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15 · MARZO · 2013 SOMMARIO Anno III - n. 7 Messaggio per la Pasqua nuovo L’inizio del mondo I l Signore Risorto portatore di gioia e pace, di speranza e vita, desidera entrare nei nostri cuo- ri e nelle nostre case, nonostan- te trovi assai frequentemente le por- te chiuse ed a volte inspiegabilmen- te sbarrate. Il Vangelo ci narra che la sera di Pa- squa il Signore entra nella casa do- ve erano rinchiusi i discepoli smar- riti e spaventati per paura dei Giudei e li saluta con le parole “ Pace a voi! ”. Un saluto comune, usuale, che alla luce della Resurrezione assume un significato nuovo perché dona quel- la forza di operare forti cambiamen- Pasqua pagg. 1-8 Libri pag. 9 Prospettive di legalità e di solidarietà pag. 10-13 Lettere al Direttore pag. 13 Il servo di Dio Don Antonio Spalatro pagg. 14-15 Giornata Diocesana Gioventù 2013 pag. 16 Cammino penitenziale Confraternite pagg. 17 Ecclesia in Gargano pagg. 18-19 L’argentino Jorge Mario Bergoglio è papa Francesco: «Mi hanno preso alla fine del mondo...» I l primo sudamericano eletto Papa. Il primo a scegliere il nome del santo di Assisi. Fumata bianca alle 19.06. La scelta alla quinta votazio- ne «Fratelli e sorelle buonasera. Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un vescovo a Ro- ma e sembra che i miei fratelli cardinali siano anda- ti a prenderlo alla fine del mondo...ma siamo qui». Sono queste le prime parole di papa Francesco alla Chiesa cui ha chiesto di pregare e di implorare be- nedizioni per Lui. Jorge Mario Bergoglio, argentino, 76 anni, gesuita, è il 266 esimo Pontefice della storia della Chiesa. La fumata bianca che ha annunciato al mondo la sua elezione è arrivata alla quinta vo- tazione, nella seconda giornata del Conclave. Uno scrutinio in più di quanto richiesto, otto anni fa, per l’elezione di Benedetto XVI. Il comignolo della Cap- pella Sistina ha iniziato a fumare alle 19.06, la piaz- za San Pietro gremita di fedeli sin dalla mattinata è esplosa in un boato: «Viva il Papa! Viva il Papa!». A bbiamo attraversato giorni di tre- pidazione, avanzato a passi len- ti riflettendo sul ricco e profon- do ministero petrino di Benedet- to XVI, il Papa della fede amica della ragio- ne, abbiamo reso grazie a Dio per il magni- fico dono del suo ministero ed accompagna- to con la preghiera i Cardinali elettori riu- niti in Conclave. Ed ora, dopo l’attesa ci al- ziamo in piedi, eleviamo i nostri cuori, chi- niamo il capo e ascoltiamo l’annuncio del gaudium magnum, risuonato festoso nel- le nostre orecchie. Il Signore ci ha donato il nuovo Apostolo, il Successore di Pietro. Non siamo più soli: Pietro è con noi. Vogliamo continuare a contemplare le me- raviglie riservate alla Chiesa, guidata dal Signore Risorto che ha scelto un nuovo Pe- scatore che con rinnovata energia ci con- durrà al largo della storia per continuare ad annunciare la perenne novità della Pa- rola sempre nuova dell’Evangelo in questo nostro tempo post-moderno. La navigazio- ne della barca di Pietro riprende la rotta. Grazie, Padre santo, per aver detto “SI” . Un “SI” che ora anche noi sentiamo di dire a Te, Apostolo del Signore, senza riserve e con amore. Per questo, Ti abbiamo aspetta- to Pietro, e Tu non ti sei attardato. Il tuo arrivo tra noi, vero “fatto di Evange- lo”, non può che rafforzarci e renderci per davvero uomini liberi. HABEMUS PAPAM PIETRO È DINUOVO CON NOI ti interiori e di riuscire a superare ogni paura, anche quella che atta- nagliava i cuori dei discepoli timo- rosi. La Pace è perciò il dono che il Risorto fa a tutti i suoi discepoli che hanno il compito di por- tarla ovunque. Questa è la novità della Pasqua: la- sciare spazio alla Gra- zia e all’Amore che vin- cono il peccato, la mor- te, le divisioni. E del Risorto e dei suoi doni oggi abbiamo biso- gno più che mai per la no- stra rinascita umana e cristia- na. Cristo Risorto ha ribaltato de- finitivamente le pietre sepolcrali che spesso mettiamo su sentimenti, relazioni, comportamenti, e che creano divisioni, ini- micizie, rancori, dif- fidenze, indifferenze ed ostacolano il cam- mino della Pace. Solo Lui, nostra Pace, è l’Uni- co che dà senso alla nostra esistenza e ci infonde co- raggio, facendo riprendere il cammino della vita a chi è stanco, sfiduciato, triste, senza speranza, fiaccato dal male che oggi si espri- me nell’invidia, nell’orgo- glio, nella menzogna e nel- la violenza, ad ogni livello. Dopo l’incontro col Risor- to, ci narrano i Vangeli, i Discepoli ritrovano l’entusiasmo della fe- de, l’amore per la co- munità, il bisogno di stare insieme, di co- municare la Buona Notizia agli altri. La festa di Pasqua, cuo- re della nostra fede, sia per tutti noi, ca- rissimi fratelli e so- relle, tempo del no- stro risveglio in Cri- sto, autentica prima- vera dello Spirito ed occasione per riscoprire le sorgenti della nostra fede, lasciandoci incon- trare dal Risorto che cammina con noi e guida la nostra vita. E in questo Anno della Fede im- pegniamoci e prepariamo in questa nostra terra bene- detta una nuova fioritu- ra della fede e della ca- rità fraterna con itinera- ri di preghiera, ascolto, servizio fraterno, acco- glienza degli ultimi, nel- la riscoperta dell’autentica misura dell’Amore che su- pera ogni egoismo. E nel nostro impegno quotidiano non lasciamo- ci vincere dalle difficoltà e dal male, ma guardiamo a Lui, a Gesù Risorto. Perciò, prego innanzitutto che le no- stre famiglie si rinsaldino nella fe- deltà e nell’amore divenendo esem- pio luminoso della vita nuova in Cri- sto, che tutte le categorie sociali sap- piano superare le contrapposizioni, e che i giovani si incontrino con gli altri e soprattutto con gli adulti in un dialogo aperto, costruttivo, fidu- cioso. Tutti dobbiamo sentirci impe- gnati nel generoso servizio del bene comune. Il Signore Risorto cambia per davvero la condizione dell’uomo e della vita. Di Lui ci possiamo fida- re perché non appartiene al passa- to, ma è il presente, vivo e vitale, di ogni uomo. Sia, dunque, Egli speran- za e conforto per tutti, in particola- re per gli ammalati, i disoccupati, i genitori e gli educatori e per ogni si- tuazione umana di sofferenza e di ingiustizia. E mentre invoco su tutta la nostra Arcidiocesi la benedizione del Si- gnore Risorto che infonda nel nostro tempo la ripresa della costruzione di una società pacifica e solidale, augu- ro di trascorrere santamente e nella gioia questa festa, fondante la nostra fede e la nostra speranza. Alberto Cavallini OMMARIO Michelangelo Mansueto

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15 · MARZO · 2013

SOMMARIO

Anno III - n. 7

Messaggio per la Pasqua

nuovoL’inizio del mondo

Il Signore Risorto portatore di gioia e pace, di speranza e vita, desidera entrare nei nostri cuo-ri e nelle nostre case, nonostan-

te trovi assai frequentemente le por-te chiuse ed a volte inspiegabilmen-te sbarrate. Il Vangelo ci narra che la sera di Pa-squa il Signore entra nella casa do-ve erano rinchiusi i discepoli smar-riti e spaventati per paura dei Giudei e li saluta con le parole “Pace a voi!”. Un saluto comune, usuale, che alla luce della Resurrezione assume un significato nuovo perché dona quel-la forza di operare forti cambiamen-

Pasqua pagg. 1-8Libri pag. 9Prospettive di legalità e di solidarietà pag. 10-13Lettere al Direttore pag. 13

Il servo di Dio Don Antonio Spalatro pagg. 14-15Giornata Diocesana Gioventù 2013 pag. 16Cammino penitenziale Confraternite pagg. 17Ecclesia in Gargano pagg. 18-19

L’argentino Jorge Mario Bergoglio

è papa Francesco: «Mi hanno preso alla fine del mondo...»

Il primo sudamericano eletto Papa. Il primo a scegliere il nome del santo di Assisi. Fumata bianca alle 19.06. La scelta alla quinta votazio-ne «Fratelli e sorelle buonasera. Voi sapete che

il dovere del Conclave era di dare un vescovo a Ro-ma e sembra che i miei fratelli cardinali siano anda-ti a prenderlo alla fine del mondo...ma siamo qui». Sono queste le prime parole di papa Francesco alla Chiesa cui ha chiesto di pregare e di implorare be-nedizioni per Lui. Jorge Mario Bergoglio, argentino, 76 anni, gesuita, è il 266 esimo Pontefice della storia della Chiesa. La fumata bianca che ha annunciato al mondo la sua elezione è arrivata alla quinta vo-tazione, nella seconda giornata del Conclave. Uno scrutinio in più di quanto richiesto, otto anni fa, per l’elezione di Benedetto XVI. Il comignolo della Cap-pella Sistina ha iniziato a fumare alle 19.06, la piaz-za San Pietro gremita di fedeli sin dalla mattinata è esplosa in un boato: «Viva il Papa! Viva il Papa!».

Abbiamo attraversato giorni di tre-pidazione, avanzato a passi len-ti riflettendo sul ricco e profon-do ministero petrino di Benedet-

to XVI, il Papa della fede amica della ragio-ne, abbiamo reso grazie a Dio per il magni-fico dono del suo ministero ed accompagna-to con la preghiera i Cardinali elettori riu-niti in Conclave. Ed ora, dopo l’attesa ci al-ziamo in piedi, eleviamo i nostri cuori, chi-niamo il capo e ascoltiamo l’annuncio del gaudium magnum, risuonato festoso nel-le nostre orecchie. Il Signore ci ha donato il nuovo Apostolo, il Successore di Pietro. Non siamo più soli: Pietro è con noi. Vogliamo continuare a contemplare le me-raviglie riservate alla Chiesa, guidata dal Signore Risorto che ha scelto un nuovo Pe-scatore che con rinnovata energia ci con-durrà al largo della storia per continuare ad annunciare la perenne novità della Pa-rola sempre nuova dell’Evangelo in questo nostro tempo post-moderno. La navigazio-ne della barca di Pietro riprende la rotta.Grazie, Padre santo, per aver detto “SI”. Un “SI” che ora anche noi sentiamo di dire a Te, Apostolo del Signore, senza riserve e con amore. Per questo, Ti abbiamo aspetta-to Pietro, e Tu non ti sei attardato. Il tuo arrivo tra noi, vero “fatto di Evange-lo”, non può che rafforzarci e renderci per davvero uomini liberi.

HABEMUS PAPAM

PIETRO È DINUOVO CON NOIti interiori e di riuscire a superare ogni paura, anche quella che atta-nagliava i cuori dei discepoli timo-rosi. La Pace è perciò il dono che il Risorto fa a tutti i suoi discepoli che hanno il compito di por-tarla ovunque. Questa è la novità della Pasqua: la-sciare spazio alla Gra-zia e all’Amore che vin-cono il peccato, la mor-te, le divisioni.E del Risorto e dei suoi doni oggi abbiamo biso-gno più che mai per la no-stra rinascita umana e cristia-na. Cristo Risorto ha ribaltato de-finitivamente le pietre sepolcrali

che spesso mettiamo su sentimenti, relazioni, comportamenti, e che creano divisioni, ini-micizie, rancori, dif-fidenze, indifferenze ed ostacolano il cam-

mino della Pace. Solo Lui, nostra Pace, è l’Uni-

co che dà senso alla nostra esistenza e ci infonde co-raggio, facendo riprendere il cammino della vita a chi è stanco, sfiduciato, triste, senza speranza, fiaccato dal male che oggi si espri-me nell’invidia, nell’orgo-glio, nella menzogna e nel-la violenza, ad ogni livello. Dopo l’incontro col Risor-to, ci narrano i Vangeli,

i Discepoli ritrovano l’entusiasmo della fe-de, l’amore per la co-munità, il bisogno di stare insieme, di co-municare la Buona

Notizia agli altri. La festa di Pasqua, cuo-

re della nostra fede, sia per tutti noi, ca-rissimi fratelli e so-relle, tempo del no-stro risveglio in Cri-sto, autentica prima-vera dello Spirito ed

occasione per riscoprire le sorgenti della nostra fede, lasciandoci incon-trare dal Risorto che cammina con noi e guida la nostra vita.

E in questo Anno della Fede im-pegniamoci e prepariamo in

questa nostra terra bene-detta una nuova fioritu-ra della fede e della ca-rità fraterna con itinera-ri di preghiera, ascolto, servizio fraterno, acco-

glienza degli ultimi, nel-la riscoperta dell’autentica

misura dell’Amore che su-pera ogni egoismo. E nel nostro

impegno quotidiano non lasciamo-ci vincere dalle difficoltà e dal male, ma guardiamo a Lui, a Gesù Risorto. Perciò, prego innanzitutto che le no-stre famiglie si rinsaldino nella fe-deltà e nell’amore divenendo esem-pio luminoso della vita nuova in Cri-sto, che tutte le categorie sociali sap-piano superare le contrapposizioni, e che i giovani si incontrino con gli altri e soprattutto con gli adulti in un dialogo aperto, costruttivo, fidu-cioso. Tutti dobbiamo sentirci impe-gnati nel generoso servizio del bene comune. Il Signore Risorto cambia per davvero la condizione dell’uomo e della vita. Di Lui ci possiamo fida-re perché non appartiene al passa-to, ma è il presente, vivo e vitale, di ogni uomo. Sia, dunque, Egli speran-za e conforto per tutti, in particola-re per gli ammalati, i disoccupati, i genitori e gli educatori e per ogni si-tuazione umana di sofferenza e di ingiustizia.E mentre invoco su tutta la nostra Arcidiocesi la benedizione del Si-gnore Risorto che infonda nel nostro tempo la ripresa della costruzione di una società pacifica e solidale, augu-ro di trascorrere santamente e nella gioia questa festa, fondante la nostra fede e la nostra speranza.

Alberto Cavallini

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Periodico dell’Arcidiocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni RotondoAnno III - n. 7 - 15 marzo 2013Iscritto presso il Tribunale di Foggia al n. 13/2010del Registro Periodici - Cronologico 1868/10del Registro Pubblico della StampaDirettore responsabileAlberto CAvAllini

RedazioneUfficio per le Comunicazioni Sociali dell’ArcidiocesiVia s. Giovanni Bosco n. 41/b - Tel 0884.581899 71043 Manfredoniae-mail: [email protected]@tin.itLe foto pubblicate sono di Michele Martino e di Alberto Cavallini ed appartengono all’archivio fotografico dell’Ucs dell’Arcidiocesi

Hanno collaborato a questo numero: don Pasquale Vescera, don Tonino Baldi, don Antonio Di Candia, don Domenico Facciorusso, don Salvatore Miscio, p. Ladislao Suchy csma,

Jacopo Iadarola, monaco di Pulsano, Pasquale Caratù, Giovanni Chifari, Michelangelo Mansueto, Antonio Stuppiello, Giuseppe Barracane, Mimmo Delle Fave, Nicola Parisi, Matteo Siena, Alfredo De Luca, Benedetto Monaco,Maria Chiara Bavaro, Pasquina Buonasorte, Antonia Palumbo, Giovanna D’Apolito, Innocenza Starace, Gemma Barulli, Vittoria Del Grosso.

Il periodico VOCI e VOLTI è iscritto alla

Stampa:Grafiche Grilli - Via Manfredonia Km 2,200 - 71121 Foggia

Il giornale diocesano VOCI e VOLTI può essere letto in formato elettronico o scaricato dall’home page del sito della nostra Arci-diocesi: www.diocesimanfredoniaviestesangiovannirotondo.itoppure dall’home page approfondimenti del sito: www.abbaziadipulsano.it Questo numero è stato chiuso in redazione il 12 marzo 2013.

Pasqua eterna Passione e Risurrezione

la della glorificazione... Se rimania-mo in equilibrio fra Passione e Ri-surrezione, tale dilemma non si po-ne, perché la Passione di Cristo è bea-ta, è risorta, è eterna. Come la Risur-rezione non è semplicemente un feli-ce epilogo della Passione, così la Pas-sione non è un semplice preambolo della Risurrezione. Né è stata un tri-buto da pagare a un Dio irato per poi scomparire: invece, i piedi e le ma-ni di Cristo ancora oggi sono fora-ti. Il mistero pasquale, che è mistero di Passione e Risurrezione, ha que-sto insegnamento abissalmente pro-fondo da darci: il nostro dolore non è sterile. Le nostre ferite, come quel-le di Cristo, non sono soltanto orrori che dobbiamo eliminare, cancellare. Tutt’altro: sono la cifra più chiara del nostro essere a Sua immagine: Dio è da sempre ferito per noi. Si è ferito per crearci, aprendo in sé uno spazio vuoto per la nostra libertà, e si è mor-talmente ferito per salvarci, apren-doci la via della Risurrezione con la Passione (alla Prima solo attraverso la Seconda: cf. prefazio della Trasfi-gurazione della II Dom. di Quaresi-ma; cf. Lc 16,31 con 24,25-27) Ora, stiamo attenti: questa Risurre-zione non depenna la Passione. Ri-cordiamolo ancora: il mistero pa-squale è “mistero di beata Passione e Risurrezione”, ora e sempre, mai l’Una senza l’Altra. Lo ripetiamo ad ogni Messa nel mistero della fede. Nei prefazi della Settimana Santa “contempliamo ormai vicini i giorni della sua Pasqua di morte e risurre-zione”. Mai Risurrezione senza Pas-sione, e mai Passione senza Risur-rezione. Tanto che agli albori della Chiesa questo mistero incomprensi-bile era celebrato unitariamente in un unico giorno; e solo successiva-mente, come in un big bang liturgi-co, gli aspetti di quest’unico mistero hanno cominciato ad esser celebrati in diversi frammenti temporali: Pa-squa-Risurrezione, Pasqua-Passio-ne, Pentecoste, Ascensione, Quare-sima, Natale, Avvento...ma la singo-larità iniziale del mistero pasquale è stata sempre preservata (anche se in modi diversi) nella sua integrali-tà, specie a partire dal rinnovamen-to liturgico conciliare, che ha voluto che si celebrasse il triduo pasquale - il fulcro dell’anno liturgico - come un’unica lunga celebrazione, di 72 ore, della Passione, morte e Risurre-zione del nostro Signore, culminante non tanto nella Messa della Domeni-

ca di Risurrezione, quanto nella Ve-glia Santa: notte in cui, dopo aver in-ferto al cero pasquale le piaghe glo-riose di Cristo (le “pigne”), cantere-mo nell’Exultet: “Questa è la vera Pa-squa, in cui è ucciso il vero agnello...questa è la notte in cui Cristo, spez-zando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro.” Quest’unita-rietà è tale che i Padri dei primi se-coli poterono addirittura riferire la Pasqua più alla Passione che alla Ri-surrezione (così in Melitone di Sardi, Apollinare di Gerapoli, Tertulliano, Afraate il siro, Ireneo di Lione, Cro-mazio di Aquileia...), ritenendo vali-da l’etimologia di Pasqua dal verbo greco pascho ‘soffro’. Origene avreb-be successivamente ricordato il ve-ro significato del termine ebraico pe-sach, ‘passaggio’, ma il valore della Passione, accanto alla Risurrezione, sarebbe sempre rimasto centrale, fi-no ad oggi, a guai se lo dimenticas-simo. La croce non è stata un bigliet-to per il paradiso che il Figlio ha pa-gato per noi e che poi ha buttato nel cestino. No: in quella croce eterna - croce che spartisce la Trinità in un infinito essere-per delle tre Persone, croce che quotidianamente segna le nostre vite - trovano il senso e il fi-ne tutti i nostri dolori. Il fine più che la fine. Quante Pasque celebreremo quest’anno fra i problemi di sempre? In famiglie disgregate, in affetti vo-lati via, fra debiti insoluti, fra lavori persi, fra malattie incurate? La Pa-squa non viene ad eliminare i nostri dolori con un batuffolo d’ovatta, no. Li preserva tali dolori, ma li rende doglie. Ci fa capire che se li viviamo in Dio Amore, quei dolori partecipe-ranno del Suo dolore creativo e re-dentivo (cf. Col 1,24), e potranno al-lora aprirsi a forma di croce, la for-ma dilacerante che deve assumere ogni vero Amore per passare attra-verso un mondo segnato dall’odio e dal peccato (Passione), per sorpassa-re infine quest’odio e questo peccato (Resurrezione). Tale, in definitiva, è il ‘passaggio’ che Pasqua significa.Ci incoraggino nella comprensione di questo mistero i nostri antenati cristiani, che avevano problemi ben più gravi dei nostri, nell’infuriare delle persecuzioni, e tuttavia traboc-cavano di gioia: “Ci esiliarono e, soli, fra tutti, fummo perseguitati e messi a morte. Ma anche allora abbiamo ce-lebrato la festa di Pasqua. Ogni luo-go dove si pativa divenne per noi un posto per celebrare la festa: fosse un

ha rinnovato la vita.“ (Sacrosanctum Concilium 5).Ora, dove possiamo scorgere questo cuore? E lì: il costato aperto della sua beata Passione ci fa tuffare in questo cuore, dal cui sangue e dalla cui ac-qua siamo nati (Gv 19,34): “Quelle fe-rite, che già hanno effuso acqua per il lavacro e sangue a prezzo degli uo-mini, ora effondono la fede in tutto il mondo” (S. Pietro Crisologo, Omelia 84,9). Per questo quel costato rimane aperto in eterno: le ferite di Cristo e sono divenute feritoie di grazia anco-ra aperte nel suo corpo risorto e glo-rioso. Così sono apparse a Tommaso (Gv 20,27) prima dell’Ascensione, e così continuano a brillare, dopo l’A-scensione, nella patria eterna: “Poi vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dagli an-ziani, un Agnello, in piedi, come im-molato” (Ap 5,6). Così lo vede ancora oggi la Chiesa (vedi a lato il Battiste-ro di S.Giovanni, o l’iconografia bi-zantina dell’etimasia) quando procla-ma nel terzo prefazio pasquale: “sa-crificato sulla croce più non muore, e con i segni della passione vive im-mortale.” Quella Chiesa che, come la colomba di Noè (Gn 8,8), in queste ferite trova la finestra nell’arca ove tornare; come Mosè e come Elia, in queste ferite trova la cavità della ru-pe necessaria per l’incontro con Dio (Es 33,22; 1Re 19,9); come la colomba del Cantico (Ct 2,14), in queste ferite trova il suo riparo; come il moribon-do della parabola del samaritano (Lc 10,30), in queste ferite trova il suo ri-covero: infatti, “per le sue piaghe sia-mo stati guariti” (cit. di Is 53,5, I let-tura del Venerdì Santo, e da 1Pt 2,24, II lettura della IV Dom. di Pasqua - A). Per tutto questo “la sua Passione è la nostra Risurrezione!” esclamava S.Ignazio di Antiochia agli Smirne-si (5,3), anni luce dai nostri proble-mi accademici di rimarcare la Pas-sione o la Risurrezione, di preferi-re la teologia dell’espiazione o quel-

I contributi e le riflessioni a pubblicarsi nel prossimo numero di VOCI e VOLTI che uscirà venerdì 19 aprile 2013, per motivi tecnici, devono giun-gere per e-mail in Redazione entro e non oltre mercoledì 10 aprile 2013.

Pasqua: al cuore di Dio. E non diciamo “cuore” in sen-so figurato o teologale, ma cuore concretamente pul-

sante, perché cuore di un Dio vivente (Dt 5,26 - Ap 7,2), cuore di Gesù risor-to per la nostra giustificazione (Rm 4,25), risorto perché la nostra fede non sia vana (1Cor 15,17). E’ a parti-re dalla Risurrezione infatti che, co-me si canta in una bella antifona ve-spertina, “si compie il disegno del Pa-dre: fare di Cristo il cuore del mon-do.” (lun. della II sett. del salterio). Il Suo cuore, risorto il primo giorno del-la settimana (Lc 24,1: Vangelo della Veglia Pasquale), come un sole san-guigno che spunta da tenebre di mor-te, risplende ora nel cosmo: è il primo giorno della nuova creazione (Gn 1,5: I lettura della Veglia Pasquale), quel-la nuova creazione in cui è divenuto il cuore del mondo, ovvero, il nostro cuore risorto dalla pietra alla carne (Sir 17,16; Ez 11,19; 36,26: VII lettu-ra della Veglia Pasquale). Questo il cuore del “mistero pasqua-le della sua beata passione, risurre-zione da morte e gloriosa ascensio-ne, mistero col quale morendo ha di-strutto la nostra morte e risorgendo

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Jacopo Iadarola*

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La Pasqua del SignoreAntonio Stuppiello

Èormai risapu-to come la Pa-squa sia il fon-damento del mi-

stero di Cristo e della fe-de dei credenti in Lui. “A voi infatti ho trasmes-so, anzitutto quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i no-stri peccati secondo le Scritture e che fu sepol-to e che è risorto il terzo giorno secondo le Scrit-ture e che apparve a Ce-fa e quindi ai Dodici. In seguito ap-parve a cinquecento fratelli in una sola volta (…). Ultimo fra tutti appar-ve anche a me come a un aborto.(…). Ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vo-stri peccati”(1 Cor 15, 3-6.8.17), dice san Paolo scrivendo alla comunità di Corinto. Si capisce subito che la Pa-squa del Signore è la realtà principa-le e densa di eventi che attraversa e innerva tutta la Storia della salvez-za, il piano di Dio che nel suo sostan-ziale Amore è sempre rivolto verso l’uomo per stare con lui, opera delle sue mani e figlio amato sempre. Non sempre però il “mistero pasquale” è stato considerato quale esso è, in-fatti le controversie cristologiche dei primi secoli e la teologia medievale occidentale rischiarono di oscurar-lo, riducendo la risurrezione di Ge-sù a semplice “ prova “ della divini-tà di Gesù. Prima il movimento bibli-co e liturgico, poi i documenti del Va-ticano II (cf. Dei Verbum, n. 2, e Sa-crosanctum concilium) e la conse-guente riforma liturgica, hanno ri-dato agli eventi ultimi della vita di Gesù quello spessore teologico e sal-vifico culminante che essi avevano nella chiesa apostolica. Per esprimere tale complesso di fatti si è valorizzata l’antica espressione “il mistero pasquale“ di Cristo. Essa risulta dalla combinazione dei due temi paolini “Cristo nostra Pasqua”( 1Cor 5, 7) e “il mistero di Cristo” (Col 4, 3; Ef 3, 4). Fu usata frequentemen-te già da Melitone di Sardi per indi-care il “mistero” della morte-risurre-zione di Cristo, mistero considerato riassunto e vertice non solo della vi-ta di Gesù, ma anche di tutta la sto-ria salvifica precedente; esso veni-va presentato con lo stesso dei cul-ti “misterici” pagani ma, in contrap-posizione ad essi, come l’unico sal-vifico. Gli stessi scritti neotestamen-tari sono unanimi nel descrivere co-

me culminanti, nelle prospettive di Gesù, i fatti pasquali nella loro glo-balità di passione-morte- risurrezio-ne- ascensione. Nei vangeli sinotti-ci vediamo Gesù del tutto orientato, nella seconda parte della vita pub-blica, verso la passione-risurrezio-ne, sulla scia del giusto perseguita-to ma riabilitato da Dio, e in partico-lare con lo spirito sacrificale del Ser-vo del Signore presentato da Isaia (c. 53. Cf. le frequenti predizioni della passione); inoltre i Sinottici sottoli-neano che Gesù volle istituire il rito eucaristico proprio nel contesto della cena pasquale ebraica (Mc 14, 12-25 e par.), perché voleva farne il “memo-riale” e l’attualizzazione del sacrifi-cio personale di tutta la sua vita, va-lida per ottenere da Dio per tutti gli uomini una liberazione o “esodo” (cf. Lc 9, 31) più perfetto di quello ope-rato a favore del suo popolo con la li-berazione dall’Egitto, tramite il san-gue dell’agnello. Anche per il quar-to vangelo tra i vari eventi della vi-ta di Gesù vi è l’ “ora” centrale della passione-risurrezione ( Gv 12, 23.27; 13, 1; 17, 1-3); essa viene colorata con tinte pasquali e descritta secondo il rituale dell’agnello pasquale ebrai-co (cf. 19, 14.29.36). Per capire ta-li richiami si deve tener presente il significato che aveva allora per gli ebrei la festa di pasqua. La “pasqua” (pascha in greco, pèsah in ebraico) veniva fatta derivare dal-la radice pasah (saltare) ad indica-re il “salto” delle case ebree, segna-te col sangue dell’agnello, compiu-to dall’angelo sterminatore (Es 12, 13.23.27); indicava sia la veglia fe-stiva sia l’agnello sacrificato e man-giato nella cena notturna della luna piena di marzo (14 di nisan). Essa era anzitutto “memoriale” di quanto Dio aveva fatto per il popolo ebraico nel liberarlo dalla schiavitù religio-so-politico-sociale d’Egitto. La ripe-tizione liturgica annuale era ricor-

do fatto a Dio, per invitarlo a rinnovare per i partecipanti al rito le meraviglie del pas-sato; ma era anche celebrata come un rito di attesa e pre-parazione della liberazione futura messianica, che si pensava collegata con una pasqua. Ora se ci soffermiamo sui misteri della vita del Cri-sto, dall’incarnazione alla crocifissione e morte, me-ditandoli e vivendoli quali misteri di salvezza, possia-

mo farlo grazie alla sua Risurrezio-ne, parte centrale del “mistero pa-squale”. E’ da essa che le parole e le opere di Gesù Cristo rivelano l’agire di Dio per l’uomo. La Pasqua di Gesù Cristo non solo è il passaggio di Ge-sù da questo mondo al Padre (Gv 13, 1), ma è anche il passaggio dei bat-tezzati, quelli che sono morti e sepol-ti con Cristo al peccato e sono risorti con lui a vita nuova (quella di figli di Dio), per essere poi uniti a Cristo an-che nella risurrezione corporale (cf. Rom 6, 1-11). Possiamo allora dire che la Risurre-zione di Gesù Cristo è il soffio divino , il senso, la vita nascosta ma pulsan-te che ha in primo luogo un valore re-troattivo, è l’orizzonte per compren-dere la vicenda e la persona di Gesù, e con ciò è il modello singolare del-la fede cristiana. Nella Risurrezione abbiamo la piena chiarificazione del mistero di Gesù che è contemporane-amente criterio e contenuto del van-gelo. Essa è la piena conferma della pretesa di Gesù avanzata nel suo an-nuncio del Regno e nella sua prassi di vita ed è evento personale di Gesù, cioè avviene in Gesù e per Gesù. La Risurrezione è una nuova e definiti-va azione di Dio, la sua autocomuni-cazione la quale opera prima di tutto in Gesù stesso. E a partire dalla Pa-squa il mistero di Gesù diventa ac-cessibile come colui che è il Cristo/Signore e il Figlio e, dunque, rivela e comunica Dio come il Padre suo e insieme come Padre che nel Figlio si comunica e si riconcilia con noi me-diante lo Spirito del Risorto.

campo, un deserto, una nave, una lo-canda, una prigione. I martiri perfet-ti celebrarono la più splendida delle feste pasquali, essendo ammessi al festino celeste.” (in Eusebio, Storia Ecclesiastica VII, 22,4)Verrà infatti il giorno benedetto, in cui Lui “asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la mor-te né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passa-te” (Ap 21,4); ma le nostre ferite, co-me quelle di Cristo, rimarranno! E, nella misura in cui saranno state ri-flesso dell’Amore per cui le abbiamo sopportate, saranno le parti più scin-tillanti dei nostri corpi risorti, come ci insegnano i Dottori della Chiesa (Agostino, Città di Dio XXII, 19,3; Tommaso d’Aquino, Somma teologi-ca, Supp. Q. 82 a.1 ad 5). Perché è in quelle ferite che avrem-mo scoperto la profondità dell’Amore di Dio (Ef 3,18), è in quei sepolcri che avremmo potuto ospitare la nostra Resurrezione, è in quei solchi che avremmo potuto innaffiare il nuo-vo albero della Vita, l’albero cosmi-co della Croce, così cantato in questo sconvolgente inno pasquale del II-III secolo: “Quest’albero è per me di sal-vezza eterna: di esso mi nutro, di es-so mi pasco. Per le sue radici io af-fondo le mie radici, per i suoi rami io mi espando, della sua rugiada io mi inebrio, dal suo spirito, come da sof-fio delizioso, sono fecondato. Sotto la sua ombra ho piantato la mia tenda (Ct 2,3) e ho trovato riparo dalla calu-ra estiva. Per i suoi fiori fiorisco, dei suoi frutti mi delizio a sazietà, e col-go liberamente i frutti fin dalle origi-ni a me destinati. Quest’albero è nu-trimento alla mia fame, sorgente per la mia sete, manto per la mia nudi-tà; le sue foglie sono spirito di vita e non foglie di fico...Quest’albero dalle dimensioni celesti si è elevato dalla terra al cielo, fondamento di tutte le cose, sostegno dell’universo, suppor-to del mondo intero, vincolo cosmi-co che tiene unita l’instabile natura umana, assicurandola con i chiodi in-visibili dello Spirito, affinché stretta alla divinità non possa più distaccar-sene.” (Pseudo-Ippolito Romano, Sul-la santa Pasqua). Non disprezziamo, dunque, i nostri sporchi e maledetti chiodi quotidia-ni, ma leviamoci, risorgiamo, e sco-priremo che solo essi avrebbero po-tuto farci comprendere che amare co-me Gesù è amare a perdere, è avere le mani bucate: e i pianti di lacrime diverranno pianti di gioia...

* monaco di Pulsano

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Come ebbe il merito di ricor-dare il noto studio del pa-dre gesuita F. X. Durrwell, La resurrezione di Gesù,

mistero di salvezza, ciò che comu-nemente è considerato l’epilogo del-la storia in realtà è il punto d’inizio. La Pasqua obbliga, infatti, i discepo-li di Gesù a rileggere la sua vita ter-rena. Gesù è il Cristo ed è risorto. Gli effetti della Pasqua, il dono dello Spi-rito, la piena conversione, rischiara-no in essi il ricordo, nasce così la te-ologia del mistero pasquale. La Pa-squa è una luce che illumina tutto ciò che era in precedenza. Allo scon-forto, al non senso, alla fine di tut-te le illusioni lascia il posto la gioia. La morte è sconfitta, la vita trionfa in quel corpo martoriato e sfigura-to, privo di salute, ma grande miste-ro di salvezza! Un corpo glorioso ma reale, che si può toccare, ma non trat-tenere, che prende cibo, e che testi-monia qualcosa di nuovo; un destino universale di salvezza per chi entra in comunione con Lui. Molto presto dunque la Pasqua suggerirà lo sche-ma del racconto dei vangeli sinot-tici: ministero di Gesù, salita a Ge-rusalemme dove avvengono morte e

resurrezione. “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio”(Mc 1,1). Il Cristo risorto è per Marco il Figlio di Dio, e l’evangelista vuole affermar-lo categoricamente fin dagli inizi del suo vangelo. Pietro professerà Gesù come il Cristo (Mc 8, 27-30) e poi il centurione romano come il Figlio di Dio (15,39). Il vangelo allora si può ben definire come un’opera pasqua-le, che nella vita terrena di Gesù tro-va l’identificazione con il “Figlio di Dio” che sembra essere la normale conclusione del sepolcro vuoto con il quale si chiude il racconto di Marco.Il Signore risorto è anche per Mat-teo la sintesi dell’intera dottrina del suo vangelo. Nelle pagine finali del vangelo, il Cristo risorto e glorifi-cato appare ai discepoli sul monte che aveva loro indicato, come il ve-ro Mosè (28,16), e ad essi manifesta il suo potere senza limiti (Mt 7,29; 9,6;21,23), ricevuto dal Padre, che or-mai si estende alle potenze del cie-lo e della terra. La risposta dei disce-poli è quella dell’adorazione (28,17), da qui la missione di salvezza offer-ta tramite loro a tutte le nazioni (Mt 8,11; 21,41; 22,8-10; 24,14.30; 25,32; 26,13).

La resurrezione di Gesù: epilogo o inizio?Infine anche per Luca la resurrezio-ne di Gesù assume un valore sinte-tico e riepilogativo della sua intera vita, lo dimostra il fatto che all’in-terno del discorso della resurrezio-ne sono raccontati diversi eventi che vanno dalla tomba vuota all’ascen-sione. L’evangelista sottolinea il sen-so salvifico di Gesù che entra nella gloria (24,26), gloria che passa attra-verso la croce, verso la quale proten-de l’intero ministero di Gesù, carat-terizzato dalla graduale ascesa verso il Calvario. Nel giorno di Pasqua si realizza la salvezza a lungo annun-ciata dai profeti, e trova senso pieno la Scrittura riletta ed interpretata al-la luce salvifica di Cristo (24,27.44).La morte non è l’ultima parola su Cristo, così come non lo è per cia-scun cristiano reso figlio nel Figlio. Gesù è risorto! Non possiede una nuova vita ma una vita nuova. Gesù non ritorna a vivere la vita di prima come ha fatto Lazzaro, ma la sua re-surrezione segna l’inizio di una vi-ta nuova che Gesù inaugura innan-zitutto per sé, come primogenito dei risorti, come nuovo Adamo che se-gna l’inizio di una nuova creazione, che poi è estesa per grazia a tutti i

credenti e accolta mediante al fede. Comprendiamo allora le parole che l’angelo dona a coloro che cercavano Gesù nel sepolcro: «Non abbiate pau-ra». È risorto! Gesù, infatti, ha vinto la morte. Il cristiano è chiamato a fa-re esperienza di questa resurrezione fin dalla sua vita terrena. Questo si-gnifica vivere da risorti con Cristo. Lasciare che i frutti della resurrezio-ne inizino a germogliare già qui in questa vita, attraverso una disponi-bilità che si apre al desiderio e alla ricerca di Dio, per poter sperimenta-re per dono e per grazia, quella con-versione che poi porta alla fede e da questa alle opere.

[Pasqua]

In questa domenica II di Pasqua la Chiesa ci presenta in tutti e tre i cicli l’episodio dell’incre-dulità di Tommaso, narrato nel

Vangelo di Giovanni. Accostiamo questo Vangelo a volte con saccen-teria, a volte con profonda umiltà. Ed è sintomatico che susciti in noi at-teggiamenti completamente oppo-sti. Anche oggi, il primo della set-timana, a porte chiuse, sta in mez-zo a noi Gesù il Risorto. Quelle por-te chiuse non sono forse quelle del nostro cuore desideroso di voler ve-dere il cambiamento degli altri, men-tre dovremmo incominciare a cam-biare il nostro cuore, rendendolo ca-pace di amore e di perdono? Molto spesso per noi le liturgie sono ripe-titive, non aprono al mistero… cioè, siamo distratti da tante cose, pen-siamo di più a ciò che faremo dopo, ai nostri problemi, meno, molto me-no a questo Gesù che viene ancora in mezzo a noi e ci parla. Anche oggi Gesù ci dona la sua pace, frutto del-la sua risurrezione, ma in fondo è lui stesso che si dona a noi come nostra pace (cf Ef 2,14). La pace, che è Lui, è un dono che va trafficato, trasmes-so, donato agli altri. Infatti: «Pace è solidarietà col prossimo. È insonnia perché la gente stia bene. È condivi-dere col fratello gioie e dolori, proget-ti e speranze. È portare gli uni i pe-si degli altri, con la tenerezza del do-no. È attesa irresistibile di incontri festivi. È ansia di sabati senza tra-monto, da vivere insieme sul cuo-re della terra. In attesa dell’ultima

Giuseppe Barracane*

II DI PASQUALA FEDE DI TOMMASOANNO C – (Gv 20, 19-31)

sera, che ci introduca nella domeni-ca eterna, di cui la pace che speri-mentiamo quaggiù è solo un palli-dissimo segno» (T. Bello). Che fa poi il Risorto? Ci mostra le mani piaga-te e il fianco squarciato. Ci invita dunque a riconoscerLo presente nel-le membra sofferenti della Chiesa. E chi sono? Il papà malato, la mam-ma anziana bisognosa di un aiuto, un amico che aspetta una parola di consolazione o di scambiare anche solo quattro chiacchiere. E aggiun-giamo anche quelli che incontriamo nei crocicchi della nostra storia e che ci chiedono solo uno spicciolo. Per questo il Risorto ci invia in missio-ne, lì dove siamo, lì dove siamo coin-volti nella vita di tutti i giorni, dove si vivono i drammi e le tensioni, le gioie e le sofferenze che ammanta-no la nostra vita. Non ci manda pe-rò da soli, ci dona il suo Spirito come forza capace di amare e di perdona-re. Il resto del racconto del Vangelo poi è risaputo ed è nota la figuraccia di Tommaso che per credere vuole vedere. Tommaso – mi piace veder-lo così – è uno di noi. Sgombriamo il campo da ogni presunzione… non siamo campioni della fede e la no-stra fede/vita deve essere inserita in un continuo cammino di conversio-ne. In una società come la nostra che esalta l’immagine, invece, il crede-re non ci basta più, vogliamo vede-re. Se è vero però che tutto ciò che è razionale è senz’altro reale, è anche vero che non tutto ciò che è reale è necessariamente razionale e “cade”

sotto i nostri sensi. La fede autenti-ca, allora, è fiducia, è abbandono in Dio e nel suo progetto a volte incom-prensibile e con tempi di realizzazio-ne che non sono i nostri. Le nostre mancanze di fede dunque si incar-nano in Tommaso e perciò lo sentia-mo come nostro compagno di viag-gio. Ad un certo punto del racconto la scena cambia: Gesù il Risorto vie-ne ancora, ci chiama per nome e si mostra: «Metti qui il tuo dito e guar-da le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco» (Gv 20, 27). È come se avesse detto: «riconosci-mi piagato e sofferente nel fratello e nella sorella che sta con te, che non vedi da tempo, con i quali hai deci-so di non avere più contatti perché te l’hanno fatta grossa». Qui sta al-lora la novità di questo Vangelo: ave-re occhi e cuore per vedere le neces-sità del prossimo e forza di perdona-re (questo è il nostro ministero lai-cale). Ed è per questo che «Solo chi perdona può parlare di pace» (T. Bel-lo). Solo da un cuore umile e rinno-vato viene fuori quella esclamazione stupefacente di Tommaso che ha ri-conosciuto in Gesù il Signore, il Dio dei vivi e dei morti, il Signore della storia. Siamo dunque tra quei beati a cui accenna Gesù, che credono pur senza aver visto? Eppure basta poco per essere beati: non essere “miopi” e abbandonarci in Lui che è il sen-so e la speranza della nostra vita.

*docente presso l’ISSR “Giovanni

Paolo II” di Foggia

Giovanni Chifari