120615 - Giugno

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giunto, in questi due anni, un tota- le di voti superiore al 60%. Il lettore avrà ben capito che non sto affatto proponendo una coalizione di go- verno che emargini i ministri della Lega; sto semplice- mente dimostrando che la sparata del presidente leghista (“Ora comandiamo noi!”) resta quello che è, proprio sol- tanto una sparata a vanvera. Certo, perché que- sta prospettiva ab- bia qualche probabilità di successo, occorre un po’ di buona volontà da tutte le parti. Sottolineo che il pre- sidente Jelmini ha già più volte ma- nifestato pubblicamente la disponi- bilità del PPD a collaborare con tutti per realizzare il bene del Cantone: e fa bene ad insistere, sia di fronte a chi vuole ridurci in posizione sub- ordinata, sia di fronte ai commen- tatori che ci rimproverano scelte di principio. Purtroppo la stessa disponibilità non si vede da tutte le parti, anzi qualche episodio sembra confermare che l’a- stio verso gli altri partiti non sia anco- ra spento. Cito un solo esempio: dopo le elezioni cantonali, il nuovo presidente del PLR della città di Mendrisio ha defini- to il PPD come “un regime che come tutti i regimi, sia pur nell’ubriacatura dei numeri elettora- li, potrebbe colare a picco da un momento all'altro”. (Cfr. L’Informa- tore, 24 giugno 2011). Mi spiace per lui, ma il momento di colare a picco, per il PPD, non è an- cora arrivato. Meno che meno nel Mendrisiotto. Giorgio Zappa Dopo ogni elezione, qualunque sia il risultato, si trova immancabil- mente qualcuno (politico o com- mentatore) pronto ad affermare che è stato compiuto un passo nel- la direzione del sistema maggiorita- rio. Sono i nostalgici di un sistema bipolare: sono coloro che giurano sul fatto che oggi le differenze fra i partiti non ci sono più e che il mon- do si può interpretare solo in base alla contrapposizione tra il bianco e il nero. Nel frattempo però i partiti aumentano di numero, ad ogni oc- casione nasce una costellazione nuova. Per quanto mi riguarda, ho già dato sull’ultimo numero di Pe- gaso un’interpretazione diversa del calo di impatto dei partiti tradizio- nali: si tratta in sostanza di un fe- nomeno di mobilità dell’elettore nato da una forte caduta del senso di appartenenza: qualcosa che si collega con il crescente individuali- smo della società moderna. La scheda senza intestazione Spesso si sente an- che dire che il calo dei partiti tradizio- nali sia da imputa- re alla scheda sen- za intestazione. Ma neppure questa ipotesi mi convince: i dati dimostra- no che i voti personali delle schede senza intestazione si distribuiscono fra tutti i partiti, secondo un calcolo approssimato, proprio in proporzio- ne al numero di schede che ciascu- no ha raccolto. Per questo, mi sem- bra più logico dire che il successo della scheda senza intestazione è una conseguenza, e non la causa, del calo di interesse per i partiti tra- dizionali. Le ragioni ideali dell’impegno Il fenomeno che ho descritto si ac- compagna con un innegabile pro- cesso di indebolimento delle ragioni ideali dell’impegno politico, sempre più sostituito da una ricerca del vantaggio immediato. D’altra parte non si può negare che la caduta di certe ideologie ha avuto l’effetto di indebolire tutte le altre, almeno nella percezione comune: per dir tutto, appare sempre meno neces- sario che concetti come liberalismo, solidarismo di natura socialdemo- cratica e popolarismo di ispirazione cristiana siano letti in assoluta con- traddizione tra loro. Certo, riman- gono prospettive diverse, ma la sto- ria ha insegnato a smussare le asprezze e ad apprezzare il contri- buto che ognuna delle tre prospet- tive può portare al bene comune. Forse domani altre prospettive ideologiche potranno farsi avanti ed acquistare meriti: ma non parlo certo di quelle dettate dall'antipoliti- ca, dalla volgarità degli attacchi per- sonali, dall’insulto degli altri. La politica cantonale Questo discorso mi porta diritto ad al- cune considerazioni che riguardano la politica cantonale. Il risultato delle ele- zioni cantonali ha regalato alla Lega la maggioranza relativa in Consiglio di Stato ed ha ridotto il peso del parti- to liberale; di conseguenza ha ri- dotto il peso dei partiti tradizionali, quelli, come ho già detto, che pos- sono essere definiti “partiti di idee”. Tuttavia il PLR, il PPD e il PS insieme hanno la maggioranza as- soluta in Governo e, quel che più conta, insieme hanno sempre rag- Pegaso Inserto di cultura politica e di politica culturale Principia Lo statuto delle Nazioni Unite Pagina III Personaggi Mino Martinazzoli Uno strano democristiano Pagina IV Etica sociale I beni della Terra sono per tutti, uomini e popoli Pagina VI-VII Pegaso Inserto mensile di Popolo e Libertà no. 73 - 15 giugno Politiche mondiali La partecipazione della Svizzera all’ONU Pagina II Primo piano Tre elezioni allo specchio (bis) Voti I dati dimostrano che i voti personali delle schede senza intestazione si distribuiscono fra tutti i partiti Collaborazione Il presidente Jelmini ha già più volte manifestato pubblicamente la disponibilità del PPD a collaborare con tutti i partiti

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Inserto mensile di Popolo e Libertà

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giunto, in questi due anni, un tota-le di voti superiore al 60%. Il lettoreavrà ben capito che non sto affattoproponendo una coalizione di go-verno che emargini i ministri dellaLega; sto semplice-mente dimostrandoche la sparata delpresidente leghista(“Ora comandiamonoi!”) resta quelloche è, proprio sol-tanto una sparata avanvera.Certo, perché que-sta prospettiva ab-bia qualche probabilità di successo,occorre un po’ di buona volontà datutte le parti. Sottolineo che il pre-sidente Jelmini ha già più volte ma-nifestato pubblicamente la disponi-bilità del PPD a collaborare con tuttiper realizzare il bene del Cantone:e fa bene ad insistere, sia di frontea chi vuole ridurci in posizione sub-ordinata, sia di fronte ai commen-

tatori che ci rimproverano scelte diprincipio.Purtroppo la stessa disponibilità nonsi vede da tutte le parti, anzi qualcheepisodio sembra confermare che l’a-

stio verso gli altripartiti non sia anco-ra spento. Cito unsolo esempio: dopole elezioni cantonali,il nuovo presidentedel PLR della città diMendrisio ha defini-to il PPD come “unregime che cometutti i regimi, sia pur

nell’ubriacatura dei numeri elettora-li, potrebbe colare a picco da unmomento all'altro”. (Cfr. L’Informa-tore, 24 giugno 2011).Mi spiace per lui, ma il momento dicolare a picco, per il PPD, non è an-cora arrivato. Meno che meno nelMendrisiotto.

Giorgio Zappa

Dopo ogni elezione, qualunquesia il risultato, si trova immancabil-mente qualcuno (politico o com-mentatore) pronto ad affermareche è stato compiuto un passo nel-la direzione del sistema maggiorita-rio. Sono i nostalgici di un sistemabipolare: sono coloro che giuranosul fatto che oggi le differenze fra ipartiti non ci sono più e che il mon-do si può interpretare solo in basealla contrapposizione tra il bianco eil nero. Nel frattempo però i partitiaumentano di numero, ad ogni oc-casione nasce una costellazionenuova. Per quanto mi riguarda, hogià dato sull’ultimo numero di Pe-gaso un’interpretazione diversa delcalo di impatto dei partiti tradizio-nali: si tratta in sostanza di un fe-nomeno di mobilità dell’elettorenato da una forte caduta del sensodi appartenenza: qualcosa che sicollega con il crescente individuali-smo della societàmoderna.

La schedasenzaintestazioneSpesso si sente an-che dire che il calodei partiti tradizio-nali sia da imputa-re alla scheda sen-za intestazione. Ma neppure questaipotesi mi convince: i dati dimostra-no che i voti personali delle schedesenza intestazione si distribuisconofra tutti i partiti, secondo un calcoloapprossimato, proprio in proporzio-ne al numero di schede che ciascu-no ha raccolto. Per questo, mi sem-bra più logico dire che il successodella scheda senza intestazione è

una conseguenza, e non la causa,del calo di interesse per i partiti tra-dizionali.

Le ragioni idealidell’impegnoIl fenomeno che ho descritto si ac-compagna con un innegabile pro-cesso di indebolimento delle ragioniideali dell’impegno politico, semprepiù sostituito da una ricerca delvantaggio immediato. D’altra partenon si può negare che la caduta dicerte ideologie ha avuto l’effetto diindebolire tutte le altre, almenonella percezione comune: per dirtutto, appare sempre meno neces-sario che concetti come liberalismo,solidarismo di natura socialdemo-cratica e popolarismo di ispirazionecristiana siano letti in assoluta con-traddizione tra loro. Certo, riman-gono prospettive diverse, ma la sto-ria ha insegnato a smussare leasprezze e ad apprezzare il contri-buto che ognuna delle tre prospet-tive può portare al bene comune.Forse domani altre prospettiveideologiche potranno farsi avantied acquistare meriti: ma non parlocerto di quelle dettate dall'antipoliti-ca, dalla volgarità degli attacchi per-sonali, dall’insulto degli altri.

La politicacantonaleQuesto discorso miporta diritto ad al-cune considerazioniche riguardano lapolitica cantonale. Ilrisultato delle ele-zioni cantonali haregalato alla Lega la

maggioranza relativa in Consiglio diStato ed ha ridotto il peso del parti-to liberale; di conseguenza ha ri-dotto il peso dei partiti tradizionali,quelli, come ho già detto, che pos-sono essere definiti “partiti diidee”. Tuttavia il PLR, il PPD e il PSinsieme hanno la maggioranza as-soluta in Governo e, quel che piùconta, insieme hanno sempre rag-

PegasoI n s e r t o d i c u l t u r a p o l i t i c a e d i p o l i t i c a c u l t u r a l e

PrincipiaLo statuto delleNazioni UnitePagina III

PersonaggiMino MartinazzoliUno strano democristianoPagina IV

Etica socialeI beni della Terra sonoper tutti, uomini e popoliPagina VI-VII

PegasoInserto mensile diPopolo e Libertà

no. 73 - 15 giugno

Politiche mondialiLa partecipazione della Svizzera all’ONUPagina II

Primo piano

Tre elezioni allo specchio (bis)

VotiI dati dimostrano che i voti

personali delle schede senza intestazione

si distribuiscono fra tuttii partiti

CollaborazioneIl presidente Jelmini ha già

più volte manifestatopubblicamente la

disponibilità del PPD acollaborare con tutti i partiti

Politiche mondiali

La partecipazione della Svizzera all’ONU: bilancio positivo L’adesione nel 2002, da allora valori condivisi e collaborazione attiva

Pegaso Venerdì 15 giugno 2012II

Il 10 settembre 2002 la Svizzeraè diventata il 190esimo Stato so-vrano membro dell’organizzazionedelle Nazioni Unite. L’adesione erastata approvata nei mesi preceden-ti, a seguito dell’iniziativa popolaredel 3 marzo 2002 conclusasi con1’489’062 voti favorevoli (54,6percento) e 1’237’719 contrari(maggioranza dei Cantoni: 12 a11). Nel 1986 il popolo aveva in-vece respinto una proposta di ade-sione all’ONU avanzata dal Consi-glio federale. La Svizzera è l’unicoPaese al mondo ad essere entratanell’ONU a seguito di una decísio-ne popolare.La Svizzera e l’ONU professano glistessi valori: lotta contro la pover-tà, rispetto dei diritti umani, de-mocrazia, coesistenza pacifica deipopoli e mantenimento delle basinaturali della vita. Gli obiettivi dipolitica estera espressi nella Costi-tuzione sono analoghi agli obiettividella Carta delle Nazioni Unite. LaConfederazione utilizza l’ONU co-me un forum multilaterale che fun-ge da punto di riferimento nelconseguimento di tali obiettivi, tu-telando così i propri interessi.La Svizzera è un Paese privo dimezzi per praticare una politica dipotenza ma è dotato di una pre-senza internazionale. In quanto ta-

le, ritiene che la sicurezza del dirit-to e la risoluzione pacifica dellecontroversie svolgano un ruolofondamentale. Per la Confedera-zione, la “potenza del diritto” èpiù vantaggiosa del “diritto dellapotenza”. Pertanto, la Svizzeravuole un’ONU forte e collabora co-me membro attivo per migliorarel’efficienza e l’efficacia dell'orga-nizzazione. Nei primi dieci anni inqualità di membro a pieno titolo,la Svizzera si è impegnata a favoredella creazione del Consiglio per idiritti umani dell’ONU (2006), delrafforzamento dello Stato di dirittonell’ambito del sistema di sanzionie dell’introduzione di miglioramen-ti nella gestione e nell’amministra-zione dell’organizzazione. Nell’O-NU, ogni Paese ha diritto a un vo-to, il che rappresenta un vantaggioper i Paesi piccoli.Nel 2011 il contributo della Svizze-ra al bilancio ordinario dell’ONU,alle operazioni di mantenimentodella pace, ai tribunali penali inter-nazionali e alle spese di ristruttura-zione della sede dell’ONU è statodi 130,4 milioni di franchi. Questocontributo, che è obbligatorio pertutti gli Stati membri, è calcolatoogni anno sulla base di vari criteri,tra cui il PIL. La Svizzera si classifi-ca quindi al 16° posto dei contri-

buenti, finanziando l’1,13% delbudget dell'organizzazione. A ciòsi aggiungono contributi volontariper sostenere attività supplementa-ri dell’ONU. L’adesione all’ONU non ha comun-que incrinato la neutralità dellaSvizzera. In altri termini, lo statutodi membro dell’ONU è compatibilecon la neutralità permanente. Il di-ritto internazionale della neutralitàimpone allo Stato neutrale di non

partecipare attivamente a conflittiarmati tra Stati. Inoltre, non deveapportare un sostegno militare anessuna delle parti coinvolte. Intempi di pace, lo Stato neutralepermanente non può assumere im-pegni giuridici che, in caso di con-flitto, gli impedirebbero di adem-piere ai suoi obblighi in materia dineutralità.

(fonte: www.eda.admin.ch)

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Con la Carta delle Nazioni Unite(1945) e la Dichiarazione Universaledei Diritti Umani (1948) si è apertauna nuova era nella storia dell’u-manità. Il principio secondo cui “il ri-conoscimento della dignità inerentea tutti i membri della famiglia uma-na e dei loro diritti, eguali e inalie-nabili, costituisce il fondamento del-la libertà, della giustizia e della pacenel mondo” prende il posto del prin-cipio di sovranità degli Stati. Ha cosìinizio una rivoluzione copernicananell’ordinamento internazionale: ladignità umana come il sole al centrodei sistema, l’etica universale recepi-

ta dalla norma giuridica che se nefa traghettatrice nei vari campi, acominciare da quello della politica.La globalizzazione dei diritti hapreceduto la globalizzazione in at-to nei vari campi; esiste quindi la“bussola globalizzata” per rispon-dere, in corretto rapporto di scala,alle sfide del governo della globa-lizzazione. Quanto proclamato dalla Dichiara-zione Universale è il risultato di unprocesso carsico della civiltà del di-ritto: i vari percorsi costituzionali,separatamente realizzati dagli Statinel corso dei secoli, sono emersi in

superficie confluendo nell'alveo diun nuovo Diritto internazionaleche esalta la vita delle persone el’eguaglianza dei diritti fondamen-tali. La Dichiarazione Universale èall’origine di un folto gruppo diconvenzioni giuridiche e protocolliche costituiscono il corpus organi-co del vigente Diritto mondiale. Perl’effettività di questo operano or-ganismi specializzati a livello inter-nazionale, nazionale e locale: dalConsiglio dei diritti umani delleNazioni Unite alle Corti regionali(europea, interamericana, africana),dall’Alto Commissario delle Nazio-

ni Unite, alle Commissioni naziona-li per i diritti umani. Le organizza-zioni della società civile con finali-tà di promozione umana si stannoappropriando del nuovo Diritto, fa-cendone il perno della loro legitti-mazione, formale e sostanziale, adagire dentro e fuori gli Stati di ap-partenenza.

da Antonio Papisca, “Il diritto della dignità umana. Riflessioni sulla globalizzazione

dei diritti umani”, Marsilio,

Venezia 2011

Creato un diritto mondiale

Principia

Lo statuto delle Nazioni UniteFirmato a San Francisco il 26 luglio 1945

Venerdì 15 giugno 2012 Pegaso III

Noi, popoli delle Nazioni Unite,

decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa

generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità,

a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona

umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole,

a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altre

fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti,

a promuovere il progresso sociale ed un più elementare tenore di vita in una più ampia libertà,

e per tali fini

a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato,

ad unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale,

ad assicurare, mediante l’accettazione di principi e l’istituzione di sistemi, che la forza delle armi non

sarà usata, salvo che nell’interesse comune,

ad impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i

popoli,

abbiamo risoluto di unire i nostri sforzi per il raggiungimento di tali fini.

In conseguenza, i nostri rispettivi Governi per mezzo dei loro rappresentanti riuniti nella città di San

Francisco e muniti di pieni poteri riconosciuti in buona e debita forma, hanno concordato il presente

Statuto delle Nazioni Unite ed istituiscono con ciò un’organizzazione internazionale che sarà

denominata le NAZIONI UNITE.

La Confederazione Svizzera ha aderito il 10 settembre 2002.

Personaggi

Mino Martinazzoliuno strano democristianoOrzinuovi, 30 novembre 1931 - Brescia, 4 settembre 2011Mino Martinazzoli è morto il 4 set-

tembre 2011, nella sua casa di Caion-vico, a pochi chilometri da Brescia. Na-to a Orzinuovi nella Bassa bresciana il30 novembre 1931, aveva frequenta-to il liceo classico “Arnaldo” a Brescia,laureandosi in giurisprudenza al “Col-legio Borromeo” di Pavia, per poi eser-citare la professione di avvocato. Co-mincia l’attività politica nel paese na-tale, come assessore alla Cultura. Apartire dagli anni Sessanta-Settanta siafferma nelle file della DemocraziaCristiana di Brescia; entra a far partedel Consiglio provinciale e diviene pre-sidente dell’amministrazione provin-ciale dal 1970 al 1972.Dal 1972 è parlamentare nazionale:prima senatore (1972-1983, e 1992-1994), poi deputato (1983-1992). Èministro di Grazia e Giustizia dal 1983al 1986, anni in cui si occupa, tra l’al-tro, dell’approntamento dell’aula bun-ker di Palermo per permettere il maxi-processo alla mafia. Affrontò anche ilproblema delle condizioni di vita all’in-terno delle carceri e quello del rispettodei diritti umani dei detenuti; nel 1986fu approvata la legge sulla dissociazio-ne, nota come Legge Gozzini. Dal1989 al 1990 è ministro della Difesa:sua la decisione di equiparare in termi-ni di durata il servizio militare e quellocivile. Si dimette in segno di dissensodalla legge Mammi, che riteneva ina-deguata in quanto non prevedeva unavera regolamentazione del sistemaprivato della televisione. Nel 1991-92è invece ministro delle Riforme Istitu-zionali e degli Affari Regionali nel set-timo governo Andreotti. Il 12 ottobre1992, con la Democrazia Cristiana tra-volta da tangentopoli, è eletto per ac-clamazione dal Consiglio nazionale se-gretario del partito, col compito nonfacile di salvare lo stesso partito. “Micapitò di dire che ero stato eletto qua-si per disperazione. Ed era una consta-tazione fondata. Per la mia storia, peril mio modo di essere nel partito, perquello che ero, sicuramente non rap-presentavo la continuità di una fisio-nomia democristiana. Ero certamenteuna scelta eccezionale in un momen-to eccezionale. Non credo di esserestato chiamato lì per dispetto, ma cre-do di avere a mia volta [...] rappresen-tato il segno di una tragedia che stava

incombendo”.Alle prese con un partito in grande dif-ficoltà e sempre più diviso sulle posi-zioni da prendere, Martinazzoli scegliela via dello scioglimento della Demo-crazia Cristiana, considerando esauri-ta, nella nuova stagione politica, la for-za trainante del partito di Alcide DeGasperi, e lancia la proposta di costi-tuire, sulle ceneri della DC e in conti-nuità ideale con essa, ma in disconti-nuità di classe dirigente, il nuovo Par-tito Popolare Italiano (PPI), che nascenel gennaio 1994 e riprende il nomedel partito fondato da don Luigi Stur-zo. “La ragione del cambiamento del-la sigla del partito fu questa: dar con-to, rendere visibile la necessità di tor-nare, per qualche misura, alle origini”. Alle elezioni politiche del 1994 Marti-nazzoli s’impegna nella costruzione diun polo autonomo di centro, doveconfluiscono anche i repubblicani conGiorgio La Malfa, i liberali con ValerioZanone e un gruppo di socialisti gui-dati da Giuliano Amato. Con MarioSegni fonda la coalizione del “Pattoper l'Italia”, che si presenta in tutti icollegi di Camera e Senato contro icandidati della sinistra e della destra.Martinazzoli non si candida alle ele-zioni e chiede a molti notabili demo-cristiani di fare lo stesso, per favorire ilrinnovamento della cultura democra-tico-cristiana nel nuovo Partito Popo-lare. I risultati delle elezioni sono tut-tavia deludenti: il “Patto per l'Italia”ottiene pochissimi collegi maggioritarie le liste del PPI nella parte proporzio-nale raccolgono un modesto 11%, unterzo dei voti della vecchia DC. Dopole elezioni Martinazzoli si dimette dasegretario e annuncia l’intenzione diabbandonare la politica attiva, scriven-do “un articolo di fondo per il giorna-le del mio partito, ‘Il Popolo’. Spiega-vo che non me ne andavo per dispet-to, ma per amore del mio partito.” Nell’autunno successivo (1994), tutta-via, pressato dalle richieste di molti epreoccupato della nuova alleanza dicentrodestra al potere, accetta di can-didarsi a sindaco di Brescia in una co-alizione di centrosinistra (col sostegnodel PPI e del PDS), prefigurando quel-l’alleanza che, col nome di Ulivo, qual-che mese dopo Romano Prodi esten-derà a tutta l'Italia. Vinto il ballottag-

gio contro il leghista Vito Gnutti, rima-ne sindaco fino al novembre del 1998,quando decide di non ripresentare lapropria candidatura. Nel 2000 accettadi candidarsi alla presidenza della re-gione Lombardia, in una sfida difficilecontro il presidente uscente RobertoFormigoni che è sostenuto anche dal-la Lega Nord, ma è sconfitto, ottenen-do solo il 32% dei consensi. S’impe-gna comunque come consigliere re-gionale fino alla scadenza naturale delmandato (nel 2005). Scriverà: “L’ultima campagna elettora-le nella quale mi impegnai fu quellaper le regionali del 2000. Una cosa chericordo molto malvolentieri, perchéquella, devo ammetterlo, è stata unacorsa contro la morte. È stato un erro-re dovuto alla circostanza che non vo-levo mancare a una parola data. E poiquel tanto di amore per le sfide im-possibili, che si annida dietro la mia mi-tezza, mi consiglia ogni tanto di farepazzie. Ma è stata una morte annun-ciata. Ma continuo a ritenere che for-se, un giorno o l’altro, anche quellacosa sarà riguardata con più compren-sione. Continuo a pensare che ungiorno o l’altro accadrà che i lombarditorneranno a raccattare il loro sennoandato sulla luna, e cominceranno apensare che quello che gli tocca di fa-re, per garantire la loro qualità della vi-ta, non è di pretendere di essere altrodall'Italia, ma invece di essere all’avan-guardia dei doveri degli italiani.“

In occasione delle elezioni politiche del2001 garantisce il suo sostegno alle li-ste della Margherita, ma nel 2002 noncondivide lo scioglimento del PartitoPopolare Italiano; nel 2004 si schiera afianco di Clemente Mastella ed è no-minato presidente di “Alleanza Popo-lare-UDEUR”, sempre con l’obiettivodi mantener viva una presenza auto-noma del cristianesimo sociale e de-mocratico nella politica italiana. Suc-cessivamente si dimette dall’incarico,preferendo una posizione più lontanadai riflettori, ma sempre attenta a sti-molare il dibattito politico e culturale.La figura di Mino Martinazzoli è statacaratterizzata “dall’intelligenza degliavvenimenti, dal carisma della parola,dallo stigma dell’inquietudine, daun’attitudine tutta riflessiva all’ascol-to, da una mai appagata curiosità in-tellettuale, da una congenita riserva-tezza, da un’istintuale ritrosia, a tortospesso vista come alterigia o suppo-nenza aristocratica, dalla pratica deldubbio metodico imposto dalla ragioncritica, dalla libertà nella ricerca intel-lettuale e dalla dirittura nella vita mo-rale”; da qui l’immagine falsa e fuor-viante di un Martinazzoli crepuscolare,persino definito l’Amleto italiano.

Da un testo di Anselmo Palini in Impegno, Rivista della fonda-

zione don Primo Mazzolari, Bozzolo, anno XXIII, n.1 aprile 2012

Pegaso Venerdì 15 giugno 2012IV

Europa

Non c’è crescita senza rigore finanziarioIn gioco il concetto stesso di Unione Europea che lascia troppa libertà agli StatiLa decisione delle autorità dell’U-

nione Europea di sostenere con almassimo 100 miliardi di euro il si-stema bancario spagnolo ha messoun po’ in sordina le paure che ave-vano attraversato i mercati finan-ziari nei giorni e nelle settimaneprecedenti. Il “fallimento” del si-stema bancario spagnolo avrebbepotuto provocare, più di quelloeventuale greco, il cosiddetto “ef-fetto domino” che si sarebbe ri-percosso con veemenza su tutti iPaesi europei, compresi quelli delnord, ed avrebbe probabilmentedato uno scossone a tutta l’econo-mia mondiale.L’effetto positivo è però durato po-chissimo, poiché già in fase dichiusura dello stesso giorno le bor-se erano tornate ai livelli preceden-ti. Anche per l’euro c’è stata unafiammata iniziale, ma poi i miglio-ramenti sono stati cancellati a finegiornata. Lo stesso intervento a fa-vore delle banche spagnole ha su-scitato perplessità quanto al suc-cesso dell’operazione. La Spagnanon è infatti il primo e non saràcertamente l’ultimo Paese costrettoa ricorrere all’aiuto dell’Europa,che va al di là di quanto avrebbefatto lo stesso Fondo Monetario In-ternazionale, disposto a fornire almassimo una quarantina di miliar-di. L’Europa, con quello spagnolo,porta a oltre 500 miliardi di euro ilcapitale impegnato per salvare il si-stema finanziario anche di Irlanda(85 miliardi), Portogallo (78) e Gre-cia con 240 miliar-di in due tappe.I massimi commen-tatori di questosettore interpreta-no, chi in modopositivo, cioè comeun atto di fiducianell’euro, chi inmodo negativo,cioè come un pal-liativo che non ri-solve la situazione di fondo e ri-schia di creare grossi problemi, siaalla Spagna, sia ad altri Paesi indifficoltà, sia di creare i presuppo-sti per il classico “pozzo di San Pa-trizio” per la Banca Centrale Euro-

pea. Lo si potrà evitare - moltoprobabilmente - se il salvataggiosarà accompagnato (e infatti lo è)da misure interne di ripristino diuna situazione debitoria oggi nonpiù sostenibile.Ma il rifinanziamento del sistemabancario spagnolo (come quello dialtri Paesi) pone un altro grossoproblema: il debito creato con il fi-nanziamento a privati (in Spagnasoprattutto nell’immobiliare) diven-ta un debito pubblico, cioè delloStato. Infatti il denaro che arriveràdall’Europa passerà attraverso unfondo statale, che alla fine se neassumerà la responsabilità e lo Sta-to si vedrà aumentare il propriodebito pubblico, da finanziare atassi molto più alti, data la pessi-ma classificazione. In pratica non siesce dalla situazione debitoria sen-za ulteriori sacrifici, sia per lo Sta-to, sia per le sue imprese e la suapopolazione.Qui ci si scontra quindi con il di-lemma che da tempo attanagliapolitici ed economisti: austerità ocrescita. Mentre la Germania pri-ma, e l’Europa poi, sono partitedal principio che non ci sarà cre-scita se prima non si saranno sa-nate le varie situazioni debitorie,oggi sembra delinearsi una mag-gioranza che vorrebbe ulteriori sti-moli alla crescita, prima di metter-si a risanare i conti pubblici. Prati-camente impossibile uscire dal di-lemma teorico, senza prima verifi-carlo nella pratica. Ma questa veri-

fica - qualora sipropendesse per lacrescita ad ognicosto - rischia diessere estrema-mente pericolosa,in previsione delmomento in cui gliaiuti attuali verran-no a scadere e ivari Paesi interes-sati dovranno rifi-

nanziarsi sul mercato. Qualcuno ci-ta il caso dell’Irlanda che, dopol’aiuto europeo, ha fatto qualchepiccolo miglioramento. Ma l’Irlan-da era ed è in una situazione par-ticolare. Lo stesso intervento per

economie come quella spagnola(fortemente indebitata e preda diuna enorme bolla immobiliare) oanche quella italiana non reagiran-no nello stesso modo senza azionimolto più importanti, che peròcreano molte incognite.Intanto bisognerebbe sapere chi èdisposto a finanziare una politica dicrescita economica, nei Paesi che nehanno bisogno, con il rischio di inde-bitare all’estremo la Banca Centraleo, nella migliore delle ipotesi, creareun potenziale inflazionistico in Euro-pa, magari della portata di quello vi-sto solo durante la crisi degli annitrenta. Non a caso laGermania, pressatada Francia e Italia,ha fatto qualchepiccola concessione,con due premesse:l’emissione di “eurobond” al posto del-le obbligazioni deisingoli Stati, ma acondizione che visia una politica fi-nanziaria unica in Europa, retta dal-l’UE e dalla BCE invece che dai sin-goli governi e delle singole Banchecentrali e che si sottoscriva il “Fi-scalpact”, che impegni cioè ognisingolo Paese a risanare la propria

situazione debitoria. In sostanza si dice che pensare dirisanare una situazione immetten-do altri soldi pubblici nel sistema,magari anche provocando una leg-gera ripresa dell’economia, è unapia illusione. Tanto più che l’azionenon è tanto valutata sul piano pu-ramente economico, ma dipendedalle molte pressioni politiche chesono nate, o stanno nascendo, inparecchi Paesi. Il continuo aumen-to del differenziale fra i tassi delleemissioni di singoli Paesi e quellitedeschi (lo spread) dimostra che ilmercato non crede a questa possi-

bilità. In fondo sirimette in gioco ilconcetto stessodell’Unione Euro-pea, che lasciatroppa libertà aisingoli Stati incampo economicoe finanziario. GliStati del Sud Euro-pa hanno approfit-tato di questa li-

bertà senza valutare l’impatto fi-nanziario. Ora quelli del Nord nonsono più disposti a sostenerlo, sen-za opportuni correttivi.

Ignazio Bonoli

AiutoLa Spagna non è il primo e

non sarà certamentel’ultimo Paese costretto a

ricorrere all’aiutodell’Europa

IllusioneSi dice che pensare di

risanare una situazioneimmettendo altri soldipubblici nel sistema è una pia illusione

Venerdì 15 giugno 2012 Pegaso V

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Quest’ultimo è invece al centro dell’ar-gomentazione sviluppata nel 1997 dalPontificio Consiglio della Giustizia edella Pace nel documento intitolato“Per una migliore distribuzione dellaterra. La sfida della riforma agraria”.Dopo aver descritto la situazione deilatifondi nei suoi diversi aspetti, esso fariferimento al Concilio Vaticano II perdichiarare: “Per la dottrina sociale, ilprocesso di concentrazione della pro-prietà della terra è considerato comeuno scandalo poiché si oppone net-tamente alla volontà e al disegnosalvifico di Dio, nella misura in cuinega a una grandissima parre dell’u-manità il beneficio dei frutti dellaterra” (n. 27).Un secondo ambito in cui viene ri-chiamato il principio della destina-zione universale dei beni è quello deimovimenti migratori. Pio XII nella Co-stituzione apostolica Exsul familia af-ferma che la migra-zione permette “ladistribuzione più fa-vorevole degli uomi-ni sulla superficie ter-restre; superficie cheDio creò e preparòper uso di tutti (n.78). L’introduzionedella nozione di su-perficie terrestre, checonferisce alla destinazione universaledei beni una dimensione geografica,costituisce una interessante innovazio-ne: gli uomini hanno in un certo mo-do il diritto di andare a cercare i benidella terra dovunque, se essi non sonodisponibili in quantità sufficiente nelluogo in cui vivono. Il più recente do-cumento sulla questione, l’IstruzioneErga migrantes, invoca il medesimoprincipio, ma costruendo il ragiona-mento in senso inverso: se delle po-polazioni sono costrette alla migra-zione, uno dei motivi è la cattiva ri-partizione dei beni della terra. Laconclusione si impone: per ridurre laspinta alla migrazione, occorre unadistribuzione più equa di tali beni, ilche esige la ricerca di un nuovo or-

dine economico internazionale. Una conseguenza, piuttosto indige-sta ai popoli ricchi, è il dovere di ac-cogliere le persone che migrano allaricerca delle risorse che mancano neiloro Paesi. Il Catechismo della Chie-sa cattolica lo formula in termini as-sai chiari: “Le nazioni più ricche so-no tenute ad accogliere, nella misu-ra del possibile, lo straniero alla ri-cerca della sicurezza e delle risorsenecessarie alla vita, che non gli è pos-sibile trovare nel proprio Paese di ori-gine” (n. 2241). Per la dottrina catto-lica, il diritto degli Stati di regolare iflussi migratori (in vista del bene co-mune e per nessun’altra ragione) è co-munque subordinato a quello ricono-sciuto a ogni uomo di avere accesso al-le risorse vitali. È quanto richiama, adesempio, la Conferenza episcopalemessicana: ”Il dono della terra all’uo-mo, la destinazione universale dei be-

ni per desiderio delCreatore e la solida-rietà umana sonoanteriori ai diritti de-gli Stati” (Mensaje alPueblo de México ya los hermanos mi-grantes y residentesen el extranjero, 15novembre 2002).

Nuovi sviluppiLa lenta presa di coscienza da partedella Chiesa dell'importanza eticadelle sfide ambientali, abbozzata findal 1971 (cfr. Octagesima adve-niens, n.21) non si è quasi mai fon-data sul principio della destinazioneuniversale dei beni, ma a riguardooccorre segnalare la novità del cap.IV dell’enciclica Caritas in veritate(CV), in cui Benedetto XVI esprime laconvinzione che quando affermia-mo che Dio ha destinato i beni dellacreazione a tutti gli uomini, bisognaincludere anche le generazioni futu-re (cfr. CV, n. 48). L’ampliamentodell’orizzonte temporale dell’univer-salità della destinazione dei benirappresenta un passaggio fonda-

mentale per l’approfondimento eti-co del concetto di sostenibilità (cfr.CV, n. 50). In nessun modo poi, la formulazio-ne del principio della destinazioneuniversale dei beni include una di-stinzione tra “beni di natura”, do-nati dal Creatore e che devono es-sere accessibili a tutti, e quelli pro-dotti dell’azione umana, per i qualivigerebbe un diverso regime. Que-sto modo di vedere, oltre a esserepraticamente insostenibile (la quasitotalità dei beni incorpora, pur inproporzioni variabili, prodotti dellanatura e frutti del lavoro umano),non è conforme alla teologia cri-stiana della creazione, per la qualeil Creatore affida all’attività umanail proseguimento della propria ope-ra. Tutti i beni esistenti, qualunquene sia la provenienza, devono“equamente esse-re partecipati atutti”. Poco primadella sua morte,Giovanni Paolo IIaveva precisatoquesto punto aproposito deifrutti del progres-so scientifico etecnico: “Il benedella pace va vistooggi in stretta relazione con i nuovibeni che provengono dalla cono-scenza scientifica e dal progressotecnologico. Anche questi, in appli-cazione del principio della destina-zione universale dei beni della ter-ra, vanno posti a servizio dei biso-gni primari dell’uomo” (Messaggioper la Giornata mondiale della pace2005, n. 7).Questa declinazione del principiopotrà illuminare il dibattito sui “benicomuni” (global commons), la cuidefinizione ed estensione è materiadi controversie in seno alle istituzio-ni internazionali. I cristiani si impe-gneranno a far prevalere una lorocomprensione ampia, ad esempio inmateria di proprietà intellettuale

delle scoperte terapeutiche (cfr CV,n. l, 22), piuttosto che la difesa di ri-vendicazioni nazionali o di interessiparticolari.Nel contesto della globalizzazione,le violazioni del principio della desti-nazione universale dei beni sono piùevidenti, così come più viva è la co-scienza dello scandalo della dis-uguaglianza tra gli uomini e tra i po-poli. Può la Chiesa accontentarsi diaffermare con forza che i beni sonodestinati a tutti senza fornire indica-zioni su come far rispettare questaesigenza? In effetti, il magistero so-ciale contiene alcuni stimoli: sono gliinviti - molto espliciti in GiovanniXXIII (cfr. Pacem in Terris, nn. 71-74),nel Concilio e recentemente in Be-nedetto XVI (cfr. CV, n. 67) - a co-struire istituzioni politiche mondialidotate di potere di decisione sui pro-

blemi che non posso-no trovare soluzionise non planetarie. Si tratta di un orienta-mento piuttosto ge-nerale, che non dicemolto sui mezzi perattuarlo, la cui ricercaspetta più alla compe-tenza dei laici - spe-cialmente quelli impe-gnati per convinzione

o per professione nelle sedi interna-zionali - che non al magistero. Ad es-so si può forse chiedere di affermarecon chiarezza ancora maggiore chenon ci sarà una giusta distribuzionedei beni della terra tra i popoli, se nonsi rimedierà alla iniqua ripartizione deipoteri decisionali tra di loro.

Christian Mellon, S.J.

del CERAS (Centre de Recherche etd’Action Sociales di Parigi).

La traduzione italiana, pubblicatadalla rivista AGGIORNAMENTI SO-

CIALI (Piazza S. Fedele 4, 20121 Mi-lano) è qui pubblicata per gentile

autorizzazione del Direttore responsabile padre Giacomo Costa.

RipartizioneSe delle popolazioni sonocostrette alla migrazione,uno dei motivi è la cattiva

ripartizione dei beni della terra

Pegaso Venerdì 15 giugno 2012VIII

EsigenzaPuò la Chiesa accontentarsidi affermare che i beni sonodestinati a tutti senza fornire

indicazioni su come far rispettare questa esigenza?

Economia

Venerdì 15 giugno 2012 Pegaso IX

Uscire dalla logica di mercatoLa crisi finanziaria viene da lontanoUn’occasione propizia per creare un sistema economico più vivibileDa storico dell’economia cerco di

capire le radici dell’attuale crisi chenon è nata né ieri né l’altro ieri, maviene da molto lontano, essendo l’e-sito di dinamiche iniziate vent’annifa, ma anche cent’anni fa e persinosecoli fa. Rischiamo di trovarci in po-co tempo nel punto di convergenzadi tre grandi “tempeste”: la crisi deisubprime, la fine dell’egemonia deldollaro e degli Stati Uniti, il veniremeno della capacità propulsiva delcapitalismo, tre elementi che posso-no causare un rivolgimento di enor-me portata. L’attuale crisi dei subprime o deiderivati è l’effetto malato di altrecrisi precedenti. La fine dell’ege-monia del dollaro e degli Stati Uni-ti, Paese guida dell’Occidente nel-l'ultimo secolo, è legata al venirmeno della capacità propulsiva delcapitalismo, nato in Europa pocodopo il primo millennio.

Dal primario al terziarioIl capitalismo è stato originato dalprevalere del settore secondario(industria) e del terziario (servizi), ascapito del primario (agricoltura). Ilprimario, cioè l’agricoltura che assi-cura l'alimentazione, dunque la so-pravvivenza, è stato progressivamen-te emarginato: un assurdo. Certo,l’aver messo il secondario al primoposto ha consentito all’Occidente diavere livelli di arricchimento scono-sciuti ad altri Paesi e in altri tempi e,con la mediazione della finanza, dieffettuare investimenti in altre attivi-tà servendosi delle risorse preceden-temente accumulate. Gradualmenteperò la finanza ha fatto più di quan-to le era richiesto (avere funzioneancillare rispetto all'economia reale)ed è diventata essa stessa uno stru-mento, in realtà illusorio, che crearicchezza, determinando però distor-sioni del sistema economico.Lo stravolgimento economico opera-to dalla finanza è ad un tempo cau-sa ed effetto della crisi che stiamovivendo. È vero che senza l’accumulazione dirisorse che poi sono state trasforma-te dalla finanza in beni che possonoessere investiti a loro volta per pro-durre altri beni, non ci sarebbe stata

la rivoluzione industriale. Ma questodinamismo che ha inizialmente de-terminato una grande crescita, haanche causato la crisi di oggi, che èla fase finale di un sistema che or-mai arranca, anche perché ha dele-gato i rapporti personali a quelli im-personali del mercato.

La trappola di MalthusIl sistema economico europeo dell’e-tà preindustriale, come i sistemi eco-nomici non industriali del resto delmondo, si era trovato di fronte a undato inquietante: una crescita piùveloce (geometrica) della popolazio-ne e una crescita più lenta (aritme-tica) delle risorse, la cosiddetta trap-pola di Malthus. Tutte le volte chele risorse aumentano in un certoambiente la popolazione cresce, mala crescita della popolazione annul-la l’effetto positivo dell’aumentodelle risorse, e quindi si rende ne-cessaria una diminuzione della po-polazione, a volte in modo cata-strofico (carestie, pestilenze, guer-re), a volte meno (migrazioni, con-tenimento nascite). L’Occidente è sfuggito alla trappoladi Malthus, a differenza di altre aree,grazie alle rivoluzioni economicheche hanno messo al primo postol’industrializzazione e risolto i proble-mi dell’agricoltura, e con l’attenua-zione della curva della natalità. L’e-quilibrio è così rimasto sino ai nostrigiorni. Ma i grandi cambiamenti av-venuti in Europa non derivano soloda fattori autoctoni, ma anche dal-l’aver drenato risorse da altre partidel mondo, dall'aver occupato altreterre, a partire dalle Americhe. Lacrescita di una parte del mondo èavvenuta a scapito di un’altra par-te che è diventata sempre più po-vera. Oggi stiamo toccando il fon-do. La crisi non è solo finanziaria,ma sta ormai intaccando l’econo-mia reale. Se un sistema per au-toalimentarsi necessita, come è av-venuto in Occidente, di creare incontinuazione bisogni, e per crearequesti bisogni gli serve di appro-priarsi di risorse che vengono dafuori, inevitabilmente giunge ad unpunto di rottura. Non è possibilecioè pensare di risolvere i problemi

del mondo industrializzato drenan-do risorse dall'esterno, senza tenerconto del progressivo impoveri-mento di parti del mondo. Addirit-tura si giunge ad usare beni ali-mentari, come i cereali, per farmuovere le macchine produttive(biocarburanti), mentre intere regio-ni muoiono di fame.

Trovare un nuovosistemaL’attuale situazione di crisi può es-sere l’occasione propizia per creareun sistema economico più vivibileper tutti gli uomini, una ”oikono-mia”, già prefigurata alla finedell’800 dal vescovo di Magonzavon Ketteler. Gli scambi tra persone non sono ri-ducibili alla logica del mercato. Lalogica del mercato, cioè dello“scambio simmetrico”, si basa sulperseguimento dell’interesse indivi-duale da ambedue le parti. Oltreallo scambio simmetrico, c’è lo“scambio asimmetrico”, fatto dal“dare senza nulla ricevere”. Essogenera successivi sviluppi fondatisul dono gratuito, sul volontariato,sulla cooperazione, sul non profit. La parola “scambio asimmetrico” èconosciuta da tempo dal mondocristiano con il termine di “cari-tas”. Il motto dello stemma di vonKetteler, tratto da san Paolo, era:“caritas in veritate”, che si potreb-be tradurre con: “mi faccio veritànel darti qualcosa”. Occorre cioè introdurre nello scam-bio economico qualcosa di diverso

e di migliore dello scambio simme-trico, sostituendolo con lo scambioasimmetrico, ritornare all’anticoequilibrio nella gerarchia dei fatto-ri produttivi, rimettendo al primoposto il primario che garantisce lasopravvivenza di tutti.

Un’economia più umanaQuali cammini intraprendere peruscire dall’attuale impasse? È possi-bile e opportuno rallentare l’aggra-varsi della crisi, ma questa stradanon può evitare il caos sistemico; es-so tuttavia può essere l’occasione diuna nuova epoca della storia. La crisi attuale può infatti esserel’occasione propizia per creare unsistema economico più vivibile pertutti gli uomini, appunto una “oi-konomia” che rende possibile il vi-vere armonicamente nella famiglia,nella casa e nella comunità, tuttifattori che rinviano a scambi trapersone non riducibili alla logicadel mercato, logica del mercatoche ignora che vi sono, e semprepiù vi saranno, difficoltà affronta-bili solo con la logica del “donogratuito”, la sola logica che puòconsentire l’istituzione di un’eco-nomia a misura d'uomo.

Riassunto di una relazione di Pietro Cafaro

insegnante di storia economica all’Università cattolica di Milano,

svolta l’11 febbraio 2012 a Pallanza,nel corso “Credenti di fronte alla cri-

si. Indicare e percorrere vie di un tempo nuovo”

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Recensioni

Alla scuola di PanikkarIn alcuni libri viene descritta l’articolata evoluzione del filosofo e sacerdote cattolico fedele al buddhismoFilosofo, teologo, sacerdote cattoli-

co, ma fedele anche all’induismo e albuddhismo - “sono partito cristiano,mi sono scoperto hindu e ritorno bud-dista, senza cessare per questo di es-sere cristiano”, ha scritto. Raimon Pa-nikkar è morto nella sua casa di Taier-tet sui Pirenei, il 26 agosto 2010. Daallora si sono moltiplicate le opere suquesto pensatore fra i più commessi estimolanti del nostro tempo, soprat-tutto sulle tematiche della spiritualitàe del pluralismo religioso. Nato nel1918 a Barcellona da madre catalanacattolica e da padre indiano induista,ordinato sacerdote nel 1946, Panikkarha vissuto una parabola teologica chelo ha visto maturare dalle sensibilitàpiù conservatrice dell’Opus Dei (a cuiha appartenuto per vent’anni), finoalle esperienze più di frontiera nel se-condo periodo della sua vita, quando“scoprì” l’induismo e il buddhismo.

Francesco Comina, ne “Il Cerchio diPanikkar” (Il Margine, Trento, 2011,pp. 168, euro 16), illustra l’articolataevoluzione del pensiero di Panikkar,con la passione del discepolo ma an-che con la competenza di chi lo hastudiato a fondo. Il libro, scrive SergeLatouche nella prefazione, ha il meri-to di ricostruire le affascinanti intui-zioni di Panikkar, intrecciando i fili diun’amicizia che rende il racconto piùimmediato e, a tratti, persino poetico.“In fin dei conti, quello che conta nel-la vita, non è tanto il logos, la razio-nalità, come insegnava il nostro ami-co, quanto l’essere, la vita, la relazio-ne di volti. La saggezza dell’amore èstato in questo mondo secondo unritmo circolare, non correndo ansi-mando lungo l’autostrada del tempolineare. ‘Il Cerchio di Panikkar’ ci indi-ca un cammino possibile”.“Raimon Panikkar profeta del dopo-

domani” (San Paolo, Milano, 2011,pp.316, euro 18) è invece un lungodialogo - frutto di decine di ore di in-terviste e colloqui personali - fra Raf-faele Luise, autore del volume, e Pa-nikkar, che racconta in prima perso-na e a 360 gradi la sua vita (compre-sa la poco nota parentesi fra le filadell’Opus Dei) e la sua elaborazioneteorica sul cristianesimo, l’induismo,il buddhismo, il dialogo fra le religio-ni e le culture, la politica, la non vio-lenza, la scienza e il futuro dell’interacomunità.Achille Rossi, teologo e animatore del-l’Altrapagina di Città di castello, è l’au-tore di altri due volumi dedicati al sa-cerdote indo-catalano, “Pluralismo earmonia” (Cittadella, Assuisi, 2011,pp. 331, euro 16) è una introduzioneal pensiero di Panikkar, di cui vengonopassati in rassegna i nodi centrali: laprospettiva filosofica, la cosmologia, il

pluralismo, l’intuizione cosmoteandri-ca - termine panikkariano per eccel-lenza - per arrivare ad una spiritualitàintegrale, capace di “reinterpretare ilDivino e recuperare l’umano”, e ad unnuovo stile di vita.In “Riflessi. L’amicizia con Raimon Pa-nikkar”, appena uscito (L’Altrapagina,Città di castello, pp. 112, euro 10),Achille Rossi racconta invece la sualunga e feconda relazione di amiciziacon Panikkar. “Se in ‘Pluralismo e ar-monia’, Rossi fa parlare Panikkar daisuoi testi - scrivono nell’introduzioneCarlo e Rita Bruzzi - in questo libro lofa parlare dalla vita, di un quotidianoriscattato dalla banalità cui lo condan-na la malattia moderna di dare impor-tanza a cose che non l’hanno, toglien-dola a ciò che l’ha”.

Testo di Luca Kocci, in ADISTA, 7 aprile 2012

Pegaso Venerdì 15 giugno 2012X

Un viaggio e un itinerario attraversola predicazione e le omelie di padre Er-nesto Balducci, alla ricerca del misterodell’incarnazione, ovvero del luogo incui Parola e Storia si intrecciano e sisaldano, per attualizzare il messaggiodi liberazione del Vangelo. È quelloche compie il teologo palermitanoRosario Giuè nel suo ultimo libro, ap-pena pubblicato dalle edizioni Paoli-ne, dedicato alle omelie dello scolo-pio morto vent’anni fa (Ernesto Bal-ducci. “La parola di Dio nella storia”,pp. 202, euro 16,50).“Non da oggi sostengo che il vero pa-dre Balducci stia nelle omelie - scriveRaniero La Valle nella prefazione al vo-lume -, perché se caduche possonoapparire talune delle sue interpretazio-ni storiche e proiezioni nel futuro, divalore decisivo e permanente apparela sua predicazione. E ciò per una ra-gione molto seria: che mentre nei suoilibri c’è solo Ernesto Balducci, nelle sueomelie c’è Ernesto Balducci con la suacultura, la sua pietà, la sua teologia,

ma nello stesso tempo c’è l’eccedenzadello Spirito che si faceva presente eattuale nella Parola di Dio che presie-dendo l’eucarestia egli commentava”.Il volume di Giuè - che prende in esa-me le omelie di Balducci dagli anni ‘70fino al 19 aprile 1992, domenica diPasqua, l’ultima che potè pronunciareprima della sua morte, il 25 aprile, inseguito ad un incidente stradale (tuttepubblicate in dieci volumi editi da Edi-zioni cultura della pace) - racconta co-me nascevano le omelie di Balducci ene analizza le caratteristiche essenzia-li, i temi principali, - da “l’uomo pla-netario” alla pace - e l’ecclesiologiasoggiacente. Tenendo sempre presen-te i parametri fondamentali della suaomiletica: il dialogo fecondo fra Paro-la e Storia. “Ciò che più di tutto carat-terizza le sue omelie - scrive Giuè - è ilfatto che Balducci provava a legare laParola alla Storia, cercando di usare unlinguaggio omiletico liberato da ogniresiduo devozionale e spiritualistico,pur senza indulgere all’appiattimento

della profezia sulle dimensioni dellapolitica. L’intento di Balducci era, dun-que, quello di tentare di congiungere“una vita pienamente immersa neiproblemi del tempo e la fede nella Pa-rola che non passa” tenendo ben lon-tana “la tentazione di voler fare delleomelie delle occasioni di catechesi, dimoralismo, di apologetica cattolica odi proselitismo confessionale”, ma an-che di “biblicismo”. Dunque la tensio-ne a legare indissolubilmente Parola eStoria, cosicchè “dimensione storica edimensione escatologica” siano “l’u-na l'esegesi dell’altra”, l’una “chiaveinterpretativa dell'altra”. Una lezionevalida ancora oggi, anzi forse più chemai oggi: “Anche la Chiesa italiana -scrive Giuè - dalla memoria di ErnestoBalducci può trarre motivi di ispirazio-ne per liberare il Vangelo e se stessa dainopportune incrostazioni per cammi-nare più speditamente, nel serviziodella Parola, nella storia degli uomini edelle donne in vista dell’adempimentodel tempo di Dio”.

Di tutt’altro segno l’instant book diChiarelettere (“Siate ragionevoli.Chiedete l’impossibile”, pp. 176, eu-ro 7) che - dopo essersi già cimenta-ta con don Milani e don Mazzolari -pubblica una serie di articoli scritti daBalducci su giornali o riviste dalla me-tà degli anni ‘80 fino alla sua morte,su temi come la difesa dell'ambiente,un nuovo modello di sviluppo chenon insegua unicamente il profitto,la pace e la guerra, la tolleranza, la li-bertà, la conoscenza, la politica, ilrapporto fra scienza e fede, la Chie-sa. La testimonianza di un cristiane-simo autentico che non accetta di ri-dursi a pura logica di potere o dichiudersi unicamente in una dimen-sione ultraterrena: “Non voglio che sidiffonda il cristianesimo che io cono-sco” - scrive Balducci. “Voglio che sidiffonda il Vangelo che io medito, cheè un'altra cosa”.

Luca Kocci,in ADISTA, 5 maggio 2012

Ernesto Balducci: il Vangelo nella storiaUn viaggio alla ricerca del mistero dell’incarnazione

Riviste

Rivista delle rivisteAGGIORNAMENTI SOCIALI, mensile di ispirazione cristiana, redattoda un gruppo di gesuiti e di laici, Piazza S. Fedele 4, 20121 Milano. Nel fascicolo n.5 (maggio 2012) uno studio di Giorgio Campanini che fa un bi-lancio (al chiaroscuro) sulla “voce dei laici nella Chiesa” a cinquant’anni dal Con-cilio. Una scheda sul giudizio della Chiesa cattolica rispetto al liberalismo politi-co, culturale e capitalistico, e una sul Consiglio d’Europa, la sua organizzazionenel sistema CEDU con le sentenze della Corte EDU. Nel numero di giugno, il di-rettore Giacomo Costa espone la funzione democratica dei partiti e la necessitàin Italia di riforme democratiche per la loro credibilità. Viene proposto un bilan-cio delle scuole cattoliche di formazione sociopolitica, e pubblicato un interven-to del cardinale Scola sul significato del “bene comune”.

APPUNTI DI CULTURA E DI POLITICA, mensile, Largo Corsia dei Servi 4,20122 Milano.Il numero 2-2012 (marzo-aprile) si apre con un testo su “Oscar Luigi Scalfaro, uncattolico austero servitore dello Stato democratico” di Guido Formigoni. Segue il“focus” dedicato a “La Famiglia oggi, fragilità, risorse prospettive”, con quattrocontributi.

CETIM - Centre Europe - Tiers Monde, 6 rue Amat, 1202 GinevraIl numero di aprile 2012 è dedicato al tema della crisi finanziaria, della illegitimi-tà del debiti degli Stati, frutto di politiche fiscali che hanno favorito i ricchi, e con-testa la politica della Troika (Commissione europea, Banca centrale e Fondo mo-netario) imposta alla Grecia. Ricorda i casi di Argentina e Equador che si sono ri-fiutati di rimborsare totalmente il debito statale.

CHOISIR, rivista culturale dei gesuiti, rue Jacques-Dalphin 18, 1227Carouge - Ginevra.L’editoriale del gesuita Joseph Hug sul numero di maggio si chiede, a propositodelle discussioni tra la Curia vaticana e gli scismatici di Ecône, se sarà una “ri-conciliazione senza condizioni”. E osserva che “una riconciliazione che non si ba-sasse su condizioni chiare e precise di accettare gli insegnamenti del Vaticano II,sarebbe una conclusione infelice e con pesanti conseguenze”.

IL GALLO, quaderni mensili, casella postale 1242, 16100 Genova.Nel quaderno di aprile 2012, Carlo Carozzo presenta il libro di padre Alex Zano-telli, “I poveri non ci lasceranno dormire” (Monti, 2011), sulle varie esperienzevissute dall’autore nel sud del mondo (ora vive nel rione Sanità di Napoli). Un ri-cordo è dedicato a don Luisito Bianchi, morto all’inizio dell’anno, assistente na-zionale delle ACLI e operaio in diversi mestieri (tornista, infermiere, benzinaio,ecc.). Nei numeri di aprile e maggio, un ampio ritratto di Oscar Scalfaro, elettopresidente nel 1992, che per sette anni fece fronte alle vicissitudine della politi-ca italiana, continuando poi fino alla morte (2011) a difendere la costituzione,quale fondamento della Repubblica e della democrazia italiana.

KOINONIA, periodico mensile Piazza S. Domenico 1, 51100 Pistoia.Nel numero di maggio viene presentato il libro di Piero Stefani “Fede nella Chie-sa?” (Morcelliana 2011), con un brano relativo alla “parrocchia”, prodotto della“cristianità”, oggi messa in crisi dal pluralismo sociale ed ecclesiale: “l’unica ri-sposta davvero all’altezza di quanto richiesto è quella della carità”. Giancarla Co-drignani ricostruisce e commenta il “processo all’Isolotto”, uno degli episodi ini-ziali della “contestazione cattolica” in Italia.

IL REGNO, quindicinale di attualità e documenti, Via Nosadella 6, Bo-logna.Nel numero del 1. aprile, un documento del Pontificio Consiglio della giustiziae della pace su “Acqua, un elemento essenziale per la vita” e uno studio, ela-borato a cura dell’Organizzazione internazionale del lavoro su “Convergenze.Lavoro dignitoso e giustizia sociale nelle diverse tradizioni religiose”. Nel n. 9

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Segnalazioni

VERONA, 9-10 novembre, Biblioteca civica, “Chiesa e società a Vero-na. A cinquant’anni dal Concilio vaticano II”. Venerdì pomeriggio: Giovan-ni Miccoli, Chiesa e mondo, da Pio XII a Giovanni XXIII; Giovanni Vian, LeChiese locali venete di fronte al Concilio; Enrico Baruzzo, Laicato cattoli-co, rinnovamento conciliare e società veneta. Sabato mattina: Rino Cona,Il vescovo Carraro e la novità del Concilio vaticano II; Concilio e postcon-cilio: testimonianze e bilanci; Riflessioni conclusive di Ilvo Diamanti.

(1 maggio) il testo dello sceicco della Università di al-Azhar sulle libertà fon-damentali, e il rapporto del Pew Forum sulla diffusione e la distribuzione del-la popolazione cristiana nel mondo.

RISVEGLIO, rivista bimestrale della Federazione docenti ticinesi,presso OCST, via Balestra 19, 6900 Lugano.Nel fascicolo 2-2012, un “Notiziario non solo sindacale” e “La famiglia con ado-lescenti: una prospettiva relazionale; Concetto di educazione nei tempi”.

RIVISTA DELLA DIOCESI DI LUGANO, mensile, Curia vescovile, 6901Lugano.Nel numero di aprile, il resoconto di “Fidei donum”, in occasione del 40.mo del-l’aiuto prestato dai preti svizzeri alle missioni. Vi hanno partecipato in totale 12preti ticinesi, dei quali viene indicata la permanenza e il luogo di servizio. Il nu-mero di maggio si apre con un lungo articolo del monaco Enzo Bianchi di Boseche, partendo dai ricordi d’infanzia, descrive il cambiamento dalla “messa tri-dentina” a quella “postconciliare”, per rilevarne la “continuità”. Viene pubblica-to il documento del Gruppo di lavoro dei vescovi svizzeri sull’Islam (presieduto damons. Grampa), dal titolo “Cristiani-musulmani: che fare?”, sulle varie modalitàdel dialogo necessario.

VOCE EVANGELICA, mensile della Conferenza delle Chiese evangeli-che di lingua italiana in Svizzera, via Landriani 10, 6900 Lugano.Due i temi sviluppati nel numero di maggio: il celibato, abolito come imposizioneper i pastori, viene ora valorizzato come libera scelta per ambedue i sessi. Ven-gono ricordate le radici cristiane dei diritti umani e il loro valore universale.