FocusFermi · 2016-07-13 · della termodinamica, quella per cui l’entropia di un sistema fisico,...

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1 FocusFermi Alla scoperta del mondo curato dagli alunni e dai docenti del Liceo Scientifico “Enrico Fermi” di Cosenza Say no to doping! La più grande decisione della dea bendata! Gli OGM fanno male! IL CORPO UMANO, LA NATURA E LE SCIENZE COME NON LE AVETE MAI VISTE!!!

Transcript of FocusFermi · 2016-07-13 · della termodinamica, quella per cui l’entropia di un sistema fisico,...

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FocusFermi Alla scoperta del mondo

curato dagli alunni e dai docenti

del Liceo Scientifico “Enrico Fermi” di Cosenza

Say no to doping!

La più grande decisione della dea bendata!

Gli OGM fanno male!

IL CORPO UMANO, LA

NATURA E LE SCIENZE

COME NON LE AVETE

MAI VISTE!!!

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INDICE

La più grande decisione della dea bendata. pag. 3 La scienza può spiegare il calcio?

pag. 4 Say no to doping!

pag. 5 Gli OGM fanno male?

pag. 6 Manuale di sopravvivenza per aspiranti marziani:

tutto ciò che dovete sapere sul pianeta rosso pag. 7

Gel oil pag.8/9

Abbiamo la felicità nel DNA! pag. 10

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Come si formarono tutti gli organismi viventi che oggi conosciamo? Questa è la domanda che sin dai suoi albori l’umanità si pone cui però non si è ancora trovata una risposta definitiva. Grazie ai progres-sivi studi che furono eseguiti sugli esseri viventi, noi ora siamo a conoscenza di tutti i particolari che compongono il funzionamento, la formazione e lo sviluppo di ogni organismo presente sulla Terra e anche tutto ciò che li governa: su tutti, codice genetico e selezione naturale. Come sia scoccata la scintilla che ci portò a questa comples-sa e immensa biodiversità, non si conosce con precisione, ma sono state formulate da alcuni scienziati delle ipotesi, che hanno seguito il seguente sviluppo: Nel 1668 il medico italiano, Francesco Redi, allestì degli e-

sperimenti che determinavano impossibile l’abiogenesi. Questa credenza rimase sostenuta sino al 1860, quando il fran-

cese, Louis Pasteur, con gli esperimenti che fece sulla fermen-tazione dei microrganismi, si soffermò principalmente sulla formazione del vino e sull’inacidimento del latte, fornendo l’elemento cruciale per la confutazione della generazione spontanea.

Per spiegare come si siano formati gli organismi, basterebbe

riuscire a trovare le modalità attraverso cui si formò l’unità fondamentale di ogni essere: la cellula. Questa via di ragiona-mento portò nel 1924 il biochimico russo, Alexander Oparin, a formulare la sua teoria della formazione delle molecole bio-logiche, che costituiscono la cellula, nell’atmosfera, per poi depositarsi nell’oceano formando il cosiddetto “brodo primor-diale”. Cinque anni dopo il biologo inglese Haldane arrivò alle stesse conclusioni del russo.

Queste ipotesi furono confermate sperimentalmente prima da

Oparin stesso e successivamente, nel 1953, da Stanley Miller con il suo esperimento nel laboratorio di Urey a Chicago. Quest’ultimo consisteva nel ricreare le stesse reazioni che portarono alla formazione delle prime biomolecole.

Un’altra ipotesi su come si sia originata la vita sulla Terra

crede che le prime molecole biologiche vengano dallo spazio trasportate dagli asteroidi. Un famosissimo sostenitore di que-sta teoria fu il premio Nobel, Francis Crick. Tutte queste ipo-tesi ci portano a credere che la vita sia il risultato finale di un gran colpo di fortuna, poiché non spiegata la motivazione che fece iniziare questo straordinario evento.

Mantenendo come schema evolutivo quello più accettato da

tutti gli scienziati, ovvero l’ipotesi di Oparin, Jeremy England, giovane fisico del MIT (Massachusetts institute of techno-logy) di Boston (Usa), è convinto che la fortuna non c’entri, infatti è riuscito a riscontrare la vera motivazione per cui è nata la vita. Il tutto è spiegato nei suoi articoli pubblicati nell’ultimo anno su riviste scientifiche, come: Nature Nanote-chnology e The Journal of Chemical Physics. Lui pone come chiave di lettura per questo avvenimento la seconda legge della termodinamica, quella per cui l’entropia di un sistema fisico, ovvero il suo grado di disordine, aumenta nel tempo. In conclusione, secondo questa tesi che è in via di sperimenta-zione, siamo portati a credere che gli agglomeramenti che partorirono la vita avvennero per aumentare la dispersione di calore del sistema per stabilizzarsi sempre più. Un esempio pratico di questo si può riscontrare nell’utilizzo dei termosifo-ni, che trasmettono calore all’ambiente senza mai riceverlo da esso e più sono grandi e maggiore calore riescono a secernere. Questo è lo stesso principio per cui nacquero le prime forme di vita e per cui si legarono tra loro per formare gli organismi. In conclusione se England riuscisse a riscontrare una prova sperimentale della sua tesi allora si potrà dire con certezza di essere arrivati alla prima spiegazione fisica sull’origine della vita.

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La più grande decisione della dea bendata

Alessandro Pucci III L

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LA SCIENZA PUO’ SPIEGARE IL CALCIO?

Il calcio non è una scienza esatta ma la fisica può aiutare a capire cosa accade durante una partita. E’ vero però che sentire parlare in

termini fisici dello sport più popolare al mondo è strano, soprattutto dal momento

che gli stessi giocatori non sono sicuramente consapevoli delle implicazioni fisiche di ciò

che fanno mentre disputano un match.

Il calcio è molto influenzato dalla dinamica. In particolare, il terzo principio della di-namica, conosciuto anche come “principio d’azione e reazione” è fondamentale perché

proprio grazie a questo abbiamo la possibilità di camminare: Fa­­->b=-Fb->a. Un corpo non sottoposto a forze mantiene il suo stato di quiete o di moto

rettilineo uniforme. Ciò afferma il principio d’inerzia. È quanto succede ad esempio agli oggetti che transitano a velocità costante nello spazio. Ma il

calcio si gioca sulla Terra dove la rotazione del pallone su se stesso provoca effetti caratteristici. Qui le forze ci sono, eccome: gravità e attrito con l’aria.

La legge d’inerzia non trova quindi piena applicazione. È in particolare l’aria a consentire il tiro a effetto. Se essa non ci fosse le traiettorie dei gravi lanciati sarebbero delle perfette parabole. Così, poiché la gravità agisce solo verticalmente, se osservassimo un ipotetico campo di calcio lunare dall’alto potremmo avere l’impressione che il movimento di un pallone calciato sia

rettilineo e avvenga a velocità costante.

Barbieri, Caracciolo, Corbino 2M

Nicola Ludwig, fisico e ricercatore dell’Università Statale di Milano, si è conquistato un posto da esperto in ma-

teria di fisica applicata al calcio. Il fisico, aiutato dal giornalista sportivo Paolo Colombo, ha tenuto una confe-

renza al Festival della Scienza di Genova in cui ha spiegato cosa si nasconde in termini di

velocità, dinamica, traiettoria, moto dei proiet-tili e teoria dei fluidi dietro le prodezze balisti-

che dei calciatori.

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Con il termine doping s’intende l’uso di sostanze o me-dicinali particolari con lo scopo di aumentare artificial-mente il rendimento fisico e le prestazioni di un atleta.

Il termine deriva dalla parola inglese “dope” che in principio indicava una mistura di vino e thè regolarmen-

te bevuta dagli schiavi americani per rimanere attivi e lavorare. Il doping non è un fenomeno recente: già nelle olimpiadi del 668 a.C. viene riportato l’uso di sostanze

eccitanti, quali funghi allucinogeni. Con lo sviluppo dell’industria farmaceutica del XIX secolo si assiste ad una diffusione di sostanze come alcool, stricnina, caf-

feina, oppio, nitroglicerina , trimetil.

E’ risultato da recenti studi che una delle sostanze dopanti più diffuse nel mondo dall’atletica è

l’eritropoietina (EPO), un ormone glicoproteico, entrato in commercio dal 1985, che regola la produ-

zione di globuli rossi da parte del midollo osseo (eritropoiesi). L’utilizzo dell’eritropoietina, in cam-po medico, permette di curare alcuni tipi di anemia

come quella dovuta ad un’insufficienza renale croni-ca. Incrementando la produzione di globuli rossi

all’interno del sangue aumenta l’apporto di ossigeno al corpo; di conseguenza la viscosità del sangue au-menta e con essa il rischio d’infarto. Un altro degli ormoni ai quali maggiormente si ricorre è l’ormone

della crescita (GH) che stimola l’aumento della massa corporea, un accrescimento delle e ossa e il suo eccesso di produzione. Il rendimento sportivo

viene aumentato anche dall’utilizzo di altri farmaci come gli ormoni steroidei e i composti stimolanti il

sistema nervoso centrale.

W la vita sana!

Gli ormoni steroidei provocano infatti un’ipertrofia muscolare (aumento di volume del muscolo per aumento di volume degli elementi che lo compongono) andando incontro ad una mag-giore facilita di rottura di tessuto connettivo (tendini) e ad un aumento della formazione di trombi, dunque il rischio d’infarti e complicazioni cardiovascolari.

Il doping non è soltanto slealtà verso gli avversari ma lo è soprattutto verso se stessi. Condurre una vita sana ed equilibrata evita danni e complicazioni (cerebrali, cardiovascolari), che potrebbero compromettere la salute. La

scuola e la famiglia, quali principali agenzie educative, giocano un ruolo importante nel processo di crescita dei giovani e rappresentano per loro, una guida nella crescita e nelle scelte; esse hanno il compito di far com-

prendere alle nuove generazioni i veri valori della vita!

Angela Fiorentino, Greta Gigliotti, Matteo Mancuso, Eugenio Siciliano IV F

GLI OGM FANNO MALE?

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Queste possono o no manifestarsi ma se si manifestano possono avere conseguenze molto gravi sull’individuo. Le continue modificazioni ap-

portate al grano e ai cereali hanno aumentato la diffusione della malattia celiaca, un malattia autoimmune causata da una reazione alla gliadina, una proteina presente nel glutine. Nell’individuo affetto può succedere che l’organismo cominci ad attaccare se stesso causando una riduzione dei villi che rivestono l’intestino tenue, fortunatamente è una patologia facilmente curabile, escludendo dalla dieta grano e derivati. Invece di

continuare a riporre speranze nelle coltivazioni geneticamente modificate il mondo dovrebbe aumentare la produzione di alimenti con il minimo

impatto ambientale.

G L I O G M F A N N O M A L E ?

Oggi nelle grandi serre si coltivano cibi fuori stagione e per farli diventa-re più resistenti si usano pesticidi e sostanze chimiche in grado di modi-ficare le sostanze nutritive dell’organismo e questo non sempre fa bene

alla salute.

La popolazione è diventata sempre più esigente quando si tratta di ci-bo. Con l’aumento demografico c’è bisogno di sfamare sempre più persone, anche se nei Paesi sottosviluppati ancora molta gente non

può permettersi un pasto al giorno. Questo è il tema a cui si è ispirato EXPO 2015 la prima esposizione che punta ad aprire il dialogo sulle soluzioni in grado di assicurare un’adeguata nutrizione a tutti i popoli e a tutelare la biodiversità. Un Organismo Geneticamente Modificato

(OGM) è un organismo in cui parte del genoma è stato modificato tramite le moderne tecniche di ingegneria genetica. In passato

l’agricoltura era molto diversa, si coltivava frutta e verdura di stagione ed ognuno produceva il necessario per la propria famiglia.

Uno dei potenziali rischi legato alla modificazione gene-tica delle piante ad uso alimentare è che i nuovi geni por-tino alla produzione di proteine non normalmente presen-ti nella pianta stessa che potrebbero causare reazioni al-lergiche in soggetti predisposti. La presenza di queste

nuove proteine negli organismi geneticamente modificati crea un potenziale rischio di effetti indesiderati nell'uomo e negli animali, infatti molte sostanze chimiche, tossiche e farmaci sono chiamate mutageni, cioè inducono muta-zioni, perché possono interagire con il DNA e provocare

mo-

Noemi Iaccino 4L

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MANUALE DI SOPRAVVIVENZA PER ASPIRANTI MARZIANI: TUTTO CIÒ CHE DOVETE SAPERE SUL PIA-

NETA ROSSO Il pianeta Marte, altresì denominato "il pianeta rosso", egualmente affascinante e miste-

rioso, da secoli risulta essere oggetto di attenzione e di studio. E per chi, come noi, sogna di intraprendere un viaggio su Marte, questo è ciò che è necessario sapere.

MARTE E LA TERRA, DOPPELGÄNGER? Di Marte oggi noi sappia-mo che si formò dalla stessa nube di polveri in cui si formò la Terra, venen-do plasmato dalle stesse forze. Esso, però, date le sue dimensioni ridotte di soli 6780 km di diametro ed una massa pari a 0,107 volte quella della Terra subì un’evoluzione diversa da quella del nostro pianeta. A circa 1 miliardo

di anni dalla sua formazione i due pianeti erano molto simili, avendo un nucleo fuso composto di ferro e nichel, un mantello di silicati ed una crosta che probabilmente era divisa in placche come quelle terrestri possedendo

una spessa atmosfera ed acqua liquida in superficie.

A causa delle ridotte dimensioni, però, Marte perse molto velocemente il calore primordiale e iniziò a raffreddarsi. La crosta si compattò in un'unica grande lastra di roccia poiché

l’astenosfera sottostante si solidificò e poco tempo dopo anche il nucleo perse il suo calore e divenne solido.

PIANETA MORTO? Recentemente, grazie alle analisi effettuate dal Mars Reconnaissance Orbiter, sono state tro-

vate tracce di acqua salata che avevano lasciato striature scure in superficie, in corrispondenza dei pendii marziani, a latitudini e quote molto differenti; esse avevano la carat-teristica di comparire e allungarsi durante la stagioni più calde per poi svanire durante quelle più fredde. È la prima prova dell’esistenza di un ciclo idrologico su Marte. Nonostante l’origine e la composizione chimica dell’acqua sia-no sconosciute, la scoperta potrebbe influenzare la teoria sulla possibile presenza di vita microbica su Marte. Tutta-via furono le dimensioni ridotte la causa principale della “morte” geologica del pianeta poiché il nucleo fuso, ma soprattutto il movimento rotatorio, produceva un campo elet-tromagnetico che con le sue linee di forza proteggeva l’intero pianeta dal vento solare e dalle radiazioni cosmiche. Ormai senza ostacoli e data la scarsa attrazione gravitazionale del pianeta, il vento solare iniziò a spazzare l’atmosfera marziana, la quale, assottiglian-dosi sempre di più, diminuì la sua pressione che garantiva la presenza di acqua liquida in

superficie.

I RECORD DEL SISTEMA SOLARE Poco al di sotto dell’equatore troviamo le Valles Marinares, una serie di lunghe e profonde gole che corrono per 4 mila km della superficie. Nella regione del Tharsis troviamo

il più alto ed imponente vulcano del Sistema Solare l’Olympus Mons, s’innalza di 17 km sull’altopiano ma l’altezza complessiva e di 27 km per un diametro di 500

km... altro che guinness “world” record!

E L'ACQUA DOV'É FINITA? Un ipotesi sostiene che l’acqua oramai evaporata salì nell’alta atmosfera e le sue molecole furono

colpite dai raggi cosmici che le hanno decomposte in idrogeno e os-sigeno. L’ idrogeno, gas molto leggero, si allontanò dal pianeta e

l’ossigeno, reagendo con alcuni componenti del suolo, formò ossidi di ferro, conferendo il caratteristico color ruggine alla superficie. A

poco a poco il pianeta divenne quel gelido e arido deserto che vedia-mo oggi, con temperature che vanno da 25 °C a -125 °C e una super-

ficie che può essere divisa in due parti: le grandi pianure del nord (che potrebbero essere il risultato di giganteschi impatti di asteroidi)

e gli altopiani fortemente craterizzati a sud.

LA MISSIONE EXOMARS La missione Exomars, partita a marzo, porterà su Marte la

sonda Schiaparelli che ci aiuterà a comprendere meglio l’ambiente marziano, in particolare la missione ci rivelerà se su Marte c’è stata vita passata o è tuttora presente, magari con una chimica diversa rispetto alla vita sulla Terra; analizzerà le caratteristiche geochimiche del

pianeta e dei suoi aspetti geofisici e l’identificazione dei possibili rischi per le futu-re missioni umane. Un punto chiave delle ricer-che sul pianeta rosso riguarda infatti la presen-za di metano nell'atmosfera, il quale potrebbe

essere anche di produzione biologica. Beatrice Baldassarre, Alessandra Parise e Sergio Palmieri 5I

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Intervista a Olga Mileti ,Maria Luisa Cuda, Valeria Greco, Federica La Gattuta, Valentina Mancina, Ilaria Carnevale, Stefa-nia de Cindio, Gessica Cortese e Stefania Luzzi, 9 delle 10 ragazze frequentanti il Laboratorio di Reologia e Ingegneria dell’UNICAL che hanno inventato l’olio gel. Quante volte, mentre stavamo condendo la nostra insalata in un locale fuori casa con la bustina monodose dell’olio fornita-ci, ci siamo ritrovati a ungerci tutte le mani o far schizzare l’olio ovunque? Probabilmente è capitato a tutti almeno una volta nella nostra vita e, sebbene possa sembrare una sciocchezza, effettivamente sporcare il proprio vestito o la tovaglia oppu-re ungersi completamente le mani può dare fastidio! Questo è uno dei principali motivi per cui 10 ragazze fra tesiste, dotto-rande e collaboratrici, frequentanti il Laboratorio di Reolo-gia e Ingegneria dell’Università della Calabria e guidate dal prof. de Cindio, hanno inventato il Gel Oil, ovvero l’olio che, come ci è stato spiegato, pur mantenendo le ottime proprietà dell’olio extravergine d’oliva e soprattutto la qua-lità di quello italiano, è stato reso più pratico da usare as-sumendo la consistenza più compatta di un gel. Qui di seguito l’intervista a 9 delle 10 ragazze del team che si sono unite in una società, la EntropiCa s.r.l.s.

1) E’ interessante sapere che delle ragazze frequen-tanti l’università abbiano avuto l’idea di inventare un qualcosa di così innovativo e particolare. Ci piacereb-be sapere qual è stata la scintilla che ha permesso l’invenzione del Gel Oil, se il lavoro di squadra è stato davvero importante per la riuscita del prodotto e che tipo di competenze erano necessarie per partecipare al progetto. Gel Oil nasce un po’ per caso, il nostro team aveva com-petenze tecnico-ingegneristiche sulla strutturazione degli oli vegetali e questo è stato il punto di partenza di tutto. Abbiamo avuto una grande opportunità: la Start Cup Cala-bria, che ha trasformato le nostre competenze in un’idea di progetto. C’è stata la possibilità di partecipare a questa importante business competition e noi quella possibilità l’abbiamo voluta sfidare! Ci siamo riunite tutte, eravamo 10 ragazze che orbitavano nel Laboratorio di Reologia e Inge-gneria Alimentare dell’UNICAL, tesiste, dottorande, for-mande, collaboratrici, e poi c’era anche il Prof. de Cindio. Ne abbiamo parlato con lui e abbiamo capito che poteva esserci innovazione sfruttando le nostre competenze. Noi avevamo imparato a trasformare l’olio da liquido a solido, ma forse bastava renderlo gel per inserire innovazione con mar-chi di alta qualità e made in Italy nel settore delle salse dressing. Era luglio 2014, nasceva Gel Oil. Non basta l’idea in una business competition, occorre saper convincere il pubblico che quell’idea è vincente e per fare ciò il lavoro è tanto, soprattutto se sei un tecnico e questo aspetto comunicativo non è uno strumento quotidiano. Allora il lavo-ro di squadra è fondamentale, più è coeso il gruppo più funziona bene, più sono suddivise le responsabilità più è possibile sviluppare molteplici aspetti. Un antico proverbio africano riporta: “Se vuoi arrivare primo, corri da solo; se vuoi arrivare lontano, cammina insieme”. Non si esagera se con convinzione si afferma che Gel Oil ha vinto non solo per l’idea ma per la forza incisiva di chi lo ha portato avanti. Per una business competition è preferibile avere competenze multisettoriali, principalmente relative al prodotto, alla strategia, al marketing e al commerciale. Noi avevamo solo quelle relative al pro-dotto, ma avevamo voglia di andare avanti, per questo abbiamo sopperito alla lacuna del resto e siamo arrivate fino in fondo. 2) C’è un principale scopo per il quale è stato creato tale prodotto? Magari per la sostituzione di altri tipi di merci come l’olio di palma che, secondo le nostre conoscenze, è molto grasso e non fa esattamente bene alla salute. Certo, Gel Oil risponde all’esigenza del consumatore, costretto a pasti rapidi fuori casa, di trovare, vicino alle bustine clas-

Gel Oil: così l’eccellenza dell’olio d’oliva italiano si unisce alla praticità del-

le salse dressing per insalate

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siche monodose di olio, aceto e salse dressing, anche l’alternativa Gel Oil, preferendolo per la sua consistenza che lo rende mol-to più pratico da utilizzare senza rinunciare al gusto ed alla qualità dell’olio extravergine di oliva. Gel Oil si presta bene anche come grasso sostitutivo in prodotti da forno e non solo. Nello scenario di ridurre i consumi di olio di palma ed immettere grassi “palm-free”, certamente Gel Oil si inserisce come altamente performante. 3) La realizzazione di un tale prodotto presupponiamo sia riuscita grazie all’utilizzo di macchinari particolari, implican-do, quindi, un elevato investimento di denaro. Ci sono stati dei momenti in cui avete pensato che non valesse la pena sprecare tanti soldi o eravate sicuri del risultato e dello spettacolare successo che si è dimostrato essere? Ancora non abbiamo avviato una vera produzione, ma stiamo lavorando anche per questo e le somme in gioco sono impegnati-ve, ma non abbiamo mai pensato di demordere e i motivi sono tanti. Innanzitutto pensiamo che Gel Oil sia un prodotto che possa davvero piacere al consumatore ed essere molto apprezzato per tutte le qualità di cui già riportato prima, inoltre crediamo che avviare un’attività produttiva in Calabria possa aprire sbocchi lavorativi importanti per tutte noi e per altri giovani laureati calabresi che vogliono lavorare in questo settore, promuovendo l’economia di tutta la regione. Ultimo, ma non meno importante, è sicura-mente l’aspetto affettivo di tutto il nostro progetto: vedere concretamente realizzato quello per cui abbiamo lavorato tanto non ha

prezzo e vale tutti i nostri sacrifici, economici e non.

4) Parlando in termini più specifici e che interessa-no le materie scientifiche, che tipo di processi a livello chimico, fisico e termico hanno caratterizza-to la realizzazione del Gel Oil, quali proprietà e qua-le costituzione ha il prodotto? Gel Oil vanta un processo di trasformazione molto sem-plice che non coinvolge trasformazioni chimiche ma solamente fisiche che consentono alla componente insatura dell’olio extravergine di oliva di rimanere intatta ed inalterata. È come chiedere all’olio di non di cambia-re volto ma di restare un po’ più composto, con l’aiuto di agenti strutturanti naturali ne vincoliamo il movimento ma non cambiamo la composizione, lo rendiamo como-do da utilizzare ma non togliamo la parte buona che l’olio extravergine d’oliva vanta. Le sue proprietà orga-nolettiche vengono conservate. 5) Facendo un paragone con il semplice olio, siamo a conoscenza del fatto che esso è molto ossidabile e ha una durata di circa 18 mesi, l’olio gel che pro-ponete ha anch’esso questa durata oppure la sua è superiore o inferiore? Gel Oil sfida i fenomeni ossidativi e non ne risente gra-zie alla sapiente composizione arricchita, ha durata confrontabile con l’olio extravergine d’oliva, ma occorre precisare e sottolineare un aspetto: non compete con l’olio extravergine di oliva. Noi italiani amiamo la tradi-zione e siamo restii a chi, come noi ragazze di Gel Oil, pensa di poter proporre un olio in gel. Ma siamo restii anche a credere che le salse dressing (molto usate per esempio dagli americani per condire le insalate) faccia-no bene. Per cui, rimescolando bene le carte, è facile ora farvi capire che Gel Oil è una salsa dressing intera-mente a base di olio extrAvergine di oliva, una salsa

dressing aromatizzata, speziata, gustosa ma soprattutto salutare: è questa l’innovazione che noi italiani possiamo accogliere pienamente e, accanto a ciò, c’è la sana introduzione dell’olio extravergine di oliva in un settore nuovo, quello delle salse dres-sing, da cui finora era stato tagliato fuori. Per cui, consumate l’olio extravergine di oliva perché è eccellente e, se volete un dres-sing, praticità e dosabilità scegliete Gel Oil perché ancora una volta scegliete qualità ed eccellenza. 6) In riferimento ai successi riscontrati per l’invenzione del Gel-Oil vi sono stati attribuiti dei titoli e delle certificazioni? Non essendosi mai manifestata neanche l’idea di un prodotto simile, avete ricevuto dei premi importanti? Abbiamo ricevuto diversi premi, quello della Start Cup Calabria, come primi classificati, un “Premio Speciale Agrifood” stanziato da un’azienda della Calabria e un Premio Speciale stanziato da una fondazione di Sassari in occasione del Premio Nazionale per l’Innovazione, al quale abbiamo partecipato subito dopo la Start Cup Calabria. Tutti molto importanti, ma il premio più grande, “senza alcuna medaglia”, è stato ogni singolo complimento che ci è stato fatto, ogni articolo di giornale che ha dato luce al nostro lavoro, alla nostra terra e alla nostra Università. Perciò onore non solo a noi ragazze, quelle 10 ragazze che un giorno hanno deciso di mettersi in gioco per un tale progetto, ma onore anche a chi ha creduto in loro, a chi ha sapientemente messo nelle loro mani gli strumenti per portare avanti quest’avventura, a chi ha dato sostegno in ogni sua singola fase, a tutti coloro che hanno contribuito, in ogni piccola forma, a spianare la strada per trasformare in un prodotto quella originaria idea.

Giulia Bisceglia, Eva Cadetto, Chiara Valentini 3N

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Si può essere felici? Ma soprattutto, quando si è felici e perché? Se ci guardiamo intorno, ci ac-corgiamo che alcune persone appaiono sempre appagate dalla loro esistenza anche se non ne comprendiamo il motivo. Certo, la percezione della felicità è (e resta) un fatto così soggettivo

che a formulare delle regole si sbaglia sempre e comun-que. Per qualcuno la felicità dipende dai soldi, per altri dalle relazioni personali, al- tri ancora possono essere felici davanti a un bel tra- monto. Sull'argomento in-

tervengono gli scienziati in- glesi della London School of Economic and Political Science di Londra. Secondo

lo studio pubblicato sul Journal of Human Genetics, c'è un gene che influisce sul- lo stato d'animo degli uma-

ni che si chiama 5-HTT. Il gene 5-HTT è responsabile dei livelli di serotonina dalla quale dipende l'umore di un individuo. Lo studio condotto dai ri-

cercatori ha coinvolto 2.500 persone a cui è stato chiesto di esprimere il loro livello di soddisfa-zione nei confronti dell'esistenza in generale. Successivamente i volontari sono stati sottoposti ad alcuni test genetici che hanno rivelato che il 69% dei "felici" (35% contenti e 34% molto soddisfatti della propria vita) possedevano nel proprio DNA una versione doppia del gene 5-

HTT, ereditata cioè da entrambi i genitori. Tra quelli che invece non erano dotati di nessuna co-pia del gene, la percentuale arrivava appena alla metà.

Alla luce dello studio è legit- timo chiedersi se il benesse-re di una persona può davve- ro dipendere dalla presenza di un gene nel proprio DNA. Dunque secondo lo studio condotto dai ricercatori lon- dinesi, dai genitori non si ereditano soltanto i tratti so- matici, ma anche quelli ca-ratteriali, e si riceve una sor- ta di lasciapassare per la fe-licità (o per l'infelicità). Ma questo lascito, nel caso sia negativo, non deve spingere alla rassegnazione e all'ac-cettazione passiva di una tri- ste sorte. Esiste pur sempre un residuo cinquanta per cento che è nelle nostre mani. E poi, come suggerisce il direttore della ricerca ciascuno di noi potrà continuare a inseguire la propria felicità, con buona pace dei gene-

tisti.

10 Saad Zaiz IV-I

EH, GIA!

ABBIAMO LA FELICITA’ NEL

DNA!