12 Mesi - BERGAMO - Aprile 2013

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MENSILE DI ATTUALITÀ ECONOMIA INCHIESTE OPINIONI E CULTURA DA BERGAMO E DAL MONDO N. 3 DEL 2013 - APRILE 2013 - 2,50 1 Dal Medio Ego al Nuovo Evo Inside | Bacheca | Ciclismo per amatori | Inchiesta sull’olfatto | Whats’up | Ciclismo per amatori MENO LIFTING PIÙ BOTULINO PENSIERI DI Alessio Boni Roberta Garibaldi Giuditta Guizzetti Roberto Valentin STRADE E QUARTIERI Colognola HINTERLAND Curno VIAGGIO IN PROVINCIA Ghisalba Martinengo Mornico al Serio Romano di Lombardia UNA PROPOSTA PER SALVARE LA STAGIONE DI PROSA Medicina estetica Teatro Filodrammatici

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12 Mesi - BERGAMO - Aprile 2013

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MENSILE DI ATTUALITÀ ECONOMIA INCHIESTE OPINIONI E CULTURA DA BERGAMO E DAL MONDO

N. 3 DEL 2013 - APRILE 2013 - € 2,50 € 1

Dal Medio Egoal Nuovo Evo

Inside | Bacheca | Ciclismo per amatori | Inchiesta sull’olfatto | Whats’up | Ciclismo per amatori

MENo lIftINgpIù BotulINo

pENSIERI DIAlessio BoniRoberta garibaldigiuditta guizzettiRoberto Valentin

StRADE E quARtIERIColognola

HINtERlANDCurno

VIAggIo IN pRoVINCIAghisalbaMartinengoMornico al SerioRomano di lombardia

uNA pRopoStA pER SAlVARE lA StAgIoNE DI pRoSA

Medicina estetica

teatro filodrammatici

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DIRETTORE RESPONSABILEGIORGIO [email protected] CARÈGIuSEppE RuGGIERI

EDITOREEDIZIONI 12 SRLREDAzIONEVIA pAGLIA, 26 - 24122 BERGAmOTEL. [email protected] LEGALE: BRESCIAVIALE DuCA DEGLI ABRuZZI, 163

REGISTRAzIONETRIBuNALE DI BERGAmO N. 10/12 DEL 16/03/2012

IMPAGINAzIONESALE’S SOLuTIONS SRL

STAMPASTILGRAf . BRESCIA . ITALIA

FOTOGRAFIEARChIVIO SALE’S SOLuTIONS, umBERTO fAVRETTO AGENZIA REpORTER, ROLANDO GIAmBELLI IL fOTOGRAmmA, pATRICk mERIGhI BRESCIA IN VETRINA, CRISTINA mININI

PUBBLICITàVIA pAGLIA, 26 - 24122 BERGAmOTEL. [email protected]: [email protected]

VIA pAGLIA, 26 24122 BERGAmO. ITALIATEL. [email protected]

HANNO COLLABORATOSILVIO BETTINI, DONATELLA CARÈ, ALESSANDRO ChEuLA, mARCO CImmINO, mARIO CONSERVA, LAuRA DI TEODORO, GIOVANNA DOLCI, fuLVIO fACCI, BRuNO fORZA, LORENZO fRIZZA, ROBERTO GIuLIETTI, LAuRA BERNARDI LOCATELLI, SARA NORIS, ANTONIO pANIGALLI, LELIA pARISI, mASSImO ROSSI, GIuSEppE RuGGIERI, ROSANNA SCARDI, DANIELE SELINI, GIORDANA TALAmONA, DONATELLA TIRABOSChI, ALESSANDRA TONIZZO.

DODICIMESI12/

12DODICIMESI MENSILE DI ATTUALITà ECONOMIA INCHIESTE OPINIONI E CULTURA DA BERGAMO E DAL MONDO

DODICIMESI12/SOMMARIO

l’AperitivoproDotto & MerCAtoStrAteGiA D’iMpreSAbACheCAinSiDepArete norD

71115192878

RUBRICHE

hinterland: Curno, il pAeSe SChiACCiAtoDAi Centri CoMMerCiAliviaggio in provincia: i pAeSi DellA bASSA,in priMA lineA Contro lA CriSi

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tERRItORIO

roberto valentin: “A queSt’itAliAServe più GiuStiziA SoCiAle”roberta garibaldi: “berGAMASChipoCo oSpitAli? è Solo uno Stereotipo”alessio boni: “fAre il piAStrelliStAM’hA inSeGnAto CoS’è il lAvoro”yu yu: “Con l’AnoreSSiA MAiAbbASSAre lA GuArDiA”

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PENSIERI DI

colognola, un quartiere senza pacep. 40StRADE E qUARtIERI

Questo periodico è associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

what's up? Sì viAGGiArequando il ciclismo è una passione senza età

8082

AltRO

medicina estetica: c’è la crisi, meno lifting, più botulino

INCHIEStA p. 31

INCHIEStA

un salvadanaio pubblico per salvare la stagione di prosa al filodrammatici

p. 67

la ricercatrice con la puzza sotto il naso

INCHIEStA

p. 73

APRILE 2013NUMERO 3RIVISTA mENSILE € 2,50

ABBONAMENTO ANNUALE € 30TRAmITE BONIfICO BANCARIO INDICANDO NELLA CAuSALE “ABBONAmENTO ANNuALE 12 mESI” E NOmE DELL’ABBONATOIBAN: IT 07 R05116 11201 000000027529pER RICEVERE LA puBBLICAZIONE, INSIEmE AL BONIfICO SARà NECESSARIO INVIARE uNA mAIL ([email protected]) O uN fAx (AL N. 030.3758444) INDICANTE, OLTRE AL NOmE DELL’ABBONATO, L’INDIRIZZO AL quALE INVIARE LA RIVISTA E uN NumERO DI TELEfONO

dal medio ego al nuovo evo(apartitici, non apolitici)

23POlItICA

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Via Milano, 3 PRESEZZO [BG - ITALY] tel.+39.035.4517003 - fax.+39.035.4375147

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APERITIVOL/

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Mio padre era un uomo taciturno. Non burbero, anzi amava molto l’allegria, ma era stato segnato dalla vita. Le pesanti difficoltà economiche dell’infanzia, la guer-ra in Africa, l’emigrazione nel ’55 dal Sulcis all’alta Val Trompia, avevano mutato il suo carattere. Grazie alle sue capacità professionali e a grandissimi sacrifici portò la sua famiglia, tra cui ovviamente il sottoscritto, a un benessere economico nella media dell’epoca, se non addirittura su-periore. Eravamo alla fine degli anni ’60 ed io, studentello diciottenne, tornavo a casa tutti i giorni riversando fiumi di “politica” sul mio disincantato genitore. Sopportò per molto tempo finché un giorno, guardandomi contrariato, disse: “Giorgio, tu parli troppo. Non conta quello che dici, conta solo quello che fai”. Ammutolii di colpo, umi-liato e confuso. In quel periodo, infatti, pensavo che di-battiti e discussioni rappresentassero l’essenza della vita e che le azioni di una persona fossero insite nelle parole che pronunciava. Quindici anni dopo nacque mia figlia. Dopo poco tempo, la gioia di tenere in braccio quell’esserino donatomi dal Signore fu turbata dalla preoccupazione

di non essere in grado di darle un’adeguata educazione. Decisi di parlarne con Marco, frate francescano mio co-etaneo, responsabile di un seminario in città. Dopo aver ascoltato i miei dubbi, Marco, con tranquillità e compe-tenza, mi disse: “L’educazione non si spiega, si apprende con l’esempio. Tua figlia si formerà con l’esempio che tu e tua moglie le darete”. Sono passati quasi trent’anni e oggi so che mio padre e Marco avevano ragione. Contano le azioni e non le parole, se vuoi essere seguito devi dare l’esempio. Oggi osservo sconsolato il dibattito pubblico, sento parole che non contano, guardo esempi riprovevoli. Mi domando come questa scellerata classe dirigente pos-sa ancora pensare che gli italiani debbano fare quello che loro dicono e non quello che loro fanno. Un mio amico imprenditore mi ha raccontato questo fatto che, purtrop-po non è uno scherzo: La scorsa settimana guardavo i miei dipendenti che facevano il corso per la sicurezza del-la postura sul posto di lavoro. Un corso di 8 ore per 174 dipendenti = 174 giorni uomo. E per dire cosa? Come si sta seduti. Praticamente quasi niente, sono partiti dall’uo-mo delle caverne, per passare all’homo sapiens e poi finire alla spiegazione di come è fatta la spina dorsale.... 174 giorni di lavoro in meno rispetto a certi miei concorrenti esteri? E perché? Perché continuano ad esserci leggi ad personam (ma non per Silvio stavolta..), per persone alla ricerca di inventarsi un lavoro a discapito del Paese che produce... davvero”. E loro parlano, parlano. Parlano di come reperire risorse. Eccone una di risorsa che non costerebbe niente alle casse dello Stato se venisse tolta. Come molte onerose adempienze aziendali sulla “priva-cy”, per non parlare di altre decine di analoghe normative, inutili, pleonastiche, borboniche, antistoriche e strumen-talmente astruse ed intricate. Ma per toglierle bisogna fare, e loro preferiscono parlare. Fino a che gli italiani, seguendo il loro esempio, incominceranno a parlare e smetteranno di fare.

Fate quel che faccio, non fate quel che dico

di GiORGiO COSTA

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PENSIERI DI/ PENSIERI DI/

12/DODICIMESIAPRILE 12/DODICIMESIAPRILE

“A quest’ItAlIA servepIù gIustIzIA socIAle”

di Rosanna scaRdi

intervista a Roberto Valentin, presidente del gruppo Metalmeccanici di apindustria, nonché fondatore di abe. “L’applicazione del concetto uguale

per tutti in questo Paese non esiste”. “dobbiamo smetterla di piangerci addosso”. “Un personaggio che stimo? Papa Francesco, perché è un gesuita”.

la storia di Roberto Valentin por-ta speranza in tempi difficili per l’imprenditoria. Presidente del settore metalmeccanico in Apin-

dustria, l’associazione piccole e medie imprese di Bergamo e provincia, Valen-tin è il fondatore di Abe - Advanced bro-adcasting electronics, con sede a Cara-vaggio, tra le più apprezzate aziende che producono trasmettitori radiotelevisivi e reti di comunicazione a livello mondiale. Valentin, lei è uno dei pochi a offrire lavoro. Che qualità devono possedere i buoni dipendenti?“Devono essere capaci, motivati e desi-derosi di imparare. Giusto un paio di set-timane fa ho preso un ragazzo laureato in ingegneria, farà uno stage in azienda. Se andrà bene, rimarrà e crescerà con noi”. Le risorse umane restano dunque centrali? “Sì, sono un bene che permette all’a-zienda di continuare ad evolversi. Noi, poi, ricerchiamo figure con caratteri-

“Non sono un economista, ma ragiono da persona assennata e di buon senso. Il pro-blema più grave è lo Stato assetato di soldi che anziché diminuire la spesa pubblica aumenta le tasse. Gli unici posti salvaguar-dati, in questo modo, sono quelli pubblici. Di conseguenza, in cambio di servizi scar-si, siamo meno competitivi. Privilegiamo l’inefficienza statale all’efficienza privata per il mantenimento dello status quo”. Quali sono i più grandi problemi dell’Italia?“La criminalità organizzata è la nostra piaga, ma anche la magistratura per l’in-capacità conclamata. Un imprenditore che sbaglia deve pagare erga omnes per responsabilità oggettiva, perché non poteva non sapere. Mai si è sentito di un giudice condannato per un suo errore da un organismo indipendente ed esterno. Allora perché non far giudicare un in-dustriale dal Consiglio superiore degli imprenditori? È ridicolo”. Cosa pensa dei sindacati?“La Cgil ha causato danni gravissimi. Ricordiamo poi che negli anni Settanta c’è chi è andato in pensione dopo soli quindici-vent’anni di lavoro. Si è creato il debito pubblico per finanziare le pen-sioni inconcepibili che l’Inps ha erogato mentre i nostri figli dovranno lavorare fino a settant’anni”. Cos’è la giustizia sociale?“L’applicazione del concetto uguale per tutti. E nel nostro Paese non esiste”.Lei ha due figli, Diego, trent’anni, che ha seguito le sue orme, e Stefania, di ventisei, che lavora in Lussembur-go. Un cervello in fuga?“Preferisco dire una donna in carriera, si è laureata con il massimo dei voti alla Bocco-ni e sta seguendo la strada per realizzarsi”. Se le avessero detto: papà, da grande voglio fare l’attore. Come avrebbe reagito?“Bene. Perché un lavoro non si fa per convenienza. L’importante è che ti sod-disfi e sia proficuo per te e chi ti sta at-torno”. Il noto pezzo di carta ha ancora valore?

“Dipende dove è stato preso e quanto studio ci è voluto per conseguirlo. La laurea è la base, poi però anche l’espe-rienza lavorativa e la volontà vera di darsi da fare sono fondamentali”. Noi italiani ci piangiamo troppo ad-dosso?“Eccome, altrimenti non si spieghereb-be perché gli immigrati, nonostante gli alti tassi di disoccupazione, lavorino. Negli Stati Uniti nessuno si scandalizza se un giovane laureato fa il cameriere in attesa di trovare il lavoro più consono. In Italia i ragazzi aspettano un’occasio-ne fino a quarant’anni e nel frattempo sono mantenuti dai genitori”.

Ha mai fatto discriminazioni fa uomi-ni e donne? “Assolutamente no. In azienda c’è una donna ingegnere e altre sono impiegate nei reparti così come nell’amministra-zione”. C’è chi sostiene che con l’eccesso di tecnologia si sia perso qualcosa, che si stesse meglio cinquant’anni fa. Cosa ne pensa?“L’evoluzione ha fatto sì che si viva in modo diverso. Per giudicare bisogne-rebbe aver provato, alle stesse condizio-ni, entrambi i periodi. Grande peso han-no avuto i nuovi mezzi di comunicazione

che stanno cambiando ancora. Oggi ci sono i cellulari, una volta c’erano i rice-trasmettitori cb”.A proposito, a tredici anni ha fabbri-cato il suo primo ricetrasmettitore, mentre a nove aveva costruito una ra-dio. Un ragazzo prodigio?“Ho reso il mio hobby una professione. I risultati migliori li ottiene chi è spinto dalla passione, rispetto a chi è disinte-ressato”. Lei ha acceso la tv di Arafat dopo i bom-bardamenti, quella irachena dopo Saddam, ha reso possibile che fosse tra-smessa la visita di Papa Wojtyla a Cuba. Qual è il traguardo più importante?

“Faccio le stesse cose da oltre trent’anni, solo che sono sempre più evolute e perfezionate. Un traguardo è ogni nuovo prodotto che funziona”. Un personaggio che stima?“Papa Francesco. Perché è un ge-suita come mio zio”.

Lei è nato a Milano da padre altoatesi-no e mamma milanese, come è finito nella provincia di Bergamo?“Ai tempi dell’università avevo un amico di Treviglio, con cui decisi di attrezzare la prima emittente privata della Bassa, Radio Liberty, poi ho conosciuto mia moglie, che è originaria di Caravaggio. Qui ha sede l’azienda mentre dal 1990 viviamo in una cascina ristrutturata pro-prio a Treviglio”. Cosa la rende fiero di essere oggi un bergamasco?“La gente seria, che si impegna e che mi ha accettato”.

La criminalità organizzata è la nostra vera piaga

la schedaRoberto Valentin nasce a Milano il 21 luglio del 1956. Durante il quarto anno di studi al Politecnico, nel 1979, fonda a Treviglio la ABE Elettronica. L’anno suc-cessivo la sede viene spostata a Caravaggio. Dal 1988 l’azienda è una società per azioni. Progettista di trasmettitori radiotelevisivi e ponti microonde sia per lavoro sia per passione, l’imprenditore è presidente del settore metalmecca-nico di Apindustria Bergamo, nonché membro di giunta. Con 28 dipendenti, ABE fa l’85% del suo fatturato, circa 6 milioni di euro, in paesi extra Ue, spesso in zone di guerra. Tra le sue imprese l’aver acceso la tv cubana per la visita del Papa nel 1998, l’aver rimesso a nuovo la tv di Arafat dopo che gli impianti erano stati distrutti dai missili Tsahal, le tv di Bosnia e Kosovo dopo la mattanza balcanica e quella irachena, dopo la caduta di Saddam Hussein, a Baghdad e Bassora.

Privilegiamo l’inefficienza statale all’efficienza privata per mantenere lo status quo

stiche particolari, da formare anche in azienda. Mi piace l’idea di poter cresce-re i miei ragazzi, di investire su di loro”. Cosa direbbe a quei giovani che pen-sano di potersi inserire nel mondo del lavoro solo se raccomandati?“Che le imprese non sono delle entità

astratte, ma si basano sulle capacità dei propri individui, raccomandati e yes men non servono a nulla”.Lei ha creato un fronte tecnologico all’a-vanguardia, ma è anche vero che chiudo-no quaranta imprese al giorno, come ci si può salvare da questo tsunami?

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RUBRICALA/

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PRODOTTO&MERCATO

di SiLviO beTTini

Marketing Pubblicità e Comunicazioneil SOPRAVVENtO del WEBUna definizione corrente dice che “mar-keting” significa letteralmente “piaz-zare sul mercato”; rientrano quindi nel marketing tutte le attività che cercano di indirizzare la scelta verso un prodotto o un servizio.È innegabile che le azioni intraprese per indirizzare le nostre scelte crescano costantemente sia sotto il profilo della quantità che nel novero degli strumenti utilizzati: siamo letteralmente bombar-dati da “consigli per gli acquisti” che spaziano dai beni di consumo a quelli durevoli, dalla scelta di un programma te-levisivo a quella di un candidato politico.Stando a Nielsen, il mercato dell’adver-tising in Italia – nonostante una contra-zione degli investimenti che deriva dalle

problematiche economiche e finanziarie di questi anni ed è quantificabile nel 5,7% circa – vale comunque qualco-sa come 7,6 miliardi di euro. Il dato è senz’altro rilevante, ma solo sezionan-dolo possiamo osservarne le principali dinamiche che, qualora ce ne fosse stato bisogno, ci avvertono che la nostra so-cietà sta evolvendo ad una velocità mai raggiunta prima. Se, infatti, i principali media soffrono un crollo verticale degli investimenti: tra il 15 e il 16% per la carta stampata, quasi il 12,5% per la TV e circa l’8% per la radio, in grande cre-scita sono gli investimenti pubblicitari su internet e su telefonia mobile, rispet-tivamente + 9,8% e + 22%.Non potrebbe essere diversamente se

pensiamo che ormai quasi il 60% de-gli italiani si connette abitualmente al web, mentre il 90% possiede almeno un telefonino che nella metà dei casi è uno smartphone (cioè un telefonino che consente di connettersi ad internet). Ancora, non potrebbe essere differen-te se pensiamo che, secondo il Censis, l’87,4 dei giovani tra i 14 e i 29 anni utilizza internet, ma lo utilizza anche il 15,1% della popolazione tra i 65 e gli 80 anni, e che soprattutto il web viene principalmente utilizzato per reperire informazioni di cronaca e notizie su pro-dotti in commercio tanto che la classifica 2012 delle parole più ricercate in Italia è la seguente: Terremoto, Ingv, Lucio Dalla, Zalando, Costa Concordia, Cal-colo Imu.Chiaro è che il web è uno strumento in-terattivo e molto più di altri permette di identificare accuratamente l’interesse specifico di ogni utente specifico, l’han-no compreso molto bene gli operatori di alcuni settori della nostra economia, gli acquisti “in rete” di prodotti turi-stici crescono al ritmo del 32% l’anno, del 27% quelli di servizi finanziari e del 23% quelli di articoli sportivi, per una spesa complessiva che vale oltre 32 mi-liardi di euro, il 2% del nostro Pil.L’ha compreso anche qualcun altro: il mattatore delle recenti elezioni politi-che ha disertato qualunque presenza media, concentrandosi sul web.

TV inTerneT mobile

Fonte: Nielsen, Auditel(averange minute rating)

+1,8%Fonte: Nielsen, Audiweb

(utenti attivi per mese)

+6,4%Fonte: Nielsen, Mobile Media(penetrazione smartphone)

+26%

Fonte: Nielsen, Auditel(averange minute viewed)

+1,3%Fonte: Nielsen, Audiweb

(tempo speso nel giorno medio)

+11%Fonte: Nielsen, Mobile Media

(tempo mediovisite da mobile)

+22%

Fonte: Nielsen, BD Adex(investimenti pubblicitari)

-12,4%Fonte: Nielsen, BD Adex(investimenti pubblicitari)

+9,8%Fonte: Nielsen, BD Adex(investimenti pubblicitari)

+22,1%

Fonte: The Nielsen Company, Watch & Buy Report, novembre 2012.* Dati aggiornati al mese di settembre 2012, confrontati con il periodo omologo del 2011.

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PENSIERI DI/ PENSIERI DI/

12/DODICIMESIAPRILE 12/DODICIMESIAPRILE

“BergAmAschI poco ospItAlI?È solo uno stereotIpo”

a colloquio con Roberta Garibaldi, docente di marketing turistico all’Università cittadina.

“sul turismo dobbiamo ancora lavorare parecchio per migliorare l’offerta. città alta andrebbe

maggiormente valorizzata”.

di saRa noRis

Il turismo a Bergamo? Sempre più culturale e meno d’affari anche se a far da traino restano i grandi eventi e i viaggi low cost. Paga però

il prezzo di non avere ancora un vero e proprio “biglietto da visita” che possa distinguere e rendere inconfondibile la sua offerta culturale. Ma come sarà la Bergamo turistica nel prossimo futuro? Ne abbiamo parlato con Roberta Ga-ribaldi, docente di marketing turistico all’Università di Bergamo e responsa-bile del progetto “I turismi a Bergamo” per il Comune.Come è cambiato il turismo in città?“Bergamo ha una consolidata tradizione turistica, favorita negli ultimi anni dallo sviluppo dello scalo di Orio e dal boom delle compagnie low cost. Dai primi dati a disposizione sul 2012 si vede una si-

tuazione stabile per il turismo in città, dato molto positivo se confrontato con la situazione di crisi che caratterizza lo scenario nazionale”.Siamo Ryanair dipendenti?“Ryanair è sicuramente una presenza importante. L’aeroporto ci ha facilitato però il turismo cittadino raccoglie solo una parte di chi passa da Orio. Comun-que grazie a Rynair la nostra città è stata conosciuta dai turisti”.Turisticamente parlando come im-magina Bergamo nel futuro?“La città sta prendendo coscienza della sua valenza culturale ed è intenzionata a cogliere ogni occasione che questa sa-prà darle. Un appuntamento importante sarà Expo 2015. È previsto un aumento dei fatturati turistici nazionali del 25% e

le occasioni per la nostra provincia non mancheranno”. Quali sono i punti forti di Bergamo?“Bergamo piace molto ai turisti, soprat-tutto stranieri. Ad oggi i nostri punti di forza, oltre al nostro patrimonio storico artistico e paesaggistico, sono la presen-za di un aeroporto, un’offerta ricettiva di qualità, un nuovo dialogo tra turismo e cultura, esplicitato attraverso la rete Bergamo card, un sistema wi-fi diffuso,

un portale unico del turismo e le azioni di promozione attivate sui Paesi di desti-nazione”.I punti critici invece?“Dobbiamo migliorare rispetto alla co-noscenza da parte dei turisti dell’offerta degli eventi, della ricchezza della nostra enogastronomia e dello shopping, va-lorizzare tutto il nostro territorio, par-tendo dal Parco dei Colli. Inoltre manca ancora un biglietto da visita Bergamo

riconoscibile, un’immagine turistica definita, forte ed univoca, quindi più efficiente e capace. Città Alta potrebbe essere ancora più valorizzata senza auto e con percorsi che mettano in risalto l’intero contesto e non solo via Colleoni che è arrivata al limite della sua capacità di carico. La nuova stazione ferroviaria – e magari nuovi treni – e un migliora-mento delle vie di accesso darebbero un respiro nuovo al turista che arriva da noi”.La politica ha fatto da freno o ha fatto quel che doveva?“Sono state fatte azioni che potevano essere fatte. Oggi è positiva la creazione di Turismo Bergamo: si è creato un ente per promuovere un intero territorio. Il portale unico del turismo è stato un otti-mo risultato”. L’ospitalità e i bergamaschi non sem-pre vanno d’accordo. Condivide?“È solo uno stereotipo, che può essere superato. Da un’indagine svolta dall’U-niversità di Bergamo è emerso che i tu-risti apprezzano l’accoglienza dei berga-maschi”. L’inglese intanto lo sanno ancora in pochi…“La situazione è migliorata, il persona-le si è qualificato in questi anni. Molti giovani universitari hanno migliorato la conoscenza della lingua, sono stati fatti dei passi in avanti”.Tra albergatori e strutture extraricet-tive (b&b, case vacanze, affittacame-re….) non tutto fila liscio a livello di concorrenza. Come si può ovviare?“L’offerta turistica di Bergamo negli ultimi anni ha cambiato pelle e gli hotel tradizionali hanno risentito del fiorire dei bed & breakfast. I posti letto oggi offerti da agriturismo, affittacamere, case vacanze, case per ferie e b&b supe-rano i 2.900. In città si è registrato un aumento di 20mila presenze per la cate-goria dei b&b a scapito degli alberghi.

Per questo è importante mettere a punto una strategia che tenga conto della qua-lità di ogni specifico servizio, mettendo in rete l’offerta complessiva e mettendo fine ad attività sommerse e abusive che spesso intercettano il turista senza ga-rantire i requisiti previsti per legge”.Qual è il turista tipo che arriva in città?“Sono sempre più stranieri, provenienti in particolare da Spagna, Gran Bretagna e dai Paesi dell’Est. Ci caratterizziamo ormai per una prevalenza di turismo culturale, ma anche d’affari, e quindi la città deve attrezzarsi per accogliere que-sto visitatore che ha esigenze differenti. È verso di loro che vogliamo pensare ad un’offerta su misura”.Quello più redditizio?“Gli inglesi e turisti dell’Est”.Il peggiore?“Non esiste turista mi-gliore o peggiore: chiun-que visiti la città è porta-tore di valore. Spetta alla città, con i suoi servizi, le infrastrutture e l’offerta ricettiva e culturale, il compito di far restare il turista più tempo pos-sibile, facendogli cono-scere e apprezzare quello che di bello e unico ha da offrire”. Grandi eventi o iniziative particolari possono incidere strutturalmente sul turismo?“L’opportunità più vicina e più concreta e allo stesso tempo più prestigiosa è la possibilità di diventare Capitale Europea della Cultura, che sarebbe un’occasione unica per disegnare la nuova Bergamo e per arrivare ad una vision condivisa su ciò che vorremo essere tra dieci anni. Que-sto è il vero valore della candidatura: la possibilità di fermarsi a riflettere e a pro-gettare, con un necessario confronto tra Comune e Provincia, maggioranza e op-posizione, istituzioni pubbliche e private

e singoli cittadini, in cui ognuno potrà dare il suo contributo”. Lei insegna all’Università di Berga-mo. Dal suo osservatorio privilegiato che idea si è fatta della nuove genera-zioni?“I giovani sono la categoria che è più propensa a viaggiare, ma spesso manca-no le risorse necessarie per farlo. Oggi però con la rete il viaggio è alla portata di tutti e i giovani da questo punto di vista sono i più avvantaggiati. Credo che bisognerebbe assecondare questa tendenza, facilitando i giovani nei loro viaggi, che sono investimenti sul futu-ro, con promozioni, pacchetti pensati per i più giovani, convenzioni con i servizi potenzialmente più interessanti per questa categoria. Per fare questo però bisogna essere consapevoli che ogni viaggio è un’esperienza unica per i ragazzi, perché contribuisce alla loro crescita personale, è una nuova scoperta che in un modo o nell’altro cambierà la loro percezione del mondo e allargherà

le prospettive”. Quali speranze e quali ideali mostrano?“Hanno la speranza di un mondo più coeso, senza frontiere né vincoli, in cui muoversi facilmente senza rischi o barriere politiche e religiose”. Si avvicinano alla poli-tica o ne sono lontani?

“Alcuni hanno oggi delle spinte verso la politica altri invece dimostrano un di-stacco dedicandosi solo al loro percorso di crescita nel gruppo di amici”.Come vede i giovani grillini?“Nel contesto dove insegno non ho visto un particolare attivismo legato al movi-mento 5Stelle”.A un giovane che sta per concludere la scuola superiore ed entrerà nel mon-do universitario cosa consiglierebbe?“Oggi c’è un ampio ventaglio di pos-sibilità. L’Università di Bergamo offre molteplici corsi di laurea, anche in lin-gua inglese, e la possibilità di andare all’estero. Il consiglio è proprio questo: andare verso nuovi orizzonti”.

Ai giovani consiglio di andare all’estero,verso nuovi orizzonti

Gli alberghi stanno soffrendo la concorrenza dei b&b. Per questo va combattuto l’abusivismo

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STRATEGIA D’IMPRESA

Un paio di anni fa ci occupammo di un tema delicato e importante, gli obiettivi di sostenibilità ambientale dell’Unione Europea, indicandoli come progetti am-biziosi ed impegnativi, ma nella direzio-ne degli interessi generali della comu-nità; nulla a che vedere, aggiungemmo, con quanto avviene ad esempio in Cina, dove, come era facile prevedere, stanno cominciando a pagare oggi prezzi altis-simi per aver trascurato oltre i limiti la salvaguardia dell’ambiente.Tra i diversi provvedimenti europei ci-tammo tra gli altri il regolamento noto a tutte le industrie produttrici europee con l’acronimo Reach (Registration, Evaluation, Authorisation and Restric-tion of Chemicals) che, con la finalità di aumentare le misure di salvaguardia del-la salute umana e dell’ambiente, impone che siano prodotte o importate nell’U-nione Europea solo le sostanze regi-strate, e stabilisce che ogni produttore o importatore di una determinata sostanza debba inviare all’Agenzia Europea per le sostanze chimiche (ECHA) un fascicolo di registrazione, accompagnato dall’o-nere corrispondente alla propria cate-goria. Gli obiettivi alla base del Reach sono il miglioramento della protezione della salute umana e dell’ambiente con-tro i possibili rischi rappresentati dalle sostanze chimiche, l’aumento della competitività delle produzioni indu-striali della Ue e la garanzia della libera circolazione di sostanze nel mercato interno dell’Unione. Si tratta di misure comunque onerose, anche se l’intenzio-ne del legislatore è quella di non pena-

lizzare la competitività delle aziende e di stimolare le capacità di innovazione delle stesse. Il regolamento Reach en-trato in vigore nel 2007 è dedicato in particolare all’industria chimica, ma in-teressa anche le produzioni industriali in genere, come quelle metallurgiche, non solo perché i metalli come tali sono contemplati nell’ambito del Reach stes-so, ma anche perché le loro lavorazioni vengono talvolta effettuate impiegando sostanze ritenute a rischio. Per quanto riguarda i metalli, questi secondo il re-golamento Reach debbono essere tutti registrati, e ciò comporta dei costi per l’industria; a questo debbono essere aggiunti gli oneri per partecipare a quel processo che viene definito l’implemen-tazione del Reach stesso, cioè l’attività dei singoli consorzi di filiera per acqui-sire migliori conoscenze sui comporta-menti specifici di determinate sostanze. Gli oneri complessivi per le industrie non sono di poco conto: ad esempio secondo le stime effettuate nel 2010 dall’associazione europea dei metalli non ferrosi Eurometaux, nell’ambito dei 25 consorzi sui metalli costituiti il costo per l’industria era stato stimato tra 150 e 200 milioni di euro, spalmati su un periodo di circa 3 anni. A distanza di cinque anni dall’entrata in vigore del regolamento, la Commissione Europea stila un primo bilancio molto positivo

per il Reach, affermando in sostanza che il controllo per la registrazione delle so-stanze pericolose ha consentito una mi-glior gestione dei rischi per l’ambiente e la salute umana, quindi i pericoli de-rivati dalle sostanze registrate secondo il regolamento risultano notevolmente diminuiti. Nel sottolineare che sino ad oggi le imprese europee hanno registra-to presso l’ECHA oltre 30mila fascicoli con la descrizione degli usi e delle pro-prietà di quasi 8.000 sostanze prodotte o immesse sul mercato, la Commissione non sottovaluta i costi per le imprese legati alla gestione del sistema Reach, ma rileva gli effetti economici comples-sivamente positivi per l’intero comparto produttivo, diretta conseguenza dell’im-ponente know how messo da parte nel corso degli anni di gestione del regola-mento. Con questo patrimonio di infor-mazioni, unico al mondo nel suo genere, Reach si è rivelato un fattore chiave per la crescita e la competitività dell’indu-stria europea per merito della conoscen-za e dell’innovazione che comporta; per questo motivo la Commissione lo valuta come uno strumento da incentivare e proporrà pertanto a breve una riduzione dei diritti di registrazione, in particolare per le piccole e medie aziende europee.

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PENSIERI DI/ PENSIERI DI/

12/DODICIMESIAPRILE 12/DODICIMESIAPRILE

“FAre Il pIAstrellIstAm’hA InsegnAto cos’È Il lAvoro”

Parla l’attore bergamasco alessio Boni. “se dopo 12 ore di prove a teatro mi sento stanco, penso a quel mestiere così faticoso”. “il problema attuale è la mancanza di guide. La mia generazione guardava a Volonté, Magnani,

Mastroianni. oggi i ragazzi sono bombardati dai reality show”.

di Rosanna scaRdi

Boni, lei è nato a Sarnico ed è cresciuto a Villongo, ma vive tra Roma e un casale in Toscana. Perché ha lasciato

Bergamo?“Per inseguire il mio sogno. Me ne sono andato nel 1988, a ventidue anni, per fare il militare e non sono più tornato indietro. Volevo studiare recitazione e a Bergamo non c’era un’accademia d’arte drammatica, allora sono andato a Roma. La provincia mi è sempre stata stretta, sono stato anche in America, dove ho fatto mille mestieri, baby sitter, came-riere, distributore di giornali”. Suo padre come reagì?“Malissimo. Non poteva capire. Ma quan-do nel 1992 mi sono diplomato alla ‘Silvio D’Amico’ si è reso conto che la mia era una vera passione e non la voglia di far niente. Oggi è orgoglioso della mia scelta”.Però il suo primo lavoro, a 14 anni, è stato accanto a suo padre, che faceva il piastrellista. Cosa le ha insegnato?“È stato l’esempio di un grande lavora-tore che considerava la sua nobile botte-ga di artigiano un regno. Quando dopo dodici ore di prove a teatro mi sento stanco, penso a lui, che faceva uno dei mestieri più faticosi senza mai lamentarsi. Devo rin-graziarlo per avermi tra-

smesso il senso del dovere, la capacità di mandare giù amaro e il non mollare mai un lavoro a metà. Anche se questo comporta l’essere alle sei del mattino su un set. In fondo, sono fortunato perché faccio un mestiere che mi appassiona”.Il suo lavoro la porta a girovagare per il mondo. Visti da fuori come sono i bergamaschi?“Sono degli instancabili lavoratori, one-sti e di gran responsabilità. Ma anche testardi come muli, se si ammorbidis-sero un po’, otterrebbero molti più ri-conoscimenti. Invece, troppo spesso si incaponiscono nel seguire un sentiero, senza ascoltare consigli”. Cosa pensa dei giovani d’oggi? “Molti sono già vecchi a vent’anni, senza speranze, disincantati. Hanno perso la capacità di sognare, che è l’immaginifi-co della vita. Senza desideri e ambizioni sei finito. Sono una forza propulsiva, quella che avevano i miei genitori qua-rant’anni fa e, a loro volta molto prima, i miei nonni”. Qual è il vero problema oggi?“La mancanza di guide. La mia genera-zione guardava a Gian Maria Volonté, Anna Magnani, Marcello Mastroianni. Oggi i ragazzi sono spaesati, confusi,

bombardati dai reality show. Pensano che nella vita conti solo diventare famo-si. E, a vent’anni, è facile imboccare la strada sbagliata”. Tra Angela Merkel e Carla Bruni, l’ex première dame essercita maggior fa-scino tra i giovani. “È vero ed è un grave problema. Biso-gna dimostrare di valere nel campo che si è scelto. Non importa se si arriva a es-sere sotto i riflettori oppure no”. Se qualcuno le proponesse delle pro-duzioni scarse ma di grande guada-gno, accetterebbe?“Mai, non sono un arrivista. Ma girerei subito una pellicola che mi piace, anche se sapessi di non finire mai sulle coperti-ne delle riviste. Il pregio del film La me-glio gioventù è stato il valore di sei mesi di lavoro sul set, non solo l’aver conqui-stato il Nastro d’argento”. Nella vita è più importante lo studio o il talento?“Senza talento non esisterebbe nessuna forma d’arte. Ma le attitudini personali sono materiale grezzo che va affinato. Se non c’è preparazione, è inutile cro-giolarsi nel sacro fuoco. Ho visto trop-pe persone che tra genio e sregolatezza hanno sprecato le proprie capacità per-

ché non si sono impe-gnate e non hanno otte-nuto risultati”.Proprio i giovani adul-ti sotto i quarant’anni

sono i più colpiti dalla disoccupazio-ne. Un dramma che ha vissuto?“Certo, anch’io ho avuto momenti dif-ficili. Nel 1995 sono stato senza lavoro per undici mesi e sono andato in depres-sione. Poi la fortuna è di nuovo girata dalla mia parte”. È giusto varcare i confini se qui non ci sono prospettive?“Se un ragazzo che vive ad Avellino, e fa lo scienziato o l’archeologo, ottiene una chance in Massachusetts o in Svizzera, deve cogliere l’occasione, piuttosto che restare in Italia a marcire facendo il ca-meriere o pulendo le scale. Occorre un cambio epocale. Il futuro è dei ventenni, non dei sessantenni”.Ermanno Olmi ha dichiarato: la cri-si ci spinge al consumo necessario. La proposta è di praticare la povertà come virtù. È d’accordo?“Sì, nella misura in cui la crisi non è solo finanziaria, ma morale. Oggi la profon-dità si ricerca in superficie. L’essenziale

riconduce a vedere l’uomo attraverso la sua dignità e i suoi valori. Come quan-do si verifica una forte siccità, le radici affondano sempre più giù e i frutti sono più saporiti. Ma questo vale per chi non ha problemi economici, come il signor Olmi ed io”. Quale dovrebbe essere la priorità del-la politica?

“Lo Stato deve occuparsi prima di tutto di chi guadagna 900 euro al mese, ha un mutuo, moglie e tre figli da mantenere. Le persone, come dimostrano i casi di suicidio, troppo spesso sono abbando-nate ai loro problemi”. Si è mai pentito di qualcosa? “Di aver firmato il contratto per inter-pretare la parte di Walter Chiari, ma solo all’inizio. Una volta carpita l’essen-za, sono riuscito a entrare in qualunque personaggio da Caravaggio, folle e ma-ledetto, a Ulisse, anche se non è stato fa-cile rendere la dimensione epica mentre mi sentivo ridicolo con il gonnellino. Ma il mattatore era un’anguilla, sempre di-verso a se stesso, sia che fosse il Walter del 1950, quello del 1943 o quello con il problema della cocaina”. La soddisfazione più grande?“Quando ho girato La meglio gioventù come mini serie in quattro puntate per la Rai non sapevo neppure se sarebbe stata messa in onda. Ma riuscì ad arri-vare a Cannes, nella sezione Un certain regard. Oltre sei ore di film più una di pausa. Alla fine, ricordo i venti minuti di applausi e il pubblico in lacrime che mi abbracciava. Mi sono sentito orgoglioso di essere italiano. Il giorno dopo ci han-no avvisato di aver vinto il Festival. E la gioia è esplosa”.Sappiamo che non è sposato e che non ama parlare della sua vita privata. “È vero, ma vorrei un figlio. Siamo trop-po concentrati su di noi. Un bambino ti scioglie il cuore. Ed è il prossimo sogno che voglio realizzare.”

la schedaAlessio Boni è nato a Sarnico il 4 luglio 1966. Il debutto come attore avviene nel 1988 nei fotoromanzi. Dieci anni dopo è protagonista della serie tv La donna del treno, diretta da Carlo Lizzani, mentre la notorietà arriva con la soap Incantesimo. La svolta nella carriera arriva con La meglio gioventù, film diretto da Marco Tullio Giordana, vincitore della sezione Un certain regard al Festival di Cannes nel 2003, e grazie a cui, nel 2004, ottiene il Nastro d’argen-to. Nel 2005 gira La bestia nel cuore, regia di Cristina Comencini, candidato all’Oscar come miglior film straniero. Vince il Globo d’oro come miglior attore rivelazione per Quando sei nato non puoi più nasconderti sempre di Giorda-na e per Arrivederci amore, ciao di Michele Soavi. Tra le fiction interpretate, Guerra e pace, Caravaggio, Puccini, Walter Chiari-Fino all’ultima risata. Le ultime sono Odissea dedicata alla figura di Ulisse e L’ingegnere sugli anni di piombo che saranno trasmesse dalla Rai nella prossima stagione.

La politica dovrebbe occuparsi di chi guadagna 900 euro al mese con mutuo e famiglia a carico

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Promoberg vara il primo corsodi formazione in EuroprogettazioneL’Ente Fiera Promoberg, in collaborazione con il Centro di Forma-

zione in Europrogettazione – attivo presso la Venice International University – ha lanciato il primo master in “Europrogettazione per le Pmi “. L’obiettivo è far fronte alle esigenze del territorio e far in modo che possa accedere ed utilizzare al meglio le risorse finanziarie europee. Il master – rivolto a imprese, associazioni di categoria, sindacali e del terzo settore, associazioni e gruppi di volontariato, organizzazioni internazionali, enti di ricerca, univer-sità, consulenti e liberi professionisti, ma anche studenti universitari iscritti all’ultimo anno e neolaureati – ha una fase di formazione in aula e una di progettazione individuale. L’obiettivo dei moduli in aula (dal 30 settembre al 4 ottobre alla Fiera di Bergamo, con due eventi extra presso la sede universi-taria di S. Agostino il 2 e 5 ottobre) e del semestre di percorso individualizzato con dei tutor è di imparare a sviluppare e stendere progetti europei in risposta ai bandi che l’Unione europea mette in campo per ottenere i finanziamenti e soprattutto essere in grado di gestirli, che è la parte più difficile.

processi. L’iniziativa ha lo scopo di premiare le aziende che abbiano realiz-zato interventi tecnologicamente innovativi e abbiano utilizzato il brevetto quale strumento di valorizzazione e di protezione della proprietà intellet-tuale. La domanda va presentata allo sportello dell’Ufficio promozione entro il prossimo 31 agosto. Sono proponibili per il premio: i prodotti o processi innovativi oggetto di brevetto europeo o Patent Cooperation Treaty concesso dal 1° gennaio 2012; le domande di brevetto per invenzione con rapporto di ricerca di European Patent pubblicato dal 1° gennaio 2012. Per la domanda di brevetto pubblicata si intende quella depositata da almeno diciotto mesi. L’ammontare complessivo del fondo è di 45mila euro. Per le due categorie di innovazione ammesse (prodotto e processo) si concederan-no fino a tre premi da 15mila euro ciascuno.

Ance Bergamo, Savoldelli presidente del Gruppo GiovaniFrancesco Savoldelli è il nuovo presidente del Gruppo Giovani

Imprenditori Edili (GIE) di Ance Bergamo. Succede a Cristian Vitali, divenuto vicepresidente nazionale sempre del Gruppo Giovani. Savoldelli, classe ’75, originario di Clusone, è laureato in Ingegneria Civile e ricopre l’incarico di direttore operativo nell’azienda di famiglia, la “Ilet” di Rovetta. Membro attivo del Gruppo GIE fin dalla sua iscrizione, nel 2006, durante il mandato di Vanessa Pesenti è stato responsabile della Formazione, mentre nell’am-bito del mandato di Cristian Vitali, ha ricoperto il ruolo di vicepresidente e referente del progetto Let’s Synergy organizzato dal neocostituito Coordina-mento Bergamo Giovani. Dal 2008 è Consigliere del Gruppo Gio-vani di Ance Nazionale e dal 2011 Con-sigliere Regionale nell’ambito di Ance Lombardia. “Il nostro Gruppo GIE - ha dichiarato il neo presidente - proseguirà il lavoro cominciato con il progetto del Tavolo di coordinamento con le rappresentanze giovanili delle altre associazioni impren-ditoriali e con una iniziativa a breve per aiutare le imprese ad utilizzare al meglio i fondi della Comunità Europea”.

Ai Social Bond Ubi Comunità il premio “La banca solidale” di Abi Il progetto “Social Bond UBI Comunità” di UBI Banca si è aggiu-dicato il Premio ABI 2013 per l’Innovazione nei servizi bancari

nella categoria “La banca solidale”. La giuria ha decretato il progetto vin-citore per “le sue caratteristiche di concretezza ed efficacia nel generare immediati impatti positivi sul contesto socio-ambientale concorrendo diret-tamente a supportare lo sviluppo dell’economia del bene comune, aumen-tando la coesione sociale”. I Social bond UBI Comunità costituiscono un prestito obbligazionario che offre al sottoscrittore l’opportunità di ottenere un ritorno sull’investimento e nello stesso tempo contribuire al sostegno di iniziative di rilevante valenza sociale. In particolare, il progetto prevede che la Banca devolva una quota pre-definita dell’importo raccolto a supporto di iniziative promosse da orga-nizzazioni non profit oppure destini l’ammontare collocato all’erogazione di finanziamenti a condizioni competitive per contribuire allo sviluppo sul territorio di interventi di imprenditorialità sociale.

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14/02

1912/DODICIMESIAPRILE

Innovazioni brevettate, dalla CdC contributi alle imprese La Camera di Commercio di Bergamo ha aperto il bando per

l’erogazione di contributi a favore delle imprese bergamasche che abbiano messo a punto innovazioni tecnologiche brevettate sia di prodotti che di

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PENSIERI DI/ PENSIERI DI/

12/DODICIMESIAPRILE 12/DODICIMESIAPRILE

Parla Giuditta Guizzetti, divenuta celebre con la canzone “Mon petit garçon” e poi vittima

della malattia che ha minato corpo e spirito. “ora vivo a ibiza, sono rinata e sto per diventare mamma”.

di donateLLa tiRaBoschi

Bentornata Giuditta, come sta? “Benissimo, sono al quinto mese di gravidanza, a inizio giugno nascerà la mia bambi-

na. Sono felicissima. Sta andando tutto bene, mi sto godendo questo momento magico, lontano dalle preoccupazioni”. E anche lontana dall’Italia… “La mia vita è qui a Ibiza dove sono ap-prodata quattro anni fa, arrivando da Ber-gamo senza conoscere nessuno. Sono partita da zero ed ho trovato tutto”. Casa, lavoro e amore? “Proprio così. Qui è un modo di vivere completamente diverso, ho potuto rom-pere con il passato e ricostruirmi”. Che legami le sono rimasti con Ber-gamo?

“Conoscenze e amici, oltre che la mam-ma. È stata sempre la mia città, mi è ri-masta nel cuore”. Pregi e difetti di Bergamo? “È una città vivibile, umana, ma le è ri-masto attaccato il bollino della provin-cialità, del paesotto, con una propen-sione al pettegolezzo. Anche questo mi ha portato ad andare via. Ho vissuto si-tuazioni che mi hanno ferito nel periodo post-celebrità. Ho ricevuto sostegno, ma anche tante coltellate alle spalle”. Pregi e difetti del vivere in Spagna? “Parlando di un’Ibiza quotidiana e non ‘discotecara’, direi il clima, il paesaggio

e il senso di vivere in un modo un po’ hippie. Al supermercato ti aiutano a ca-ricare la spesa: a Bergamo quando mai lo fanno? C’è molta umanità, molta serenità anche nei rapporti interpersonali. Il lato negativo è l’ambivalenza, un volto sociale e urbano che cambia completamente con l’arrivo della brutta stagione”. Che cosa le manca dell’Italia? “La pizza! Mi manca un certo modo di vivere tipicamente italiano, qui al di là di tutto quello che può apparire vige uno stile di vita molto nordico”. A Ibiza che cosa fa? “Parlando perfettamente quattro lingue, ho subito trovato lavoro in questo ne-gozio molto famoso, lo “Sluiz”, dove in poco tempo sono diventata un punto di riferimento, con la gestione dei clienti importanti. Mi sono attivata anche sul

piano artistico, con la gestione di una galleria d’arte. Mi sono trovata bene; un contratto e un lavoro fisso mi hanno consentito di riprendere un cammino personale con la giusta tranquillità, una stabilità che mi ha salvato dalla malattia e dai meccanismi contorti in cui ero finita”. Quando si guarisce dall’anoressia? “Quando si ha la consapevolezza di es-sere malati e con tutte le forze si deside-ra uscirne. Non basta essere coscienti del proprio stato, occorre dire basta. Quel momento, per me, ha coinciso con il giorno in cui ho preso le mie cose, ho caricato la macchina e sono andata via”.

In questa nuova vita ha trovato l’amore… “È un artista che ho conosciuto qui tra-mite la galleria che gestivo. Prima è sta-ta una grande amicizia e poi l’amore. È successo tutto con grande velocità e in modo assolutamente naturale. Lui ha un anno meno di me… finalmente un uomo un po’ più giovane (ride di gusto)”. Incontra bergamaschi a Ibiza? “Sì, mi riconoscono e spesso assisto an-che a scene carine, del tipo: vado o non vado, glielo dico che l’ho riconosciuta oppure no? Ho ricevuto anche qui tan-tissimo affetto, con gesti che mi hanno fatto bene al cuore”.

Sembra di sentirla davvero serena… “Non è tutto rosa, ho anch’io i proble-mi che hanno gli altri, ma anche ripen-sando alla mia malattia, direi di sì. Con l’anoressia non bisogna mai abbassare la guardia, purtroppo è una malattia che segna a vita, gli effetti rimangono”. Quali sono? “Pensieri che, in cer-te giornate, ti ripor-tano lì. Ma sono cose delicate… preferirei non parlarne”. Cosa si può dire a chi è malato? “Nessun consiglio, perché io stessa all’epoca non ascoltavo nes-su-no. L’uni-ca cosa che posso dire è di non chiudersi in se stessi, di parlarne e di cercare un aiuto”.

Giuditta guarda avanti… “Sono una abituata a vivere il presente, il mio futuro è la bambina che nascerà, il pensiero di una vita nuova da un lato mi spaventa un po’ e dall’altro mi elettrizza. E poi c’è in arrivo un nuovo singolo”. Torna Yu Yu?

“Sì questa è un’an-ticipazione asso-luta. Sono tornata a incidere con la prima casa disco-grafica, quella di Mon petit garçon. Un’idea nata quasi per scherzo che si è concretizzata e che

lanceremo a breve”. A chi dedica questo ritorno sulla sce-na artistica? “Sicuramente a chi verrà”.

Nel mondo artistico, in questi anni di oblio chi è rimasto accanto a Yuyu? “Moltissime persone e, infatti, sono mol-to contenta per come ho gestito i rapporti con gli altri. Sono stati molti, sia quando le cose andavano bene che quando anda-vano male. Ho contatti con personaggi di quel mondo con i quali mi sento. Non una grande fetta… ovviamente”. Che cosa si aspetta? “Niente di particolare. È meglio non crearsi troppe illusioni, tutto quello che accadrà andrà bene. Di sicuro non per-metterò di rattristarmi. Comunque vada, andrà bene. Sono molto contenta del la-voro di produzione che abbiamo fatto, lo ritengo molto valido. Nessuna aspettati-va, così come quando è uscito Mon petit garçon. Tra l’altro il nuovo pezzo è stato scritto dallo stesso autore”. Come si chiamerà questi nuovo sin-golo? “L’amour, è un titolo che dice tutto”. Che cos’è l’amore per lei? “Il mio sorriso”.

Yu Yu“con l’AnoressIA mAI ABBAssAre lA guArdIA”

la schedaGiuditta Guizzetti, nata a Parigi nel 1976, ex hostess di madre francese e padre italiano, per anni residente a Bergamo, diventa famosa con il nome d’arte di Yu Yu grazie al sin-golo Mon petit garçon, pubblicato nel 2001 e utilizzato come colonna sonora di uno spot televisivo. Un successo che viene bissato poco dopo con un altro singolo, Bonjour Bonjour, anch’esso ripreso da uno spot pubblicitario. Non altrettanto fortunate, sono state, invece, le pro-duzioni successive che hanno segna-to il suo declino artistico. Dal 2005 al 2008, Giuditta vive un periodo tre-mendo a causa dell’anoressia, una malattia sconfitta che la debilita pro-fondamente nel corpo e nello spiri-to, raccontata nel libro “Il cucchiaio è una culla - Diario della battaglia di Yu Yu contro l’anoressia”, pubblicato nell’ottobre 2008 da Aliberti Edito-re. Ora vive serena a Ibiza dove ha trovato l’amore e dove aspetta la nascita della sua primogenita per il prossimo giugno.

Dall’anoressia si esce quando si ha la consapevolezza di essere malati

Bergamo ce l’ho nel cuore, anche se odio la propensione al pettegolezzo

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POLITICA/

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dAl medIo ego Al nuovo evo

(ApArtItIcI, non ApolItIcI)

i partiti attuali sembrano inadatti a mettere in relazione gli interessi (la pulsione, la pancia) con i valori (la ragione, la testa) attraverso le idee e gli ideali (la passione, il cuore). incapaci a mettere in connessione l’economia con l’etica attraverso la politica e la cultura. inadeguati, dunque, a trasformare l’etica dei valori in epica degli ideali.

di aLessandRo cheULa

grillo è stato una “scossa”, come nel 1992-‘94 lo fu Bossi. La Lega in vent’an-ni, grazie anche a Berlusco-

ni, è stata depotenziata ossia integrata, assimilata, omologata e “metabolizza-ta”, tanto che dal secessionismo è passa-ta al federalismo e da questo al “macro-regionalismo” (il “sindacato del Nord” di Roberto Maroni). Toccherà la stessa sorte anche al M5S, pur essendo geo-graficamente nazionale, programmati-camente trasversale, politicamente dia-gonale e ideologicamente neutrale?La risposta del “sistema” politico – se vuole salvare ciò che resta della demo-crazia rappresentativa (delegata), essen-do la democrazia partecipativa (diretta)

un’istanza ancora astratta nonostante la rete e le sue possibilità di intervenire e interagire in tempo reale a livello di massa – non può che essere l’autorifor-ma, ossia la rifondazione dei partiti che ne fanno parte. E i futuri protagonisti di tale processo, non esclusivi ma deci-sivi, potrebbero essere, oltre a Grillo e Matteo Renzi (il Blair italiano), anche i cadetti del Pdl quali Maurizio Lupi e Mariastella Gelmini. Il primo, Grillo, dall’esterno del sistema, pur essendovi entrato; il secondo, Renzi, dall’interno del partito, pur volendone uscire.

LiBeRtà e PRocessoRinunciare a se stessi per ritrovare se stessi. Questo devono fare i partiti sto-rici se vogliono salvarsi. Vale a dire non solo rinnovarsi ma rifondarsi e rigene-rarsi, cioè estinguersi per rinascere. L’autoriforma, ossia il cambiamento “motu proprio”, generato al proprio interno, è molto più difficile di qualsia-si riforma suggerita o sollecitata dall’e-sterno. Ma in compenso è meno trauma-tico in quanto può essere pilotato senza rotture, come invece avvenne vent’anni fa con la “rivoluzione” di Mani Pulite.

Rivoluzione apparente proprio perché non effettuata per convinzione (o per opportunità) ma subita per convenzione (per necessità). Quale vision per gli anni a venire? Quale mission per uscire dal pantano? Non più “libertà e progresso”, troppo ingenua-mente illuminista, e nemmeno “libertà e progetto”, troppo illusoriamente diri-gista, bensì “libertà e processo”, reali-sticamente e liberamente riformista. Un processo collettivo e condiviso, ma anche connettivo e conclusivo. Trasversale, diagonale e neutrale (non senza valori, ovviamente, ma senza “sistemi” di valo-ri, ossia senza ideologie). Ecco perché il binomio di libertà e processo, inteso in tale senso, può far rima con progetto e progresso. Dipende da noi. Da ognuno di noi. Dal medio-ego a un nuovo evo.

Meno tasse Meno stato PiÙ LaVoRo PiÙ MeRcatoMentre Grillo, sia pure con la veemenza populistica del suo motteggio e Renzi, con la irruenza riformistica del suo fra-seggio, hanno mostrato di percepire le dirompenti novità dei processi in atto, Mario Monti, pur avendo intuito il s

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tendenziale strisciante superamento del dualismo destra-sinistra, non ha sa-puto o potuto essere conseguente con tale percezione. Saprà esserlo Gregorio Gitti, suo stretto collaboratore, che con la sua Fondazione Etica è sembrato in-travvedere la possibilità di nuovi scenari etico-politici e dunque nuove “strategie della speranza”, come da anni noi amia-mo definire le istanze provenienti dalla società civile? Domanda riassumibile, da una parte, nella vecchia protesta di “meno tasse meno Stato”, e dall’altra nelle nuove proposte di “più lavoro più mercato”? “Meno tasse e meno Stato” intesi come riduzione del carico fiscale, dei costi del-la politica (da non confondersi con quel-li della democrazia), dei costi della buro-crazia e della spesa pubblica: soprattutto quella corrente (salari e stipendi) e quel-la sociale (pensioni e sanità). Due voci che sommate sono pari alla metà del Pil, percentuale non più sostenibile, o tanto più insostenibile quanto più difficilmen-

te comprimibile. “Più lavoro più mer-cato” intesi come riforma del mercato del lavoro, onde superarne la rigidità, e come controllo sulla organizzazione del lavoro. Due riforme contestuali trattan-dosi dei due fattori principali della pro-duttività e quindi della competitività si-stemica, cioè del sistema-Paese nel suo insieme, senza la quale non c’è mercato poiché anche i necessari investimenti in tecnologia verrebbero vanificati. Appa-re dunque assolutamente improponibi-le, in quanto praticamente impossibile, la proposta di Grillo di ridurre l’orario dei lavoro a venti ore settimanali per fare posto ai giovani disoccupati. Ap-prezzabile il fine di occupare i giovani che rischiano di restare fuori a vita dal mondo del lavoro (la “generazione per-duta” è l’emergenza più drammatica con la quale abbiamo a che fare ma di cui non abbiamo sufficiente coscienza) ma del tutto inadeguato il mezzo, poi-ché in molti comparti manifatturieri il dimezzamento dell’orario creerebbe in-

sormontabili problemi di organizzazio-ne del lavoro. Ciò che va cambiato non è il singolo orario di lavoro ma il carico di lavoro complessivo attraverso la tota-le flessibilizzazione sia in entrata che in uscita della forza lavoro, in modo da ridi-stribuire a livello di sistema il lavoro esi-stente (se tutti siamo flessibili nessuno è precario). Come del tutto fantapolitica è l’altra proposta, al limite della demago-gia seppur eticamente motivata da una comprensibile ansia di giustizia sociale, relativa al “salario di cittadinanza” con mille euro mensili per tutti coloro che ne hanno bisogno. I conti dello Stato esploderebbero e il debito pubblico passerebbe dall’attuale 127% del Pil al 140% con le immaginabili conseguenze sui tassi di interesse. L’unica risposta è una crescita non tanto felice quanto pos-sibile e sostenibile, e quindi perfettibile, certo difficile ma certamente preferibile alla romantica utopia grillina della “de-crescita felice”, mutuata dal (economi-sta?) francese Serge Latouche. È chiaro che non si può crescere all’infinito, ma da qui a teorizzare il pauperismo quale panacea di tutti i mali del sistema, ce ne corre. La decrescita è solo una sug-gestiva sociologia di importazione che vorrebbe farci digerire una mistica della povertà ammantata e legittimata da ideo-logia dell’austerità. Certo che non è più il caso di andare a testa bassa verso una “diseguaglianza della ricchezza” senza morale né coscienza, ma da qui a teoriz-zare una nuova “uguaglianza della mise-ria” ce ne passa. Anche perché è il caso di rammentare che giustizia sociale non significa automaticamente eguaglianza economica, essendo l’eguaglianza eco-nomica imponibile solo con una dittatu-ra politica, cioè con il massimo di ingiu-stizia sociale.

non contRo La PoLitica Ma contRo La “PaRtitica” La rete, nuovo strumento di democrazia di massa interattiva, affosserà i partiti? È presto per dirlo, ma è certo che i partiti tradizionali, come insegna l’esperienza grillina, sono stati completamente sca-valcati dalla rete. Un conto, infatti, è la Roberto Maroni

politica, un altro sono i partiti. Affer-mare che senza partiti non c’è politica e senza politica non c’è democrazia, e quindi senza partiti non c’è democra-zia, è stato vero fino ad oggi, ma non significa che in concreto debba esserlo per sempre. Certo, in tale discorso c’è una evidente ambiguità di fondo: come è possibile una politica senza i partiti? È possibile. Oggi la complessità della società civile è tale da contemplare una pluralità di soggetti politici, non solo i partiti tradizionali (“istituzionali”) ma anche attori sociali come movimenti, as-sociazioni, aggregazioni, scuole o cor-renti di pensiero più o meno organiz-zati. Del resto, i partiti stessi nel nostro ordinamento costituzionale repubblica-no non sono considerati “istituzioni” ma semplice “associazioni di interesse” senza personalità giuridica. Un profilo assai poco caratterizzato nel senso isti-tuzionale, ma contrassegnato da una intrinseca labilità e “precarietà” giuri-dica. Ripetiamo: è possibile una politica senza partiti? Ribadiamo: è possibile. In primo luogo perché nella società moder-na i partiti non sono gli unici depositari della politica, come non sono più l’uni-co veicolo di organizzazione del consen-so né l’unico tramite di rappresentanza della volontà popolare. Nel senso che la politica può essere fatta anche da soggetti diversi dai partiti. In secondo luogo perché, nella fattispecie di cui si parla, non si va “contro” i partiti, ma si guarda “oltre” i partiti. Insomma, nes-suna pretesa di rappresentanza esclusiva o sostitutiva dei partiti tradizionali, ma solo la convinzione di poterne assolvere lo stesso compito con altri mezzi ed altri strumenti – la rete è strumento elettivo ed effettivo di partecipazione – al po-sto o accanto ai partiti stessi. Nessuna indebita concorrenza o competizione con i partiti-istituzione, ma concorso con questi, e se necessario “al posto” di questi, per la crescita della comunità e il benessere delle persone che ne fanno parte. Oltre la politica, infine, non tanto perché la politica può apparire “disgu-stosa”, anche se dopo le elezioni del febbraio 2013 sembra dare segni di

Beppe Grillo

Matteo Renzi

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ravvedimento e resipiscenza. E non solo perché per una parte degli elettori può essere ancora tale, o perché per un’altra parte può essere ancora recuperata e ri-guadagnata al bene comune. Ma perché la politica ha bisogno in ogni caso di una seria rifondazione. Rinnovamento che può partire sia dall’interno che dall’e-sterno dei partiti.

MaGGioRanZe siLenZioseMinoRanZe sediZiose Un equivoco da evitare: come ieri veni-va demonizzato il qualunquismo, oggi viene criminalizzato il populismo. A prescindere dal fatto che sono due feno-meni differenti (il qualunquismo è anti-politico cioè contro la politica, il popu-lismo è antipartitico cioè contro i partiti ma fa politica) si tratta di feticci termino-logici devianti e funzionali a polemiche di comodo, utili ad evitare di affrontare il merito delle questioni. Ecco perché una mission all’altezza dei problemi, riassunta nella sintesi di uno slogan, potrebbe proporsi oggi con la

seguente sequenza: “L’economia al pri-mo posto, la politica al secondo, la cul-tura come valore, l’etica come sensore”.La politica dunque non al quarto posto ma al secondo, a conferma della sua im-portanza e rilevanza per la soluzione dei problemi comuni. Politica nelle più di-verse forme (movimenti, non solo partiti, e opinioni, non solo istituzioni) e coi più differenti strumenti (liste civiche,anche se alla prova dei fatti la civica per eccel-lenza, quella nazionale di Monti, ha fatto flop rispetto alle previsioni). Più chiaramente: il mercato (l’econo-mia) come motore, lo Stato (la politi-ca) come vettore, la società (la cultura) come tutore, la persona (l’etica) sul pal-co d’onore. Nessuna parentela dunque né con maggioranze silenziose né con minoranze sediziose. Nessuna attinenza o connessione col qualunquismo d’an-tan o col populismo d’abord. Non quello arcaico di Guglielmo Giannini, patron dal qualunquismo storico dell’imme-diato dopoguerra, né col qualunquismo antipolitico, fenomeno ancora presente

sotto forma di populismo antipartitico. Mai dimenticare che il qualunquismo in Italia è morto per merito di Berlusconi poiché grazie a lui è entrato in politica, ha cominciato a fare politica, si è assun-to una responsabilità politica.

eFFicienZa e tRasPaRenZaTrasparenza ed efficienza sono in rap-porto biunivoco. Se la trasparenza è condizione di maggiore efficienza, que-sta per essere tale richiede la massima trasparenza. Ecco perché occorre gio-care d’anticipo. Non per tattica oppor-tunistica o per trucco elettoralistico. Il programma non deve essere un “libro dei sogni” da buttare alle ortiche dopo la sconfitta o da buttare nel cestino dopo la vittoria elettorale. Ma un progetto realizzabile in quanto concepito e con-cordato con la società civile e dentro la società civile, le cui articolazioni sono quanto mai capillari e corpuscolari, nel senso di essere estese a tutto lo spes-sore della complessità sociale. È da qui che bisogna partire per la formulazione di un programma concreto, secondo passaggio dopo aver elaborato un pro-getto completo. Poiché il progetto è la cornice, il contenente, mentre il pro-gramma è il soggetto, il contenuto. Un progetto connettivo per un programma conclusivo, un processo collettivo per un progresso condiviso. Non sarà facile ma è proprio per questo che occorre co-minciare in anticipo sui tempi canonici tradizionali.

QUaLe PRocesso ?PRoGetto e PRoGRessoCambiare se stessi per cambiare gli altri? Riprendiamo sommariamente, articolandolo ulteriormente, il discor-so avviato in premessa. Giova ribadire la distinzione tra apartitici e apolitici. Poiché un conto è essere apolitici, un altro è essere apartitici. Un conto è es-sere contro la politica, un altro è anda-re oltre la politica. Non contro i partiti ma contro la “partitica” quindi “fuori” dai partiti. Non perché i partiti siano da aborrire o da abolire ma perché sono da cambiare. Ma se i partiti, cioè la po-

Maurizio Lupi

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litica, sono lo specchio del Paese, per cambiare “loro”, gli eletti, occorre pri-ma cambiare gli elettori. Cambiare noi stessi, appunto, per cambiare gli altri. Ecco perché “Libertà e processo” è un programma non “contro” qualcuno ma “per” qualcosa. Un progetto che guarda in alto ma comincia dal basso. Un per-corso puntato in avanti ma che guarda al tuo “accanto”. Un cammino lungo fatto di piccoli passi. Un “progresso” gra-duale composto da un programma eco-nomico, un progetto politico, una pro-posta culturale, un profilo etico. Vale a dire un piano trasversale, un prodotto territoriale, un percorso popolare, un processo multipolare.

inteRessi e VaLoRi“Tutti i cittadini hanno diritto di asso-ciarsi liberamente in partiti per con-correre con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. È l’articolo 49 della nostra Costituzione, l’unico dove vengono menzionati i parti-ti che, pur privi di personalità giuridica, sono libere “associazioni di interessi”, come dice la dottrina politica conclamata e consacrata. Solo interessi? No, i parti-ti, aggiungiamo noi, sono associazioni di interessi e anche di valori, di idee e pure di ideali. Come del resto qualun-que organizzazione di uomini “liberi ed uguali”, essendo interessi e valori due parti indivisibili, due facce della stessa medaglia: la persona umana. Come lo è pure, nel proprio ambito e nella fattispe-cie di cui si parla, il binomio di libertà e processo. Una istanza di gente comune che non vuole solo cambiare “gli altri” ma che aspira a cambiare se stessa, con-dizione necessaria, anche se non sempre sufficiente, per cambiare gli altri. Ma co-munque necessaria, cioè irrinunciabile. Anche perché, concludendo, va detto che gli attuali partiti – nonostante tutti i commendevoli sforzi – sembrano inade-guati a mettere in relazione gli interessi con i valori attraverso le idee e gli ideali. I partiti esistenti appaiono tuttora incapaci, nonostante tutta la buona volontà, a met-tere in connessione l’economia con l’etica attraverso la politica e la cultura.

Mariastella Gelmini

Gregorio Gitti

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INSIDE/ INSIDE/

BergAmo, lA nuovA emergenzA È l’IncApAcItà dI produrre lAvoro

di John Law

Il primo trimestre del 2013 ha confermato come l’economia di Bergamo stia perden-do la capacità di produrre lavoro. Questa sta diventando la vera emergenza, che non

sarà risolta semplicemente dall’arrivo di una reale ripresa economica che continua a slitta-re, ma che richiede un mutamento strutturale, ancora di difficile visibilità. La tendenza con-solidata che prosegue anche in questo primo scorcio di anno vede un numero di entrate nel mondo del lavoro inferiore alle uscite, con un saldo che si traduce da un lato in minore oc-cupazione (il tasso nel 2012 è ulteriormente sceso al 61,8%, il valore più basso tra tutte le province lombarde) e dall’altro in maggiore di-soccupazione. Per quest’ultima, in particolare, il tasso è più che raddoppiato nel periodo della crisi, balzando, tra il 2008 e il 2012, da un ec-cellente 3% a un 6,8% che inizia ad evidenziare criticità, anche se il dato resta sotto la media regionale, che è al 7,9%. Ci sono settori che vanno peggio di altri. L’edilizia, in particolare, e tutto quanto vi ruota intorno, sta subendo i colpi più pesanti, dato che il calo dell’attività nei cantieri comporta in generale meno lavoro e quindi meno occupazione. Però anche il com-mercio non riesce più a svolgere la sua funzione di camera di compensazione, dato che il calo dei consumi si fa sentire nel settore, a seguito della contrazione del reddito disponibile, men-tre anche nel terziario in genere la situazione è difficile, sia nuovamente per il calo dei consu-mi, sia per la minore attività delle aziende. Per concludere poi con l’industria, che nel 2012 ha registrato un calo delle produzione del 4,4% a livello provinciale, dato superiore anche alla media lombarda, che ferma la caduta al 3,7%.Ovviamente questo quadro di attività debole, se non in declino, si ripercuote sull’occupazio-ne, dato che le aziende – se questa situazione

non cambia – devono a un certo punto adegua-re gli organici alle dimensioni ridotte per effet-to dalla crisi. Oggettivamente bisogna dire che se la situazione non ha assunto carattere di emergenza sociale è grazie agli ammortizzatori sociali. Nei primi tre mesi le richieste di cassa integrazione sono salite del 34%, passando da 6,4 a 8,6 milioni di ore (un aumento di 2,1 milio-ni di ore, che equivale a circa metà dell’intero ammontare del 2007, l’ultimo anno prima della crisi). Si tratta di ore concesse e non necessa-riamente utilizzate, ma è comunque un dato significativo di come in realtà già ora i senza lavoro sono in effetti più di quanti risultano dal-le statistiche. Più di metà delle ore autorizzate sono relative a Cig ordinaria, quella tipicamen-te legata a una crisi congiunturale che però in

certi casi copre una situazione strutturale. Tra i record negativi del primo trimestre c’è infat-ti anche quello dei cento fallimenti dichiarati, un numero mai registrato in precedenza, che si aggiunge tra l’altro a un considerevole ricorso a concordati, che salvano, contrariamente ai fallimenti, l’impresa ma pagano comunque un pedaggio in termini di occupazione. Il fatto che l’azienda, seppure ridimensionata, sia comun-que messa in condizione di proseguire l’attività apre alla possibilità di un recupero: i posti sono invece persi nella quasi totalità per le aziende fallite, pur nella possibilità di un anno di am-mortizzatore sociale, così che le procedure aperte quest’anno si mostreranno negli effetti occupazionali solo nel 2014 o in seguito. Stessa sorte per i posti di lavoro anche delle imprese

chiuse senza ricorso a procedure concorsuali, che in ogni caso nel 2012, e nel primo bimestre di quest’anno, sono, in maniera inedita, supe-riori a quelle che hanno aperto. Come nel 2014 andranno a conclusione crisi avviate quest’anno, così nel 2013 si chiudono casi del passato. In effetti il ricorso alla mobili-tà è partito di velocità, con 1.053 licenziamenti che in buona parte però riguardano lavoratori di aziende già chiuse da tempo. Nel primo tri-mestre gli iscritti alla mobilità sono stati 1.716: un numero da considerarsi arrotondato in am-pio difetto, perché il mancato finanziamen-to delle liste 236 riferito alle piccole aziende ha comportato che siano rimaste congelate le richieste dopo il primo gennaio e il conto comprenda solo le pratiche avviate nel 2012. E questo è un primo problema sociale legato alla mancanza di finanziamenti per gli ammor-tizzatori sociali che rischia di avere un secondo caso da luglio con l’esaurimento dei fondi per la cassa integrazione in deroga.Lo scenario, anche per l’impossibilità di con-tenere le uscite con gli ammortizzatori sociali, mentre le nuove norme previdenziali ostaco-lano gli scivoli alla pensione, comporta che il 2013 del lavoro sarà peggiore di un 2012 che nella Bergamasca ha visto una diminuzione di circa 12mila occupati, mentre sono aumentate di quasi 13mila le persone in cerca di lavoro, che comprendono sia chi ha perso il posto, sia soprattutto chi non riesce a trovare il primo. E si torna così al problema principale dell’incapa-cità della economia bergamasca di produrre la-voro. Le ragioni sono banali: chiudono aziende, in particolare, nella manifattura, con un nume-ro di occupati superiore a quelli che si possono ragionevolmente ipotizzare potranno avere le aziende che aprono. La cura al momento non si intravede ancora.

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medIcInA estetIcAc’È lA crIsI, meno

lIFtIng pIù BotulIno

Un’indagine fra i medici specialisti evidenzia un calo della chirurgia plastica e un aumento di chi chiede interventi estetici più blandi, alla ricerca di un compromesso tra portafoglio e lotta all’invecchiamento. tonini: “offerte eccessivamente convenienti su internet non sono solo sospette, ma pericolose”.

di GioRdana taLaMona

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la medicina estetica cresce, nonostante la crisi. È quanto emerge da un’indagine dell’As-sociazione Italiana di Chirurgia

Plastica Estetica (Aicpe), presentata nel marzo scorso, che fa il punto sul setto-re. Dal sondaggio, a cui hanno risposto 255 chirurghi plastici in tutta Italia, ri-sulta che nel 2012 la chirurgia plastica ha registrato un calo: quasi 9 specialisti su 10 (88%) dichiarano di aver operato meno dell’anno precedente, con una contrazione dell’attività compreso tra il 10 e il 15%. Questo si somma alla dimi-nuzione già registrata nel 2011, quanti-ficabile attorno all’8-12%. Al contrario la medicina estetica, che già nel 2011 aveva registrato un aumento del 7-9%, continua a crescere: nel 2012 è aumen-tata del 10-12% circa. Come a dire che gli italiani non rinunciano al mito della bellezza, accontentandosi di risultati più blandi, ma meno cari. Più acido ialuroni-co (+24,5% rispetto al 2011) e botulino (+15,6%), meno lifting.

In flessione anche il sogno di un seno da pin-up, che passa dal primo al quarto po-sto nel 2012, scavalcato dalla liposuzione che si attesta al primo posto come l’inter-vento di chirurgia estetica più praticato. Segue il ringiovanimento dello sguardo (blefaroplastica) e il trapianto di grasso autologo, tendenza in netto aumento. “L’innesto di grasso prevede di iniettare del grasso precedentemente prelevato da una zona del corpo in un’altra – precisa il bresciano Giovanni Botti, presidente di Aicpe –. Piace perché consente di otte-nere risultati naturali utilizzando tessuto proprio e non sostanze di sintesi o pro-tesi. Si tratta di una tendenza in crescita: basti pensare che l’anno scorso in Gran Bretagna, per la prima volta, il numero di interventi di innesto di grasso (lipofil-ling) ha superato, seppur di poco, quello delle liposuzioni. Occorre peraltro ricor-dare che il tessuto adiposo da trapiantare è dapprima prelevato in un’altra zona del corpo, ricorrendo comunque perlomeno a una microliposuzione”.

daLLa ceLLULosa aLLa PLastica “Il 30% delle pazienti arriva ancora con la foto di una star del cinema”. A parla-re è Davide Tonini, medico specializ-zato in Chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica, che esercita a Bergamo e a Verona. Tra i divi che popolano, più

Giovanni Botti, presidente di Aicpe

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di altri, i sogni degli italiani rimangono stabili: Angelina Jolie per le labbra, Jen-nifer Lopez per i glutei e Demi Moore per il seno. Gli uomini chiedono di avere il naso di Brad Pitt e di farsi togliere le borse sotto gli occhi, come George Clo-oney. Ma per fortuna è una tendenza in netto calo. “Grazie alla campagna d’in-formazione di questi ultimi anni – pro-segue Tonini – la maggior parte dei pa-zienti arriva con idee precise e progetti di miglioramenti che non si discostano troppo dalla realtà di partenza. Dunque la foto di Jennifer Lopez può essere utile solo per capire il tipo di forma che desi-dera la paziente, per poi tararla adegua-tamente sul suo fisico”.

Le MotiVaZioni PsicoLoGiche “Ci sono pazienti che non devono essere operati, le cui motivazioni psicologiche non possono essere considerate genu-ine – spiega Giovanni Botti –. Pazienti che pensano di riconquistare il proprio partner grazie al lifting o giovanissime che vivono ossessivamente la comparsa di una ruga d’espressione devono es-sere ben consigliate dal chirurgo, il cui compito talvolta è anche quello di dire no”. Tra le ragioni psicologiche più gettonate, c’è l’emulazione di una star o di un’amica. “Ho recentemente sconsi-gliato una paziente di 28 anni, alta 1.60 per 45 chili, di passare da una seconda a

una quinta di seno – spiega Davide To-nini –. La paziente voleva delle protesi come quelle della cugina, una ragazza alta 1.80 per 80 chili. Due fisici com-pletamente diversi non possono avere identico risultato. Anzi, più una prote-si è grossa, più comprime i tessuti che tenderanno a degenerare velocemente. Il risultato è un seno enorme, brutto, su un fisico inadatto a sopportarlo”. Lega-te al passare del tempo, all’emulazione, all’idea di bellezza e ai modelli veicolati dai media, le motivazioni psicologiche nascondono uno scollamento tra l’im-magine di sé e l’io interiore. Una frat-tura che, crudelmente, si manifesta da-vanti allo specchio, incidendo nella vita sociale di tutti i giorni. “Recentemente – racconta Botti – ho operato un mio collega di 63 anni, che non si sentiva più in linea con il proprio viso. Si è sottopo-sto a un lifting che l’ha rimesso al pari con il suo ‘io’ interiore. D’altra parte la vita si è allungata di una ventina d’anni, un periodo che dovrebbe essere percor-so nel modo più sereno possibile”.

L’eseRcito dei chiRURGhiIn Italia i medici che esercitano la chi-rurgia estetica, tra specialisti in chirur-gia plastica e non, sono circa 5.000. Il numero di quelli in possesso di una spe-cializzazione in Chirurgia Plastica, e che quindi possono vantare una formazione ad hoc, si riduce drasticamente. Oggi un medico con una laurea in medicina, senza specializzazione, può praticare svariate procedure estetiche chirurgiche e non-chirurgiche. Tutto questo legalmente, in Italia, come all’estero. “La legge au-torizza il medico laureato in medicina e chirurgia ad effettuare qualsiasi tipo di pratica medica, con l’esclusione della ra-diologia, dell’odontoiatria, dell’anestesia e rianimazione” – spiega Giovanni Botti –. Questo significa che, se ne ha la com-petenza, un medico chirurgo può esegui-re qualsiasi genere di attività medica, dal-la cardiochirurgia alla chirurgia plastica”. Già, ma chi stabilisce la competenza di un medico? La specializzazione in Chi-rurgia Plastica potrebbe essere la prima discriminante, visto che l’iter post laurea

di specializzazione prevede il completa-mento di 5 anni di studio, a cui segue un esame con tesi. La tendenza di altri Pae-si europei si sta attestando verso questa direzione. È il caso di Francia e Austria, la cui legislazione ha ristretto l’esercizio della chirurgia plastica ai soli medici spe-cializzati, senza validità retroattiva per tutti quelli laureati nel passato.

Le società mediche di chirurgia plasticaIl paziente può farsi un’idea sulla pre-parazione di un medico verificando la sua iscrizione a una delle due società mediche di chirurgia plastica presenti in Italia. La più antica è la Sicpre, Società italiana di Chirurgia Plastica Ricostrut-tiva ed Estetica (www.sicpre.it), attiva dal 1934. La società si occupa, oltre che

di chirurgia estetica, anche di chirurgia plastica ricostruttiva, legata a neoplasie mammarie, a fratture facciali e a tumo-ri cutanei. L’altra, l’unica in Italia che si occupa solo di chirurgia estetica, è l’Aicpe, Associazione italiana di Chirur-gia Plastica Estetica (www.aicpe.org), che ammette tra i suoi soci solo medici specializzati o equipollenti in chirurgia

plastica, che negli ultimi tre anni abbia-no esercitato prevalentemente la chirur-gia estetica.

coMe tUteLaRsi“Occorre temere i prezzi eccessiva-mente bassi – avverte Davide Tonini –. Certe offerte pubblicate su noti siti internet non sono solo sospette, ma Il chirurgo Davide Tonini

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L’iDentikit Dei PAzienti

ecco le rIchIeste pIù FrequentI AvAnzAte dA uomInI e donneContinuano a essere le donne le pa-zienti che si rivolgono più spesso alla chirurgia e alla medicina estetica. Gli uomini, che rispetto al passato sono più interessati agli interventi estetici, vanno dal chirurgo tra i 45 e i 55 anni, se eterosessuali, tra i 30 e i 40 anni se omosessuali. Una media diversa per il gentil sesso, che si rivolge alla chi-rurgia estetica tra i 35 e i 45 anni. Le giovani vanno dal medico preferibil-mente per aumentare il seno (masto-plastica additiva), le signore più agée per ritornare all’antico splendore, sia sopra che sotto. A sorpresa infatti tra le operazioni che nel 2012 hanno regi-strato il maggior aumento percentuale troviamo quella ai genitali (+24%). Una richiesta che nasconde l’imba-razzo per certe situazioni intime, in-fluenzata dalla moda della depilazione totale che espone il pube femminile a più di uno sguardo critico. “Ci vuole non solo esperienza, ma anche cautela nella programmazione degli interventi e precisione nei dettagli durante l’ese-cuzione – spiega Gianfranco Bernabei, chirurgo plastico consigliere di Aicpe e presidente dell’Associazione Euro-pea di Ringiovanimento e Chirurgia Plastica Estetica Genitale (Arpleg) –. Negli ultimi due anni sono purtroppo aumentati i casi di pazienti già sottopo-ste a interventi che lamentano risultati

scadenti, complicazioni e danni spesso difficilmente riparabili”. Le richieste più comuni riguardano principalmente interventi di labioplastica (riduzione di piccole e grandi labbra), vaginoplastica (restrizione della vagina) e iniezioni di acido ialuronico o grasso per ridare tono alle grandi labbra. Le minorenni non possono invece au-mentare il seno prima dei 18 anni. A dirlo è una legge del 2010 che chia-risce definitivamente l’età più appro-priata per ricorrere al chirurgo plasti-co. “Prima di fare una mastoplastica additiva, è necessario attendere il com-pleto sviluppo corporeo della paziente – precisa Giovanni Botti, presidente di Aicpe –. Ci sono molte adolescenti, in-fatti, che tendono a svilupparsi tardi e intorno ai 17 anni vivono una crescita naturale del seno a completamento del-lo sviluppo corporeo”. Ma non tutte le operazioni chirurgiche sono vietate per gli adolescenti. È il caso della rinopla-stica, l’intervento che consente di ri-modellare il naso, e dell’otoplastica che corregge le orecchie a sventola. “Nel caso della rinoplastica è necessario ve-rificare il completo sviluppo osseo del paziente, attraverso una lastra al polso – prosegue –, mentre per l’otoplastica è possibile operare anche i bambini piccoli, perché l’orecchio non si modi-fica più con l’età”.

pericolose. O le pazienti vengono ope-rate in strutture non adeguate, oppu-re i chirurghi utilizzano materiali non certificati, potenzialmente rischiosi”. Ma quanto è giusto pagare per un inter-vento di chirurgia estetica? A chiarire le cifre è Giovanni Botti. “Individuare un range è sempre molto difficile, perché la forchetta di un’operazione può esse-re molto ampia – spiega –. I fattori che incidono sono la struttura, la notorietà del chirurgo e la collocazione geografi-ca, tanto che un addominoplastica può variare, indicativamente, dai 6 al 15mila euro. Ci sono cifre, tuttavia, al di sotto delle quali è bene non scendere”. Per una rinoplastica si parte da 5mila euro, così come per una mastoplastica addi-tiva. Per l’addominoplastica si sale a 6 mila euro, mentre per una blefaropla-stica superiore il costo varia da 1.500 euro, se fatta in ambulatorio, a 2mila euro in clinica. “Si trovano offerte a prezzi di costo, che lasciano perplessi – continua Botti –. Una mastoplastica additiva proposta a 3.500 euro è to-talmente fuori mercato. Basta fare due conti, per rendersene conto. Protesi di qualità costano mediamente 1.500 euro, la clinica non meno di 2mila euro, a cui aggiungere l’anestesista ed altre spese. Questo significa che chi propone cifre del genere usa materiali e strutture inadeguate, oppure ci rimette”.

BotULino“Gli italiani hanno una resistenza ingiu-stificata verso il botulino, probabilmen-te dovuta a informazioni non corrette – aggiunge Giovanni Botti –. Solo l’u-tilizzo improprio della tossina è asso-ciato a risultati poco naturali, mentre, se effettuato da mani esperte, consente di ottenere un effetto non artificiale. Lo dimostra il fatto che le iniezioni di botulino sono saldamente al primo po-sto in tutto il resto del mondo, mentre in Italia sono al secondo posto dopo l’acido ialuronico”. Prodotto dal batte-rio Clostridium Botulinum, il botulino è una sostanza che blocca l’acetilcolina rilasciata dai nervi, impedendo così la contrazione dei muscoli. Se iniettata in

quelli mimici del viso provoca, dunque, una riduzione dell’attività contrattile attenuando le rughe d’espressione. Per un’efficacia costante, occorre sotto-porsi al trattamento ogni 3-4 mesi. Ma anche in questo caso, occorre stare at-tenti alla professionalità del medico. In Italia esistono infatti solo tre tipi di tos-sine autorizzate, oltre ad altre diffuse. Il prezzo può essere un primo indicatore di massima. “Molto dipende dalla quan-tità iniettata – precisa Botti –. Tuttavia, se si procede sulle rughe tra le soprac-ciglia, sulla fronte e sulle zampette di gallina, non si può pensare di spendere meno di 300 euro. In caso contrario il medico potrebbe utilizzare prodotti non autorizzati o diluiti”.

GLi inteRVenti coMBinatiComplice la crisi, sempre più pazien-ti chiedono interventi combinati che permettano, in un’unica operazione, di ammortizzare il costo della struttura e dell’anestesista. Sta al chirurgo asso-ciarli correttamente, valutandone la por-tata per evitare di sottoporre il fisico del paziente a un impegno troppo gravoso. La chirurgia estetica infatti non è scevra da un 5% di possibili complicanze, per-centuale che può aumentare se si incap-pa nel medico o nella struttura sbagliate. “Gli interventi combinati sono, in linea di massima, possibili ma con le dovute limitazioni – spiega Giovanni Botti –. La prima considerazione è la durata com-plessiva degli interventi che non dovreb-bero mediamente superare le 5 ore, per evitare un aumento netto dei rischi per il paziente”. L’omeostasi, ossia la capacità dell’organismo di mantenere un equili-brio interno, al variare delle condizioni esterne rimane piuttosto costante entro le 4-5 ore di operazione. “Oltre le quali ci possono essere improvvise variazio-ni che aumentano considerevolmente i rischi dell’operazione – spiega Botti –, tanto che si prevedono interventi più lunghi solo se considerati indispensabili o salvavita, come nel caso nei trapianti multipli di organi”. Un’altra conside-razione è come associare gli interventi. “Una rinoplastica e un trapianto auto-

logo di grasso al seno, possono essere abbinati senza che il rischio operatorio aumenti – prosegue –, ma esistono al-tri interventi abbastanza invasivi, come l’addominoplastica o la riduzione mam-maria, che non andrebbero abbinati ad altre operazioni, per non aumentarne esponenzialmente i rischi operatori”. A questo si aggiunga un’altra questio-ne determinante come la caratteristica

della struttura. “State attenti a quei chi-rurghi che trattano con troppa superfi-cialità un intervento importante, senza prevedere il supporto di un’anestesista – mette in guardia Davide Tonini – op-pure proponendovi una struttura, come un ambulatorio o un poliambulatorio, in cui non sia possibile il ricovero, nel caso in cui il paziente non se la senta di tor-nare a casa”.

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INCHIESTAL/

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Ci hanno detto…

anna, 46 anni, Bergamo “Mia sorella è andata all’estero per aumentare il proprio seno. Si è fatta una vacanza e ha messo delle prote-si spendendo quanto un’operazione in Italia. I problemi sono nati quando è tornata in Italia. Il seno ha comin-ciato a fistolizzare e ha dovuto farsi togliere le protesi”.

Gianni, 31 anni, Martinengo “Non mi piaccio e certamente vor-rei essere come alcuni divi della tv, ma non mi sottoporrei mai a un in-tervento di chirurgia estetica. La mia non è paura per il dolore o mancanza

di soldi per pagare l’intervento, sem-plicemente cerco di accettarmi così come sono. Per carità, ognuno è li-bero di pensarla come vuole”.

sara, 43 anni, Predore “Vista l’età che incalza e le rughette che aumentano, mi sento propensa a farmi qualche ritocchino di chirur-gia estetica, ma la mia paura è quel-la di cadere nelle mani di qualche macellaio”.

antonella, 31 anni, Milano “Mi sono rifatta il seno. Sono andata in un’altra regione perché non vole-

vo che qualcuno lo scoprisse prima dell’intervento. Adesso ho una quar-ta, la taglia che avrei sempre voluto avere. E sono soddisfatta”.

angela, 60 anni, Brembate “Ho fatto delle iniezioni di botulino in un nuovo centro estetico, rispar-miando il 30% rispetto al solito. Il problema è che l’effetto è stato più breve, un mese e mezzo appena! Su internet ho trovato altri casi simili, scoprendo che se diluito il botulino ha minor effetto. Sono arrivata a ses-sant’anni per farmi fregare!”.

“lA mIA esperIenzA In un AmBulAtorIo BergAmAsco”

Per farci un’idea sullo svolgimento di una prima visita in un centro estetico, abbiamo preso appuntamento in un po-liambulatorio bergamasco. Nella stessa struttura, che fa capo a un noto marchio di chirurgia estetica, si trova anche un centro di implantologia e cure odonto-iatriche. Prima di entrare compilo un lungo questionario di anamnesi, dove inserisco allergie, malattie e interventi pregressi. Nel frattempo mi viene comu-nicato il cognome del medico che mi vi-siterà. Entro nella sala visite, il medico è arrivato da pochi minuti, tiene il camice aperto. Sulle pareti foto di corpi scolpiti, ma nessuna laurea di specializzazione. Gli spiego che vorrei fare un’addomi-noplastica. Il medico valuta le mie moti-vazioni psicologiche, poi decide di visi-tarmi. Non porta i guanti. Mi spoglio e, improvvisamente, dall’addominoplasti-ca che “potremo fare con un intervento meno invasivo del solito”, si passa non so come a parlare della liposuzione alle ginocchia, dell’interno cosce e della ma-stoplastica additiva. Gli dico che l’idea di

avere delle protesi mi inorridisce, quindi senza scomporsi mi propone una masto-pessi (o lifting del seno), con aggiunta di grasso autologo. Si tratterebbe “di sollevare la mammella, poi di prendere del grasso dalle ginocchia o dalla pancia, per aggiungerlo nel decolletè”. Tento di rivestirmi ma, ahimè, vede le braccia. “Le alzi così”. Eseguo. Sta per spiegar-mi l’operazione alle braccia, quando lo interrompo facendogli presente che mi vanno bene così come sono. Ci sediamo, concentrandoci “solo” su tre interventi: una mastopessi, una mini-addominopla-stica e un intervento di liposcultura alle ginocchia. Si parla di cifre. Gli chiedo se è possibile effettuare tutti gli interventi in un’unica operazione. Dopo qualche istante di incertezza mi risponde che “non ci dovrebbero essere problemi. Dovrei verificare solo qualche questione di sicurezza per operarla in questa strut-tura, dal momento che non potrebbe es-sere ricoverata dopo gli interventi. Anzi, direi che nel suo caso sarebbe meglio fare degli interventi combinati, visto che

nella mastopessi è previsto un’aggiunta di grasso autologo che estrarrei da due aree. Senza contare che risparmierebbe del denaro. Ma queste sono valutazioni che potremo fare più avanti, quando le avrò prescritto qualche esame”. Si par-la brevemente del postoperatorio. La questione cicatrici ed eventuali compli-canze, è sfiorata appena. Il medico lascia la stanza. Pochi istanti dopo compare una gentile segretaria con un preventi-vo. Mini-addominoplastica 4.875 euro, liposcultura alle ginocchia 4.125 euro, mastopessi con aggiunta di grasso auto-logo 5.125 euro. Totale 14.125 euro. “Se decidesse di fare degli interventi combinati, sarebbe possibile applica-re un piccolo sconticino”. Si passa alla questione pagamenti. Mi propone un “comodo” finanziamento a tasso zero, col quale pagare l’intervento in 24, 48 o 60 mesi. Uscita dal centro estetico, verifico che il medico che mi ha visitata sia iscritto a Aicpe o a Sicpre, le società più importanti del settore. Il suo nome non c’è.

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colognolAun quArtIere senzA pAce

i residenti lamentano inquinamento acustico e ambientale.

sotto accusa il frequente passaggio degli aerei, che ha anche deprezzato il valore degli immobili.

il locale comitato dà battaglia in cerca di una soluzione.

di aLessia MaRsiGaLia

c’era una volta Cologno-la, detta del Piano, co-mune indipendente che mescolava tradizione,

grazie all’affascinante borgo storico, e progresso con il passaggio della ferrovia che ne accrebbe lo sviluppo industriale. E c’era, un’altra volta, Colognola che, con regio decreto del 10 febbraio 1927, fu annessa al territorio comunale di Ber-gamo, diventando un quartiere residen-ziale con uno sviluppo abitativo che ha avuto due ondate boom, negli anni ’50 e poi nel ’70. Oggi c’è Colognola, un quartiere con due chiese, delle botteghe, qualche bar e circa cinquemila abitanti: un sorta di paese alle porte della città dove tutti si conoscono, tutti ci abitano “da una vita” e molti non sopportano più il rumore degli aerei che decollano e atterrano, a sentir loro, a “fil di tetto”. Spesso si dice che Orio al Serio sia un aeroporto “seduto” sulla città di Bergamo: utiliz-zando questa metafora si può dire che Colognola ne sente i respiri, la tosse e talvolta l’alito cattivo.Non ce l’hanno con l’aeroporto in sé. Sanno che Orio ha dato lavoro, ricchez-za e sviluppo alla città. Però dal 2009, quando quella “maledetta rotta” è stata

cambiata, Colognola non sente più ra-gioni, anzi – lamentano gli abitanti –, non sente proprio, visto che il rumore è diventato il loro sottofondo quotidiano. L’aeroporto non doveva disturbarli, c’era scritto ovunque sulle carte che mostrano alcuni cittadini fondatori dell’Associa-zione “Colognola per il suo futuro”: le aree interessate dalle curve isofoniche avrebbero toccato solo in minima parte il quartiere, ma poi una nuova rotta ha reso la situazione inaccettabile. Ad aggiun-gersi al problema rumore c’è la possibile variante del Pgt del Comune di Bergamo, che declasserebbe Colognola da area residenziale a zona di rispetto e rischio aeroportuale, fatto che non solo spaventa ma che “defrauda i cittadini dei loro pa-trimoni immobiliari – racconta Gabriella Pesce del direttivo dell’Associazione – perché è ovvio che tale declassamento comporta una pesante perdita di valore di tutte le abitazioni”. L’Associazione ha già presentato un ri-corso al Tar e un esposto in Procura e ha raccolto oltre 1.500 firme in un do-cumento in cui si ripercorre lo sviluppo dell’aeroporto e si toccano le questioni aperte fino alla più sentita, quella riguar-dante le curve isofoniche e il piano di zonizzazione, per il quale Colognola si è ritrovata in fascia A, dove il limite è di 65 decibel. L’esposto muove accuse a tutti

coloro che avrebbero dovuto controlla-re sviluppi e certificazioni dello scalo e che tocca aspetti critici quali il limite di unità di traffico ignorato, i movimenti annui previsti, le centraline acustiche e ambientali mobili e i cui dati vengono poi consegnati all’aeroporto. Gabriella Pesce e Camilla Colnago, le due rappresentanti dell’Associazio-ne che abbiamo incontrato nel nostro viaggio a Colognola, ci tengono subito a precisare che, visto che è stata appena messa una centralina mobile di rileva-zione dell’inquinamento ambientale, di aerei ne passano pochi. “Viene collo-cata due volte l’anno per due settimane e, improvvisamente, di aerei ne passano di meno – raccontano; noi comunque ci domandiamo a che serva analizzare l’in-quinamento per così poco tempo, ma soprattutto che funzione abbia la cen-tralina se poi i dati vengono passati alla Sacbo perché li rielabori. Da quando il controllore e il controllato sono la stessa cosa?”. Le rappresentanti marcano però la questione del rumore, quei decibel che “non significano solo mancanza di vivibilità, ma anche un danno patri-moniale, perché gli immobili stanno perdendo valore e noi paghiamo l’Imu come tutti i quartieri”.La “rabbia” degli abitanti è per gran parte rivolta al Comune di Bergamo che

non li avrebbe protetti e salvaguardati, rispetto a quel Piano di Via approvato da un decreto ministeriale del 2003 in cui erano contenute prescrizioni precise sulle curve isofoniche, sulle unità di traf-fico, sull’espansione dell’aeroporto, che doveva essere fatta verso est, toccando in minima parte Colognola. “Anche l’attuale sindaco – denunciano – aveva promesso di non superare il limite di 68.570 movimenti annui, ma è già sta-to superato molte volte, tanto che 11 sindaci dell’hinterland hanno fatto una diffida alla Sacbo perché lo rispetti. Nel 2012 le proiezioni parlano di 75mila unità”. Oltre al rumore la questione am-bientale preoccupa l’Associazione, con-siderando che “Il comune di Azzano San Paolo, inserito nella zona di rispetto, ha rilevato un inquinamento altissimo. Noi abbiamo chiesto centraline anche per gli avio inquinanti di cui nulla sappiamo”.La questione aeroporto è all’ordine del giorno, ogni mese un comune o un quar-tiere si ribella e fa sentire la sua voce. Ed è per questo – sono convinti a Cologno-la – che si è bloccato lo sviluppo verso est, zona meno antropizzata, delineato inizialmente nel Piano. “Quelli di Seria-te, Grassobbio e Bagnatica hanno fatto valere i loro diritti più di noi e quindi l’e-spansione è avvenuta a ovest. Ci sono, è vero, zone travagliatissime, come il Cas-

sinone, ma nel piano di via gli abitanti hanno potuto scegliere tra la delocaliz-zazione o l’insonorizzazione. Per la po-litica della compensazione chi perde dei benefici va risarcito, noi invece, oltre al danno la beffa”. Ma l’ipotesi di insono-rizzazione non soddisfa comunque gli abitanti di Colognola, benché tempo fa Sacbo abbia annunciato di aver stanziato diversi milioni per attuarla. “Se doves-

sero insonorizzare tutte le zone A non so quanto spenderebbero. I 20 milioni che dicono di aver stanziato non sono sufficienti e poi non si sa chi ne avrebbe diritto. A noi interessano le finestre

Gabriella Pesce

Camilla Colnago

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LA Posizione Di sAcBo

“AvAntI col pIAno dI mItIgAzIone AmBIentAle”

L’Aeroporto di Orio al Serio ha cono-sciuto una fase di crescita decennale che lo ha fatto diventare il quarto scalo italiano per movimento passeggeri e un volano per l’economia territoriale. “Durante questa crescita – sottolinea la Sacbo, la società di gestione dello scalo – non si è mai perso di vista il pro-blema dell’impatto ambientale, gestito con la massima trasparenza attraverso la rete di centraline per il rilevamento del rumore e la relativa pubblicazione dei dati messi a disposizione delle am-ministrazioni locali e dei cittadini, e l’e-laborazione di un piano di mitigazione che prevede una serie di interventi, in parte già adottati, altri in corso d’opera o in previsione, condivisi e approvati in seno alla Commissione Aeroportuale presieduta da Enac e partecipata dai Co-muni interessati, oltre che da Ministero dell’Ambiente, Regione Lombardia, Provincia di Bergamo, Arpa. La costan-te presenza dell’Agenzia, Ente tecnico regionale di riferimento, garantisce

inoltre la correttezza delle valutazioni effettuate e, attraverso i periodici con-trolli effettuati, l’attendibilità dei dati raccolti. Studi in corso sempre da parte di Arpa Lombardia, effettuati su richie-sta della Commissione aeroportuale, stanno confermando che la nuova rotta, caratterizzata da virata con allineamento all’asse autostradale, risulta ancor oggi estremamente efficace”. L’aeroporto sottolinea anche che l’ado-zione di aeromobili di nuova generazione da parte dei vettori che operano sullo sca-lo bergamasco ha contribuito a ridurre il valore medio della rumorosità prodotta in fase di sorvolo, che resta il parametro di riferimento per l’analisi dell’impat-to acustico. “Sacbo – si aggiunge – si è pronunciata per l’attuazione degli in-terventi di mitigazione che interessano il quartiere Colognola. Nonostante il ricorso contro la zonizzazione acustica, che resta il riferimento per poter esegui-re interventi efficaci ai fini della mitiga-zione ambientale, Sacbo sta procedendo alle valutazioni dei possibili interventi da attuarsi nel breve periodo nelle abitazio-ni più esposte. Peraltro, tutti i recettori sensibili ricadenti all’interno dell’area di zonizzazione acustica sono stati oggetto di intervento di mitigazione ambientale in accordo con i Comuni interessati e secondo indicazioni definite e appro-vate dal Cnr che ha eseguito i collaudi acustici”. Nel complesso, ricorda ancora Sacbo, gli interventi, basati sulla sostitu-zione degli infissi o l’installazione di im-pianti di climatizzazione, hanno riguar-dato nove scuole (sei di Bergamo, due di Orio al Serio e una di Grassobbio) e in particolare tutte quelle presenti nel quar-tiere Colognola: nella scuola materna di via Linneo si è intervenuto negli anni scorsi; alle elementari Calvino, alla media Muzio, alla scuola materna di via Costan-tina e nell’Itc Belotti le opere sono state realizzate l’estate scorsa.

insonorizzate, vogliamo rimanere zona residenziale. Prima del 2009 la rotta lambiva diversi quartieri, ma il disturbo era mite. Oggi invece Colognola è il ful-cro. Il comune non ci ha pensato? Forse i nostri voti contano meno? O, forse, vi-sto che a Colognola non c’è più spazio per costruire, mancano gli interessi a salvaguardarla?”. Gli interrogativi e le ipotesi dei cologno-lesi sono vari e quotidiani. Il fatto certo è che, a Colognola, oltre ad un istituto per malati psichici, ci sono diverse scuole, una primaria, due materne, una scuola media e l’Istituto superiore Belotti, che ogni giorno porta nel quartiere fino a 1.500 ragazzi. Queste strutture, in base alla legge del 1975 in materia di edilizia scolastica, sono soggette a norme seve-re difficilmente adeguabili a una zona di rispetto. “Abbiamo troppi aeroporti – tuona la signora Pesce – che non dialogano tra loro, Malpensa sotto-utilizzato e uno come Orio sovrautilizzato. Nessuno poi cita Montichiari, a 50 chilometri da qui, luogo disabitato, immerso nel verde, di cui nessuno parla mai... Forse lì c’è qualcuno che tutela un eventuale svilup-po invasivo”. Forse, ma quella di Monti-chiari è un’altra storia...

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ettoRe attanà(pensionato)Da quanto tempo sta a Colognola?“Dal 1978”. Ha firmato per l’esposto in procura?“Certo, perché sono convinto che passa-re per vie legali sia la soluzione migliore”.

Cosa le dà più fastidio di questa situa-zione?“Non mi preoccupo tanto per me quan-to per i miei nipoti. Che futuro possono aspettarsi da tutto questo inquinamen-to? Le faccio un esempio: mia moglie pulisce il balcone tutte le mattine. Sa di che colore diventa lo straccio? Nero, e puzza di cherosene”. E il rumore?“Io potrei dormire fino a tardi, sono in pensione. Ma avendo l’abitudine di te-nere le finestre aperte, anche d’inverno, mi sveglio all’alba perché gli aerei passa-no di continuo, mattina presto, notte... non c’è tregua”. La sua soluzione?“Io ho viaggiato molto quando lavoravo.

Ne ho visti di aeroporti, ma uno come quello di Bergamo mai. È in città, non esiste una situazione del genere da nes-suna parte. Senza contare il traffico di automobili che genera. Fosse per me lo chiuderei”.

FaUsto GiULiani (Direttore Asilo infantile di colognola)Qualche famiglia ha portato via i suoi bambini dall’asilo di Colognola?“No fortunatamente, ma solo tra le ma-dri che portano qui i figli si sono raccol-te 150 firme. Ottimo risultato avendo circa 140 bambini”.Hanno insonorizzato l’edificio?“Sì, ma solo le finestre. Cosa inutile

i resiDenti

“troppo spesso lA sItuAzIone È InsopportABIle”

Sacbo ricorda inoltre che ha dato inca-rico all’Asl Bergamo di realizzare uno studio epidemiologico per valutare se la presenza dell’aeroporto possa produrre effetti sullo stato di salute dei cittadini. I primi risultati dei dati analizzati – sotto-linea – non hanno mostrato significative difformità nello stato di salute dei citta-dini più prossimi allo scalo rispetto ad altri. Nel corso del 2013 verranno però raccolti dati più specifici così da permet-tere ulteriori considerazioni.Per dare corso ai programmi di miti-gazione a livello residenziale Sacbo ha invitato anche i Comuni del territorio circostante il sedime aeroportuale a sottoscrivere una nuova intesa (dopo il protocollo con Regione Lombardia e Provincia di Bergamo del settembre 2008), che definisca i reciproci impegni affinché l’iter tecnico, amministrativo e realizzativo sia il più efficace possibile. L’Aeroporto di Orio al Serio si appresta infine a redigere un nuovo MasterPlan (Piano di Sviluppo Aeroportuale) che verrà sottoposto all’approvazione di Enac e conseguentemente a tutti gli iter autorizzativi necessari tra cui la valuta-zione di impatto ambientale.

Ettore Attanà

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“L’odore di cherosene che, soprattutto in estate, è insopportabile”.Lei abita anche a Colognola?“No, io abito a Orio”.Là sarà peggio?“Sì, decisamente”.

GaBRieLLa PoLi (titolare Pellicceria oberti)Da quanto vive a Colognola?“Sono ben 40 anni”.E che dice dell’aeroporto?“Che c’è dal tempo della guerra, ma nes-

suno si sarebbe aspettato che diventas-se così. È quasi ormai inutile parlarne, tutti questi problemi erano ovvi, un po’ com’è successo con l’ospedale: tutti sa-pevano che la zona era paludosa, ma ci hanno costruito lo stesso”.I suoi clienti come reagiscono?“Quelli che vengono da fuori mi guar-dano stupiti e mi chiedono: è sempre così?” Secondo lei il Comune si è dimentica-to di Colognola?“Una volta come presidente dell’Asso-ciazione Artigiani e Commercianti di Colognola ho incontrato il sindaco e gli ho proposto di venire a una festa orga-nizzata in Piazzale delle Scienze qui nel quartiere. E gli ho anche proposto una musica d’eccellenza, come sottofondo: quella degli aerei”.È mai venuto?“No”.Crede che il valore degli immobili ne stia risentendo?“Le dico solo che mio figlio ha una casa con un bel giardino in via Caduti del Lavoro, ma che mangiare fuori è impos-sibile, non ci si sente mentre si parla e c’è una gran puzza. Io sto per fare un terrazzo sopra casa, ma tanto non ci an-drò mai”. Il quartiere sta soffrendo?“Negli ultimi anni si sta degradando. Buche sui marciapiedi, spazzatura la-sciata in giro, senza parlare della pre-senza di gente poco affidabile”.

Crede sia una conseguenza dell’aero-porto?“Io so solo che se un comune non si in-teressa di un quartiere vince il degrado e se si continua così c’è il rischio che Co-lognola diventi un ghetto”.

Rossano BaRetti (edicolante)Lei che lavora all’aperto come sta?“Sento gli aerei tutto il giorno”.È così terribile come si dice?“Terribile forse no, ma quando passano i cargo mi tremano i vetri dell’edicola e anche il pavimento”.I suoi clienti che le raccontano?“Che trovano i balconi sporchi la matti-na”.Con che frequenza sente gli aerei?“Il mattino presto anche uno ogni due minuti”.Vorrebbe chiuso l’aeroporto?“No, assolutamente, ma che miglioras-sero le rotte e che volassero un po’ più in alto”.

in primavera e in estate”. Quando passa il maggior numero di aerei?“La mattina e poi riprendono verso sera”.È anche lei d’accordo con questa pro-testa?“Sì, se rimane in questi termini, cioè le-gale e istituzionale. Non appoggio pro-teste in mezzo alle strade, cortei o mani-festazioni. In questo modo, con dati alla mano, e seguendo le giuste direzioni, sposo appieno le ragioni dell’Associa-zione”.

RaFFaeLLa Rossi (insegnante dell’istituto Belotti)Come vive da insegnante il lavoro e la vivibilità della scuola?“L’Istituto Belotti ospita ogni giorno circa 1.500 studenti: è una delle scuole più grandi di Bergamo. Se poi calcolia-mo le persone che ruotano superiamo questa cifra. La legge sull’edilizia scola-stica parla chiaro: una scuola in queste condizioni non ci può stare”. L’Istituto è stato però insonorizzato.“Loro mettono solo i doppi vetri, ma una vera insonorizzazione prevede una coibentazione totale, una sorta di cap-potto su tutto l’edificio. Corridoi, atri,

palestre, sono rimasti senza nulla. Studi e ricerche dimostrano che l’alta rumoro-sità ritarda l’apprendimento”. Da cittadina come vede questa situa-zione?“Certe volte vorrei proprio andarmene, non potendo nemmeno decidere di an-dare a letto o svegliarmi quando voglio, considerati i rumori. Ma il valore degli immobili sta crollando. Basta vedere sui portali la quotazione delle abitazioni... Colognola è diventata la più economica. Ed è un vero peccato, visto che in questa zona si stava bene”. L’aeroporto però ha portato turismo e ricchezza?“Ma davvero possiamo calcolare quanti dall’aeroporto si fermano a Bergamo? Noi affoghiamo in tutto questo per quale guadagno? Poi sono stanca di vivere in un posto dove appena si parla di salute ti guardano storto. Taranto non insegna nulla? E poi fanno le domeniche ecolo-giche... ma che senso ha!”.

seRGio saVoLdeLLi (titolare negozio ex cooperativa)Ha messo i doppi vetri?“No, nessun doppio vetro, il rumore lo sento tutto. E lo sentono anche i clien-ti, quando ordinano qualcosa e passa un aereo non si sente nulla”.Da quando lavora qui?“Sono ormai 52 anni”.E la situazione quando è peggiorata?“Direi negli ultimi 3-4 anni”.Oltre al rumore c’è altro che le dà fa-stidio?

Fausto Giuliani

Raffaella Rossi

Sergio Savoldelli Gabriella Poli

Rossano Baretti

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in evidenzain evidenza

Diachem, l’agricoltura moDerna ha il partner iDeale

“Ci sono ancora multinazionali che vogliono investire in Italia, ma lo faranno solo se saremo in grado di garantire loro dei tempi ragionevoli di avviamento degli impianti. Bisogna, dunque, che la burocrazia sia reattiva come lo è l’economia mondiale, altrimenti rischiamo di lasciarci sfuggire un’imperdibile opportunità di crescita”. A parla-re è Gianluigi Dubbini, attualmente alla guida con i fratelli Marco e Paolo del gruppo Diachem, realtà 100% italia-na che si occupa di formulazione e commercializzazio-ne di prodotti chimici per l’agricoltura. Un gruppo che nel 2011 ha fatturato 29.342.000 euro, in crescita del 13% rispetto al 2010. “Di questi, oltre 21 milioni di euro sono stati fatturati dal nostro marchio commerciale Chi-miberg, – spiega Dubbini – storico brand rivolto al mer-cato italiano, distribuendo gli agrofarmaci formulati da Diachem. Il fatturato Chimiberg del 2011 rappresenta al momento il record storico per il marchio. Nello stesso anno la divisione industriale ha fatturato oltre 7 milioni di euro (+17% rispetto al 2010) e la divisione export circa 1 milione di euro, in lieve calo rispetto all’anno preceden-te”. Sempre nel 2011 lo stabilimento di Caravaggio ha prodotto 8.771 tonnellate di formulati, il 50,5% dei quali sono stati destinati ai clienti industriali (4.434 tonnella-te, +10% rispetto al 2010), il 46% ai prodotti Chimiberg (4.040 tonnellate, +14%) e il 3,6% a prodotti per l’export (300 tonnellate, in lieve calo). Un gruppo solido che deve fare i conti, tuttavia, non solo con la crisi mondiale che sta gravando sul settore agri-colo, ma con un sostanziale immobilismo burocratico che da sempre sfavorisce la competizione delle aziende italiane. “Uno dei nostri clienti internazionali, che crede ancora nell’Italia, ci ha sottoposto un progetto molto interessante – spiega Dubbini – che ci permetterà di re-alizzare circa 5 mila tonnellate di prodotti nei prossimi tre anni, a fronte di un nostro investimenti di 3 milioni di euro nello stabilimento di Caravaggio. Il gruppo è pronto a investire questi capitali, ma molto dipenderà dai tempi di ottenimento delle varie autorizzazioni”. Altrimenti det-to, se l’impianto si avvia in un anno, un anno e mezzo al massimo, come avviene all’estero, l’investitore straniero che preferisce il gruppo Diachem per la qualità dei pro-

dotti, per la fidelizzazione compiuta dalla sua rete vendi-ta e per le garanzie che è in grado di offrire, investirà in Italia, in caso contrario andrà altrove. E che la Diachem abbia puntato con forza su tutti questi plus, negli ultimi decenni, lo dicono le cifre. Non è un caso che il 95% del fatturato netto consolidato di Chi-miberg, il marchio delle attività commerciali di Diachem, sia garantito da rivenditori che sono stati fidelizzati nel tempo. “La nostra strategia è quella di essere molto vicini ai clienti, fornendo non solo un ampio catalogo dei prodotti, – spiega Dubbini – ma offrendo loro an-che un servizio post-vendita capace di dare consulenza nell’ottimizzazione del loro uso. Non ultimo, ci serviamo di particolari strumenti di incentivazione con i quali of-friamo, a clienti di una certa dimensione, la possibilità di usufruire di originali iniziative culturali e di svago, al raggiungimento di un determinato obiettivo, strategia che fidelizza e coinvolge molto le aziende”. Due dei punti di forza, di questa eccellente realtà ber-gamasca, sono la formulazione e preparazione di circa l’80% dei prodotti a catalogo, realizzati nello stabilimento di Caravaggio, e lo sforzo nella difesa internazionale del-le registrazioni. “Avere uno stabilimento all’avanguardia di formulazione e preparazione dei prodotti, è un valore aggiunto che ci differenzia enormemente da altre real-tà di uguali dimensioni – prosegue Dubbini – perché ci permette di lavorare anche per grosse multinazionali, in conto terzi, garantendo loro tutte le certificazioni richieste dalla normativa che disciplina il settore dell’industria chi-mica. Inoltre, abbiamo concentrato gli ultimi sforzi econo-mici più consistenti nell’ottica di difendere il nostro cata-logo prodotti. La normativa europea, che armonizza tutti i processi di registrazione, etichettatura e commercializza-zione dei prodotti chimici per l’agricoltura, a salvaguardia della salute e della sicurezza degli operatori e dei consu-matori, obbliga le aziende dell’agrochimica, per il man-tenimento delle registrazioni, a produrre corposi dossier contenenti molteplici dati, tossicologici, agronomici, valu-tazioni di impatto ambientale”. Diachem ha quindi deciso di investire creando al suo interno un ufficio di Marketing operativo e strategico e un ufficio Regulatory, quest’ulti-mo deputato a seguire l’iter delle registrazioni. Nel settore Regulatory, negli ultimi anni, Diachem ha investito circa 2,5 milioni di Euro. “Nel 2006 sono stati predisposti due Allegati III (relativi ai prodotti formulati), andati a buon fine e autorizzati dagli enti preposti nel 2011, a salvaguardia

di 6 registrazioni – spiega –. Dal 2009 al 2012 abbiamo prodotto ben 18 ulteriori Allegati III, che difenderanno 32 registrazioni. Nel prossimo triennio 2012-2015 prevedia-mo un ulteriore investimento in Allegati III pari a 1,5 milioni di Euro, con la produzione di 8 documenti a difesa di ulte-riori 12 registrazioni”. Investimenti strategici che non solo garantiscono il mantenimento di un patrimonio di regi-strazioni interne all’azienda, con un portafoglio di prodotti rispondente alle esigenze di un’agricoltura in evoluzione, ma che rispondono a obiettivi di crescita nel medio pe-riodo. “Il progetto è di ottenere nuove registrazioni nella fascia del sud Europa – continua Dubbini – ampliando nei prossimi 3-5 anni l’export anche verso i Paesi africa-ni che si affacciano sul Mediterraneo, ai quali facciamo attualmente vendita spot. L’obiettivo che intendiamo rag-giungere è di passare dall’attuale 5% dell’export, a una percentuale che oscilla tra il 10% e il 15%, passando da 800 mila euro a 2,5 milioni di euro”.

Una storia tUtta bergamascaLuigi Dubbini, ingegnere civile, fonda nel 1937 con il fratel-lo Amleto, chimico tessile, una società per la produzione e vendita in Italia di prodotti chimici ausiliari per l’industria tessile. Dieci anni dopo nasce Chimiberg Srl, società per lo sviluppo di prodotti chimici destinati alle industrie della concia, del cuoio, della carta e della cosmesi. Nel 1952 Ezio Dubbini, figlio di Luigi, entra nell’azienda dopo esser-si laureato in Ingegneria Chimica al Politecnico di Milano. Nel 1957 la Chimiberg, divenuta Chimiberg Spa, estende la propria attività alla produzione e commercializzazione di prodotti chimici per l’agricoltura. Dieci anni dopo, nel 1967, viene fondata ad Albano S. Alessandro, la Dubbini Spa, che successivamente diventa Diachem Spa (Deve-lopment Industrial & Agricultural Chemicals), azienda che si occupa della formulazione di agrofarmaci e specialità nutrizionali per le coltivazioni agricole, nonché della com-mercializzazione diretta tramite la propria consociata, la Chimiberg. Negli anni Ottanta Ezio Dubbini entra nel set-tore delle comunicazioni acquisendo la Suardi Telefonia, che presto cambia ragione sociale in Sostel Spa. È dello stesso periodo l’ingresso nel gruppo dei figli di Ezio Dub-bini, Gianluigi, laurea in Ingegneria Chimica al Politecnico di Milano, e Marco, laurea in Economia e Commercio. Nel 1986 il gruppo acquista il complesso industriale dei labo-ratori chimici Cifa di Caravaggio, dove vengono trasferite tutte le linee di produzione e confezionamento. Negli anni

Ottanta Diachem è tra le prime aziende dell’agrochimica a introdurre nel mercato italiano – grazie a un’intuizione di Ezio Dubbini – i prodotti flowable, sospensioni concentra-te di principi attivi (fungicidi, insetticidi e diserbanti) micro-nizzati in acqua, fino ad allora diffusi solo nel settore delle vernici. Nel 2006 nasce Diagro Srl, società amministrata da Franco Tettamanzi, che si occupa di fertilizzanti spe-ciali. Paolo Dubbini, terzo figlio di Ezio, entra in Diachem nel 1992, dopo aver conseguito la laurea in Economia e Commercio. Recentemente è entrata in Diachem la quar-ta generazione, con Francesca Dubbini, figlia di Gianluigi. Una laurea in architettura e ingegneria edile, Francesca Dubbini è da poco tornata in Italia dopo aver lavorato nel settore delle costruzioni prima a Londra e poi a Singa-pore. Francesca ha collaborato al progetto per la nuova sede direttiva di Caravaggio, recentemente inaugurata, che si affianca allo stabilimento produttivo.

il premio odysseUs“Siamo molto soddisfatti di questo riconoscimento, per-ché la scommessa di portare in un mercato tradizionale come quello agricolo, una comunicazione innovativa e di impatto, è stata vinta”. A parlare è Gianluigi Dubbini, presidente della Diachem, gruppo che si è aggiudica-to il premio Odysseus di Confindustria Bergamo per la campagna di advertising Chimiberg Altro che Favole e il soggetto La Mela Senza la Strega. Una campagna pub-blicitaria che non enfatizza il prodotto, ma che mette in evidenza il concetto stesso di sicurezza alimentare, a cui può contribuire l’uso razionale degli agrofarmaci Chimiberg. In occasione dell’inaugurazione della nuova sede direttiva Diachem a Caravaggio, tenutasi lo scorso 15 Novembre 2012, è stato presentato il nuovo sogget-to La Zucca Senza la Fata, dove una bellissima Cene-rentola pronta per il ballo reale, tiene stretta una zucca sotto il braccio, rifiutando le “magie” della Fata. Un’altra campagna, declinata in maniera innovativa, sulla neces-saria sicurezza alimentare.

Dubbini: “La nostra strategia? Stare molto vicini ai clienti con un ampio catalogo di prodotti e con un efficace

servizio post-vendita”. Notevole lo sforzo nella difesa internazionale delle registrazioni

i numeri del successo Il gruppo Diachem nel 2011 ha fatturato 29.342.000 euro, il 13% in più rispetto al 2010. Una realtà fatta da 96 dipendenti di cui, 4 diri-genti, 8 quadri, 34 impiegati e 50 operatori nella sede produttiva. Lo stabilimento di Caravaggio ha una superficie industriale di 38.000 metri qua-dri, di cui 14.000 coperti, con 7.000 metri qua-dri di magazzino. I reparti di formulazione sono 7, con 22 linee di formulazione e 21 di linee di confezionamento. Nel 2011 lo stabilimento ha prodotto 8.771 tonnellate di formulati, il 50,5% destinati ai clienti industriali (4.434 tonnellate, +10% rispetto al 2010), il 46% ai prodotti Chi-miberg (4.040 tonnellate, +14%) e il 3,6% ai pro-dotti per l’export (300 tonnellate, in lieve calo).

Gianluigi Dubbini

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12/DODICIMESIAPRILE 12/DODICIMESIAPRILE

curnoIl pAese schIAccIAto dAI centrI commercIAlI

tra i progetti in corso, la ristrutturazione della

trattoria “il tinto”, di proprietà comunale, che

potrebbe diventare un polo di attrazione

per iniziative di richiamo nel centro storico.

e tra i “sogni nel cassetto” spunta anche

un approdo sul Brembo.

di saRa noRis

È appiccicato alla città con tutti i vantaggi che ne derivano, ma da sempre ha stampato addosso la fastidiosa etichetta di paese dei

centri commerciali, del traffico a dismi-sura, delle villette cresciute come funghi. Perfino il suo primo cittadino, Perlita Serra, non difende la sua Curno e con un sorriso a metà tra il divertito e il rasse-gnato commenta che alla fine “Curno ha poco di bello”. A parte il fiume Brembo che costeggia la Marigolda, il quartiere più verde e “più pregevole”, come preci-sa il sindaco, che vorrebbe realizzare un approdo in quel tratto e renderlo di facile accesso, Curno deve fare i conti con una viabilità complessa – da un lato la Brian-tea, da sempre uno degli accessi alla città più trafficati, dall’altro la via Fermi dei centri commerciali – e che, a detta del sindaco, soltanto una futura metropoli-tana potrebbe davvero risolvere.Intanto la nuova amministrazione comunale vor-rebbe riqualificare il centro storico del

paese “che è modesto, non si nota” come ha commentato il sindaco aggiungendosi al coro dei commercianti i quali, rinca-rando la dose, definiscono Curno un pae-se fantasma. Perché la gente qui non arri-va, gli acquisti si fanno altrove, nei vicini centri commerciali. Eppure il paese è di facile accesso, qualche anno fa ha anche cambiato faccia: una nuova pavimenta-zione e una piazza moderna ed elegante su cui si affaccia il Municipio, qualche casetta nuova che spicca tra le vecchie co-struzioni. Eppure i commercianti dicono che “è poco vivace”. C’è poco o nulla, si potrebbe fare di più. Intanto il primo cittadino avanza una proposta: la vecchia trattoria “Il Tinto”, di proprietà comuna-le, adeguatamente ristrutturata, potreb-be diventare un polo di iniziative per tut-ti, punto di riferimento per il paese, con tanto di centro ristoro, magari slow food o a chilometro zero. “Vorremmo emette-re un bando entro quest’anno per avere i finanziamenti” precisa il sindaco Serra. Chissà, potrebbe essere lo stimolo giusto per far crescere vivacità e dinamismo.

GiUsePPina caRPano(Bar Aretusa) via Papa Giovanni

È un paese con molti servizi?“No, non proprio. Nel settore alimentare manca la macelleria, non c’è un mini mar-ket. I centri commerciali ci penalizzano”.

Ci sono parcheggi?“Pochi. Non bastano. Chi vuole entrare nel centro del paese non sa dove par-cheggiare?”.È servito dai mezzi pubblici?“Sì, questo servizio funziona. I pullman ci sono”.Cosa chiederebbe al Comune?“Di vivacizzare un po’ di più il paese. Con i centri commerciali aperti anche la domenica qui non viene proprio nes-suno”.

MaRisa taiocchi(casalinghi) via Papa Giovanni Un pregio di Curno…“Pregio? No, guardi di bello c’è ben poco”.I difetti…“Diversi. La presenza dei centri com-merciali che ci penalizza, le poche iniziative in paese, l’introduzione del

senso unico in questa via che limita l’ac-cesso ai cittadini”.Cosa vorrebbe per il paese?“Che fosse frequentato un po’ di più. Bisogna animare il centro, è spento. Sono dodici anni che sono qui ed è sem-pre stato così. Bisogna fare qualche ini-ziativa in più”.

MiLena Bonati(Fruttivendolo) Largo VittoriaÈ un paese tranquillo?“Sì, ma è anche un paese senza brio. Le iniziative latitano. Ho questa attività dal 1988: prima si lavorava con più soddi-sfazione. Ora è tutto più difficile e la scarsa animazione del centro ci penaliz-za ulteriormente”. Hanno chiuso molti negozi?“Sì, negli ultimi anni ci sono state diver-se chiusure. Non è un bel momento e anch’io cerco di tener duro”.Quali sono i problemi del paese?“Manca il flusso della gente. È tutta nei centri commerciali. Qui in paese non si vede”.Ci sono stranieri?“Sì, se ne vedono abbastanza”.

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

Bella la piazza del Municipio, moderna e fun-zionale, così come l’ingresso dalle “Crocet-te” con la nuova pavimentazione e le nuove costruzioni attorno alla chiesa. Peccato però per quell’aria un po’ rassegnata che si respira girando per negozi. Curno ha proprio biso-gno di una sferzata di energia.

ci rAccontAnocURno

Giuseppina Carpano

Milena Bonati

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12/DODICIMESIAPRILE

antoneLLa RottoLi(L’angolo fiorito) Largo VittoriaCosa le piace di Curno?“Sono tredici anni che ho questa attività e vedo molte persone. Mi piace il fatto che ci si conosca un po’tutti”.Cosa non sopporta?“I centri commerciali”. È un paese trafficato?“Sì, soprattutto al mattino, poi nel po-meriggio si riduce. Quando c’era il dop-pio senso di marcia però arrivava più gente”.Un errore del passato…“Lo spreco di soldi per la costruzione della scuola elementare e della bibliote-ca che sono ancora lì ferme”.

santo Manetta(Pizzeria Al sorriso) via LeccoLei è presidente dell’Associazione “Le Botteghe di Curno”. Perché i commercianti si lamentano che “il paese è morto”?“Sono presidente da cinque anni, men-tre l’Associazione c’è da quasi dieci anni. Il problema è che il centro si sta disgregando: i piccoli negozi soffrono e non c’è un afflusso continuo di cliente-

la. C’è anche il fatto che Curno non ha una sua storia, un avvenimento o una ri-correnza che la identifichi e organizzare eventi e iniziative non è facile perché il Comune non ha soldi e i commercianti non vivono un momento facile per paga-re di tasca propria”.Quindi il centro ha poche speranze di risollevarsi?“Il fatto è che non c’è un vero progetto per i commercianti. Anche se si sta cer-cando di creare una sorta di rete tra noi esercenti”.In che modo?“Con la semplice comunicazione, non

solo tra commercianti ma anche tra le diverse associazioni del paese. L’im-portante è essere uniti e avere idee per animare il centro”.

Le nostre domande a…

PeRLita SeRRa, SindaCo di CURnoGli obiettivi da raggiungere non sono certo facili: ci sono cantieri fer-mi da decenni – quello della nuova scuola elementare e della futura bi-blioteca – una viabilità tutta da rive-dere e il sogno di progettare un vero e proprio accesso al fiume Brembo. Avete da poco approvato il nuo-vo Piano di Governo. Riuscirete a sbloccare i cantieri fermi da tempo?“Stiamo valutando ogni dettaglio. Il cantiere della scuola elementare era stato bloccato dalla precedente am-ministrazione ed è stato un errore, anche perché era stato deciso che un imprenditore portasse a termine i lavori. Ma non sono certo tempi fa-cili. Per la biblioteca ci sono i finan-ziamenti, ma sono bloccati dal patto di stabilità”. Tra i progetti c’è anche il Parco del Brembo?

“Sì, l’idea è quella di valorizzare l’ac-cesso al fiume nel quartiere della Marigolda. È la parte più pregevole del paese. Per il resto Curno ha ben poco di bello”.Darete il via libera anche a nuove costruzioni residenziali? “Noi crediamo nel recupero e non daremo il via a nuove costruzioni, anche se ci sono dei piani integrati di intervento che non sono ancora partiti e se si sblocca il mercato da-ranno vita a nuove costruzioni. Sì è costruito molto in paese, ma ci sono ancora molti metri cubi disponibili”. Anche per centri commerciali?“Per nuovi centri commerciali no, ma il Piano di governo del territorio pre-vede che il centro commerciale, che risale al 1991, possa riqualificarsi. Questo non significa necessariamen-te un aumento di volume. Siamo in

attesa che venga presentata la pro-posta di riqualificazione”. Il traffico?“È un problema mai risolto. Attorno ai centri commerciali la circolazione è difficoltosa, la Briantea è spesso rallentata. Verrà risolto solo con la li-nea metropolitana. Noi siamo pronti a fare la nostra stazione...”.

Santo Manetta

Mario Negri - Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scienti�coFondazione no pro�t da oltre 50 anni al servizio degli ammalati

Prof. Silvio Garattini

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I pAesI dellA BAssAIn prImA lIneA contro lA crIsI

la sensazione è di sconcerto. Quella che fino a pochi anni fa era una terra ricca, fatta di lavo-ratori instancabili per lo più im-

piegati nell’edilizia, è oggi un territorio in profonda difficoltà. Chi perde il lavoro vive questa nuova condizione con senso di colpa, incapace spesso di reagire. “C’è chi sta chiuso in casa per giorni e giorni senza uscire, per la vergogna di essere in cassa integrazione” ci raccontano. Un sentimento che la dice lunga sulla digni-tà di una terra dove, storicamente, l’assi-stenzialismo era considerato come un fal-limento personale. Non stupisce, quindi, che ci si rivolga alle amministrazioni lo-cali per chiedere un lavoro, piuttosto che aiuti economici. Di fronte alla crisi, ogni amministrazione tenta di fare quel che può, con la consapevolezza che dopo il taglio ai trasferimenti e i vincoli detta-ti dal Patto di Stabilità, quello che rima-ne è ben poco. Romano di Lombardia risponde creando, con altre amministra-zioni locali, piccoli progetti di pubbli-

di GioRdana taLaMona ca utilità, (interventi di manutenzione, raccolta delle foglie, ecc.), assegnati con dei bandi lavoro. Gocce nel mare – come ammette lo stesso sindaco – che oltre alla crisi se la deve vedere con altre questio-ni. Tema caldo, quasi rovente, degli ulti-mi mesi è stato infatti dei parcheggi a pa-gamento nell’area di piazza Fiume e delle cerchie (il percorso attorno al centro sto-rico). Entrati in funzione e subito distrut-ti da balordi, i parcometri della discordia (80 centesimi all’ora o a frazione di ora), piacciono a pochissimi. I detrattori, molti dei quali commercianti, li ritengono re-sponsabili di aver svuotato il centro sto-rico, dando il colpo di grazia a un com-mercio di vicinato già fiaccato dalla crisi. Il Distretto del commercio di Romano, tuttavia, ha rappresentato una boccata d’ossigeno al territorio, grazie all’eroga-zione di un contributo a fondo perduto pari a 280 mila euro che l’amministrazio-ne locale ha lasciato alle attività commer-ciali, per finanziare la ristrutturazione dei negozi. A Martinengo l’amministrazio-ne locale ha reagito alla crisi creando un fondo per le emergenze (20 mila euro

a Romano di Lombardia, Martinengo, Ghisalba e Mornico

al serio le amministrazioni si sono attivate con progetti di utilità e

fondi speciali. anche il commercio tenta il rilancio con eventi per

rivitalizzare i centri storici

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12/DODICIMESIAPRILE

sia il 2011 che per il 2012), a cui ha ag-giunto stanziamenti speciali per voucher sociali (10 mila euro circa). In controten-denza rispetto ad altre realtà, il commer-cio di vicinato sembra reggere ancora be-ne, tanto che nel cuore del centro storico sono stati recentemente aperti nuovi ne-gozi. Tra le questioni più sentite dalla po-polazione c’è quella della sicurezza, a cui l’amministrazione locale risponde con dati oggettivi. Secondo gli ultimi disponi-bili, nel solo 2010 il corpo di polizia loca-le ha fatto 35 arresti, rilevato 239 notizie di reato ed elevato 206 denunce per reati d’immigrazione clandestina e spaccio. Il paese è infatti presidiato da un pattuglia-mento territoriale, con turni serali che coprono cinque sere a settimana, festi-vi compresi. A Ghisalba per rilanciare il commercio è stato riportato, con succes-so, il mercato nella piazza Garibaldi. Tut-ti contenti, commercianti, ambulanti e cittadini, anche se la questione parcheg-gi è già rilanciata come una necessità, se il mercato rimarrà nel cuore del paese. Il Patto di Stabilità, spada di Damocle di ogni Comune d’Italia, sta inoltre metten-do in dubbio la realizzazione della scuola dell’infanzia, opera necessaria per il ter-ritorio di Ghisalba. A Mornico sul Serio stessa situazione. Anche qui il Patto di Stabilità ha bloccato la realizzazione di un asilo nido che avrebbe potuto accogliere 10-15 bambini. Il commercio sembra reggere abbastanza bene, grazie anche al lavoro di un’associazione inserita nel Distretto del commercio, che collabora con i paesi di Cividate al Piano e Palo-sco. La crisi sta, semmai, impattando sul tessuto sociale del paese che, come altre realtà italiane, assiste alla fuga dei propri giovani all’estero. C’è chi va in Australia a raccogliere pomodori, pur di lavorare. Un segnale che si scontra con l’idea che i giovani siano tutti “choosy” e con una politica nazionale incapace di dare rispo-ste serie.

Nelle pagine precedenti, un particolare di Mornico al Serio.

In questa pagina, dall’alto, Ghisalba, Martinengo

e Romano di Lombardia.

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ci rAccontAnoGhisaLBa

GiUsePPe FeRLa(eRBoRisteRia) Via roma

Lei è il vicepresidente dell’associazio-ne dei commercianti. Come sta im-pattando la crisi nel territorio?“Stiamo cercando di resistere ad una crisi che mai nessuno ha vissuto prima d’ora. Il nostro intento è quello di con-tinuare a stimolare il commercio di vici-nato attraverso degli eventi”. Quali sono le prossime iniziative?“Il primo maggio riempiremo la piazza con bancarelle e vecchi mestieri, a latere di una mostra sull’immigrazione. Pros-simamente ci sarà una mostra sui reperti militari e il 2 giugno, come di consueto, una sfilata di moda. A maggio, inoltre, si terrà la Fiera gestita da un’associazione costituitasi ad hoc per la sua organizza-zione e promozione”. Nel commercio l’unione fa la forza?“Per esperienza so che è fondamentale continuare nello sviluppo di una rete

provinciale tra commercianti, tanto più oggi. Credo che chi continui a stare nei comitati, bene o male, riesca ad andare avanti”.Perché è stato riportato il mercato nella piazza Garibaldi?“Proprio per incentivare il commercio. Questa è una richiesta emersa sia dai commercianti che dagli ambulanti. Si tratta di una prova che durerà sino a fine anno. Poi tireremo le conclusioni”.Parcheggi?“Ne abbiamo. Qualche cliente, tuttavia, ha già rilevato che con il nuovo mercato nella piazza, occorrerà pensare anche ad un ampliamento dei posti auto”.

GianFRanco GanZeRLa(MaceLLeRia) Via roma Com’è cambiato il paese?“Negli ultimi quindici anni si è molto ingrandito, soprattutto per l’arrivo degli extracomunitari”. Sono integrati?“Mah, non molto, mi sembra”. Che paese è Ghisalba?“È un paese ancora molto vivo, con mol-te iniziative, soprattutto d’estate”.

Il suo è un negozio storico di Ghisalba. Chi è il vostro cliente tipo?“Sono tutte persone che conosciamo da una vita. Purtroppo i giovani li vediamo a Natale e a Pasqua, quando vogliono un pezzo di carne di alta qualità. Preferisco-no andare nei centri commerciali, duran-te tutto l’anno. La mentalità del consu-matore è cambiata molto, purtroppo”. Come fa ad andare avanti?“Sopravvivo, è questa la verità. E ce la faccio solo perché non ho l’affitto, né dipendenti, altrimenti avrei già dovuto chiudere da un pezzo. Anche se lo vo-lessi regalare, un giovane non vorrebbe il mio negozio. Il gioco non vale più la candela, troppe tasse, pochi introiti”.

MaRtina Ponti (aBBiGLiaMento Ponti)Piazza Garibaldi Il suo è un negozio storico?“Sì, è aperto dagli anni Venti, tanto che la Regione Lombardia ci ha dato un pre-mio, qualche anno fa. Dal 2000, l’anno in cui ho cominciato ad occuparmene, è cominciata la quarta generazione”. Come impatta, sulla sua attività com-

Le nostre domande a…

SaMUeLe VeGini, SindaCo di GhiSaLBaCome sta impattando la crisi sul suo territorio?“Viviamo quotidianamente la cri-si attraverso le richieste dei nostri concittadini che, sempre più spes-so, si rivolgono a noi per un aiuto, chiedendo addirittura un lavoro. Dal canto nostro, cerchiamo di fare il possibile, ma non riusciamo a dare risposte a tutti, senza contare che i ridotti trasferimenti statali e il Patto di stabilità ci stanno condizionando enormemente”.Ci sono opere necessarie che, a causa del Patto di Stabilità, non po-tranno essere realizzate? “Ci servirebbe una nuova scuola dell’infanzia, perché la struttura che abbiamo oggi non solo è obsoleta, ma non riesce più ad accogliere tutti i bambini del nostro territorio. Il pro-getto è pronto, abbiamo trovato le risorse economiche, ma il Patto di Stabilità ci impedisce di utilizzarle. Si tratta di un’opera importante, che si aggira intorno ai 2 milioni e mezzo

di euro di costi, che accoglierà 9 se-zioni della materna, per 270 bambi-ni, più 30 posti per il nido. Qui le vie sono due: o rispettiamo il Patto di Stabilità, oppure realizziamo comun-que l’opera”. Sembra che non intenda rispettare il Patto, è così?“Si parla della vita vera dei cittadini, non di numeri! Credo quindi che re-alizzeremo la scuola, rientrando nel Patto per il triennio successivo. Mi auguro che, nel frattempo, qualcosa sia cambiato, che i sindaci si facciano sentire con forza, perché non è più possibile andare avanti così”.Venendo al commercio, con il mer-cato nella piazza Garibaldi, si pone la questione parcheggi. È possibile realizzarne di nuovi?“Di parcheggi ne abbiamo già a suf-ficienza, semmai stiamo valutando la possibilità di modificare leggermen-te la disposizione del mercato per migliorare la viabilità”. Cosa ne pensa della pavimentazio-

ne di piazza Garibaldi e via Roma? “È un disastro, se potessi la rifa-rei domani stesso. Non solo non è bella, ma si rompe periodicamente, tanto che siamo costretti a fare dei rattoppi. E’ una pavimentazione che ho ereditato e che, in tutta sinceri-tà, non avrei mai realizzato con quei materiali”. E della Casa di riposo, cosa ci dice?“È una questione da sbloccare. Alcuni privati infatti hanno presentato un’of-ferta, quattro anni fa, per la sua rea-lizzazione, ma è un progetto fermo”.

Giuseppe Ferla

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

Un paese grazioso, tranquillo. Abi-

tanti gentili e molto disponibili, con

cui è piacevole scambiare quattro

chiacchiere.

merciale, il mercato nella piazza?“Positivamente. Da quando è ritornato, abbiamo incrementato l’andirivieni di clientela”. Questione parcheggi?“Se la clientela non ha il parcheggio vicino, non si ferma. Adesso, poi, col mercato in piazza, occorrerà pensarci. Da quel che vedo, infatti, le persone non vengono in paese per fare un giro, ma solo per fermarsi presso alcuni negozi”. Cosa occorrerà fare?“Ho sentito parlare della possibilità di

chiudere il doppio accesso alla piazza, creando sensi unici per aumentare il nu-mero dei posti auto. Non sono convinta, tuttavia, che possa essere una soluzione risolutiva”. Questione sicurezza?“Ghisalba è un paese tranquillo. Per for-tuna da quel punto di vista non ci sono problemi”.

LaURa GiaVaRini (ciRcoLo aRci deL PRoGResso) Piazza Garibaldi Negli ultimi anni hanno chiuso molti negozi?“Solo con la fine del 2012 hanno chiu-so l’agenzia interinale del lavoro, una parrucchiera e un alimentari. La crisi è arrivata, tuttavia, in un contesto già sof-ferente, causato dai grandi centri com-merciali”. Su cosa si basa l’economia del paese?“Principalmente sull’edilizia e su alcune medie industrie situate in altri paesi

Martina Ponti

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limitrofi. Oggi quelle che non hanno chiuso, hanno i dipendenti in cassa in-tegrazione”. C’è qualcosa che cambierebbe nel pa-ese?“Ci sono troppe barriere architettoni-che per i disabili, senza contare che le pavimentazioni di piazza Garibaldi e di via Roma creano dei grossi disagi, sia quando piove che quando nevica. I gra-dini davanti al Comune sono una vera di-sperazione per gli anziani del paese, che spesso cadono e finiscono all’ospedale con qualche frattura”.

LaURa GaLLi(edicoLa-taBaccheRia)Via romaSono diminuite le persone che gioca-no al Lotto?“Sì, decisamente. Noi abbiamo il Lotto da circa sedici anni e con la crisi il calo è sensibile”. Ghisalba è un paese vitale?“Dal lato commerciale purtroppo no. I negozi non sono molti e, rispetto agli altri paesi, il centro storico non è ben distribuito”. C’è qualcosa che manca, a parte il la-voro?“Mi sembra che le ultime amministra-

zioni abbiano ben riqualificato il paese”. Un pregio?“Il paese è al centro di varie arterie che lo congiungono a Bergamo e ai centri principali. C’è una polisportiva che fun-

ziona molto bene, così come il centro anziani”. Cosa manca?“Una Casa di riposo. Se ne era parlato, ma non so se la costruiranno”.

Laura Galli

ci rAccontAnoMoRnico aL seRio

nadia Badoni (VanitY shoP aBBiGLiaMento) Via Bergamo È migliorato il paese nell’ultimo pe-riodo?“Per quanto riguarda la viabilità, senza dubbio. La via Bergamo è stata riquali-ficata molto bene, aggiungendo dei par-cheggi nuovi che stanno agevolando il mio lavoro”. E il commercio?

“Ho aperto da circa 18 anni, quindi or-mai ho una clientela molto affezionata. Chi viene da me, ma credo che valga an-che per altre attività commerciali, si fida della mia professionalità”. Un pregio?“È un paese molto tranquillo”.

cLaUdio aLFRano(iL MaRKet di aLFRano) Via Bergamo Com’è cambiato il paese?“Sostanzialmente il paese è rimasto lo stesso dal 1995, anno in cui ho aperto l’attività”. E con la crisi, come sono cambiate le

Nadia Badoni Claudio Alfrano

Laura Giavarini

abitudini dei suoi clienti?“Sul confezionato i clienti si indirizzano verso le seconde scelte, piuttosto che acquistare la marca nota. Mentre per il reparto macelleria, se prima chiedevano il vitello, adesso scelgono il maiale. Su-gli affettati, invece, si indirizzano verso le offerte”. Un’abitudine che, invece, resiste?“I piatti pronti. Nonostante siano me-diamente più cari, non c’è stata alcuna flessione nel reparto gastronomia ”.Su cosa verte l’economia del paese?“Sull’edilizia e anche sul tessile, almeno fino a quattro anni fa, quando la più im-portante azienda del territorio ha chiuso per trasferirsi a Chiari. Oggi che anche l’edilizia è ferma, può ben immaginare la situazione dei cittadini di Mornico”.

LaURa MicheLetti(neW stYLe acconciatURe)Via Padre BernardinoCome valuta l’inserimento di Morni-co nel Distretto del Commercio con Cividate al Piano e Palosco? “Positivamente, perché ci permette di pianificare, in concertazione con le associazioni dei commercianti dei tre paesi, varie manifestazioni che danno

buona visibilità ai nostri negozi”. Cosa organizzate, come associazione dei commercianti di Mornico?“Con la bella stagione, le Notti Bian-che, mentre nel periodo invernale organizziamo dei mercatini di Natale che, attraverso dei percorsi strutturati, permettono alla clientela di vedere tutti gli espositori. Contemporaneamente a questi eventi, vengono previsti dei pic-coli intrattenimenti, spettacoli per bam-bini o sfilate di moda”.Manca qualcosa al paese?“No, mi sembra che sia ben servito. Anche per quanto riguarda i parcheggi, nota dolente di tutti i paesi, non mi pos-so lamentare”. Gli extracomunitari sono integrati?“Non tutti. Mi sembra che la comunità indiana, rispetto ad altre, cerchi di inse-rirsi maggiormente nel tessuto sociale del paese, seguendo attivamente anche i corsi di italiano promossi dall’ammini-strazione”. soFia LanZa(MaRKet GiGi) Via roma Che bilancio fa del Distretto?“Positivo. Mi sembra che ci sia buona in-terazione tra i tre territori. I mercatini di Natale sono stati un po’ calmi, ma spe-

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

Nel complesso un paese molto cari-

no, con cittadini alla mano e dispo-

nibili.

riamo nelle prossime Notti Bianche”. C’è una buona risposta di pubblico?“Soprattutto d’estate”.Collaborate anche con l’amministra-zione locale?“Qualcosina. Diciamo che ci fanno un po’ di pubblicità”.Manca qualcosa al paese?“No, questo è un piccolo paese, non si può pretendere più di tanto”. Un punto di forza del paese?“Tutto sommato si vive bene”.

MaRco BResciani (PaRRUcchieRe)Via indipendenzaCome va il commercio?“Si cerca di andare avanti, puntando sul-la qualità e sui servizi”.L’arrivo dei centri commerciali ha

Laura Micheletti Marco Bresciani

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Le nostre domande a…

eRManno Chiodini, SindaCo di MoRniCoDal 2013 è partito il global service. Vuole spiegarci cos’è e quali sono i vantaggi per i cittadini? “È un nuovo sistema di programma-zione della manutenzione ordinaria affidata a un gestore unico, in grado di garantire le condizioni di sicurez-za, efficienza e valore del patrimonio nel tempo. Il gestore fornisce un si-stema informativo col quale i citta-dini possono segnalare per telefono a un numero verde, oppure on line, la necessità di un intervento manu-tentivo a strade, illuminazione, aree verdi e immobili pubblici.La ditta prende in carico la segnalazione e, in base alla tipologia del problema, interviene in 24 ore oppure in qual-che settimana. Periodicamente il ge-store invia al Comune il rendiconto dei lavori e la tempistica rispettata. La spesa annua del servizio è di circa 120 mila euro”. Come sta impattando la crisi sul territorio? “In maniera pesante, tanto che par-te del mio tempo è necessariamente

dedicato al sociale. Oggi infatti sono molti i cittadini che si rivolgono alla nostra amministrazione cercando le risorse necessarie per pagare le bol-lette di luce e gas. Senza contare il grosso problema degli sfratti che im-patta sul territorio in maniera dram-matica, coinvolgendo spesso fami-glie con minori. Un’altra questione che mi preoccupa molto riguarda i giovani che hanno terminato gli stu-di e che, superati i trent’anni, sono ancora senza lavoro. Alcuni vanno all’estero, altri rimangono sul terri-torio vivendo di quel poco che rie-scono a guadagnare, senza riuscire a crearsi una famiglia. Stiamo perden-do un’intera generazione di giovani, è questa la terribile verità, una gene-razione che non vede alcun futuro”. Come sta reagendo la sua ammini-strazione?“Intervenire è molto difficile, tanto più con una riduzione dei trasferimen-ti di 120 mila euro nell’ultimo anno e un Patto di Stabilità che ci obbliga ad avere un accantonamento pari a

180 mila euro. Stiamo cercando delle soluzioni, ma la realtà è che abbiamo dovuto necessariamente fare dei ta-gli anche nei servizi sociali.” Ci sono opere necessarie che, a causa del Patto di Stabilità, non po-tranno essere realizzate? “Nel nostro piano quinquennale ave-vamo inserito la realizzazione di un asilo nido. Si tratta di un’opera che sarebbe venuta incontro alle famiglie del nostro territorio, ospitando 10-15 bambini. Al momento, tuttavia, non ce la possiamo permettere, se voglia-mo restare nel Patto di stabilità”.

penalizzato la sua attività?“Non più di tanto. Questa è una profes-sione legata ancora alla professionalità e al rapporto di fiducia che si instaura, negli anni, con la propria clientela. Sem-mai il problema è la mancanza di liquidi-tà delle famiglie che rinunciano sempre più spesso al superfluo”. Di quanto è diminuito il lavoro?“Del 50% per le signore, un po’ meno per i signori. Anche sui bambini, la fles-sione è stata considerevole”.Come è cambiato il paese negli ultimi anni?“È cambiato molto dal punto di vista ar-chitettonico, grazie soprattutto all’arri-vo di aziende che hanno investito sul ter-ritorio. Abbiamo un auditorium nuovo, così come una nuova piazza, la Chiesa e l’oratorio. Questo non ha impattato, tuttavia, sul tessuto sociale del paese, che ha mantenuto intatte le sue tradizio-ni e abitudini”.

ci rAccontAnoMaRtinenGo

enRico MeRisi(edicoLa) Via Matteotti

Come ha inciso la crisi nella sua attività?“Molto. Le persone cercano di rispar-miare su tutto”.Il paese è cambiato molto in questi anni?“No, è rimasto sostanzialmente lo stes-so, sia da un punto di vista urbanistico, che architettonico”.Cosa manca?“Delle strutture per i giovani”. Qualcosa da migliorare?“Ci sono dei parchetti, dove vanno a giocare i bambini, che avrebbero biso-gno di essere riqualificati”.Gli stranieri sono integrati?“Non più di tanto, fanno vita a sé”.Un pregio?“Abbiamo un centro storico invidiabile”.

GiUsePPe FasoLini(iMBianchino - aRtiGiano)Via BolognaCom’è cambiato il suo lavoro con la crisi?

“Ho deciso di non lavorare più con le aziende, troppi rischi. Prima pagavano a 60-90 giorni, adesso mi tocca aspettare quasi un anno”.Mentre coi privati?“C’è di buono che tirano sul prezzo, ma alla fine pagano puntualmente”.C’è un urgenza a cui occorrerebbe far fronte, nel paese?“L’assistenza domiciliare agli anziani”. E la Casa di riposo?“Ce l’abbiamo, ma occorrerebbe snel-lirne la burocrazia”.

VaLentina FRancoLino(eRBoRisteRia iL GiRasoLe)Via LocatelliLei ha rilevato l’attività dalla sua ti-tolare pochi mesi fa. La crisi non la spaventa? “Sì, ma sono una persona ottimista, quin-di spero che possa andare bene. Questa, inoltre, è un’attività che c’è sul territorio

da circa 15 anni, quindi la gente conosce me e lamia professionalità”. Che paese è Martinengo?“Mi pare che sia in controtendenza ri-spetto ad altri paesi dell’hinterland. Nel centro storico, infatti, sono più d’uno i negozi nuovi che stanno aprendo. Mi sembra, dunque, che si stia vivacizzan-do. Inoltre noto che le persone del paese stanno tornando a fare acquisti sul ter-ritorio, piuttosto che andare nei grandi centri commerciali”.La sera com’è il paese?“Molto tranquillo. Qui anche i bar ten-gono chiuso”.E per i giovani cosa c’è? “C’è la biblioteca che organizza qualche evento culturale, ma si sente la mancan-za di un posto dove ritrovarsi”. Questione parcheggi?“I miei clienti si lamentano che sono troppo pochi. Io stessa a volte arrivo tardi perché fatico a trovare un posto auto”.

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

Cinto dalle mura medievali, Martinen-

go ha proprio un bel centro storico.

Cittadini cordiali e molto accoglien-

ti, che hanno voglia di raccontarsi e

raccontare il paese. Proprio una bella

scoperta.

Enrico Merisi

Giuseppe Fasolini Valentina Francolino

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LUiGi BULdRin (BULdRin aBBiGLiaMento)Via LocatelliIl vostro è un negozio storico, quindi potrete dirmi com’è cambiato il pae-se in questi anni. “Dal punto di vista architettonico è rimasto sostanzialmente immutato. Il cambiamento più significativo è stato quello sociale, a causa dell’arrivo degli extracomunitari”. Sono integrati?“Solo il 10%. Molti vivono alle spalle del Comune”. La sicurezza?“È il male minore. Tutto sommato, in-fatti, grazie al lavoro delle forze dell’or-dine non ci possiamo lamentare. Certo che dappertutto non posso arrivare”. Qual è la prima cosa che chiederebbe alla pubblica amministrazione per rendere più vivibile il paese?

Le nostre domande a…

PaoLo noZZa, SindaCo di MaRtinenGoCome sta reagendo la sua ammini-strazione alla crisi? “Attraverso un notevole sforzo eco-nomico, che non ha precedenti rispet-to ad altre realtà comunali limitrofe. Con l’inizio della crisi, infatti, abbia-mo messo in campo un fondo per le emergenze sociali che ha stanziato poco più di 20 mila euro sia per il 2011, che per il 2012. A questo abbia-mo aggiunto degli stanziamenti per i voucher sociali, che si aggirano in-torno ai 10 mila euro. Sono interventi che si scontrano, tuttavia, con una re-altà in netto peggioramento, dove le richieste di aiuto da parte dei cittadini aumentano progressivamente”. Qual è il grado di sicurezza del ter-ritorio?“Oggi Martinengo è molto più sicura rispetto a quando ci siamo insediati nel 2009. Solo nel 2010 il corpo di po-lizia locale ha fatto 35 arresti, elevato 206 denunce per reati d’immigra-zione clandestina e spaccio, oltre ad aver rilevato 239 notizie di reato”. Come avete proceduto dal 2009?“Il paese prima era in un Consorzio di polizia con Fontanella, Covo, Isso e Barbata, per il quale pagava, essendo

socio di maggioranza, circa 500 mila euro all’anno. Questo consentiva di avere sul territorio una pattuglia che garantiva una presenza giornaliera di sole 3 ore. Uscendo dal Consorzio, non solo la spesa si è dimezzata, ma abbia-mo costituito un corpo autonomo di polizia con un organico di sei addetti. Il pattugliamento territoriale è organiz-zato su tre turni, il primo comincia alle 7 del mattino, l’ultimo finisce alle 2 di notte. I turni serali coprono cinque sere a settimana, festivi compresi. A questo si aggiungano gli sforzi che abbiamo messo in campo per le dotazioni stru-mentali e per l’implementazione del servizio di videosorveglianza. Inoltre abbiamo attivato protocolli d’intesa con la stazione dei Carabinieri locali, che ci garantisce un servizio appieda-to per i giorni di mercato e non solo. Recentemente abbiamo anche preso contatto con la Guardia di Finanza, con cui sottoscriveremo un protocollo d’in-tesa finalizzato al controllo delle attività irregolari, che possono mascherare fe-nomeni di immigrazione clandestina”. Tema parcheggi. Cosa risponde a chi si lamenta dei parcheggi a disco nel centro storico?

“Che la regolamentazione con disco orario è necessaria, sia per il rilancio del commercio, che per consentire ai cittadini di accedere ai principali servizi siti nel centro storico. Di fat-to, prima della sosta a disco, c’era chi lasciava la propria macchina parcheg-giata per tutto il giorno, limitando l’andirivieni di cittadini. Inoltre, ab-biamo recentemente fatto uno studio che conferma che la dotazione dei parcheggi complessivi nel territorio è in linea con le necessità reali. Da ul-timo, esiste il parcheggio del centro commerciale Le Maschere, a ridosso del centro storico, nel quale è pos-sibile parcheggiare senza problemi, perché è privato ad uso pubblico”.

“Dovrebbero togliere l’isola pedona-le, durante la domenica ed eliminare la zona disco in tutto il centro storico”. Un pregio?“Non ne trovo, perché è un paese gover-nato non al meglio. I cittadini, inoltre, sono invidiosi. Quest’ultima è una ca-ratteristiche che ha sempre contraddi-stinto Martinengo”.

LetiZia MoRosini(taBaccheRia MoRosinieLisaBetta) Piazza Maggiore È un paese sicuro?“Mah, la sera durante l’inverno non mi sento molto sicura. Ci sono in giro solo extracomunitari”.È solo una sensazione o ci sono stati casi critici?“Qualche ragazza è stata avvicinata. Nessuna cosa grave, però…”Tema parcheggi?“Quella è una spina nel fianco per tutti i paesi. Il boom si ha la mattina, quando le mamme portano i figli a scuola, poi pian piano diventa più vivibile. Adesso che si può parcheggiare anche dove c’è l’ospedale, mi pare che qualche piccolo miglioramento ci sia stato”.Un pregio?“Il centro storico è molto bello”.

Luigi Buldrin con la moglie

Letizia Morosini

ci rAccontAnoRoMano di LoMBaRdia

LUiGi LaMeRa(BaR Via di QUi)Via cesare BattistiCom’è la sicurezza a Romano?“Carente. Non è neanche colpa dei ca-rabinieri, non credo che abbiano il pote-re di fare di più. Senza contare che con quello che prendono, non rischiano. Se arriva qualcuno che fa casino, è meglio se ti arrangi da solo”. Ci sono molti stranieri?

“Sì, i primi sono arrivati quando ero ragazzino io. Oggi si può dire che sono bergamaschi d’adozione. In generale, tuttavia, parto prevenuto”. Cosa ne pensa dei parcheggi a paga-mento lungo le mura?“Non sono totalmente contrario. Prima che li mettessero non c’era un parcheg-gio libero qui vicino. Adesso mi sembra che ci sia più andirivieni di persone. Forse avrebbero potuto lasciare qualche fascia libera, magari con disco orario. Credo che quello sarebbe stato un buon compromesso”.

cLaUdio Rossi(aLadin) Piazza G. B. rubini Come sta impattando la crisi su Ro-mano?“A parte qualche industria, tutto il ter-ritorio viveva di edilizia. Qui c’è gente sull’orlo della disperazione. Questa era una zona di grandi lavoratori, gente con un orgoglio e una dignità altissime. Oggi il morale del paese sta toccando terra”. Com’era prima?“Andavamo al bar e si leggeva la Gaz-Luigi Lamera

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zetta. Ora sono tutti informatissimi sulla politica. La gente dà addosso ai politici, a tutti, nessun escluso”. Le persone sono rassegnate?“Non ancora. Chi ha via qualcosa tenta di aprire qualche negozio. Ma questa è l’ultima volta. Se i politici non si met-tono d’accordo, si troveranno la gente fuori dalle aule del Parlamento”.E nel suo esercizio?“Il mio negozio etnico ha sempre richia-mato l’interesse dei giovanissimi. Oggi vengono per dare un’occhiata, ma non si possono più permettere di spendere nemmeno dieci euro!”.

MaRiaGioVanna VaVassoRi(eRedi di VaVassoRi LUiGi - MeRceRia) Via G. B. rubini

La sua è un’attività storica. Come le sembra il paese oggi?“È cambiato molto. Innanzitutto sono arrivati molti stranieri, con cui abbiamo iniziato a convivere: loro si sono ade-guati a noi e noi a loro”. La clientela?“È diventata sempre più esigente. Per ac-contentarla bisogna sempre stare al passo, ordinare nuova merce. Ma è giusto così”. La crisi?“Si sente, eccome”.

Manca qualcosa?“I servizi di base ci sono. Forse andreb-be fatto qualcosa di più per i giovani e gli anziani”.

PieRMaRio LaMeRa(iL BUoGUstaioGastRonoMia) Via A. tadini

Com’è il paese di sera?“Dopo le 18 c’è il coprifuoco. Le perso-ne in giro sono pochissime, la maggior parte extracomunitari. La sensazione non è bella, soprattutto per le giovani”. È contrario ai parcheggi a pagamento? “Certamente, questo non fa che alimen-tare un certo abbandono del paese. La gente viene meno, anche nella mia ga-stronomia”.Quante persone in meno?“Il 30%, da quando ci sono i parcheggi a pagamento. Sarà anche dovuto alla crisi, certo che introdurre ulteriori spese non fa che sfavorire il commercio”.Chi non viene più?“Quelli che si fermavano per il pranzo. Chi viene a Romano per un panino non spende 80 centesimi di parcheggio, piuttosto va altrove”. E per i giovani c’è qualcosa?“C’è qualche associazione sportiva”.

Claudio Rossi

Mariagiovanna e Roberto Vavassori

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

Un bel centro storico, dove è piace-vole fermarsi per un caffè o per del-le spese. Cittadini e negozianti molto cordiali e aperti. Un paese dove vivrei volentieri.

Piermario Lamera

Cosa ne pensa del Distretto del com-mercio di Romano?“Un altro buco nell’acqua. Concreta-mente non ha inciso minimamente”.

LUcia caRMinati(MeRceRia caRMinati)Piazza G. B. rubini La sua attività è aperta dal 1924. Le piace ancora Romano?“Sì molto. Credo che oltre ad essersi in-grandito, abbia aumentato sensibilmen-te i servizi per i cittadini. Ci sono anche dei buoni mezzi pubblici. Io sono molto

soddisfatta del mio paese”. La crisi?“È molto dura. Ero abituata ad avere il ne-gozio sempre pienissimo, tanto da faticare ad andare al bar per un caffè. Oggi la clien-tela si è ridotta enormemente. Chi veniva quattro volte al mese, viene una volta sola”. È contraria ai parcheggi a pagamento?

“Sì, i miei clienti ne sono ossessionati. En-trano in negozio e cercano di fare in fretta per non prendere la multa. Non contesto la cosa in sé, ma il modo. Se l’avessero fatto progressivamente, l’impatto sareb-be stato minore. Invece così, tutto d’un botto, hanno creato un vero problema al paese”.

Le nostre domande a…

MiCheLe LaMeRa, SindaCo di RoManoCome sta impattando la crisi sul territorio di Romano?“Molto duramente, soprattutto a causa del fermo dell’edilizia. Le im-prese artigiane del territorio impie-gate direttamente o indirettamente nel settore edile, superano infatti il 40%. La mia percezione è che circa l’80% delle persone con gravi diffi-coltà che si rivolgono oggi ai servizi sociali sono del settore edile”. Quanto al commercio, che bilancio fa del Distretto di Romano?“Il riconoscimento del Distretto del commercio ha portato, sul territorio di Romano, un’erogazione di un con-tributo a fondo perduto pari a 280 mila euro. La mia amministrazione ha deciso di lasciare questa cifra alle attività commerciali, per finanziare fino al 50% delle ristrutturazioni dei negozi di vicinato (vetrine, dehors, apparati di sicurezza ecc). Ci sono altre attività in atto, tra cui la pre-sentazione di un polo informativo di coordinamento delle varie attivi-

tà promosse dal Distretto. A breve verrà designata una persona che non solo sarà a disposizione dei commer-cianti, ma che li contatterà uno per uno per informarli su tutte le attività che il Distretto ha messo a disposi-zione”. Un tema molto caldo è la questione dei parcheggi a pagamento lungo le cerchie del centro storico. Da cosa nasce questa decisione?“Dalla presa di coscienza che era un annoso problema che doveva essere affrontato. L’analisi scientifica com-missionata per capire il tempo medio di ricerca di un posto auto, ha infatti messo in luce dati che non potevano lasciare indifferenti. L’anello intorno al centro storico comprende 530 parcheggi. Ebbene, prima dell’in-troduzione del parcheggio a paga-mento, il tempo medio per la ricerca di un posto auto variava tra gli 11 e 19 minuti, mentre in zone della città non c’è una sostanziale rotazione dei veicoli. Questa, d’altra parte, è solo

la prima parte di un piano sosta mol-to più vasto, che comprenderà la re-alizzazione di più parcheggi liberi nei pressi della stazione e dell’ospedale che frutterà altri 150 posti auto. Inol-tre, esiste già nella prossimità del centro storico, in piazza Consalvo, un parcheggio libero ad alta capacità da 150 posti auto che risulta essere sostanzialmente inutilizzato. Quello sarebbe il più indicato per rispon-dere alle necessità dei pendolari che vengono a Romano per prendere il treno”.

Lucia Carminati

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un sAlvAdAnAIo puBBlIco per sAlvArelA stAgIone dI prosA

Al FIlodrAmmAtIcIÈ la proposta di Gianfranco Bonacina, presidente della cassa Rurale di treviglio che, insieme al comune, sostiene il teatro. Ma i conti da alcuni anni non tornano più e il direttore Paolo colleoni ha annunciato il calo del sipario per la stagione di prosa.

di Rosanna scaRdi

www.ccallevalli.it

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la stagione di prosa al Teatro Filodrammatici di Treviglio si è conclusa con l’annuncio choc della sua cancellazione. Spe-

se di gestione, debiti pregressi, pochi sponsor, contributi comunali ridotti, hanno fatto sì che il direttore Paolo Col-leoni rinunciasse alla sfida: tenere in piedi un teatro con un cartellone di qua-lità quando la crisi economica morde. Professione commercialista, da venti-cinque anni direttore del Filodrammati-ci per passione, Colleoni ha comunicato la decisione al pubblico, lo scorso mese, al termine dell’ultima rappresentazione, “La leggenda di Redenta Tirìa”. “La crisi colpisce tutti indistintamente – spiega – anche i grandi teatri di Bergamo e Milano sono in perdita. Molti hanno chiuso, altri ridotto le giornate. Il Filo-drammatici paga poi il fatto che offre solo 290 posti, troppo pochi per una gestione conveniente”. Difficile fare i conti con l’arte, dunque. E allora non resta che ri-nunciare alla prosa. “Mancano i fondi, da cinque anni la gestione arranca. Ho cer-cato un confronto con tutti, perché volevo tenere aperto andando contro la logica dei numeri, ma sarebbe stato irresponsabile aumentare il debito che poi il Comune e i suoi cittadini devono pagare – spiega ama-reggiato il direttore –. Mi rendo conto che ci sono le famiglie in difficoltà da aiutare, non sono uno sprovveduto che vuole but-tare al macero il denaro pubblico”.

Secondo teatro della provincia, unica vera sala in paese, la struttura, proprie-tà della Parrocchia San Martino, gestita dall’associazione Amici del Teatro, è stata inaugurata nel 1905. A coprire le spese di gestione e manutenzione non bastano le entrate che arrivano a circa 120mila euro provenienti solo in parte dalla vendita degli abbonamenti, il cui prezzo va dai 110 ai 170 euro, a secon-da del posto scelto, per otto rappresen-tazioni, e dai biglietti, che variano dai 16 ai 27 euro. Fondamentale resta il contributo del Comune che per quat-tro anni ha stanziato, inserendola come spesa straordinaria in bilancio, 50mila euro a stagione, che ora saranno ridot-ti a 30mila. Alla base una convenzione che prevede in cambio della somma l’u-so della sala per una sessantina di volte. Altra sovvenzione, quella della Cassa Rurale, pari a 15mila euro l’anno. Veniamo ai costi. Fra le spese, oltre allo stipendio al custode e all’affitto, ci sono i cachet delle compagnie che variano dai 6.500 agli 8.200 euro, Iva esclusa. E poi c’è il debito dell’associazione che gestisce la sala, intorno ai 70mila euro. Un “rosso” da saldare con rate salate. “Sono stato costretto a ridurre le com-pagnie nazionali – dichiara il direttore uscente –. Se prima sette spettacoli su sette avevano quali protagonisti attori famosi, ora sono dovuto scendere a tre, quest’anno Mariano Rigillo, Paola Gas-sman, Maria Amelia Monti, puntando per il resto su artisti meno di grido, ma comunque di talento. Ho la coscienza a posto, perché il livello è rimasto alto”. Colleoni mostra fiero le locandine della prosa che ha debuttato nella stagione 1988-1989 grazie al comitato di ge-stione che si trasformò in associazione tre anni dopo. “Dal 1991 ho portato a Treviglio tutti i più grandi attori – am-mette orgoglioso –. Sono arrivati 800 interpreti per 170 spettacoli”. Primo grande nome a calcare la pedana, Glauco Mauri che recitò “Edipo re” nel 1996, ma nella lista infinita si registrano anche i nomi di Giorgio Albertazzi, Lia Tanzi, Raf Vallone, Maurizio Micheli, Amanda Sandrelli, Anna Proclemer,

Gianrico Tedeschi, Catherine Spaak, Carla Gravina, Ida Di Benedetto, Isa Barzizza, Arnoldo Foà, Gianluca Guidi, Milva, Monica Guerritore, Nicola Piova-ni, premio Oscar per le musiche del film La vita è bella, fino ai Cavalli Marci, irri-verenti comici genovesi. Non mancano gli aneddoti. “Tra i compiti che mi spet-tavano, c’era quello di controllare che non entrassero ‘portoghesi’ – sorride Colleoni –. Così quando trovai una si-gnora, alta e intabarrata, che si aggirava fra il pubblico pensai non volesse pagare e le chiesi con fare arrogante se fosse un’attrice. E lo era davvero. Era la sera del 14 gennaio 1996 e mi ero appena imbattuto in Marina Malfatti che pochi minuti dopo avrebbe portato in scena Come prima, meglio di prima di Piran-dello. Per farmi perdonare ho dovuto recuperare dei fiori”. Colleoni si fa carico anche dell’acco-glienza degli attori che arrivano nella Bassa. Spesso invitandoli a cena a casa. “Ricordo il novantenne Ernesto Ca-lindri che rifiutò malamente il pollo lesso che gli offrii la sera perché voleva mangiare come tutti – racconta –. Gian-carlo Sbragia mi chiese l’abbacchio a mezzanotte. E quando dovetti ripiega-re su un misero toast, mi trafisse con uno sguardo di ghiaccio”. Il più bravo? “Enrico Maria Salerno. Recitava Il si-lenzio di Dio vestito da metalmeccani-co e riusciva a fornire anche a un ateo i

presupposti per avere fede”. Nella voce di Colleoni c’è tanta amarezza. “Il Co-mune dovrebbe far pagare l’uso della sala, basterebbero 400 euro per volta per compensare le perdite. Non si tiene conto che ogni volta aprire costa diverse centinaia di euro. Si paga l’affitto per la sala all’oratorio, mentre il teatro è gra-tis. Non è giusto. Se l’amministrazione facesse pagare anche solo trenta dei

sessanta affitti, si otterrebbero 12mila euro, e noi saremmo salvi”. La convenzione con il Comune prevede tuttavia un uso non a fini di lucro del te-atro, destinato ai saggi delle scuole e alle manifestazioni delle associazioni di so-lidarietà. “Se si vuole far pagare la sala, va rivisto l’accordo, magari forfetizzando il costo per l’utilizzo – afferma il sinda-co, Giuseppe Pezzoni –. Noi, fino a che

abbiamo potuto, abbiamo supportato la stagione con una somma consistente. Difficile far passare ulteriormente un contributo così significativo”. Il primo cittadino ha assistito allo spettacolo di avvio della stagione. “Ho finanziato il cartellone a occhi chiusi, confidando nella qualità – sostiene –. Ma ora non ci sono risorse economiche, una soluzione potrebbe essere una stagione ridotta”.

Gianfranco Bonacina, presidente della BCC di Treviglio

Paolo Colleoni, direttore del teatro

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INCHIESTAL/ INCHIESTAL/

Le oPinioni Dei cittADini

un peccAto che In tempI dI crIsI sIA sempre lA culturA A pAgAre

WaLteR daneLLi attore e re-gista della “compagnia stabile carlo Bonfanti”, 54 anni“Sono dispiaciuto. Sono necessari sponsor e disponibilità finanziare oppu-re si ridimensiona la stagione cercando di coinvolgere compagnie e artisti alla ricerca di un trampolino di lancio. Alla base di questa strategia ci devono essere i giovani, capaci di sfruttare i nuovi mez-zi di comunicazione”.

RoBeRto FaBBRUcci giornalista, 68 anni “Ricordo che negli anni Sessanta e Settanta, al Circolo Artistico abbiamo

smesso di proporre spettacoli per man-canza di fondi. A quel punto abbiamo organizzato il Teatro Pullman. Si partiva da Treviglio, alle 20, diretti a Milano, con posti prenotati alla Scala, al Picco-lo, al Lirico. Era un modo per offrire un servizio e non scaricare sulla collettività il costo per il divertimento di pochi”.

MaRina daGa scaLisoprano, 52 anni“Penso che l’Italia debba puntare sulle eccellenze di canto e teatro per rialzar-si. Chiudere una struttura è una scelta miope. La soluzione potrebbe essere far pagare l’affitto della sala alle compagnie che poi gestiscono gli incassi”.

LoRis scaRaVaGGiarchitetto, 45 anni“Se si arriva a chiudere un’attività cul-turale siamo messi davvero male. Ma è anche naturale che nei momenti di crisi i primi a essere in difficoltà siano i beni non di prima necessità, quali il diverti-mento raffinato. Per salvare il teatro oc-corre sensibilizzare l’opinione pubblica e attirare attori quotati che lavorino an-che a scopo di beneficenza. Altra solu-zione temporanea potrebbe essere una stagione ridotta”. PatRiZia siLiPRandifarmacista, 67 anni“Il Comune non deve ridurre il finan-ziamento. Altrimenti il sindaco deve chiarire quali sono le priorità che inten-de sovvenzionare. E verificare se corri-spondono alle esigenze e alla qualità di vita dei trevigliesi”.

doctoR FaUstcantante, 53 anni“È un peccato che la cultura sia sempre la prima a pagare i danni della crisi. L’ar-te rappresenta le fondamenta della so-cietà civile, non è una cosa superflua”.

caMiLLa aRsUFFipensionata, 65 anni“I miei ricordi risalgono all’infanzia, quando ammiravo la vecchia scalinata a semicerchio del Filodrammatici. Mi mancheranno le commedie dialettali. Ma ci sono cose molto più importanti, come i nostri giovani senza lavoro”.

LoRenZo FiGLioLi musicista della banda, 37 anni“Qualsiasi forma di espressione cultura-le va salvaguardata. Altrimenti perdiamo una parte di ciò che siamo, parlo a nome degli amanti del teatro. A me succe-derebbe la stessa cosa se mancassero i contributi per i concerti”.

MaRY GRosso maestra elementare e attrice, 48 anni“La cultura è di notevole importanza, considerato il lavoro che svolgo con dedizione. Credo però che per un’am-ministrazione comunale sia prioritario dare un aiuto a chi ne ha veramente bi-sogno”.

eLio MassiMino Associazione clementina Borghi, 62 anni“La sopravvivenza del teatro è nel-le mani dei privati. Se si impegnano, possono creare eventi, concerti, da cui trarre le risorse per finanziare un’altra forma d’arte”.

aLBeRto GaLLi, bancario e attore, 44 anni“In un Paese dove la cultura è schiac-ciata dal calcio e dal suo indotto non mi meraviglio se l’arte è la prima a rimet-terci in un momento difficile. Treviglio ha quel che si merita in termini di una volontà politica che non ha mai rivaluta-to il teatro negli ultimi decenni e di una cittadinanza che mai si è fatta sentire in tal senso”.

Giuseppe Pezzoni, sindaco di Treviglio

Tra i timori, inoltre, c’è la possibile con-correnza del futuro auditorium da 350 posti che sorgerà nell’area dell’ex Upim. Ma Pezzoni lo esclude: “Sono due strut-ture diverse. L’auditorium sarà un ulte-riore punto d’incontro, un motore capa-ce di ravvivare il cuore della città. L’area del Filodrammatici non ha mai avuto un’attività serale”. Maggior benefattrice dello storico teatro è la Banca di Credito Cooperativo di Treviglio che si è occu-pata negli anni delle ristrutturazioni, l’ultima, per renderlo agibile, nel 1987, sborsando un miliardo e mezzo di vec-chie lire. “Abbiamo provveduto a ogni esigenza, sia che ci fosse da rifare un muro, concedendo cinquemila euro, sia che si rompesse una lampadina – assicu-ra il presidente della BCC, Gianfranco Bonacina –. Negli anni abbiamo cercato sponsor, anche piccoli, i quali spesso si tiravano indietro. E noi, che copriamo cinquanta comuni con altrettante ne-cessità, non possiamo dissanguarci. La Cassa Rurale non può fare i miracoli”. Bonacina si rammarica per questa scel-ta: “Ho scritto a Colleoni una lettera per ringraziarlo del lavoro svolto – affer-ma –. Ora c’è la necessità di un grande aiuto, poteva intervenire la Provincia, ma non è stato possibile. Confido nella sensibilità dei trevigliesi e propongo la creazione di un salvadanaio pubblico”. Solo così al Filodrammatici potrà alzarsi di nuovo il sipario.

inauguraTo nel 1905 può ospiTare 290 speTTaTori

Il Filodrammatici è l’unico teatro a Treviglio, dopo la demolizione del Sociale, nel 1964. Si trova nel piazzale del Santuario, conta 290 posti, di cui 216 in platea e 74 in galleria, ed è di proprietà della Parrocchia San Martino. Pro-gettato in stile liberty nel 1898 da Carlo Bedolini, è stato inaugurato il 15 lu-glio 1905 da Agostino Cameroni, primoparlamentare trevigliese. Nello stesso anno nasce la Compagnia Circolo di San Luigi e la struttura diventa anche sala cinematografica. Con l’avvicinarsi della prima guerra mondiale il teatro ospita l’ospedale militare, poi la sede dell’industria milanese Face. Nel 1940 nasce la compagnia di prosa, ma a causa della seconda guerra mondiale il teatro viene convertito ancora in ospedale. L’attività artistica riprende nel 1945 con la Compagnia Stabile diretta da Gino Gaigher. Gli interni, nel frattempo, sono rinnovati, l’ingresso è dotato di guardaroba e specchiere. Il palcoscenico è allungato, la galleria e il corridoio di accesso ampliati, mentre il boccascena viene fiancheggiato da decorazioni e da coppie di colonne dorate. Per la ge-stione, nel 1987, si costituisce un comitato senza fini di lucro, di cui fa parte il direttore Paolo Colleoni. Il Filodrammatici viene ristrutturato dall’architetto Duccio Bencetti che presiede l’associazione Amici del Teatro. A finanziare il progetto la Cassa Rurale che restituisce il teatro alla città il 28 febbraio 1987. I lavori costano un miliardo e mezzo di lire. Nel 1991 si alza il sipario sulla prima stagione di prosa a carattere nazionale.

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lA rIcercAtrIcecon lA puzzA sotto Il nAso

anna d’errico, bergamasca, studi alla sissa di trieste, da tre anni lavora al Max-Planck institute of Biophysics di Francoforte e studia come il cervello riesca a decifrare e riconoscere gli odori. “deodorizzazione e inquinamento hanno soffocato le potenzialità espressive del nostro senso più istintivo e sensuale”. “i feromoni? il loro ruolo nell’uomo è ancora tutto da provare”.

di LaURa BeRnaRdi LocateLLi

deodorizzazione e inqui-namento soffocano la po-tenzialità espressiva del nostro senso più istintivo

e sensuale, con la sensazione di vivere in un mondo che non sa più di niente. Il simbolo perfetto per un momento stori-co in cui si è persa l’abitudine di ficcare il naso nella realtà in tutte le sue molte-plici sfumature è racchiuso nel flacone “Greed” che l’artista bresciano France-sco Vezzoli ha presentato alla Gagosian Gallery di Roma. Un flacone vuoto, un profumo che non esiste e al tempo stes-

so la negazione dell’olfatto, perfetto per un momento storico di desolante smarrimento e incertezza espressiva. La sfida per ognuno è riempire di significa-to e intrappolare il profumo di ricordi e sensazioni, liberando così l’enorme potenziale delle nostre due narici e del complesso sistema olfattivo, evolutosi già prima che iniziassimo a camminare su due zampe per essere il più veloce e immediato punto di contatto con la par-te più istintiva del nostro cervello. Siamo diventati degli analfabeti olfattivi. L’olfatto è il nostro senso più immedia-to eppure viene messo in secondo piano rispetto agli altri sensi. Di qui l’idea di

una ricercatrice bergamasca, di pubbli-care un blog – dalle solide basi scien-tifiche – dedicato a odori improbabili e puzze (im)possibili (http://perfect-senseblog.com). Laureata in biologia a Pavia, dove ha svolto un dottorato di ricerca in neuroscienze, Anna D’Errico si è dedicata allo studio dei feromoni alla Sissa, Scuola Internazionale Superio-re di Studi Avanzati di Trieste. Da tre anni a questa parte lavora al Max-Planck Institute of Biophysics di Francoforte, dove studia come il cervello riesca a decifrare e riconoscere gli odori, “una faccenda piuttosto ingarbugliata, e quindi affascinante da morire” come s

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non esita a definirla sul sito. In un mon-do dominato dalla vista, Anna D’Errico invita a chiudere gli occhi e aprire le na-rici per riappropriarci di una sensibilità poco ascoltata e lasciarsi così guidare dal senso più sensuale che la natura ci abbia donato: “Dal punto di vista evo-lutivo il canale visivo rappresenta senza dubbio un ruolo chiave, ma l’olfatto è fondamentale. Le vie nervose inviano a ogni stimolo olfattivo informazioni al cervello in modo più diretto degli altri sensi, perché non passano per il talamo, stazione nervosa intermedia tra sistema sensoriale e gli altri distretti cerebrali. Raggiungono così direttamente le vie centrali del nostro sistema nervoso. Le informazioni arrivano all’area limbica, la nostra parte più istintuale, responsabile anche di creare rigetto o piacere nella sfera sessuale”. La memoria gioca un ruolo chiave: non è solo un “topos” letterario, come nel-la Recherche di Proust con le famose madeleine, ma il profumo del ricordo è un dato scientifico: “Una situazione si ricorda più velocemente se è associata a un odore, solo non siamo abituati ad esprimerlo a parole. Esiste poi un lega-me ancestrale che lega le persone, basti pensare al rapporto tra madre e figlio e alla loro capacità di riconoscere reci-procamente i propri odori”. Il nostro vocabolario olfattivo è alquanto scarso: “Sul fronte cognitivo siamo poco edu-cati a definire informazioni legate all’ol-fatto, eppure un naso ben allenato può arrivare tranquillamente a distinguerne 10mila diverse. Dare voce a profumi, odori ed essenze non appartiene alla no-stra società e siamo poco abituati ad usa-re l’olfatto nella comunicazione. Siamo a tutti gli effetti degli analfabeti olfattivi”. Il marketing e l’industria appiattiscono i nostri sensi: “Siamo dominati dal senso di igiene imposto dalle industrie chimi-che, da detersivi, profumi… Un bouquet “tutto profumato” e “che sa di buono” che copre e nasconde odori più naturali. Sempre più attenzione negli ultimi tem-pi è dedicata all’aromaterapia, il cui ef-fetto è tutto da dimostrare e diventa una forzatura commerciale”.

A differenza di quanto l’industria vo-glia fare credere, sul ruolo dei feromoni nell’uomo manca l’onere della prova. “Sul mercato vengono proposte essenze ed elisir in grado di destare eccitamento ed attrazione sessuale. In realtà se ciò è vero per molte specie animali in cui i feromoni percepiti grazie all’organo

vomeronasale inducono comportamenti stereotipati, dall’attacco alla difesa alla riproduzione, nell’uomo quest’organo è vestigiale e non è quindi in uso. È proba-bilmente un retaggio del nostro passato evoluzionistico”. In compenso, lo stress ha un odore: “Influisce sulle reazioni metaboliche, porta a sudare di più. Un

alla scelta del packaging. Negli Stati Uniti molti negozi diffondono fragranze per creare una maggiore propensione all’acquisto. Ma un conto è l’impatto emotivo, che è soggettivo, un altro la reazione fisiologica, ancora poco stu-diata”. I “nasi” comunque esistono, ec-come: “Senza dubbio è una dote innata,

cattivo compagno che inevitabilmente fa percepire la propria presenza”. L’ultima frontiera delle strategie delle multinazionali è il neuromarketing e vede le neuroscienze al servizio delle big company: “Il marketing si rifà sem-pre più frequentemente ai risultati di studi neuroscientifici, dal layout visivo

ma come tale va allenata e curata perché si esprima al meglio. I training durano anni ed è possibile arrivare a cogliere e distinguere 10mila odori. Ci sono poi gli artisti che grazie alla loro sensibilità danno vita a profumi unici”. Odori e profumi variano poi da cultura a cultura. “Gli orientali pensano che s

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L’olfatto è forse il senso più importan-te per la degustazione, ma negli ultimi anni si è persa l’abitudine di riconoscere profumi e odori: “È difficile ritrovare nel bicchiere il biancospino per chi non l’ha mai sentito o cogliere il profumo del giglio ed ancora individuare una delle molteplici note erbacee. Si è perso un contatto con la natura e con il territorio. Allenare il naso annusando il mondo che ci circonda e che cambia di stagione in stagione è fondamentale per chi si av-vicina alla degustazione di vini, in cui olfatto e retrolfatto giocano un ruolo cruciale – sottolinea Nives Cesari, de-legata Ais Bergamo, tra le prime donne sommelier italiane –. Bisogna aprire di più le narici e memorizzare tutto per far riaffiorare poi ricordi e sensazioni”. Le tendenze del mercato evidenziano una propensione per i vini dal bouquet più profumato: “Conquistano i vini aro-matici, fruttati, floreali e di facile beva. Più difficili da comprendere vini dalla struttura più complessa, passati in legno. Una tendenza confermata in larga misu-ra dalla produzione di vini dall’impatto olfattivo accattivante”. Un naso allenato arriva a cogliere sfumature gradevoli e sgradevoli: “Cuoio, idrocarburi, ambra grigia, ceralacca, plastica e un’ampia gamma di odori animali caratterizzano vini maturi e strutturati, liberati dal pas-saggio in legno e dall’ossidoriduzione in

botte e in bottiglia. Una complessità di sensazioni olfattive, oltre che di gusto, che rappresentano una sfida anche per il naso più allenato, che riesce a distingue-re sfumature diverse da un’annata all’al-tra. Ai meno esperti possono sembrare odori sgradevoli, per questo va ricreata un’associazione piacevole con il vino, attraverso le sensazioni e le emozioni che l’assaggio regala”.La sensibilità femminile aiuta a decifra-re i vini più criptici: “Le donne sono più abituate a riconoscere profumi e odori ed hanno una maggiore sensibi-lità olfattiva. Ma la vera differenza la fa l’allenamento”. Il tappo, in compenso, lo riconoscono tutti: “È il difetto che si riconosce più frequentemente, anche se può essere confuso talvolta con la carat-teristica del legno di un vino barricato. E su questo punto scattano puntualmente vere e proprie diatribe”. In commercio tra le essenze “nez du vin” vi sono ormai anche i difetti più frequenti riscontrabili nel vino per una valutazione in negativo: “Le essenze ricordano la maggior parte delle note che si possono ritrovare in un vino. Sono utili per ripescare informa-zioni olfattive dall’archivio della nostra memoria e per arricchirlo. Ma nulla è più efficace della realtà e della natura che ci circonda, una biblioteca a dispo-sizione di tutti, tutta da sfogliare”.

LA soMMeLier

cesArI: “per cApIre un vIno BIsognA AnnusAre Il mondo che cI cIrcondA”

Il profumo è un importante veicolo co-municativo. Rosanna Resmini, 29 anni, beauty consultant di Shiseido, si è lau-reata in Scienze della Comunicazione a Bergamo con una tesi su “Il consumo di profumo nella nostra società . Un’anali-si da un punto di vista antropologico”, dopo aver condotto un questionario in profumeria, con interessanti risultati. A partire dall’incapacità di descrivere correttamente le proprie preferenze per una fragranza: “Il 64% apprezza i pro-fumi dalle note dolci, fruttate e floreali e le grandi griffe assecondano in larga misura questa preferenza. Solo il 30% si lascia conquistare da note speziate e legnose. Eppure, immancabilmente la maggior parte lamenta sempre, duran-te le campagne di promozione di nuovi profumi, che siano troppo “dolci”. Una sensazione completamente sfalsata: “È la dimostrazione evidente che non esiste una percezione pura. Le stesse persone, chiamate ad indicare il profumo preferi-to, fanno riferimento a fragranze dalle note di cipria, vaniglia, tutt’altro insom-

ma che fresche”. La percezione è legata ai sentimenti che ogni fragranza richia-ma: “Ogni profumo è amato o odiato, difficilmente resta indifferente. Capita spesso di arrivare a detestare il profumo usato dall’ex-fidanzato o dall’ex moglie. Ogni essenza è estremamente evocativa e la fragranza è sempre associata a un pe-riodo positivo, ma tante volte il desiderio di voltare pagina è più forte”. Il profumo ha un fortissimo appeal: “L’80% degli intervistati è attratto dal profumo delle persone, che gioca un importante ruolo nell’affinità di coppia. A 8 donne su 10 piace ‘l’uomo profumato’, anche se per il 20% delle donne non è importante l’u-so del profumo declinato al maschile”. Pubblicità e marketing influenzano la scelta: “Per il 90% la marca, o meglio la griffe, rappresenta una vera e propria di-scriminante nella scelta del profumo, ma solo il 2% ammette di lasciarsi influen-zare dalle campagne pubblicitarie”. Ad ognuno il suo flacone preferito: “Il 32% degli intervistati usa lo stesso profumo da anni, mentre il 34% lo cambia alme-

no una volta nel corso dell’anno. Il 28% segue promozioni e offerte e cambia fragranza in base al prezzo del flacone. Molti cambiano profumo perché lo rice-vono in regalo, soprattutto a Natale, pe-riodo che vale quasi la metà del fatturato di ogni profumeria”. La crisi porta a una scelta più accurata della fragranza di cui avvolgersi: “L’interesse per il profumo è sempre fortissimo, ma di questi tempi il prezzo è determinante. I formati piccoli vanno per la maggiore: al profumo non si rinuncia ma se ne usa meno e maga-ri solo per certe occasioni. Ogni volta che si propongono sconti si riscontra un boom di vendite di flaconi”. Diverse le opinioni rispetto alla distanza a cui è opportuno si intuisca il profumo indos-sato: “Per il 22% la fragranza è qualcosa di estremamente intimo e personale e va percepita solo a pochi centimetri di di-stanza. Per il 30% infastidisce se viene percepito a meno di mezzo metro; per il 38% la distanza ottimale è un metro. Ma per il 10% è importante lasciare la famo-sa scia ad ogni passo”.

L’esPertA

resmInI: A 8 donne su 10 pIAce l’uomo proFumAto

noi occidentali abbiamo un odore morti-fero – spiega ancora D’Errico –. Da un punto di vista fisico, una delle principali responsabili della differenza tra una na-zionalità e l’altra è l’alimentazione, l’uso di determinate spezie e ancora l’abitudi-ne a certi odori piuttosto che ad altri. Da un recente studio è emerso che in parte la personale impronta odorosa è deter-minata anche dalle caratteristiche del proprio sistema maggiore di istocompa-tibilità (MHC), una famiglia di proteine coinvolte nei processi di reazione immu-nitaria, che funziona come un’etichetta personale e permette al corpo di indivi-duare gli agenti esterni, potenzialmente patogeni. Sfruttando questo sistema, sia-mo in grado di distinguere il nostro odo-re da quello degli altri”. Tutto ciò che è poco conosciuto desta sospetto: “Ognu-no costruisce poi la propria memoria olfattiva in un determinato luogo e con-testo e stabilire ciò che è piacevole da ciò che non lo è, oltre ad essere soggettivo e personale, è codificato da ogni società”. Un vero e proprio etnocentrismo percet-tivo: “Il 20% ritiene, in base all’indagine da noi condotta, che per sopperire alla difficoltà di reperire profumi occidentali, gli stranieri ricorrano a fragranze locali. Non manca chi pensa che per profumarsi si raccolgano, come in un rituale indige-no, erbe e fiori. Il 20% dubita addirittura dell’uso del profumo in Oriente”, sotto-linea Rosanna Resmini, beauty consul-tant di Shiseido. Uno schiaffo, insomma, alla storia della Compagnia delle Indie e alla meraviglia dei profumi del continen-te nero, meta imprescindibile per ogni artista del profumo.

Nives Cesari, delegata Ais Bergamo

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Quando uno è giovane, la domanda di tutte le domande è, quasi sem-pre: cosa voglio diventare da gran-de? All’inizio si opta per l’astronau-

ta, inevitabilmente. Col passare degli anni, le ambizioni si limano, si livellano, si razionalizza-no: in un certo senso, si imborghesiscono. Così, più o meno intorno ai vent’anni, si comincia a sognare di fare il giornalista, l’avvocato, il neurochirurgo. Io di avvocati e di operazioni a cranio aperto so meno di zero: però, di gior-nalismo, dopo tanti anni, un pochino ne masti-co e, così, mi piacerebbe farvi un bel ritrattino contrastivo, tra quel che sembra il giornalismo e quel che, nella realtà, finisce con l’essere. A titolo di premessa, si tenga presente che Ber-gamo non è New York e nemmeno Milano: fino a qualche anno fa, il migliore atout per entrare nella redazione del più importante quotidiano locale era avere uno zio prete. Comunque, un po’ di fascino il vecchio mestiere dell’imbratta-carte sembra averlo conservato, se una facoltà, peraltro pressoché inutile, come “Scienza del-la Comunicazione” ha ancora delle iscrizioni. Ordunque, vi dirò come sono andate le cose a me: non che io rappresenti chissà quale pie-tra di paragone, ma, perlomeno, sarò sicuro di non diffondere notizie false e tendenziose, visto che riguardano la mia persona. Dunque, dovete sapere che, quando avevo diciott’anni, ero un liceale di belle speranze: ero bravino in italiano e questo sembrava aprirmi ogni porta. Difatti, cominciai ad occuparmi di cronaca giu-diziaria per “L’Eco di Bergamo”: articoletti da mille battute, sui processi, le sentenze, le sto-rielle di nera provenienti da palazzo di giustizia. Sembrava un promettente inizio, anche perché cominciavo a vedermi affidare altre cronache, di quelle tipiche da collaboratore giovane, del genere conferenze e simili. Il mio omologo, che

lavorava per il quotidiano concorrente, era un discreto furbacchione, mentre io ero decisa-mente un fesso: lo capii quando mi scippò una notiziona sull’Atalanta, ma soprattutto, quando mi fregò la morosa. Razza maledetta, quella dei giornalisti: ha ragione Goffredo Fofi. Dall’Eco me ne andai dopo che l’allora direttore cassò una mia inchiesta sull’ultima esecuzione capita-le eseguita a Bergamo, con la scusa che i figli del giustiziato erano stati affidati al Patronato San Vincenzo. Non era aria, evidentemente. Apro una piccolissima parentesi per spiegare la mia ostilità verso i corsi universitari per di-ventare giornalisti: tra i miei compagni del li-ceo, solo tre non si sono laureati. Due di loro sono ottimi giornalisti: il terzo ha fatto il prete. Comunque, qualche tempo dopo, tenevo una rubrica dedicata alla scuola sul “Secolo d’Ita-lia”: nonostante vaghe richieste di mantenere

di Marco Cimmino

PARETE NORD/PARETE NORD/

un tono scanzonato, cercai di parlare in termini comprensibili di quella che, a parer mio, è la più terribile catastrofe nazionale, ossia l’abissa-le crisi dell’educazione. La direttrice, alla fine, mi fece capire che o la buttavo in farsa oppure era meglio che mi trovassi un altro giornale per cui scrivere: inutile dire, dato il mio caratterino, che nemmeno le risposi e me ne andai. Da al-lora, mi sono ripromesso di scrivere solo quello che credevo giusto, senza la minima deroga: devo dire che mi è andata di lusso, perché ho quasi sempre trovato direttori comprensivi e tolleranti, anche se, qualche volta, li ho messi un po’ nei guai con le mie sparate. Però, in un certo senso, sono rimasto al palo: unica vera soddisfazione, un grande giornalista che mi ha detto che, se fosse stato lui il direttore ecce-tera, eccetera, mi avrebbe offerto un assegno in bianco per scrivere. Peccato che il diretto-

re fosse un altro, e l’assegno sia rimasto nel libretto apposito. Così, oggi collaboro: il che, in soldoni, vuol dire che scrivo per un numero enorme di testate, ma che lo faccio in manie-ra un filino estemporanea, da collaboratore, appunto. Dalla Rai alla Rassegna. Non che la cosa mi dispiaccia, intendiamoci: dato che, gra-zie al cielo, un lavoro vero non mi manca, pos-so prendere questa cosa come una specie di hobby, con una spruzzatina di evangelizzazione civile e un pizzico di sale e pepe. Però, se do-vessi dire quel che penso sul serio del mondo del giornalismo, credo che, di primo acchito, proclamerei trattarsi di inverosimile accolita di mediocri leccapiedi, incapaci di mettere due parole insieme con un po’ di brio e di eleganza o di dire, anche solo per una volta, la verità. Poi, pensandoci meglio, dovrei ammettere che non è così: non è sempre così, perlomeno. Ci sono, anche qui, in Mesopotamia, tante persone per bene, bravi giornalisti, che scrivono cose giuste in modo chiaro e comprensibile. Ma è molto difficile che facciano carriera: questo, almeno, lasciatemelo dire. Forse non era Fofi quello del-la razza maledetta: mi sa, anzi che era Gad Ler-ner, ossia l’ultimissimo che dovrebbe lamentar-si di come funziona la faccenda… o era Michele Serra? Mi sa che erano tutti e tre: ho recensito un loro libello, che diceva proprio così. Faccia tosta mica da ridere! Ve ne dico un’ultima, che riguarda Pigi Battista, voce autorevolissima ed esempio di serietà professionale: una volta, in una sua rubrica su “La Stampa” stroncò con sarcasmo un mio libro. Solo che io quel libro non lo avevo ancora scritto né, lui, cela va sans dire, poteva averlo letto. Gli scrissi facendo-glielo notare: nemmeno mi rispose. Nel campo del giornalismo, quelli come lui hanno comun-que ragione, specialmente se hanno torto. Vil razza dannata…

mA che vIl rAzzA dAnnAtA sono questI gIornAlIstI!

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wHAT ’S UP?/ wHAT ’S UP?/

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Giusto per fare qualche esempio. Se siete dei ricercatori seriali, con la mania dell’e-lenco “pro & contro”, dovere recarvi a Pe-chino city. Lì si trova il Love Market: un supermercato che, sugli scaffali, al posto di detersivi e bistecche con l’osso, mette in bella mostra le foto di 400 singles, con tanto di dettagliate info.In Giappone, invece, ci vada chi ha prova-to (e fallito) l’aggancio agli happy hour no-strani. Se nemmeno i machikon locali fun-zionano – aperitivi “di massa”: ci si ritrova almeno in 2mila – si sentirà legittimato a gettare la spugna. E sbronzarsi in santa pace, addominali decontratti.Ma la trovata migliore arriva da oltreoce-ano. Fate così: prenotate in un alberghetto di vostro gusto in L.A., e viaggiate estre-mamente leggeri. Perché tutto ciò che vi serve è una t-shirt sdrucita 100% cotone: ci dormirete per tre notti, poi la deposite-rete in un centro specializzato che, dopo averla congelata per bene, la numererà esponendola ai “nasi” in cerca dell’anima gemella. Ebbene sì: il colpo di fulmine av-verrà (forse) grazie alle esalazioni dei vo-stri feromoni. Tentar non nuoce.

gioie e dolori dei globeTroTTers di aLessandRa toniZZo

sì, Viaggiare…

Lo confessiamo subito. Quest’articolo na-sce come pretesto per parlare (anche) di un nostro viaggio “andato a male”, come quel barattolino di yogurt goloso di cui

“non potevamo farne a meno”, e poi è imman-cabilmente irrancidito dietro al cespo d’insa-lata bio.Partiamo col dire che viaggiare è un’arte (“Sì, viaggiare… Evitando le buche più dure”, can-tava, appunto, Lucio Battisti, in tutta un’altra epoca), e se all’incipit di ogni valigia e biglietto aereo appaiono le sintomatologie più invali-

danti, beh, si capisce subito che quest’arte non la si padroneggia molto bene. Forse il destino ci

sta dicendo di lasciar perdere, di accoccolarci sul divano e, piuttosto, ascoltare ipnotizzati per ore ed

ore le dissertazioni di Licia Colò.

Ma noi siamo sordi (complice l’intasamento “al calcestruzzo” da raf-freddore cronico?) ad ogni avvisaglia, e ci imbarchiamo ugualmente. Non solo, scegliamo una meta svincolandola dal suo contesto stagio-nale migliore, perché nella nostra testa esistono posti che sono cool ad ogni latitudine climatica. Certo, come no. Andate a Berlino in un weekend marzolino, e poi diteci se di bello non resta solo la rima si-billina (a meno che, ovvio, non siate patiti per scenari da Cortina di Ferro). Dopo aver pattinato a -10° imbottiti di paracetamolo (sul marciapiedi, beninteso), quand’anche gli artisti di strada – quel florilegio di ragaz-zoni punk dalle mani d’oro, capaci di far sbocciare splendide parure da un servizio di vecchie posate – facevano marameo dai loro caldi nascondigli, torniamo a casa, con un’idea fissa in testa e un mal di gola da primato.

Quanto a noi, abbiamo deciso che, almeno per un po’, se-guiremo i dettami di Keiesuke Matsumoto. Monaco buddi-sta – 33 anni, dirigente (si fa per dire) del tempio tokyo-ta Komyoji e da poco anche scrittore –, Keiesuke pratica e predica lo Zengosaidan in casa propria, ovvero l’arte di non procrastinare… nel fare ordine. Il suo primo libro, Manuale di pulizie di un monaco buddhista, ci chiarisce le idee: “se vuoi essere felice, fai, guarda caso, le pulizie”. Un panno, una scopa, e quattro solide mura. Siamo già a no-stro agio. Fino al prossimo, immancabile, viaggio.

L’illuminazione è: bene partire con l’aria da sprovveduti, ma che sia soltanto una studiatissima allure da glo-betrotter navigato. Meglio tenersi in tasca una guida coi controfiocchi, e diffidare da con-sigli troppo entusiastici. La probabi-lità che il premuroso amico di turno ti consigli così calda-mente il tal (sperduto) museo per vedere come te la cavi in un dedalo di corridoi senza se-gnaletica, che neanche il Mino-tauro…, è alta. Tralasciando le nostre disavventure – ma con la mente resa acuminata da siffatte esperienze – abbiamo poi scoperto che, per i single, in qualche modo tutto fila via più liscio. Perché il mondo intero, pare, si adopera per trasportare la categoria da una nazione all’altra seguendo il semplici-stico fil rouge dell’accoppiamento, dell’in-contro, dell’innamoramento, insomma. E quando si organizza un viaggio così, cosa ce ne può fregare del tempo, del raffred-dore, dei misunderstandings d’agenzia? L’adrenalina dell’incognita amorosa è a mille, siamo dentro ad un brutto trip nel quale persino il cortese benvenuto dello stuart ci sembra una smaccata avance.

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SPORT/

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quAndo Il cIclIsmoÈ unA pAssIone senzA età

sono circa 3mila, in Bergamasca, gli atleti che partecipano alle gare per amatori. hanno dai 15 ai 75 anni e sono accomunati dal gusto di faticare sulle due ruote.

Beloli (Fci): “La crisi non si sente, prevale lo spirito di amicizia”.

di FULVio Facci

si può dire che anche i ciclisti bergamaschi della categoria Amatori abbiano la loro Milano-Sanremo o la loro Rubaix, solo

per citare un paio di classiche. L’eser-cito dei circa 3.000 tesserati per i vari Enti (Fci, Acsi, Csi e Uisp) può contare infatti su un calendario ricco che si sno-da da metà marzo a fine settembre e che, appunto, ha le sue classiche nel Giro della Bergamasca, giunto alla 37esima edizione, e nel Trofeo dello Scalatore, che si snoda in una serie di appuntamen-ti lungo tutta la stagione ed ha raggiunto il 23esimo anno, per citarne alcune.Alex Beloli, responsabile del settore per il Comitato provinciale di Bergamo della Fci, ma soprattutto grande orga-nizzatore di gare, ci racconta questo

mondo. “Si tratta di un panorama di atleti abbastanza composito – spiega –, a partire dalle diverse fasce di età. Si va infatti dai 15 ai 75 anni con suddivisio-ni in categorie che tengono conto della data di nascita per quanto riguarda le classifiche. Ci sono ex professionisti, ex dilettanti ma numericamente la fascia più significativa è quella di appassionati che vanno dai 40 ai 50 anni e che si sono magari avvicinati tardi a questo mondo. Hanno scoperto il ciclismo in età matura e ne hanno fatto un’autentica passione coltivata non solo attraverso le gare ma soprattutto con allenamenti impegna-tivi. Una fatica giornaliera per arrivare poi all’appuntamento del fine settimana. L’occasione per disputare la corsa, per l’impegno agonistico, ma anche per uno scambio di opinioni davanti a una birra in amicizia a gara conclusa”.

In provincia le gare organizzate sono circa cento per stagione, un’ottantina le società, con un lievissimo calo rispet-to al passato come riflesso della crisi economica. “Nel programmare le gare – prosegue Beloli – cerchiamo di tener conto delle diverse esigenze, insomma di accontentare un po’ tutti. Ci sono quindi percorsi in salita come nel Tro-feo dello Scalatore, ma anche percorsi misti o addirittura pianeggianti. E per non farci mancare niente abbiamo anche gare in pista al velodromo di Dalmine. La partecipazione è sempre vivace e nume-rosa, sono belle gare, combattute. Non siamo in espansione ma possiamo dire di non soffrire particolarmente per la crisi. Questo in relazione al fatto che le società hanno prevalentemente basi di amicizia, se non addirittura famigliari. E il giorno della gara moglie e figli non mancano”.

Lo storico PresiDente

FAnton: “AmAtorI sì, mA Ben orgAnIzzAtI” Gianfranco Fanton - ciclismo Amato-ri: un binomio pressoché inscindibile nella nostra provincia visto che fin dal ’69 Fanton è protagonista assoluto nel settore. Trentun anni in qualità di pre-sidente del Comitato provinciale dell’U-dace, ora alla testa dell’Acsi che ne ha preso il posto, ma soprattutto una pas-sione inossidabile per le due ruote con una presenza quotidiana sia nella fase di programmazione sia sulle strade, in oc-casione delle gare.Cosa significa questo? “La passione è passione – spiega Fanton – e non ne-cessariamente deve essere razionale. Abbiamo cominciato a Dalmine con un gruppo di amici e poi via via il movimen-to si è sviluppato. In provincia ora abbia-mo 79 società con circa 2.500 tesserati. Ogni stagione organizziamo circa 630 gare. Infatti, per ogni appuntamento non ci limitiamo a stilare delle classi-fiche differenziate per fasce di età ma disputiamo sugli stessi percorsi, a volte allungandoli con un altro o più giri, di-verse gare riservate appunto alle diverse categorie. Ecco quindi che gli impegni si moltiplicano, pur tenendo conto che non possiamo esagerare. In situazioni nelle quali impegniamo strade impor-

tanti cerchiamo di porci dei limiti per ridurre i disagi al traffico”.A grandi linee – a volte infatti ci sono ul-teriori suddivisioni – le categorie sono sei: cadetti, juniores, seniores, gentle-men, supergentlemen e donne. Le fasce di età vanno dai 15 ai 75 anni. “L’entu-siasmo non è solo il mio o di altri orga-nizzatori – prosegue – ma vedo anche gli atleti realmente coinvolti nell’attività. Ho notato anche una notevole crescita, non solo sul piano agonistico. I nostri ciclisti mi sembrano più maturi e consa-pevoli anche sotto il profilo psicologico. Un esempio per tutti: un tempo ma-

Gianfranco Fanton

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SPORT/

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Alla Federazione Ciclistica Italiana san-no perfettamente che esistono diversi modi di declinare questa attività, pensia-mo, ad esempio, alla mountain bike o al ciclocross o al ciclismo su pista. Ed è per questo che all’interno di ogni Comitato provinciale c’è un referente per ogni settore. Andando a guardare dentro la categoria degli Amatori – che in effetti si autodefinisce, evidenziando il modo amatoriale, appunto, di praticare il ci-clismo a tutte le età – scopriamo nella nostra provincia un ulteriore segmento dell’attività sportiva vivace e vitale.

Claudio Mologni, nuovo presidente del Comitato di Bergamo della Fci, si è in-sediato da poco più di un mese ma non manca di esperienza, visto che segue il ciclismo dagli inizi degli anni Ottan-ta, dopo una parentesi con il calcio e un’esperienza come presidente di una Polisportiva. “Mi sono messo subito al lavoro in un mondo che conoscevo bene – racconta Mologni – conservando le strutture di base. Abbiamo un referente, un responsabile per ogni categoria e per quanto riguarda gli Amatori l’incarico è andato ad Alex Beloli che ben conosce la materia, visto che organizza gare da parecchio tempo. È un settore che te-stimonia la grande passione per le due ruote, ma ha la sua importanza anche per i numeri che muove, visto che, oltre alla Federazione, ci sono altri Enti spor-tivi che se ne occupano. Noi cerchiamo di dare il nostro contributo soprattutto in termini di sicurezza organizzativa e di rispetto delle regole, comprese quel-le previste dal Codice della Strada. La struttura del Comitato con un referente per ogni settore consente confronti ra-pidi e sta camminando bene”.

lA FederAzIone: “un movImento ImportAnte per numerI e AttIvItà”

gari di fronte a una giornata sbagliata il ciclista insisteva, non voleva fare brutta figura con il ritiro. Ora c’è maggior con-sapevolezza, se è una giornata no, non vale la pena di insistere o rischiare, ci sarà un’altra occasione di riscatto. Più in generale, comunque, l’approccio alle gare è migliorato sotto tutti i profili. Come dire, si tratta di amatori, ma poco o nulla viene lasciato al caso, come nelle migliori tradizioni ciclistiche”. Ciclismo uguale fatica, a volte solitaria. La platea di chi si dedica a questo sport a livello amatoriale è veramente composita con un autentico mix di chi, in pratica, dal-la bici non è mai sceso (ex professionisti o comunque agonisti) e chi l’ha scoperta tardi. Se le fasce di età “centrali”, dai 40 ai 60 anni, sono le più numerose, non molto significativa è invece la presenza del gentil sesso. “Poco toccati dalla crisi – conclude Fanton –, ci difendiamo bene sia sul piano organizzativo sia su quello degli atleti. Il mio non è un allarme ma vorrei comun-que richiamare l’attenzione su un aspetto che sta emergendo. Si tende ad allungare i percorsi, magari per certe manifestazioni, a 80 o 90 chilometri. Vorrei solo ricor-dare che gli Amatori sono solo amatori e andrebbero trattati come tali: 50 o 60 chi-lometri possono bastare”.

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