2. Origini, novità e limiti del Rinascimento · a Roma in onore di Giuliano dei Medici h) La...

16
2. Origini, novità e limiti del Rinascimento a) Origini, novità e limiti del Rinascimento b) La cultura rinascimentale c) Pico della Mirandola: l’uomo è al centro del mondo d) Niccolò Machiavelli: il colloquio con gli antichi e) Lorenzo Valla: il potere temporale della Chiesa si basa su un documento falso f) Baldassarre Castiglione: l’uomo di corte g) Festa a Roma in onore di Giuliano dei Medici h) La rivoluzione di Copernico i) Leonardo e le macchine l) Due concezioni politiche a confronto: l’utopia di Tommaso Moro e il realismo di Niccolò Machiavelli m) Tommaso Moro: Lavoro e tempo libero a Utopia n) Niccolò Machiavelli: «realtà effettuale» e autonomia della politica dalla morale

Transcript of 2. Origini, novità e limiti del Rinascimento · a Roma in onore di Giuliano dei Medici h) La...

2. Origini, novità e limitidel Rinascimento

a) Origini, novità e limiti del Rinascimento

b) La cultura rinascimentale

c) Pico della Mirandola: l’uomo è al centro del mondo

d) Niccolò Machiavelli: il colloquio con gli antichi

e) Lorenzo Valla: il potere temporale della Chiesa si basa su un documento falso

f) Baldassarre Castiglione: l’uomo di corte

g) Festa a Roma in onore di Giuliano dei Medici

h) La rivoluzione di Copernico

i) Leonardo e le macchine

l) Due concezioni politiche a confronto: l’utopia di Tommaso Moro e il realismo di Niccolò Machiavelli

m) Tommaso Moro: Lavoro e tempo libero a Utopia

n) Niccolò Machiavelli: «realtà effettuale» e autonomia della politica dalla morale

1

LA PA

RO

LA A

GLI STO

RIC

I

M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore

Federico Chabod: l’originalitàdel Rinascimento

L’italiano Federico Chabod (1901-1960) ritiene del tutto legittimo che alcuni storici abbiano indica-to le origini del Rinascimento nell’età comunale e del resto anche nel Basso Medioevo erano emerse grandi personalità in ambito politico, culturale e artistico. Tuttavia a suo avviso sarebbe sbagliato negare le particolarità del Rinascimento, anzitut-to nel suo rapporto con la latinità. Per la cultura medievale l’antichità classica era stata “un orna-mento esteriore, un fregio decorativo” perché era condizionata da una profonda concezione religio-sa. Virgilio era famoso nel Medioevo, ma era vi-sto come un profeta del cristianesimo e con tale significato Dante lo aveva scelto a guida del suo viaggio nell’oltretomba. Virgilio era dunque con-siderato una sorta di “ travestimento di un’anima pagana in veste cristiana e questo – osserva Cha-bod- basta a definire la vera natura della classicità medievale”. Di tutt’altro genere sarà il richiamo all’antichità classica nell’Italia del XV secolo. Il Rinascimento vi si avvicinò con la precisa “volon-tà di penetrarla, di capirla in sé e per sé, nelle sue forme e nei suoi motivi ispiratori” per farne un modello di vita. Ancora più chiara è la differenza tra Rinascimento e Medioevo nella storiografia. Nel Medioevo l’adesione alla realtà era stata sem-pre “di carattere sensitivo, limitata al particola-re, all’episodico” ed il cronista vedeva “ovunque, arbitra suprema, la mano di Dio”. Invece i gran-di storici fiorentini del Rinascimento “creano un quadro d’insieme, continuamente sorretto dalla volontà degli individui singoli che con i loro inte-ressi e le loro passioni tessono la trama della storia universale”. Per i cronisti medievali come Villani le vicende umane erano mosse da Dio o dal diavo-lo, ma per Machiavelli la politica è affare del tutto terreno. Si tratta di “una sfera di attività autono-ma al di là del bene e del male” senza fini estranei da quelli propriamente umani, cosicché egli “per primo svicola lo Stato da presupposti e da finalità di carattere metafisico”. Con il suo individuali-smo, l’uomo usciva esaltato da questa nuova con-

Origini, novità e limitidel Rinascimento a

Rinascimento e Medioevo: rottura completao continuità?

Sul Rinascimento italiano si sono succedute varie valutazioni a partire dall’Ottocento, spesso discor-danti a causa della complessità delle sue componen-ti e dell’eccezionalità di alcuni risultati come quelli di carattere artistico che lo hanno universalmente reso noto. Qui ci limiteremo a ricapitolare somma-riamente le principali tendenze interpretative che hanno analizzato i fondamentali aspetti culturali dell’Umanesimo-Rinascimento. La prima, che ha avuto una lunga fortuna fin dalla seconda metà del XIX secolo specialmente per merito dello studioso svizzero Burckhardt, ha considerato il Rinascimento una netta “rottura” con il Medioevo, riproponendo e radicalizzando il giudizio già espresso dagli stes-si umanisti. La critica successiva ha invece teso a ridimensionare la portata innovativa del Rinasci-mento e ne ha anticipato l’avvio ai secoli XII e XIII, attribuendo radici cristiano-medievali alla rinascita culturale (come il tedesco Burdach e l’italiano Toffa-nin), oppure indicando nella riscoperta della filoso-fia di Aristotele l’inizio di un processo di laicizzazio-ne della società e della politica conclusosi nel XV se-colo (come il francese Gilson e l’austriaco Ullmann). Più equilibrate sono apparse infine le tesi di quegli storici (come gli italiani Chabod e Garin), che senza negare tratti di continuità con l’età medievale hanno sottolineato la novità dello spirito critico con cui gli intellettuali dell’Umanesimo-Rinascimento si posero di fronte alla vita, alla natura, alla società, alla storia e alla politica. Altri problemi hanno poi caratteriz-zato il dibattito storiografico rispetto all’evoluzione dello scenario politico in età rinascimentale. Secon-do alcuni studiosi (come l’inglese Baron, l’italiano Garin e l’ungherese Hauser) nella prima metà del Quattrocento la cultura umanistica e artistica fu ca-ratterizzata da un forte impegno morale, legato agli ideali repubblicani e ai valori civili, per decadere gradualmente verso la fine del secolo su posizioni di completo asservimento alla volontà dei principi, pro-vocando un’insanabile quanto deleteria separazione tra intellettuali e popolo, come hanno sostenuto gli italiani De Sanctis e Gramsci o il cèco Macek.

2

LA P

AR

OLA

AG

LI S

TOR

ICI

M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore

cezione della vita. Certo anche il Medioevo aveva avuto le sue personali-

tà di eccezione, ma totalmente diverso era il rilievo assunto dalle grandi figure politiche

del XV e XVI secolo, come Francesco Sforza, Lorenzo de’ Medici o Cesare Borgia, artefici di

storia e creatori di eventi. Egualmente l’artista si sentiva svincolato e indipendente da fini religiosi, perché – diceva Leon Battista Alberti – l’uomo è capace da se stesso di ogni miracolo e tende alla

creazione di “un’opera bella, immortale, che gli dia gloria presso gli uomini”. Quindi nella storia, nella politica, nelle scienze, nelle lettere e nell’ar-te emerse in quest’epoca “una linea di sviluppo continua che dall’Alberti prosegue nell’Ariosto e nel Galilei, conducendo allo sbriciolamento della concezione metafisica del Medioevo” e aprendo la strada all’Età moderna.

F. Chabod, Scritti sul Rinascimento, Torino Einaudi, 1981

3

FINESTR

E SULLA

STOR

IA

M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore

(1407-1457), la personalità senz’altro di maggior rilievo di tutto l’umanesimo italiano. Con forte en-tusiasmo laico Valla sottopose a confronto le isti-tuzioni politiche e religiose dell’antichità e quelle del Medioevo, affidandosi all’analisi filologica per evidenziare la contraddizione tra il principio del libero arbitrio attribuito all’uomo e l’onnipotenza di Dio, anch’essa rivendicata dalla dottrina cristia-na ufficiale (la scolastica, cioè la teologia insegnata nelle scuole). Poi nella sua ricerca più nota, De fal-so credita et ementita Costantini donatione (1440), demolì le pretese della Chiesa di legittimare il pro-prio potere temporale con un documento scritto dall’imperatore Costantino che avrebbe concesso a papa Silvestro il reggimento dell’Italia e dell’Euro-pa. Infatti Valla, mediante una attenta lettura basa-ta su elementi giuridici, linguistici e storiografici, verificò che la cosiddetta donazione era un falso, compilato molti secoli più tardi dalla cancelleria vaticana, forse nell’VIII secolo. In tal modo il filo-logo romano apriva la strada a più profonde conte-stazioni che nei decenni successivi saranno portate alla Chiesa cattolica da settori sempre più numero-si di intellettuali e credenti.

Il ruolo delle corti

La diffusione dell’Umanesimo in Italia fu favori-ta dal grande concilio tenutosi a Firenze nel 1439 nell’intento di ricomporre la separazione tra la Chiesa romana e quella ortodossa, consentendo agli intellettuali italiani personali contatti con il raffinato mondo culturale bizantino, diretto de-positario della civiltà classica. Il legame con l’an-tichità si rafforzò quando numerosi dotti e teologi greci vennero accolti nella penisola dopo la caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi (1453) e l’ambiente delle corti principesche divenne il luo-go ideale in cui molti studiosi poterono sviluppa-re le loro ricerche. Non solo a Firenze (il massimo centro culturale del tempo) o a Milano, a Venezia o a Roma, ma anche nelle piccole città come Urbino, Mantova e Ferrara, i signori gareggiarono nel fa-vorire le lettere e nel dare splendore alle proprie città, affidando l’edificazione o l’abbellimento dei

Lo spirito critico

L’Umanesimo e il Rinascimento rappresentaro-no un movimento culturale unitario, che si svi-luppò dalla metà del Trecento ai primi decenni del Cinquecento e che ebbe un carattere europeo, pur raggiungendo in Italia i risultati più rilevanti. Assieme alle eccezionali creazioni artistiche pro-priamente definibili rinascimentali, la nuova cultu-ra è stata oggetto di divergenti valutazioni da parte degli storici. Alcuni infatti ne sottolineano i punti di continuità coi secoli precedenti, altri invece la considerano una radicale rottura con il Medioevo, facendo proprio lo stesso giudizio dei contempora-nei.Sebbene fosse stato anticipato in età comunale con la rinascita dell’Occidente iniziata dopo il Mille, in effetti soltanto nel corso del Quattrocento il movi-mento umanistico-rinascimentale acquisì una pre-potente originalità. A distinguerlo nettamente dal Medioevo fu lo studio appassionato degli autori latini e greci, i cui manoscritti dispersi o trascura-ti furono ritrovati nelle biblioteche dei monasteri e divennero motivo di appassionate riflessioni. Protagonisti delle ricerche (anticipate dal lavoro di Francesco Petrarca) furono gli esponenti della cul-tura europea più dotta, che presero il nome di uma-nisti (da humanae litterae = letteratura classica) e che applicarono con grande acume la filologia nei loro studi concernenti l’analisi dei testi antichi. Acquisita la consapevolezza della profonda diversi-tà tra le due epoche e svincolandosi dai preconcetti del cristianesimo medievale, fu recuperata attraver-so lo studio dei classici la convinzione che l’uomo era artefice del proprio destino, centro e misura di tutte le cose. Vennero perciò contestate le concezio-ni pessimistiche emerse dopo la fine dell’Impero ro-mano, riaffermando la dignità intellettuale dell’uo-mo, le sue capacità razionali, le illimitate capacità creative, il diritto di indagare con spregiudicatezza i segreti della natura (naturalismo) e di riesamina-re attentamente la storia dell’umanità. In breve il nuovo senso critico ispirò l’intero ambito culturale: dall’arte alla scienza, dalla filosofia alla religione. Basti ricordare tra i tanti il romano Lorenzo Valla

SS toriatoria La cultura rinascimentale

4

FIN

ESTR

E SU

LLA

STO

RIA

M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore

lettuale, mentre una spessa cappa di silenzio calava sul mondo degli umili che costituivano l’immensa maggioranza della popolazione. Sono questi aspetti negativi che hanno indotto alcuni storici a denun-ciare la grave frattura prodottasi tra intellettuali e popolo, tra cultura e società italiana, iniziata pro-prio nella seconda metà del Quattrocento e solo in minima parte risanata molti secoli dopo. Non tut-to però andò perduto e la favorevole coincidenza di molti fattori contribuì al raggiungimento di un grande rinnovamento artistico in età propria-mente rinascimentale. La ormai radicata tradizio-ne culturale italiana, gli investimenti nell’arte delle oligarchie dominanti, unitamente alla riscoperta dell’ideale classico della bellezza e della perfezione concorsero assieme a determinare risultati eccezio-nali. La grandezza dell’uomo e delle sue capacità trovarono una celebrazione imponente nell’archi-tettura con Brunelleschi e l’Alberti, nella scultu-ra e nella pittura con Donatello, Michelangelo, Masaccio, Leonardo, Raffaello, nella letteratura con Poliziano e Ariosto, tanto da fare dell’Italia il punto di riferimento per tutta la civiltà europea dei secoli successivi.

propri prestigiosi palazzi ad ar-chitetti, pittori e scultori che si ispira-

vano all’arte classica. Tuttavia la protezio-ne accordata dai signori o dai principi incise

profondamente sull’orientamento della cultura umanistico-rinascimentale. Come ha sottolineato

Eugenio Garin (uno dei maggiori studiosi di questa cultura) ancora nella prima metà del Quattrocento gli umanisti si erano distinti per il loro impegno ci-vile e molti di loro avevano preso parte attiva alla vita politica, ricollegandosi agli ideali repubblicani dell’antica Roma, ai quali si erano per altro richia-mate le stesse istituzioni democratiche comunali. Più tardi però, proprio quando l’Italia perdeva la sua indipendenza e veniva tagliata fuori dai gran-di flussi dell’economia internazionale, essi diven-nero sempre più strumento (consapevole o meno) dell’assolutismo signorile, che affossò le residue libertà comunali ed emarginò definitivamente le classi popolari.

Il Rinascimento tra formalismo culturale e primato artistico

Artisti, letterati e filosofi, che nel mecenatismo dei signori e nella corte trovavano occasioni di successo e di gloria, si piegarono inevitabilmente alla volontà dei generosi committenti, valorizzando certamente le proprie qualità artistiche, ma abbandonando ogni impegno civile. Da qui la prevalenza delle celebra-zioni delle imprese del signore e dei suoi familiari, l’elaborazione di concezioni ideologiche che giusti-ficavano lo stato assoluto, il disprezzo per il popolo, l’evasione dal mondo concreto della natura e degli uomini, coltivando riflessioni metafisiche (come sosteneva la filosofia neoplatonica) e abbandonan-do le posizioni critiche del primo Umanesimo. Il ruolo encomiastico che assunsero settori rilevanti della cultura agli inizi del Cinquecento è ampia-mente documentato dagli innumerevoli trattati sul perfetto uomo di corte o cortigiano, sugli usi e costumi della corte, sulle «virtù» e sul comporta-mento delle dame e dei cavalieri. Si idealizzavano ambienti e si codificavano modelli di vita a cui do-veva attenersi la nuova aristocrazia politica e intel- Leon Battista Alberti, Tempio malatestiano, Rimini.

5M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore

La centralità dell’uomo nell’universo e le sue possibilità di controllo sulla natura furono motivo di riflessioni per la cultura rinascimentale in tutte le sue articolazioni. Pico della Mirandola (1463-1494) fa derivare queste prerogative direttamente da Dio, evitando in tal modo una completa rottura con le concezioni medievali che ponevano nell’aldilà e non già sulla Terra il destino dell’uomo. Non esita in ogni caso ad andare oltre le concezioni cristiane e a ricollegarsi con una lunga tradizione religiosa per sostenere la sua tesi. «Ho letto nelle memorie di Abdulla Saraceno – afferma nell’introduzione al De hominis dignitate – che, interrogato su quale fosse l’oggetto più ammirevole fra quanti appaiono sullo scenario del mondo, rispose che nessuno se ne vede più mirabile dell’uomo; e con questo giudizio concorda l’altro di Mercurio: Gran meraviglia, Asclepio [la divinità greca della medicina], è l’uomo».

nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine». O suprema liberalità di Dio padre! o suprema e mirabile felicità dell’uomo! a cui è concesso di ottenere ciò che desidera, di essere ciò che vuole.

G. Pico della Mirandola, De hominis dignitate, a cura di E. Garin, Pisa, Scuola Normale Superiore, 1986

Recato il lavoro [la creazione del mondo] a compimento, l’artefice [Dio] desiderava che ci fosse qualcuno capace di afferrare la ragione di un’opera sì grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la vastità. Perciò, compiuto ormai il tutto […], pensò da ultimo a produrre l’uomo. […] Stabilì l’ottimo artefice che a colui cui nulla poteva dare di proprio fosse comune tutto ciò che aveva sin-golarmente assegnato agli altri. Perciò accolse l’uomo come opera di natura indefinita e postolo nel cuore del mondo così gli parlò: «Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai da nessuna barriera costretto, secon-do il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Ti posi

I poteri conferiti da Dio all’uomo e che lo collocano al centro del mondo

6 M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore

Come molti suoi contemporanei Machiavelli (1469-1527) fu un intellettuale molto versatile, storico, autore di famose opere letterarie e politiche. Politicamente impegnato, ricoprì incarichi diplomatici sotto la repubblica fiorentina dal 1498 al 1512, ma al ritorno dei Medici fu confinato per un anno a San Casciano, vicino a Firenze. Qui scrisse agli amici alcune lettere, altrettanto note e ricche di riflessioni, tra cui quella inviata a Francesco Vettori (ambasciatore di Firenze a Roma) dove racconta la sua vita quotidiana, consumata durante il giorno a cacciare o giocare a carte e a dadi con gli avventori di un’osteria e conclusa la sera immergendosi nella esaltante lettura degli autori classici, qui descritta con una esemplare metafora.

parlare con loro, et domandarli della ragione delle loro actioni [azioni]; et quelli per loro humanità mi rispon-dono; et non sento per quattro hore di tempo alcuna no-ia, sdimenticho ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottiscie la morte; tutto mi trasferisco in loro.

N. Machiavelli, Lettere, Milano, Feltrinelli, 1961

Venuta la sera, mi ritrovo in casa et entro nello mio scrittoio; et in su l’uscio mi spoglio quella veste cotidia-na, piena di fango e di loto, et mi metto panni reali e curiali; et vestito condecentemente entro nelle antique corti degli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amo-revolmente, mi pasco di quel cibo, che solum [soltanto]è mio, et che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno

7M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore

Il romano Lorenzo Valla (1407-1457) è uno degli autori più rappresentativi del primo Umanesimo, che con severità sottopose al giudizio critico tutta la cultura del passato. Pur contrario alle deviazioni della Chiesa cattolica, rimase (come molti suoi contemporanei) sempre rispettoso della religione cristiana. Tra le sue opere più rilevanti spicca il saggio in latino De falso credita et ementita Costantini donatione (1440), dove nega con un rigoroso studio filologico l’autenticità della cosiddetta donazione dell’imperatore romano Costantino (364-337), che avrebbe assegnato al pontefice Silvestro (314-335) la parte occidentale dell’Impero, in particolare Roma e il Lazio, primo embrione del futuro Stato della Chiesa. Il brano che segue è tratto dall’introduzione dell’opera.

evidenti), né Silvestro accettò né Costantino effettuò il trapasso del dono, ma quelle città e quei regni rimasero sempre in libera disponibilità e sotto la sovranità degli imperatori. In terza istanza dimostrerò che nulla diede Costantino a Silvestro, ma al papa immediatamente an-teriore davanti al quale Costantino era stato battezzato; furono doni del resto di poco conto, beni che permet-tessero al papa di vivere. Dimostrerò (quarto assunto) che è falsa la tradizione che il testo della Donazione o si trovi nelle decisioni decretali della Chiesa o sia tolto dalla Vita di S Silvestro: non si trova né in essa né in al-cuna cronaca, mentre invece si contengono nella dona-zione contraddizioni, affermazioni infondate, stoltezze, espressioni, concetti barbari e ridicoli

L. Valla, La falsa donazione di Costantino, a cura di G. Pepe, Milano, Feltrinelli, 1952

[I pontefici] per tanti secoli o non compresero la falsi-tà della donazione di Costantino o crearono essi stessi il falso; altro, seguendo le orme dei predecessori, dife-sero come vera quella Donazione che sapevano falsa, disonorando così la maestà del Papato, la memoria de-gli antichi pontefici, la religione cristiana e causando a tutto il mondo stragi, rovine, infamie. Dicono esse-re loro Roma, loro il regno di Sicilia e di Napoli, lo-ro Italia, Francia, Spagna, Germania, Inghilterra: tut-ta l’Europa occidentale, in una parola […]. Per prima cosa dimostrerò che Costantino e Silvestro non erano giuridicamente tali da poter legalmente l’uno assumere, volendolo, la figura di donante, e poter quindi trasferi-re i pretesi regni donati che non erano in suo potere ; e l’altro da poter accettare legalmente il dono (né del resto lo avrebbe voluto). In seconda istanza dimostrerò che anche se i fatti non stessero così (ma sono troppo

8 M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore

Il mantovano Baldassarre Castiglione (1478-1529) frequentò la corte dei Gonzaga e dei Montefeltro, poi abbracciò lo stato ecclesiastico e divenne nunzio apostolico. Fornito di una solida preparazione umanistica, egli immagina ne Il cortegiano, la sua opera più famosa, una conversazione ambientata nella corte di Urbino tra cavalieri, uomini di cultura e alla presenza della duchessa Isabella Gonzaga sulle qualità del perfetto cortigiano e della perfetta gentildonna di palazzo. Il brano che riportiamo è tratto dall’intervento del duca Ludovico di Canossa.

ingegno e bella forma di persona e di volto, ma una certa grazia e, come si dice, un sangue che lo faccia al primo aspetto a chiunque lo vede grato ed amabile; e sia questo un ornamento che componga e compagni [accompagni] tutte le operazioni sue e prometta nella fronte quel tale esser degno del commerzio [di una at-tività pubblica] e grazia [della benevolenza] d’ogni gran signore

B. Castiglione, Il Cortegiano, Torino, Utet, 1964

Voglio dunque che questo cortegiano sia nato nobile e di generosa famiglia; perché molto men si disdice ad un ignobile mancar di far operazioni virtuose, che ad uno nobile, il qual si desvia dal camino dei sui antecesso-ri, macula il nome della famiglia e non solamente non acquista ma perse il già acquistato; perché la nobiltà è quasi una chiara lampa [luce] che manifesta e fa veder l’opere bone e le male e accende e sprona alla virtù […] Il cortegiano oltre alla nobiltà voglio che sia in questa parte fortunato, ed abbia da natura non solamente lo

9M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore

Sebbene manchino notizie certe, è opinione degli storici che nel XV e XVI, in pieno Rinascimento, le condizioni dei ceti popolari continuassero ad essere alquanto miserevoli con prospettive di vita molto basse per scarsa nutrizione e mancanza di igiene. Il benessere riguardava solo una esigua minoranza: signori, alti prelati, ricca borghesia urbana e i loro cortigiani, compresi intellettuali e artisti. Il brano che riportiamo rappresenta uno spaccato del gusto e del comportamento di queste classi privilegiate: siamo nel settembre 1513 a Roma, in piazza del Campidoglio, dove il pontefice Leone X promuove una festa per celebrare il gemellaggio con Firenze e conferisce la cittadinanza a Giuliano dei Medici, suo fratello. Dopo la messa, fuochi di artiglieria, spettacoli di musici e buffoni. Viene intanto allestito un grande tavolo con boccali, piatti, vassoi di argento, a cui seguono numerose portate di vivande e libagioni.

Otto gran piatti di quaglie arostiteOtto simili piatti di animelle[Quinta portata] Otto piatti con torte al modo grecoOtto piatti colmi di starneQuattro piatti con galli cotti et rivestiti con sua pelle et piuma, che stavano in piedi come se fussero vivi Quattro con galline cotte et rivestite similmente[Nona portata] Otto piatti di pavoni cotti con pelle e piuma solo sopra el colloOtto colmi de caponi inzuccarati Otto piatti di pavoni vecchi

F. Cruciani, Il teatro del Campidoglio e le feste romane del 1513, Milano, Il Polifilo, 1968

Ciascuno havea denante [davanti] il tovaiolo di renzo [lino] sottilissimo, ingeniosamente piegato, per modo che dentro rimaneva il vacuo [spazio vuoto] dove era-no augelletti vivi […] Prima alle mani fu data acqua adoratissima [profumata], de poi, dispiegandosi detti tovagliuoli, uscivano fuori gli augelletti, fra’ quali ne erano alcuni avezze tra le persone et domesticamente stare per casa. Questi non se partivano dalla tavola, ma saltando per essa giravano pascendose di quello che ci trovavano. [Seguono 25 portate….] [Quarta portata] Vennero per la principal porta del the-atro con gran suoni di trombe e pifare [pifferi, uno stru-mento a fiato]: Otto gran piatti colmi di beccafichi arostiti

10

DO

CU

MEN

TI

M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore

Prima delle ricerche dell’astronomo polacco Nicolò Copernico (1473-1543) gli studiosi erano generalmente convinti che la Terra fosse posta al centro dell’universo e che tutti gli altri corpi celesti (Sole compreso) ruo-tassero intorno ad essa. Questa concezione (detta geocentrica) elaborata dall’astronomo Claudio Tolomeo nel II secolo d.C,, che raccolse le conoscenze degli antichi, venne poi fatta propria dalla dottrina cristiana e dominò per secoli pressoché incontrastata. Le tesi sostenute dallo studioso polacco, secondo il quale è la Terra a girare intorno al Sole (eliocentrismo), determinarono dunque una vera e propria rivoluzione nella scienza e aprirono la strada alle indagini di Galileo

La rivoluzione di Copernico

Poiché vi sono molte persone autorevoli che sosten-gono che la Terra è immobile nel centro del mon-do, l’ipotesi contraria sembra a molta gente ridicola […]. Tuttavia, se consideriamo la questione più at-tentamente, vediamo che si tratta di un problema importante e tutt’altro che risolto.Ogni cambiamento di posizione che possiamo os-servare deriva o da un moto dell’oggetto o da un moto dell’osservatore o, anche, da moti (necessa-riamente diversi) di entrambi. Solo se l’oggetto e l’osservatore si muovono nella stessa direzione e in maniera uguale non si vedrà alcun movimento per-cettibile del primo rispetto al secondo. Ordunque, dalla Terra noi osserviamo i moti celesti; se però la Terra è in moto […] guardando un oggetto esterno a essa lo vedremo muoversi con lo stesso tipo di moto, ma in direzione contraria; l’oggetto esterno attraverserà perciò tutto il cielo. La rotazione gior-naliera del cielo è proprio […] un movimento di tal genere.Trovai per la prima volta in Cicerone che Nicita credeva che la Terra fosse in movimento. Poi in Plutarco trovai che qualcun altro era della stessa opinione […].

Perciò, anche io cominciai a meditare sul fatto che la Terra fosse in movimento. E benché l’idea sem-brasse assurda, tuttavia, sapendo che ad altri prima di me era stata concessa la libertà di immaginare cerchi arbitrari per spiegare i fenomeni astronomi-ci, ritenni che anche a me sarebbe stato certamente permesso di cercare se, supponendo la Terra anima-ta da un qualche tipo di moto, si potessero trovare spiegazioni più valide di quelle degli astronomi che mi hanno preceduto, per render conto delle rivolu-zioni delle sfere celesti […]. Trovai, dopo lunghe e accurate osservazioni, che se i moti delle altre stel-le erranti vengono posti in relazione al movimento circolare della Terra, e se i moti sono studiati tenen-do presente il moto di rivoluzione di ogni pianeta, non solo i fenomeni a essi relativi trovano logica spiegazione, ma altresì le posizioni e le dimensioni delle orbite dei pianeti e dei cieli stessi risultano collegate tra loro, in modo che in nessuna parte si potrà modificare qualcosa senza sconvolgere le re-stanti parti e tutto l’Universo.

N. Copernico, La rivoluzione delle sfere celesti, in Opere, a cura di F. Barone, Torino, UTET, 1979.

11M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore

Leonardo da Vinci (1452-1519) è considerato l’interprete più completo della concezione rinascimentale dell’uomo, considerato quasi un “piccolo dio” in grado di appropriarsi delle leggi della natura per piegarle alle sue necessità. Ma il numero straordinario di soluzioni offerte ai problemi della tecnica (in parte ancora nascoste tra le pieghe dei quasi 4 000 fogli che compongono i Codici sicuramente attribuitigli, come il Codice Atlantico o il Codice di Madrid) va oltre le sue doti geniali di ingegnere, architetto, pittore, scultore e scienziato ed è invece riconducibile a quel formidabile laboratorio della scienza e della tecnica che fu l’Italia centro-settentrionale tra il Quattrocento e il Cinquecento. “Ho immaginato – diceva Leonardo - tutte queste macchine perché ero posseduto, come tutti gli uomini del mio tempo, da una volontà di potenza. Ho voluto domare il mondo”.

Le macchine volanti, la prima automobile, il carro armato, le turbine: ecco alcune delle celebri macchine disegnate da Leonardo.

12

FIN

ESTR

E SU

LLA

STO

RIA

M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore

denaro». Nella seconda parte uno degli interlocutori descrive l’isola di Utopia che ha conosciuto nel corso dei suoi viaggi. L’isola è governata da magistrati eletti-vi. La terra è proprietà collettiva, il lavoro ripartito in base alle possibilità di ciascuno, i prodotti suddivisi in maniera egualitaria. Non c’è ozio, non ci sono osterie, locande, bordelli. Gli abiti sono tutti eguali, salvo le differenze di sesso. L’oro è riservato ai giocattoli dei bambini. Nel tempo libero uomini e donne si dedica-no all’istruzione, alla lettura, alla musica. La guerra è considerata «cosa da belve» e le armi servono sola-mente per difendersi dalle aggressioni. La religione si basa su pochi e semplici principi, ritenendo l’anima immortale e la virtù un premio che di per sé procura la felicità. Utopia proponeva un ordinamento razio-

La società ideale di Tommaso Moro

Il Medioevo aveva cercato più volte soluzioni teori-che in grado di risolvere i problemi sociali e politi-ci del tempo. Tra gli altri lo aveva fatto Dante con il De monarchia, che aveva rilanciato l’idea dell’Impero universale, separando nettamente il potere temporale dell’imperatore da quello spirituale del papa. Anche Marsilio da Padova con il Defensor pacis aveva soste-nuto l’autonomia dei sovrani, anticipando la conce-zione moderna dello stato. In ogni caso la trattatisti-ca medievale continuava ad avere come riferimento l’ordinamento feudale e quindi teneva in debito conto l’autorità religiosa. Da queste concezioni prese invece le distanze il pensiero del Rinascimento. I massimi rappresentanti del nuovo orientamento politico furo-no l’inglese Thomas More (italianizzato in Tommaso Moro) e il fiorentino Niccolò Machiavelli. Le loro pro-poste, diametralmente opposte, interpretarono le esi-genze, le aspettative, le speranze dell’umanità più co-sciente, tanto da anticipare le due correnti di pensiero che arrivano fino ai giorni nostri. L’umanista inglese Thomas More (1478-1535) fu ministro del re Enrico VIII e amico del filosofo Erasmo da Rotterdam. Scrisse diverse opere e con Utopia, un breve trattato in latino pubblicato nel 1516, raggiunse una vasta popolarità. Utopia (il titolo completo è Utopia ovvero sulla migliore repubblica e sulla nuova isola di Utopia) inaugurò quel filone della riflessione politica che dal suo trattato pre-se nome di utopismo, a indicare la descrizione di una società ideale senza miseria né lusso né ingiustizia e senza proprietà privata, dove tutti possono soddisfare le proprie esigenze spirituali e materiali. Impostata in forma di dialogo, l’opera espone nella prima parte le condizioni di vita del tempo. Critica le pene inflitte a ladruncoli e mendicanti, considerando responsabile della povertà l’avidità dei latifondisti che si erano im-padroniti della terra per allevare bestiame e pecore, costringendo i piccoli proprietari e i più poveri ad ab-bandonare le campagne. «Le pecore – dice More con una sua famosa metafora –, alle quali basta soltanto poco cibo, stanno diventando tanto voraci da divora-re perfino gli uomini». «Non vedo – osserva More – come possa esserci prosperità e giustizia finché dura la proprietà privata e tutto è valutato in funzione del

Due concezioni politiche a confronto: l’utopia di Tommaso Moro e il realismo di Niccolò MachiavelliProfilo, …il pensiero storico e politico, p. 72

CC iviltàiviltà

Tommaso Moro in un ritratto di Jan Gossaert, detto Mabuse, del 1524 circa. Aix-en-Provence, Museo Granet.

13

FINESTR

E SULLA

STOR

IA

M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore

padre, il pontefice Alessandro VI. Per la sicurezza del nuovo stato il prin-cipe doveva inoltre garantirsi piena autono-mia, servendosi di milizie cittadine o nazionali. Quelle mercenarie gli apparivano « pericolose», perché «ambiziose e infedeli», disposte a passa-re all’avversario per «un poco di stipendio» in più. Priprio per questo motivo l’Italia era stata conqui-stata facilmente («col gesso») dal re di Francia Carlo VIII. Esaltando l’individuo e le sue capacità («vir-tù»), Machiavelli fece del principe il capo e l’anima-tore della vita dello stato, così da essere considerato uno dei primi teorici dello stato assoluto e già nella seconda metà del Cinquecento i termini «machia-vellismo» e «machiavellico» erano sinonimi di un comportamento politico privo di scrupoli, pronto a qualsiasi azione per giungere ai risultati prefissi. «Il fine giustifica i mezzi» è la sintesi più efficace delle regole politiche attribuite a Machiavelli. Tuttavia le riflessioni di Machiavelli non si esauriscono qui. Se nel Principe si era posto realisticamente il problema della creazione di un stato in grado di impedire le invasioni straniere, nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1513-1517) lo storico fiorentino rifletté sui migliori ordinamenti possibili, manifestando la sua preferenza per un regime repubblicano-demo-cratico rispetto al principato. Rivalutava il ruolo del «popolo» anche nelle sue agitazioni più turbolente e da buon umanista indicava l’esempio della repubbli-ca romana. Il conflitto tra patrizi e plebei non aveva messo in pericolo la città, come sosteneva chi era favorevole a regimi dittatoriali. In quel tempo si po-teva «vedere il popolo gridare contro il senato, il se-nato contro il popolo, correre tumultuariamente per le strade, serrare le botteghe» e alla fine le rivendica-zioni popolari dovevano essere accolte nell’interesse generale. A suo giudizio infatti «i desideri dei popoli liberi rade volte sono perniciosi alla libertà, perché nascono o da essere oppressi o da suspicione di esse-re oppressi». Scritti dopo il Principe e in un periodo di più pacata riflessione, i Discorsi rispondevano al bi-sogno di chiarire ulteriormente aspetti fondamentali del rapporto tra cittadini e stato. A questo proposito, secondo molti studiosi, l’originalità di Machiavelli consiste proprio nell’aver anticipato alcune conce-zioni politiche moderne che reputano la democrazia non come un sistema ordinato e pacificato, ma al contrario dominato dello scontro tra posizioni diver-se, alle quali – egli diceva – deve essere permesso di manifestarsi anche «in modi quasi efferati».

nale, fondato sulla solidarietà sociale e sulla giustizia, senza dover attendere il regno ultraterreno. Benché convinto cattolico e uomo di governo, More scagliava dunque un duro atto di accusa contro l’arroganza dei potenti, inclusi i papi e i sovrani. Solo la sua notorietà lo protesse dalle ritorsioni. Quando Enrico VIII poi varò la Chiesa anglicana e si attribuì un potere spiri-tuale, More oppose un netto rifiuto. Rinchiuso nella Torre di Londra, vi rimase quindici mesi prima di ve-nire decapitato. Coerente con le sue teorie riguardo alla morte da accogliere come una liberazione, More affrontò il patibolo – raccontano i suoi biografi – sen-za mostrare alcun timore.

La realtà «effettuale» di Machiavelli

Alla società immaginaria disegnata da More, Machiavelli contrappone la cruda rappresentazione della realtà così com’è effettivamente, cioè «la verità ef-fettuale della cosa». Niccolò Machiavelli (1469-1527)aveva avuto esperienza diretta di vicende impor-tanti, come l’invasione dei Francesi e la protesta di Savonarola. Aveva partecipato al governo della repubblica fiorentina, aveva conosciuto l’invasio-ne spagnola e il ritorno dei Medici. Per conto della repubblica aveva visitato la Francia, la Germania, alcuni stati dell’Italia centrale e lo Stato pontificio. Poi aveva subito il carcere, la tortura e l’esilio. Tanto basta per capire la tensione politica che lo indusse negli anni dell’esilio (1512-1520) a cercare le cause della crisi di Firenze e del declino italiano, utiliz-zando gli insegnamenti degli scrittori e degli avve-nimenti del passato per avvalorare le sue proposte. Machiavelli considerò la politica governata da leggi proprie, diverse da quelle della morale e fu consape-vole dei problemi causati dalla divisione della peni-sola e alla mercè delle potenze straniere. Partendo da queste premesse avanzò nel Principe (1513) una serie di indicazioni per realizzare in Italia un nuovo principato. A suo avviso il protagonista dell’impresa doveva essere astuto come la «golpe» (volpe) e forte come il «lione». Anche assassinare, ingannare, tra-dire potevano risultare indispensabili per difendere lo stato, quando la bontà e la generosità invece ne avrebbero provocato la «ruina». La stessa religione doveva servire a rendere i sudditi fedeli e sottomessi all’autorità del signore. Come modello di uomo poli-tico deciso a tutto, indicò Cesare Borgia, i cui rapidi successi erano stati vanificati solo dalla morte del

14 M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore

Il pensiero politico del Cinquecento è governato dalla fiducia nella dignità e nelle capacità creative dell’uomo, compresa quella di risolvere antiche contraddizioni sociali, basandosi sulla ragione e sulla collaborazione di tutti i suoi membri uniti da comuni interessi. Nella città immaginaria di Utopia non esiste proprietà privata, l’ozio è eliminato e il lavoro (ridotto soltanto a quello socialmente utile) è delimitato a sei ore giornaliere, consentendo ampi spazi di libertà e di crescita culturale. Qualche secolo dopo la riduzione drastica dell’orario lavorativo verrà sostenuta dai primi fautori del socialismo e diverrà tra l’Ottocento e il Novecento un obiettivo centrale del movimento operaio. Così oggi – almeno nei paesi più avanzati – le 36 ore lavorative settimanali rappresentano un traguardo raggiunto al prezzo di durissime lotte sindacali e politiche.

altri Paesi. Consideriamo in primo luogo quasi tutte le donne , che sono più della metà della popolazione […], poi la gran folla dei sacerdoti e di quelli che si fan-no chiamare uomini di chiesa. Aggiunciamoci i ricchi, specialmente i proprietari terrieri, che la gente di solito chiama gentiluomini o nobili. Mettiamoci nel numero anche i loro servitori, cioè quel branco di fannulloni e spadaccini senza mestiere che li attorniano. Aggiun-ciamoci certi robusti accattoni che nascondono la loro esistenza oziosa sotto la vernice di qualche malattia o menomazione. A questo punto vi renderete davvero conto che le cose di cui gli uomini hanno bisogno per vivere sono prodotte dal lavoro di pochi. Ora conside-rate in cuor vostro quanto pochi sono, dei pochi che lavorano, quelli che fanno mestieri veramente neces-sari. Infatti dove tutto si misura sul denaro nascono occupazioni inutili e superflue, a servizio del lusso e dei capricci.

T. Moro, Utopia,. Lo Stato perfetto, ovvero l’isola che non c’è, Verona, Demetra, 1995

Lavorano tre ore prima di pranzo, dopodiché mangia-no e dedicano due ore al riposo, quindi lavorano per altre tre ore e infine cenano. […] Ognuno trascorre co-me meglio crede il tempo che avanza dal lavoro, dai pasti e dal riposo, non però in lascivie [piaceri immo-rali] o in altre occupazioni inique, ma, essendo libero dalla fatica corporale, impegnandosi utilmente in cose piacevoli e proficue. Spesso nei momenti liberi si de-dicano alle lettere […] Dopo cena dedicano un’ora ai giochi, d’estate nei giardini e d’inverno nei refettori co-muni. Qui s’intrattengono con musiche o conversazio-ni oneste e buone. Non conoscono i dadi o passatempi stupidi e dannosi, ma hanno due giochi che somigliano in un certo modo agli scacchi […] Ma ora considerate attentamente una cosa, altrimenti potreste ingannarvi. Infatti, sapendo che dedicano solo sei ore al lavoro, po-treste pensare che ne derivi una carenza di beni. Non è così, perché quel numero limitato di ore non solo è bastante, ma persino eccessivo per avere di che vivere comodamente. Di questo vi renderete conto se pense-rete al gran numero di persone inattive che c’è negli

15M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore

È noto che nel “Principe”, la sua opera più celebre scritta tra il 1512 e il 1513, Machiavelli definisce le varie specie di principati (stati), come si ottengono e come possono essere mantenuti. Di fronte alla crisi degli stateterelli italiani e alle minacce straniere (nel 1494 il re francese Carlo VIII era penetrato facilmente in Italia), Machiavelli negli ultimi capitoli suggerisce al futuro principe il massimo realismo politico per difendere il proprio stato, ammonendolo a mettere da parte ogni scelta conforme alle regole della morale. Sarebbe senza dubbio preferibile che il principe fosse “donatore e non rapace, pietoso e non crudele, umano e non superbo, integro e non astuto, religioso e non incredulo ecc“, ma per il bene dello stato egli deve adottare i mezzi più efficaci, a prescindere da ogni altra considerazione.

possendo, vi si può con meno respetto lasciare andare. Et etiam [anche] non si curi di incorrere nella fama di quelli vizii, sanza quali e’ possa difficilmente salvare lo stato; perché, se si considera bene tutto, si troverà qual-che cosa che parrà virtù, e seguendola, sarebbe la ruina sua; e qualcosa altra che parrà vizio, e seguendola, ne riesce la securtà e il bene essere suo.

N. Machiavelli, Il Principe, Milano, Feltrinelli, 1979

E io so che ciascuno confesserà che sarebbe laudabi-lissima cosa in uno principe trovarsi di tutte le sopra-scritte qualità [donatore, pietoso, umano, integro, reli-gioso…], quelle che sono tenute buone; ma perché le non si possono avere, né integralmente osservare, per le condizioni umane che non lo consentono, gli è neces-sario essere tanto prudente che sappi fuggire l’infamia di quelli vizii che torrebbano lo stato, e da quelli che non gnene tolgano guardarsi, se gli è possibile; ma non

Bibliografia essenzialeD. Cantimori, Niccolò Machiavelli: il politico e lo storico, in Storia della letteratura italiana, IV, diretta da E. Cecchi e N. Sapegno, Milano, Garzanti, 1965.F. Chabod, Scritti su Machiavelli, Torino, Einaudi, 1964.G. Spini, Le origini del socialismo. Da Utopia alla bandiera rossa, Torino, Einaudi, 1992.E.Garin, Medioevo e Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1954Il Rinascimento. Interpretazioni e problemi, a cura di A.Prandi, Bologna, Il Mulino, 1971;E.Garin, L’umanesimo italiano: filosofia e vita civile nel Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1951;M.Boas, Rinascimento scientifico (1450-1530), Milano, Feltrinelli, 1953;A.Hauser, Storia sociale dell’arte, vol.I, Preistoria,Antichità,Medioevo,Rinascimento, Manierismo, Barocco, Torino, Einaudi, 1982; D. Cantimori, Niccolò Machiavelli: il politico e lo storico in Storia della letteratura italiana, IV, diretta da E.Cecchi e N.Sapegno, Milano, Garzanti, 1965; G.Spini, Le origini del socialismo. Da Utopia alla bandiera rossa, Torino, Einaudi, 1992