria, sebbene non manchi il

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comportamento indegno di qualche membro. I credenti sono “assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2,42). Ascoltano e meditano la parola di Dio. Lodano e ringraziano continuamente il Signore; invocano il suo aiuto nelle difficoltà. Celebrano il mistero della morte e risurrezione di Cristo con l’eucaristia, ripetendo il gesto da lui compiuto nell’ultima cena. Stanno volentieri insieme; si fanno carico dei servizi necessari; condividono i beni materiali, con libertà e generosità, continuando l’esperienza già fatta da alcuni di loro insieme a Gesù. Portano ovunque la loro coraggiosa testimonianza, suscitando la simpatia del popolo e l’ostilità della classe dirigente, specialmente di quella di orientamento sadduceo. Gli apostoli, e particolarmente Pietro, svolgono, con autorità e semplicità, un compito prezioso di guida e di animazione.

Identità visibile della Chiesa

Si tratta di un’esperienza storica irripetibile, in cui però è delineata la figura essenziale di ogni vera comunità cristiana: comunità concreta di credenti in Cristo, uomini in carne ed ossa, santi e peccatori, riuniti sotto la guida dei pastori, nella condivisione di beni spirituali e materiali, dove il mistero pasquale del Signore è proclamato con la predicazione, attualizzato nell’eucaristia e negli altri sacramenti, vissuto nella carità. Per essere riconoscibile come segno davanti al mondo, la Chiesa deve possedere una precisa identità visibile; deve configurarsi come comunità di fede, di culto e soprattutto di rapporti fraterni: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Perciò l’ordinamento e la prassi comunitaria seguiranno criteri diversi rispetto agli altri gruppi umani: adesione libera, corresponsabilità di tutti, autorità come servizio, correzione e aiuto fraterno, rinuncia a reagire con la violenza al male subìto, attenzione preferenziale agli ultimi e superamento delle discriminazioni sociali. Nella misura in cui assumerà questi lineamenti, la comunità cristiana contribuirà efficacemente a costruire la pace sulla terra e sarà immagine credibile della comunione trinitaria delle persone divine: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). Figura esemplare della Chiesa è la prima comunità di Gerusalemme, in cui i cristiani “erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2,42). ( La verità vi farà liberi : 429-431)

Il popolo santo di Dio. Rilettura della storia

Negli Atti degli Apostoli i discorsi, attribuiti a Pietro, a Paolo e ad altri personaggi, occupano un terzo del libro: si può intuire quanto sia importante la loro funzione. In essi risuona la voce profetica della Chiesa nascente, che animata dallo Spirito Santo interpreta la storia nella prospettiva della Pasqua di Cristo. Le vicende di Israele, gli avvenimenti della vita di Gesù, i primi passi della comunità cristiana vengono collegati in una visione coerente, di grande respiro, e proiettati verso il futuro; si delinea così il ruolo della Chiesa nella storia della salvezza, la sua posizione rispetto a Israele.

Israele

Dio ha voluto avere un popolo santo in mezzo ai popoli della terra. Ha scelto Israele, perché fosse sua proprietà e seguisse una particolare forma di vita, confidando solo nel Signore per avere la salvezza. L’Antico Testamento mostra però quanto ricorrente sia per lui la tentazione di costruirsi da solo il proprio destino e di inseguire miraggi mondani. Come ogni altro popolo, Israele ricerca una terra, un re, una dinastia, un esercito, una capitale, un tempio, una cultura. Ripetutamente deve sperimentare la precarietà di queste mete umane. Dio lo porta a camminare faticosamente in avanti, verso una terra che è sempre più in là. Abramo viene chiamato a lasciare la casa di suo padre e parte “senza sapere dove andava” (Eb 11,8). I suoi discendenti diventano in Egitto un popolo numeroso, ma

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finiscono schiavi. Liberati, entrano in possesso della terra promessa, hanno una legge, un re e un tempio; ma la prosperità li trascina all’infedeltà e alla sventura. Tornati dall’esilio, ricostruiscono il tempio e la vita nazionale, ma cadono sotto l’oppressione dei re ellenisti e degli imperatori romani. Al tempo delle origini cristiane, molti alimentano ancora propositi di riscossa nazionale. Ma i “poveri di JHWH”, una minoranza, si aprono a un’attesa più pura e spirituale, che si trova in sintonia con l’esperienza di Gesù e dei suoi discepoli.

La Chiesa definitivo popolo di Dio

I primi seguaci di Gesù sono convinti di essere il definitivo Israele, che lo Spirito di Dio ha riunito e santificato, dando compimento alle antiche profezie e a una lunga preparazione. Con la nascita della comunità cristiana di Gerusalemme, Dio ha ricostruito “la tenda di Davide che era caduta” (At 15,16), ha riparato le sue rovine e l’ha rimessa in piedi, perché anche i popoli pagani cerchino il Signore. Sebbene nuova sia l’alleanza, di cui Cristo è mediatore, l’idea di un “nuovo” popolo di Dio non ha alcun rilievo negli scritti del Nuovo Testamento. Non c’è la sostituzione di Israele, ma il suo perfezionamento: Dio non ricomincia daccapo, va avanti. Israele è “la radice santa”, dalla quale si sviluppa il cristianesimo; è “l’olivo buono”, sul quale vengono innestati i pagani, perché portino frutto. Gesù rimane il Messia di Israele. La prima comunità, composta di giudeo-cristiani, rappresenta “il resto” di Israele. Nel libro dell’Apocalisse, la continuità viene messa in evidenza mediante la figura della donna, che indica il popolo eletto prima e dopo la venuta del Messia, e mediante l’immagine della città santa, aperta ad accogliere i pagani che vengono in pellegrinaggio. Se già nell’antica alleanza Israele ha ricevuto il nome di assemblea di Dio, a maggior ragione merita questo nome il definitivo popolo di Dio. “Chiesa” significa precisamente “assemblea”: assemblea radunata dal Padre intorno a Cristo con il dono dello Spirito, Chiesa “di Dio in Gesù Cristo” (1Ts 2,14). La Chiesa è dunque la forma definitiva del popolo di Dio nella storia, capace di attirare tutte le genti. “La legge e la parola sono usciti da Gerusalemme... e noi ci siamo rifugiati presso il Dio di Israele. Sebbene fossimo esperti nella guerra, nell’assassinio, in ogni specie di mali, abbiamo trasformato le spade in aratri, le lance in falci; e ora costruiamo il timor di Dio, la giustizia, la solidarietà, la fede e la speranza”.Quanti con il battesimo vengono inseriti in Cristo, formano il popolo dei “santi”, “la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui” (1Pt 2,9).

Santità e peccato nella Chiesa

La Chiesa è il popolo santo, consacrato da Dio. Il suo capo, Cristo, la unisce a sé e la vivifica con il dono dello Spirito; la rigenera incessantemente con la sua parola e i sacramenti; le comunica la forza della carità, partecipazione alla vita stessa di Dio, che abilita a praticare la nuova giustizia, prospettata nel discorso della montagna. Tutti i cristiani sono chiamati alla santità, che consiste nella perfezione della carità. Non si tratta semplicemente di un’esortazione o di un dovere, ma di “un’insopprimibile esigenza del mistero della Chiesa” e di una possibilità reale offerta ai fedeli di qualsiasi condizione. Di fatto molti cristiani, in ogni epoca, vivono secondo la logica della carità. Non pochi giungono fino all’eroismo e tra essi alcuni vengono riconosciuti ufficialmente come “santi”. Fioriscono molte comunità fervorose e molte opere esemplari di promozione umana. Si sviluppa un’azione assidua per la difesa della persona e dei suoi diritti fondamentali, per la riconciliazione e la pace. Tuttavia la Chiesa include anche i peccatori; “è santa e insieme bisognosa di purificazione”. La zizzania cresce insieme al grano. Già nelle prime comunità, fondate direttamente dagli apostoli, compare il peccato: a Gerusalemme la menzogna di Ananìa e Saffìra e le tensioni per gli ostacoli posti da alcuni all’ingresso dei pagani convertiti; a Corinto le divisioni, il disordine e perfino un caso di

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incesto. I secoli successivi, fino ai nostri giorni, hanno visto corruzione, violenza, sete di potere e di ricchezza, discriminazioni, intolleranza, scismi, eresie. Dov’è dunque la santità del popolo di Dio? Dov’è la pace messianica intravista dai profeti? Come è possibile credere che il Messia sia venuto, se nel mondo nulla è cambiato? È questo l’interrogativo che gli ebrei pongono ai cristiani fin dai primi tempi. La risposta è che la Chiesa, pur essendo la forma autentica e definitiva del popolo di Dio, è ancora in cammino nella storia. Sebbene per l’assistenza dello Spirito Santo sia preservata da una defezione totale, è ancora soggetta nei suoi membri alla tentazione di voltare le spalle a Dio, come lo fu Israele in cammino nel deserto. La Chiesa non è il Regno compiuto; è solo il segno, lo strumento e il germe di esso. La Chiesa è la forma definitiva del popolo di Dio nella storia. Sebbene segnata dai peccati dei suoi membri, è “la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui” (1Pt 2,9). ( Verità vi farà liberi . Numeri 432-438)

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SAN CARLO BORROMEO

Il quadro di San Carlo Borromeo, di Silvio Consadori, richiama subito l’attenzione. Rappresentazione di ampiezza monumentale, che ha per sfondo un po’ cupo l’architettura massiccia e pesante del Lazzaretto di Milano, alleggerita dalla luce, che

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sfocia da un arco. Contro questa luce si staglia la figura di San Carlo, ritratta di profilo, mentre amministra la Cresima a un appestato. Intorno folla riverente, malati e corteo orante.

Nel bassorilievo alto, Enzo Assenza ritrae San Carlo che dà la prima comunione a San Luigi.

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SAN CARLO BORROMEO

San Carlo Borromeo è di uno dei più grandi Vescovi nella storia della Chiesa: grande nella carità, grande nella dottrina, grande nell'apostolato, ma grande soprattutto nella pietà e nella devozione. " Le anime - dice San Carlo Borromeo - si conquistano con le ginocchia ". Si conquistano cioè con la preghiera, e preghiera umile. San Carlo Borromeo fu uno dei maggiori conquistatori di anime di tutti i tempi. Era nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, padroni e signori del Lago Maggiore e delle terre rivierasche. Era il secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l'uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Il giovane prese la cosa sul serio: studente a Pavia, dette subito prova delle sue doti intellettuali. Chiamato a Roma, venne creato Cardinale a soli 22 anni. Gli onori e le prebende piovvero abbondanti sul suo cappello cardinalizio, poiché il Papa Pio IV era suo zio. Amante dello studio, fondò a Roma un'Accademia secondo l'uso del tempo, detta delle " Notti Vaticane ". Inviato al Concilio di Trento vi fu, secondo la relazione di un ambasciatore, " più esecutore di ordini che consigliere ". Ma si rivelò anche un lavoratore formidabile, un vero forzato della penna e della carta. Nel 1562, morto il fratello maggiore, avrebbe potuto chiedere la secolarizzazione, per mettersi a capo della famiglia. Restò invece nello stato ecclesiastico, e fu consacrato Vescovo nel 1563, a 25 anni. Entrò trionfalmente a Milano, destinata ad essere il campo della sua attività apostolica. La sua arcidiocesi era vasta come un regno, stendendosi su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Il giovane Vescovo la visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Profuse, inoltre, a piene mani, le ricchezze di famiglia in favore dei poveri. Nello stesso tempo, difese i diritti della Chiesa contro i signorotti e i potenti. Riportò l'ordine e

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la disciplina nei conventi, con un tal rigore da buscarsi un colpo d'archibugio, sparato da un frate indegno, mentre pregava nella sua cappella. La palla non lo colpì, e il foro sulla cappa magna cardinalizia fu la più bella decorazione dell'Arcivescovo di Milano. Durante la terribile peste del 1576 quella stessa cappa divenne coperta dei miti, assistiti personalmente dal Cardinale Arcivescovo. La sua attività apparve prodigiosa, come organizzatore e ispiratore di confraternite religiose, di opere pie, di istituti benefici. Milano, durante il suo episcopato, rifulse su tutte le altre città italiane. Da Roma, i Santi della riforma cattolica guardavano ammirati e consolati al Borromeo, modello di tutti i Vescovi. Ma per quanto robusta, la sua fibra era sottoposta a una fatica troppo grave. Bruciato dalla febbre, continuò le sue visite pastorali, senza mangiare, senza dormire, pregando e insegnando. Fino all'ultimo, continuò a seguire personalmente tutte le sue fondazioni, contrassegnate dal suo motto, formato da una sola parola: Humilitas. Il 3 novembre dei 1584, il titanico Vescovo di Milano crollò sotto il peso della sua insostenibile fatica. Aveva soltanto 46 anni, e lasciava ai Milanesi il ricordo di una santità seconda soltanto a quella di un altro grande Vescovo milanese, Sant'Ambrogio. (Santibeati.it)

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SAN FRANCESCO DI SALES

Il quadro del terzo altare a sinistra, opera di Baccio Maria Bacci, raffigura S. Francesco di Sales, che D. Bosco scelse come titolare della sua Congregazione. Tre

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angeli, che simboleggiano la preghiera, l’eloquenza e la meditazione, inquadrano il Santo. All’orizzonte, in basso, la visione panoramica di Annecy, il paese natio, che un contadino addita a un giornalista; a destra un gruppo di giovani stampatori, di cui qualcuno proteso verso il santo Dottore, patrono della stampa.

Il bassorilievo di Attilio Torresini dispiega egregiamente un aspetto importante di S. Francesco: la predicazione.

Su uno scomparto della facciata, il primo di sinistra, una statua di San Francesco di Sales di Giovanni Amoroso.

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SAN FRANCESCO DI SALES

San Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa, è sicuramente il più importante e celebre fiore di santità sbocciato in Savoia, sul versante alpino francese.

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Figlio primogenito, Francois nacque il 21 agosto 1567 in Savoia nel castello di Sales presso Thorens, appartenente alla sua antica nobile famiglia. Ricevette sin dalla più tenera età un’accurata educazione, coronata dagli studi universitari di giurisprudenza a Parigi e a Padova. Qui ricevette con grande lode il berretto dottorale e ritornato in patria fu nominato avvocato del Senato di Chambéry. Ma sin dalla sua frequentazione accademica erano iniziati ad emergere i suoi preminenti interessi teologici, culminati poi nelle scoperta della vocazione sacerdotale, che deluse però le aspettative paterne. Nel 1593 ricevette l’ordinazione presbiterale ed il 21 dicembre celebrò la sua prima Messa. Fu sacerdote zelante ed instancabile lavoratore nella vigna del Signore. Visti gli scarsi frutti ottenuti dal pulpito, si diede alla pubblicazione di fogli volanti, che egli stesso faceva scivolare sotto gli usci delle case o affiggeva ai muri, meritandosi per questa originale attività pubblicitaria il titolo di patrono dei giornalisti e di quanti diffondono la verità cristiana servendosi dei mezzi di comunicazione sociale. Ma anche quei foglietti, che egli cacciava sotto le porte delle case, ebbero scarsa efficacia. Spinto da un enorme desiderio di salvaguardare l’ortodossia cristiana, mentre imperversava la Riforma calvinista, François chiese volontariamente udienza al vescovo di Ginevra affinché lo destinasse a quella città, simbolo supremo del calvinismo e massima sede dei riformatori, per la difficile missione di predicatore cattolico. Stabilitosi a Ginevra, non si fece remore a discutere di teologia con i protestanti, ardendo dal desiderio di recuperare quante più anime possibili alla Chiesa, ma soprattutto alla causa di Cristo da lui ritenuta più genuina. Il suo costante pensiero era rivolto inoltre alla condizione dei laici, preoccupato di sviluppare una predicazione e un modello di vita cristiana alla portata anche delle persone comuni, immerse nella difficile vita quotidiana. Proverbiali divennero i suoi insegnamenti, pervasi di comprensione e di dolcezza, permeati dalla ferma convinzione che a supporto delle azioni umane vi fosse sempre la provvidenziale presenza divina. Molti dei suoi insegnamenti sono infatti intrisi di misticismo e di nobile elevazione spirituale. I suoi enormi sforzi ed i grandi successi ottenuti in termini pastorali gli meritarono la nomina a vescovo coadiutore di Ginevra già nel 1599, a trentadue anni di età e dopo soli sei anni di sacerdozio. Dopo altri tre anni divenne vescovo a pieno titolo e si spese per l’introduzione nella sua diocesi delle riforme promulgate dal Concilio di Trento. La città rimase comunque nel suo complesso in mano ai riformati ed il novello vescovo dovette trasferire la sua sede nella cittadina savoiarda di Annecy, “Venezia delle Alpi”, sulle rive del lago omonimo. Fu direttore spirituale di San Vincenzo de’ Paoli. Nel corso della sua missione di predicatore, nel 1604 conobbe poi a Dijon la nobildonna Giovanna Francesca Frémiot, vedova del barone de Chantal, con cui iniziò una corrispondenza epistolare ed una profonda amicizia che sfociarono nella fondazione dell’Ordine della Visitazione. “Se sbaglio, voglio sbagliare piuttosto per troppa bontà che per troppo rigore”: in questa affermazione di François de Sales sta il segreto della simpatia che egli seppe suscitare tra i suoi contemporanei. Il duca di Savoia, dal quale Francesco dipendeva politicamente, sostenne l’opera dell’inascoltato apostolo con la maniera forte, ma non addicendosi l’intolleranza al temperamento del santo, quest’ultimo preferì portare avanti la sua battaglia per l’ortodossia con il metodo della carità, illuminando le coscienze con gli scritti, per i quali ha avuto il titolo di dottore della Chiesa. Le sue principali opere furono dunque “Introduzione alla vita devota” e “Trattato dell'amore di Dio”, testi fondamentali della letteratura religiosa di tutti i tempi. Quello dell’amore di Dio fu l’argomento con il quale convinse i recalcitranti ugonotti a tornare in seno alla Chiesa Cattolica. L’11 dicembre 1622 a Lione ebbe l’ultimo colloquio con la sua penitente e qui morì per un attacco di apoplessia il 28 dello stesso mese nella stanzetta del cappellano delle Suore della Visitazione presso il monastero. Il 24 gennaio 1623 il corpo mortale del santo fu traslato ad Annecy, nella chiesa oggi a lui dedicata, ma in seguito fu posto alla venerazione dei fedeli nella basilica della Visitation, sulla collina adiacente alla città, accanto a Santa Giovanna Francesca di Chantal. Francesco di Sales fu presto beatificato il 8 gennaio 1662 e già tre anni dopo venne canonizzato il 19 aprile 1665 dal

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pontefice Alessandro VII. Successivamente fu proclamato Dottore della Chiesa nel 1877, nonché patrono dei giornalisti nel 1923. San Francesco di Sales, considerato quale padre della spiritualità moderna, ha avuto il merito di influenzare le maggiori figure non solo del “grand siècle” francese, ma anche di tutto il Seicento europeo, riuscendo a convertire al cattolicesimo addirittura alcuni esponenti del calvinismo. Francesco di Sales a ragione può essere considerato uno dei principali rappresentanti dell’umanesimo devoto di tipica marca francese. Fu un vescovo santo, innamorato della bellezza e della bontà di Dio. E’ infine doveroso ricordare come al suo nome si siano ispirate parecchie congregazioni, tra le quali la più celebre è indubbiamente la Famiglia Salesiana fondata da San Giovanni Bosco, la cui attenzione si rivolge più che altro alla crescita ed all’educazione delle giovani generazioni, con un’attenzione tutta particolare alla cura dei figli delle classi meno abbienti. ( Santibeati.it)

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BEATO PIO IX

Statua di Francesco Nagni, su uno scomparto della facciata.

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BEATO PIO IX

Giovanni Maria Mastai Ferretti, nono figlio del conte Gerolamo e di Caterina Sollazzi, nacque a Senigallia il 13 Maggio del 1972. Terminati gli studi ecclesiastici, il 10 aprile 1819 venne ordinato sacerdote. Dal Luglio 1923 al Giugno 1825 fu tra i membri componenti la missione apostolica in Cile, guidata dal delegato Mons. Muzi. Il 24 Aprile 1927 fu nominato arcivescovo di Spoleto a soli 35 anni; il 6 Dicembre 1832 fu trasferito al Vescovado di Imola; il 14 Aprile 1840 ricevette la berretta cardinalizia.

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Il 16 Giugno 1846, al quarto scrutinio, con 36 voti su 50 Cardinali presenti in Conclave, venne eletto Sommo Pontefice a 54 anni. Un mese dopo, il 16 Luglio, dopo concesse l’amnistia per i reati politici. Dall’agosto del 1846 al 14 Marzo del 1948 è l’epoca delle grandi riforme della Stato Pontificio ( Ministero liberale, libertà di stampa e agli ebrei, Guardia Civica, inizio delle ferrovie; municipio di Roma, emissione dello Statuto:14 Marzo 1949 ). Con l’allocuzione del 29 Aprile 1848 contro la guerra all’Austria, declina la stella politica del Mastai e incomincia la sua lunga Via Crucis.. 1848 uccisione di Pellegrino Rossi; dal 24 Novembre 1848 al 12 Aprile i850 esilio del Pontefice a Gaeta e quindi ritorno a Roma, ove riprese un’illuminata restaurazione. L’otto dicembre 1854 definizione del dogma dell’Immacolata Concezione. Dal 4 Maggio al 7 Settembre 1857 viaggio-visita politico- pastorale del Papa nei suoi Stati. Nell’Aprile del 1861 caddero le Legazioni, nel Settembre le Marche e l’Umbria furono annesse al regno d’Italia. Il 1 Luglio 1861 viene pubblicato il primo numero dell’Osservatore Romano. L’8 dicembre 1864 Enciclica “ Quanta cura” e il Sillabo; il 2 Maggio 1968 approvazione dell’Azione Cattolica Italiana; l’8 Dicembre del 1968 apertura del concilio Vaticano I, che promulga due costituzioni, la “Dei Filius” e la “Pastor aeternus” del 18 Luglio 1970 e la definizione del magistero infallibile del Pontefice Romano se parla “ex cattedra”; chiusura del Concilio per il precipitare degli eventi politici. Il 20 Settembre 1970 presa di Roma e chiusura volontaria del Papa in Vaticano. L’8 dicenre 1970 Pio IX proclama S. Giuseppe patrono della Chiesa universale. Il 16 Giugno 1875 consacrazione della Chiesa al Sacro Cuore di Gesù. Il 17 Febbraio 1878 morte di Pio IX dopo 32 anni di Pontificato. Il 12 Febbraio 1907 Pio X ordina l’introduzione della causa di beatifica di Pio IX, che sarà dichiarato beato da Giovanni Paolo II.

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SAN PIO X

E’ di Giovanni Amoroso il bassorilievo sull’altare di S. Pio X. Lo scultore evoca in una scrittura sgrossata di sapore romantico con forme massicce e solide di notevole efficacia plastica, un episodio da fioretti, che si svolse all’Oratorio di Don Bosco.

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Durante la visita del giovane canonico Sarto, divenuto poi Pio X, insieme a Monsignor Scotton, il 5 Agosto del 1875. Don Bosco dà un esempio della pronta obbedienza dei suoi giovani. Alla presenza dei due buoni preti ordina a un ragazzo, che ha preso una bottiglia, di aprire la mano. Il ragazzo esegue prontamente e al colpo della bottiglia in frantumi fa eco uno scoppio di risa di tutti i presenti.

La pala (ultimo altare a destra) è del pittore più giovane, Augusto Ranocchi. E’ dedicata al Santo Pontefice Pio X, che da giovane canonico visitò Don Bosco e divenne Cooperatore Salesiano. Tema non semplice, che condensa una materia molto vasta connessa col pontificato di Pio X: le sapienti disposizioni per la musica sacra, per l’istruzione catechistica, per la comunione ai bambini, la benevolenza paterna verso i fedeli, la grande enciclica antimodernistica, che fu monito a molto dotti teologi, i primi sinistri bagliori della guerra mondiale. Tutto questo il giovane artista ha tradotto in concetti chiari con intuito unificatore.

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SAN PIO X

Il 20 luglio 1903 ad oltre 93 anni, morì papa Leone XIII, che aveva governato la Chiesa oltre 25

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anni e il patriarca di Venezia card. Sarto partì alla volta di Roma, alla stazione ferroviaria una gran folla lo circondò per salutarlo ed egli commosso rassicurò loro “Vivo o morto ritornerò”, del resto il biglietto per il treno che gli era stato offerto, era di andata e ritorno. Quelle parole furono profetiche, perché il patriarca Sarto non tornò più a Venezia perché eletto papa; ma un suo successore, papa Giovanni XXIII, anch’egli patriarca della città lagunare, autorizzò il ritorno dell’urna con il corpo dell’ormai santo Pio X, che avvenne trionfalmente il 12 aprile 1959; l’urna esposta nella Basilica di San Marco, rimase a Venezia per un mese fino al 10 maggio, a ricevere il saluto e la venerazione dei suoi veneziani. Il Conclave che seguì fu uno dei più drammatici, perché fu l’ultimo in cui venne esercitata “l’esclusiva” di un governo cattolico nei confronti di un papabile sgradito. Il candidato più autorevole a succedere a Leone XIII era il suo Segretario di Stato card. Mariano Rampolla del Tindaro, ritenuto dal governo asburgico un continuatore della politica di sostegno dei cristiano-sociali in Austria e Ungheria e favorevole alle aspirazioni indipendentiste degli Slavi nei Balcani; il cardinale di Cracovia si fece portatore del veto imperiale contro Rampolla, fra le proteste del Decano del Sacro Collegio Cardinalizio e di altri cardinali, per l’ingerenza del potere civile. Ad ogni modo il conclave durato quattro giorni designò il 3 agosto 1903, il patriarca di Venezia nuovo pontefice, nonostante le sue implorazioni a non votarlo, il quale alla fine accettò prendendo il nome di Pio X. Il suo pontificato durò 11 anni. Aveva 68 anni quando salì al Soglio Pontificio. Suo Segretario di Stato fu il card. Merry del Val, con il quale si dedicò ad una riaffermazione ben chiara dei diritti della Chiesa e ad una strategia ad ampio raggio per ristabilire l’ordine sociale secondo il volere di Dio. Davanti ai grandi progressi di un liberalismo prevalentemente antireligioso, di un socialismo prevalentemente materialista e di uno scientismo presuntuoso, Pio X avvertì la necessità di erigere il papato contro la modernità, spezzando ogni tentativo di avviare un compromesso efficace tra i cattolici e la nuova cultura. Con l’enciclica “Pascendi” del 1907 condannò il ‘modernismo’; in campo politico riprese la linea intransigente di Pio IX, egli considerava la separazione della Chiesa dallo Stato come un sacrilegio, gravemente ingiuriosa nei confronti di Dio al quale bisogna rendere non solo un culto privato ma anche uno pubblico. Il 20 gennaio 1904 papa Pio X reduce dal drammatico conclave che l’aveva eletto, stabilì che nessun potere laico esterno, potesse opporre un veto nell’elezione del pontefice e fulminò con scomunica quei cardinali che si prestassero a fare da portavoce, anche del semplice desiderio o indicazione di uno Stato. Pio X che amava presentarsi come un “buon parroco di campagna” aveva in realtà notevoli doti e non era affatto sprovvisto di cultura, leggeva numerose opere, parlava e leggeva il francese, possedeva un gusto artistico e protesse i tesori d’arte della Chiesa; cultore della musica, amò il canto liturgico. Uomo di grandezza morale, viveva in Dio e di Dio, esercitava le virtù cristiane fino all’eroismo, con una umiltà diventata la sua seconda natura senza la minima ostentazione; una effettiva povertà e un atteggiamento di distacco di fronte a se stesso che non abbandonava mai; una fede e una fiducia nella Provvidenza origine di quella serenità interiore che si poteva ammirare in lui; inoltre una carità che destava la meraviglia dei dignitari del Vaticano. “Instaurare omnia in Christo” era il motto di papa Pio X e con la forza e la costanza che gli erano proprie, cercò di attuare in tutti campi questa restaurazione della società cristiana a partire dalla Chiesa; riformò profondamente la Curia Romana e le varie Congregazioni, fece redigere un nuovo Codice di Diritto Canonico; applicò le norme per la Comunione frequente e per i bambini; riformò la Liturgia togliendo dal Messale molte cose inutili, riportò al ciclo delle domeniche, il posto che era stato usurpato dal ciclo dei Santi; sollecitò il canto e la musica nelle funzioni sacre; istituì l’obbligo del catechismo a piccoli e grandi e che da lui si chiamò “Catechismo di Pio X”. Verso la fine del suo pontificato, sull’Europa si addensavano nubi minacciose di guerra, che coinvolgevano molti Stati cattolici in contrasto fra loro. Dopo l’attentato di Sarajevo all’arciduca ereditario Francesco Ferdinando, seguì il 28 luglio 1914 l’attacco dell’Austria alla Serbia e man mano

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il conflitto si estese a tutta l’Europa; per papa Pio X, già da tempo sofferente di gotta e quasi ottantenne, fu l’inizio della fine, il suo stato di salute e il deperimento fisico si accentuò e dopo una bronchite trasformatosi bruscamente in polmonite acuta, il pontefice morì nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1914; fu sepolto nelle Grotte Vaticane. In vita era indicato come un “Papa Santo”, perché correva voce di guarigioni avvenute toccando i suoi abiti, ma lui sorridendo correggeva: “Mi chiamo Sarto non Santo”. Fu beatificato il 3 giugno 1951 e proclamato santo il 29 maggio 1954 da papa Pio XII.

PIO XI

Su uno scomparto della facciata, statua di Pio XI di Francesco Nagni.

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PIO XI

A seguito della morte di Benedetto XV (22 gennaio 1922), il successivo 2 febbraio si riunisce il Conclave con l’intervento di 53 cardinali. Quattro giorni dopo, al quattordicesimo scrutinio, Achille Ratti , ( nato a Desio il 31 Marzo 1857 ) viene eletto Papa con 42 voti (6 più del quorum richiesto). Egli assume il nome di Pio XI e, con gesto dirompente, impartisce la tradizionale benedizione «Urbi et orbi » dalla loggia esterna di San Pietro, che era rimasta chiusa da quando nel 1870 il Regno d’Italia si era impadronito del Vaticano. I fedeli assiepati nella piazza acclamano gridando «Viva Pio XI. Viva l’Italia ». Si tratta di un episodio che va registrato fra quelli che porteranno alla soluzione della « questione romana ».

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Questo, della riconciliazione fra la Santa Sede e l’Italia, costituisce uno degl’impegni programmatici più convinti del nuovo Papa, che sceglie la pace quale motto del suo pontificato: « Pax Christi in regno Christi ». Pace fra gli uomini, pace fra tutte le realtà. Già nella prima Enciclica, la “Ubi arcano” del 23 dicembre 1922, egli richiama il problema: «L’Italia nulla ha o avrà da temere dalla Santa Sede». E l’ora suonerà quando l’11 febbraio 1929 verrà sottoscritto il Trattato con il quale la Santa Sede « riconosce il Regno d’Italia sotto la dinastia di Casa Savoia con Roma capitale dello Stato italiano » e a sua volta « l’Italia riconosce lo Stato della Città del Vaticano sotto la sovranità del Sommo Pontefice » Pio XI, a buon diritto, esprime ripetutamente e in più sedi la propria soddisfazione per il risultato raggiunto, che si accompagna sul piano diplomatico agli altri undici Concordati con altrettanti Stati e ai cinque Accordi internazionali da lui conclusi su particolari questioni. Assai numerosi sono i titoli di merito che il Papa Ratti può vantare per l’attività svolta in diversi settori nel corso dei diciassette anni, 1922-1939, in cui ha governato la Chiesa. Sul piano strettamente religioso e dottrinario è doveroso ricordare — oltre la celebrazione di alcuni grandi Santi, quali San Francesco di Sales, San Tommaso d’Aquino, San Giosafat, San Francesco d’Assisi e Sant’Agostino — le quattro Encicliche definite « magnifiche colonne » dal Vescovo Angelo Giuseppe Roncalli, che diverrà Papa con il nome di Giovanni XXIII. Nella Divini illius Magistri del 31 dicembre 1929 Pio XI rivendica alla Chiesa e alla famiglia il diritto primario di educare i giovani: diritto inviolabile ed anteriore a quello dello Stato. Nella Casti connubii del 31 dicembre 1930, richiamandosi all’Enciclica Arcanum Divinae del 10 febbraio 1880 di Leone XIII, Pio XI condanna il neopaganesimo che, sostenendo una formale emancipazione della donna, insidia in realtà la famiglia saldata da Dio nell’unità matrimoniale. Nella Quadragesimo anno del 15 maggio 1931, Papa Ratti celebra, spiega ed integra l’Enciclica Rerum novarum di Leone XIII pubblicata il 15 maggio 1891, illustrando analiticamente nel rapporto imprese-lavoratori quel vasto complesso d’insegnamenti che caratterizza il « cattolicesimo sociale ». Nell’Enciclica Ad Catholici sacerdotii del 20 dicembre 1935, Pio XI esalta la sublimità del sacerdozio cattolico e la sua provvidenziale missione nel mondo Ricordando l’attività religiosa di Papa Ratti, è doveroso registrare che nel corso del suo lungo pontificato ha canonizzato Giovanni Fisher (1469-1535) e Tommaso Moro (1478-1535), vittime dello scisma di Enrico VIII; Giovanni Bosco (1815-1888), fondatore dei Salesiani e Teresa del Bambino Gesù (1873- 1897), modello di semplicità e di carità. Inoltre, ha dichiarato dottori della Chiesa Alberto Magno (1193-1280), Pietro Canisio (1521-1597), Giovanni della Croce (1542-1591) e Roberto Bellarmino (1542-1621). Ma non deve assolutamente essere ignorata la coraggiosa azione anche politica che Pio XI ha svolto in difesa dei valori cristiani. Già nel 1926, quando nel Messico i cattolici vengono barbaramente perseguitati, egli insorge il 18 novembre con l’Enciclica Iniquis afflictisque condannando i sopraffattori Analoghe condanne delle ripetute persecuzioni messicane vengono energicamente espresse dal Pontefice con le Encicliche Acerba animi del 29 settembre 1932 e Fermissimam constantiam del 28 marzo 1937 Difficile, senza dubbio, è l’intervento che Pio XI è costretto a compiere il 29 giugno 1931 con l’Enciclica Non abbiamo bisogno nei confronti del Governo italiano che, sotto la spinta di estremisti fascisti, ha sciolto le Associazioni giovanili ed universitarie dell’Azione Cattolica. I drammatici avvenimenti verificatisi nella cattolica Spagna dopo gli esiti elettorali del 12 aprile 1931 che vedono la vittoria dei socialisti e dei repubblicani e, due giorni dopo, la caduta della monarchia, richiamano l’attenzione preoccupata della Santa Sede. Nel gennaio 1932 i Gesuiti vengono espulsi dal paese, e nel settembre dello stesso anno vengono confiscati tutti i loro beni. Dopo qualche mese, questo provvedimento viene esteso alle proprietà di tutti gli ordini religiosi. Chiese e conventi sono devastati. L’educazione dei giovani viene secolarizzata. Con l’Enciclica Dilectissima Nobis del 3 giugno 1933 Pio XI protesta energicamente.

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Gli anni di pontificato di Papa Ratti sono stati attraversati intensamente da due violente ideologie politiche abbracciate e sostenute da potenti Stati: il nazionalsocialismo dalla Germania di Hitler e il comunismo dall’Unione Sovietica di Stalin. Nel 1937, quando risultano superati tutti i limiti della sopportazione diplomatica, Pio XI interviene con due energiche Encicliche: il 14 marzo con la Mit brennender Sorge (Con viva ansia) contro il Reich nazista e il 19 marzo con la Divini Redemptoris contro il comunismo ateo dominante in Russia. Sacerdote nel più ampio significato della parola, Pio XI si è preoccupato di accrescere l’attività missionaria, consacrando in San Pietro sei Vescovi cinesi il 28 ottobre 1926 (si veda in proposito l’omelia Iam finis) e successivamente altri Vescovi indigeni; si è impegnato affinché fossero conosciuti e tenuti nel debito conto i problemi delle Chiese orientali; si è dedicato con zelo e convinzione alla formazione ed alla santificazione del clero; ha dato un forte impulso agli studi umanistici ed alla valorizzazione dell’arte sacra; ha promosso tre Giubilei accolti con larghissima partecipazione dalla cattolicità. Un riconoscimento particolare viene riservato al Papa Ratti dal mondo della comunicazione sociale. Il 12 febbraio 1931, nel nono anniversario della sua incoronazione, presentato da Guglielmo Marconi egli inaugura la potente stazione della Radio Vaticana, inviando a tutti, in lingua latina, il messaggio Qui arcano Dei. Lo storico documento è indirizzato specificatamente da Pio XI, Pontefice della Chiesa universale, « a tutto il creato, a Dio, ai cattolici, alla gerarchia, ai religiosi, ai missionari, a tutti i fedeli, agli infedeli e dissidenti, ai governanti, ai sudditi, ai ricchi, ai poveri, agli operai e ai datori di lavoro, agli afflitti e perseguitati ». Del modernissimo servizio radiofonico il Pontefice si servirà altre volte anche negli anni successivi, inviando messaggi ad uditori lontani, riconoscente a Guglielmo Marconi che l’11 febbraio 1933 gli metterà a disposizione anche la Stazione radio ad onde ultracorte, dal Pontefice definita « primato di scientifica utilità ». Ammalatosi gravemente nel gennaio 1939, il Papa Achille Ratti si è spento il successivo 10 febbraio, alla vigilia di compiere il diciassettesimo anno di pontificato. Le sue spoglie riposano nelle Grotte Vaticane, accanto alle tombe di Benedetto XV e Pio X. La voce che prima di morire egli stesse redigendo un documento contro la discriminazione razziale ed il regime fascista non ha trovato conferma. Il testo dell’ultimo incompleto discorso di Pio XI, rimasto a lungo inedito, è stato reso noto dal Papa Giovanni XXIII il 6 febbraio 1959. Esso verrà pubblicato alla fine del prossimo volume dedicato al Papa Ratti. (Sintesi da Vatican.va)

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SAN GIUSEPPE CAFASSO

Su uno scomparto della facciata, statua di S. G. Cafasso di Antonio Venditti.

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SAN GIUSEPPE CAFASSO

Non ha fondato né costruito, ma ha allevato fondatori e costruttori. Dalla cattedra e dal confessionale ha formato maestri di fede e uomini e donne di Dio per la Chiesa del suo tempo e anche di dopo. Se non era in cattedra o in chiesa, lo si poteva trovare nelle carceri, tra i detenuti. Giuseppe Cafasso, nato a Castelnuovo d’Asti nel 1811 (quattro anni prima di Giovanni Bosco), fa le scuole pubbliche al suo paese e poi va al Seminario di Chieri (Torino). Tra i compagni non spicca per gesti speciali; la sua figura è tutt’altro che imponente: di piccola statura, è già un po’ curvo per una deviazione della colonna vertebrale. Difficile prevedergli un futuro di grande predicatore, perché il suo parlare è sommesso. Ma è prete già a 22 anni, e con un solido ascendente sui compagni. Entra nel Convitto ecclesiastico torinese del teologo Luigi Guala, dove i neosacerdoti approfondiscono gli studi di teologia e di morale, e intanto fanno tirocinio nel ministero, lavorando in ospedali, riformatori, carceri, ospizi. Entrato come allievo, don Cafasso non va più via, diventando insegnante di morale, direttore spirituale e infine rettore. Intanto lo chiamano a predicare, anche se gli manca la voce tonante. Parla ai fedeli nelle “missioni” e ai preti negli esercizi spirituali. Sulla linea di Alfonso de’ Liguori, ma con un suo preciso accento personale, insegna la morale, combattendo un rigorismo giansenistico ancora diffuso, che scoraggia molti. E ai preti insegna come presentare la fede con serenità e fiducia, senza transigere sul dogma, ma offrendo comprensione agli incerti, ai disorientati. Il giovane don Bosco gli chiede consiglio: vorrebbe andare missionario, ma gli si offrono pure incarichi qua e là... Sommesso e chiaro, Cafasso dice a don Bosco che la sua missione è Torino. E’ la capitale piemontese, con tanta gioventù brada, immigrata e analfabeta, sfruttata da molti, malvista dalla polizia. E lo aiuta a cominciare, trova posto per i suoi primi ragazzi, lo difende dagli attacchi di chi non capisce. Gli chiedono consiglio ex allievi diventati vescovi e cardinali. Alcuni notabili gli propongono

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di candidarsi alla Camera. Risposta: "Ma nel dì del Giudizio il Signore mi chiederà se avrò fatto il buon prete, non il deputato". E’ popolare e amato in Torino per l’opera tra i carcerati, che non si limita a visite, buone parole e sigari, ma include l’aiuto alle famiglie, il soccorso ai dimessi perché non ci ricaschino. E include la condivisione delle ore estreme con i condannati a morte, i momenti della disperazione, il cammino verso la forca. Il fragile prete non si stacca mai dai morituri, ai quali parla sommessamente fino al patibolo, pronto poi a inginocchiarsi presso i cadaveri, ricomporli con gesti materni, benedirli, con nell’orecchio ancora le loro ultime parole. Papa Pio XII lo canonizzerà nel 1947, proclamandolo Patrono dei carcerati. (siticattolicisabtibeati.it)

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APPARIZIONE DEL S. CUORE

Nella prima pala lungo la navata di destra è ritratto il Sacro Cuore di Gesù, che appare a Margherita Maria Alacoque. E’ di Primo Conti. E’ una composizione dinamica in diagonale, equilibrata da due figure di angeli appena rilevate dal fondo caliginoso, a sinistra in alto, per non distrarre l’attenzione, concentrata sull’acceso dialogo degli unici due personaggi. La santa, tra lo sbigottimento e l’estasi, protende le braccia verso Gesù reso in una “luce di evocazione mistica”. L’essenzialità vigorosa del colore e le pennellate turbinose creano in ambiente di “visione fantastica e allucinata”. E’ una pittura molto discussa, alla quale tuttavia, salvo qualche eccezione, tutti attribuiscono un grande valore artistico, pur rilevandone i difetti.

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Tommaso Bertolino, nel bassorilievo, ha interpretato le parole di Gesù: “Venite a me voi tutti, che siete affaticati, e io vi ristorerò”.

_______________ APPARIZIONE A MARGHERITA MARIA

Margherita Alacoque era nata il 22 luglio 1647 nella diocesi di Autun, in Francia, da Claudio Alacoque, giudice e notaio regio, e da Filiberta Lamyn. Entrò nel monastero della Visitazione di Paray-le-Monial. Il 25 agosto 1671 ebbe luogo la Vestizione della nuova postulante al quale venne dato il nome di Margherita Maria. Gesù continuava ad arricchire la sua prediletta di copiosi doni che lei stessa chiedeva talvolta di diminuire per non sembrare diversa dalle altre suore e poter vivere meglio il nascondimento e lo spirito di umiltà. Poco a poco, in mezzo alle prove che non le faceva mancare, il Signore cominciava a parlare del suo Sacro Cuore all’umile visitandina: nei periodi più gravi egli offriva il suo Cuore come rifugio e asilo; nel suo Cuore le anime avrebbero trovato tranquillità, consolazioni e ogni attrattiva; il suo Cuore regnava nei tormenti, trionfava nell’umiltà. E così l’animo di Margherita Maria cominciava ad infiammarsi e a far conoscere l’amore del Sacro Cuore di Gesù. Immersa nel Cuore di Gesù, Margherita Maria desiderava ardentemente il disprezzo, l’abiezione, la dimenticanza degli uomini per essere conforme allo Sposo crocifisso. Era ormai pronta alla prima grande rivelazione del Signore. La prima apparizione. Questa avvenne nel 1673, nel giorno della festa di S. Giovanni Evangelista. Margherita Maria era in preghiera davanti al Santissimo Sacramento quando, come lei stessa scriverà, «il Divin Cuore mi fu presentato come in un trono di fiamme, più sfolgorante di un sole e trasparente come un cristallo, con la piaga adorabile; esso era circondato da una corona di spine (…) e sormontato da una croce (…). E mi fece vedere come l’ardente desiderio di essere amato dagli uomini e di ritrarli dalla via della perdizione, dove Satana li precipita in molti, gli aveva fatto concepire questo disegno di manifestare il suo Cuore agli uomini, con tutti i tesori di amore, di misericordia, di grazie, di santificazione e di salvezza, che esso conteneva, affinché tutti coloro i quali volessero rendergli e procurargli tutto l’onore e la gloria che possono, fossero arricchiti con abbondanza e profusione di quei divini tesori del Cuore di Dio che ne era la sorgente. Ma bisognava onorarlo sotto la figura di questo Cuore di carne, di cui Egli voleva che l’immagine fosse esposta e portata su di me e sul cuore per potervi imprimere il suo amore e riempirlo di tutti i doni di cui esso era colmo e per distruggervi tutti i movimenti sregolati». Ma la grande rivelazione doveva ancora arrivare. Era nell’ottava del Corpus Domini del 1675 mentre Margherita Maria si trovava in adorazione davanti al Santissimo Sacramento. Gesù le apparve

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e, aprendo il suo Sacratissimo Cuore, le disse: «Ecco il Cuore che ha tanto amato gli uomini, che non ha niente risparmiato, così da esaurirsi e consumarsi per dichiarare il suo amore, invece la maggior parte di loro mi ricompensano con l’ingratitudine, la disonestà, i sacrilegi, l’indifferenza e il disprezzo che mi dimostrano in questo sacramento di amore. La pena e il cruccio aumentano per essere trattato in tal modo anche dalle anime a me consacrate. Per cui ti chiedo che il venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini sia istituita una solennità speciale per onorare il mio Cuore: in questo giorno i fedeli dovranno comunicarsi e nel tempo stesso si dovrà fare onorevole ammenda, in riparazione alle ingiurie inferte durante questi giorni al Santissimo Sacramento. Io ti prometto che il mio Cuore si dilaterà per effondere copiosamente le predilezioni del suo amore su quelli che mi renderanno tali onori e saranno promotori di tale devozione presso altri». Seguendo le indicazione di Gesù, Margherita Maria riferisce tutto al padre la Colombière che le chiese di mettere tutto per iscritto. Il 21 giugno di quello stesso anno i due celebrarono per la prima volta la festa del Sacro Cuore e si consacrarono a lui. Ma il beato la Colombière doveva presto lasciare Paray-le-Monial perché l’obbedienza lo inviava in Gran Bretagna. Il dolore fu grande per la nostra Santa anche perché le prove non mancavano: il Signore le chiese di offrirsi come vittima della sua giustizia per riparare tutte le offese e le mancanze di carità e di obbedienza della sua comunità. Anche le pene fisiche la colpivano duramente. Ma in un momento di particolari angustie il Signore la consolò affidandola ad un fedele angelo custode che non l’avrebbe mai lasciata. Nel frattempo, anche la madre superiora venne spostata e al suo posto arrivò a Paray-le-Monial madre Peronne-Rosalie Greyfié. Tra i primi atti, ella venne chiamata dal Signore stesso a voler scrivere l’atto solenne di donazione di tutto ciò che possedeva Margherita Maria al Signore ciò che ella fece il 31 dicembre 1678. Ma il Signore voleva unirla sempre di più alla sua passione ed un giorno, mentre riceveva la Santa Comunione, le offrì una corona di spine. Da quel momento il mal di testa non l’abbandonò mai, ma suor Margherita Maria era felice perché queste sofferenze la univano sempre più al Divin Cuore di Gesù. Intanto la devozione al Sacro Cuore iniziava a diffondersi all’interno del convento e all’esterno tramite gli altri conventi della Visitazione e tramite l’apostolato del padre la Colombière. Margherita Maria ricevette ancora la promessa dall’adorabile Cuore di Gesù che in virtù del suo amore «concederà la grazia della penitenza finale a quanti per nove mesi consecutivi si accostino il primo venerdì del mese al sacro convito; essi non moriranno in disgrazia né senza aver ricevuti i santi sacramenti: negli ultimi istanti il mio Cuore offrirà loro un asilo sicuro». Ma, come sappiamo, Luigi XIV non fu un novello Costantino e la Francia, nello spazio di un secolo, sprofondò nell’orrore della Rivoluzione Francese, i Borbone persero il trono e il suo pronipote, Luigi XVI, fu ghigliottinato. Margherita Maria aveva ormai compiuto la sua missione. Nella continua ricerca dell’umiltà e del nascondimento, chiese che venissero bruciate tutte le lettere e il diario che aveva scritto su ordine del padre Rolin: non voleva che niente rimanesse della sua memoria. Afflitta per aver così poco amato il Signore durante la sua vita, pregava le sorelle di ottenere per lei perdono da Dio e, per compensare la sua negligenza, di amarlo loro per tutta la vita. Invocando il Santissimo nome di Gesù, Margherita Maria chiuse gli occhi il 17 ottobre 1690. La sua missione era compiuta: il Sacro Cuore di Gesù, avrebbe trionfato sul mondo (Siticattolicisantibeati.it)

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