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1 Akhtamar on line WWW.COMUNITAARMENA.IT Anno 13 Numero 259 1 marzo 2018 — CII M.Y. Akhtamar on line Era il freddo inverno del 1988. Da poco più di una settimana la contesa sulla regione armena del Nagorno Karabakh, arbitrariamente assegnata da Stalin all’Azerbaigian, aveva avuto un’improvvisa accelerazione. Il 20 febbraio il Soviet del Nagorno Karabakh aveva votato a larghissima maggioranza una risoluzione con la quale chiedeva l’annessione della regione all’Armenia; la risposta non si era fatta attendere e tra il 22 e il 23 febbraio gruppi di azeri si scontrano con polizia e armeni ad Askeran, cittadina sul bordo orientale della regione, lungo la strada che collega Stepanakert ad Agdam. La tensione sale, ma l’orrore vero e proprio doveva ancora arrivare. Il 26 febbraio un milione di persone manifesta a Yerevan rivendicando l’armenità del Nagorno Karabakh. Due giorni dopo, a Sumgait, sobborgo industriale a nord di Baku, parte una caccia all’armeno che riporterà la comunità locale al clima genocidiario del 1915. Un pogrom, violento e brutale, con decine di armeni uccisi, torturati, violentati; centinaia di case saccheggiate e date alle fiamme. Tre giorni di terrore. La risposta “civile” del popolo azero alla rivendicazione politica degli armeni. In quei giorni tutti capiscono che l’Unione Sovietica sta esalando gli ultimi respiri: Mosca non è più in grado di controllare la periferia dell’impero, il collante del partito non regge più e dopo settanta anni emergono prepotentemente tutte le criticità che il regime sovietico aveva tenuto in sonno. La fine dell’Urss comincia dal Caucaso meridionale. Sono passati trenta anni da Sumgait, la madre di tutte le pulizie etniche. Lungi dal rimanere un, sia pur tragico, episodio isolato la violenza bestiale di quei giorni troverà purtroppo altri drammatici esempi. Dal 1988 ad oggi gli azeri si sono contraddistinti per la loro inciviltà, per il mancato rispetto delle regole, per la totale inosservanza delle convenzioni internazionali e dei diritti umani; ci basterà solo ricordare il caso dell’ufficiale armeno Gurgen Margaryan decapitato a Budapest da un collega azero (Safarov) durante un corso Nato nella città ungherese, o le atrocità commesse - in perfetto stile Isis - dai soldati di Baku durante l’attacco all’Artsakh nell’aprile 2016. Trenta anni sono passati dall’orrore di Sumgait. Noi non dimentichiamo. E quel pogrom è l’ennesima macchia indelebile nella storia, lorda di sangue, dell’Azerbaigian. Onore ai caduti di Sumgait! 30 anni dopo Sumgait 1 In Armenia il 21 febbraio … 2 San Matteo degli Armeni a Perugia 3-4 Prima o poi l’Azerbaigian... 5 Qui Armenia 5 Anche l’Olanda riconosce il gneocidio 6 Olimpiadi invernali 6 Sommario 30 anni dopo Sumgait Bollettino interno di azione armena

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Anno 13 Numero 259

1 marzo 2018 — CII M.Y. Akhtamar on line

Era il freddo inverno del 1988. Da poco più di una settimana la contesa sulla regione armena del Nagorno Karabakh, arbitrariamente assegnata da Stalin all’Azerbaigian, aveva avuto un’improvvisa accelerazione. Il 20 febbraio il Soviet del Nagorno Karabakh aveva votato a larghissima maggioranza una risoluzione con la quale chiedeva l’annessione della regione all’Armenia; la risposta non si era fatta attendere e tra il 22 e il 23 febbraio gruppi di azeri si scontrano con polizia e armeni ad Askeran, cittadina sul bordo orientale della regione, lungo la strada che collega Stepanakert ad Agdam. La tensione sale, ma l’orrore vero e proprio doveva ancora arrivare. Il 26 febbraio un milione di persone manifesta a Yerevan rivendicando l’armenità del Nagorno Karabakh. Due giorni dopo, a Sumgait, sobborgo industriale a nord di Baku, parte una caccia all’armeno che riporterà la comunità locale al clima genocidiario del 1915. Un pogrom, violento e brutale, con decine di armeni uccisi, torturati, violentati; centinaia di case saccheggiate e date alle fiamme. Tre giorni di terrore. La risposta “civile” del popolo azero alla rivendicazione politica degli armeni. In quei giorni tutti capiscono che l’Unione Sovietica sta esalando gli ultimi respiri: Mosca non è più in grado di controllare la periferia dell’impero, il collante del partito non regge più e dopo settanta anni emergono prepotentemente tutte le criticità che il regime sovietico aveva tenuto in sonno. La fine dell’Urss comincia dal Caucaso meridionale. Sono passati trenta anni da Sumgait, la madre di tutte le pulizie etniche. Lungi dal rimanere un, sia pur tragico, episodio isolato la violenza bestiale di quei giorni troverà purtroppo altri drammatici esempi. Dal 1988 ad oggi gli azeri si sono contraddistinti per la loro inciviltà, per il mancato rispetto delle regole, per la totale inosservanza delle convenzioni internazionali e dei diritti umani; ci basterà solo ricordare il caso dell’ufficiale armeno Gurgen Margaryan decapitato a Budapest da un collega azero (Safarov) durante un corso Nato nella città ungherese, o le atrocità commesse - in perfetto stile Isis - dai soldati di Baku durante l’attacco all’Artsakh nell’aprile 2016. Trenta anni sono passati dall’orrore di Sumgait. Noi non dimentichiamo. E quel pogrom è l’ennesima macchia indelebile nella storia, lorda di sangue, dell’Azerbaigian. Onore ai caduti di Sumgait!

30 anni dopo Sumgait 1

In Armenia il 21 febbraio … 2

San Matteo degli Armeni a Perugia 3-4

Prima o poi l’Azerbaigian... 5

Qui Armenia 5

Anche l’Olanda riconosce il gneocidio 6

Olimpiadi invernali 6

Sommario

30 anni dopo Sumgait

Bollettino interno di

azione armena

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risultato del lavoro di Isacco e Mesrop fu quello di separare definitivamente il popolo armeno da quello delle altre popolazioni asiatiche, di fare di loro una nazione distinta, e di rendere più forte l'adesione alla fede cristiana a causa della messa al bando o bollan-do come profane le lingue che venivano utilizzate dai seguaci di Zoroastro. A Mesrop noi dobbiamo la preservazione della lingua e letteratura armena; se non fosse stato per il suo lavoro, la gente sarebbe stata assorbita dai persiani e siriani, e sarebbe scomparso come tante nazioni orientali".

Mesrop Mashtots nacque nella città di Hatsekats. Era talmente colto e saggio che fu nominato segretario personale del re Cosroe III per scrivere in greco e in persiano gli editti del sovrano finché lasciò la Corte per ritirarsi in convento dove prese i voti, si dedicò alla preghiera, alla predicazione del Vangelo, allo studio e alla traduzione delle Scritture. Morì a Echmiadzin il 17 febbraio del 440 dopo aver segnato una tappa fonda-mentale della storia del popolo armeno e della sua Chiesa attraverso l'unificazione delle genti di origini armene a quel tempo divise tra il Regno di Armenia, l'Impero Bizantino e l'Impero Persiano.

Contemporaneamente ai libri sacri, nel corso dei secoli, vennero scritti vari libri di autori armeni riguardanti la storia, la filoso-fia. Il V secolo fu molto ricco di opere lette-rarie di vari scrittori, gli storici Eliseo, Mosè di Corene, Goriun, Pavsdos, Lazzaro di Parbi; i filosofi e teologi Eznik e David l'In-vitto, tanto che questo fu definito "Il secolo d'oro della letteratura armena".

Gli scrittori dei secoli successivi furono autori di testi riguardanti sia i temi trattati nel periodo precedente come la matematica (Anania di Shirag), la medicina (Mekhitar di Her, Amirdovlat di Amasia), il diritto (Mekhitar Gosh) e la botanica. Ampia diffu-sione ha avuto in passato la poesia popolare; in particolar modo quella della regione di Akn (attualmente in Turchia), strettamente correlata ai canti dei trovatori. Fu molto ricca la poesia, di natura principalmente religiosa, ma in seguito anche profana. Gre-gorio di Narek fu il maggiore poeta armeno. Nell' XI secolo si distinse S.Nerses Shnor-halì. Nel Medio Evo ci furono Khaciadur di Gheciaris, Arakel di Siunik, Arakel di Ba-ghesh e vari trovatori. Accanto alla poesia continuò a svilupparsi la storiografia, e la teologia. Alcuni degli autori del periodo classico sono stati tradotti anche in italiano. Il declino avvenne durante il periodo delle guerre tra gli Ottomani e i Persiani. Si dovet-te aspettare il XIX secolo per vedere una rinascita della letteratura armena, con opere di poesia e narrativa. Alcuni tra i più grandi scrittori di questo periodo e dei primi decen-ni del XX secolo sono i poeti Bedros Turian,

Dal 2006 in Armenia, il 21 febbraio di ogni anno, si celebra la “Festa della Lingua Armena” e gli intellettuali della piccola Re-pubblica si recano a Oshakan, un villaggio ad 8 km da Ashtarak, a rendere omaggio alla tomba del creatore della lingua armena Me-srop Mashtots. Un idioma che Lord Byron, uno dei massimi esponenti della cultura britannica, ha definito “il linguaggio degli dei”.

Fu nel 1816 infatti che George Gordon Byron si recò sull’Isola di San Lazzaro, in cerca di un po’ di quiete. Durante il suo soggiorno, nelle sue numerose lettere scrisse: “Per divertimento ogni giorno studio la lingua arme-na nel monastero. Ho scoperto che dovevo tenere occupata la mia mente con qualcosa di difficile, così ho scelto la cosa più difficile da fare nel tempo libero. Questa lingua così ricca riesce a premiare enorme-mente chi inizia a studiarla”. E fu lo stesso Lord Byron che, dopo 6 mesi di studio di armeno antico, sotto la guida di Padre Haru-tyun, scrisse la “Grammatica della lingua arme-na ed inglese”. Non fu certo facile nemmeno per lui apprendere questo antico e difficilis-simo linguaggio tanto che, una delle frasi più note del poeta fu: “Ho imparato la lingua degli armeni per capire come e con quale linguaggio parla-vano gli dei. La lingua armena è il linguaggio degli dei e l’Armenia è il luogo di nascita degli dei”. E il popolo armeno, in segno di gratitudine, gli ha dedicato una statua, a Yerevan c’è una strada e a Gyumri una scuola intitolati a lui. Un discendente del poeta, Robin Byron, ha recentemente partecipato all’evento “Yerevan – Capitale Mondiale del Libro 2012”.

Il fatto di considerare quella armena la lingua di Dio risale probabilmente alla sua creazione. La leggenda narra infatti che il monaco Mesrop Mashtots, nel 405 d.C., dopo l’avvento del Cristianesimo (nel 301), abbia ricevuto l’illuminazione durante un sogno e abbia scritto le lettere dell’alfabeto sotto dettatura di Dio in un momento di sonno e veglia. Gli iniziali 36 caratteri sono poi diventati gli attuali 38 per adeguarsi alla pronuncia delle lingue occidentali. L'armeno è una lingua indoeuropea che costituisce un ramo a sé nell'ambito di questo gruppo di lingue, nessuna delle quali assomiglia ad essa. La prima frase che Mesrop scrisse in Arme-no fu quella con la quale inizia il Libro dei proverbi di re Salomone: «Per conoscere la sapienza e la disciplina, per capire i detti profondi, per acquistare un'istruzione illuminata» e fu nel Monastero di Amaras, nel Nagorno Kara-bakh, che Mesrop Mashtots fondò la prima delle tante scuole che usarono il suo alfabe-to. L'invenzione della lingua armena fu la base su cui si costruì il sentimento nazionale di un popolo soggetto a continue domina-zioni e invasioni. San Martino scrisse: "Il

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Daniel Varujan, Missak Medzrentz, Ruben-Sevag, Hovhannes Tumanian, Avedik Issa-haghian, Vahan Derian, i romanzieri Raffì e Costan Zarian, il principe della prosa Ruben Zartarian, il cantore delle sofferenze armene Avedis Aharonian, il novelliere Krikor Zo-hrab, gli umoristi Hagop Baronian e Yervant Odian, i drammaturghi Gabriel Sundukian e Levon Shant, il critico e romanziere Hagop Oshagan. Giungendo ai giorni nostri, con uno stuolo di scrittori, sia in Armenia che nella diaspora, tradotti anche in varie lingue troviamo, tra i maggiori esponenti della diaspora, i poeti Zareh Khrakhuni, Vahè Oshagan, Harut Gosdantian, Nigoghos Sarafian, Hrand Nazariantz la poetessa Ve-hanush Tekian, il drammaturgo Arman Var-tanian, i romanzieri Aram Haigaz, Vasken Shushanian, Antranig Zarughian, Vahram Mavian, Hagop Garabentz, l'umorista Nshan Beshigtashlian, il narratore della vita di pro-vincia Hagop Mentzurì. In Armenia, fra gli scrittori contemporanei vanno ricordati i poeti Yeghishè Ciarentz, Hovhannes Shiraz, Ghevorg Emin e Baruir Sevag, il novelliere Axel Baguntz, la poetessa Silva Gabudi-ghian, e i romanzieri di Hracià Kociar, Gur-ghen Mahari, Serò Khanzadian, Khacig Dashdentz, Muscegh Galshoian, Hrand Mateossian.

La lingua armena usata nel Medio Evo viene anche definita "grabar" (krapar) o lingua dei libri (usata fino al XIX secolo); ora non è più parlata e viene usata solo nelle funzioni religiose. Nel linguaggio, si divide in due parlate: orientale, in uso nell'Armenia ex sovietica e in Iran; e occidentale in uso tra gli armeni turchi e parlata dai figli della dia-spora. Le differenze consistono solo nell’uso di differenti consonanti e nella pronuncia.

Attualmente gli Armeni sono uno dei pochi popoli sparsi in tutto il mondo che sono riusciti a preservare le loro tradizioni e la propria lingua d’origine. Ciò continua ad essere uno dei compiti principali degli arme-ni della diaspora. Secondo alcune stime, almeno 15 milioni di persone in tutto il mondo parlano l’armeno, che compare tra le 50 lingue più influenti al mondo.

La conservazione della lingua riveste un

ruolo molto importante per tramandarne la

cultura specialmente dopo il tentativo degli

ottomani di sterminare definitivamente il

popolo armeno, come durante il genocidio

del 1915 perpetrato dai Giovani Turchi. Per

questo, nelle comunità armene in giro per il

mondo, è molto importante che i figli della

diaspora favoriscano l’apprendimento della

lingua madre per i propri figli, ad esempio

con la frequentazione di scuole armene.

In Armenia il 21 febbraio si festeggia l’antica lingua di Letizia Leonardi

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Il 20 0ttobre 2017 sono stato a Perugia per fare un sopralluogo al complesso monumen-tale di San Matteo degli armeni. Si tratta di un monastero del 1274 fondato e costruito dai monaci armeni basiliani (benedettini). Si ricorda che i monaci armeni avevano adotta-to la regola di san benedetto da Norcia ora et labora per la loro vita monastica. Si dicevano basiliani per indicarne la provenienza in rife-rimento a San Basilio e quindi per specificar-ne la dottrina relativa al monachesimo orien-tale.

Lo scopo della visita era quello di verifica-re gli elementi costruttivi relativi alla copertu-ra della chiesa per osservare se ci fossero delle similitudini con i sistemi costruttivi delle chiese armene dell’alto medioevo. Perché questo interesse? Semplicemente intendevo appurare le fonti storiche ( e confrontarle con quelle in mio possesso dallo studio della cupola armena), relative alla presenza di ma-stri scalpellini armeni che erano giunti in Toscana e anche in Umbria per realizzare la famosa certosa di Pisa costruita dal mecenate e commerciante armeno Mihranian, Pietro Mirante della Vergine, che in memoria delle origini del genio armeno, sempre nella Certo-sa di S. Maria in Calci fece costruire una cupola secondo le tecniche costruttive di quelle delle famose cupole armene. Siccome la cupola di S. Maria in Calci (PISA) venne costruita nel 1375 (documenti storici dell’e-poca reperiti da me nella attigua biblioteca) da maestranze armene, fatte venire allo scopo dal regno armeno di Cilicia (cfr. Aktamar n. 253 ) in quel periodo intendevo scoprire se per caso queste presenze erano precedenti al 1275 quando a Perugia venne costruito il monastero di San Matteo degli armeni dai

monaci benedettini armeni e la chiesa atti-gua con volta a crociera tipica della della struttura in elevato che poi avrebbe sorretto il tamburo della cupola.

Per gentile concessione del personale del personale della Chiesa e del monastero di San Matteo degli Armeni, ora divenuta biblioteca comunale di Perugia, sono venuto in possesso di studi che fanno riferimento a documenti medievali riportati nelle relazioni dell’architetto e restauratore Renzo Pardi. Il complesso monumentale fu restaurato dopo l’ultimo sisma avvenuto a Perugia nel 1997 grazie anche alle sollecitazioni presso le istituzioni comunali e regionali dell’Umbria e del dottor Roberto Shahinian, e per l’inter-vento conservativo del ministero dei beni culturali fu restaurato e consolidato il com-plesso monastico, per i quali la sovrainten-denza dei beni culturali stanziò una somma di quasi due miliardi di lire, per l’importanza storica della costruzione del complesso e per degli affreschi datati al XIII secolo. Pertanto ho potuto studiare i documenti del progetto di restauro che sono da me conser-vati grazie alla gentile concessione dei re-sponsabili della biblioteca.

Iniziando la mia indagine dopo aver av-viato un sommario sopralluogo dei locali del monastero, la chiesa e gli uffici nonché la sala delle conferenza della biblioteca locali che erano adibiti prima a stanze e refettorio, nonché il grande giardino ricco di reperti da cui si può osservare la porta d’angelo di Perugia, ho potuto sfogliare il numero 18 del mese di Aprile 1956 la rivista d’arte cultura e turismo “Augusta Perusia”.

Il monastero alla fine dell’ottocento era la sede del dottore in lettere Aldo Capitini il

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fondatore della marcia della pace divenuta evento internazionale che si tiene ad Assisi ogni anno, in cui è esposto il suo diploma ai tempi del Regno di Italia di Vittorio Emanuele III.

Da Augusta Perusia rivista d’arte cultura e turismo n18 aprile 1956 nell’articolo redatto da Renzo Pardi “La chiesa di San Matteo degli Armeni”: apprendo che «E. Ricci riporta come data di fondazione della Chiesa l’anno 1273 annotazione ripresa dagli “annali decemvirali” del 1929. I monaci della regola di S. Giovanni Battista derivavano dai monaci di S. Basilio», essi stessi in possesso delle tecniche costrutti-ve dell’architettura armena (vedi romanico Maria Adelaide Lala Comneno) costruirono il monastero. Questa attitudine è comune alle qualità artistiche e artigianali dei monaci arme-ni che come è testimoniato nella biografia dell’abate Mechitar da P. Nurikhan egli era anche architetto sia del convento di Modone in Grecia che nell’isola di San Lazzaro.

A Pagina 4 si legge che « La Chiesa di San Matteo si presenta con caratteristiche infre-quenti nell’Umbria. Essa consta di un’aula ricoperta a volta con dimensioni medie pari a metri 16.85 di lunghezza, m 7.25di larghezza, m.7.80 di altezza. La pianta appare sensibil-mente romboidale e la causa di tale dissimme-tria, come anche dall’anomalia costruttiva rappresentata dal fatto che le nervature di testata delle crociere tagliano in alto lo sguan-cio delle finestre, e da ricercarsi in una proba-bile utilizzazione di fondazioni di pareti appar-tenenti ad una costruzione preesistente. Certa-mente i muri vennero costruiti prima dei pila-stri semicircolari, dei costoloni delle volte. La tecnica costruttiva delle murature d’ambito, ad apparecchio murario di piccole pietre presso-ché regolari e stilati a giunti di malta, è diversa da quella a mattoni usata per erigere i pilastri e per voltare costoloni per e vele. In effetti la struttura dell’organismo qui esaminato esclude da ogni funzione statica le pareti che racchiu-dono l’aula. La spinta delle volte è completa-mente scaricata sulle semicolonne sporgenti dai muri perimetrali. Tali lesene hanno fonda-zione indipendente dal resto del fabbricato; il loro spiccato è ricavato a notevole profondità, come venne accertato in base ad un saggio. Nell’esecuzione dello scavo fu altresì constata l’insussistenza dell’affermazione del Ricci, circa la quota dell’antico pavimento di circa un metro al di sotto del livello attuale,; ne venne trovata traccia della lapide risalente al 1385, sovrapposta alla tomba di un vescovo armeno, situata presso l’altare d in cornu evangeli citata dal Siepi.

«Fatta tale premessa possiamo aggiungere che l’unico ambiente è ricoperto da due volte a crociera costrette a seguire le profonde dissim-

San Matteo degli armeni a Perugia di Karekin Cricorian

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metrie della pianta. Un terzo spazio, pro-fondo 2,20 metri e coperto da una volta a sezione ogivale, si trova tra l’ultima crociera e l’ingresso secondario della chiesa. Le pro-porzioni dell’edificio sono, con approssima-zione le seguenti: assunto per modulo il quarto della larghezza media, questa dimen-sione può essere ripetuta per nove volte sulla lunghezza e per quattro volte circa sull’altezza battuta dall’incrocio dei costolo-ni al pavimento della parte di fondo dietro l’altare. Tale ricerca di proporzioni è qui riportata con soli fini indicativi, perché la grande dissimmetria ed irregolarità dell’am-biente non consentono di avvalersi di un modulo per individuare con esattezza il metro usato dall’architetto nel modellare lo spazio interno: del resto la documentazione grafica esime da una più approfondita de-scrizione.

«Il sistema statico si presenta costituito da due crociere costolonate di tipologia classi-camente gotica. I fasci di nervature sono raccolti su una semicolonna recante al som-mo un capitello tronco conico con astragalo tondo ed abaco di otto lati corrispondenti agli spigoli dei costoloni. Il capitello è deco-rato con semplici foglie lisce accartocciate e terminanti a punta. La spinta raccolta sul pilastro viene contrastata dall’esterno da contrafforti. Le pareti scaricate dalla spinte delle volte sono stranamente forate da pic-cole finestre; che sarebbe logico aspettarsi finestre di maggiori dimensioni. L’altare è a cippo sagomato a tronco di piramide rove-sciato, di tipo che può essere fatto risalire al XIII secolo. E durante tale secolo può con-cludersi deve essere stata fondata la Chiesa a confermare ciò ai documenti all’inizio citati, concorre l’esame stilistico dell’edificio e delle pitture».

Il complesso monumentale di San Matteo

degli Armeni a Perugia. Atti del convegno 1998 e nuove ricerche.

Architetto e restauratore Renzo Pardi, Nuove osservazioni sulla chiesa perugina di San Matteo degli Armeni.

Abbiamo già avuto modo di occuparci abbastanza estesamente, nel lontano 1956, della Chiesa di San Matteo degli Armeni fuori di Porta Sant’Angelo, sulla strada ver-so il convento francescano di Monteripido; il nostro allora pubblicato nel numero 18 della rivista “Augusta Perusia”, fu il primo che ci impegnò nello studio dell’architettura medievale umbra. I risultati che ottenemmo con simili analisi, visti oggi a distanza di oltre quaranta anni, ci sembrano tuttora attendibili.

L’edificio risulta dalla compenetrazione di due fabbricati; del primo – che dovrebbe risalire alla prima metà del XIII secolo, come pare desumibile dalla forma delle monofore dell’altare a cippo- resta l’involu-cro esterno, i muri perimetrali; del secondo

è apprezzabile l’aspetto interno offerente una più recente soluzione architettonica datata da un documento del 1273 e da una successiva iscrizione sotto un affresco, tracciata nel 1348:tra questi due esterni deve essere stata innalzata la fabbrica.

Lo stile architettonico della Chiesa richia-ma alcuni templi perugini, quali San Bevigna-te, San Francesco al Prato, Monteluce. E’ riconducibile a uno stile romantico-gotico, con monofore gotiche, e l’interno diviso in due campate, con volte a crociera con costo-loni di colore rosso ruggine. Alle pareti, sono resti di affreschi tra i più antichi di Perugia, realizzati in più fasi tra il XIII e il XIV seco-lo. Nella parete sinistra, è una Madonna tra angeli e santi datata 1348 e una firma di un certo Sabatello, artista locale ispirato dalla scuola senese.

Nella parete di controfacciata, è rappresen-tato un San Leonardo Liberatore dei prigio-nieri, raffigurato a Cavallo; identificato anche come San Sarghis (Sergio), martire del IV secolo venerato dagli Armeni, perché incar-nava le aspirazioni all’indipendenza sia politi-ca che religiosa dell’Armenia. Sotto al Santo a Cavallo sono raffigurati dei piccoli perso-naggi in catene che si rivolgono al protettore in gesto di supplica. Sopra gli affreschi si leggono dei graffiti in lingua armena, lasciati dai pellegrini, di cui alcuni con notazioni musicali.

Nell'affresco si possono riscontrare anche alcuni graffiti che testimoniano un circuito di pellegrini che facendo scalo ad Ancona, si fermavano a Perugia per raggiungere Roma. Uno assai interessante è in lingua armena e si trova tra la figura del secondo orante da sinistra e la zampa anteriore destra del caval-lo di San Sarkis e recita: "Io, Lunkianos, presbi-tero di Kafa, che per la seconda volta andai a Roma in data 872. A te mi affido, o San Sergio, affinché io possa giungere per tempo. Amen e amen". C'è da precisare che l'anno del calendario armeno 872 inizia il 6 dicembre 1422 e termina il 1 dicembre 1423.

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TURISMO IN CRESCITA Sono stati quasi un milione e mezzo (per la precisione 1.494.779) i turisti che si sono recati in Armenia nel 2017. Il dato rappresenta un significativo aumento del 18,7% rispetto al 2016 allorché visitarono l Paese 1.259.657 turisti. DIFENSORE CIVICO SANITA’ Il ministero della Salute ha comunicato di aver istituito un gruppo di lavoro finalizzato a studia-re la legislazione e le esperienze internazionali legate alla figura del Difensore civico in ambito sanitario. Il ministero ha precisato che l'introdu-zione di questo ufficio non significa l'eliminazione dei meccanismi di monitoraggio, ma che il nuovo sistema si aggiungerà alle possibilità esistenti di risposta tempestiva e adeguata ai reclami dei pazienti al fine di ridurre al minimo il malcon-tento della popolazione. «Pertanto, la nuova struttura sarà in grado di facilitare efficacemente la risoluzione rapida ed efficace delle controversie tra i pazienti e i medici o le istituzioni mediche» ha dichiarato un portavoce governativo. VEICOLI ELETTRICI Il ministero delle Infrastrutture sta studiando la possibilità di favorire il mercato dell’auto elettrica in Armenia grazie anche all’azzeramento dei dazi doganali nei Paesi dell’Unione economica euroasiatica per l’importazione di tali veicoli. La municipalità di Yerevan ha già esentato i posses-sori di auto elettriche dal pagamento dei parcheggi

Edward Nalbandian, ministro degli Affari esteri dell’Armenia, non ha perso tempo a rispondere alle farneticanti affermazioni fatte dal collega azero Mam-madyarov che in una conferenza congiunta con il Procuratore di Sumgait ha dichiarato che gli eventi del febbraio 1988 furono determinati dagli armeni che ricorsero al terrore e alla violenza per sostenere le loro pretese territoriali. Una ridicola e improbabile versione dei fatti, smentita dalle cronache giornali-stiche dell’epoca, che potrà andare bene per l’opinione pubblica azera, ormai da anni priva di qualsiasi possibile contradditorio, ma non certo per la comunità internazionale. A tali oscene affermazioni, Nalbandian ha risposto seccamente ammonendo che «prima o poi l’Azerbaigian sarà chiamato a rispondere dei suoi crimini contro gli armeni». Il 26-29 febbraio 1988, con l'effettivo sostegno delle autorità azere e con la silenziosa connivenza della leadership dell'URSS, a Sumgait si sono verificati massicci pogrom di cittadini di etnia armena, dove, secondo i dati ufficiali, 27 armeni sono furono uccisi e centinaia furono feriti . Diciottomila armeni locali furono costretti a lasciare la città in pochi giorni. Crimini che risalgono non solo al 1988 a Sumgait, Kirovabad, Baku (per non

dimenticare il 1920 con la distruzione del quartiere armeno di Shu-shi) ma anche, più recentemente, all’aggressione di aprile 2016 al Nagorno Karabakh allorché i soldati di Aliyev si produssero in muti-lazioni e decapitazioni in pieno stile Isis a danno di civili e militari armeni. «Terribili crimini sono stati commessi nell'elusione delle convenzioni umanitarie internazionali ... Prima o poi l'Azerbaijan deve risponde-re per questo» ha ribadito Nalbandian. «Nel tentativo di sfuggire alla punizione, l'Azerbaigian cerca di accusare la vittima del crimine» ha commentato il ministro armeno, aggiungendo che una tale politica finisce con il creare un terreno fertile per nuovi crimini.

pubblici e sta verificando la possibilità di intro-durre minibus elettrici. ENERGIA Un importante impianto idroelettrico da 76 megawatt verrà costruito sul fiume Debed nella provincia settentrionale di Lori in località Shnogh, a sud del confine con la Georgia. La costruzione della struttura sarà finanziata dal-l'Investors Club of Armenia (ICA), un fondo di investimento costituito dal miliardario di origine armena Samvel Karapetyan nel gennaio 2017. Intanto il Parlamento ha votato lo scorso mese una serie di emendamenti e integrazioni alla legge sull'energia e una serie di leggi correlate, volte a liberalizzare il mercato nazionale dell'energia, specificare le funzioni delle agenzie governative responsabili e quelle dell'autorità di regolamenta-zione, stimolare anche il commercio interstatale di energia elettrica e proteggere gli interessi dei consu-matori. La legge in vigore (del 2001) prevedeva il fornitore unico. Ora i consumatori armeni avran-no possibilità di scelta. La capacità di produzione elettrica installata dell'Armenia è 2,5 volte supe-riore rispetto al consumo interno. I primi dati del 2018 indicano una diminuzione dei consumi ma un incremento della produzione e dell’esportazio-ne. ARCHEOLOGIA Il governo in collaborazione con una emittente televisiva nazionale sta preparando una serie

televisiva dedicata ai molti scavi (e ritrovamenti) archeologici in tutto il Paese. L’obiettivo è quello di far conoscere, sia dentro che fuori Armenia, l’importanza di queste attività di ricerca e au-mentare la consapevolezza del patrimonio cultu-rale e storico a disposizione. EUROVISION 2018 Sarà Sevak Khanagyan a rappresentare l’Arme-nia nella prossima edizione dell’Eurovision Song Contest in programma dall’8 al 12 maggio a Lisbona (Portogallo). Il cantante armeno con la sua “Qami” (vento) si è arrivato primo al “Depi Evratesil”, una sorta di Festival di Sanremo armeno che serve a sele-zionare con voto popolare e di giuria autore e brano da portare alla ribalta europea. 31 anni, originario di Metsavan comune di oltre 5000 abitanti situato nella provincia di Lori quasi al confine con la Georgia, Khanagyan vanta già importanti riconoscimenti canori in patria e all’estero. Il suo “Qami” è interamente cantato in armeno ed è la prima volta che ciò avviene all’Eurofesti-val: nelle prime edizioni le canzoni erano mixate anche in lingua inglese, poi fu fatta la scelta di abbandonare la lingua nazionale ma non ha pagato. Ora si punta alla versione interamente etnica: forse non otterrà grandi consensi interna-zionali ma quanto meno riporterà i voti della Diaspora che erano venuti meno negli ultimi anni. Forza Sevak!

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Qui Armenia

Prima o poi l’Azerbaigian dovrà rispondere dei suoi crimini

Per saperne di più…

Vi segnaliamo un sito in italiano che parla di Sumgait con la cronaca dell’epoca, testimonianze, articoli di giornali italiani

Cercate su Google: Sumgait1988

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Lo scorso 22 febbraio il parlamento olandese ha votato una mozione che definisce quanto accaduto nel 1915 a danno del popolo armeno come un “genocidio”. La camera dei Deputati, quasi all’unanimità (142 voti contro 3 provenienti da altrettanti parlamentari di origine turca) si è espressa inequivocabilmente e, con una seconda mozione, ha chiesto altresì al Governo di inviare propri rappresentanti a Yerevan in occasione delle cerimonie del 24 aprile e così ogni volta ogni cinque anni. «Non possiamo negare la storia per paura delle sanzioni. Dopotutto, il nostro paese è la capitale della legge internazionale. Quindi non dovremmo avere paura di fare una buona cosa anche qui", ha detto Joel Voor-dewind, Unione cristiana, primo firmatario della mozione. Puntuale è arrivata la replica di Ankara condita dal solito tono al quale la Turchia ci ha abituati da anni: contestazione sul numero delle vittime e soprattutto inquadramento delle stesse nell’ambito di un più ampio conflitto civile. Una versione della storia che ovviamente non trova il conforto dei numeri e della realtà. Ma abbaiare in occasione di tali votazioni internazionali è sempre stata la politica di Ankara che gioca sulla propria forza politica ed economica per spaventare i governi dei Paesi che votano mozioni sul genocidio armeno; sicché anche l’Aja si è affrettata a dire che la propria linea ufficiale non cambierà nono-stante il voto del Parlamento. Tuttavia, ogni anno, aumenta il numero di Stati che attraverso i propri organi di rappresentanza popolare intervengono sulla materia e ad Erdogan non resta che fare sempre più spesso la faccia feroce. Detto della votazione olandese, non possiamo non soffermarci un momento su quella della Knesset israelia-na che pochi giorni prima ha invece deciso di non votare analoga risoluzione; le solite questioni diplomatiche sono alla base della non decisione, unitamente alla intenzione di supportare il pensiero della “univocità della Shoah” che tende ad escludere altri genocidi. Se i delicati equilibri diplomatici (non dovrebbero ma) possono essere anche una scusa, il ragionamento sul “diritto di esclusiva” dell’Olocausto è inaccettabile. Proprio un popolo, come quello ebraico, che ha così tanto sofferto dovrebbe capire l’importanza di tali pro-nunciamenti: se non lo fa, vuol dire che non ha imparato molto dalla Storia o pecca di egoismo. In un caso o nell’altro, Israele (o almeno quella componente che ha spalleggiato il non voto) ci fa una brutta figura.

Bollettino interno edito da

comunitaarmena.it

Contatti: [email protected]

Anche l’Olanda riconosce il genocidio armeno

QUESTA PUBBLICAZIONE E’ EDITA CON IL FAVORE DEL

MINISTERO DELLA DIASPORA

il numero 260 esce il

1 5 marzo 2018

La pagina dedicata a l Nagorno Kara-bakh è real izzata in col laborazione

con:

www.karabakh. i t

Informazione quotidiana

in ital iano sul l ’Artsakh

Olimpiadi invernali, la storia della famiglia Mikayelyan

Mikayel Mikayelyan è stato il portabandiera della rappresentativa dell’Armenia (a proposito,

questa la versione coreana del nome Armenia: 아르메니아) alle ultime Olimpiadi invernali appena conclusesi. Oltre al fondista portabandiera hanno partecipato, senza risultati ap-prezzabili, l’altra fondista Katya Ghalstyan e lo slalomista Ashot Kharapetyan. La famiglia Mikayelyan è entrata nella storia dello sport invernale armeno: alle Olimpiadi del 1998 a Nagano la bandiera nazionale fu portata da Alla Mikayelyan (madre di Mikayel) mentre a quelle di Sochi l’onore toccò a suo fratello maggiore.