2 La manovrabilità della nave -...

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Cap.2 – La manovrabilità della nave 2 La manovrabilità della nave 2.1 Introduzione .......................................................................... 18 2.2 L’azione del timone ............................................................... 18 2.3 La manovrabilità della nave ................................................. 20 2.4 L’evoluzione del concetto di manovrabilità .......................... 22 2.5 La stabilità del moto della nave ............................................ 23 2.6 Analisi della stabilità dinamica ............................................ 24 2.7 L’equilibrio dinamico della nave in accostata ..................... 27 2.8 Le prove di stabilità dinamica .............................................. 31 2.9 Soluzioni per l’instabilità dinamica ...................................... 33 2.10 Le caratteristiche di manovrabilità ...................................... 36 2.11 Le prove di manovrabilità IMO ............................................. 37 2.12 La manovra di evoluzione ..................................................... 40 2.13 Lo sbandamento in accostata ............................................... 43 2.14 La manovra di zig–zag .......................................................... 44 2.15 La manovra di arresto .......................................................... 46 2.16 Illustrazione di prove al vero ................................................ 47 2.17 I parametri di manovrabilità e le prescrizioni IMO ............... 49 2.18 Le prescrizioni dei Registri ................................................... 52 2.19 Altre manovre IMO ................................................................ 53 2.20 Manovre in acque ristrette: il crabbing ................................ 54 2.21 Manovre varie ....................................................................... 56 2.22 Analisi dell’efficacia del timone ........................................... 58 2.23 Osservazioni sull’efficacia del timone .................................. 61 APP. 1 Elenco dei simboli ................................................................. 63 17

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

2 La manovrabilità della nave

2.1 Introduzione ..........................................................................18 2.2 L’azione del timone ...............................................................18 2.3 La manovrabilità della nave .................................................20 2.4 L’evoluzione del concetto di manovrabilità ..........................22 2.5 La stabilità del moto della nave ............................................23 2.6 Analisi della stabilità dinamica ............................................24 2.7 L’equilibrio dinamico della nave in accostata .....................27 2.8 Le prove di stabilità dinamica ..............................................31 2.9 Soluzioni per l’instabilità dinamica ......................................33 2.10 Le caratteristiche di manovrabilità ......................................36 2.11 Le prove di manovrabilità IMO .............................................37 2.12 La manovra di evoluzione .....................................................40 2.13 Lo sbandamento in accostata ...............................................43 2.14 La manovra di zig–zag ..........................................................44 2.15 La manovra di arresto ..........................................................46 2.16 Illustrazione di prove al vero ................................................47 2.17 I parametri di manovrabilità e le prescrizioni IMO ...............49 2.18 Le prescrizioni dei Registri ...................................................52 2.19 Altre manovre IMO ................................................................53 2.20 Manovre in acque ristrette: il crabbing ................................54 2.21 Manovre varie .......................................................................56 2.22 Analisi dell’efficacia del timone ...........................................58 2.23 Osservazioni sull’efficacia del timone ..................................61

APP. 1 Elenco dei simboli .................................................................63

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

2.1 – Introduzione

Per comprendere appieno il funzionamento dei sistemi di manovra, ed in particolare del timone passivo, risulta necessario approfondire la conoscenza delle modalità con cui essi interagiscono con la carena nel determinare l’effetto evolutivo, e per fare ciò è conveniente volgere l’attenzione alla disciplina che tratta le caratteristiche di manovrabilità della nave.

In quanto segue si partirà dalla definizione delle forze che maturano sul timone e sulla nave durante una manovra di correzione o di variazione della rotta, per giungere poi allo studio di come i due corpi (timone e nave) interagiscono. Ciò porrà le basi per la comprensione dei meccanismi che concorrono a determinare l’efficacia del timone sulle qualità evolutive della nave e l’attitudine della nave stessa ad essere governata dal timone.

Le considerazioni che qui seguono sulla manovrabilità della nave valgono, in massima parte, sia che si tratti di timoni semplici o di timoni–propulsori. Il meccanismo di interazione fra organo di manovra e nave mantiene infatti molte caratteristiche in comune fra i due tipi di controllo, e l’efficacia del sistema di governo viene misurata con gli stessi parametri e le stesse modalità di prova.

2.2 – L’azione del timone

Quando la nave si trova in moto rettilineo, con il timone diritto (in posizione detta “alla via”), il complesso delle forze trasversali che agiscono sulla carena ha risultante nulla, sia di deriva che d’imbardata, a meno di azioni indotte da correnti marine, da colpi di mare o dal vento. In queste condizioni ideali, la simmetria delle pressioni esercitate sullo scafo viene alterata solo per effetto della rotazione del timone di un certo angolo rispetto alla posizione diritta, detto angolo di barra. In tal caso infatti il flusso dell’acqua genera sulla pala una pressione che ha una risultante prevalentemente trasversale: questa forza è la causa dell’accostata della nave.

La forza orizzontale generata ha una componente utile FT nella direzione normale al piano diametrale della nave – orientata dalla parte opposta del timone rispetto alla mezzeria nave – ed una componente longitudinale “parassita” detta componente ritardatrice RT poiché ha verso contrario rispetto alla spinta dell’elica propulsatrice e costituisce una resistenza aggiunta di carena (si confronti la Fig.2.2.A).

Il momento verticale generato dalla forza del timone rispetto al centro di massa della nave costituisce il momento evolutivo ME [Nm], il cui insorgere determina l’abbandono della rotta rettilinea, ovvero l’accostata della nave.

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

Nella pratica il momento evolutivo viene convenzionalmente calcolato sulla sola componente trasversale FT come prodotto della forza stessa per il braccio rappresentato dalla distanza longitudinale tra l’asse di rotazione della pala ed il baricentro della nave. Tale braccio può quindi essere scritto come in funzione della lunghezza tra le perpendicolari della nave LPP e della posizione del centro di massa rispetto alla perpendicolare al mezzo xG (positiva se a proravia della perpendicolare al mezzo):

ME = FT (0,5 LPP + xG) [Nm] (2.2.A)

In tal modo si ammette la piccola approssimazione derivante dal trascurare sia l’effettiva posizione del centro di pressione (definito come centro della risultante delle pressioni idrodinamiche agenti sul timone), molto vicino all’asse di rotazione, sia la componente longitudinale della forza generata dal timone, che lavora in realtà con un piccolo braccio. Ciò giustifica l’asserzione che la componente trasversale è quella attiva per l’evoluzione della nave, essendo la principale artefice del momento evolutivo

Appare subito evidente l’effetto cinematico prodotto dall’azione del timone nella fase iniziale di un’accostata. Infatti, considerando il sistema equivalente di forze ottenuto applicando nel baricentro di massa della nave le forze FT ed RT ed aggiungendo il momento di trasporto ME, si ha che:

• il momento evolutivo ME genera una rotazione attorno all’asse verticale baricentrico;

• la forza trasversale FT produce uno spostamento trasversale della nave; • la forza longitudinale RT causa infine una riduzione della velocità della

nave.

Lo sviluppo delle conoscenze relative all’azione delle forze indotte su superfici immerse in un flusso ha permesso di migliorare la forma delle stesse, così da ottenere il migliore rendimento per le diverse condizioni di lavoro. Nel corso degli anni la superficie della pala del timone ha sperimentato, entro una serie di vincoli progettuali, un’evoluzione continua che l’ha portata dalla semplice lastra piana all’odierna superficie idrodinamica, ossia una superficie sagomata a semplice o doppia curvatura, ottimizzata per flussi non omogenei, formata eventualmente da più parti dotate di movimento reciproco.

La forza idrodinamica che si ottiene per ogni angolo di barra del timone può essere studiata con riferimento alla teoria dei corpi a profilo alare aventi allungamento finito. In particolare il comportamento del timone va studiato considerandolo investito da un flusso non omogeneo sia per l’effetto di interazione con altri corpi – ovvero la carena e l’elica –, sia per l’effetto della vicina superficie marina.

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

Trattandosi di una superficie ottimizzata per la generazione di una forza trasversale verso entrambi i lati della nave, tale superficie viene carenata a forma di profilo alare simmetrico. È pur vero che si utilizzano anche profili asimmetrici, ma solo in soluzioni particolari, per esempio per effettuare un accoppiamento migliore con il flusso non omogeneo dell’elica, oppure nei timoni accoppiati (posizionati simmetricamente rispetto al piano diametrale) con lo scopo di utilizzare le pale come deviatrici di flusso, coordinandone opportunamente i movimenti.

Per quanto riguarda l’analisi dell’efficacia del timone nelle manovre della nave, si darà ora per scontata la presenza di un certo momento evolutivo, lasciando ad un secondo momento lo studio delle modalità con cui esso matura per effetto della forma della pala.

2.3 – La manovrabilità della nave

Con il termine manovrabilità si intende sia lo studio dei movimenti della nave sulla superficie marina, sia l’attitudine della nave a eseguire con precisione una manovra di regolazione della traiettoria o della velocità durante il suo movimento sulla superficie marina. Infatti, durante la navigazione in mare aperto la nave deve poter eseguire manovre di controllo e di variazione della rotta, mentre in acque ristrette deve essere in grado di eseguire manovre che le permettano di raggiungere o di abbandonare una banchina, e non da ultimo deve riuscire ad estinguere il suo moto, in direzione sia longitudinale sia trasversale.

Tutte le navi dovrebbero possedere delle qualità di manovrabilità tali da consentire loro di effettuare in maniera soddisfacente – ossia in sicurezza riguardo alle condizioni operative previste – ed indipendente da ausili esterni (rimorchiatori) una serie di procedure di controllo del moto. Una nave manovrabile è quindi implicitamente anche “controllabile”, perché risponde in maniera sicura ai comandi impartiti.

Gli ambiti in cui si classificano le diverse esigenze di controllo del moto di avanzo della nave della nave sono i seguenti:

• il governo della nave (steering), ovvero il controllo della rotta; • la manovra della nave (manoeuvring), ovvero la modifica della rotta; • la variazione di velocità (speed changing), ed in particolare l’estinzione

del moto della nave. Il primo aspetto riguarda la capacità di mantenimento della rotta (course

keeping), con riferimento ad una traiettoria – generalmente rettilinea – predeterminata. Questa attitudine è quindi strettamente correlata alla facilità di mantenere una nave sulla sua rotta contro l’azione delle forze ambientali che creano delle perturbazioni al moto (colpi vento, correnti, onde).

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

In altre parole, una volta impostato l’angolo di rotta, la nave segue la traiettoria rettilinea con una serie di continue oscillazioni che la portano a percorrere un complesso movimento attorno a detta traiettoria ideale. Il mantenimento della rotta consiste perciò nel controllo e nell’attenuazione del movimento ondulatorio trasversale, e deve potersi effettuare variando – quasi con continuità – l’angolo di barra del timone attorno alla sua posizione neutra. In una nave con buone caratteristiche la correzione si ottiene con piccoli angoli di barra del timone e con piccoli angoli di deriva della nave.

Il secondo aspetto concerne la capacità della nave di eseguire una variazione della traiettoria in maniera veloce e con piccoli spazi di manovra, sia per modificare l’angolo di rotta con una leggera accostata, sia per invertire la sua rotta eseguendo un’evoluzione completa. Appare evidente che una nave che mostra facilità all’accostata risulterà più difficile da mantenere su una traiettoria rettilinea, infatti le due qualità sono antitetiche. Nella pratica è perciò necessario trovare un compromesso fra le due.

A queste prerogative di manovrabilità si aggiunge inoltre la capacità di estinguere il moto di avanzo per bloccare il movimento della nave in situazioni di emergenza.

Per i mezzi sommergibili, in aggiunta alle caratteristiche di manovrabilità sopra elencate, va anche considerata la capacità di controllare il movimento di immersione o di emersione, movimento realizzato tramite l’azione dei timoni orizzontali. Per questi mezzi il moto avviene infatti in uno spazio tridimensionale.

Per quanto detto finora, la nave deve possedere particolari attitudini marine che permettano il controllo sicuro (e facile) dei sui movimenti sulla superficie del mare.

Tale controllo è esercitato dal timoniere o dall’autopilota che, conoscendo il percorso che deve essere seguito ed osservando il percorso reale della nave, è in grado di valutare l’errore di traiettoria. Noto l’errore, il pilota interviene sulla timoneria comandando una variazione dell’angolo di barra, in modo da far generare sulla pala e quindi sulla nave le forze atte a farle modificare la traiettoria. Una volta corretto l’errore di traiettoria il pilota rimane inattivo fino all’insorgere di un nuovo errore (o fino al ricevimento di un comando di variazione di rotta).

La bontà del controllo dipende perciò da una serie di fattori molto diversi. Va considerata infatti sia l’attitudine della nave a farsi manovrare, sia l’efficacia del sistema di governo, sia la qualità e disponibilità dei dati sulla rotta (ottenuti oggigiorno con sistemi GPS), sia – non ultimo come importanza – il fattore umano.

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

2.4 – L’evoluzione del concetto di manovrabilità

Storicamente la pratica di progetto nell’industria marina è stata quella di non prendere in considerazione il problema della manovrabilità della nave, demandando alle risorse dei piloti la risoluzione di problemi legati alle scarse qualità manovriere della nave. Per anni infatti gli Enti di classifica si sono limitati a richiedere, riguardo alla manovrabilità, una sufficiente visibilità dal ponte di comando e soprattutto una serie di caratteristiche minime relative alla pala del timone ed al suo macchinario, ossia rispettivamente un’area minima di pala ed una potenza tale da garantire una sufficiente velocità di rotazione dell’asta del timone alla massima velocità della nave (oltre che un’alta affidabilità dell’intero apparato).

Questo è successo a causa della difficoltà nel definire le qualità manovriere di una nave e quindi di misurarle, quantificando l’attitudine della nave alla manovra, in altre parole di dare una valutazione quantitativa della manovrabilità.

A partire dagli anni ’60 le Società di classificazione hanno incominciato a definire criteri per saggiare queste qualità, sotto l’impulso dei rischi connessi alla navigazione delle grandi navi cisterna. Negli anni a seguire sono stati messi in luce una serie di parametri di risposta della nave durante le manovre, tali da essere significativamente rappresentativi della qualità manovriera della nave.

Questi parametri di risposta sono costituiti da tempi di risposta e da spazi di manovra, quantità che si possono misurare direttamente durante specifiche prove al vero condotte in condizioni standard. La normativa prodotta dall’IMO (International Maritime Organization) definisce nei particolari le tipologie di prove da condurre al vero per saggiare la manovrabilità di una nave, oltre alle modalità di raccolta dei dati. In particolare l’attività dell’IMO nel campo della manovrabilità è rivolta ai seguenti aspetti:

• la stesura di standard di manovrabilità cui fare riferimento già nelle prime fasi del progetto, in modo da ottenere una nave che abbia buone caratteristiche manovriere (evitando che sia poi la perizia del comandante a dover sopperire ai difetti della nave);

• lo studio della riduzione delle qualità manovriere delle navi cisterna in condizioni di avaria o di falla (situazioni in cui la nave è cioè ingovernabile), in modo da ridurre il rischio di inquinamento;

• la definizione delle modalità di informazione del comando della nave riguardo alla caratteristiche manovriere della nave stessa, in modo da garantire una condotta sicura del mezzo marino.

L’esperienza maturata negli ultimi anni – sia con prove al vero, sia con procedimenti matematici di previsione delle attitudini manovriere della nave

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

– permette ora di valutare le qualità marine della nave già in fase di progetto. La maturità raggiunta in quest’ambito ha legittimato gli Enti preposti alla vigilanza sulla sicurezza della navigazione, primo fra tutti l’IMO, ad emanare regolamenti che riportano gli standard minimi di manovrabilità, ossia i valori limite dei succitati parametri significativi. Come noto, le norme contenute nelle Risoluzioni dell’IMO per loro natura sono solamente raccomandazioni e linee guida che non hanno valore di legge finché non vengono fatte proprie dai singoli Governi: nel caso dei requisiti di manovrabilità tale obbligatorietà risale al 1994.

Anche le società armatrici richiedono sempre più frequentemente che la nave possegga dettagliate prestazioni di manovrabilità, soprattutto per le manovre in porto o in acque ristrette anche in presenza di vento, che sono onerose perché richiedono spesso l’intervento dei rimorchiatori.

In conclusione, in quanto segue, nel trattare della manovrabilità delle navi verranno innanzitutto definiti i parametri che la caratterizzano e successivamente le prove al vero che servono per ottenerli. Infine si darà uno sguardo alla normativa che regola sia l’esecuzione delle prove, sia i valori limite che la nave deve soddisfare, il tutto con l’intenzione di comprendere le modalità di funzionamento degli organi di manovra.

2.5 – La stabilità del moto della nave

Nello studio del comportamento della nave nel mantenere o nel modificare la sua traiettoria, sia essa rettilinea o curva, è importante definire innanzitutto il concetto di stabilità del moto. Come noto, un corpo si trova in condizione di equilibrio stabile se, dopo la cessazione di una causa esterna che lo ha spostato dalla sua posizione (una forza o un momento), esso torna nella stessa posizione iniziale.

Per quanto riguarda il moto della nave, si dice che esso si realizza in condizioni di perfetta stabilità se, a partire da una rotta percorsa con velocità uniforme su una traiettoria rettilinea, dopo la cessazione di un disturbo esterno che modifica che le condizioni del moto, viene ripresa esattamente la stessa traiettoria iniziale senza alcun intervento correttivo da parte degli organi di controllo (ossia con timone fisso). Tale stabilità si indica come stabilità di percorso.

Una stabilità di questo tipo comporta che la nave si mantenga sul percorso iniziale dopo la cessazione della causa perturbativa. Ovviamente un comportamento perfetto come quello descritto non è realizzabile perché non esistono forze di richiamo verso la traiettoria iniziale. Il mantenimento della traiettoria retta sulla stessa direzione si può ottenere solamente con l’ausilio di un sistema di controllo manuale o automatico.

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

Nella realtà, la nave quando è stabile riesce a riprendere – senza intervento esterno da parte del pilota – solamente il moto rettilineo, ma non affatto sullo stesso percorso e nemmeno nella stessa direzione (se la nave si portasse su una rotta parallela si parlerebbe di stabilità direzionale). In pratica dopo la cessazione della perturbazione essa si mette su una nuova rotta che percorre con moto rettilineo. Una nave che si comporta in questo modo sperimenta quindi una stabilità dinamica all’equilibrio in armonia con l’enunciazione fisica sopra richiamata.

In questo contesto la stabilità va quindi intesa come capacità di mantenere una rotta rettilinea senza manovrare il timone ed è infatti indicata in maniera concisa come controls–fixed straight–line stability. In conclusione la nave si dice dinamicamente stabile se, dopo l’azione di una causa perturbatrice, torna su una rotta rettilinea senza che intervenga il timone: la deviazione dalla rotta iniziale dipende dal grado di stabilità della nave e dalla durata ed intensità della causa perturbatrice.

Non tutte le navi la posseggono ed in ogni caso le navi possono essere stabili o instabili in diversa misura. Quando una nave è instabile mostra il suo comportamento anomalo, sotto l’azione di cause perturbatrici generate dall’ambiente, deviando dalla traiettoria rettilinea per portarsi su una traiettoria curva: la nave cioè alla fine della perturbazione devia dalla sua rotta iniziale, accostando anche con il timone in posizione neutra.

Ciò comporta evidenti problemi di controllo della rotta per il pilota perché, con tutta evidenza, non vi è più una corrispondenza univoca fra l’angolo di barra del timone e la curvatura della traiettoria percorsa.

2.6 – Analisi della stabilità dinamica

Le prestazioni manovriere della nave si saggiano sia con la prontezza di risposta, che rappresenta il tempo necessario per portare a termine una manovra di variazione del moto della nave, e che è strettamente correlata (tramite la velocità di avanzo) al tragitto percorso ed allo spazio impegnato per eseguire la manovra, sia con la precisione di risposta, che garantisce l’univocità di corrispondenza fra l’intervento del pilota (ossia l’azione idrodinamica che nasce sul sistema di controllo) ed il moto della nave. Quest’ultima caratteristica assume una notevole importanza perché, se la nave non risponde con precisione all’azione del timone e la manovra diventa incerta, allora diventa di secondaria importanza sapere quanto tempo impiega e di quanto spazio ha bisogno la nave per manovrare.

La precisione di risposta è correlata al concetto di stabilità dinamica, che, in base a quanto sopra esposto, può essere identificato con la corrispondenza biunivoca fra il raggio di curvatura della rotta R [m] e l’angolo di barra del timone α [°]. In altre parole, se per mantenere una rotta

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

rettilinea dopo l’azione di cause perturbative esterne è necessario variare l’angolo di barra del timone, la nave è dinamicamente instabile, se viceversa è sufficiente mantenere il timone in posizione neutra (nella quale non sviluppa alcuna forza utile alla manovra), allora la nave si dice dinamicamente stabile ed all’angolo di barra neutro si associa un raggio di curvatura infinito. Analogo discorso vale per una traiettoria circolare percorsa a velocità costante, in questo caso la corrispondenza biunivoca sarà fra il particolare raggio della traiettoria e l’angolo di barra impostato.

Con tale definizione si estende il concetto di stabilità su rotta rettilinea, così come precedentemente definita, infatti una nave instabile su rotta rettilinea presenta la stessa difficoltà di controllo anche in accostata.

Riguardo alla posizione neutra del timone, va detto che essa non corrisponde sempre alla posizione “alla via”, infatti se il timone si trova nella scia di un’elica propulsatrice assume posizione neutra non al centro ma in prossimità di esso: nel caso di una nave monoelica con un’elica destrogira, l’angolo neutro è tipicamente dell’ordine di 1° a dritta.

Una piccola instabilità è generalmente accettata, perché le manovre del timone necessarie per arginarla si confondono con quelle effettuate per compensare i disturbi esterni che via via agiscono sulla nave, mentre una elevata instabilità deve essere corretta.

I dati relativi alla stabilità della nave, raccolti con opportune prove al vero che verranno di seguito illustrate, consistono in coppie ordinate di valori che rappresentano l’angolo di barra del timone ed il corrispondente raggio di evoluzione della nave.

I dati vengono raccolti in un diagramma che prende il nome di “diagramma del moto circolare uniforme” (il diagramma si indica anche più propriamente come steering diagram, oppure con il nome di spiral loop curve): in ascissa sono riportati gli angoli di barra ed in ordinata i corrispondenti raggi di evoluzione (in genere adimensionalizzati sulla lunghezza della nave L [m]), ottenuti per una prefissata velocità di avanzo della nave. In esso la curva presenta due bracci, uno relativo ad angoli di barra positivi (dritta o starboard side) ed uno relativo ad angoli di barra negativi (sinistra o port side), mostrando due possibili andamenti:

• nel caso di stabilità dinamica le curve hanno asintoto verticale comune in corrispondenza dell’angolo neutro del timone,

• nel caso di instabilità dinamica, al diminuire dell’angolo di barra (preso in valore assoluto), le curve sono sempre crescenti ma raggiungono un valore massimo finito per valori inferiori all’angolo neutro, dopodiché manifestano repentinamente il cambio di segno del raggio di curvatura (ossia della curvatura della traiettoria); la zona di sovrapposizione così definita è detta area di isteresi e rende conto dell’instabilità, infatti ad

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

ogni fissato angolo di barra non corrisponde più un solo valore del raggio di evoluzione.

Dall’analisi del diagramma per una nave instabile appare evidente che se la nave si trova inizialmente su una rotta rettilinea, un colpo di vento la farà deviare su una traiettoria curva tanto più velocemente quanto maggiore è il valore del raggio di curvatura letto nel diagramma in corrispondenza dell’angolo di barra neutro. Analogo discorso vale per tutti quei valori dell’angolo di barra compresi nella zona di sovrapposizione delle due curve.

Il diagramma non dice quanto deve essere forte la causa perturbatrice perché è sufficiente un disturbo che vinca l’inerzia della nave, ma mette in allerta il progettista o il pilota indicando la maggiore o minore difficoltà di controllo ai bassi angoli di barra, che sono quelli tipici del controllo della rotta in navigazione, ossia di governo della nave.

Il diagramma, oltre a fornire un indice delle attitudini di manovrabilità della nave, mostra anche implicitamente quale è l’efficacia del timone. Si considerino infatti due diverse soluzioni per il timone di una nave. Dalle prove si otterranno due curve diverse che, per un generico angolo di barra del timone, presenteranno due valori diversi del raggio di curvatura: tra le due quella più bassa indica chiaramente che per quell’angolo di barra la nave accosta in uno spazio minore e che quindi il timone è più efficace.

Le due curve dello steering diagram vengono tracciate fino all’angolo di barra massimo che usualmente è di 35°. La diminuzione della pendenza della curva in corrispondenza di tale valore ne giustifica la scelta come valore massimo, infatti su navi di forme tradizionali manovrate da timoni convenzionali, angoli di barra maggiori non comportano significative riduzioni del raggio di evoluzione, come si può evincere appunto dal diagramma.

Nello steering diagram, in luogo del raggio di curvatura della traiettoria, è usuale riportare la curva che rappresenta i valori della velocità angolare di corpo rigido, ossia della velocità di imbardata della nave ψ [rad/s]. Infatti, durante la manovra a velocità costante, il raggio di evoluzione R (misurato al centro di massa della nave) è legato alla velocità di imbardata ψ ed alla velocità di avanzo V [m/s] dalla nota relazione:

V = ψ R [ms–1] (2.6.A)

L’intercetta della curva sull’asse delle ascisse indica l’angolo di barra neutro e la stabilità dinamica di rotta si manifesta nei termini di una funzione monotona crescente del tipo ψ = f(α), mentre l’instabilità è evidenziata da due curve che assumono valori diversi per una certa fascia di valori dell’angolo di barra.

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

In alcuni grafici sono inoltre indicate, nella zona di isteresi, delle situazioni di equilibrio ottenute con una continua variazione dell’angolo di barra del timone attorno ad una posizione media. In altre parole viene tracciata, in tale zona, una curva che mostra per ogni velocità di imbardata ψ (ossia per ogni raggio di curvatura della traiettoria) il valore medio dell’angolo di barra necessario a realizzarla. Ovviamente in tali situazioni non si può più parlare di controls–fixed stability, tuttavia tali dati sono indicativi della difficoltà che si incontrano per tenere una nave sulla sua traiettoria nella zona di instabilità del sistema di controllo. Tale curva mostra velocità di imbardata opposte a quelle attese e, come è logico aspettarsi, viene a raccordarsi con in due bracci precedentemente ottenuti con timone fisso, formando nel complesso un’ampia curva ad “S”.

Il comportamento instabile nella risposta della nave al timone si può spiegare analizzando le forze che si manifestano durante un’evoluzione su rotta circolare uniforme.

2.7 – L’equilibrio dinamico della nave in accostata

Le forze che agiscono sulla nave che percorre una traiettoria rettilinea con velocità costante e timone all’angolo neutro sono, in condizioni ideali (ossia in assenza di cause perturbatrici ), la spinta T dell’elica e la resistenza idrodinamica W0 agente sull’opera viva. Nella condizione di equilibrio descritta esse sono uguali ed opposte: T = W0.

In condizioni di stazionarietà del moto durante un’accostata su traiettoria circolare le forze che agiscono sulla nave si modificano e all’azione del timone corrisponde una serie di reazioni idrodinamiche e inerziali. Lo sbandamento trasversale che la nave sperimenta durante l’accostata verrà studiato separatamente – in quanto segue si farà infatti l’ipotesi di poter considerare indipendenti i due moti. Le forze che agiscono sulla nave in accostata possono essere così riassunte (si confronti la Fig.2.7.A):

• la spinta dell’elica T (sempre longitudinale); • la forza generata a poppa dal timone, nelle sue componenti trasversale

“attiva” FT e longitudinale RT (forza di resistenza aggiunta), applicata nel centro di pressione della pala;

• la forza centrifuga FC agente sulla direzione identificata dal centro di rotazione e dal baricentro della nave – come tutte le forze di massa è proporzionale alla massa della nave comprensiva della massa aggiunta;

• la reazione idrodinamica W che rappresenta la risultante delle forze idrodinamiche che nascono sulla carena durante il moto su traiettoria circolare, avente una componente longitudinale ed una trasversale (sostituisce la resistenza all’avanzo su rotta rettilinea); essa è applicata

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

in un punto che può trovarsi a proravia o a poppavia del centro di massa della nave.

Si osservi che in condizioni di non stazionarietà del moto nascono inoltre altre forze d’inerzia oltre a quella centrifuga, e precisamente una forza d’inerzia longitudinale, una trasversale ed un momento d’inerzia.

La forza idrodinamica W merita qualche considerazione e per fare ciò è necessario analizzare come si dispone la nave durante un’accostata.

La nave su una rotta non rettilinea mantiene sempre la prora all’interno della traiettoria (si veda la Fig.2.7.B), ossia dalla parte del centro di rotazione. L’angolo formato tra la linea di fede della nave e la tangente alla traiettoria descritta dal baricentro è definito angolo di deriva (della nave) ed indicato con β [°]; come si vedrà un angolo di deriva elevato favorisce la rotazione della nave, riducendo il raggio di evoluzione.

Un angolo di deriva si manifesta anche in corrispondenza del timone ed è indicato con βR [°]. Osservando la traiettoria descritta dal centro del timone, ossia dalla traccia dell’asse di rotazione dello stesso, si vede che il flusso ideale lambisce la pala lungo la direzione della tangente a detta traiettoria. La conseguenza diretta di questo fatto è la variazione dell’angolo di attacco sulla pala rispetto alla situazione di moto su rotta rettilinea. In pratica, mentre su rotta rettilinea l’angolo di barra coincide con l’angolo di attacco, in accostata si distinguono un angolo di barra ed un angolo di attacco: con l’intenzione di sottolineare la differenza fra i due il secondo è detto angolo di attacco effettivo.

Per quanto detto, durante l’accostata l’angolo di attacco effettivo ideale αE [°] risulta pari all’angolo di barra α ridotto dell’angolo di deriva al timone βR. Tale riduzione viene in piccola parte compensata dall’effetto di raddrizzamento del flusso dovuto all’azione dello scafo e dell’elica, effetto espresso in proporzione all’angolo di deriva come (1–κ) βR con 0 ≤ κ ≤ 1, ove κ è il coefficiente di raddrizzamento del flusso. L’angolo di attacco effettivo viene quindi ad essere:

αE = α –κ βR [°] (2.7.A)

ove il valore κ = 1 sta ad indicare che non si manifesta alcun effetto di raddrizzamento del flusso.

A questo punto possiamo tornare a considerare la forza idrodinamica. Nel caso di moto circolare uniforme, con una certa approssimazione, le forze idrodinamiche possono essere valutate facendo riferimento al moto ottenuto dalla sovrapposizione di due movimenti:

• un avanzo con deriva, che nasce dall’azione delle forze (S – RT) e FT ;

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

• una rotazione attorno all’asse verticale baricentrico, che trae origine dal momento evolutivo ME .

dove le velocità relative all’acqua sono tali da far insorgere sullo scafo distribuzioni di pressioni le cui risultanti equilibrano dinamicamente i due moti. Tali risultanti idrodinamiche sono rispettivamente:

• una reazione idrodinamica orizzontale WA+D [N], con componente longitudinale resistente all’avanzo e componente trasversale resistente alla deriva; tale forza, per navi di forme usuali, è applicata a proravia del centro di massa ed ha braccio bW [m] rispetto allo stesso centro di massa;

• un momento verticale resistente MW,Y [Nm].

Sommando le forze agenti sullo scafo e trascurando la reciproca interazione fra i due moti si possono fare alcune considerazioni sull’equilibrio alla rotazione della nave in accostata – sempre nell’ipotesi di moto uniforme. Innanzitutto il momento verticale evolutivo ME, che è generato dal timone sotto un angolo di attacco effettivo ridotto rispetto a quello geometrico, deve essere equilibrato dal momento verticale idrodinamico complessivo MW :

ME = MW [Nm] (2.7.B)

Il momento di reazione MW è pari alla differenza fra il momento di imbardata MW,Y ed il momento di avanzo e deriva MW,A+D, che risulta opposto al precedente, cosicché:

, ,W W Y W AM M M += − D [Nm] (2.7.C)

ed in definitiva:

, ,E W Y W A DM M M += − [Nm] (2.7.D)

A questo punto va osservato che l’equilibrio, sempre con le stesse condizioni cinematiche, si può realizzare secondo due diverse modalità:

• I caso – è questa la situazione di equilibrio da considerarsi normale, nella quale il momento evolutivo è equiverso rispetto all’angolo di rotazione. Questa circostanza è la più usuale e si manifesta quando l’angolo di attacco effettivo mantiene lo stesso segno di quello geometrico, ossia con α –κ βR > 0. Di conseguenza la forza utile FT è orientata verso l’esterno della traiettoria e produce un momento favorevole all’accostata della nave.

• II caso – l’equilibrio si instaura con il momento evolutivo avente verso opposto rispetto all’angolo di rotazione della nave.

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

L’equilibrio “anomalo” che si instaura in questo secondo caso è frutto di due cause concomitanti:

• da una parte la presenza di un angolo di deriva tanto elevato da comportare un angolo di attacco effettivo di segno opposto rispetto a quello geometrico (α –κ βR < 0), e quindi una forza utile FT diretta verso l’interno della traiettoria;

• dall’altra parte una carena di forme tali da comportare un momento di avanzo con deriva MW,A+D superiore a quello dovuto all’imbardata (MW,A+D > MW,Y) – in genere per uno spostamento verso prora del centro di pressione di WA+D. Nel caso “normale”, considerando positivi i momenti equiversi con ψ,

l’equilibrio si può scrivere, mettendo in evidenza i segni, come:

, , 0E W A D W YM M M++ − = [Nm] (2.7.E)

in cui, a fronte di un momento esterno positivo, deve valere MW,Y > MW,A+D , mentre per il caso anomalo l’equazione di equilibrio è:

, , 0E W A D W YM M M+− + − = [Nm] (2.7.F)

in cui, a fronte di un momento esterno negativo, come anticipato vale la relazione MW,A+D > MW,Y . Tale situazione può verificarsi soprattutto nella manovra di navi tozze che accostano su traiettorie larghe (ossia con elevato raggio di curvatura).

In base alle osservazioni fatte è usuale definire stabilizzante il momento idrodinamico generato nel moto di imbardata MW,Y e destabilizzante quello generato nel moto di avanzo e deriva MW,A+D : quando il secondo prevale la nave è infatti instabile. Vediamo perciò quali sono le conseguenze dei due diversi comportamenti per quanto riguarda la stabilità dinamica della nave.

Nel primo caso è evidente che, se il timone viene mosso e portato dall’altra parte rispetto al piano diametrale della nave, o meglio rispetto alla posizione neutra, si avrà una variazione nel verso del momento evolutivo ed inizialmente (a causa dell’inerzia della nave) il momento evolutivo ME e quello idrodinamico MW si troveranno ad essere equiversi. Ciò significa che il momento idrodinamico favorirà il raddrizzamento della rotta e l’evoluzione dalla parte opposta: se la nave reagisce in questo modo è dinamicamente stabile poiché una variazione di segno dell’angolo di barra del timone comporta una variazione di segno dell’angolo di rotta. La curva dello steering diagram mostrerà infatti un andamento continuo con punto di nullo in corrispondenza dell’angolo neutro. All’equilibrio, nella nuova condizione cinematica, tutti i momenti risulteranno aver cambiato di segno.

Nel secondo caso, se il timone viene portato dall’altra parte rispetto al piano diametrale della nave, il momento evolutivo non cambia di segno e

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

rimane quindi opposto a quello idrodinamico, il quale perciò ostacolerà la manovra. Successivamente, l’equilibrio tra momento evolutivo ed idrodinamico verrà raggiunto con un aumento dell’intensità dei due momenti, senza che intervenga una variazione di segno. Ciò significa che la nave si porta su una nuova traiettoria curva dalla stessa parte: se la nave reagisce in questo modo è dinamicamente instabile poiché una variazione di segno dell’angolo di barra del timone non comporta una variazione di segno dell’angolo di rotta. La curva dello steering diagram mostrerà infatti un andamento discontinuo con due bracci che si estendono oltre l’angolo neutro.

Dall’analisi dei momenti idrodinamici si evince anche che, maggiore è il momento stabilizzante, maggiore sarà anche il raggio della traiettoria percorsa dalla nave, a conferma che le qualità di stabilità di rotta e di evoluzione sono antitetiche.

2.8 – Le prove di stabilità dinamica

La stabilità dinamica viene testata al vero con una prova piuttosto onerosa in termini di tempo, che va sotto il nome di spiral test e che permette di tracciare per punti lo steering diagram raccogliendo una dopo l’altra le coppie (α, ψ ) – dalle quali si possono eventualmente valutare poi le coppie (α, R ).

Vista l’onerosità di questo test, è conveniente condurre una prova preliminare per vedere se l’instabilità si manifesta o meno, ed in pratica si segue un procedimento di questo tipo:

• per prima cosa si esegue la prova detta di pull–out (prova di disimpegno dall’evoluzione), che permette di evidenziare la presenza di instabilità, della quale fornisce però solamente una valutazione incompleta misurando solo l’altezza dell’area di isteresi;

• successivamente, in caso di manifesta instabilità, si fanno una serie di manovre secondo un procedimento indicato come direct spiral test ottenendo coppie di valori (α, ψ ) in termini ψ (α); il procedimento è molto costoso;

• altrimenti, per trovare conferma del risultato positivo della prova preliminare, si esegue una serie di manovre secondo un procedimento più veloce denominato reverse spiral test ottenendo coppie di valori (α, ψ ) in termini α(ψ).

La differenza di approccio tra i due sistemi di esecuzione della prova a spirale consiste nella scelta del parametro dipendente e di quello indipendente fra l’angolo di barra del timone α e la velocità di imbardata ψ. Se ci si aspetta di avere una nave stabile si può pensare di ricostruire lo steering diagram secondo la funzione ψ = f(α), mentre se si prevede una

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

nave dinamicamente instabile è meglio fare riferimento alla funzione α = f(ψ) in modo da ottenere la curva completa anche nella zona di isteresi.

Il pull–out test è una semplice prova che consiste in due fasi: nella prima il timone viene portato e mantenuto a circa 20° di barra finché la nave stabilizza la sua rotta su una traiettoria con velocità di rotazione ψ costante, nella seconda fase il timone viene portato e mantenuto al centro finché la nave non presenta una nuova traiettoria con velocità di rotazione ψ di nuovo stabilizzata (a questo punto la nave si può portare su una traiettoria rettilinea oppure può mantenere una velocità residua di imbardata).

Il test viene effettuato con manovra sia a dritta che a sinistra, in modo da evidenziare l’angolo neutro del timone. Durante l’esecuzione si registra la variazione di ψ in funzione del tempo:

• se le curve ψ (t) ottenute con le due manovre convergono allo stesso valore ψO vuol dire che la nave è stabile (si veda la Fig.2.8.A), perché la velocità residua con timone al centro è la stessa, ed è imputabile solo alla differenza tra l’angolo neutro e l’angolo di barra nullo;

• se invece le due curve non convergono allo stesso valore ma a valori differenti (ψO,S per manovra a dritta e ψO,P per manovra a sinistra) si è messa allora in evidenza l’instabilità della nave, poiché per lo stesso angolo di barra (timone al centro) corrispondono due diverse velocità di rotazione e quindi due diverse curvature della traiettoria (si veda la Fig.2.8.B).

Questa prova consente di valutare l’altezza della zona d’isteresi nello steering diagram, che per una nave instabile è infatti calcolabile come differenza (ψO, S – ψO, P ).

Il direct spiral test (secondo il metodo di Dieudonné) consiste nel portare la nave – a partire da una rotta rettilinea – in moto circolare uniforme, impostando un alto angolo di barra del timone (fino a 25°) e successivamente nel ridurre l’angolo di barra del timone di 5° alla volta (e di 1° alla volta quando si raggiungono angoli di barra di 5°–10 ° ), stabilizzando la nave su rotte circolari via via più larghe, quasi a voler percorrere a gradini una traiettoria a spirale. Ogni volta che il moto si stabilizza vengono lette le coppie (α, ψ) e la manovra procede sino almeno al raggiungimento dell’angolo neutro, eventualmente infittendo i punti rilevati in prossimità di tale valore. Il test viene effettuato con manovra sia a dritta che a sinistra, in modo da verificare la simmetria di comportamento ed evidenziare l’angolo neutro del timone. Si ottengono quindi, in successione, le due curve ψ = f(α) per manovra a dritta e a sinistra.

L’utilizzo di questa procedura di prova su una nave instabile permette di individuare la zona di instabilità sia in altezza che in larghezza, ma non

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

consente di individuare l’inclinazione della curva in corrispondenza dell’angolo di barra neutro. Questi sono proprio i tre parametri che permettono di misurare il grado di stabilità o di instabilità di una nave.

Il reverse spiral test (secondo il metodo di Bech) consiste in una serie di prove indipendenti una dall’altra, in ciascuna delle quali, una volta predefinita una traiettoria circolare assegnando il valore della velocità di rotazione che si vuole ottenere, il timone viene manovrato finché non si raggiunge la stabilizzazione del moto con la preassegnata velocità angolare. Nella zona di instabilità il timone dovrà essere continuamente manovrato (nella pratica con escursioni di ± 2°) per mantenere costante il valore di ψ, ed il valore medio dell’angolo di barra desunto dalla prova permetterà di registrare la coppia (α, ψ) con la quale ricostruire, punto dopo punto, la funzione α = f(ψ). Il test viene effettuato con manovra sia a dritta che a sinistra, in modo da verificare la simmetria di comportamento ed evidenziare l’angolo neutro del timone. Si ottengono quindi, in successione, tutti i punti dei due bracci della curva α = f(ψ).

Il grafico ottenuto con questa metodologia mette in evidenza il comportamento della nave anche nella zona di instabilità, ove la stabilità della traiettoria è ottenuta solo grazie alla continua correzione dell’angolo di barra.

Le singole manovre del reverse spiral test, seppure più veloci rispetto a quelle del test diretto, devono essere controllabili con estrema precisione e le grandezze impostate (per esempio l’angolo di barra) e quelle lette (per esempio la velocità di imbardata) si devono poter misurare con accuratezza.

Va infine annotato che, per individuare e quantificare sommariamente l’instabilità, vengono utilizzati anche altri metodi, seppure approssimati, che permettono di desumere tale caratteristica da prove eseguite per altri scopi (manovra di zig–zag e manovra a spirale semplificata).

2.9 – Soluzioni per l’instabilità dinamica

Il grado di instabilità di una nave è correlato all’ampiezza ed all’altezza (possibilmente misurata sull’angolo neutro) della zona di isteresi del diagramma di stabilità.

I valori ammissibili di tale grandezza non sono stabiliti da alcuna norma, ma è usuale ritenere accettabili valori bassi, o addirittura nulli, per navi veloci e valori leggermente più alti per navi lente. In pratica è usuale esigere una larghezza del ciclo di isteresi nulla per imbarcazioni piccole e veloci (aventi L/VMax < 12 s, ove L [m] è la lunghezza della nave e VMax [ms–1] la sua velocità massima di servizio), ed un’ampiezza massima di 15° per navi grandi e lente (aventi L/VMax > 45 s). Per quanto riguarda l’altezza della zona

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

di isteresi, si indica come valore massimo il 30÷40 % della velocità di imbardata al massimo angolo di barra, in questo modo anche la pendenza della curva di stabilità viene regolata.

Quando si manifesta un comportamento non accettabile, l’efficacia del timone per il controllo della rotta della nave diventa incerta, anche se il timone è stato correttamente dimensionato per conferire alla nave buone doti di manovrabilità, ossia bassi valori dei raggi di rotazione R.

La soluzione al problema già in fase di progetto va ricercata nella modifica di una serie di parametri che influenzano la manovrabilità. Infatti, un elevato coefficiente di pienezza, così come una poppa dalle forme piene, tende a favorire la separazione del flusso a poppa e quindi a far lavorare male i timoni, favorendo quindi l’instabilità. Per quanto riguarda le proporzioni della carena, va detto che un rapporto L/B alto rende la nave più stabile, così come un rapporto B/T basso (essendo B la larghezza della nave e T la sua immersione di progetto).

Ovviamente i primi interventi correttivi che si applicano sono quelli meno invasivi e corrispondono:

• all’aumento dell’area del timone; • alla modifica della posizione del timone, che deve essere affacciato

maggiormente al flusso dell’elica, in modo da dare un momento evolutivo maggiore;

• alla modifica delle forme della volta di poppa, in modo che arrivi più acqua al timone.

Per una correzione a posteriori del comportamento della nave, la soluzione non va ricercata tanto nella modifica del timone, quanto nel miglioramento delle caratteristiche idrodinamiche di carena con l’aggiunta di superfici di stabilizzazione. In altre parole, si aumenta l’area del piano di deriva a poppa, generando delle appendici di carena formate da pinne poste in corrispondenza del timone (anche ai lati del timone), come illustrato in Fig.2.9.A.

Appare evidente che il timone stesso costituisce una pinna di stabilizzazione che, con la sua grande superficie, è sicuramente d’aiuto nella realizzazione della stabilità dinamica. Questa funzione del timone è stigmatizzata nelle parole dello stesso Norrbin:

The rudder serves the twofold function of stabilizing a straight motion by fin effect and controlling the ship in steering and maneuvering

(Norrbin, 1960)

Inoltre, sulle navi bielica è usuale inserire già in fase di progetto ampi skeg di poppa proprio per prevenire l’insorgere dell’instabilità di rotta (ma

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

anche per separare i flussi alle due eliche e per realizzare un comodo sostegno per lo scafo in bacino).

Per quanto riguarda poi le navi con timone–propulsore del tipo pod, va detto che esso, mentre garantisce (come sistema attivo) elevate prestazioni manovriere alle basse velocità, per le velocità di crociera dà una stabilità di rotta meno buona rispetto a quella di una nave con sistema propulsivo e di governo tradizionali. Ciò è dovuto alle forme di poppa molto aperte ed alla mancanza di uno skeg, che ostacolerebbe infatti il funzionamento del sistema agli alti angoli di orientazione. Inoltre, per gli angoli di barra tipici del controllo della rotta, a parità di angolo di barra la forza trasversale prodotta da un timone convenzionale risulta in genere maggiore di quella prodotta dal propulsore azimutale.

É comunque evidente che tale sistema non ha limitazioni nell’angolo di orientazione della spinta e quindi, se manovrato agli alti angoli, può fornire prestazioni superiori a quelle di un timone (i risultati della prova di evoluzione e di quella di zig–zag sono infatti migliori).

Le modifiche sopra illustrate, e per esempio l’aggiunta di superfici fisse di stabilizzazione vicino alla pala del timone, comportano due effetti sulla stabilità di rotta:

• da una parte, il più significativo, consiste nel raddrizzamento del flusso sul timone durante l’accostata; tali superfici favoriscono infatti il mantenimento del flusso nella direzione prora–poppa inibendo l’innesco del meccanismo anomalo di equilibrio. Inoltre, poiché l’angolo di attacco effettivo rimane prossimo a quello geometrico, aumenta la forza utile generata dal timone.

• dall’altra parte si ottiene lo spostamento del centro di deriva verso poppa, con la conseguente riduzione del momento destabilizzante MW,A+D . Si osservi infine che, per quanto detto, una nave risulterà più propensa

alla stabilità dinamica se naviga appoppata. Cosicché una nave che viaggia con galleggiamento diritto possiede meno stabilità dinamica di una nave appoppata. Proprio per questo motivo le prove al vero comprovanti la stabilità di una nave devono essere condotte nella condizione in cui essa manifesta le peggiori prestazioni, ossia a pieno carico e non in zavorra.

Ovviamente non bisogna eccedere nella stabilizzazione della nave perché una nave molto “stabile” è di per sé poco prona a manovrare in spazi ristretti. Ciò si evince anche dal diagramma di stabilità, dove una curva ψ =

f(α) caratterizzata dall’essere troppo poco ripida ai piccoli angoli indica la necessità di forti movimenti del timone per ottenere spostamenti dalla rotta rettilinea.

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

2.10 – Le caratteristiche di manovrabilità

Le normative internazionali hanno fatto ordine nella definizione dei parametri per la caratterizzazione e la misura delle qualità delle navi nei confronti della manovra, definendo in sostanza tre principali categorie di attitudini alla manovra, che consentono di saggiare:

• come mantenere la rotta, sia su una traiettoria rettilinea (course–keeping ability) sia su una traiettoria curva (yaw checking ability),

• come modificare la rotta (course–changing ability) in particolare per piccoli angoli (initial turning ability),

• come effettuare manovre di disimpegno con grandi angoli d’accostata (course–changing ability in termini di turning ability) o di emergenza (stopping ability).

Nel primo caso, come noto, si tratta di valutare la capacità di mantenere la nave su una rotta identificata da una determinata direzione, senza dover ricorrere ad eccessive correzioni dell’angolo di barra del timone attorno alla posizione neutra. Non esiste un parametro che definisca esattamente questa caratteristica, perciò essa viene spesso correlata alla stabilità dinamica della nave alla quale è strettamente legata. L’esperienza insegna infatti che la nave per la quale la stabilità dinamica è stata accertata tramite prove dirette mostrerà anche soddisfacenti doti di course keeping. Nella pratica si verifica addirittura una soddisfacente capacità di mantenimento della rotta anche su navi leggermente instabili, mentre una marcata instabilità è certamente indice di scarse doti di course keeping.

Per quanto riguarda l’abilità di controllo dell’imbardata (yaw checking ability), essa viene intesa come la capacità di raddrizzare la rotta durante l’accostata (portando il timone dalla parte opposta). Anche in questo caso si tratta di un’attitudine fortemente correlabile alla stabilità di rotta ma è anche possibile ottenere valutazioni qualitative da prove specifiche, precisamente con la manovra di zig–zag.

La capacità di modificare la rotta consiste nell’attitudine della nave a variare la rotta. Si può parlare di initial turning ability quando la rotta viene modificata di un piccolo angolo, ed è questa una manovra che viene ripetuta costantemente durante la navigazione. La misura di questa abilità manovriera viene fatta tramite prove specifiche, precisamente con la manovra di zig–zag, che quantificano il tempo necessario per raggiungere la nuova rotta.

La capacità di realizzare variazioni di rotta più consistenti è assimilabile alla capacità di effettuare accentuate manovre di accostata per evitare un ostacolo o addirittura per invertire la rotta. Per questo motivo si definiscono una serie di parametri, desunti dalla prova di evoluzione, che misurano nel complesso la turning ability.

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

Va osservato che l’attitudine ad effettuare manovre di emergenza consiste nella capacità della nave di evitare un ostacolo che si viene a trovare sulla sua rotta, e ciò può essere fatto essenzialmente in due modi: con una forte variazione di rotta, in modo da passare a lato dell’ostacolo, oppure arrestando il moto della nave, in modo da non arrivare fino all’ostacolo. Delle due manovre, la prima è più sicura ma non è sempre effettuabile in acque ristrette, mentre la seconda è più che altro una manovra di estrema emergenza cui si ricorre quando la nave non è più governabile.

L’abilità della nave ad evitare ostacoli con un’evoluzione effettuata sotto elevati angoli di barra del timone viene saggiata, come sopra accennato, valutando la cosiddetta turning ability, mentre la capacità di fermare il moto di avanzo, ricorrendo anche all’inversione della spinta al propulsore, è detta stopping ability. Le due caratteristiche sono misurate con prove specifiche, rispettivamente con la prova di evoluzione e con quella di arresto.

Altre manovre di emergenza sono quelle che si devono effettuare quando la nave deve recuperare un uomo caduto in mare, oppure quando deve evitare un’altra nave in rotta di collisione che si avvicina in verso contrario sulla stessa direzione. Per saggiare il comportamento del mezzo marino anche in queste circostanze molto particolari sono state ideate specifiche prove al vero.

Tutte le citate qualità marinaresche della nave sono influenzate, sebbene in diversa misura, sia dalla velocità di manovra del timone, sia dall’entità della forza utile che questo può sviluppare. Fa eccezione la stopping ability, che dipende invece dalla velocità di inversione del moto al propulsore e dall’efficacia del propulsore in marcia addietro.

I parametri utilizzati per misurare queste attitudini sono tutti ricavabili da manovre standardizzate. È interessante notare che i parametri relativi alla singola attitudine si ricavano da prove diverse e che nella stessa prova si possono avere indicazioni sui parametri delle tre categorie. Per questo motivo risulta conveniente analizzare i diversi tipi di prove standard e, per ognuna, evidenziare quali sono i parametri più significativi della risposta della nave alla manovra, per correlarli in un secondo momento alle diverse attitudini delle quali si ritengono rappresentativi.

2.11 – Le prove di manovrabilità IMO

Una prima raccolta ragionata dei diversi test utili alla valutazione della manovrabilità delle navi è quella contenuta nel Manoeuvring Trial Code proposto dalla 14th International Towing Tank Conference (ITTC 1975). In questo documento sono elencate le prove al vero più significative, per le quali è stata anche proposta una standardizzazione delle procedure di esecuzione e di raccolta dei dati caratterizzanti la risposta della nave.

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

La storia dell’impegno dell’IMO (International Maritime Organization, agenzia delle Nazioni Unite per la sicurezza della navigazione) nella direzione di incrementare la sicurezza delle navi in relazione alle loro attitudini di manovrabilità si concreta per la prima volta nel 1968 con la circolare MSC–389 riguardante le modalità di esecuzione delle prove di stabilità, che non erano però obbligatorie. Dopo una serie di documenti emanati dal comitato MSC e dall’Assemblea, oggi si è giunti a disciplinare l’intera materia con le seguenti Risoluzioni:

• MSC.137(76) – “Standards for Ship Manoeuvrability”, che indica i criteri di valutazione delle qualità manovriere delle navi, standardizza le prove al vero e fissa i limiti cui devono sottostare i parametri da esse ottenuti; il contenuto della Risoluzione è spiegato nella circolare MSC/Circ.1053 – “Explanatory Notes to the Standards for Ship Manoeuvrability”;

• A.601(15) – “Provision and Display of Manoeuvring Information on Board Ships”, che stabiliscono quali informazioni devono essere messe a disposizione del comando della nave, e con quale formato devono essere esposte in plancia. A queste va poi aggiunta la Risoluzione A.535(13) – “Recommendation

on Emergency Towing Requirements for Tankers” che definisce quali devono essere le installazioni per il rimorchio in emergenza, sia a prora che a poppa, di ogni nave cisterna avente una portata lorda di almeno 20.000 tonnellate.

Nel loro complesso quindi le caratteristiche di manovrabilità costituiscono oggetto di regolamenti IMO, sia nel senso che devono essere misurate, registrate e fornite al comando della nave, sia nel senso che devono essere confrontate con i valori limite di normativa.

Le prove di manovrabilità che sono state rese obbligatorie dall’IMO sono le seguenti:

• manovra di evoluzione (turning test) • manovra di zig–zag (zig–zag test) • manovra di arresto (stopping test)

alle quali vanno aggiunte opportune prove (pull–out test e spiral test) miranti a saggiare l’instabilità della nave qualora quest’ultima sia messa in luce durante l’esecuzione delle manovre sopra elencate. Si osservi però che queste ultime non sono obbligatorie ma possono essere richieste dall’armatore per saggiare eventuali carenze di stabilità dinamica della nave.

Le prove al vero regolate dall’IMO sono per esplicita attestazione “semplici, pratiche e veloci” e sono intese a testare sia le caratteristiche della nave, sia i metodi di previsioni delle stesse (servono cioè per la validazione delle prove su modello e delle simulazioni al calcolatore). Esse sono

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

obbligatorie per navi di lunghezza superiore a 100 metri (ma per navi chimichiere e gasiere non c’è un limite inferiore di lunghezza), e devono essere eseguite alla velocità alla quale si prevede che la nave si muoverà nelle aree in cui saranno necessarie le manovre, comunque non inferiore al 90% della velocità corrispondente all’85% della massima potenza continuativa del motore (MCR). Ogni manovra ha inizio dopo che le condizioni di avanzo della nave sono stabilizzate (indicativamente dopo 5 minuti).

Tutte le prove vanno condotte in mare aperto ma protetto, di sufficiente profondità (pari ad almeno 4 T ), in assenza di correnti (al limite è accettata una corrente uniforme), di vento (al massimo Beaufort 5, ossia con velocità del vento inferiore a 19 nodi, corrispondenti a circa 35 km/h) e di onde (al massimo mare Forza 4, ovvero mare con altezza significativa d’onda non superiore a 1,90 m e periodo medio non superiore a 8,8 secondi), con nave non assettata e ad un’immersione il più possibile prossima a quella di progetto. La nave deve entrare in manovra da una rotta rettilinea percorsa a velocità costante. Si osservi che una corrente uniforme può essere tollerata perché il suo effetto può essere facilmente scorporato dai risultati delle prove.

Alcune prove vengono eseguite a dritta ed a sinistra per mettere in rilievo eventuali asimmetrie di comportamento della nave, asimmetrie da imputarsi prevalentemente al funzionamento dell’elica propulsatrice.

Oltre alle condizioni ambientali e della nave, per ogni prova vanno registrate con opportuna accuratezza i seguenti parametri (riassunti nella tabella riportata nella Circolare IMO MSC.137(76)):

• il tempo in maniera continua, • la posizione, a prefissati intervalli di tempo oppure per ogni prefissato

intervallo di variazione di rotta, • la rotta, ossia la direzione della linea di fede della nave rispetto ad un

prefissato sistema di riferimento, • la velocità di avanzo (indicativamente ogni 5 secondi), • l’angolo di barra (ed eventualmente anche la velocità di rotazione del

timone) • i giri del motore e dell’elica (RPM), oltre che l’eventuale passo

dell’elica, • la velocità di variazione di rotta, ossia la velocità di imbardata.

Come noto, le manovre vanno condotte a pieno carico in quella che si ritiene la condizione più severa per misurare le doti di manovrabilità della nave, sia per la maggiore inerzia posseduta dalla nave, sia per la minore propensione della carena a generare un grande momento stabilizzante durante la manovra. Per questo motivo, quando le prove sono condotte in situazioni di carico diverse, esse devono essere corrette per essere portate

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

alla situazione di nave a pieno carico. Ciò viene usualmente fatto sfruttando i dati ottenuti da prove su modello o da simulazioni numeriche, ipotizzando una proporzionalità lineare nel comportamento della nave e del modello (trascurando cioè gli effetti scala).

Le manovre sopra elencate verranno di seguito illustrate anche con l’aiuto di esempi tratti da libretti di manovra di navi di recente costruzione. Si farà inoltre riferimento anche ad altre prove che, sebbene standardizzate dallo stesso IMO o da altre istituzioni o enti di ricerca (SNAME – Society of Naval Architects and Marine Engineers, ITTC – International Towing Tank Conference, NSO – Norwegian Standard Organization, JSRA – Japan Ship Research Association) non sono state però rese obbligatorie.

2.12 – La manovra di evoluzione

La prova di evoluzione è condotta, a partire da una traiettoria rettilinea percorsa alla velocità prestabilita, portando la nave in moto circolare uniforme con il massimo angolo di barra del timone (usualmente 35°). Lo scopo è quello di misurare gli spazi di manovra della nave, per valutare sia la sua capacità di modificare la rotta, sia la capacità di effettuare manovre di emergenza per evitare una collisione.

La nave viene mantenuta sulla traiettoria circolare per almeno un giro e mezzo (540°) – ma è meglio se vengono percorsi almeno due giri (720°) –, in modo da poter correggere i valori registrati tenendo conto delle deviazioni provocate dalla corrente e dal vento. I parametri utili alla valutazione della manovrabilità sono raccolti dall’inizio della manovra fino alla fase di rotazione uniforme, perciò all’uscita dall’evoluzione può essere condotta una manovra di pull–out.

Le traiettorie descritte dalla nave a dritta e a sinistra vengono diagrammate; esse mostrano, nelle navi monoelica, una evidente asimmetria dovuta all’azione dell’elica, mentre per le navi bielica con eliche rotanti in verso opposto sono praticamente uguali.

La prova di evoluzione è interessante per comprendere le modalità di risposta della nave all’azione generata dal sistema di controllo (usualmente un timone), ed è quindi utile analizzarne le singole fasi:

• la fase di entrata, • la fase di evoluzione, • la fase di girazione.

La nave viene inizialmente portata alla velocità voluta su rotta rettilinea (fase di entrata) e quando il moto è uniforme si comincia ad effettuare la manovra del timone: a questo punto inizia l’accostata della nave. L’accostata è caratterizzata da due differenti fasi: una fase di evoluzione propriamente

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

detta ed una fase di girazione. Nella fase di evoluzione la nave compie un percorso a spirale con centro di istantanea rotazione variabile e raggio di curvatura della traiettoria sempre più piccolo. Nella fase di girazione la curvatura della traiettoria si stabilizza e la nave prosegue la sua corsa con moto circolare uniforme su un diametro detto diametro di girazione.

L’evolversi della manovra può essere spiegato analizzando le forze che agiscono sulla nave. La forza del timone, che causa l’evoluzione della nave e che non si mantiene costante durante le varie fasi della prova, causa un moto di traslazione trasversale, riduce la velocità di avanzo ed imprime un moto di rotazione. Nell’istante in cui il timone è messo alla banda, si genera un moto trasversale ed una rotazione, entrambe ad elevata accelerazione: nell’istante iniziale infatti l’azione del timone è bilanciata dalle forze d’inerzia, in assenza di forze di resistenza idrodinamica che devono ancora maturare. Durante l’accostata della nave le forze idrodinamiche crescono e assieme matura una forza centrifuga: a regime esse equilibrano la forza del timone.

Lo svolgersi della manovra può essere anche descritto dall’andamento della velocità di rotazione ψ e della velocità trasversale VT [m/s], assieme alle relative accelerazioni. In particolare si può notare che la velocità di deriva ha una crescita continua fino a stabilizzarsi, mentre la velocità di rotazione aumenta per poi ridursi fino a stabilizzarsi. Contemporaneamente la velocità di avanzo si riduce ed il raggio di curvatura della traiettoria diminuisce gradualmente.

I dati raccolti riguardano gli spazi percorsi in istanti diversi dell’evoluzione:

• quando la direzione prora–poppa della nave è variata rispetto a quella iniziale di 90°, lo spostamento trasversale della nave viene definito trasferimento (transfer) e quello longitudinale viene detto avanzo (advance). Le due distanze vanno misurate, con riferimento alla rotta rettilinea iniziale, rispetto alla posizione assunta dalla nave nell’istante in cui è stato dato il comando di timone alla banda.

• in maniera analoga viene definito il diametro tattico DT (tactical diameter) che coincide con lo spostamento trasversale effettuato dalla nave quando la rotta è stata variata di 180°.

• il raggio di girazione RG (corrispondente allo steady turning diameter) corrisponde infine al raggio della traiettoria nella fase stabile dell’accostata.

Il diametro tattico è il parametro più importante misurato in questa manovra, esso assume valori che mediamente oscillano fra 4,5÷7,0 L per navi lunghe e snelle (navi che hanno una buona stabilità di rotta) e 2,4÷4,0 L per navi corte e piene. È usuale mettere in relazione il diametro tattico con il

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

rapporto di snellezza di carena (rapporto fra la lunghezza nave L e la radice cubica del volume di carena ∇ [m3]), al quale risulta proporzionale.

Altri dati interessanti che è utile analizzare sono l’angolo di deriva e la velocità della nave sia durante l’accostata, sia alla fine della manovra.

L’angolo di deriva è una grandezza fortemente correlata al raggio di girazione (si veda la Fig.2.12.B). Si consideri infatti l’equilibrio dinamico analizzato con riferimento alla stabilità dinamica della nave, in quel caso si era definito destabilizzante il momento generato nel moto di avanzo e deriva MW,A+D e si era detto che quanto più esso è grande rispetto a quello di imbardata MW,Y, tanto migliori sono le doti di evoluzione. Ora, è evidente che un alto momento MW,A+D è frutto di un’elevata resistenza idrodinamica all’avanzo. Esso, per una prefissata velocità di avanzo, è infatti proporzionale alla velocità di deriva. Ciò equivale a dire che il momento destabilizzante è proporzionale all’angolo di deriva della nave, infatti per definizione quest’ultimo vale:

β = arctg (VT / VA) [Nm] (2.12.A)

dove VA [m/s] è la velocità di avanzo della nave nella fase di accostata. In conclusione, angolo di deriva elevato è sinonimo di raggio di curvatura basso. Esistono formule di correlazione fra il raggio di girazione RG [m] e l’angolo di deriva, e tra queste si rammentano le seguente relazione:

β = kβ G

LR

+ β0 [°] (2.12.B)

dove i parametri angolari kβ e β0 che compaiono nella formula assumono i seguenti valori: kβ = 22,5° e β0 = 0,00÷1,45° per navi con piccole appendici di deriva e grande area trasversale di poppa (navi tendenzialmente meno stabili); kβ = 18,0° e β0 = 0,00° per navi con grandi appendici di deriva e piccola area trasversale di poppa (navi tendenzialmente più stabili). Le navi dinamicamente più stabili hanno un momento destabilizzante più basso e quindi assumono angoli di deriva più bassi – e per ottenere gli stessi raggi di girazione delle altre deve crescere il momento evolutivo.

Per quanto riguarda la velocità di avanzo durante la fase di girazione (si veda la Fig.2.12.C), si può osservare che per ogni nave essa è inversamente proporzionale al raggio della traiettoria di girazione: l’equilibrio su una traiettoria stretta si stabilizza infatti con elevate forze di resistenza idrodinamica. Inoltre, tale velocità decresce maggiormente, a parità di raggio di curvatura della traiettoria, su navi con basso coefficiente di pienezza che, essendo più stabili, fanno più fatica ad accostare e quindi hanno bisogno di momenti evolutivi più alti. Per manovre di evoluzione strette la riduzione di velocità di avanzo può raggiungere il 50%.

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

Osservazioni interessanti si possono fare anche sull’angolo di deriva al timone βR. A tale riguardo, con riferimento a manovre di evoluzione condotte su navi mercantili monoelica (si veda la Fig.2.12.D), si può notare quanto sia elevato l’effetto dell’angolo di deriva al timone, ovvero quanto l’angolo di attacco effettivo possa essere più piccolo di quello geometrico (diventando addirittura negativo e causando instabilità di rotta). È interessante osservare che, per effetto dell’angolo di deriva al timone, il rischio di stallo sulla pala si riduce notevolmente.

Un’ultima osservazione interessante è quelle relativa alla definizione di punto giratorio. Come precedentemente accennato, la nave reagisce all’azione del timone accostando e portando la prora all’interno della traiettoria con un certo angolo di deriva. L’intersezione fra il piano diametrale della nave e la sua normale passante per il centro di istantanea rotazione definisce il punto giratorio, ossia quel punto fisso sulla nave durante l’evoluzione rispetto al quale la nave ruota senza subire spostamento trasversale. I triangoli di velocità costruiti sui due punti estremi della nave, ottenuti scomponendo la velocità assoluta in una componente trasversale ed una longitudinale, mostrano infatti che ogni punto del piano diametrale, poiché sottostà ad una velocità d’avanzo costante, sperimenta una velocità trasversale che varia linearmente tra i due estremi di prora e di poppa e che muta di verso annullandosi nel punto giratorio.

Per quanto detto, durante la fase di girazione un osservatore posto sul punto giratorio sperimenta una velocità sempre rivolta nella direzione della linea di fede della nave, infatti in corrispondenza di tale punto non vi è deriva. Dal punto giratorio è quindi più agevole apprezzare il moto della nave e per questo motivo la plancia per il pilota, quando possibile, viene convenientemente sistemata in prossimità di tale punto, a circa 1/4 ÷ 1/5 L da prora. Il punto giratorio si sposta infatti di poco al variare della velocità e dell’angolo di barra, pur dipendendo essenzialmente dal diametro di girazione, mentre è fortemente influenzato dalla configurazione dell’opera viva e quindi dalla tipologia della nave.

2.13 – Lo sbandamento in accostata

Per quanto riguarda lo sbandamento causato dall’accostata, si possono osservare tre fasi, per ognuna delle quali il momento di sbandamento, riferito al centro di massa della nave, è generato da forze diverse ed è ovviamente sempre equilibrato dalla coppia di stabilità:

• inizialmente, quando il timone viene messo alla banda, si verifica uno sbandamento di saluto verso l’interno della traiettoria causato dalla forza del timone (che lavora in coppia con la forza d’inerzia allo spostamento trasversale); in tale situazione la nave, a causa delle

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

inerzie, non ha ancora iniziato a deviare dalla rotta e su di essa non sono ancora maturate le forze idrodinamiche trasversali.

• successivamente, durante l’evoluzione, matura una forza di reazione idrodinamica trasversale; in questa situazione si genera un forte sbandamento di evoluzione verso l’esterno causato sia dalla forza d’inerzia della massa aggiunta d’acqua trascinata nel movimento trasversale (applicata nel baricentro del piano di deriva), sia dalla forza idrodinamica, che lavorano in contrasto con la forza del timone. Il momento generato da queste con la forza centrifuga sovrasta quello che precedentemente aveva causato lo sbandamento verso l’interno.

• infine, nella fase di girazione, le forze inerziali centripete si annullano; in questa situazione si ha uno sbandamento di girazione verso l’interno causato dalla forza idrodinamica che determina un momento maggiore di quello della forza del timone (infatti per l’equilibrio alla traslazione trasversale W > FT), ma con minore intensità rispetto alla fase di evoluzione.

Lo sbandamento può essere pericoloso per navi che accostano ad alta velocità, in genere diventa rischioso per navi con elevate velocità relative (FN > 0,25).

Un comportamento sostanzialmente diverso è quello mostrato dai sottomarini in immersione. Questi mezzi in immersione hanno, per ovvi motivi di stabilità, il baricentro al di sotto del centro di spinta ed inoltre il centro di applicazione delle reazioni idrodinamiche si trova in posizione verticale prossima al centro dei timoni. Per questi motivi il primo sbandamento, quello di saluto, si manifesta verso l’esterno della traiettoria e successivamente quelli di evoluzione e di girazione verso l’interno.

2.14 – La manovra di zig–zag

La manovra di zig–zag è ottenuta, a partire da una rotta rettilinea percorsa a velocità costante con timone all’angolo neutro, portando il timone ad un prefissato angolo di barra +α0 a dritta e mantenendolo in tale posizione finché la nave non ruota la prora di un angolo prestabilito +δ0 (definito come l’angolo fra la linea di fede raggiunta e la linea di fede tenuta all’ingresso nella manovra ed indicato come ship heading), dopodiché il timone viene ruotato dalla parte opposta della stessa quantità (–α0) e lo si lascia in tale posizione finché la nave risponde al timone con una variazione di heading, sempre misurata rispetto alla rotta rettilinea d’ingresso, pari a –δ0. Gli angoli di barra sono ovviamente riferiti all’angolo di barra neutro.

La procedura, ripetuta per almeno cinque volte per stabilizzare la manovra, testare le condizioni di prova e raccogliere dati aggiuntivi, viene caratterizzata dalla scelta della coppia di angoli (α0 , δ0 ), e viene indicata con

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

la sigla α0 /δ0. Usualmente, anche se non stabilito dalle norme, la prima accostata viene fatta verso dritta per verificare il comportamento della nave alla necessità di disimpegnarsi da un’altra nave che incrocia in verso opposto.

L’IMO ha standardizzato le manovre di zig–zag 10°/10° e 20°/20°, in modo da valutare il comportamento della nave ad un angolo di barra medio e ad uno elevato. In particolare, la prima è consigliata perché fornisce indicazioni particolarmente utili alla valutazione della stabilità di rotta – infatti saggia la manovrabilità per angoli di barra e di accostata medio–piccoli, più prossimi a quelli usuali di controllo della rotta. Per navi di grandi dimensioni è anche consigliato di effettuare le manovre di zig–zag con angoli di 15° e di 25°.

I dati registrati durante la manovra sono quelli usuali (tempi, angoli, velocità, ecc.) ed i risultati vengono raccolti in un grafico che illustra, in funzione del tempo (a partire dall’istante in cui è stato impartito il comando al timone), l’andamento dell’angolo di rotta della nave δ (t) e dell’angolo di barra del timone α (t). Il grafico mostra che la nave esegue l’accostata in accordo con l’angolo di barra ma con un certo ritardo. Si osservi infatti cosa succede quando il timone viene portato dalla parte opposta: la nave (per inerzia) continua a ruotare ancora nel verso iniziale per un certo lasso di tempo raggiungendo un angolo di imbardata massimo δmax dopo il quale si manifesta palesemente la risposta al timone.

I dati salienti identificati nel grafico sono i seguenti: • initial turning time (tI), corrispondente al tempo impiegato nella prima

accostata per raggiungere l’angolo di imbardata +δ0 . • first overshoot angle (δS), angolo calcolato come differenza fra

l’angolo di imbardata massimo δmax e l’angolo massimo del timone α0 immediatamente dopo che è stato impartito il secondo comando dell’angolo di barra (second execute) – il pedice s sta ad indicare che l’angolo è positivo, ossia che la nave ha eseguito una deviazione verso dritta (starboard side), infatti la prima manovra è usualmente effettuata su questo lato e l’angolo è anche detto overshoot starboard angle.

• time to check yaw (tC), è il tempo impiegato per ruotare la prora dall’angolo δ0 all’angolo δ max – sempre successivamente al secondo comando dell’angolo di barra.

• second overshoot angle (δP), angolo calcolato come differenza fra l’angolo di imbardata massimo –δmax e quello massimo del timone –α0 immediatamente dopo che è stato impartito il terzo comando dell’angolo di barra (third execute) – il pedice p sta ad indicare che l’angolo è negativo, ossia che la nave ha eseguito una deviazione verso sinistra (port side), l’angolo è anche detto overshoot port angle.

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

I primi due parametri tI e δS sono significativi del comportamento della nave all’inizio di una manovra di variazione della rotta, essi risentono infatti della situazione della nave all’ingresso della manovra. In particolare, il primo è identificativo della velocità di risposta della nave alla variazione di rotta, mentre il secondo quantifica l’inerzia alla rotazione. Essi sono misurati per valutare l’attitudine della nave a modificare la rotta (course–changing ability).

Gli altri due parametri tC e δP sono significativi del comportamento della nave nelle fasi di controllo di una rotta curvilinea, infatti essi non risentono della situazione della nave all’ingresso della manovra ma della condizione del moto nella fase del movimento alternato a zig–zag immediatamente precedente. In particolare, il primo è identificativo della velocità di risposta della nave al controllo dell’imbardata, mentre il secondo quantifica l’inerzia alla rotazione. Essi sono misurati per valutare l’attitudine della nave a controllare l’imbardata (yaw checking ability) e per questo vengono letti su più fasi del movimento alternato, in modo da ottenere valori stabilizzati.

2.15 – La manovra di arresto

La manovra di arresto del moto di avanzo viene eseguita esclusivamente per saggiare l’attitudine della nave a fermarsi allo scopo di evitare la collisione con un ostacolo che si trova sulla propria rotta. Questa prova costituisce anche una verifica del funzionamento del sistema di controllo del motore e del sistema di inversione del moto, sia esso realizzato con l’orientazione delle pale dell’elica o con l’inversione del moto del motore primo (propulsione diesel–elettrica o diesel).

La manovra standardizzata prevede che la nave venga portata inizialmente in moto rettilineo uniforme e che ad un certo instante la spinta generata dal propulsore venga invertita nella maniera più veloce possibile fino a generare una forza frenante, forza che è proporzionale al comando che viene dato e che per la prova in esame è previsto essere di “macchine indietro tutta” (full speed astern).

Come effetto dell’azione esercitata dal sistema propulsivo, la nave inizia a percorrere una traiettoria curva con moto decelerato. Usualmente infatti si manifesta una deviazione laterale sia per l’asimmetria del propulsore – spostamento verso destra con elica destrorsa –, sia per le condizioni ambientali, e tutto ciò anche se il timone viene tenuto al centro.

Si registrano, a partire dal momento in cui viene dato il comando di macchine indietro (astern order), i seguenti dati:

• la lunghezza del tragitto percorso (track reach), • la distanza coperta nella direzione della rotta iniziale (head reach),

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

• lo spostamento trasversale da tale rotta (lateral deviation). Si osservi che tra il tragitto percorso e l’avanzo, data l’incertezza della traiettoria, il più significativo ai fini della sicurezza è il track reach. I dati raccolti sono riportati in un grafico ove è tracciata la traiettoria descritta dalla nave, con l’avanzo in ascissa e la deviazione laterale in ordinata. I tempi di risposta non vengono registrati poiché considerati meno significativi – essi sono comunque piuttosto elevati e dipendono dalla tipologia di procedura per l’inversione del moto.

La prova può essere anche ripetuta per simulare l’arresto quando la nave procede alla massima velocità in marcia addietro, ma in questo caso non è tra quelle richieste dalle norme. Quest’ultima manovra viene detta crash ahead test e si esegue impartendo un comando di avanti tutta quando la nave si muove indietro ad una prefissata velocità limite.

Una prova simile è quella di stopping inertia, nella quale, contemporaneamente all’inversione della spinta del propulsore, si agisce anche sul timone portandolo alla banda. In questo caso si misurano il tempo trascorso e lo spazio percorso fino al momento in cui la velocità residua ha raggiunto un valore minimo prefissato.

Si ricorda infine che un’altra serie di prove, simili alle precedenti in quanto si effettuano a velocità variabile, sono quelle che prevedono di testare l’accelerazione o la decelerazione della nave su traiettoria rettilinea (dette acceleration o deceleration test), prove eseguite con varie modalità di comando alle macchine.

2.16 – Illustrazione di prove al vero

A conferma di quanto detto si possono analizzare i risultati della prova di evoluzione della nave ocean survey vessel “HMS Scott”, nave dotata di una sola elica e di un timone su corno. La prova è stata condotta alla velocità di circa 18,0 nodi (90% MCR) e con angolo di barra del timone pari a 30°.

I risultati mostrano la traiettoria percorsa dal baricentro della nave, che risente evidentemente delle condizioni ambientali ma che comunque permette di valutare il diametro tattico. Si osservi che il diametro tattico è pari a circa 500 m, ossia circa 4,2 volte la lunghezza della nave (quello massimo richiesto dalle norme è, come si vedrà, pari a 600 m). É inoltre interessante notare come la velocità si stabilizzi a circa il 50% di quella di ingresso: la riduzione è molto elevata come era da attendersi per una nave con basso coefficiente di pienezza (cB è pari a circa 0,60). Per quanto riguarda l’angolo di deriva, si può calcolare come differenza fra la direzione della linea di fede “ship heading” e quella della rotta “heading”: esso rimane praticamente costante e pari a circa 5° per tutta l’evoluzione.

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

Un altro esempio interessante è quello offerto dalle prove di manovrabilità condotte sul traghetto “Staffetta Ligure” (nave bielica). Per questa nave sono disponibili i dati delle prove di evoluzione, di zig–zag e di arresto.

La prova di evoluzione è stata condotta a alle velocità di 20,0 kn e di 6,0 kn, con angolo di barra del timone di 35° sia a sinistra che a dritta.

I risultati mostrano che i tracciati di dritta e di sinistra sono molto simili, infatti le due eliche sono contro–rotanti. Il massimo diametro tattico a circa 20 nodi di velocità di ingresso è pari a 500 m, ossia circa 3,7 volte la lunghezza della nave (quello massimo richiesto dalle norme è pari a 675 m). Sono inoltre disponibili anche i dati sull’avanzo, che mostrano un valore massimo di circa 500 m (contro il limite di normativa di circa 600 m), e i dati sul trasferimento, i quali mostrano un valore massimo di circa 180 m corrispondente a circa 1,3 lunghezze nave.

È anche interessante notare come la velocità di avanzo in girazione si stabilizzi rispettivamente a circa 11,0 kn e 4,0 kn pari rispettivamente al 55% ed al 65% di quella di ingresso, mentre l’angolo di deriva assume valori molto alti, prossimi a 20°. I dati riportati permettono di valutare la velocità di imbardata della nave (ossia di rotazione): per esempio per la velocità di prova di 20 nodi si ottiene: ψ = VA / DT = (11 ⋅ 0.514) / (500 / 2) = 0,023 rad/s. Il tempo totale per l’evoluzione è di circa 5 minuti.

Le manovre di zig–zag sono state condotte al di fuori dello standard fissato dall’IMO con le seguenti modalità:

• zig–zag 10°/10° alla velocità di 20 kn, • zig–zag 20°/20° alla velocità di 5,5 kn .

la prima evidentemente con l’intento di saggiare il comportamento della nave in navigazione di crociera, la seconda con l’intento di valutare la qualità della manovra alle velocità di avvicinamento al porto.

Nella prova di zig–zag condotta alla massima velocità nella modalità 10°/10° sono stati ottenuti i seguenti risultati: first overshoot angle δS ≈ 17° (quello massimo richiesto dalle norme è, come si vedrà, pari a 11,5° valendo per la nave L/V ≈ 13 secondi), second overshoot angle δP ≈ 27° (contro il limite di normativa di 27,2°), con un intervallo di tempo necessario per la rotazione iniziale tI ≈ 28 s ed un intervallo di tempo necessario per la correzione dell’overshoot tC ≈ 22 s.

I tempi esposti mostrano ad esempio che la distanza coperta durante l’initial turning time è di circa 290 m (inferiore al valore limite di 337 m). Per quanto riguarda la manovra di zig–zag 20°/20° condotta a velocità ridotta, gli angoli di overshoot misurati sono entrambi di circa 30°. I tempi

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

totali di prova sono rispettivamente di circa 5 minuti e 10 minuti per le due manovre.

La manovra di arresto è stata effettuata a partire dalla velocità d’entrata di 20 kn e fornisce i seguenti risultati: il tragitto percorso è pari a 1128 m (contro il limite di 2025 m) con un avanzo di circa 930 m ed una deviazione laterale di 413. Il tempo impiegato per l’arresto è di 480 s (corrispondenti ad 8 minuti).

Sulla stessa nave sono state anche condotte altre due prove d’arresto nelle quali, contestualmente all’ordine alle macchine, è stato anche dato l’ordine di timone alla banda (35° a dritta e a sinistra): esse forniscono indicazioni utili per un arresto d’emergenza, infatti indicano una forte riduzione dell’avanzo (corrispondente ora a circa 470 m), ma contemporaneamente indicano anche un aumento dello spazio impegnato trasversalmente (circa 450 m).

2.17 – I parametri di manovrabilità e le prescrizioni IMO

Dalle singole prove si raccolgono una serie di dati utili a misurare le diverse qualità manovriere della nave. In particolare, con riferimento alle manovre IMO precedentemente illustrate, le attitudini di manovrabilità vengono correlate ai parametri misurati nel modo seguente:

• stabilità dinamica viene valutata attraverso le prove di pull–out (velocità angolare residua ψO) e di manovra a spirale (larghezza e altezza del ciclo di instabilità), ma in maniera qualitativa anche attraverso la manovra di zig–zag con il primo angolo di overshoot δS, che mostra la tendenza a continuare il moto impostato nonostante l’azione contraria che matura per effetto dello spostamento del timone.

• course–keeping ability e yaw checking ability la capacità di mantenimento della rotta e la capacità di controllare l’imbardata sono implicitamente correlate alla stabilità dinamica e possono essere misurate attraverso i parametri di quest’ultima quando la nave è instabile. È comunque usuale dedurre entrambe queste caratteristiche dalla manovra di zig–zag con il secondo angolo di overshoot δP ed il time to check yaw tC, parametri che sono indicativi di quanto la nave riesca a seguire velocemente il comando impartito.

• course–changing ability la capacità di modificare la rotta viene misurata con il valore del primo angolo di overshoot δS e dell’initial turning time tI ottenuto dalla manovra di zig–zag. Tale valore fornisce, una volta nota la velocità di ingresso in manovra della nave V [ms–1], il tragitto sI [m] percorso dalla nave prima di rispondere alla variazione di rotta, infatti sI = V tI (la velocità si considera in prima approssimazione costante).

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

• turning ability la capacità di effettuare forti accostate per variare la rotta si misura con i parametri desunti dalla prova di evoluzione (avanzo e diametro tattico).

• stopping ability la capacità di arrestare la nave nello spazio più piccolo possibile si misura con il track reach ottenuto dalla prova di arresto.

In Tab.2.17.A sono richiamati i valori limite previsti dalle Risoluzioni IMO per i parametri di manovrabilità finora descritti. In particolare, le lunghezze sono adimensionalizzate con la lunghezza della nave tra le perpendicolari LPP , mentre con V si indica la velocità di prova, ossia la velocità di ingresso della nave in manovra. Tali valori si riferiscono ovviamente alle sole prove rese obbligatorie, ossia la prova di evoluzione, le prove di zig–zag 10°/10° e 20°/20° ed infine la prova di arresto.

PARAMETRO DI MANOVRABILITÀ CRITERIO IMO

avanzo (turning test) 4,5 LPP

diametro tattico (turning test) 5 LPP

distanza coperta durante l’initial turning time (zig–zag test 10°/10°) 2,5 LPP

LPP / V ≤ 10 s 10°

10 s < LPP /V < 30 s (interpolazione lineare) 1° angolo di overshoot (zig–zag test 10°/10°)

LPP / V ≥ 30 s 20°

LPP /V ≤ 10 s 25°

10 s < LPP /V < 30 s (interpolazione lineare) 2° angolo di overshoot (zig–zag test 10°/10°)

LPP /V ≥ 30 s 40°

1° angolo di overshoot (zig–zag test 20°/20°) 25°

tragitto percorso (stopping test) 15 LPP (20 LPP)

TABELLA 2.17.A Valori limite IMO dei parametri di manovrabilità.

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

La dipendenza dei valori limite degli angoli di overshoot dal rapporto LPP /V (detto ship time constant) è da correlarsi al fatto che ad imbarcazioni piccole e veloci (bassi valori di LPP /V) sono richieste caratteristiche operative diverse da quelle delle navi più grandi e più lente (alti valori di LPP /V). Infatti, una nave con basso valore del rapporto LPP /V deve essere controllabile con più facilità perché a parità di celerità nell’intervento correttivo o a parità di accuratezza dei sistemi di controllo della rotta, lo stesso errore porta a spostamenti maggiori e quindi è in sé più rischioso.

In generale, va osservato che i valori limite imposti dalla normativa non sono differenziati per i diversi tipi di navi e proprio per questo sono generalmente poco severi (devono infatti valere anche per le grandi navi cisterna!).

Per quanto riguarda la manovra di arresto è accettata una differenziazione di massima del valore limite del track reach. Infatti il valore di 20 lunghezze nave per il massimo tragitto percorso indicato in tabella si riferisce a grandi navi – indicativamente quelle con un dislocamento di progetto superiore alle 100.000 tonnellate –, per le quali il limite più restrittivo appare ancora impraticabile.

Questi valori limite possono essere resi ancora più restrittivi dagli armatori – le caratteristiche di manovrabilità costituiscono infatti parte delle specifiche contrattuali fra armatore e cantiere – soprattutto per navi che hanno particolari esigenze di manovra. Molto spesso si tratta di prove atte a testare l’indipendenza della nave dai rimorchiatori nell’eseguire varie manovre portuali, e soprattutto quelle di avvicinamento ed allontanamento alla banchina.

Il rispetto della normativa può essere dimostrato con previsioni desunte sia da simulazioni al calcolatore (sufficientemente testate al vero), sia da prove su modello. Allo stato attuale delle ricerche, le prove su modello forniscono risultati che vengono comparati direttamente con i limiti di normativa (anche se in piccoli modelli i risultati di stabilità tendono ad essere conservativi). In alternativa viene richiesto di condurre direttamente sulla nave le prove al vero.

Per quanto riguarda le prove su modello, va osservato che esse sono di due tipi:

• le prove su modello libero servono a determinare direttamente le caratteristiche di manovrabilità della nave. Esse sono condotte in vasche di grandi dimensioni con lo stesso modello usato nelle prove di resistenza o di auto propulsione;

• le prove su modello vincolato, nelle quali cioè vengono concessi al modello solo alcuni gradi di libertà, servono a calcolare i coefficienti idrodinamici da inserire nelle equazioni che descrivono il moto della

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

nave. Queste prove sono molto più laboriose perché richiedono un numero notevole di “corse” (per tutte le combinazioni possibili dei gradi di libertà del sistema) e sono condotte in parte in vasche navali tipiche ed in parte in vasche circolari.

Va infine osservato che nelle prime fasi del progetto vengono spesso utilizzate formulazioni empiriche o regressioni lineari ricavate dall’analisi di navi simili.

I risultati delle prove, a nave costruita e certificata, vanno trascritti su appositi stampati ed affissi in plancia assieme ai tracciati delle stesse, come richiesto dalle Risoluzioni IMO. In pratica devono essere preparati:

• una tabella delle caratteristiche della nave ad uso del pilota (pilot card) contenente le caratteristiche della nave, del sistema propulsivo e dei sistemi di governo e manovra;

• una tabella delle caratteristiche evolutive della nave ad uso del comando (wheelhouse poster), che illustri i risultati delle prove di manovrabilità;

• un quaderno di manovrabilità (manoeuvring booklet), in cui siano dettagliatamente descritte le qualità manovriere della nave.

2.18 – Le prescrizioni dei Registri

Per quanto riguarda la manovrabilità, i Registri di classificazione non avanzano richieste aggiuntive rispetto a quelle formulate dalle Risoluzioni dell’IMO. Fanno eccezione i casi in cui lo spettro delle prove da eseguire viene allargato per comprenderne anche altre, tra cui alcune di quelle standardizzate dall’IMO ma non obbligatorie. Si aggiungono poi anche prove specifiche alle basse e medie velocità.

É questo il caso del Lloyd’s Register che stila una lista ampliata di manovre da eseguire per conseguire una notazione aggiuntiva di classe definita LMA – Lloyd’s Manoeuvring Assessment. Le norme in questione non pongono limiti alle caratteristiche di manovrabilità, oltre a quelli previsti dall’IMO, ma prevedono che, per ottenere la notazione di classe, i risultati delle prove debbano essere considerati soddisfacenti dagli ispettori del Registro.

Per acquisire questa notazione la nave deve eseguire, oltre alle prove rese obbligatorie dall’IMO anche le seguenti manovre:

• la manovra di pull–out (accoppiata alla manovra di evoluzione), • la manovra di evoluzione a mezza velocità (half speed turning test), • la manovra di arresto in marcia avanti a mezza velocità ed a bassa

velocità (half speed e slow speed stopping test),

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

• la manovra per il recupero di uomo in mare, eseguita con il metodo cosiddetto di Williamson oppure con l’evoluzione ellittica (più avanti descritte),

• la manovra di evoluzione a partire da nave ferma con le sole eliche di manovra in funzione.

Si osservi che i valori delle velocità sono quelli corrispondenti alle tacche del telegrafo di macchina, rispettivamente full ahead, half ahead, slow ahead and dead slow ahead per marcia avanti e dead slow astern, slow astern, half astern and full astern per marcia indietro.

Anche il RINA assegna una notazione di classe aggiuntiva con riferimento alle doti manovriere delle navi (indicata con la sigla MANOVR). Tale notazione viene assegnata alle navi che, anche se non obbligate a sottostare alle normative IMO, verificano tali norme.

2.19 – Altre manovre IMO

Le prove non obbligatorie, ma ugualmente standardizzate dall’IMO allo scopo di permettere indagini più approfondite sia sulla stabilità dinamica, sia sulle capacità evolutive della nave, sono le seguenti:

• le manovra a spirale diretta, a spirale inversa ed a spirale semplificata (spiral tests),

• la manovra di pull–out (pull–out test), • la manovra di mantenimento della nuova rotta impostata (new course

keeping test), • la manovra di zig–zag a piccoli angoli (very small zig–zag test) e la

manovra di zig–zag a bassa velocità (zig–zag test at low speed).

Le manovra a spirale diretta, a spirale inversa ed a spirale semplificata, così come la manovra di pull–out sono effettuate per evidenziare il comportamento della nave nei confronti dell’instabilità. In particolare, la manovra a spirale semplificata viene condotta per valutare tre soli punti dello steering diagram, ottenuti portando il timone successivamente alla banda da un lato, al centro ed infine alla banda dal lato opposto.

La manovra di mantenimento della nuova rotta impostata serve per valutare la capacità della nave a portarsi su una rotta rettilinea modificata, rispetto a quella iniziale, di un piccolo angolo. Si ottengono dati utili alla valutazione della qualità sia di variazione che di controllo della rotta. Il test si effettua partendo da una rotta rettilinea ed impostando un angolo di barra prefissato pari a 10°, 20° o addirittura 30°. L’angolo di barra si mantiene finché la nave non ha cambiato rotta di 10°, a quel punto viene dato un angolo di barra uguale ed opposto e mantenuto finché la nave non smette di ruotare (ossia finché la velocità di imbardata non si annulla) dopodiché viene portato in posizione neutra. Il risultato è espresso graficamente riportando la

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

traccia dello spostamento della nave, dal quale si evincono informazioni sul ritardo della nave al comando.

Le manovre di zig–zag qui descritte servono ad ottenere le informazioni tipiche di una prova di zig–zag ma in condizioni diverse da quelle standardizzate. La manovra di zig–zag a piccoli angoli è una manovra che viene svolta in maniera analoga alla prova di zig–zag già trattata, ma ad angoli di barra non superiori a quelli usuali di controllo della rotta (α0 <

5°÷10°), per esempio con la combinazione 5°/1°. Un caso particolare è quello della prova 5°/0° iniziata con velocità di rotazione non nulla. La manovra di zig–zag a bassa velocità (zig–zag test at low speed) serve poi a valutare la minima velocità di avanzo alla quale la nave è ancora governabile.

2.20 – Manovre in acque ristrette: il crabbing

Esistono prove di manovrabilità che non sono standardizzate dall’IMO dal momento che non riguardano tanto la sicurezza della nave, quanto invece l’efficacia dei sistemi di governo negli spostamenti in acque ristrette. Si tratta infatti di prove effettuate con lo scopo di saggiare le caratteristiche di manovrabilità della nave ferma o quasi ferma, per valutare fino a che punto può essere indipendente dai sistemi ausiliari esterni, ovvero dai rimorchiatori, il cui costo per le normali operazioni di avvicinamento e allontanamento dalla banchina non è trascurabile.

Va osservato che comunque la nave, in condizioni estreme di manovra, deve poter essere coadiuvata da uno o più rimorchiatori, e per questo motivo deve possedere opportune installazioni sul ponte di coperta per il passaggio a murata ed il bloccaggio dei cavi di traino e controllo. Inoltre, le fiancate devono essere sufficientemente robuste nelle aree in cui è consentito che i rimorchiatori possano appoggiarsi per spingere, per questo motivo tali aree sono scelte in corrispondenza di costole rinforzate della struttura dello scafo e sono indicate con segni di immediata comprensione (un rettangolo o una freccia verticale sovrastati dalla scritta “TUG”).

Considerazioni aggiuntive vengono perciò effettuate sulla risposta della nave alle manovre condotte in acque portuali tramite l’azionamento, anche coordinato, dei diversi impianti (timone ed eliche trasversali). Tra queste si ricordano:

• la manovra di evoluzione a partire da nave ferma (accelerating turning test), che consiste in un’evoluzione completa fatta mettendo macchine a mezza potenza e timone alla banda.

• le manovre di evoluzione, di zig–zag e di arresto in shallow water, fatte con lo scopo di valutare l’effetto di interazione con il fondale marino, che si manifesta facendo allargare le traiettorie di manovra e frenando l’avanzo.

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

• le prove condotte con le sole eliche trasversali (thruster test).

Queste ultime si effettuano allo scopo di saggiare le qualità evolutive ottenute con eliche trasversali in funzione ed il timone alla via, sia a partire da nave ferma, sia con nave dotata di una certa velocità di avanzo. Comprendono la manovra di evoluzione, che viene fatta con velocità di avanzo che vanno da 0 nodi a 8 nodi effettuando una variazione di rotta a volte limitata a 90°, e quella di zig–zag, effettuata con velocità comprese fra 3 nodi e 6 nodi e con riferimento ad una variazione massima di rotta di 10°. Per eseguire queste prove le eliche devono essere sufficientemente immerse, un valore minimo è quello di un’immersione al mozzo di almeno 0,8 volte il loro diametro.

Altre prove interessanti sono quelle che vanno sotto il nome di manovre di crabbing e consistono nell’avvicinamento o allontanamento dalla banchina, a velocità di avanzo nulla, con l’utilizzo di tutti i sistemi di governo (si veda la Fig.2.20.A):

• se la nave possiede eliche trasversali sia a prora che a poppa, esse vengono azionate bilanciando le potenze in modo da ottenere una traslazione trasversale della nave;

• se la nave possiede solamente l’elica trasversale di prora, essa viene azionata in maniera coordinata con le eliche propulsatrici di poppa. Queste vengono azionate in modo da dare spinte contrapposte in modo che la componente longitudinale della forza da esse generata si annulli. Il timone dell’elica che spinge in avanti viene inoltre inclinato in modo da deviare il flusso e generare quindi la forza trasversale di poppa, mentre l’altro timone può rimanere al centro poiché il flusso dell’elica che spinge indietro viene deviato dalla stessa carena.

Le manovre di crabbing assumono una particolare importanza per le navi che svolgono un servizio caratterizzato da frequenti manovre alla banchina. È questo il caso delle navi passeggeri, che durante le crociere effettuano viaggi di breve durata al termine dei quali sostano in porti spesso poco equipaggiati per riceverle. Esse inoltre si muovono usualmente in acque ristrette (per esempio stretti bracci di mare fra le isole) anche in presenza di venti trasversali e, a causa dell’elevata superficie di vela, necessitano di un apparato per bilanciare la forza trasversale generata dal vento. Tale apparato è costituito proprio dalle eliche trasversali.

La previsione della potenza necessaria per eliche di manovra viene fatta con opportune prove in vasca, simulando:

• spostamenti trasversali in acque libere per verificare come la nave riesce a resistere a correnti, vento ed onde al traverso quando naviga a bassa velocità (o quando la velocità di avanzo è nulla);

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

• spostamenti trasversali in vicinanza a banchine di tipo diverso (su pali o su muratura chiusa) per valutare la capacità della nave di eseguire spostamenti laterali. Va osservato infatti che, se per allontanarsi dall’ormeggio la nave

utilizza anche le eliche propulsive, il getto d’acqua che si crea fra una banchina chiusa e lo scafo può creare una forza di risucchio verso la banchina stessa. Appare inoltre evidente che un fondale poco profondo può creare delle interferenze nella manovra, andando ad accentuare il fenomeno appena descritto.

Tali prove vengono eseguite con riferimento a condizioni espresse dagli armatori più che in base ad un vero e proprio standard ed in particolare diverse sono le condizioni ambientali limite che possono essere considerate. Prove tipiche per le navi passeggeri sono quelle di avvicinamento e di allontanamento dalla banchina eseguite per diverse tipologie di banchina e per diverse profondità del fondale con un vento costante di 35 nodi (Beaufort 7) proveniente da qualsiasi direzione. In queste prove la nave deve dimostrare di potersi muovere senza l’aiuto di rimorchiatori ad una sufficiente velocità trasversale. Tale velocità è dell’ordine di qualche centimetro al secondo e può arrivare anche a 25 cm/s.

Il risultato delle prove può essere rappresentato graficamente da un poligono i cui vertici sono le coppie costituite dalla forza trasversale e dal momento d’imbardata generati in ogni condizione di lavoro dei propulsori. Nello stesso grafico sono riportati anche i poligoni delle forze e dei momenti d’imbardata ambientali originati sulla nave dal vento e dalla corrente nelle diverse condizioni di prova – ogni curva si riferisce ad una determinata velocità del vento e della corrente ed è ottenuta per diversi angoli d’incidenza degli stessi. Le prove hanno esito positivo se il poligono delle forze generate dai propulsori contiene quello corrispondente alle velocità massime previste di vento e di corrente.

Va detto che le prove si rendono necessarie perché una simulazione delle interazioni reciproche fra le eliche trasversali, fra il flusso da esse generato e quello delle eliche propulsatrici e fra tutti questi apparati e la banchina è difficilmente effettuabile in maniera numerica. Inoltre, esse sono indispensabili se si vuole valutare l’impatto dei getti d’acqua sulle strutture delle banchine.

2.21 – Manovre varie

Le prove finora discusse sono tutte effettuate in relazione alla ricerca dei parametri di manovrabilità della nave, esistono però altre prove al vero che sono eseguite con scopi ben diversi, ossia con l’intenzione di simulare particolari situazioni di emergenza. Si citano tra queste due importanti manovre:

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

• la manovra di recupero uomo in mare, • la manovra di disimpegno dalla rotta.

Con l’intenzione di fornire al comando della nave un’indicazione utile al recupero di un uomo in mare (man overboard), l’IMO ha proposto la cosiddetta manovra di Williamson (Williamson turn) – si veda la Fig.2.21.A. Questa evoluzione è stata studiata per fare ritornare la nave nella posizione in cui è stato rilevato l’uomo in mare, presumibilmente sotto bordo. Consiste in una serie di virate tali da far invertire la rotta nel minore tempo possibile, riportando la nave sulla stessa traiettoria iniziale.

In pratica, se l’uomo si trova a dritta della nave nel momento in cui viene rilevato, il timone deve essere portato prima alla banda a dritta in modo da variare la rotta di circa 20°÷70° e poi, dopo un breve tragitto, alla banda a sinistra fino ad ottenere un’ulteriore variazione di rotta di circa 120°÷150° dalla parte opposta. A questo punto il timone viene portato gradualmente alla via, in modo da far uscire la nave dall’accostata con un’inversione completa di rotta (180°) ed in prossimità della direzione su cui procedeva all’inizio della manovra.

Il recupero di un uomo in mare può essere effettuato anche con un’altra manovra denominata elliptical turning manoeuvre test e consiste nell’eseguire un loop in modo da ritornare nella stessa posizione in cui è stato avvistato l’uomo in mare. La manovra si esegue facendo prima un’evoluzione di 180° con timone alla barra per esempio a dritta, percorrendo un certo tragitto parallelo a quello iniziale finché la velocità non viene completamente recuperata ed eseguendo infine una seconda mezza manovra di evoluzione.

La manovra di disimpegno dalla rotta prende il nome di parallel course manoeuvre test e consiste nell’evitare un’imbarcazione in movimento o un ostacolo fisso che si trova in rotta di collisione. Per la precisione, la manovra prevede di evitare l’ostacolo e di ritornare sulla stessa rotta portando prima il timone alla banda su un lato e, dopo un’imbardata di circa 30°, portarlo alla banda dalla parte opposta e gradualmente nella posizione di inizio manovra.

Altre prove sono effettuate per valutare il funzionamento degli organi di propulsione e di controllo. Tra queste si ricordano:

• la manovra per la valutazione del numero minimo di giri sostenuto dal motore primo di propulsione (minimum revolution test). Essa si svolge in maniera molto semplice riducendo la velocità del motore (a partire da una velocità di avanzo media) finché lo stesso riesce a mantenersi in moto producendo un seppur minimo avanzo della nave.

• la manovra di collaudo del timone.

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

La manovra di collaudo del timone è una manovra molto importante per la sicurezza della nave. Essa prevede di testare la robustezza del sistema di governo, ovvero del complesso formato dal timone, dall’asta di controllo e dal suo macchinario. Si tratta del cosiddetto hard rudder test, definito dalle normative IMO nella SOLAS (Cap. II–1, Part C – “Machinery Installations”, Regulation 29), che consiste nel portare la nave (alla massima immersione) su rotta rettilinea percorsa alla massima velocità e successivamente nel manovrare il timone, attraverso la timoneria principale, con la massima velocità di rotazione dell’asta, prima dal centro fino a 35° a sinistra e poi immediatamente fino a 30° a dritta. Il tempo totale impiegato per la successione 0° ⇒ 35° PS ⇒ 30° SBS non deve superare 28 secondi (a partire dal momento in cui viene impartito il primo ordine al timone).

Una prova analoga deve poi essere svolta con la macchina di governo ausiliaria, per la quale si considera – sempre alla massima immersione ma a velocità dimezzata e comunque superiore a 7 kn – un ciclo dell’angolo di barra del tipo 0° ⇒ 15° PS ⇒ 15° SBS, da svolgersi in non più di 60 secondi.

Va rimarcato che questa prova serve per valutare il funzionamento dell’intero sistema che va dalla timoneria in plancia, al macchinario di agghiaccio ed infine al timone stesso. Durante dette manovre infatti si saggia:

• il funzionamento del sistema di trasmissione del comando dalla plancia; • il funzionamento del macchinario del timone, sia come tempi massimi

di esecuzione, sia come valori angolari massimi raggiunti dalla pala; • la robustezza del sistema, ovvero del macchinario, dell’asta e della pala.

Si osservi che, non prevedendo diversificazioni per dimensioni e tipo di nave, il limite previsto dalla normativa non può ritenersi adatto alle diverse esigenze delle navi.

2.22 – Analisi dell’efficacia del timone

I modelli matematici per la manovrabilità sono piuttosto complessi, sia perché l’equilibrio dinamico della nave non è descrivibile con equazioni differenziali lineari, sia perché tali equazioni, esprimendo il moto sulla superficie marina, sono tra loro accoppiate. Il sistema completo di equazioni di equilibrio è formato infatti da tante equazioni quanti sono i gradi di libertà della nave nel movimento corrispondente alla generica manovra, ossia l’abbrivio, l’imbardata, la deriva ed il rollio.

Quando però ci si vuole limitare allo studio della sola variazione dell’angolo di rotta, l’equilibrio può essere approssimativamente descritto con riferimento ai soli gradi di libertà corrispondenti all’imbardata e all’abbrivio. Inoltre, se si fa l’ipotesi di considerare costante la velocità avanzo, ci si può ricondurre alla sola equazione di equilibrio all’imbardata. Quest’ultima impostazione, pur semplificata, è comunque sufficientemente

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

accurata per un’analisi della stabilità della nave ed in generale della sua manovrabilità.

L’equazione di equilibrio del solo moto di imbardata si esprime considerando le forze che lavorano con braccio non nullo rispetto al centro di massa della nave, forze che danno i seguenti momenti:

• il momento evolutivo ME generato del timone; • il momento prodotto dalle pressioni idrodinamiche sullo scafo, già

indicato come MW , e detto anche momento di smorzamento in quanto è il frutto delle pressioni idrodinamiche che tendono a “frenare” il moto della nave; esso rende conto dell’energia dispersa in mare durante la manovra, energia spesa principalmente per la generazione di un moto ondoso;

• il momento delle forze d’inerzia MI .

Il momento generato dal timone può esprimersi in funzione dell’angolo di barra ed indicarsi come ME(α). Il momento delle forze idrodinamiche, essendo un momento di smorzamento, è esprimibile come funzione della velocità relativa fra la nave e l’acqua di mare, ossia della velocità d’imbardata ψ e si indica perciò come MW(ψ). Infine, il momento delle forze d’inerzia può essere espresso come prodotto fra il momento d’inerzia J [kg

m2] della nave all’imbardata (relativo alla massa nave comprensiva della massa aggiunta) e l’accelerazione angolare d’imbardata ψ [rad/s2], risultando perciò pari a MI = – J .ψ

Per quanto riguarda il momento d’inerzia J della nave rispetto alla rotazione attorno all’asse verticale baricentrico, si osserva che esso può esprimersi attraverso il raggio d’inerzia di massa i [m], che per le navi mercantili di forme tradizionali è generalmente pari a 0,25÷0,30 L .

Ipotizzando concordi i versi sia della rotazione, della velocità e dell’accelerazione d’imbardata, sia del momento evolutivo, l’equilibrio della nave alla rotazione rispetto all’asse verticale baricentrico può scriversi come:

( ) ( ) 0W EJ M Mψ ψ α− − + = [Nm] (2.21.A)

Nella sua forma più semplice tale equazione esprime un modello completamente lineare, che si ottiene ipotizzando che il momento di smorzamento sia proporzionale alla velocità d’imbardata e che il momento generato dal timone sia proporzionale all’angolo di barra. Si scrive perciò:

0W EJ m mψ ψ α− − + = [Nm] (2. 21.B)

dove mW [Nm/rad s–1] è il momento di smorzamento indotto da una velocità d’imbardata unitaria e mE [Nm/rad] è il momento d’evoluzione generato dal timone per un angolo di barra unitario.

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

Tale equazione di equilibrio è generalmente trascritta nella forma seguente, nella quale sono messi in evidenza due coefficienti detti indici di Nomoto:

T Kψ ψ α+ = [Nm] (2. 21.C)

dove i T e K sono definiti come:

W

JTm

=

E

W

mKm

=

[s]

[s–1](2. 21.D)

Come si può osservare dalle definizioni, un alto valore dell’indice T denota un elevato momento d’inerzia rispetto allo smorzamento, mentre un alto valore dell’indice K denota un momento evolutivo grande rispetto a quello delle forze di smorzamento.

Il significato di K e T può essere dedotto risolvendo l’equazione in un caso particolare, corrispondente alla situazione in cui il timone viene portato istantaneamente all’angolo di barra α e lasciato in tale posizione. L’equazione di Nomoto porge infatti la seguente soluzione:

/(1 e )t TKψ α −= − [rad/s] (2. 21.E)

che mostra come la velocità d’imbardata aumenti esponenzialmente con il tempo t [s] ma con un tasso di crescita sempre più lento in funzione del valore del parametro T, avvicinandosi al valore stazionario K α .

Appare evidente che un alto valore di K fa si che la rotta si stabilizzi su una traiettoria con un piccolo valore del raggio di curvatura: K è quindi indice di alte prestazioni di turning ability, ovvero, in altre parole, evidenzia che serve un basso angolo di barra per ottenere una certa curvatura della traiettoria. D’altro lato, un basso valore di T indica una risposta più veloce all’angolo di barra e quindi alte prestazioni sia di course–changing ability, sia di course–checking ability quando l’evoluzione è completata. Ciò comporta implicitamente che la nave sia meno stabile, infatti se T è basso la nave può uscire velocemente dalla rotta anche sotto l’azione di piccole forze perturbative indotte dall’ambiente. Le caratteristiche manovriere della nave possono quindi essere così riassunte:

• al crescere di K aumenta l’attitudine all’evoluzione; • al crescere di 1/T aumenta l’attitudine al controllo e alla variazione di

rotta, migliora cioè la risposta al timone; • al crescere di T aumenta la stabilità dinamica.

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

ed in sostanza un alto rapporto K/T è indicativo di una buona manovrabilità, purché la nave abbia caratteristiche di stabilità dinamica nella norma. Il rapporto K/2T prende il nome di parametro di Norrbin e viene indicato con P, il cui valore minimo viene generalmente suggerito in 0,3.

Ovviamente, a causa delle notevoli (ma ragionevoli) semplificazioni fatte, l’equazione lineare, e quindi gli indici di Nomoto, non permetteranno di esprimere con esattezza il moto della nave, ciononostante tale formulazione viene spesso utilizzata per l’analisi della manovrabilità delle navi.

Gli indici di Nomoto possono essere desunti sia dalla manovra di evoluzione che da quella di zig–zag. È molto importante notare che tramite gli indici di Nomoto è perciò possibile mettere in relazione le caratteristiche di manovrabilità della nave con il momento evolutivo generato dal timone. Ciò consentirà in futuro di impostare il progetto del timone con riferimento diretto alle caratteristiche di manovrabilità della nave, infatti al momento le simulazioni numeriche non sono ancora così efficaci.

2.23 – Osservazioni sull’efficacia del timone

L’analisi della prova di evoluzione e della prova di zig–zag risultano particolarmente utili per mettere in rilievo le condizioni di funzionamento estreme del timone. Dall’analisi delle modalità di accostata della nave si è visto che la forza utile generata dal timone varia considerevolmente durante la manovra, infatti si riduce sia per effetto della diminuzione della velocità di avanzo della nave, sia per effetto dell’angolo di deriva al timone. In conclusione le forze sul timone sono massime nell’istante di inizio della manovra di evoluzione o di controllo della rotta (nella fase di yaw checking), e quindi all’inizio della generica fase di accostata ad angolo di barra costante. Per questo motivo i dimensionamenti strutturali vanno fatti considerando che la nave proceda alla massima velocità in marcia avanti o in marcia addietro e con riferimento all’istante in cui, all’inizio dell’evoluzione, il timone abbia raggiunto il massimo angolo di barra.

Lo studio della prova di stabilità (steering diagram) mostra anche che, all’aumentare dell’angolo di barra del timone, il diametro di girazione si riduce con proporzionalità non lineare e tende ad un valore asintotico, infatti quando l’angolo di barra al timone supera i 30°÷35° le qualità evolutive sostanzialmente non migliorano. Di conseguenza i timoni non vengono manovrati oltre tali valori limite, anche se in queste condizioni l’angolo di attacco effettivo si trova ben al di sotto del valore dell’angolo di stallo.

Riguardo al valore del massimo angolo di barra efficace, possono essere ricordati i risultati delle prove al vero condotte ad Indret sulla Loira da Joessel nel 1873. Egli misurò la forza idrodinamica che nasce, durante

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

l’accostata, su timoni rettangolari a lastra semplice. Si tratta certamente di pale dalla geometria obsoleta, ma i risultati confermarono già allora che il valore di circa 35º dell’angolo di barra è quello che fornisce il massimo momento evolutivo.

Un’altra osservazione interessante che si può fare in base a queste note è quella che chiarisce quali sono i motivi, legati alla manovrabilità, che giustificano il fatto che il timone venga posizionato nella volta di poppa e non in corrispondenza del dritto di prora della nave.

La collocazione del timone a poppa risponde ad una esigenza fondamentale di sicurezza rispetto alle collisioni ed all’impatto con corpi estranei, ma risulta anche la più funzionale dal punto di vista dell’efficacia nei confronti dell’accostata. Nel caso di timone a prora si ha infatti che:

• la forza trasversale utile FT è orientata all’interno della traiettoria, • la forza trasversale utile FT si riduce in intensità.

Il fatto che la forza trasversale utile FT sia orientata all’interno della traiettoria comporta che si crei un maggior momento di resistenza idrodinamica MW, infatti in questa circostanza la forza idrodinamica WA+D (agente a prora verso l’esterno della traiettoria) genera un momento verticale MW,A+D dello stesso segno del momento MW,Y (al contrario di quanto avviene quando il timone si trova a poppa). All’equilibrio in condizioni stazionarie si ha infatti:

, ,E W Y W A DM M M += + [Nm] (2.22.A)

É importante notare che in questo modo si viene ad avere un minore angolo di deriva (infatti WA+D tende a chiudere l’angolo di deriva), ed è noto che un minore angolo di deriva è associato ad un più ampio raggio di girazione.

Inoltre, la forza trasversale utile FT si riduce in intensità a causa della riduzione dell’angolo effettivo d’attacco, infatti non si manifesta alcun effetto di raddrizzamento del flusso (raddrizzamento che si ha invece nella scia della nave e dell’elica). Di conseguenza il momento evolutivo ME tende ad essere di minore intensità.

Il caso di nave con timone a prora è molto simile, per certi versi, a quello di nave con timone a poppa che procede all’indietro per esigenze di manovra (si veda la Fig.2.23.A), in tale circostanza comunque esiste almeno l’effetto di raddrizzamento del flusso offerto dall’elica. L’inefficacia del timone è resa particolarmente evidente dalla situazione che si viene a creare per effetto dell’angolo di deriva.

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Cap.2 – La manovrabilità della nave

APP. 1 – Elenco dei simboli

α [°] angolo di barra, angolo di attacco geometrico al timone αE [°] angolo di attacco effettivo ideale al timone α0 [°] angolo di barra di controllo nella manovra di zig–zag β [°] angolo di deriva βR [°] angolo di deriva al timone β0 [°] seconda costante nell’Eq.2.12.B δ [°] angolo di orientazione della linea di fede della nave δmax [°] angolo δ massimo in ogni evoluzione a zig–zag δP [°] second overshoot angle nella manovra di zig–zag δS [°] first overshoot angle nella manovra di zig–zag δ0 [°] angolo δ di controllo nella manovra di zig–zag ψ [rad/s] velocità di imbardata della nave ψO [rad/s] velocità residua di imbardata nella prova di pull–out ψ [rad/s2] accelerazione di imbardata della nave

bW [m] braccio della forza WA+D rispetto al baricentro nave B [m] larghezza della nave cB [-] coefficiente di pienezza della nave DT [m] diametro tattico FC [N] forza centrifuga FT [N] componente utile della forza generata dal timone i [m] raggio d’inerzia della nave all’imbardata J [kg m2] momento d’inerzia della nave all’imbardata κ [-] coefficiente di raddrizzamento del flusso kβ [-] prima costante nell’Eq.2.12.B K [s–1] primo indice di Nomoto L [m] lunghezza della nave LPP [m] lunghezza della nave tra le perpendicolari mE [Nm/rad] momento di evoluzione unitario mW [Nms/rad] momento di smorzamento unitario ME [Nm] momento evolutivo MW [Nm] momento di resistenza all’accostata MW,A+D [Nm] momento della forza WA+D rispetto al baricentro nave MW,Y [Nm] momento di resistenza all’imbardata P [-] parametro di Norrbin R [m] raggio di curvatura della rotta RG [m] raggio di girazione RT [N] componente ritardatrice della forza generata dal timone sI [m] tragitto percorso nel tempo tI nella manovra di zig–zag t [s] tempo tI [s] initial turning time nella manovra di zig–zag tC [s] time to check yaw nella manovra di zig–zag

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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T [m] immersione media di progetto della nave T [N] spinta dell’elica T [s] secondo indice di Nomoto V [m/s] velocità di avanzo della nave VA [m/s] velocità di avanzo in accostata VMax [m/s] velocità massima di servizio VT [m/s] velocità trasversale in accostata

∇ [m3] volume di carena W [N] resistenza all’avanzo in accostata WA+D [N] resistenza all’avanzo più deriva W0 [N] resistenza all’avanzo su rotta rettilinea xG [m] posizione longitudinale del centro di massa della nave