2004-03-17 Iraq

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tank americani avesse conquistatouna città avrebbero dovuto esserviuna polizia militare e degli ammini-stratori in grado di presidiare i mu-sei, gli ospedali, le stazioni idriche,gli impianti per la produzione dienergia elettrica, nonché per tenerea bada ogni forma di saccheggio, dirappresaglia violenta e di crimine ingenerale. Garantire l’ordine avreb-be dovuto significare dispiegare 250

mila soldati per l’inva-sione, invece di 130mi-la. Avrebbe dovuto si-gnificare procedere acontenere e addestrarenuovamente e imme-diatamente l’esercito ele forze di polizia ira-chene, non a disgre-garli. L’Amministra-zione, che non si stan-ca di ripeterci inces-santemente che la spe-ranza non è di per sé unprogramma, in Iraq haprogrammato soltantodi sperare.

Ora che ormai siamoin Iraq, il nostro pro-blema non è più quellodi alimentare speranzee illusioni, ma di avver-tire disperazione e di-sillusione. Le notizieche giungono da Bag-

dad sono talmente deprimenti che èdavvero difficile tenere a mente cheun dittatore è stato deposto, che ilpetrolio è tornato ad essere pompa-to, che la costituzione ad interimproposta include delle forti garan-zie in fatto di tutela dei diritti uma-ni. Ormai non ci pare neanche più diriconoscere la libertà quando la ve-diamo: sciiti che a centinaia di mi-gliaia camminano scalzi per le lorocelebrazioni nella città santa di Kar-bala, iracheni che si presentano alleriunioni municipali, sperimentan-do per la prima volta in vita loro lademocrazia, giornali e mezzi di co-municazione che sbocciano ovun-que, quotidiane dimostrazioni perle strade. Se la libertà è l’unico risul-tato in grado di riscattare tutte lemorti, allora possiamo affermareche in Iraq vi è ora molta più libertàeffettiva di quanta non ve ne sia maistata in tutta la sua storia.

Ovviamente, la li-bertà da sola non basta.Che la libertà si trasfor-mi o meno in un ordinecostituzionale a lungotermine dipende esclu-sivamente dalla possi-bilità che una resistenzaviolenta - che non esitaa scagliare i musulmani

contro altri musulmani e irachenicontro iracheni - riesca ad indurreun’Amministrazione che paventa lapropria rielezione ad allontanaredal paese le truppe americane. Se gliStati Uniti dovessero tentennareora, una guerra civile sarebbe piùche possibile. Tentennare sarebbecome tradire chi ha dato la propriavita per qualcosa di meglio.

Intervenire in fin dei conti signifi-ca assumersi un impegno, quello dilasciare un paese in migliori condi-zioni di come lo abbiamo trovato;impegnarsi affinché coloro che so-no morti non siano morti invano.Queste promesse non sono mai sta-te più difficili da mantenere diquanto non sia ora in Iraq. L’inter-nazionalismo liberale che io ho ap-

poggiato per tutti gliAnni ’90 – gli interventiin Bosnia, in Kosovo e aTimor Est – al confron-to sembra quasi unoscherzo da ragazzi. An-che quelle imprese era-no, se vogliamo, unasorta di scommessa,ma la scommessa com-

prendeva una garanzia di impunità:se non avessimo avuto successo, ilprezzo del fallimento non sarebbestato penalizzante. Invece ora, inIraq, il rischio è ben diverso. Non visono più garanzie di impunità. Amorire sono delle brave persone, enessun presidente, Democratico oRepubblicano che sia, può permet-tersi di tradire il loro sacrificio.

Copyright New York TimesMagazine-Traduzione di Anna

Bissanti

Un anno fa fui favorevole allaguerra in Iraq, un po’ restioanche se convinto. Ad un an-

no di distanza le armi di distruzionedi massa non sono state trovate, gliiracheni vengono fatti saltare in ariamentre si dirigono in moschea, lademocrazia è rinviata all’annoprossimo e i miei amici mi chiedo-no tutti se per caso io non abbiaqualche ripensamento. Chi non neavrebbe?

Le mie perplessitàebbero inizio con il di-battito del l ’annoscorso. Pensavamo distar discutendo diIraq, ma in effetti ciòche potrebbe esseredavvero proficuo per25 milioni di iracheninon rientrava nellenostre discussioni.Come al solito stava-mo discutendo di noistessi, di ciò che è l’A-merica, di come essadovrebbe utilizzare lasua formidabile po-tenza nel mondo.

Un anno dopo, l’I-raq non è più un pre-testo o un concettoastratto. E’ un luogonel quale gli america-ni stanno morendo, eanche gli iracheni stanno morendoin numero persino maggiore. Ciòche rende queste morti angosciantiin maniera particolare è il fatto chenessuno può onestamente sapere –per lo meno non ancora – se esse sa-ranno riscattate dalla nascita di unIraq libero, o se esse saranno piut-tosto andate sprecate lungo la chinache porta alla guerra civile.

Sono stato favorevole alla guerracome la meno indigesta delle opzio-ni disponibili. La politica di conte-nimento - tenere Saddam Husseinchiuso in scatola - avrebbe potutorendere la guerra non necessaria,ma la scatola si era rivelata avere pa-recchi punti deboli. Hussein stavaeludendo le sanzioni, si stava arric-chendo tramite le vendite illegali dipetrolio e - così pensai allora - stavaricominciando a rimettere in piedi isuoi programmi di messa a puntodelle armi illegali, che erano statismantellati dagliispettori delle Na-zioni Unite. Se fosseriuscito ad entrare inpossesso di tali armi,avrebbe forse potutoessere dissuaso dalfarne uso, ma avreb-be altresì potuto ri-velarsi capace di ce-dere quelle letali tecnologie a degliattentatori suicidi ben determinatiad usarle. Questa possibilità puòanche essere stata alquanto remo-ta, ma dopo l’11 settembre parevada sprovveduti scherzarci su. Ciònonostante, così pensai, il ricorsoalla forza doveva essere l’ultima ri-sorsa. Se Saddam Hussein avessecollaborato con gli ispettori io nonsarei stato favorevole all’invasione,ma le prove – quanto meno fino almarzo 2003 – dimostravano che eglistava ancora ricorrendo ai suoi soli-ti giochetti. Costringere Saddam aporre fine a questi giochetti dipen-deva soltanto dal saper opporre unaminaccia credibile di ricorso allaforza, ma i francesi, i russi e i cinesinon erano pronti ad autorizzarel’opzione militare.Quindi non rimase al-tro che il disarmo at-tuato con un cambiodi regime. Dove vivo io– nel Massachusetts li-berale – questa opi-nione non poteva dir-si popolare.

La scoperta cheSaddam non aveva armi di distru-zione di massa dopo tutto mi sor-prende, ma non cambia la mia opi-nione sulla questione essenziale.Non ho mai pensato che la doman-da cruciale fosse quali erano le armiche egli possedeva, bensì quali fos-sero le intenzioni che egli potesseavere. Essendo stato a Halabja nel1992, avendo parlato con alcuni so-pravvissuti degli attacchi chimiciche nel marzo 1988 sterminarono 5mila curdi iracheni, ritengo che seb-

LA REPUBBLICA 39MERCOLEDÌ 17 MARZO 2004

DODICI MESI DOPO L’INIZIO DELLA GUERRA

bene potesse sussistere qualchedubbio sulle effettive capacità diHussein, di sicuro non ne esistevaalcuno in merito alla malvagità del-le sue intenzioni.

Ancora adesso non ritengo che ileader americani o inglesi abbianotravisato le intenzioni di Saddam, oabbiano mentito sulle armi chepensavano egli possedesse. Nel suorecente libro di memorie, Hans Blixafferma chiaramente che egli e isuoi colleghi ispettori delle NazioniUnite stimavano che Saddam stes-se nascondendo qualcosa, ed ogniagenzia d’intelligence da essi inter-pellata la pensava nello stesso mo-do. Se dunque il vero problema nonè stato l’aver mentito, lo è stato sicu-ramente l’aver esagerato le cose, e

nessuno tra quanti furo-no a favore della guerra ècontento di sapere inche modo un “pericolograve e crescente” – co-me Bush prudentemen-te definì il regime di Sad-dam Hussein nel suo di-scorso all’Onu del set-tembre 2002 – gradual-

mente si è andato trasformando inuna minaccia “incombente”. Il veromovente per la guerra era di carat-tere “precauzionale”, ovvero pun-tava ad impedire che un tiranno dal-le intenzioni malvagie acquisissecapacità distruttive o cedesse quel-le capacità ad altri nemici. La ragio-ne per la guerra che invece ci fu pre-sentata era di carattere “preventi-vo”, ovvero mirante a fermare un ti-ranno che già possedeva armi di di-struzione di massa e che già rappre-sentava un pericolo incombente.

Il 19 marzo, la notte in cui ebberoinizio i bombardamenti, mi trovavoin compagnia di un esule iracheno

(sì, lo so, ma alcuni sono personeper bene e coraggiose), ed egli midisse: «Pensa, questa èla prima ed unica voltain tutta la mia vita che ilmio popolo ha una ve-ra occasione per far na-scere una società de-cente». Quando io ave-vo dichiarato che quel-la era la ragione più im-portante per fare laguerra, gli amici mi avevano scher-nito. Ma come, non sapevo che al-

l’Amministrazione non poteva im-portare di meno che l’Iraq fosse un

paese decente, fin tan-to che fosse rimasto unpaese stabile e obbe-diente? Io rispondevoche se occorreva aspet-tare che i buoni risulta-ti fossero prodotti dabuone intenzioni, allo-ra avremmo dovutoaspettare all’infinito.

Essere a favore della guerra haquindi significato appoggiare

un’Amministrazione nelle cui ar-gomentazioni non ho creduto finoin fondo, nell’interesse di fini neiquali invece ho creduto. Questanon è stata l’unica difficoltà. Uncambio di regime ha dei costi ovvi –la morte di iracheni, la morte diamericani, e un’America che si al-lontana da molti dei suoi alleati edalle Nazioni Unite. Potrei rispetta-re l’opinione di chi facesse presenteche questi costi, molto semplice-mente, sono troppo gravosi per po-terli sostenere. Ciò che trovo mag-giormente difficile da rispettare ècapire come i miei amici contrari al-la guerra apparissero del tutto indif-ferenti a quanto fosse ingente l’altrocosto, quello che lasciare SaddamHussein al potere avrebbe compor-tato. Fare ciò che essi ri-tenevano essere la cosagiusta, saggia e non-violenta, comportavadei costi che sarebberostati sostenuti intera-mente e solamente da-gli iracheni.

E così sono stato fa-vorevole ad un’Ammi-nistrazione delle cui intenzioni nonmi fidavo, persuaso tuttavia che i ri-sultati finali avrebbero ripagato i ri-schi. Ora mi rendo conto che le in-tenzioni plasmano già il risultato fi-nale. Un’Amministrazione cheavesse avuto maggiormente a cuo-re la tutela dei diritti umani avrebbecompreso che non si può presume-re di farli rispettare senza ordine, eche non si ha ordine, una volta con-seguita la vittoria, se la pianificazio-ne dell’invasione è disgiunta dallapianificazione dell’occupazione.L’Amministrazione ha fallito quan-do non si è resa conto che sin dal pri-mo istante in cui una colonna di

NON SONO STATETROVATE ARMIDI DISTRUZIONEDI MASSA

CONFLITTOPRECAUZIONALEE CONFLITTOPREVENTIVO

L’ILLUSIONE DITROVARE UNOSTATO ANCORAFUNZIONANTE

NO. Un anno dopo, l’Iraq non è quelloche Bush immaginava fosse e che mol-

ti, anche critici della guerra, speravano. Forse fra undecennio questo sarà un paese democratico e fiorente, ilsecondo maggiore produttore di petrolio al mondo, unmodello di successo per arabi e islamici. Ma oggi non è co-sì.

Ci sono molte ragioni che spiegano perché le cose van-no male per gli americani – e quindi anche per noi, loro in-certi e ambigui partner. Una però prevale su tutte: gli ame-ricani sono nella condizione di una potenza coloniale – ciòche non hanno mai voluto essere. Hanno conquistato unterritorio, lo occupano e ne hanno quindi la responsabilitàdi fronte al mondo. Ma non sanno che cosa farci. Vittimadella propria illimitata fiducia in se stessa, e delle bubbolediffuse dagli esuli iracheni a Washington, l’America di Bu-sh ha immaginato un paese che non c’è. E ora non sa a chiaffidarlo. Né può levare le tende. Spetta anche a noieuropei aiutarla – aiutarci – a risolvere questa sciara-da. Prima che lo facciano i terroristi e i fanatici della pu-rezza musulmana, a modo loro.

LUCIO CARACCIOLO

IRAQ.

Il 19 marzodel 2003

l’America diGeorge Bush

scatenòl’offensiva

controSaddamHussein

L’occupazionei saccheggile bombe, ilterrorismo, laricostruzionee sullo sfondola grandeinquietudineinternazionale

DIARIOdi

Un anno vissuto pericolosamenteMICHAEL IGNATIEFF

TERRORISTA Bagdad, un marine americano sorveglia un presunto terrorista

IRAQ

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40 LA REPUBBLICA MERCOLEDÌ 17 MARZO 2004D I A R I O

LE TAPPE

PRINCIPALI

I LIBRI

PIERRE-

JEAN

LUIZARD

La questioneirachena,Feltrinelli 2003

MILAN RAI

Dieci ragionicontrola guerraEinaudi2003

BOB

WOODWARD

La guerradi BushSperling &Kupfer2003

NOAM

CHOMSKY

Dal Vietnamall’Iraqmanifestolibri2003

ARUNDHATI

ROY

Guidaall’impero perla gentecomuneGuanda2003

BERNARD

LEWIS

La crisidell’IslamMondadori2004

NORMAN

MAILER

Perché siamoin guerraEinaudi2003

CHARLES

TRIPP

Storiadell’IraqBompiani2003

IRA M.

LAPIDUS

Storia dellesocietàislamicheEinaudi1994

GORE

VIDAL

Le menzognedell’imperoe altre tristiveritàFazi2002

OLIVIER

CARRÈ

L’islam laicoil Mulino1993

VIVERE OGGI A BAGDADLA CITTÀ DELLA PAURA

NEI QUARTIERI E SULLE STRADE SI RESPIRA L’INSICUREZZA

BERNARDO VALLI

(segue dalla prima pagina)

Inseguendo le ronde blindate deiG.I. capito in Karradie street. Unanno dopo è irriconoscibile. Era

allora deserta e nelle vetrine polve-rose e miserabili potevi vedere il ri-sultato di tutti i flagelli abbattutisi sulpaese: una tirannia crudele e stolta,le guerre, le sanzioni. Adesso la stra-da è il grande suk del nuovo consu-mismo: dai negozi straripano fin suimarciapiedi frigoriferi,televisori, antenne sa-tellitari, telefoni cellula-ri e tutti gli strumenti of-ferti dalla tecnologia do-mestica. E’ la viva im-magine del brusco pas-saggio dallo squallore diun sistema rigido, rego-lamentato, alla libertàcaotica del mercato.

In Rashid street, untempo l’arteria princi-pale, vorrei passeggiaresotto il porticato, maFuad, la mia guida, melo impedisce. Sostieneche qualcuno potrebbepuntarmi contro la pi-stola e alleggerirmi, nelmigliore dei casi, delportafogli. In effetti c’èun’aria sinistra. Mi fidodel fiuto di Fuad. In Ra-madan street, nel quar-tiere residenziale di AlMansour, mi dice cheposso anche fare deljogging. Non si corre ilrischio di essere rapina-ti. Plotoni di guardie ar-mate, al servizio dei ric-chi proprietari, sono ac-quattati negli ingressi enei giardini delle ville.

Da me, in albergo, aipiani abitati dai Vip, cisono i celebri Gurka ne-palesi, un tempo al servi-zio della regina d’Inghil-terra e adesso declassatia bodyguards. Le guar-die armate private sononumerose. Chi può se nepaga una o più di una.Fuad dice che sono piùnumerose delle pattu-glie di G.I. A volte esage-ra. A Sadr City, una volta Saddam Citye ora ribattezzata col nome di una fa-miglia di ayatollah vivi e defunti, do-ve vivono più di tre milioni di sciiti, iG.I. mi sembrano più tesi che altrove.Hai l’impressione che non si fidinoneppure dei poliziotti locali. Quandoli incrociano non abbassano le armi.

Da qualsiasi parte ti giri, in tutti gliangoli dove i semplici cittadini pos-sono circolare, non vedi mai un G.I.solo. Non credo che uno di loro si siamai inoltrato in una strada di Bagdadcon le mani in tasca per una liberauscita, come a Saigon dove c’era laguerra. Qui, dove la guerra è ufficial-mente finita dal maggio scorso, simuovono sempre in gruppo, il piùdelle volte su carri armati o autoblin-do. Vengono in autoblindo anche al-l’Hotel Palestine, dove il sabato seracenano nel giardino bunkerizzato,sotto le mie finestre, al suono diun’orchestrina specializzata in Ten-der is the night. La loro partenza nonpassa inosservata. L’aspetto primadi addormentarmi per non esseresvegliato di botto. E’ come se si muo-vesse uno squadrone corazzato. Licapisco. Quelli che gli uni chiamanoterroristi e gli altri resistenti ne am-mazzano più di uno al giorno.

Si capisce anche perché in cittàabbiano sempre il mitra imbraccia-to e il dito sul grilletto, e indossino ilgiubbotto antiproiettili con la natu-

ralezza di chi lo porta anche a letto.Questo atteggiamento può incuteretimore e spiegare il consiglio di te-nersi alla larga. Ma più che marzialetrovo quell’atteggiamento circo-spetto. Comunque difensivo e com-prensibile. Non fanno paura mahanno paura? Mi guardo bene dal-l’affermarlo. I G.I. hanno grinta. Ec-come! Hanno anche i mezzi e leesperienze, le medaglie, che la giu-stificano quella grinta. Appartengo-no a un super esercito cosciente del-la propria forza e della propria mis-sione. Che è quella, semplice ed es-senziale, cioè militare, di combatte-re il Male in nome del Bene, rappre-sentato dalla bandiera americana.

Forse gli iracheni che consiglia-no di tenersi lontano da loro si sen-tono osservati come l’incarnazionedel Male da quei soldati guardinghi,circospetti, e vogliono sfuggire aquegli sguardi sospettosi, schizzi-nosi come possono essere gli sguar-di di coloro che pensano sul serio diincarnare il Bene assoluto. Nell’in-conscio ci può anche essere qualco-sa di simile a questo sentimento. Lascena cui assisto in Muzafar street,in un’ora di punta, quando il traffi-co mi blocca per trenta esasperantiminuti, tra clacson e braccia agitatefuori dai finestri, è indicativa. La so-sta dura tanto perché a Bagdad so-no arrivate negli ultimi mesi mezzomilione di automobili, poche nuo-ve, molte usate, e a volte rubate in al-tri paesi, anche europei, e contrab-bandate qui senza troppi problemi,perché per ora i controlli doganali aiconfini sono scarsi o inesistenti.Nello stesso tempo le strade si sonoristrette, perché ostruite dai blocchie dai muri in cemento armato, dairotoli di filo spinato, e dagli spazi la-sciati vuoti davanti a tutti gli edifici(campi militari americani, ministe-ri, commissariati, ambasciate...)contro i quali potrebbero lanciarsi ikamikaze imbottiti di esplosivo.Nelle ore di punta ci si può quindiimpantanare nel traffico.

In Muzafar street sono rimastobloccato proprio all’altezza di dueautoblindo, davanti ai quali eranoschierati cinque G.I. con il mitra e losguardo puntati su di noi rinchiusinelle automobili. La loro tensioneera evidente. Otto americani eranostati uccisi in Iraq durante il fine set-timana e dalla massa compatta diautomobili poteva partire in qual-siasi momento una raffica o un or-digno esplosivo. Non era minore latensione di coloro che — come me— erano prigionieri del traffico, nel-l’impossibilità di sfuggire ai dannidi un’eventuale azione offensiva e aquelli dell’inevitabile reazione di-fensiva. O addirittura ai guasti pro-vocati da una sparatoria scatenatadalla perdita di controllo, come ac-cade quando regna la diffidenza, eun’esitazione ti può essere fatale, equindi pensi che non ci sia il tempodi verificare se la minaccia è reale oimmaginaria. In un western, appe-na si profila una sparatoria, la gentesi chiude in casa. Nel traffico di Ba-ghdad sei in trappola.

Questo spiega, almeno in parte,perché tanti mi consigliano di evita-re gli americani. Dove si trovano at-tirano noie. Quando ho chiesto ilperché dell’insistente suggerimen-to (hanno forse il grilletto facile? uc-cidono con troppa disinvoltura? pic-chiano? mordono ?), mi sono senti-to rispondere con semplicità che laloro vicinanza comporta sempre unrischio. Sono i bersagli di attentatiquotidiani, e la bomba o il proiettiledestinato a loro può colpire te; e tipuò colpire anche la raffica di mitrao di mitragliatrice sparata per repli-

care. L’americano arrivato come li-beratore è quindi portatore di di-sgrazie. Meglio tenersi alla larga dalui. Un gruppo di soldatesse fre-quentava fino a qualche settimanafa un istituto religioso di bambinihandicappati. Portavano cibo e gio-cattoli, e trovavano in cambio, inquell’ambiente, un’evasione dallavita militare. Le suore le hanno do-vute invitare a non ritornare perchéi loro automezzi blindati, parcheg-giati nelle vicinanze, attiravanotroppo l’attenzione. E infatti è poiscoppiata una bomba poco distan-te.

Un anno dopo l’inizio della guer-ra quello che gli iracheni rimprove-rano soprattutto ai liberatori-inva-sori è l’incapacità di garantire la si-curezza. Anzi di essere essi stessi unelemento di insicurezza. In sostanzagli rinfacciano di essere la causa del

terrorismo. Sen-za di loro non cisarebbe. L’accu-sa di non sapergarantire la sicu-rezza nasconden a t u r a l m e n t emolti sentimen-ti. L’America ric-ca e potente nonè in grado di im-pedire che la cor-rente elettrica ar-rivi a singhiozzo;

che i telefoni funzionino male o nonfunzionino affatto; che non si possauscire la sera perché si rischia di es-sere rapinati; che più della metà del-la popolazione attiva sia disoccupa-ta; che il paese diventi il punto di rac-colta per i terroristi di tutto il MedioOriente. Insomma l’America è unadelusione. Il superesercito che haspazzato via il regime trentennale diSaddam non è capace di neutraliz-zare una resistenza alimentata daqualche migliaio di persone. La gen-te è contro il terrorismo ma spessosimpatizza con la resistenza. E altempo stesso rimprovera agli ameri-cani di non saper imporre l’ordine, equindi in sostanza di non essere ca-pace di far tacere la resistenza arma-ta per la quale fa il tifo. Un gruppo,chamato Bandiera Nera, e che ha ap-punto come simbolo un gagliardet-to nero con due sciabole incrociate,si propone di far giustizia da solo, dicombattere il terrorismo e la malavi-ta, al fine di colmare l’inefficenzaamericana. I G.I. si devono guardareanche da questi amici fuorilegge.

Fuad è palestinese. Durante laguerra, un anno fa, mi ha fatto daguida. Mi accompagna anche inquesto viaggio. Lui scuote la testa.Commenta: « Non li sopportano equindi trovano tutti i pretesti per de-testarli». Mi fa notare che quando isoldati americani perquisiscono

Saddam fu soprannominato

“Beast of Bagdad”, dopo

essere stato a lungo un alleato.

La bestia non è soltanto un

animale: incarna anche il

male, il satanico, il diabolico

Stati canaglia2003

JACQUES DERRIDA

In Iraq il rovesciamento della

dittatura ha lasciato un vuoto

di potere che non poteva

essere colmato dall’esercito

americano. Ne è seguito un

periodo di grave insicurezza

Il nuovo disordine mondiale2003

TZVETAN TODOROV

‘‘

,,

Un anno dopo l’inizio

del conflitto quello che

gli iracheni rimproverano

agli americani è di non

aver risolto i problemi

‘‘

,,

Alla tirannia crudele

è subentrata la libertà

caotica del mercato

Le strade di giorno

somigliano a grandi suk

L’A - DAY 19 MARZO 2003

Il 19 marzo è il primo giorno dell’attaccoangloamericano in Iraq. I bombardamentidella capitale irachena iniziano alle nove disera. L’operazione “shock and awe”,colpisci e terrorizza, ha preso il via.

LA PRESA DI BAGDAD 3-10 APRILE

I carri armati delle “Us forces”raggiungono il centro di Bagdad. Lagigantesca statua di Hussein vieneabbattuta. La capitale irachena capitoladopo giorni di assedio e bombardamenti

“FINE DELLE OSTILITÀ” 1 MAGGIO

Bush, a bordo della portaerei Lincoln,dichiara la fine delle ostilità, ma gli scontrinon si arrestano. Il giorno dopo centinaiadi persone prendono d’assalto due chiattedi petrolio. Decine i morti

FOSSE

COMUNI

Una donnairachenacammina tra le centinaia di corpiriesumatidalle fossecomuni doveerano statigettatidurante ilregime diSaddamHussein. A sinistra, una statua del dittatorevista dalfinestrino di un blindato

‘‘

,,

Molti hanno

l’impressione che la

guerra non sia finita

nonostante la libertà di

parola e il consumismo

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dobbiamo fare ancora molto».Al Qaeda in Iraq. C’è un reale

legame con gli iracheni o no?«Dalle notizie che abbiamo

questo tipo di collaborazione è increscita, ma sicuramente non cisono i legami che Al Qaeda avevaed ha con gli afghani o con i pa-chistani delle zone tribali. Il no-stro problema era ed è che non ca-dano nelle mani di Al Qaeda “armidi sterminio di massa”, senza Sad-dam questo pericolo in Iraq nonc’è più».

Le armi di sterminio erano ilmotivo per la guerra, però in do-dici mesi non sono state trovate.Colpa solo dell’intelligence?

«Le critichedell’Europa sul-l ’ i n t e l l i g e n c enon le condivi-do. Non ha sba-gliato solo l’in-telligence ame-ricana, anzi i piùconvinti soste-nitori dell’esi-stenza delle ar-mi di sterminioerano i servizifrancesi e tede-schi. Soprattut-to i tedeschi, si-curi più di noiche Saddam

avesse sviluppato il pro-gramma nucleare. Inol-

tre lo pensavano i ser-vizi israeliani e an-

che molti tra glistessi iracheni».

Resta che nonsono state trova-te.

«Io penso checi siano ancoraforti possibilitàdi trovarle. Nonarmi nucleari

ovviamente, mache la “guardia re-

pubblicana” di-sponesse di armi

chimiche e batteriolo-giche è un fatto. L’Iraq é

un paese enorme, e poi èpossibile anche che siano state

portate in Siria».Il più grave

errore degliStati Uniti?

«Avere sotto-valutato l’oppo-sizione al laguerra del laFrancia».

Cosa cambiadopo la decisio-ne spagnola diritirare i solda-ti?

«Che Bin La-den ha segnatoun punto a suofavore, che Al

Qaeda tenterà di incrementare gliattacchi in Iraq contro soldati del-la coalizione, che la solidarietà trai paesi occidentali può essere in-crinata. Da un punto di vista poli-tico, è un brutto colpo per l’am-ministrazione Bush».

Ci saranno nuovi attacchi an-che in Europa?

«Sì e non solo nei paesi impe-gnati in Iraq come l’Italia o la Po-lonia. Attentati sono possibili inqualsiasi paese. Al Qaeda avevaprogrammato di colpire la Spa-gna e l’Europa prima che la guer-ra in Iraq avesse inizio».

New York

«L’Iraq un anno dopo?Direi che sta andan-do abbastanza be-

ne».James A. Phillips è una “testa

pensante” dell’Heritage Founda-tion, “think thank” di Washingtondichiaratamente conservatore emolto ascoltato alla Casa Bianca.Dell’Iraq Phillips è un esperto daoltre vent’anni: quando nel 1979Saddam salì al potere, fu l’unicoanalista a mettere in guardia l’A-merica dall’appoggiare il nuovo‘uomo forte’ di Bagdad, preve-dendo che prima o poi avrebbe in-vaso il Kuwait.

Abbastanza?«Mi spiego

meglio. Gli ira-cheni stannogradualmenter i p r e n d e n d opossesso del lo-ro paese, stamigliorando lasituazione indiversi campi, acominciare daquello della si-curezza.»

Nonostante imorti e gli at-tentati quasiquotidiani?

«E’ vero, ci sono gli atten-tati e le minacce della“guerriglia”, ma l’atti-vità e la capacità dicolpire è diminuitada quando Sad-dam è stato cat-turato alla finedello scorso an-no. Se facciamoil paragone conil novembre o ildicembre scor-so anche il nu-mero dei mortitra le truppe dellacoalizione è dimi-nuito».

Però aumentano imorti iracheni.

«Se pensiamo a quantine morivano sotto Saddam,300 mila solonelle fosse co-muni trovate fi-nora. Ha ragio-ne, occorre faredi più, e credoche lo stiamo fa-cendo, ancheper evitare imorti iracheni».

Alla catturadi Saddam leidisse, “adessoseguiamo i sol-di”. In che sen-so?

«Perché ci so-no ancora moltisoldi nascosti, soldi che servono afinanziare la guerriglia».

E dove sono nascosti?«Non è un segreto, sono nelle

banche siriane, dove sono statitrasferiti prima e anche durante laguerra. Una parte li portaronocon le loro mani i figli di Saddam,prima di essere “espulsi” da quelpaese».

Cosa va male in Iraq?«L’economia non sta bene, le

infrastrutture sono ancora caren-ti, la “mafia” che gestiva il poteredurante gli anni di Saddam ha an-cora un ruolo. Su questi punti

LA REPUBBLICA 41MERCOLEDÌ 17 MARZO 2004 D I A R I O

JEAN-MARIEBENJAMINObiettivo Iraq.Nel mirino diWashingtonEditori Riuniti2002

RENZOGUOLO,FEDERICOROMEROAmerica/IslamE adesso?Donzelli2003

AMARTYASENLa democraziadegli altri.Perché lademocrazianon èun’invenzionedell’OccidenteMondadori2004

EMANUELESEVERINODall’Islam aPrometeoRizzoli2003

OLIVIERROY,GLOBALMUSLIMLe radicioccidentali delnuovo IslamFeltrinelli2003

AA.VV(a cura di JimLobe e AdeleOliveri) I nuovirivoluzionari. Ilpensiero deineoconservatori americaniFeltrinelli2003

ROBERTKAGANParadiso epotere.America edEuropa nelnuovo ordinemondialeMondadori2003

YOUNISTAWFIC L’Iraq diSaddam,Bompiani 2003

NUHA AL-RADIGente diBaghdad,Sperling&Kupfer 2003

I LIBRI

SE AL QAEDAPROGRAMMAIL TERRORE

PARLA JAMES A. PHILLIPS: LA MINACCIA DI ATTENTATI

ALBERTO FLORES D’ARCAIS

GLI AUTORIMichael Ignatieff, è direttore del CarrCenter presso la Kennedy School of Go-vernment dell’Università di Harvard, eautore di “Impero Light” e “Isaiah Ber-lin. Ironia e libertà” entrambi pubblica-ti da Carocci nel 2003.

James A. Phillips, esperto in Iraq e an-titerrorismo, è “Research Fellow” dellaHeritage Foundation, istituzione di Wa-shington di orientamento conservatore.

LE IMMAGINILe foto di queste pagine, scattate durantee dopo il conflitto, mostrano come l’arrivodegli americani a Bagdad abbia liberatogli iracheni dalla dittatura di Saddam Hus-sein e portato alla luce le prove di quantosanguinario fosse il regime. Ma anche chela città ancora non è pacificata, e l’incubodegli attacchi terroristici, che non colpi-scono solo i soldati americani ma anche icivili iracheni, resta sempre vivo.

una moschea perché sospettanoche vi siano nascosti esplosivi, agliocchi della gente non sono soltantomilitari a caccia di terroristi, ma an-che stranieri infedeli che violano unluogo santo dell’Islam.

Fuad non ha più la vecchia Mer-cedes con la quale mi ha portato ingiro per Baghdad durante i bombar-damenti, tra il 20 marzo e il 9 apriledell’anno scorso. L’hanno rubata.Anzi, rapinata. Era pieno giorno e alvolante c’era il figlio, studente uni-versitario. Due giovani con la pisto-la puntata l’hanno fermato, l’hannofatto scendere e se ne sono andaticon l’automobile. Tre giorni dopo, amezzanotte, hanno bussato in trealla porta di Fuad. Erano armati e glihanno detto: «Saddam non c’ è più,tu sei un palestinese e te ne devi an-dare dall’Iraq». Fuad ha venduto ipochi mobili che aveva ed è partitoad Amman, in Giordania, con la fa-miglia. E’ abituato ai traslochi. Ci hafatto il callo. Da quando ha lasciatoHebron, in Palestina, non ha fattoche passare da un paese all’altro.Ma adesso si ritiene fortunato. Pale-stinesi che come lui hanno dovutolasciare l’Iraq sono ancora accam-pati in territorio giordano, a ridossodel confine iracheno. Lui invece hauna casa a Amman.

Di Saddam Hussein continua anon dire male. Ricorda con sobrietà,

quasi fosse un dovere: «Ci ha ospita-to». Aggiunge che nell’Iraq di oggi,dal quale è stato praticamente cac-ciato, c’è più libertà che in qualsiasialtro paese arabo. «Altrove se parlimale del governo vai in prigione. Quipuoi anche manifestare contro gliamericani, davanti ai G.I. armati». Einfatti quel che vediamo sulla piaz-za Al-Ferdaous. Alcune centinaia dipersone scandiscono «yankee gohome». E ancora « vogliamo sicurez-za e lavoro». Ci sono circa cinquan-tadue partiti in questo momento. Ilnumero è inevitabilmente appros-simativo, perché ne muoiono e nenascono continuamente. Fuadpensa che siano troppi. In autunnoce n’erano più di ottanta.

E allora? chiedo a Fuad. Perché lagente detesta tanto gli americani? Ri-sponde con un borbottio. Con il soli-to borbottio in cui si trincera quandole domande sono troppo ovvie otroppo complicate. O troppo pocochiare. Affiorano tuttavia alcune pa-role: «orgoglio», «confusione», «pau-ra». Dice poi con maggior chiarezza:«Bisogna capirlo, sono stranieri».

Diyala è un sobborgo di Bagdad,su una strada che porta verso il Sud,a Bassora. Il ponte sul Tigri che biso-gna scavalcare è stato danneggiatodurante la guerra e lo sostituisce unponte di ferro a due corsie, pensoprovvisorio. A superare il fiume in

quel punto, in aprile, fu il colonnel-lo Bryan P. McCoy; che poi presecon i suoi marines il centro della ca-pitale; e che in piazza Al-Ferdaous,accanto all’Hotel Palestine, fece ab-battere la statua di Saddam Hus-sein. Una cerimonia simbolica tra-smessa, il 9 aprile, da tutte le televi-sioni del mondo, come annunciodella fine del regime iracheno e del-la vittoria americana. Quelle imma-gini falsarono l’atmosfera che re-gnava in quelle ore a Bagdad. Gli ap-plausi di alcune centinaia di perso-ne inquadrate dalle telecamere,mentre la statua del dittatore cade-va a testa in giù, dettero l’impressio-ne di un tripudio generale.

Non era cosi. Bagdad era in predaai saccheggiatori e in alcuni sobbor-ghi, dove erano entrate le truppeamericane si piangevano i morti ci-vili. E nei pressi del ponte di Diyalaerano stati tanti. Parecchie decine.Non che ci fossero stati combatti-menti particolarmente aspri. Anzila difesa in quel sobborgo era statafiacca, quasi nulla, come del restonell’insieme della capitale. Ma la fo-ga dei marines del colonnello BryanP. McCoy aveva lasciato tracce. ADiyala ricordano ancora bene quelgiorno. Due ragazzi, adesso poli-ziotti addetti al traffico, mi raccon-tano come i marines sparassero sututto quel che si muoveva, senza ba-dare se i bersagli umani fossero civi-li o militari. Uno dei poliziotti mimostra, in prossimità del ponte, lamoschea in cui si era riparato e dal-la quale poteva vedere quel che ac-cadeva nel quartiere intensamenteabitato. Spesso gli americani fecerola guerra più del necessario. E lagente non l’ha dimenticato. Anchequesto pesa sulle reazioni che essaha quando vede i G.I.. I quali sonoarrivati con la guerra e non riesconoad apparire autentici liberatori.

Il colonnello Bryan McCoy ama-va parlare con i giornalisti all’hotelPalestine, nei giorni successivi allaconquista di Bagdad. Il suo linguag-gio era crudo, diretto. Era quello diun soldato, certamente un soldatoefficace e coraggioso, che sa che laguerra non può essere che crudele.E che per tanto si adegua senza farsidegli scrupoli. Sulle reazioni, sui se-veri giudizi, dei civili iracheni, colpi-ti dal comportamento dei suoi mari-nes, il colonnello diceva: «Non de-vono apprezzarci. L’amore non hanulla a che fare con la guerra. Gliamericani vogliono sempre essereamati, ma le cose non vanno semprein questo senso». Tanto più che mol-ti hanno l’impressione che la guerranon sia veramente finita, nonostan-te i negozi rigurgitino di elettrodo-mestici e la libertà di parola consen-ta di dire agli invasori di tornarsenea casa.

Dobbiamo consentire l’auto-

determinazione del popolo

dell’Iraq. Potremo andare via

solo quando la ricostruzione

materiale del Paese sarà

consolidata

La libertà e i suoi nemici2003

MICHAEL WALZER

Se gli americani decidessero

di tornarsene a casa, ciò

basterebbe a soddisfare i

fautori del terrore. Creare una

democrazia nel Medio Oriente

non sarà né rapido né facile

La crisi dell’Islam2003

BERNARD LEWIS

LA STRAGE DI NASSIRIYA 12 NOVEMBREDue veicoli carichi di esplosivo si scaglianocontro la base italiana di Nassiriya, a suddell’Iraq. Il bilancio è tragico: nell’attentatokamikaze muoiono 17 militari italiani, due civili,otto cittadini iracheni

LA CATTURA DI SADDAM 13 DICEMBREDopo una lunga caccia all’uomo Saddam èscovato ad Al Dawr, un piccolo villaggio a norddell’Iraq, mentre si nascondeva in una fossascavata nel terreno. L’operazione-cattura èguidata da 600 militari Usa

AL QAEDASotto,materialesequestrato aBagdad neigiorni scorsi.Sulla paginadel giornale Al Alaam con la foto diBin Laden silegge “AlQaeda èancora AlQaeda”

Page 4: 2004-03-17 Iraq

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Allarme kamikaze nel rapporto dei Ros. Minacce alla Francia, Raffarin va in tv: “Niente panico”. La polizia di Londra: attacco inevitabile

“Italia, ecco le cellule del terrore”Madrid, coinvolto un marocchino residente a Varese. Pisanu : così combattiamo l’emergenza

Bagdad un anno dopo, libertà e paura

Soldati di pattuglia nelle stazioni ferroviarie europee DA PAGINA 2 A PAGINA 11

DIARIO

La prima assoluta a Madrid de “La cattiva educazione”

Il noir di Almodòvar

sul prete pedofilodal nostro inviato

CONCITA DE GREGORIO

MADRID

ANNUNCIATO comeuna storia autobiogra-fica sui preti pedofili

nella Spagna Anni 60, dun-que temutissimo dalla Chie-sa cattolica, qui in Spagnaperfino più invadente e op-primente che in Italia, il nuo-vo film di Pedro Almodòvar èun noir melodrammatico estruggente che farà impazzi-re di gioia coloro (moltissimi)che lo adorano come un guru.

SEGUE A PAGINA 47

BAGDAD — Stai lontano dagliamericani. Appena te ne troviuno vicino cambia strada. Loconsigliano in molti. Con un’in-sistenza che mi incuriosisce, mistupisce perché i rari, rarissimiG.I. in cui m’imbatto nelle vie delcentro più che minacciosi misembrano guardinghi. A voltedanno l’impressione di nuotarea stento, di arrancare, in quella

enorme marmitta in ebollizioneche è Bagdad durante il giorno.Marmitta che all’improvviso siraffredda, e si vuota, prima anco-ra del tramonto, quando all’ecci-tazione succede il sospetto.

SEGUE A PAGINA 40CARACCIOLO

FLORES D’ARCAISe IGNATIEFF

ALLE PAGINE 37, 40 e 41

Il terrorismo

e le elezioni

ADRIANO SOFRI

L’11 marzo madrileno èl’11 settembre dell’Eu-ropa: dunque l’11 set-

tembre non lo era stato? Infattinon lo era stato, non abbastanza.La prossima volta – verrà unaprossima volta - ci capiterà di di-re solennemente che si sarà trat-tato dell’11 marzo di un altroPaese d’Europa, e così via? Perun’ennesima volta, il direttore diquesto giornale ha scritto che laguerra mossa l’11 settembreaveva e ha per bersaglio l’occi-dente. Le colpe e gli errori del-l’occidente non possono impe-dire di prenderne atto. È impor-tante vederli, errori e colpe, lo èmoralmente, e lo è praticamen-te, se vogliamo rispondere conqualche giustizia e qualche luci-dità. Ma a condizione di sapereda che parte stiamo.

SEGUE A PAGINA 15

La strategia

del ViminaleGIUSEPPE D’AVANZO

ROMA

NON c’è ragione, e soprat-tutto non ci sono «riscon-tri» o «informazioni», per

dire che l’Italia sarà il prossimoobiettivo del terrorismo islami-co. Il ministro dell’Interno nongira intorno alla questione con isuoi collaboratori. Quando i di-spacci d’agenzia danno contodelle “analisi” dell’intelligenceche segnalano come giorni dimassimo pericolo per il nostroPaese - “date calde” soprattuttoper le chiese, i luoghi di culto e isoft target - il 20 marzo, primo an-niversario dell’attacco anglo-americano all’Iraq e la vigilia delvoto europeo del 12 e 13 giugno, ilministro decide di rendere pub-blica la sua «irritazione per tantaleggerezza». «Sono voci allarmi-stiche del tutto prive di concretofondamento» detta in una nota.

SEGUE A PAGINA 3

BUSH PREPARA

LA CARTA ONUVITTORIO ZUCCONI

CONFUSO ancora nel doloreumano e nello stupore politico,l’effetto più importante dello

shock spagnolo visto dal quartier ge-nerale della guerra a Washington puòessere l’opposto esatto di “un votoper Osama”: non è affatto la deriva fi-nale tra Europa e Stati Uniti sognatadagli strateghi delle bombe, ma alcontrario il loro riavvicinamento percombattere insieme, questa voltanella legalità internazionale e nella le-gittimità elettorale, una guerra con-tro un nemico ormai indiscutibil-mente comune. Basta osservare laprudenza e la delicatezza con le qualil’Amministrazione Usa ha reagito fi-nora alle notizie del massacro di Ma-drid e poi alla disfatta dell’“amico Az-nar”, per concludere che Washingtonpotrebbe aver capito meglio di moltieuropei troppo abbagliati da faziositàdomestiche, che un governo di sini-stra a Madrid è più un’occasione cheun rischio per l’obbiettivo finale, lasconfitta del terrorismo.

SEGUE A PAGINA 14

Le ossessioni

di Aznar

FRANCESCO MERLO

IBUGIARDI, in politica, nonesistono e Aznar non fa certoeccezione benché sia uscito di

scena come il bugiardo di Stato, ilburattino con il naso lungo dise-gnato da tutti i vignettisti d’Euro-pa. In realtà in politica le bugie sichiamano ossessioni o magariideologia o autoinganni e nonsempre fanno perdere le elezio-ni, anzi qualche volta le fannopure vincere, perché sono conta-giose e ingigantiscono o nanifi-cano la realtà, deformano le cate-gorie concettuali. In questo sen-so, Berlusconi è certamente os-sessionato dai comunisti comeAznar lo è stato dai terroristi ba-schi, e la sinistra italiana è osses-sionata da Berlusconi come Bu-sh lo era da Saddam, ma questeossessioni, pur così diverse tra diloro, non sono mai menzogne.

SEGUE A PAGINA 15

LE IDEE

Famiglie sempre più indebitate, flop del concordato fiscale

Fazio: il Paeseperde terreno

ROMA — La Banca d’Italia lancia l’allarme sull’economia. Il Paese staperdendo terreno in Europa, la crescita 2004 non supererà l’1 per cen-to, quasi la metà di quanto previsto dal governo, l’obiettivo-deficit del2,2% del Pil difficilmente sarà raggiunto perché ci sono dubbi sui ri-sparmi di spese e sugli aumenti di entrate indicati dalla Finanziaria.L’istituto guidato da Fazio, nel suo bollettino economico, avverte chesiamo in presenza di una crisi seria del made in Italy: la quota delle no-stre esportazioni sul commercio mondiale è scesa al 3 per cento. For-ti preoccupazioni vengono espresse anche sui debiti delle famiglieitaliane, in costante crescita, e soprattutto sui mutui casa che per ol-tre tre quarti sono a tasso variabile. Intanto arrivano, sia pure ancoranon ufficialmente, i dati sulle adesioni al concordato preventivo vo-luto da Tremonti: sarebbero solo 150mila, contro le 500mila previste,con un incasso inferiore al miliardo di euro, contro i 2,5 miliardi atte-si dal governo. Sul fronte Rc auto è scontro per il blocco dei ribassi.

GRION, PETRINI e POLIDORIALLE PAGINE 12, 13 e 27

I voti di Forza Italia contro la norma sui medici specializzandi

Sanità, governo battuto alla Camera

“Il decreto Sirchia incostituzionale”BARBARA JERKOV A PAGINA 19

dal nostro inviato BERNARDO VALLI

Scontro sulle tariffe Rc auto: niente ribassi

RETROSCENA