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L’Informazione 1 L Informazione Marzo 2011 DIRETTORE LUCIANO MIRONE Distribuzione gratuita Periodico di attualità, varietà, sport e costume Il carnevale barocco

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1 DIRETTORE LUCIANO MIRONE Marzo 2011 L’Informazione Marzo 2011 Distribuzione gratuita 2 oaa Mansour è ci riusciremo. Una cosa buo- na è che tanti politici corrotti sono in carcere, penso che sia un buon segno”. Come è successo tutto que- sto, quali sono state le di- namiche? “I giovani attraverso facebo- ok hanno organizzato la pro- testa. Poi c’è stato il passa pa- rola ed è stata una valanga”. * * * ilos Skakal è un Marzo 2011 L’Informazione

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Marzo 2011 L’Informazione 1

L’InformazioneMarzo 2011 DIRETTORE LUCIANO MIRONE Distribuzione gratuita

P e r i o d i c o d i a t t u a l i t à , v a r i e t à , s p o r t e c o s t u m e

Il carnevalebarocco

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LA RIVOLUZIONE DEI GIOVANIDoaa Mansour è

una donna egizia-na di trentatré anni

residente al Cairo. Racconta quel che è successo nel suo Paese nei giorni della rimo-zione di Mubarak. Medico chirurgo, nei giorni caldi del-la rivolta non ha mai abban-donato l’ospedale neanche per mangiare o per dormire. Si mostra molto preoccupata per il futuro dell’Egitto, ma spera in un futuro migliore.Puoi darmi una testimo-nianza di ciò che è successo nel tuo Paese?“Sono stata prevalentamen-te nell’ospedale per aiutare i miei colleghi, c’erano tantis-simi feriti gravi. Dovevamo operare in quasi tutte le sale operatorie, quattordici solo per la chirurgia generale e vascolare. Venerdì 28, saba-to 29 gennaio e mercoledì 2 Febbraio è stato un inferno. Poi le cose si sono fatte più calme. C’era il coprifuoco, che limitava la vita grave-mente”.

Hai avuto paura?“Ho avuto tanta paura, non tanto per la mia vita, quanto per il futuro dell’Egitto”. Cosa pensi dei trent’anni del governo di Mubarak?“Trent’anni anni di corruzio-ne, di dittatura, di povertà mentre altri avevano da par-te i miliardi. Gli intellettua-li non hanno giocato alcun ruolo. Tempi bui sotto tutti i punti di vista”. Cosa pensano i giovani egi-ziani di ciò che è successo?“Sono stati loro che hanno iniziato tutto il movimento”. Adesso cosa pensi che suc-cederà?Non so veramente cosa suc-cederà, c’è un caos incredibi-le, ma c’è anche una grande voglia di cambiare. Spero che

ci riusciremo. Una cosa buo-na è che tanti politici corrotti sono in carcere, penso che sia un buon segno”.Come è successo tutto que-sto, quali sono state le di-namiche?“I giovani attraverso facebo-ok hanno organizzato la pro-testa. Poi c’è stato il passa pa-rola ed è stata una valanga”.

* * *

Milos Skakal è un ragazzo di 16 anni che vive a Roma.

Da qualche tempo risiede in Egitto con i suoi genitori. Questa la sua testimonianza: “Tutto e’ iniziato in Tunisia, dove il popolo ha fatto vedere che la dittatura non è eterna e si può rovesciare. I giovani egiziani hanno preso esempio

da quella rivoluzione per or-ganizzare la loro. I social net-work hanno avuto un ruolo importantissimo nella rivolu-zione. Il resto si è fatto spon-taneamente, tutto è stato di iniziativa popolare: nessun partito o religione si è acca-parrato la proprietà di questa rivoluzione. Le manifestazio-ni contro il regime di Mu-barak sono state quasi total-mente pacifiche, la violenza è stata usata dalle forze dell’or-dine per schiacciare la rivolta. Pure se il movimento rivolu-zionario continua tutt’ora ad andare avanti, possiamo dire che le manifestazioni più im-portanti si sono svolte tra il 25 gennaio e l’11 febbraio, data in cui Mubarak ha dato le dimissioni e ha nominato lo stato maggiore dell’eserci-to capo esecutivo del paese. Il regime ha represso duramen-te le manifestazioni. Dopo il primo venerdì però la polizia è scomparsa dalle strade. Le intenzioni del governo erano di creare il caos, in modo che il popolo chiedesse un ritor-

Attualità

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LA RIVOLUZIONE DEI GIOVANI

TRE ECCEZIONALI TESTIMONIANZE

DALL’EGITTO E DALLA LIBIA. UNA RIVOLTA

PER LA LIBERTÀ. PROTAGONISTA IL POPOLO DI

FACEBOOKdi Tommaso Mirabella

no alla vita normale. Questa strategia ha sortito l’effetto opposto: la gente si è orga-nizzata e ha creato varie mi-lizie di quartiere che hanno presidiato le strade. L’eserci-to ha avuto un ruolo chiave durante la rivoluzione: senza mai schierarsi contro o con Mubarak è riuscito a creare una specie di tampone tra le due fazioni. Qui l’esercito è considerato difensore del po-polo, i manifestanti si sono sentiti protetti dai militari. Le forze armate, che al mo-mento sono al potere, hanno promesso una nuova Costi-tuzione e nuove elezioni pro-babilmente a settembre. Il governo Mubarak? Ha dato all’Egitto un periodo di pace e stabilità (pace con Israele e accordi di Camp David),

che ha permesso al paese di modernizzarsi e di industria-lizzarsi. Però ha oppresso il popolo impedendo ogni ma-nifestazione per manifestare liberamente. Sono i giovani il futuro dell’Egitto, loro han-no fatto questa rivoluzione.

Io sono sceso in piazza tre volte. Ho sempre visto gente incazzata ma felice. Felice di poter finalmente esprimere la propria opinione e di po-ter sperare in un futuro più libero.

* * *

Susan è una cittadina britannica che negli ul-timi tempi si è trovata

in Libia per lavoro. Quando è iniziata la guerra civile è scappata ed è venuta a Cata-nia. “E’ stata questa – dice – la parte più traumatica della mia esperienza. Di mattina presto sono andata in aero-porto a Tripoli. Ho dormito lì per due giorni. Fuori, sotto la pioggia, senza cibo, senza acqua e senza bagni. Il gover-no inglese non ha fatto niente per me. Sono stati i tedeschi ad aiutarmi. Tutto è iniziato – prosegue – due settimane fa, quando si è sentito un for-

te dissenso nei confronti di Gheddafi. La protesta è ini-ziata in Tunisia. Il movimen-to ha raggiunto l’Egitto ed è arrivato in Libia dove la gente si è ribellata nei confronti del presidente Gheddafi. A quel punto non sono andata a la-vorare, mi sono chiusa a casa, ho sbarrato le porte, e ho te-nuto le luci spente. Sentivo le bombe scoppiare vicino casa. Per tre giorni ho provato a raggiungere l’aeroporto, ma mi è stato impossibile. Avevo paura delle bombe. Dormi-vo con i vestiti. Avevo pau-ra dei soldati di Gheddafi, dei loro stupri. Avevo paura che potessero entrare in casa mia. Il governo di Ghedda-fi è durato 41 anni. I Libici lo hanno accettato perché in Libia non si vive male, tutti lavorano, i salari sono alti. L’economia del paese è buo-na grazie al petrolio. Il 90% delle persone (adulte) con cui ho parlato si è soffermata po-sitivamente su di lui. Le cose aberranti sono le sue idee del tutto antidemocratiche. Sono stati i giovani, la generazione di internet, a volere la demo-crazia. Sono stati loro ad op-porsi ai soldati di Gheddafi, sono stati loro ad organiz-zare le proteste, diciassette, diciotto, diciannove, venti anni: la maggior parte dei manifestanti ha quest’età. Sono stati loro a dare inizio al movimento”.

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IL LAVOROSFRATTATO

dunque, se l’Amministrazio-ne municipale non provve-derà a reperire nuovi locali scomparirà una struttura che opera gratuitamente dal 2001, così come è scomparso nel 2006 – trasferito a Pater-nò – il “Centro per l’impie-go”, un altro riferimento per chi cerca e offre un lavoro. Chiuso il “Centro”, è rimasta questa struttura a supporto, cioè lo “Sportello multifun-zionale” di via Quattordicesi-ma Traversa (nello stesso edi-ficio trovano ospitalità anche l’Acoset e l’Associazione ita-liana per gli ammalati di scle-rosi multipla), ma anche que-sta, visti i presupposti, rischia di scomparire se il Comune non correrà al più presto ai ripari. A Belpasso, secondo le stime raccolte, 2100 utenti hanno usufruito dei molte-

plici servizi erogati dall’ente. Compito dello “Sportello” è quello di orientamento, di formazione e di consulenza per l’inserimento lavorativo. “La finalità”, dicono gli im-piegati, “è quella di rendere autonomo il lavoratore che cerca un’occupazione”. In che senso? “Nel senso che mettiamo a disposizione i nostri strumenti per indivi-duare un lavoro: attraverso le nostre conoscenze, nei limiti di quanto offre il mercato, cerchiamo di individuare il tipo di occupazione richie-sta e a proporla all’utente”. Il quale – attraverso un “Patto di disponibilità” preceden-temente stipulato con l’ente – viene informato delle varie opportunità. “La consulen-za – spiegano allo Sportello multifunzionale – è necessa-ria per compiere delle azio-ni efficaci e concrete per la ricerca di un lavoro. La for-mazione per colmare il gap che separa il non occupato al mercato. L’inserimento per fare in modo che il soggetto possa essere collocato nel set-tore che preferisce”.Chi si rivolge allo Sportello? “Una vasta gamma di uten-ti: dal ragazzo di 16 anni alla persona adulta. Sono so-prattutto queste ultime fasce di popolazione a ricorrere all’ausilio dell’ente, persone in condizioni di ‘debolezza’ per la mancanza di un titolo di studio o con qualifiche de-boli. Noi facilitiamo l’utente ad accedere ai servizi presen-ti nella struttura e a quelli esterni tenendo conto delle sue specifiche difficoltà”. Lo Sportello multifunzionale eroga servizi anche a que-gli studenti che, usciti dalle scuole superiori, non hanno le idee chiare sulle facoltà universitarie da scegliere. Inoltre fornisce utili infor-mazioni sui master e sulle scuole di specializzazione.

“Se il Comune di Bel-passo non provvede in tempi rapidi ad indi-

viduare dei nuovi locali, lo ‘Sportello multifunzionale per i servizi a supporto del Centro per l’impiego’ dovrà chiudere i battenti”. Da quel momento centinaia di disoc-cupati alla ricerca di un lavo-ro, ma anche di imprese che offrono un lavoro, rischiano di ritrovarsi senza un pun-to di riferimento in loco. È quanto spiegano gli impiegati dello “Sportello multifunzio-nale” di Belpasso in seguito a una lettera del Comune: “La ditta proprietaria dell’immo-bile – recita la missiva – ha comunicato la propria vo-lontà a non rinnovare il con-tratto alla scadenza naturale prescritta per il 30 giugno 2011”. Entro quattro mesi,

Belpasso

A giugno potrebbe chiudere i battenti lo Sportello Multifunzionale per i disoccupati di Belpasso

di Norma Viscusi

Periodico di attualità, varietà, sport e costume

L’Informazione

Direttore responsabileLuciano [email protected]

Hanno collaboratoBarbara ContrafattoAngelo ContiFederico GiuffridaGiuseppe RussoNorma Viscusi

Progetto graficoLuciano Mirone

FotoFrancesco MironePippo Mirone

Impaginazione e StampaTipolitografia TMvia Nino Martoglio, 93Santa Venerina (CT)Tel. 095 [email protected]

Sede: via Fiume, 153 - Belpasso (CT)Tel. 095 917819 - 347 [email protected]

Registrazione del Tribunale di Catanian. 10/2000 dell’11/04/2000

L’Informazione è presente a:Catania, Acireale, Adrano,Belpasso, Biancavilla, Bronte, Motta S. Anastasia, Nicolosi, Paternò, Pedara, Ragalna,S.M. Licodia, Santa Venerina, Trecastagni, Zafferana Etnea.

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VERDE TABÙinvece di valorizzare una su-perficie così pregiata, magari prevedendo, con pochissima spesa, l’allestimento di un orto botanico – da collega-re con altre micro-strutture economicamente sostenibili e finalizzate alla creazione di un turismo di qualità come il Museo del teatro siciliano, dei carri di santa Lucia, del-la pietra lavica, della cultura contadina, nonché la coper-tura della Quindicesima tra-versa per mostre e manifesta-zioni artistiche di alto livello – approva una variante per la costruzione di un parcheg-

Parcheggio o cemento purché non si parli di verde, a Belpasso

qualcuno potrebbe arrabbiar-si. Se poi parliamo di musei, di orti botanici, di parchi pubblici, di spazi culturali, di restauri di edifici antichi, della salvaguardia del pae-saggio cadiamo nell’assoluto tabù. I consiglieri comuna-li della “ridente cittadina”, dopo avere avallato orren-di capannoni, mega centri commerciali, demolizioni di antichi manufatti, distru-zione indiscriminata di siti archeologici, vengono folgo-rati sulla via di Damasco e si scoprono anti-palazzinari, scatenando una querelle in Consiglio che potrebbe co-stare alle casse comunali cifre ingenti. Chi pagherà? Ovviamente la collettività. Oggetto del contendere: una palazzina o un parcheggio da realizzare in via Vittorio Emanuele. L’area in que-stione, ubicata all’interno di un centro abitato molto carente di verde, era ricca di una straordinaria varietà di essenze mediterranee come il ficodindia, il mandorlo, il pesco, l’arancio, il limone, il carrubo, la mimosa, il pistac-chio, l’agave, il gelsomino, il rampicante e tanto altro. L’area è definita dal Piano regolatore “zona B” (edifica-bile). Nel 2008 il Consiglio,

la licenza. Soltanto quando l’impresa recinta la superfi-cie ed appone il cartello dei lavori in corso, i Consiglie-ri insorgono e deliberano nuovamente: su quell’area va fatto il parcheggio. I la-vori intanto sono in fase avanzata e non si fermano. C’è una regolare licenza e il Comune non ha alcun titolo per fermarli. Se ciò dovesse avvenire, la ditta vorrà pa-gati i danni. Che a quanto pare non sono pochi. Anche al cospetto di questa ipotesi, l’assise civica resta irremovi-bile: parcheggio. Si profila un contenzioso che potrebbe finire davanti al giudice con conseguenze devastanti per le casse municipali. Insom-ma un pasticcio. Col tempo vedremo come finirà. Ma quel che lascia esterrefatti è l’assoluta mancanza di idee, di programmazione e di fan-tasia di una classe politica che non si pone il problema di valorizzare quell’immenso patrimonio naturale e arti-stico culturale che abbiamo. O cemento o al massimo un parcheggio. Possibile che non esista nient’altro? Una città non è – non può essere – soltanto un agglomerato di palazzi e di macchine. È so-prattutto un insieme di citta-dini col loro passato, con la loro storia, con la loro arte, con i loro spazi. Se fosse solo un insieme di palazzi e di auto, quella città non avreb-be un’anima. Il problema è che questa classe politica – da Roma a Belpasso – non lo capisce, spacciando la de-vastazione del territorio e del centro storico per modernità e magari portando ogni saba-to e domenica i propri figli al centro commerciale perché ormai sta riuscendo perfet-tamente a svuotare proprio quell’anima della città che amministra. (l.m.)

gio. Nulla quaestio, ovvia-mente, sul fatto che la città necessiti di posteggi da rea-lizzare al più presto, ma in-dividuare proprio quell’area per questo tipo di impianto, a nostro avviso, è stato un colossale errore e l’ennesima occasione perduta. Passano due anni. Dov’erano i soste-nitori del parchegghio? Tut-to si svolge in assoluto silen-zio. Il parcheggio non viene costruito, la variante scade e l’area torna edificabile. Una ditta presenta un progetto per l’edificazione di una pa-lazzina e il Comune rilascia

Belpasso

Belpasso. Parcheggio o cemento? I Consiglieri comunali scatenano lapolemica, ma ignorano le devastazioni perpetrate in tutto il territorio

foto Pippo Mirone

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C’è una Sicilia mitica e lontana che dalla fine dell’Ottocento alla

metà del Novecento ha lottato strenuamente contro le prepo-tenze della mafia per un’equa ripartizione delle terre. È la Sicilia cancellata dalla storia ufficiale e rimossa dalla me-moria collettiva, che ha dimo-strato, con centinaia di morti lasciati sul campo, che c’è stato un tempo in cui la lotta a Cosa nostra non è stata ap-pannaggio di una minoranza, ma una prerogativa di massa. E’ la Sicilia contadina, prota-gonista per oltre cinquant’an-ni di battaglie per i diritti dei lavoratori – a quel tempo ridotti al livello di servitori della gleba – che i latifondi-sti collusi con la mafia non intendevano concedere. Non solo una battaglia per sconfig-

gere la fame, ma una battaglia di civiltà per migliorare il fu-turo delle nuove generazioni. È quanto si ricava dal libro di Nino Marino, avvocato e memoria storica dell’antima-fia trapanese (“Fame di terra e sete di libertà”. Prefazione di Renato Lo Schiavo), 216 pagine ricche di documenti e di testimonianze orali che ri-costruiscono la storia di quel-la lunga stagione fatta di stra-gi mafiose, di occupazioni dei fondi agricoli e di delitti im-puniti. Si tratta, come si legge nel sottotitolo, del “racconto dell’epopea delle lotte conta-dine nei feudi di Trapani”, ma

LOTTE CONTADINEanche “la rivoluzione liberale fatta dai proletari e dagli intel-lettuali”.Un volume che ripercorre le tappe di una battaglia che il bracciantato ha condotto per oltre mezzo secolo senza mai piegare la schiena in una delle zone più mafiose dell’Isola. Se finora si è scritto abbastanza sul movimento contadino di altre province (Palermo soprattutto), poco si è letto su questa rivoluzione partita “dal basso” che nel trapanese ha coinvolto uomini, donne e perfino bambini impegnati per il riscatto della loro con-dizione sociale. “All’inizio del

‘900, la provincia di Trapani – scrive Marino – risultava ai primi posti in Sicilia” per la costituzione delle Leghe di contadini. Si parte con la strage di Castelluzzo (13 set-tembre 1904): 2 morti (fra cui una giovane donna) e 6 feriti a causa di un’irruzione dei Regi Carabinieri ad una riunione di braccianti. Quel giorno, “ver-so le sette di sera”, morirono Vito Lombardo, 51 anni (una moglie e sei figli da sfamare), e Anna Grammatico (27).Quel che colpisce è l’età media dei feriti: 24, 28, 30, 34, 35 anni. Quella volta, dunque, non fu la mafia a sparare (al-

UN LIBRO DI NINO

MARINO CHE RICOSTRUISCE

L’EPOPEA DELLE

BATTAGLIE CONTRO LA

MAFIAdi Luciano Mirone

Dipinto di Renato Guttuso. Al centro e a destra, occupazione delle terre a Corleone e a Petralia Soprana

Memoria

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LOTTE CONTADINEmeno ufficialmente: “La me-dicina e la balistica accertaro-no il contrario”, si legge, nel senso che Cosa nostra avrebbe partecipato, seppure di na-scosto) ma i carabinieri, co-mandati dal brigadiere Carlo Riffaldi, il quale, “poche ore prima chiacchierava e rideva col capomafia” della zona. Non è una forzatura – spie-ga l’autore – cogliere le linee essenziali di sovrapposizio-ne fra Castelluzzo e Portella della Ginestra”. Negli anni successivi sarebbe stata so-prattutto Cosa nostra ad en-trare pesantemente in campo in combutta con le famiglie

aristocratiche. “Il Partito agrario si alleò col fascismo” al quale, oltre ai feudi, conse-gnò una interessante proposta elettorale: “Per la provincia di Trapani, il Governo raccoglie-rebbe un larghissimo suffragio attorno ai nomi di Giacomo Hopps Carraci di Mazara e del Comm. Giulio D’Alì Stai-ti di Trapani”. Il 1922 fu un anno terribile.Nei primi sei mesi la mafia fece una carneficina anche di personaggi eccellenti: il primo a cadere fu un sindaco, il so-cialista Sebastiano Bonfiglio, primo cittadino di Monte San Giuliano. Poi un’altra strage. Epicentro questa volta Pace-co. La strategia della tensione colpì la famiglia di Giacomo Spatola, altro valoroso simbo-lo del movimento contadino, fondatore della Banca agricola

di Paceco: i boss gli trucidaro-no i due figli e il fratello; un altro fratello nel frattempo era morto al Nord nella lotta par-tigiana.A giugno, sempre a Paceco, fu la volta di Nino Scuderi, anche lui socialista e dirigen-te dei contadini. Nel ‘47 a Marsala il piombo mafioso falcidiava il comunista Vito Pipitone. Aveva capeggiato l’occupazione del feudo Ri-nazzo e del feudo Giudeo: il primo “affittato alla famiglia mafiosa dei Licari”, il secondo “di proprietà della principes-sa Pignatelli e dei marchesi Platamone D’Alì”. Un libro, quello di Marino, che non si

limita a ricordare i caduti, ma che racconta anche le storie appassionanti dei tanti prota-gonisti rimasti vivi, quelli che hanno pagato prezzi altissimi per portare avanti la loro lotta di libertà, a dimostrazione del fatto che anche nella “capitale della mafia” c’è stata un’an-timafia vera, intransigente, popolare che si è opposta strenuamente alle angherie di Cosa nostra. Ha vinto la ma-fia, ma se da allora le condi-zioni di vita sono migliorate lo dobbiamo a quei contadini con la terza elementare che sa-pevano guardare lontano.

(Tratto da La Repubblica)

Memoria

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se vendessi i miei figli. Si può mai vendere un figlio?”. Pip-po Contarino ha sessantun anni, è una persona mite, una folta barba grigia e uno spirito vulcanico come quel-lo della Montagna: spesso dà l’impressione di voler giocare con la vita e col ferro, con la forma e con la materia. La sua casa-studio di Acireale – che affianca l’officina di Pozzillo dove lavora col figlio Davide, altro bravissimo scultore – è piena dei suoi lavori. Lì c’è “Il violino di Strauss”, strumento interamente stilizzato. Lì c’è un gallo siciliano, alto, impo-nente, aitante. Lì la “Goccia della maternità”, una donna

L’ARTISTA DEL FERRO BATTUTOCi sono artigiani che

restano artigiani e ci sono artigiani

che diventano artisti. È il caso di Pippo Contarino, Maestro del ferro battuto ri-nomato ed apprezzato in tut-to il mondo per il suo modo originale di forgiare la mate-ria. Le sue opere, conosciute in Arabia Saudita, in Ameri-ca, nel Vecchio Continente ed ovviamente in Italia, sono esposte nei musei, nelle chie-se, sui lungomari, nelle strade e in tantissimi punti della Pe-nisola. Non solo le opere del-la tradizione artigiana come lampioni, ringhiere, cancella-te (tra le più famose, quella della cattedrale di Palermo o della Fontana di Orione di Messina), balconate, cancel-li, rametti di fiori riccamente ricamati, ma sculture forgiate dall’animo di questo estrover-so fabbro di Acireale che rie-sce a plasmare il ferro come pochi, e a donare in benefi-cenza – alle associazioni per i malati di cancro, a quelle per i bambini malati e a tante al-tre – molti dei suoi prodotti artistici. “Ci sono opere che non sono in vendita. È come

ACIREALE.LE SCULTURE DI GIUSEPPE CONTARINO

SPARSE IN TUTTO IL MONDO

di Luciano Mirone

mentre aspetta un bambino. Lì un segugio che sembra an-nusare la preda. E poi, appesi alle pareti, attestati, diplomi, benemerenze in diverse lin-gue, moltissimi libri. E anche le foto delle sculture che oggi si trovano altrove: un Cristo in ferro che si trova a Parma e un bassorilievo che raffigura la Decima stazione della Pas-sione di Cristo.Al centro, forse l’onorifi-cenza più importante di oltre un quarantennio di attività, quella di Cavaliere del lavoro, “il più giovane d’Italia”, che gli è stata conse-gnata dal presidente della Re-pubblica nel 1975, ad appena

Personaggi

31 anni. Sugli scaffali sono riposti i premi provenienti dalle varie città facenti parte dei diciassette Paesi europei dell’ ”Anello del ferro” di cui Contarino è tra i fondatori. Attualmente sta lavorando a due magnifiche sculture: “Il monumento al mare” (otto metri per cinquanta centi-metri) che verrà installata sul lungomare di Mazara del Vallo, e “L’uomo uccello” de-dicata ad Angelo D’Arrigo, lo sfortunato deltaplanista (scomparso nel 2006) che insegnava la rotta ai condor in via di estinzione. Un’opera quest’ultima che verrà inau-gurata nei prossimi mesi ad Aci Sant’Antonio. La sua vita è una storia esemplare che in-segna come col sacrificio, con la tenacia e con la fantasia – anche da una Terra difficile e non sempre riconoscente come la Sicilia – si possa ar-rivare lontano.“Mio padre faceva il calzo-laio e mia madre la casa-linga”, dice Contarino. “La guerra era finita da poco e in giro c’era parecchia fame: indossavo un paio di sandali di cuoio con le suole di co-

Giuseppe Contarino. Al centro: col figlio Davide. A destra, il monumento all’ “Uomo uccello” Angelo D’Arrigo

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L’ARTISTA DEL FERRO BATTUTO

pertone, sia in estate che in inverno. Siccome fin da bam-bino ero un poco tristiceddu, discolo, mi mandarono a scuola dai salesiani. Conclu-se le elementari, frequentai la Casa del fanciullo di Acireale. Fu grazie a mons. Randazzo che imparai il mestiere di fabbro, di tornitore, di salda-tore e anche di idraulico. A volte si mangiava bene, altre volte, quando c’era scarsezza, soltanto un’insalata di limoni o di arance. Ma non mi persi d’animo e riuscii a prendere

la qualifica. Uscito dalla Casa del fanciullo frequentai la bot-tega di Raffaele Greco, situa-ta ‘a vanedda e l’opra ‘e pupi, in via Alessi. Era un periodo in cui l’artigianato del ferro battuto andava fortissimo. La mia città ha sempre vantato una tradizione ragguardevo-le in questo settore grazie al grande Angelo Paradiso, a Angelo Patanè e a tanti altri. Don Raffaele, oltre ad essere un bravissimo artigiano, era una persona sensibile, brava ed educata. Una bella per-sona. Si presentava al lavoro col vestito grigio, la camicia bianca, la cravatta nera. Sem-pre così. Si alzava le maniche della camicia e cominciava a lavorare. Era talmente bravo che non si sporcava mai. Non era un firraru, era un artista, un maestru. Dopo qualche anno di apprendistato andai da un altro grande fabbro, Giuseppe Esterini. Aveva set-

tantacinque anni ed era un po’ claudicante. In pensione da un pezzo, lavorava per il piacere di lavorare. Avevo tal-mente voglia di apprendere il mestiere che non andavo mai a pranzo, prendevo un pani-no nella salumeria di fronte e tornavo in bottega. Il mastro smontava alle 13 e tornava alle 15,30. In quel periodo doveva sposare una figlia ed era impegnato a realizzare le bomboniere: delle rose in ferro battuto molto raffinate. Nella bottega c’era uno spa-zio interamente riservato a lui, nessuno degli apprendisti poteva avvicinarsi. Da lon-tano lo osservavo e cercavo di carpire i suoi segreti. Un giorno, quando si allontanò

per il pranzo, creai una rosa, esattamente come le sue, e gliela feci trovare sul tavolo. Rimase entusiasta. Diventai il suo braccio destro. Poi par-tii per il servizio militare. Al ritorno mi misi in società con un artigiano di Pozzillo, a pochi chilometri da Acireale. Mi alzavo alle tre del mattino e andavo a letto alle dieci di sera. Non avevo orario. Qual-che anno dopo rilevai l’offici-na, dove lavoro tutt’ora”.“Nel ’75 feci l’incontro che cambiò la mia vita. Una bellissima donna vide le mie sculture e ne estò colpita. Mi chiese un paio di foto. Un giorno, mentre ero dal ma-cellaio, un signore che leg-geva il giornale, cominciò a

guardarmi: “Ma questo non è lei?”. Presi il giornale e ri-masi a bocca aperta: c’erano le mie foto stampate. Quella donna, Giovanna Grossi, era un critico d’arte di Milano in villeggiatura a Pozzillo. Ave-va consegnato le foto a ‘La Sicilia’ e aveva fatto fare un bellissimo articolo. Il grande poeta brasiliano Vinicius De Moraes aveva ragione: la vita è l’arte dell’incontro. Per me è stato così. Da allora è sta-to un susseguirsi di incontri straordinari. Fra i più signi-ficativi quelli con i grandi Maestri europei: il tedesco Bullermann, gli italiani Be-netton e Vergezio. Mi hanno insegnato che una scultura non deve essere realista ma stilizzata, un insieme di linee geometriche continue e di-scontinue per dare un’anima all’opera. L’anima dello scul-tore”.

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c’era già un accordo molto avviato. All’ultimo momento sono arrivati i dirigenti rosso-neri, hanno parlato con mio padre e sono stati categorici: ‘Non mandatelo da nessuna parte, lo vogliamo noi’. Così sono finito al Milan”. Mar-co parla con un accento un po’ siciliano un po’ milane-se. “Sono l’unico siciliano, anzi l’unico ragazzo nato da Roma in giù che si trova al Milan. All’inizio ho parlato con la mia cadenza sicilia-na. Poi a quei suoni nuovi ti ci abitui, piano piano li fai tuoi, fino a quando ti ritrovi a parlare inconsapevolmente in quel modo. Sembra ieri quando sono andato via e in-vece sono trascorsi oltre sette mesi. All’inizio è stata dura. Abituato in un piccolo paese, ritrovarsi all’improvviso in una metropoli è stato quasi traumatico, la metropolita-na, il dentista all’altro capo della città, la scuola (il liceo scientifico), quegli spazi im-mensi, dilatati, quei modi ai quali non ero assolutamente abituato. In campo è stato pure peggio. Giornate intere in ritiro a Pinzolo (Trento), ore ed ore ad allenarsi, ogni giorno corse di quindici,

venti chilometri, esercizi, e parate. Sempre. La sera arri-vavo in albergo stremato, per riprendere l’indomani con altri allenamenti durissimi. L’allenatore dei portieri, Lu-igi Romano, è una persona molto umana ma altrettanto seria e intransigente. In ritiro, a forza di tuffarmi a destra e a sinistra, mi ero ferito entram-be le gambe: stavo mettendo un po’ di pomata. ‘Che fai? Lascia perdere. Quelle guari-scono senza niente. Aveva ra-gione’. Una volta si arrabbiò perché alla fine di una sgrop-pata di diversi chilometri cercammo qualche secondo di ristoro all’ombra: ‘Dove-te abituarvi alla sofferenza, in campo sarà pure peggio’. Mi sta insegnando delle cose fondamentali per un portie-re: calcolare per esempio le distanze dello specchio della porta”. In che senso? “Quan-do un avversario calcia, il portiere deve essere pronto a chiudere lo specchio facen-do qualche passo in avanti. Bene: lui mi sta insegnando a calcolare i centimetri, ad-dirittura i millimetri per non lasciare sguarniti gli spazi. ‘Occhio alla luce!’. La luce? “E’ una parola che in gergo

ha voluto che facesse il por-tiere, esattamente come il suo primo maestro e come il padre Mario, anche lui ex portiere della Belpassese. Da entrambi ha ereditato le ca-ratteristiche tecniche ma so-prattutto alcuni aspetti fon-damentali sia nello sport che nella vita: l’educazione, il rispetto, la lealtà. “Le prime cose che ho appreso in fami-glia e alla scuola calcio sono state queste”, dice Marco con quell’impercettibile sorriso che traspare quando parla. Questa chiacchierata si svol-ge nella sua casa di Belpasso, mentre il ragazzo è attorniato dal papà, dalla mamma Ro-salba Catalano, dalla sorella Silvia (ex campionessa di nuoto, oggi modella e indos-satrice) e dal fratello Luca, anche lui calciatore (difen-sore) che attualmente milita nel Belpasso. È un’atmosfera calda, familiare, allegra quel-la dalla quale siamo attor-niati. Marco racconta la sua avventura nel Milan, mentre si chiacchiera del più e del meno. “Prima di andare alla società rossonera ero stato opzionato da alcune squadre di A e B, la Reggina, il Parma, l’Udinese. Con quest’ultima

A soli quattordici anni è riuscito in un’im-presa quasi impossi-

bile per un giovane calcia-tore: essere acquistato dal Milan. Un sogno. Un sogno fantastico per il belpassese Marco Signorello, portiere, un metro e 85 di altezza, un ragazzo dalle doti ecceziona-li. Semplice nei gesti, tran-quillo nella vita, senza grilli per la testa, Marco è un tipo timido e anche simpatico. Di quella simpatia naturale e spontanea che è preroga-tiva delle persone che fanno la battuta giusta al momento giusto e poi, in silenzio, pre-feriscono ascoltare gli altri. Dopo alcuni anni trascorsi nella scuola calcio della Figc (Federazione italiana gioco calcio) con il prof. Orazio Prezzavento, ex portiere della gloriosa Belpassese e straor-dinario talent scout di giova-ni calciatori, e un anno con il Belpasso allenato da Mario Russo, Marco da quest’estate si trova nella città lombarda a vivere questo sogno fantasti-co e magico che mai avrebbe potuto immaginare di vivere. Il suo destino, forse per mera coincidenza o forse per una formula chimica misteriosa,

DA BELPASSO AL MILANA sinistra, Marco Signorello. A destra, i Giovanissimi del Milan: Marco Signorello con la maglietta verde. A destra con l’ex allenatore Orazio Prezzavento

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calcistico indica lo spazio ri-masto libero, che somiglia a un raggio di luce che bisogna immediatamente coprire”. Poi la discussione scivola inevitabilmente sugli inizi, sul suo maestro Orazio Prez-zavento, che Marco nomina

sempre: “Gli devo tutto. E’ stato lui a scoprire le mie qualità. Come? Siamo ami-ci di famiglia da tanti anni. Con papà sono cresciuti in-sieme. Un giorno, mentre eravamo ad una scampagna-ta, ci mettemmo a giocare al pallone. Avevo cinque anni. Arrivò uno spiovente e mi venne naturale bloccarlo con le mani: con i pollici uniti, come i portieri veri, solo che a me mai nessuno aveva det-to di fare in quel modo. Era la prima volta che paravo. Orazio disse subito: ‘Questo deve fare il portiere’”. Ma-rio e Rosalba lo ascoltano e lo guardano con orgoglio, estasiati. Per loro, Marco, è ancora il bambino di sem-pre. Da quando si è trasferi-to a Milano, a casa è tornato un paio di volte e ogni vol-ta lo hanno trovato più alto e più uomo: c’è in loro la strana sensazione di parlare con quel ragazzino appena uscito dalla scuola media che

non pensava assolutamente quale sorpresa gli avrebbe riservato il destino. Mario, specialmente, da sportivo autentico, ha sempre segui-to questi tre figli in piscina e nei campi di calcio, e in cuor suo ha sempre sognato un futuro per loro, ma forse neanche lui pensava di arri-vare fino a questo punto. Ro-salba pure, giornate intere ad accompagnare questi ragazzi

MARCO SIGNORELLO,

14 ANNI, ACQUISTATO

DALLA SOCIETÀ ROSSONERA.I PRIMI MESI

A MILANO di Luciano Mirone

DA BELPASSO AL MILAN fra il “Cibalino” di Catania e le varie vasche della provin-cia. Forse è in lei che si nota maggiormente quel tenero desiderio che hanno tutte le mamme del mondo di vede-re i propri figli sempre bam-bini. Sono le dieci di sera, il ragazzo ha cenato e domani, di prima mattina, avrà l’ae-reo per Milano. “Marco, pri-ma di andare a letto, li lavi i dentini?”.

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CarnevaleAcireale

IL RE DEI CARRISTI DI ACIREALEqueste maestose sculture di cartapesta alte quindici metri ci sono mesi di sudore che impegnano decine di mae-stranze. Sono stati utilizzati una tonnellata di carta, due tonnellate di ferro, settemila lampadine. Su ogni carro sali-ranno circa trenta persone.In questo momento gli arti-giani stanno dando gli ulti-mi ritocchi alle loro opere: una mano di vernice al ber-retto, una messa a punto alle luci del carro, un pizzico di colore alle sculture in minia-tura, anche queste preziose testimonianze di artigianato locale. Insomma, il quartier generale del carnevale di Aci-

reale è in grande fermento: nell’aria si avverte quel pizzi-co di emozione che precede la serata inaugurale. Qualcu-no borbotta contro la giuria, qualche altro spiega come si lavora l’argilla, qualche altro fa la differenza fra i carri di un tempo e i carri di oggi. Non c’è quella competizione che ci aspettavamo: “Fino ad alcuni anni fa, a volte, a cau-sa del carro non ci si salutava nella stessa famiglia. Adesso molte cose sono cambiate”, spiega qualcuno. Giovanni Coco si trova nel suo capan-none e sta collaudando alcune parti meccaniche . “In questo momento ho paura. La solita

soffermarci su un personaggio che in un trentennio ha stabi-lito un eccezionale record di vittorie.Coco lo incontriamo in uno dei capannoni che il Comune ha approntato in un’area adi-bita precedentemente ad au-toparco. E’ una fredda serata di febbraio, i carri si trovano all’interno dei silos, pronti a fare bella mostra durante le sfilate. Il colpo d’occhio è stu-pendo. Solo chi comprende le sottili differenze fra le varie opere capisce che i carri non sono tutti allo stesso livello. Ma per noi, che addetti ai la-vori non siamo, sono tutti di straordinaria bellezza. Dietro

Da quasi trent’anni è il dominatore asso-luto della sfilata dei

carri allegorici. Dall’82 non c’è edizione nella quale non riesca ad aggiudicarsi contem-poraneamente il primo e il se-condo premio con i carri che realizza. Per l’immaginario collettivo Giovanni Coco rap-presenta ciò che in altre epo-che furono Sebastiano Longo e Giovanni Lizzio: un simbo-lo dell’artigianato acese che, attraverso il carro, ha dato prestigio alla sua città. Non ce ne vogliano gli altri carristi se per questa volta parliamo solo di lui. Non è per metterli in secondo piano. Ma solo per

DA QUASI TRENT’ANNI

GIOVANNI COCO È IL

PROTAGONI-STA DELLE OPERE DI

CARTAPESTA

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Per assistere alla realizzazione del carro marinavo la scuola. Mia madre era disperata, spes-so mi picchiava, ma non c’era niente da fare, fin da bambino sentivo il richiamo del carro, una specie di sacro fuoco che non mi ha mai abbandonato. Allora ho capito che la mia strada sarebbe stata questa”. “Col tempo ho elaborato un modo del tutto personale di realizzare le sculture. Nei pri-mi anni mi piazzavo agli ul-timi posti, i miei colleghi mi dicevano che ero bravo, in realtà erano troppo generosi. La svolta avvenne all’inizio degli anni Ottanta, quando

paura di affrontare la folla. È una sensazione che mi porto dentro fin dal 1976, quando sfilai per la prima volta”.Entriamo nel capannone, dove in due locali separati si stanno costruendo i carri. Ar-riviamo in una stanzetta che Coco ha adibito a studio, e cominciamo la discussione, mentre i suoi collaborato-ri lavorano a pieno ritmo e parlano ad alta voce: “U faru ha cascari ‘o centru”. “A staf-fa mettila ‘cca”. Coco dice: “Vicino alla mia casa abitava il maestro Sebastiano Longo.

feci il servizio militare in un comune a pochi chilometri da Viareggio. Per un anno fre-quentai i carristi toscani, non per copiare la loro arte, ma per apprendere certe tecniche compatibili con la nostra tra-dizione. Compresi una cosa: il disegno, una volta realizzato, non va modificato. Nell’82 tornai ad Acireale, costruii il carro ed arrivai secondo. Da quel momento ho conseguito dei successi straordinari. Il se-greto? Mettersi continuamen-te in discussione, fare sempre autocritica”. Il figlio di 14 anni ascolta e resta affascinato dalle parole del padre. Segue atten-tamente il suo discorso e non perde una frase. Ti piacerebbe fare il carrista?, gli chiediamo. Guarda il padre e col capo dice timidamente di sì. E lei, signor Coco, vorrebbe che un giorno i suoi figli seguissero le sue orme? L’artigiano accenna un sorriso, poi diventa serio: “Sono combattuto. I carristi sono incompresi e abbando-nati al loro destino. Quando sfili la gente ti applaude, dal giorno dopo si dimentica di te. I signori politici non ca-piscono che se al carnevale di Acireale viene tutta questa gente è grazie al nostro sacrifi-cio e alla nostra arte”. Si alza, si avvia verso lo scaffale e cerca qualcosa: “Vede questa rivista a colori? E’ interamente dedi-cata ai carri di Viareggio, anzi, più che ai carri è dedicata al

carristi. In ogni pagina un ar-ticolo su un artigiano locale, con tanto di foto. Sono pic-cole cose, lo so, ma sono delle attestazioni di stima che grati-ficano un lavoratore. Ora, ve-dete, io non vorrei la luna. Ma solo dei riconoscimenti sim-bolici per noi carristi. ‘Sim-bolici’, tengo a sottolineare. Dicevo: sono combattuto. Da un lato non vorrei che i miei figli continuassero la mia atti-vità, dall’altro sì: ho dedicato una vita a questo lavoro, mi piacerebbe che qualcuno con-tinuasse la tradizione di fami-glia”. Ripone la rivista nello scaffale e mostra con orgoglio le foto che ritraggono le sue opere: “La soddisfazione più grande? Nell’89, quando il mio carro varcò l’oceano e sfi-lò a St. Marteen, nei Caraibi, dove si aggiudicò il Concorso internazionale del carneva-le. Fortunatamente l’ultimo quarto di secolo è stato denso di soddisfazioni. Il carro è gio-ia, allegria, amarezza, pianto. La delusione maggiore l’ho avuta nel ’94, quando dopo

IL RE DEI CARRISTI DI ACIREALE

tanti mesi di lavoro, per un motivo fortuito, il carro si in-cendiò ad una settimana dalla sfilata. Allora cercai di spe-gnerlo col mio corpo, ma non ci fu nulla da fare. Fui assalito dallo sconforto, dalla dispera-zione. Quando andai a casa e raccontai tutto ai miei fami-liari, la bambina di sei anni cominciò a piangere: ‘E ora unni acchianu?’. I grandi non possono capire la felicità che prova un bambino quando sale su un carro. Non dormii per tutta la notte. La mattina dopo tornai al capannone, ri-unii i miei amici, e dissi: ‘Si fa il carro’. Lavorammo inces-santemente per otto giorni e otto notti. Alla fine riuscim-mo a partecipare alla manife-stazione. L’opera si intitolava: ‘Nonostante tutto eccomi qua. Raffigurava due facce: da un lato il diavolo che aveva causato l’incendio, da un al-tro il clown che rappresentava l’allegria, la rinascita, la vita. Arrivammo terzi, ma per me fu una grande vittoria”.

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TUTTO COMINCIÒ QUANDO...limoni durante il periodo di “carnelivari” a causa di gravi fatti (feriti e danni alle cose) accaduti negli anni prece-denti.Tale usanza è tutt’oggi in voga nella lontana Ivrea. Agli inizi del ‘700 il carne-vale acese andò raffinandosi

e arricchendosi di una cari-ca di ilarità grazie anche agli “abbatazzi”, poeti popolari abili nell’improvvisare spas-sose rime per le strade e nelle piazze.Nell’Ottocento il carneva-le compì un salto di quali-tà con l’introduzione della

nel territorio di Aci vi era l’usanza di duellare a suon di uova marce e agrumi per le strade, divertimento preferi-to. Nel 1612 un bando del-la Corte criminale di “Jaci” vieta categoricamente ai cit-tadini di qualunque ceto, di “giocare” al tiro di arance e

Il Carnevale di Acireale vanta un’antica tradizione e già dalla fine del’500 se ne parla.A quei tempi aveva ancora il carattere di una manifesta-zione spontanea e la parteci-pazione di popolo era pres-soché totale. Già nel 1600

CarnevaleAcireale

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TUTTO COMINCIÒ QUANDO...

“cassariata”, sfilata di “lan-do”, carrozze trainate da ca-valli riservati ai nobili della città che lanciavano raffiche di confetti agli spettatori. Negli angoli di ogni stra-da bizzarri e spiritosi giochi popolari, come l’albero della cuccagna, il tiro alla fune e la corsa con i sacchi, giochi tornati alla ribalta da diversi anni.Ma è solo alla fine degli anni venti che per il carnevale di Acireale avviene la grande svolta: un forte richiamo turistico di autentico valore folklorico. All’inizio degli anni trenta invece entrano

in scena le maschere in car-tapesta, che poi si trasforma-no in carri allegorici trainati dai buoi, contornati da per-sonaggi e gruppi satirici in movimento.Un tocco di eleganza e di vivacità al carnevale di Aci-reale viene conferito dalle macchine infiorate: le prime automobili addobbate ri-chiamano il ruolo ricoperto dai “lando” durante l’Otto-cento. Nel 1948 entra nel novero delle più rinomate manifestazioni a livello in-ternazionale. E’ così da 70

anni che il carnevale di Aci-reale viene definito come il “più bello della Sicilia”: ogni anno i carri allegorico-grot-teschi realizzati in cartapesta e quelli infiorati vengono realizzati senza alcun rispar-mio di estro creativo.Ad Acireale i primi carri allegorici furono realizzati intorno al 1880. Nel corso di quest’ultimo secolo, di-versi altri cantieri si sono avvicendati per arricchire sempre più il nostro carne-vale, tra questi ricordiamo: Carlo Papa, Giuseppe Lon-go (1883) Sebastiano Longo (1908-1993) Luciano Gras-so detto “Neddu”, Giovanni Condorelli e tanti altri.Nel 1930 per la prima volta furono allestite delle auto-vetture ricoperte di fiori, ma solo nel dopoguerra, si ha la creazione del “soggetto” infiorato posto sulle auto-vetture del tempo. Con fan-tasia personale ed un tocco di maestria, i partecipanti al concorso curavano e realiz-zavano i loro “soggetti”.Ai giorni nostri, alle macchi-ne infiorate si potrebbe dare la denominazione di “carri floreali”, che non sono da meno, per tecnica, elabora-zione e bellezza, ai carri di cartapesta, vanto del più bel carnevale di Sicilia.

Tratto da: www.editorialeago-ra.it; www.ilficodindia.it

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