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DIOCESI DI TEANO – CALVI Esercizi Spirituali

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DIOCESI DI TEANO – CALVI

Esercizi Spirituali

Casa Divin Maestro

Ariccia, 13-16 Aprile 2015

Lc 24, 13-35

In quello stesso giorno, il primo della settimana, due dei discepoli erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l'hanno visto». Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Lunedì

Introduzione

Innanzitutto benvenuti.Do qualche nota organizzativa che è sempre utile, sia per chi (e ce n’è qualcuno) faccia gli Esercizi per la prima volta, “repetita iuvant” per coloro che sono veterani di questa esperienza.Innanzitutto il benvenuto lo do a tutti in una maniera calorosa. In questi giorni siamo ospitati in questa casa, ma siete ospitati anche nel mio cuore. Molti di voi, tutti credo, lo siate già: avete già un posto, ma gli Esercizi Spirituali, come molti di voi sanno, poi diventa un’esperienza particolarissima d’appartenenza. Ci si appartiene più in questi giorni di quanto non accada nelle nostre relazioni feriali.I punti di partenza sono diversi, c’è gran parte che rientra sotto il titolo di Diocesi di Teano-Calvi, e quindi benvenuti ai teanesi e a quelli provenienti dalle parrocchie della Diocesi, poi c’è una parte proveniente da Sorrento e dintorni, poi c’è Palermo (con due “P”, come sempre!). Devo dire che la vostra partenza da Palermo, improvvisata in tempi così ristretti, è per me una sorta di stimolazione ulteriore, perché pensare che siate venuti in aereo mentre altri hanno avuto possibilità più immediate, più semplici, di convergenza, di convenire a questo luogo, è per noi uno stimolo non indifferente e ci unisce ancora di più, affratella ancora di più queste Chiese e, proprio questa sala, questa casa, gli anni scorsi, quando voi eravate ordinandi diaconi e poi presbiteri, con gli altri vostri giovani confratelli, ha unito in qualche maniera le nostre Chiese. Appena giovedì pomeriggio ero a colloquio (sia pure veloce) con il vostro Cardinale. Provenienza Napoli, don Ciro, e Salerno due sacerdoti. Ecco, questa la geografia.Ci impegniamo (come sempre sono un po’ “terrorista” all’inizio degli esercizi, per evitare fraintendimenti) a partire da ora fino a giovedì mattina, è un tempo molto breve come vedete ma fecondo, se lo vivremo in maniera radicale, ci impegniamo ad un silenzio totale, che significa: di parola, di comunicazioni varie, di telefonini, di computer, di qualsiasi tipo. Questa è una “conditio sine qua non” per la fecondità. Il motivo è l’incontro con la Parola di Dio, che normalmente nella nostra ferialità è osteggiato o ridotto o parcellizzato da interventi, da incursioni dall’esterno. A chi faccia per la prima volta l’esperienza degli esercizi, verrebbe da dire: ma cos’è questo silenzio? (Penso ad Angelo, che è l’architetto della nostra curia, come ad altri). Ma a che serve questo silenzio così radicale? Serve a tagliare, a potare ogni altra relazione per celebrare questa relazione con Dio, che è il motivo conduttore e il tema dominante della nostra vita, nonostante noi normalmente facciamo altro.Come sempre vi invito, oltre al testo che io tra poco vi consegnerò, ad avere un vostro quaderno degli appunti, una penna, dei fogli, un quaderno su cui appuntare delle cose, altrimenti rischiamo di perdere nel tempo gli effetti di quello che in questo momento, in questo luogo, ci appare chiaro.Vi ringrazio anche della tempestività, perché questo corso è stato pensato il Venerdì Santo scorso, quindi appena quindici giorni fa, poi ho fatto una telefonata, poi s’è trovato questo buco dove saremmo stati soli, e poi sono partite, grazie a Carmen e a Nello, tutte le comunicazioni veloci, ma di mezzo c’è stata la Pasqua e quindi essere qui in tanti (comunque siamo quasi novanta!), in tempi così ristretti, è anche questo un miracolo.Per l’aspetto amministrativo, credo che il gruppo della penisola abbia già fatto riferimento a Maria Laura, gli altri a Massimo Sorvillo, ma vi prego di non assillarlo durante gli Esercizi, quindi come dice Gesù a Giuda: quello che devi fare, fallo presto! Nel giro di trenta secondi, nello spazio che comunque sarà di silenzio, che intercorre tra questa introduzione e la celebrazione del Vespro. Queste prime ore le vivremo così, questo primo momento un po’ per guardarci, salutarci con lo sguardo, accoglierci, poi faremo un piccolo stacco di tempo, quindi la celebrazione del Vespro con un primo assaggio di meditazione, poi la cena alle 19.30, poi veniamo verso le 21 per la Celebrazione Eucaristica, e così ci immettiamo appieno negli Esercizi.

Il voler avere a tutti i costi questa casa, tra l’altro costosa come qualcuno di voi purtroppo sa, è … (io non so neanche se riesco a comunicarvi questa preoccupazione) è offrire il miglior albergo all’anima. Normalmente all’anima noi al massimo che vada bene offriamo una locanda, direbbe Santa Teresa d’Avila “d’infima categoria”. Lei descriveva così la vita, dice: “la vita è una notte insonne trascorsa in una pessima locanda”, e potete immaginare nel 1500 come fossero le locande! Quindi questa la nostra esistenza, e questo è anche lo spazio, più che il tempo (perché è importante anche lo spazio), che noi dedichiamo all’anima e alle cose di Dio, le cose spirituali, normalmente è uno spazio squallido: angoli polverosi, situazioni … Da quando ho visto questa casa me ne sono innamorato, come vi siete accorti, e benché l’investimento sia di tutto rispetto, ovviamente è il lago che mi attira. Sono stato qui l’altro ieri, venerdì scorso per una conferenza, e appena arrivato ho detto: vado un attimo a prendere ispirazione dal lago, altrimenti non riesco a spiccicare parola!Noi abbiamo già santificato … basterebbe dire che da due anni viene qui anche il papa Francesco con tutta la sua (una volta si sarebbe detto “corte”, ma se lo dicessimo oggi si strapperebbe le vesti!), diciamo con la Curia Romana, da due anni come sapete viene qui a fare gli Esercizi, ma noi frequentiamo questa casa credo da almeno cinque anni, e quindi nelle mura, nel perimetro del lago, nelle acque del lago, nella villa disabitata di Castel Gandolfo che abbiamo di fronte, negli alberi, nel parco, nelle stanze, ecc., si è in qualche maniera sedimentata una grazia che è passata anche attraverso di noi. Mi direte che sono il solito romantico, ma queste cose per la verità mi fanno vivere. Ovviamente le dico per me, magari per voi saranno romanticherie e quindi non hanno neanche dignità d’essere ascoltate, e allora avere un posto eccezionale (perché questo è un posto eccezionale) per l’anima, significa investire per ciò che più conta.Io sono venuto con un gruppetto di preti con cui facevamo in passato dei corsi di Esercizi, una volta abbiamo preso anche l’aereo per andare in Val d’Aosta, se ricordo bene, dicevo: un giorno organizzeremo un corso d’Esercizi all’estero, prenderemo un aereo e saremo catapultati in un castello della Foresta Nera. E qualcuno potrebbe obiettare: ma tutto questo dispendio non è eccessivo? E la risposta è: no, quando si tratta dell’anima. Pensate anche a tutto il tempo, le strutture mediche e non, che noi offriamo al corpo, e questo non per cadere nel dualismo platonico, e il tempo e la qualità degli spazi che offriamo all’anima.Questo vuole essere un buon investimento, uno di voi ha detto: io rinuncio a una vacanza e investo questa piccola somma per un corso di Esercizi. È una bellissima testimonianza di chi ha capito cosa conti veramente. I preti presenti, ve ne sono diversi, sanno bene che questo ragionamento non appartiene assolutamente al vocabolario e al frasario comune.Il metodo lo conoscete, per chi fosse nuovo: sarete condotti per mano, passo passo nella falsariga, in margine, a ridosso di un solo brano biblico, fatta eccezione ovviamente per i Salmi e per le Letture della Messa, noi utilizzeremo un solo brano, che farà da motivo conduttore e da vera anima di questo nostro corso, lo scoprirete adesso che uscendo vi consegnerò (e sarà un modo per guardarci negli occhi un attimo) il testo, il libretto dove ci sono i canti e le preghiere di questi giorni.Utilizzate bene queste ore. Adesso c’è il disagio dell’ingresso, che è sempre molto forte, perché è come una frenata brusca. Ci spinge in avanti, ci sembra che abbiamo lasciato cose importanti, penso ai preti che hanno lasciato le parrocchie, voi le famiglie, io la Diocesi … Forse è stata una tentazione, non dovevo venire, non dovevo … e io non dovevo organizzare questa cosa, magari era caduta nel dimenticatoio, è bene che tu la lasciassi così …! Tentazioni da vincere in queste ore! Dire: sono qui, è un dono che Dio mi fa, è un dono che io offro a me stesso, voglio godermi questa vacanza dell’anima. D’altra parte, basta anche semplicemente che vi poniate a passeggio lento, lento!, per il parco, per i viali, per il Miralago della casa, o semplicemente stare in Cappella, o in camera, questo già basta, a dire: desidero (questi sono gli obiettivi degli Esercizi, sono due) ritrovare Dio, desidero ritrovare me stesso. Sembrano due obiettivi diversi, in realtà sono un solo obiettivo, perché chi trova Dio trova anche se stesso, e chi trova veramente se stesso trova anche Dio. Lo diceva, con un’espressione sintetica, Agostino vescovo di Ippona con:«Noverim Te ut noverim me, noverim me ut noverim Te», cioè: che io Ti conosca per conoscermi, che io mi conosca per conoscerTi. Questo è un tema enorme, che potrebbe essere oggetto di un convegno o di

un Corso di Esercizi: l’umanesimo non è contrapposto alla Teologia. Questa scissione, se mi si permette la parentesi, a partire dal 1400 circa ad oggi, ci ha portato nei problemi, nei pantani nei quali la nostra cultura sta vivendo dei drammi. Pensare erroneamente che Dio sia nemico dell’uomo: aut aut, o Dio o l’uomo. O ti dai a Dio, o ti dai al mondo, come dicevano i nsotri antichi. Invece è vero: “et et”, non “aut aut”. “Et et” significa che Dio e l’uomo sono compagni di viaggio, come ci dirà il Vangelo che mediteremo in questi giorni, e incontrando l’uno si incontra anche l’altro. Concludendo, il mio invito è: aiutiamoci gli uni gli altri, anche se non ci conosciamo, incontrandoci, sfiorandoci con lo sguardo, pregando gli uni per gli altri, diciamo: questa volta deve essere la volta giusta (per chi abbia già fatto altre esperienze) o: questo è un cammino senza ritorno; qui poniamo un punto, come mi diceva uno di voi, da cui non deflettere mai più. Sembrano espressioni forti, ma esprimono una volontà, la volontà di lasciarsi permeare da Dio, perché noi ne abbiamo paura tutti, anche noi preti. Ho paura che Dio, venendo, entrando eccessivamente nella nostra vita, possa toglierci qualcosa, possa chiederci dei sacrifici, possa sminuire la nostra umanità, la nostra mascolinità, la nostra femminilità, la nostra coniugalità, la nostra umanità. Invece tu sarai un uomo vero, tu sarai una vera donna, solo all’atto in cui Dio prenderà possesso della tua vita.Ciò detto, devo solo ricordarvi che anche se mi dovrete sopportare a colazione, pranzo e cena (inutile dire che saranno fatti in silenzio, con sottofondo musicale), e quindi in qualche maniera mi odierete anche forse per gli eccessivi interventi, il vero Protagonista, cioè Colui che comunica, il vero Attore, se di una compagnia si tratta (di questa compagnia fa parte Felice che ringrazio nuovamente per tutta la pazienza che ha nel seguirmi in certi passaggi di tracciato spirituale), di questa compagnia il regista per eccellenza è lo Spirito Santo, perché Esercizi Spirituali (ricordo ancora una volta), non sono Esercizi “dello” spirito, ma sono Esercizi “nello” Spirito Santo, per cui “Spirituali” va maiuscolo per dire: gli Esercizi guidati dallo Spirito Santo.Vi chiedo anche con forza, ma è una preghiera interessata quella che farete, di pregare per me, non solo perché non vi dica sciocchezze, perché ovviamente il pericolo c’è, perché a mia volta mi lasci guidare. Io ho scelto il brano, ma non so a tutt’oggi, tutt’ora, cosa concretamente dirvi. Questa vi sembrerà una confessione d’impreparazione, in realtà è una confessione di fede … Sul vangelo che ho scelto per questi Esercizi ho anche fatto un intero mese di predicazione, quand’ero parroco a Piano, ma questo non toglie nulla e non dice nulla rispetto a quello che qui anche attraverso il semplice guardarvi, il guardarci, creando uno spazio di relazione spirituale, non ha nulla a che vedere con quello che qui si produrrà intorno a questo brano: perché siamo noi e non altri, perché è aprile e non è ancora fiorito l’albero di Giuda (l’altro giorno l’ho visto e ho detto: ecco, sta aspettando noi! Mi ha commosso questo ritardo, normalmente a fine marzo era già bello e fiorito, e noi invocavamo la fioritura, la vedevamo verificarsi giorno per giorno). Quello che avviene adesso è unico e irripetibile! Io di questo ho una percezione fortissima, e per questo motivo mi lascio andare come impreparato, come una vela. Io adesso alzo la vela, Dante (non lui, che pure si chiama Dante!) Alighieri comincia la seconda Cantica, quella del Purgatorio: “Per correr miglior acque, alza le vele la navicella del mio ingegno”. In questo momento la mia percezione, e ve la consegno, è quella di una vela che si alza e che aspetta il vento per ingravidarsi, per trainare. Magari potrei aver la percezione in questo istante di non poter trainare neanche me stesso, tantomeno novanta persone, invece cammineremo sulle acque, eleganti come un panfilo, perché lo Spirito entra e allarga questo grembo che è la vela di chi guida, ma una vela senza vento è del tutto inutile, e non fa spostare neanche di un centimetro la barca. Qui c’è Raffaele Kevin che ritrovo da giovanissimo a non so se primo ufficiale o capitano, e ovviamente le navi non vanno più a vela, ma queste cose le sa molto meglio di me.Queste le cose che avevo da dirvi, vi auguro buon viaggio. Prendiamo a volo (ho scritto nell’introduzione brevissima, perché anche il libretto è stato prodotto in 24 ore!) questa grazia, perché forse la grazia pasquale è così, una grazia di corsa, una grazia da afferrare in un attimo a volo, perché se ci pensi su più d’una volta, passa e tu non la cogli e lei non ti raccoglie.

Un attimo di silenzio, poi cantiamo insieme “Vieni vieni Spirito d’Amore”, ed entriamo in questo grande silenzio, silentium magnum.

CantoAdesso passate uno alla volta qui, potete anche tornare a posto o andarvene fuori per prendere questo libretto che farà un po’ da “vademecum”, da accompagnatore, da companatico … cum panis. Qualcuno dice che “compagno” viene anche da “cum panis”, quindi farà da compagno nel nostro cammino. Noi ci rivediamo qui, sia che rimaniate, sia che andiate fuori, alle 18.50, ovviamente sugli orari sarò tassativo, cioè nel senso che inizierò anche se non ci dovesse essere nessuno, per il Vespro.

Vespri

(Commento alla lettura del Vangelo: i discepoli di Emmaus)

Anche se semplicemente noi di continuo ascoltassimo questo vangelo senza commento, questi giorni avrebbero senso. Voglio dire che la semplice proclamazione della Parola già dice, già muove, già commuove, già orienta i pensieri, la preghiera …Gli altri anni ci siamo riuniti, era prima di Pasqua, sempre su racconti, personaggi della Passione, racconti del Passio a seconda dell’Anno Liturgico, Luca, Marco, Matteo. Ovviamente incontrandoci nell’immediato, Pasqua era ancora appena ieri ed è stata per tutta la settimana, non potevamo non avere dinnanzi un’icona pasquale, e questa dei discepoli di Emmaus è in assoluto la più conosciuta ma anche la più umana e la più articolata, come andremo a scoprire passo passo in questi giorni.In questo primo assaggio (si tratta solo di qualche minuto stasera), guardiamo questi due. Non sappiamo ancora i loro nomi, sappiamo che uno di loro si chiama Cleopa, lo dice l’Evangelista a metà, sono due uomini che camminano.Immaginate questa scena, immaginate questa strada, e ci fermiamo su questo particolare. In fondo, tutto questo vangelo è un vangelo itinerante, la storia di un cammino, di un cammino esteriore dove ci sono rumori di passi, dove c’è polvere di strada, dove ci sono parole, ma soprattutto un cammino interiore.Vorrei attirare la vostra attenzione sulla categoria del cammino, astraendo, a dire che stiamo camminando … lo potrei dire con un esclamativo, potrei consegnarvelo con un interrogativo. Stiamo camminando! Stiamo camminando? E da quanti anni camminiamo? Camminiamo da quell’istante in cui un ovulo fu fecondato, attraversato da uno spermatozoo. È cominciato così il nostro cammino, comincia così il cammino dell’uomo.La prima foto di un ovulo fecondato ricordo che si intitolava: “Foto di un campione”, a dire la lotta che gli spermatozoi fanno tra loro per vincere la corsa. Quindi “Foto di un campione” (parlo degli anni settanta, quando si facevano queste prime foto intrauterine) sembra la foto di un arrivo, e in effetti lo è, è di chi siede per primo sul trono, non c’è posto per due, ma in fondo è l’inizio di un cammino. Stiamo camminando da tanti anni: forse siamo stanchi? Forse siamo desiderosi di camminare ancora? Forse vorremmo fermarci? Forse ci siamo fermati? Forse stiamo andando indietro?, è una serie di domande che vi consegno, più che una riflessione articolata, un po’ a provocare e a intrigare la vostra attenzione.Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino. Poi scopriremo, come d’altra parte già sappiamo, che la loro era una ritirata: stavano tornando indietro, stavano regredendo, si stavano allontanando da Gerusalemme, luogo verso cui Gesù ha diretto i Suoi passi a lungo, nei pellegrinaggi che ha fatto nella Sua vita, ma in particolare nell’ultimo pellegrinaggio, e quindi stanno girando le spalle a un mistero, a un dono.Do un avvio a una riflessione che spero continuiate durante la cena, e poi durante la notte, per chi dovesse soffrire d’insonnia, su questa dimensione del camminare propria dell’uomo. Qui ci sono Arnaldo e Giovanna, che sono Capi Scout, e quindi sanno bene quanto sia importante educare (la pedagogia scout ha al centro la strada, il camminare), quanto sia importante educare a camminare. Chi fra voi abbia un nipotino piccolo, un bambino, un figlio, sa questo miracolo dei primi passi del bambino che, da carponi, si alza un bel giorno e tutti ad applaudire come se fosse un miracolo, ed è un miracolo! Non cammina più a gattoni, ma adesso fa i primi passi … perché l’uomo è un uomo che cammina. Ecco, in queste ore dovremmo riprendere il cammino, se lo abbiamo rallentato o addirittura fermato o invertito di rotta. Quanti cammini interrotti oggi! Ieri (parlo di cinquant’anni fa) delle persone si mettevano in cammino e quasi certamente tu eri sicuro che quei figli sarebbero andati avanti fino alla morte insieme … parlo di un cammino di coppia; oggi qualsiasi prete che benedica le nozze di due sposi si chiede: ma questi due quanto dureranno?

Vedete quanti sentieri interrotti anche nelle nostre vite: amicizie, relazioni, intese, che sembravano promettere cose grandi, e che a un certo punto si affievoliscono e muoiono. La vita dell’uomo oggi sembra piuttosto segmentata, una serie di segmenti. Raffaele che fa lo psicoterapeuta (ovviamente in questi giorni non lo utilizzeremo per la sua competenza) probabilmente si vede arrivare delle persone che gli portano dei segmenti, come un bambino che arrivi con un giocattolo rotto e dice: e adesso? E al genitore verrebbe da dire: eh, ma l’hai rotto tu! (ovviamente non si può dire al bambino …) Vediamo di mettere insieme questi segmenti in una maniera intelligente, in una maniera saggia, in una maniera costruttiva. Forse dire un cammino “segmentato” può essere anche esagerato, addirittura parliamo di un cammino “puntuale”, cioè tanti punti disordinati.Vedete, gli Esercizi hanno (già dai tempi di Sant’Ignazio) la finalità di ordinare la vita, non nel senso del Sacramento dell’Ordine, ma di mettere ordine nella vita, una vita dove c’è un’accozzaglia di cose, forse va fatto un po’ di ordine in questa stanza del mio cuore, della mia vita, e quindi mi chiedo, guardando questi due che camminano e neanche ancora mi chiedo dove stiano andando, da dove vengano, ma lo chiedo a me: tu da dove vieni? Com’è andata questa Pasqua? Com’è andata la Quaresima? Come va il cammino della tua famiglia, oltre che il tuo cammino personale? Come va il cammino della tua comunità parrocchiale? Come va il cammino della tua Diocesi? I palermitani potrebbero rispondere: Eh, ma sa, stiamo sempre con la “spada di Damocle”, da un giorno all’altro, ogni sabato ci aspettiamo che ci dicano chi sia il nuovo arcivescovo, allora adesso siamo un po’ in stand-by … A volte nella vita succedono di queste cose e noi ci nascondiamo dietro le vicende: eh, quello non ha deciso, questa risposta non è venuta … E restiamo ad aspettare un tram che non viene!Ovviamente l’attenzione va rivolta a noi, ma ho allargato alla famiglia, alla coppia, molti di voi sono sposati: come va la tua coppia? Stiamo camminando, ci stiamo evolvendo, stiamo progredendo … Come vanno i miei figli? E poi i preti: come va la mia parrocchia?Siamo qui certamente per noi, ma il nostro essere qui è anche a nome di tanti. Quindi chi viene da solo, mentre è sposato, ovviamente ci viene con l’altra parte. Fortunati quelli fra voi, tipo Arnaldo e Giovanna, che partecipano in coppia agli Esercizi, e ovviamente è un grande aiuto; ma anche chi è presente al 50% sappia che il beneficio ridonda a favore anche dell’altra parte, dell’altro 50%, così per la famiglia, così per la parrocchia.Ecco, è solo un assaggio, intanto era importante semplicemente ascoltare questa pagina che ci accompagnerà.

Celebrazione Eucaristica

Saluto iniziale“Eccomi” è la risposta di coloro che sono chiamati, chiamati anche agli Esercizi Spirituali. Se siamo qui non è per caso, se siamo noi e non altri non è per caso. E allora questa prima Eucaristia è il nostro “eccomi”, come il giovane Samuele: Signore, mi hai chiamato, eccomi. Parla Signore, che il Tuo servo Ti ascolta. Perché mi hai condotto qui? Cosa hai da dirmi? Cosa devo cambiare nella mia vita? Cosa Ti piace? Cosa non è secondo la Tua volontà? Sono tutti interrogativi che attraverseranno la nostra preghiera, la nostra riflessione in questi pochi ma intensi giorni.Iniziamo con un atto di umiltà. Come sempre ci sentiamo impari, indegni, inadeguati, impossibilitati a celebrare i Santi Misteri a causa dei nostri peccati, ma siamo salvati, perdonati gratuitamente. Confidando nella misericordia di Dio, presentiamo al Signore le nostre colpe.

OmeliaRisalgo volentieri, e al tempo stesso con trepidazione, su questo “podio sinagogale”, come vi ho detto gli altri anni. Faccio mia la preghiera di questa prima comunità. In questi giorni la Chiesa nella Liturgia ci pone a contatto con le prime vicende della comunità cristiana che annuncia Gesù Risorto. Dopo la liberazione di Pietro e Giovanni abbiamo questa esultanza della iniziale e appena nata comunità, che si esprime così: concedi ai tuoi servi (ed è una preghiera che faccio per me e per voi) di proclamare con tutta franchezza la Tua parola, stendendo la Tua mano affinché si compiano guarigioni, segni e prodigi, nel nome del Tuo santo servo Gesù.Chiedo il dono della franchezza, in greco “parresìa”, che significa: dire senza timore, dire senza veli, senza circonlocuzioni. Ma poi stendendo la Tua mano (è detto al Signore) affinché si compiano guarigioni, segni e prodigi.Sappiamo per esperienza, e ne faremo anche in questi giorni, che gli Esercizi sono un momento miracoloso. Non sono i miracoli eclatanti, persone storpie interiormente, “anime curve” (diceva San Bernardo), che vengono riposte in cammino, per dirla con la riflessione appena accennata a Vespro.Avvengono segni e guarigioni, veniamo ammalati e usciamo sani, guariti dalla preghiera, e dalla preghiera intensa degli Esercizi.San Giovanni Crisostomo diceva: sono malato (lui lo diceva anche per la sua passione di predicatore, ma era un richiamo anche agli ascoltatori), predico ed ecco sono guarito. Lo diceva perché era “Bocca d’oro” (Crisostomo significa questo). A dire, spero che sia così per i sacerdoti, che nella proclamazione della Parola guariscono essi stessi dall’essere appassionati alla Parola, sentono che la Parola prima che guarire gli ascoltatori guarisce il predicatore.Quindi invochiamo abbondanti questi segni, queste guarigioni e questi prodigi.In una lettura laica possiamo dire che gli Esercizi sono una “terapia di gruppo”, cioè quello che a volte in anni di terapia avviene (e tra l’altro a pagamento!), a contatto con la Parola accade prodigiosamente. Quindi non abbiate timore di esporre alla luce e al calore della grazia (elioterapia) le vostre piaghe: non le nascondete, ma come i malati del Vangelo gridate a Gesù, che passa in questi giorni, le vostre malattie:«Signore Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!», dice Bartimeo nel Vangelo di Marco, il cieco che siede ai bordi della strada come mendicante.Veniamo a questo vangelo che ci accompagnerà per tutti e tre i giorni, ne avremo (per quelli che seguono la Liturgia feriale) fino a venerdì. Siamo nel Vangelo di Giovanni, capitolo 3. C’è questo incontro segreto, questo abboccamento quando non ci sono fotografi, non ci sono giornalisti, anche perché il personaggio non vuole esporsi, essendo una persona ragguardevole, svolgendo un ruolo all’interno della fede ebraica, Nicodemo. Anche noi siamo un po’ Nicodemo, andiamo da Gesù di notte, di nascosto. Anche questa atmosfera con le luci basse, ve l’ho spiegato altre volte e ve lo ripeto stasera, vuole essere “entrare un po’ nella penombra”. A cena io spegnevo le luci e la cameriera le accendeva, pensando che fosse un incidente, perché come cerchiamo il silenzio delle parole, così dobbiamo anche cercare il silenzio della luce, e il silenzio della luce è l’ombra, la penombra. Si vedono molte più cose in penombra che in luce piena, in luce fortissima.

Forse è anche il senso di questo incontro che, non solo per motivi politico-religiosi ma anche per motivi spirituali, avviene di notte. Di notte si dorme, penserete! Di notte si ama, ci si ama. Le cose importanti si fanno di notte, e quindi di notte si incontra Gesù! Questo incontro è anche un incontro d’amore, è anche l’incontro di uno che deve venire alla luce ma adesso è nelle tenebre, è ancora nel grembo materno, è ancora indistinto, è ancora tutto da fare, è appena sbozzato, non è rifinito, e questa è la nostra condizione. Noi stiamo diventando uomini: ancora a sessant’anni per me, e per voi a cinquanta, a trenta, a venti … devo scoprire la più giovane tra voi, credo che sia la nostra solita “mascotte”, ma anche a settanta e a ottanta, stiamo crescendo, siamo in cammino, siamo in gestazione. Ecco, questo esprime l’atmosfera di buio, segreta e anche piena di fascino, di una notte orientale, ricca di stelle, ammantata di silenzio. I discepoli dormono, forse russano, e Gesù è sveglio, aspetta qualcuno, sa che qualcuno verrà a cercarLo, e anch’io Lo cerco, Lo cerco nella notte, Lo cerco (dice Paolo nel discorso all’Aeropago di Atene) come “a tentoni”, come ciechi, e dico: Signore, fatti vedere, rivelami in questa notte come io possa venire alla luce. Nicodemo entra con una sorta di professione di fede: sappiamo che sei venuto da Dio come maestro, infatti fai i segni. Quindi è ben preparato, non è un credente alle prime armi. Gesù come sempre sembra rispondere a sproposito, Gesù non dice: “hai ragione, è vero, o è falso quello che stai dicendo, non ne sei pienamente convinto”, ma comincia un discorso pieno di mistero, e parla di una rinascita. In verità, in verità ti dico (lo dice a me, lo dice a te): se uno non nasce dall’alto non può vedere il Regno di Dio. C’è una visione legata alla filosofia ovviamente, c’è una visione legata al senso ottico, agli occhi, a questo meccanismo così complesso che è il vedere con i nostri occhi di carne, ma poi c’è un’altra visione, e questa visione non si può avere con gli occhiali umani. Con questo decodifico così quello che Gesù inizia a dire: bisogna rinascere, bisogna entrare in un’altra dimensione.Vedete, questo aspetto della rinascita era molto forte in tante religioni, anche in tanti riti. Pensate ai riti raffigurati nelle ville di Pompei (i riti eleusini) dove il candidato, il neofita veniva sottoposto a una serie di prove, doveva attraversare delle difficoltà per essere ammesso tra gli illuminati. Quindi questo aspetto della nascita e della rinascita appartiene al vocabolario religioso universale.Bisogna rinascere, questo è il messaggio che raccolgo stasera per me e per voi, per me e per te. Mi piace sempre rivolgermi a un interlocutore, come se io stessi facendo gli Esercizi a uno solo e non a novanta persone. Gesù dice che devi rinascere, ed ecco che Franco Mastellone, Erminio (che presumo essere quelli un po’ più avanti), Giovanni Paturzo, … (non so se ci siano persone più anziane di loro, dicessero: “Ma com’è, si può rinascere quando uno è vecchio?”. Vedete, questo interrogativo attraversa la Bibbia. Com’è possibile, dice Abramo, che io abbia un figlio? Quindi segno di vita, segno di fecondità. Alla mia età, e mia moglie Sara che è avanti negli anni, e l’ultima mestruazione è di trent’anni fa, quarant’anni fa … C’è sempre questa difficoltà da parte dell’uomo di percepire la nascita nei termini materiali. Sara ride nella tenda quando sente parlare di figli, ride con quel riso amaro di chi ha provato tante volte e si è rassegnato. Può darsi che fra noi ci siano tanti rassegnati che dicano: no, è impossibile. Raffaele Kevin (lo chiamo così perché così lo chiamavamo quand’era giovanissimo, perché assomigliava a quello di “Mamma ho perso l’aereo”, e appartiene alla stirpe dei biondi, il biondo, anche lui non è da meno) magari mi guarda, ci incontriamo dopo tanti anni, e dice: “Ma Arturo, sì, quando stavamo ai campi-scuola ancora ti seguivo, ancora … poi un imbarco, due imbarchi, dieci imbarchi, cinquanta porti, tante ore di navigazione, tanta solitudine … e quelle cose che dicevi, con cui ci facevi sognare (immagino che tu lo pensi) sono impossibili!”. Tanti, Raffaele, come te (non so se tu lo pensi, ma tanti certamente), rispetto ai messaggi ricevuti vent’anni fa, trent’anni fa ai campi-scuola, quando si era adolescenti, incontrando il prete dicono: sì, ma … allora, ma adesso è impossibile! Ecco, questa impossibilità questa sera dobbiamo mettere in crisi: è impossibile che io mi converta, è impossibile che io sia santo, è impossibile che io cambi, è impossibile che io lasci questa abitudine, è impossibile che io torni bambino.

Disse Nicodemo: come può nascere un uomo quando è vecchio? Parliamo di un neonato ma in realtà abbiamo le rughe, abbiamo gli acciacchi, abbiamo i segni degli interventi chirurgici, abbiamo i segni anche delle delusioni che hanno attraversato i nostri anni, che ci hanno invecchiato più degli anni stessi. Che cosa ci ha invecchiato? Parlo ovviamente di quelli ultrasessantenni, tra poco sessantenni, come me. Che cosa ci ha invecchiato? Non i compleanni, ci hanno invecchiato le delusioni, innanzitutto nostre, poi anche quelle degli altri: quelle dei figli, delle persone care ...Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere? E Gesù poi fa riferimento al Battesimo, e dice: se uno non rinasce da acqua e da spirito, non può entrare nel Regno di Dio. Questa nascita non è un optional, non è riservata a pochi eletti, non è un itinerario d’aristocrazia spirituale: è un passaggio obbligato. O nasci, o rinasci, o non entri nel Regno di Dio.Poi c’è questa affermazione che io immagino fatta sottovoce, forse neanche l’ascolta, la sente Nicodemo: quello che nasce dalla carne è carne, che è destinata alla dissoluzione, è destinata al dissolvimento. Ma ciò che nasce dallo Spirito è spirito, cioè quello che nasce dallo Spirito Santo è per sempre, non è temporaneo, non è stagionale. Noi, carissimi, siamo qui per rinascere. Questa casa è una sala parto. Do questa definizione quasi sempre ad Avezzano, per la cappella di Avezzano che per me è stata per trent’anni (trentuno quest’anno) una vera e propria sala parto: ho visto nascere le monache di Orvieto, quelli che oggi sono preti, Genny, don Pasquale il nostro parroco; come di Gerusalemme, si può dire “tutti là sono nati”, ma in qualche maniera questa immagine della sala parto riguarda anche questa casa. Dopo il parto abbiamo il lago per le abluzioni, per lavare il bambino, per rimetterci … e quindi è un itinerario di rinascita, un itinerario battesimale. Qual è la difficoltà? Non è detto qui, ma è chiarissima: è il fatto che per rinascere bisogna morire. Uno non può rinascere restando quello che è. Si rinasce all’atto in cui si fa un punto, si taglia in due una vita e si dice: prima e dopo, prima ero così, poi sono diventato, prima pensavo in questa maniera, adesso … I sacerdoti che sono alle mie spalle, e che sono davanti a voi, hanno vissuto questa esperienza nell’Ordinazione presbiterale. Quando si stesero a terra, Fabrizio appena due mesi fa, è il prete più piccolo anche se non d’età ma certamente di presbiterato, è il “prete bambino”, quando si stesero vollero esprimere … anch’io ovviamente, abbiamo espresso, volevamo esprimere questa morte, cioè: qui adesso finisce una persona, finisce una vita, finisce una giovinezza. Poi dopo, quando ci si alza, soprattutto dopo l’imposizione delle mani, la preghiera di consacrazione, scrosciano gli applausi, le trombe suonano, ecco: è nato, è nato! C’è un bambino, abbiamo un altro prete. Ma questa gioia non può accadere senza una morte, e quindi il vero problema di Nicodemo come il nostro, e concludo, è la disponibilità a morire a quello che eravamo. Ovviamente resta una continuità, come per noi: non siamo cambiati, non abbiamo dovuto cambiare i connotati, ci chiamiamo alla stessa maniera, abbiamo lo stesso timbro di voce, ma è cambiato qualcosa e qualcosa di radicale, tanto che noi diciamo “da allora”, “d’ora in poi”, “Dio porti a compimento l’opera che ha iniziato in te”. Ecco carissimi, se questa Parola avviene stasera, ci viene donata (non ho voluto cambiare le Letture della messa quest’anno), significa che a questo siamo chiamati, a questo sono chiamato. Abbi la disponibilità a morire, perché il bambino che entra nel varco del parto entra nella morte, e tante di voi avendo partorito sanno il dolore della madre e immaginano anche il dolore del bambino, che si sente sfinito, strozzare …! Il primo vagito è in qualche maniera un grido di aiuto! Noi lo salutiamo con un applauso, ma nel concreto è: “Salvatemi!”, “Venitemi in aiuto!”, “Help me!”. Quindi come vedete la matrice del parto poi qui viene assunta come matrice spirituale. Bisogna tornare nel grembo, cioè attraversare una morte? E Gesù dice: sì, ovviamente in una maniera diversa, non devi tornare piccolo e rientrare nel grembo di tua madre (lo abbiamo desiderato almeno nei sogni tante volte, quel luogo tranquillo!), ma devi lasciarti gestire, devi entrare in una gestazione di Dio.Vi auguro di dire “sì” a questa terapia, che è una terapia di vita ma che accadrà nella misura in cui sarà anche una terapia di morte. Ci saranno delle volte in cui, magari anche adesso, vorreste

scappare, andar via. È normale! Chiunque sul tavolo operatorio scapperebbe via, se non ci avessero già legato, e intubati magari, scapperemmo via, dicendo: no, ci vediamo un’altra volta! Non ora! È troppo doloroso! … Eppure quell’intervento, eppure quel dolore è risolutivo: non si guarisce senza dolore, non si nasce senza dolore, non si nasce senza morte.Chiediamoci in questa Eucaristia: Signore, illuminami, a che cosa debbo morire? Che cosa debbo abbandonare? Da quale uomo vecchio mi devo distanziare per tornare a essere nuovo, per essere nuovo così come non sono mai stato? Perché non dobbiamo tornare indietro, non dobbiamo tornare bambini, dobbiamo continuare a crescere diventando quel bambino (forse) che non siamo mai stati. Quella dimensione di “infanzia spirituale” di cui Santa Teresa di Gesù Bambino è maestra nei suoi scritti.Ci fermiamo ancora un istante, proprio un attimo, anche se siamo stanchi per il viaggio, il trauma (perché è un trauma fare gli Esercizi) non ci pone nella dimensione più serena per riflettere, però è importante questo messaggio anche perché poi è collegato con quanto Gesù dirà a Nicodemo domani e dopodomani, e non potremo capirlo senza l’ausilio di questo passaggio. Bisogna rinascere. Puoi parlare quanto vuoi, ma ricordati che devi rinascere. C’è qualcosa in te che aspetta d’essere generato, e c’è qualcosa in te che deve morire.Che il Signore ci dia di capire cosa deve nascere e cosa deve morire.

Saluto finaleInnanzitutto andiamo a letto e utilizziamo, per chi rimanga in Cappella a pregare o vada fuori o resti un po’ in camera prima d’addormentarsi, utilizziamo questa invocazione: “Aiutami a rinascere!”, o mastichiamo questa parola detta a Nicodemo: “Devi rinascere dall’alto”. Devo rinascere, c’è qualcosa in me che deve morire.Straordinariamente, l’unico difetto di questa casa è il fatto che alle 21.30 siamo “prigionieri”. Ho ottenuto che si chiudesse la porta alle 22.30, quindi abbiamo mezz’ora per poter circolare, ma ricordatevi che basta andare al piano ultimo del refettorio, e quindi della sala, per uscire fuori. L’importante poi è lasciare aperta la porta, altrimenti restate fuori per tutta la notte. Quindi, chi dovesse uscire per quel lato, metta una sedia o qualcosa che tenga la porta aperta, perché è anche bello guardare il lago “by night”.Vi raccomando molto di prendere sul serio l’impegno del silenzio: non vi fate sconti, non parlottate, non fate commenti. È un aiuto che offrite a voi stessi e agli altri.L’appuntamento per tutti è domattina qui per le Lodi alle 8, invece per chi lo voglia e abbia il testo cartaceo o anche sul telefonino (adesso sono forniti anche di questi programmi!) alle 7.30 recitiamo l’Ufficio delle Letture come sempre davanti al lago, ma nessuno è obbligato, neanche i preti, tanto c’è tempo durante la giornata per pregare la Liturgia delle Ore anche da soli.Quindi, ripeto, per tutti l’appuntamento è qui alle 8, poi dopo andremo a colazione e man mano si dipanerà la giornata.

Martedì

Lodi Mattutine

Commento alla lettura del Vangelo, Pietro e Giovanni al Sepolcro.

Iniziamo questa giornata, questa prima giornata piena. Quello che si vive nelle prime ore e nella prima notte agli Esercizi, come molti di voi sanno, serve a fare da pronao, da introduzione, da preludio. Ci aiuta a mettere il freno alla nostra attività, o meglio al nostro attivismo, per porci in una dimensione di ascolto, non di staticità, ma certamente di ascolto.Ho pensato di iniziare questa giornata con il brano della Risurrezione che abbiamo ascoltato – su cui molti (alcuni) di voi hanno predicato - il giorno di Pasqua, perché il nostro brano di Luca comincia con “ed ecco, in quello stesso giorno”. Nel giorno di Pasqua Gesù compare contemporaneamente, o in ore diverse, a più persone. Comincia con le donne che vanno al Sepolcro, poi Maria Maddalena, poi i discepoli nel Cenacolo, e questa scena (dovete avere davanti questa immagine che è a pagina 2) di Pietro e Giovanni che vanno al Sepolcro, c’è questa scena che non è ancora un incontro personale ma è un incontro con i segni. D’altra parte, anche per noi spesso succede così: la fede è essere a contatto con dei segni. Forse questo in assoluto è il brano più pasquale, almeno pasquale per noi più che per i discepoli duemila anni fa, perché Pietro e Giovanni che vanno al Sepolcro non vedono Gesù, vedono il Sepolcro aperto, il Sepolcro vuoto, i lini, il sudario … cioè vedono dei segni. Noi siamo chiamati a leggere i segni che vediamo: attraverso questi segni (questa è una pedagogia sacramentale nella Chiesa) si giunge poi all’incontro con il Risorto.Secondo il Vangelo di Giovanni, che abbiamo ascoltato, queste prime ore del giorno dopo il sabato, quindi di domenica, di questa Pasqua, vengono vissute in un “corri-corri” generale. Maria di Magdala torna: hanno portato via il Signore. Va da Simon Pietro e da Giovanni, ed essi escono per verificare e a questa scena, a questo momento della corsa è dedicato questo quadro di Bernard che don Pasquale, insieme con cinquanta ministranti, è andato a vedere a Parigi alcuni giorni fa, il vostro parroco; avevano di meta certamente Parigi, ma sono andati per due quadri: questo, perché si è nel Tempo Pasquale, e poi la “Zattera di Medusa” al Louvre.Guardate un attimo questi due volti, queste due persone. Innanzitutto l’autore è riuscito a trasmettere l’idea del moto, pur nella staticità del quadro: come si fa a descrivere un movimento nella staticità della pittura? Un moto che è espresso dall’inclinazione dei corpi, che sono protesi verso una meta, dal movimento delle vesti, dove c’è un senso, si trasmette il vento, ma in particolare dai capelli del giovane e dell’anziano, Giovanni e Pietro, capelli al vento, e così abbiamo l’idea del moto. Stanno correndo, non si guardano, non parlano tra loro, sono cogli occhi fissi verso un luogo che ancora non si vede perché è lontano, con due atteggiamenti diversi … i quadri ci aiutano a pregare. Abbiamo lo sguardo di Pietro, tra lo stupito, l’interrogativo, l’amareggiato (hanno portato via il Signore, e in effetti è stato annunciato un furto!), ma anche per l’esperienza di Pietro nella storia della Passione ancora occhi che ricordano lacrime. Invece lo sguardo di Giovanni è più teso e compreso in una dimensione di mistero e di attesa, lo vediamo dalle mani che sono già in qualche maniera nell’atteggiamento della preghiera.Pietro si è lanciato sulle spalle un lembo del mantello, forse perché ha freddo, l’altra mano, la sinistra, è come se indicasse qualcosa e non si sa bene che cosa. Dovremmo, possibilmente lo chiediamo almeno come grazia, ricevere questo atteggiamento di Giovanni, così come lo vedete sul testo, e cioè di chi è teso e proteso verso il mistero. Tra l’altro, fedele al Vangelo di Giovanni, l’autore ha messo Giovanni leggermente più avanti di Pietro, e dice l’Evangelista: «Giunse per primo al sepolcro, ma non entrò» per rispetto. Abbiamo qui le due anime della vita della Chiesa, e cioè: il carisma e l’istituzione, la grazia dell’amore e la grazia dell’Ordine. Speriamo che in noi che siamo ordinati possano coincidere, non è assicurato!

La contemplazione, l’aspetto carismatico, Giovanni, e l’aspetto istituzionale, Pietro. Il carisma arriva prima, l’amore taglia il traguardo, l’amore corre, precorre, prevede, precede.Mentre pregavamo l’Ufficio delle Letture, sentivo i rumori della strada a destra. Macchine che correvano all’impazzata perché bisogna andare a lavoro, perché ci sono delle scadenze, dobbiamo timbrare un cartellino, e dall’altra c’era l’immagine del lago, il canto degli uccelli, la nostra preghiera ... ovviamente, noi stessi negli altri giorni corriamo in quella maniera!Immaginate se noi in un impeto di follia sacra, santa, ci fossimo lanciati in mezzo alla strada fermando il traffico! Ci avrebbero portati in un ospedale psichiatrico! Perché lo avremmo fatto o avremmo dovuto farlo? Per fermare quella corsa, che non ha nulla a che vedere con questa corsa [quella dei due Apostoli], e per dire: ma dove state andando? Dove correte? Cosa vi preme? E ci avrebbero risposto: il dovere, il lavoro, la famiglia, la società, l’impegno! … sappiamo bene che in tanto nostro correre c’è un che d’insensato. Non invece in questa corsa: noi partecipiamo a una corsa a ostacoli continuamente, ogni giorno, andando da un posto all’altro, spostandoci velocemente, magari anche facendo più cose contemporaneamente. La nostra società, soprattutto quella giovanile, è definita “multitasking”, cioè: tuo figlio studia, però poi sente le cuffie, risponde al telefono, chatta o si messaggia, il tutto contemporaneamente, magari facendo male tutto, non facendo bene nulla! C’era quella corsa insensata, come la nostra: ma dove stai correndo? Dove corri, ma dove vai (dice la canzone “Il gatto e la volpe”)? E invece la sensatezza di questa corsa, che è la nostra, perché noi stiamo fermi ma al tempo stesso stiamo correndo per una propensione, una pro-tensione dell’anima.Ecco, io vi auguro di sentire che questo atteggiamento dei due, così come il pittore ce lo descrive, ce lo racconta qui, sia anche il nostro atteggiamento. C’è stata detta una cosa sconvolgente, “hanno portato via il Signore”, o “abbiamo visto il Signore”, e corriamo sul luogo del delitto, corriamo laddove è accaduta questa cosa, corriamo per verificare, corriamo perché se è vero cambia tutto! Se è vero, come è vero, forse stiamo sbagliando direzione, siamo in un luogo sbagliato! Ma questo ha bisogno d’amore … Giovanni.Chiediamo questo dono stamattina, cominciamo così: visto che in quello stesso giorno la scena che noi seguiremo passo passo è una scena serale, questa è una scena mattutina. È la stessa giornata, lo stesso mistero, lo stesso Gesù Risorto che abbiamo incontrato anche nel tracciato delle Lodi:

Sfolgora il sole di Pasqua, risuona il cielo di canti, esulta di gioia la terra.

Dagli abissi della morte, Cristo ascende vittorioso insieme agli antichi Padri.

Accanto al sepolcro vuoto invano veglia il custode: il Signore è risorto!

Chiediamo di entrare in questa, che poi è il centro e l’aspetto più importante della nostra fede, il resto ne è corollario, che è l’adesione a Gesù che ritorna dalla morte, che viene vittorioso, portando i segni della Passione, solo perché lo riconosciamo come lo stesso Crocifisso … ovviamente sono segni gloriosi, sono segni da cui promanano raggi. Maria Grazia, che in cattedrale zela l’onore dell’Amore Misericordioso, conosce questa immagine dei raggi che escono dal costato di Gesù. Anche suor Annì segue questa devozione. Sono piaghe ma risplendono, sono piaghe ma non dolgono, sono piaghe attraverso cui filtra la luce, come queste finestre di alabastro ci fanno intravedere la luce del sole che adesso sfolgora fuori di questa chiesa.

E vide e credette: ma cosa vide? Non vide Gesù, vide i lini, vide le bende, vide il sepolcro vuoto, cioè vide un segno, e noi dobbiamo abituarci a non vedere Gesù, ma a vedere i segni del Suo passaggio, i segni della Sua presenza, i segni della Sua risurrezione. Trascorreremo anche dopo colazione qualche minuto guardando questo quadro e anche noi: ah, l’anima avanti! Il cuore avanti! Il cuore che batte forte! Andiamo a vedere cosa è accaduto! E poi questa corsa di Pietro e Giovanni si unirà, a partire dalla prima vera meditazione, al cammino, non proprio di corsa ma piuttosto lento, dei due di Emmaus.

Meditazione

Canto

Riprendiamo il nostro brano, ascoltiamo da Massimiliano, puoi anche stare seduto, quindi accento salernitano per i discepoli di Emmaus.

Lettura del Vangelo

Cominciamo a entrare nel vivo di questo racconto, noi dobbiamo dimorare nella Parola. Lo sanno bene i preti, ma questo vale per tutti, e cioè la Bibbia è una sorta di grande città, è un paese fatto di strade, di piazze, di angoli, di case, di stanze …, dove bisogna stanziare, dove bisogna domiciliarsi. Noi in questi tre giorni siamo domiciliati (e speriamo per tutto questo Tempo Pasquale) sulla prima parte del Capitolo 24 di Luca. Già ieri sera a Vespro davo un incipit di riflessione, chiedendovi sul vostro cammino, sul nostro cammino, dove siamo, in che direzione stiamo andando. Stiamo girando in tondo? A volte si ha questa sensazione nelle nostre chiese, nelle nostre Diocesi, nelle parrocchie, nelle congregazioni religiose, nelle famiglie … Ci sembra di non stare andando da nessuna parte: semplicemente rispondiamo a degli stimoli, forse a quelli più forti. Vale sul piano della comunicazione sociale quello che vale sul piano della forza, e cioè: vince il più forte. Questo lo vediamo nella stampa, alla TV, nei programmi, nei messaggi, come fanno fatica a passare certi messaggi, pur veri, forse più veri di quelli che ci propinano ma alla fine chi ha più potere, che significa più denaro, dà anche la sua versione dei fatti. Per chi fra voi sia stato il lunedì In Albis a messa ricorderà, e gli altri dovranno saperlo, che la prima riflessione intorno alla Risurrezione avviene attraverso un inganno: i soldati tornano indietro e dicono “ma il sepolcro è vuoto”, allora i capi dei sacerdoti sono perplessi, interdetti (ovviamente essi che, insieme col potere politico, ma fondamentalmente sono stati essi a gettonare la crocifissione di Gesù,) adesso vengono posti come in “scacco matto”, bisogna trovare una versione verosimile di questo sepolcro vuoto, e quindi si dice: non vi preoccupate, adesso voi date questa versione, noi vi paghiamo, paghiamo questa menzogna, e cioè “sono venuti i suoi discepoli e l’hanno rapito”, e poi se la cosa venisse all’orecchio del governatore vi toglieremo noi dai guai. Come vedete è l’impero del denaro, e il denaro come potere, come forza anche avversa, ha la sua verità, forgia le sue versioni, che diventano potenti tanto che l’Evangelista dice: ancora oggi c’è in giro questa diceria.Torniamo alla principale, come si diceva una volta a scuola, cerchiamo di dimorare in questo brano, di attraversarlo, di guardare i verbi, di guardare gli aggettivi, di immaginare la scena così come sant’Ignazio ci invita a fare negli Esercizi.Abbiamo iniziato con un canto “Io domando” non a caso, perché esprime bene sia il domandare dei discepoli sia il domandare di Gesù. Questo in particolare per noi preti dovrebbe essere una lezione di come si fa catechesi, e cioè non si fa dando degli asserti, affermando, ma (questo ci viene da duemila anni, non è l’ultimo ritrovato della scienza pedagogica) si fa domandando: Che ne pensi? Che dici? Che senti? È strano che il Risorto, che avrebbe qualcosa d’importante da dire ai discepoli, non solo qui ma anche altrove, si presenta con l’interrogativo, e cioè: «Di che cosa state parlando fra voi lungo il cammino?»; in Giovanni al Capitolo 21 l’interrogativo è: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Inserirsi con un interrogativo è sempre vincente, lo dico per quelli fra voi che sono insegnanti, ce ne sono diversi, catechisti, preti … Bisogna domandare, più che affermare. Questo sembra manifestare una debolezza, perché chi domanda apparentemente sembra essere sguarnito, in realtà il domandare è all’origine della sapienza, e anche all’origine della filosofia. La storia della filosofia comincia con delle domande, che sono vere anche oggi, dopo migliaia di anni. Per esempio: che cos’è l’uomo? Cos’è Dio? Se c’è un Dio, dov’è? Qual è il senso della storia? Perché si muore? Perché si soffre? Da dove veniamo? Dove andiamo? Cos’è questo breve istante che è la vita umana, rispetto a ciò che

era prima e a ciò che sarà dopo? Che sarà di noi, oltre noi? … Ecco, una serie di domande che sono all’origine del pensare, della fatica del concetto, diceva Hegel. Comincia così la storia del pensiero, ma deve cominciare così anche un incontro di catechesi, una predica fatta più di interrogativi che cerchino di intrigare l’uditorio.Nel canto “Io domando”, che adesso ripetiamo, c’è una storia anche per chi sia un po’ più avanti come me, c’è una storia dei canti in Italia. Questo appartiene alla stagione milanese, dove la Chiesa di Milano, in particolare con il teologo Sequeri, che era anche compositore, ancora vivente, teneva banco. Erano anche gli anni del Cardinale Martini, forse quei canti si imponevano perché venivano da una Chiesa particolarmente feconda, e questo è stato per tutti gli anni ’80: anni ’70, anni ’80, poi è prevalsa la scuola romana con Frisina, ancora imperante; se pensate che l’inno del prossimo congresso nazionale delle Chiese italiane è stato composto da lui. Quindi è come se fossimo passati da un asse milanese, per quanto concerne … per molti di voi sarà oziosa questa riflessione, però c’è una storia anche nei canti, cioè i canti dicono di Chiese “emergenti”, se volete, di Diocesi che segnano il passo all’intera nazione, all’intero Episcopato nazionale, e questo canto “Io domando”, che appartiene ai primissimi tempi del mio presbiterato, e che ha segnato anche la vita di alcuni di voi, fa parte di quel filone. Quindi l’autore è Sequeri; strano che un teologo, così alto e anche così incomprensibile quando parla, poi abbia composto dei canti così belli e così semplici. Pensate in particolare a Symbolum ’70 (Tu sei la mia vita), Symbolum ’80, ecc., che segnavano poi anche certe celebrazioni: l’Assemblea di Sichem e altri momenti che riguardavano in particolare quelli che erano stati i cresimati nell’anno e che si riunivano e ai quali veniva consegnata la fede, il giorno della Traditio in cui veniva affidata … Questo canto, che adesso ripetiamo, esprime il tormento, in particolare di un adolescente, forse anche i nostri tormenti allora, chi sa, spero anche i vostri. A volte basta il chiudersi di una porta per interrogarci, o il chiudersi di un giorno, a dire: si sta chiudendo questo giorno, si sta concludendo questo anno, si sta concludendo questa stagione, e che ne è di me, che ho fatto, che è rimasto? “Io domando” sono le domande dell’uomo a cui Dio risponde, anche se nel nostro brano la risposta viene in un secondo momento. Vi invito a ripeterlo ed è il numero 18 pag. 41.

Canto

C’è da dire che in questa storia dei canti liturgici in Italia, ovviamente nel caso del successo della diffusione di Frisina non c’è solo l’intuizione artistica, ma c’è Giovanni Paolo. Dietro c’è Giovanni Paolo che anche nelle celebrazioni importanti, portando gran parte delle celebrazioni fuori della Basilica di San Pietro, ha in qualche maniera un po’ messo da parte la Cappella Sistina con i suoi mottetti cinquecenteschi ecc., e ha privilegiato, perché aveva un’ottima intuizione pastorale il Santo papa Giovanni Paolo II, ha messo sul podio per l’espressione musicale della fede Frisina con il suo coro, con i suoi canti.Veniamo a noi. Il cammino che cerchiamo di fare stamattina lo sintetizzo così: dal risentimento alla riconoscenza, o se volete, sinonimo: dal risentimento alla gratitudine.Il concetto è molto semplice, molto è affidato alla vostra preghiera e alla vostra riflessione personale, perché i due di cui abbiamo considerato ieri solo la strada, pensate che la strada … “quelli della Via” era il modo con cui venivano indicati i cristiani prima che fosse ad Antiochia forgiato, coniato questo nome; prima i cristiani erano “quelli della Via”, perché erano per strada, perché erano in cammino. La Chiesa è in cammino, a volte si ferma, a volte ha un impeto di giovinezza e riprende la strada. Adesso scopriamo che questi due sono in fuga, allora mi chiedo se anch’io non sia in fuga …! Ovviamente se uno sta scappando, sta scappando da qualcosa, da qualcuno. Sono tantissime le persone in fuga, voi le vedete apparentemente identiche, al loro posto, alla loro scrivania, al loro altare, ai fornelli, ma in realtà poi se uno si sa leggere bene, ci si accorge che si è lì ma non si è più là, si è altrove. Questa è la grande tentazione della vita, d’essere altrove rispetto al

luogo che si occupa, al tempo che si vive, perché c’è una fuga dal tempo e c’è una fuga dallo spazio. Si scappa dal tempo, magari provato, piagato, che si sta vivendo, e quindi anche a volte la nostalgia di cui mi occuperò nella preghiera del 30 “In punta di piedi in cattedrale”, perché i musicisti che stanno preparando delle opere “ad hoc” sul salmo 136 sono organisti e dunque ho bisogno dell’organo. A volte la nostalgia, che pure è un bel sentimento, diventa una via di fuga, perché il presente è difficile e allora vado col pensiero, mi rifugio in un tempo diverso da questo in cui le cose andavano bene, in cui la Chiesa andava a gonfie vele, in cui la famiglia, in cui i figli erano piccoli, in particolare credo che i genitori, quelli fra voi che sono genitori, spesso facciano di queste fughe nel passato, quando si era in un periodo idilliaco. Quindi si fugge da un tempo, si fugge da un luogo. Se questo luogo, che è la mia casa, diventa un luogo di tensione allora io mi allontano. Questa fuga è più facile per i maschi che per le donne. Molti mariti scappano da casa, stanno in casa il minimo indispensabile, partono quando i figli sono ancora addormentati, ritornano il più tardi possibile, quando sono già a letto, magari anche la moglie, perché non vogliono vedere nessuno. Per una donna mi rendo conto che è più difficile per le incombenze materne, e coniugali. A volte la casa dei genitori, per chi sia sposato, diventa un luogo di fuga, un luogo dove gettare l’ancora perché non spira aria buona a casa mia. Si può scappare dal lavoro, da una condizione di disagio. Se ci pensate, le persone in fuga sono tantissime, ed è questa una tentazione costante nella nostra vita. Può essere anche una fuga nel sogno, pensate che le tossicodipendenze null’altro sono che evasioni, come anche una certa modalità di vivere la sessualità costituisce una fuga, una fuga dal presente, una fuga dal disagio. Raffaele, lo dico sempre ma non vi rivolgete a lui in questi giorni, è anche un sessuologo oltre che psicoterapeuta, quindi di queste cose ne sentirà a iosa.Da che cosa scappano i due di Emmaus? Scappano da un fallimento, o da quello che essi ritengono essere stato un fallimento. Inizialmente l’Evangelista ci presenta questi due in cammino, immaginando che questo sia un film e che Luca sia un regista, noi ci chiediamo sui titoli introduttivi al film se stiano andando a Gerusalemme, se siano dei pellegrini devoti, se stiano pregando, se stiano andando a un appuntamento importante della loro vita, e invece quando Gesù si accosta a loro e cammina con loro … dovete immaginare che abbia camminato a lungo in silenzio, non si è subito gettato nel confronto. Con certe persone bisogna camminarci a lungo senza parlare, perché all’atto in cui fiorisce la parola sia accolta. Attenti anche a parlare in una maniera non equilibrata. Si può parlare dopo aver camminato, si può parlare dopo essere stati insieme. Prima ci si accompagna, si cammina, si condivide la strada … poi nasce il dialogo. Questo lo dico anche per quelli fra voi, catechisti o preti, che sono professionalmente, in particolare i preti, a contatto continuamente con il dolore, e che possono peccare di (scusatemi questa espressione) “eiaculazione precoce”, cioè di un “voler dire prima del tempo”. A volte, certe parole dette senza radici, senza conoscenza, senza convivenza, senza avere alle spalle una strada percorsa, finiscono, benché vere, benché preziose, con l’andare perdute.Se devo fare un riferimento personale, direi che forse l’unica qualifica che mi riconosco nei vostri confronti, e che forse vi pone in un atteggiamento di ascolto, derivi dalla strada percorsa insieme. Non ci siamo incontrati oggi, non ci siamo incontrati per caso. Sia come parroco, sia come vescovo, sia come uomo abbiamo percorso insieme tante strade, abbiamo condiviso delle cose, e allora quando si è fatto un tratto di strada si può anche parlare.Gesù si accostò a loro. Vedete, su ogni parola noi potremmo stare a lungo, ma questo poi lo lascio alla vostra riflessione. Mentre discorrevano e discutevano insieme, un po’ camminano col volto triste, un po’ si fermano e discutono, un po’ forse s’azzuffano rispetto a letture diverse dello stesso evento … Gesù prima cammina dietro di loro, poi avanza di qualche passo, poi si fa parallelo al loro cammino; il verbo “si accostò” … noi ci fermeremo molto su “entrò per rimanere con loro”, ma già questo “si accostò” in effetti è un Vangelo. Il Vangelo è Dio che si accosta a te; è come quando in auto qualcuno si affianca a noi e abbassa il finestrino, segno evidente che ha da chiederci qualcosa o da dirci qualcosa. Si accostò.

Ecco, in questi giorni faccio esperienza del Dio vicino, del Dio accanto, del Dio che s’accosta, non del Dio che giudica, non del Dio che viene a chiedermi conto se sono stato al meglio, se ho realizzato i talenti che mi ha dato, se sono stato un uomo giusto … si accosta. La fede è camminare a fianco a Gesù, e sentire che Gesù ci cammini a fianco anche quando non ci parla. Si accostò e camminava con loro. Si saranno chiesti i due: ma chi è questo? Cosa vuole? È un pellegrino? È un pezzente? È uno che è venuto a chiederci un prestito? È uno che cerca di attaccare briga? È un uomo giusto? È uno che vuole tenderci un agguato? … Pian piano queste difese s’abbassano a partire dal silenzio di Gesù. Sarebbe bello se qualcuno di voi riuscisse a entrare in questo silenzio. Gesù avrebbe motivo d’essere deluso di questi due, come degli altri, ma non è aggressivo, non manifesta la Sua delusione per come hanno reagito.Ed Egli disse loro… Magari sono passate delle ore, o almeno un’ora, pian piano i cuori si sono accordati. Bisogna accordare i cuori, è come accordare gli strumenti prima di suonare insieme. Adesso finalmente il pellegrino apre bocca. È la prima volta che parla, parla il Risorto, attenti!, ma parla, come ho già detto, con una domanda: che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino (lungo il cammino, diceva la traduzione precedente)? Vedete, questa è una domanda che dice tutto e niente, può essere una domanda profondissima come una domanda banale, su “che tempo fa”. Gesù adesso mi chiede che cosa ho macinato in questi giorni, che mi è passato per la mente, cosa appesantisce il mio cuore … se sono felice, infelice … se sono realizzato, se sono un fallito, se c’è amarezza, se c’è dolcezza …, e queste cose ovviamente emergono nelle parole, ma prima ancora emergono nei muscoli facciali. Le parole, prima d’essere tali, sono scritte sul nostro volto; pensate a quell’attimo, che può essere anche un minuto, in cui chi parla e chi si dispone ad ascoltare si guardano senza proferir parola. Ci sono tra voi tre medici: bisogna guardare il paziente, perché c’è una branca della medicina che chiede al medico di diagnosticare guardando il volto, prima ancora che parli. Come anche quelli fra voi che sono insegnanti, quell’attimo in cui ci si guarda con la classe (magari per attirare l’attenzione) perché gli alunni possano intuire … magari chiedo troppo!, di cosa parlerà l’insegnante oggi? Ci si guarda e si comunica.«Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?» Si fermarono. Questa domanda richiama i due dai loro pensieri, dalle discussioni che hanno fatto in precedenza, e subito emerge il messaggio. La risposta, prima che sia verbalizzata, è nel volto triste — si fermarono col volto triste — perché il volto è l’epifania del cuore, di quello che ci passa nel cuore. Ti vedo preoccupato, ti vedo accigliato, ti vedo disteso, ti vedo gioioso … In questi giorni ci guardiamo, e anche con un minimo di intuito percepiamo quello che l’altro sta vivendo, cioè se sta vivendo gli esercizi (attenti, questo non dipende da voi!) come un’esperienza di grande pace o come un’esperienza di tormento: il volto parla, il volto esprime, il volto racconta. Si fermano col volto triste.Gesù, se fosse un semplice pellegrino e non il Risorto, avrebbe già compreso quello che stanno per dirgli: e uno di loro, di nome Cleopa (viene fuori questo personaggio, uno dei due; qualcuno dice: l’altro è Luca, ma è un’ipotesi) prende la parola. Possiamo immaginare che sia il più anziano, parla per primo chi ha più anni sulle spalle. Vedete che questa tristezza, questo risentimento, di cui tematizziamo stamattina, è espresso anche in questa tracimazione di “tu solo sei così forestiero?”, che è quasi una sorta di rimprovero. Gesù si è accostato, ha camminato, si è accompagnato, ha cercato di sentire i loro passi, se stanno correndo, se stanno camminando adagio, se sono appesantiti, e adesso che rompe il silenzio gettando un ponte (la comunicazione è importante, la parola è essenziale per la comunicazione) ecco che Cleopa risponde in una maniera aggressiva … Facciamo così anche noi, quando qualcuno viene a stuzzicarci o semplicemente ci siamo svegliati col nervoso, c’è vento (il vento normalmente innervosisce) e quindi rispondiamo un po’ risentiti. È bello che Gesù accolga e non risponda per le rime, a dire: ma insomma, non sai? Non hai letto il giornale? Non hai visto su Facebook? Non sei aggiornato sulle ultime notizie? Che domanda è questa? Ecco, in qualche maniera questa è la reazione: che domanda sciocca! Che domanda fuori

luogo! Tu solo sei così forestiero a Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni? Domandò: Che cosa? Attenti, perché nel dialogo terapeutico (questo riguarda anche i preti) bisogna evitare gli scogli dell’aggressività, altrimenti finiamo su linee contrapposte, bisogna “sfondare la cittadella” dell’altro con una certa astuzia, ovviamente per il bene di colui che viene a parlarci. Domandò: che cosa? Evidentemente quello che è accaduto ha fatto un po’ “epoca”. Adesso questa è la lettura di Luca, probabilmente l’esecuzione di Gesù il Venerdì Santo è stata un’esecuzione tra le altre, non ha avuto tutta questa enfasi e questa eco, non ne hanno parlato i giornali. Giuseppe Flavio accenna più a questo movimento che non a chi l’abbia originato, nel testo delle Antichità Giudaiche. È uno storico laico, a cui normalmente si ricorre per avere dei riscontri, a dire: quello che è scritto nel Vangelo ovviamente è scritto da credenti per credenti, ma vediamo adesso che eco ha avuto questa cosa da altre fonti, cosa dice Plinio il Vecchio (mah, non dirà niente!), ma certamente cosa dice Giuseppe Flavio, che è il nome romanizzato di un giudeo colto al tempo di Gesù. Non pensate che tutti abbiano parlato, in tutti i salotti di Gerusalemme si sia dibattuto questo tema, passato come una esecuzione tra le altre. Ovviamente il gruppo dei Dodici e dei discepoli, dei simpatizzanti come Nicodemo, che stiamo incontrando a messa, ne hanno avvertito tutto il dramma. Che cosa? Io mi fermo qui, e adesso vi do l’esercizio concreto. Prima che Cleopa, rispondendo all’amo che ha gettato Gesù, perché bisogna essere attenti quando parli con tuo figlio, quando parli con i tuoi alunni, quando parli con i tuoi parrocchiani, quando parli con gli Scout …, Lello (l’avvocato) potrebbe farci una lezione di comunicazione forense, perché altro è dire “questa persona è innocente” e altro poi invece è argomentare … L’importante è gettare l’amo, un amo intelligente a cui l’altro deve in qualche maniera aggrapparsi. Che cosa? Che cosa è accaduto? Che cosa è successo? Che cosa ti amareggia? Io spero che qualcuno di voi sia felicissimo, me lo auguro, ma conoscendovi, e conoscendomi, so bene che la vita non ci risparmia, che la vita ci flagella, che la vita ci mette alla prova, che la vita ci graffia, e dico la vita per dire le relazioni professionali, affettive, familiari, sociali, ecclesiali … Cerchiamo, vado verso la conclusione indicandovi questo itinerario “terapeutico” per così dire (una terapia spirituale), di tematizzare le nostre amarezze: dall’amarezza alla gratitudine. Magari saranno un po’ amareggiati anche i giovani, perché si è sempre amareggiati. Per un adolescente (adesso non c’è nessuno di noi qui che sia adolescente) anche non essere guardato, non essere “taggato” diventa un motivo di dramma: solo due “Mi piace”, magari si tagliano le vene perché solo due e non cento, non cinquemila “Mi piace” … qua si va avanti con i “Mi piace”! Però immagino che anche quelli fra voi che sono giovani siano stati già feriti, già graffiati, ma non ne parliamo di noi!Alcuni di noi (non parlo di me almeno in questo) a cinquanta, sessanta, settant’anni, dicono: la vita mi ha tradito; ero partito col vento in poppa, con le bandiere spiegate per questa (direbbe Francesco d’Assisi) spedizione da cui dovevo ricevere sul campo il titolo di cavaliere, ed ecco che mi trovo senza cavallo, senza armatura, malato, prigioniero, ero partito per la campagna di Puglia, per ricevere gloria, ed eccomi a terra. Vedete, questa è la parabola della vita, non ci facciamo illusioni: non vi sentite penalizzati voi che dite “eh, quando mi sono sposata, poi … le cose sono andate in una maniera diversa”, “quando ho cominciato, poi …” e alla fine concludiamo: “sono stato sfortunato!”; magari guardiamo gli altri, vediamo che hanno fatto successo, sono diventati deputati, hanno ricevuto gratificazioni, titoli onorifici, e questo non è successo per noi. Quindi è un esercizio a riconoscere, a chiamare in causa … attenti che è un esercizio doloroso, perché certe cose noi vorremmo dimenticarle, ma non è proprio salutare perché quando le dimentichiamo in realtà semplicemente le resettiamo, poi quelle continuano a roderci lo stomaco, continuano a crearci problemi all’intestino, continuano a toglierci sonno la notte, continuano a tormentarci. Allora conviene chiamare queste cose per nome … cose, persone, situazioni, per dire: ma perché sono così amareggiato? Noi siamo come quella fonte che gli ebrei trovarono appena usciti dall’Egitto, assetati ovviamente subito si buttarono in acqua, pensando di trovare acqua potabile, ma quella fonte era amara, infatti si chiama “Mara”, era amara. Poi Mosè getta il bastone, “segno della Croce”, dicono i Padri della Chiesa, e la fonte da acqua amara diventa dolce. In qualche maniera

questo è il cammino redentivo, e cioè una amarezza che deve diventare dolcezza. Detto così voi non ci credete, sembra la reclame di un prodotto, di una pomata, di un medicinale, ma quando quello che tu vivi come amarezza, come ingiustizia … molti di noi credo che si sentano oggetto di una ingiustizia, “la vita è stata ingiusta con me, perché non è andata così come volevo! Perché stavo sul trono e sono stato gettato nella polvere come Napoleone! Perché …”. Il contatto con la Croce, per tornare all’episodio dell’Esodo, il bastone di Mosè gettato nell’acqua amara la rende potabile, quindi fonte di vita. Attenti, che è la stessa acqua, non è un altro lago come il nostro bellissimo, il nostro specchio dove andremo a specchiarci appena tra qualche minuto. Il lago ci fa da specchio in questi giorni, ci rimanda a delle cose, lo ascoltiamo, ci dice, ci racconta … Ma l’anno scorso com’è stato? Come sei uscito da questo corso d’Esercizi prima di Pasqua? Quanto è durato? Poi ti sei lasciato prendere, poi ti hanno afflitto tante persone, poi hai avuto questo problema di salute, poi c’è stato questo incidente in famiglia, poi i figli, e poi i nipoti, e poi ci aspettavamo pace e invece pace non c’è. Il contatto di questa nostra amarezza, di questo nostro risentimento con la Croce di Cristo genererà dolcezza ma è importante chiamare questa delusione, chiamarla per nome. È successo questo incidente in famiglia, è successa questa incomprensione con mio marito, è accaduto che dalla vita mi aspettavo vittoria e sono tornato sconfitto, mi aspettavo giorni tranquilli e invece tragedie. Attenti che sono importanti due passaggi, e concludo veramente: il primo è chiamare queste ingiustizie subite o questi punti di sofferenza che è come se ci avessero amareggiati, e il secondo passaggio, vi sembrerà strano, è piangerli questi momenti. Adesso qui non si parla di lacrime in una maniera chiara, però “si fermarono col volto triste”, e dovete immaginare che questo racconto “tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu Profeta potente in parole e in opere davanti a Dio e a tutto il popolo, ecc.” sia detto non come una cantilena, non come noi diciamo il Credo la domenica, ma sia detto forse anche intercalato da singhiozzi. Queste persone sono state deluse, tradite! Da chi? Da Gesù! E poi da quelli che lo hanno messo a morte. Erano saliti forse a Gerusalemme con Lui, aspettandosi l’apice della gloria, l’instaurazione del Regno … c’era un’attesa messianica fortissima al tempo di Gesù, e invece questa cosa si è sfaldata nelle mani, è niente! È polvere! E allora ce ne torniamo indietro, ce ne torniamo alle nostre case, ce ne torniamo alla vita di prima! Forse Emmaus è il villaggio da cui sono partiti pieni di entusiasmo e a cui tornano, rincasando di sera per non essere riconosciuti. Perché è importante piangere le proprie perdite? Perché le lacrime sciolgono la durezza, perché finché rimane dura questa esperienza, duro questo dolore, è acerbo: per essere maturo si deve un po’ sfaldare, per impastarsi, per diventare duttile c’è bisogno delle lacrime. Non è importante che voi adesso vi mettiate a piangere a dirotto per i viali o per la stanza … non è vietato, purché sia fatto in silenzio beninteso! Quello che è importante è dire: ma io m’aspettavo che questa persona guarisse e invece è morta, ma io mi aspettavo che questo nipote fosse la gioia del mio cuore, e invece è diventato un ribelle, mi aspettavo che mio marito, mi aspettavo che il mio vescovo … Ognuno di noi s’aspettava delle cose, e non sono venute! Mi aspettavo di stare bene e mi sono ammalato! M’aspettavo d’andare in pensione e di godermi i giorni, e mi è caduta addosso una serie infinita di malattie!Spero d’essere stato chiaro, non vi perdete nella marea di parole che io dico, sono eccedente come sempre, e invece andate al nocciolo. Quindi il nostro cammino, ma sarà il cammino di tutta questa giornata, è: dall’amarezza alla gratitudine, al ringraziamento. Adesso siamo ancora nell’amarezza, ma dobbiamo starci e dobbiamo soffrirla! E quindi ci torneranno alla mente dei lutti, delle persone care che sono andate via, dei tradimenti … Delle situazioni che non vorremmo ricordare, ma che è bene richiamare nella preghiera e nella meditazione, perché abbiamo liquidato quel problema misconoscendolo, rimuovendolo (dice la psicologia freudiana), lo abbiamo messo in cantina così non lo vediamo. Intanto c’è e ti fa male! Voi dite: ma mi fa male ancora di più se stamattina me lo richiami … No! adesso te lo richiamo perché tu possa piangerlo, perché questo fallimento dei due, che è anche mio, che è anche tuo, è un fallimento che tu devi vivere fino in fondo, e lo vivi fino in fondo quando lo piangi! Chi non versa lacrime per un dolore, non lo fa maturare! La nostra vita è

piena di dolori acerbi, di dolori che ci hanno indurito anziché renderci più umani. Non indurite il vostro cuore, lo abbiamo appena ripetuto per chi con noi abbia pregato l’Ufficio delle Letture, nel Salmo 94 che è il Salmo Invitatorio: non indurite il vostro cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto. L’indurimento è il vero problema, e poi quando hai il cuore duro non ti tocca più niente, neanche la fede, neanche la presenza di Gesù Risorto, neanche la consolazione della fede, neanche la preghiera, neanche un gesto gentile che ti venga da un altro, neanche l’offerta di un’amicizia … sei chiuso, sei indurito!Ecco, penso che possa bastare così, ho già argomentato da un’ora. Questo è l’assegno: dedichiamo a questo assegno un’ora e dieci, perché ci rivediamo qui per una piccola aggiunta prima di pranzo, il pranzo è alle 12:30, alle ore 12. Per non lasciarci troppo angosciati, ripetiamo per l’ultima volta il canto numero 18 pag. 41.

Meditazione

Ho tirato fuori in quest’ora (mi affollano sempre tanti ricordi, anche tanti canti) questo canto, riguarda gli anni ’60, fine anni ’60, è un canto liturgico di allora (oggi sarebbe uno scandalo!), è una traduzione dei 150 salmi ad opera di Giombini, forse qualcuno di voi lo ricorderà, spero di ricordarmi le parole, con questo contrasto tra gli orgogliosi, i prepotenti, e questo credente che avverte l’assenza del Signore.

Canto

Avremmo dovuto utilizzare delle immagini, ma il computer di Felice è partito, se qualcuno di voi ha un computer dopo glielo presti. Probabilmente un’ora non è bastata per fare memoria di tante perdite. È come se andando avanti nella vita, come diceva questo canto, immagino che forse manco Giombini se lo ricordi (se sia ancora in vita, come immagino), man mano che andiamo avanti aumenta il numero delle sconfitte e diminuisce quello delle vittorie. Un giovane parte a strombazzato, ma poi man mano rallenta il cammino perché aumentano le sconfitte ed aumentano le perdite. Continueremo, il mio è soltanto una riflessione d’aperitivo, quindi semplicemente serve a rilanciare il tema, a riflettere su queste perdite: persone che sono scomparse perché morte, persone che si sono allontanate, con le quali condividevamo anche cose importanti. Sei tu mio compagno e confidente, dice il Salmista, ci legava un dolce sentimento, camminavamo in festa verso la casa di Dio. E invece avviene l’irreparabile, o ciò che sulle prime ci appare tale, e colui che era amico diventa nemico, e la persona con la quale speravamo di camminare a lungo per tanti anni sembra allontanarsi.Quindi ci sono morti reali nella drammaticità della perdita, ma ci sono anche altre perdite, altre sconfitte sul piano affettivo, sul piano relazionale. Ecco, tutte queste dobbiamo chiamare a raccolta, non solo, ma poi tutto questo universo di dolore deve essere posto all’interno di una storia di dolore, che è la storia dell’uomo. Quindi potete chiamare nella vostra contemplazione eventi drammatici (penso alla Prima Guerra mondiale — quella oggi la rivediamo soltanto con gli occhi di Ungaretti — della quale celebriamo l’inizio a cento anni di distanza, ma poi altre tragedie, altre guerre, altre violenze. È possibile unire il nostro dolore personale al dolore del mondo? Sembra che in questa maniera io vi stia conducendo sull’orlo dell’abisso, ma non è così, perché il nostro dolore prende senso e prende respiro anche in questa storia di dolore, della quale dobbiamo parlare.Nello gentilmente mi ha scaricato il Mese di Giugno, io non ricordavo neanche a quale annata di vini corrispondesse, era il 1993, in cui per un mese intero io sono stato per alcuni di voi e con tanti altri in questo brano con una predicazione durata trenta sere. Una cosa impegnativa per quell’epoca! A volte mi intriga sapere cosa ho detto allora e cosa dico oggi, e fare un po’ questa sinossi; ho trovato, sbirciando molto velocemente, che vi avevo fatto ascoltare la canzone di Scugnizzi “E parlann parlann”. A proposito di questa (Felice ce la riedita in un arrangiamento al momento), è questo potere che il dolore ha di, non dico risolversi, ma certamente addolcirsi all’atto in cui lo verbalizziamo. In fondo, tutta la psicoterapia ha al suo fondamento questa potenza della parola che racconta il dolore, e anche se così concretamente, tecnicamente non stiamo in terapia, ognuno di noi conosce il potere e la dolcezza di raccontarsi.Cos’è? Perché stai triste? Che cosa ti manca? Cosa ti è successo? Ti vedo calante … In fondo comincia così questa catechesi pasquale di Gesù che incontra i discepoli.Riassumendo, da un lato continuiamo a fare questo elenco, questa litania di dolore, una litania da Venerdì Santo che sembra - ma non è così – aprire baratri, in realtà apre, soprattutto alla luce del brano e alla luce della Pasqua, vie di uscita dal dolore. Dall’altra, numero due, confrontiamo questo nostro microcosmo di dolore con il macrocosmo del dolore. Per fare un riferimento recente, siamo partiti per un viaggio e guarda caso ci è capitato il

pilota depresso che ha deciso di farla finita non da solo ma in compagnia …! Voi sapete quanto queste tragedie aeree cambiano l’assetto. Mi dicevano che già a livello internazionale, quando esce uno dei due piloti, deve entrare un altro. Ed ecco la tragedia di un volo di una compagnia poi diventa una sorta di corsa ai ripari, e cambia anche l’organizzazione mondiale dei trasporti aerei. Ma immaginate queste persone ignare che salgono su un aereo, più o meno tranquille, e finiscono contro una parete rocciosa, non per un incidente! E dietro, le famiglie, e dentro questa carlinga (come direbbe Quasimodo), il dramma di questi minuti, come per coloro che erano sull’aereo che l’11 settembre si diresse contro le Torri Gemelle, che pure è un elemento di questo dolore immenso, che i poeti già nell’antichità indicavano come un dolore cosmico. Sono lacrime delle cose.Terzo: vuoi vedere (lo formulo come una domanda) che è proprio la fragilità della nostra vita l’elemento più profondo di bellezza? Potrei fermarmi qui ed essere questa la traccia di un tema, un tema di vita. Questa nostra fragilità, questo nostro essere esposti fin dall’infanzia alla violenza del dolore, all’assenza della relazione, della presenza, alle perdite, questa nostra fragilità costitutiva, che sembra essere una condanna, non è forse anche ciò che ci fa sperimentare la gioia? Ovviamente parlo in una maniera un po’ paradossale, ma spero d’essere compreso e che poi ciascuno di voi … poi succede così agli esercizi, rubo una frase, rubo uno squarcio e ci cammino magari per dieci anni. Questo esercizio non deve portarci al pessimismo, cioè è questa l’apertura, già in qualche maniera pasquale, ma se volete ancora semplicemente sul piano umano. Non è forse la brevità della nostra vita già di per sé una fragilità? Un elemento di bellezza? Pierangelo, non me l’ha detto ma io l’ho seguito da lontano e da vicino al tempo stesso, ha vissuto una Pasqua difficile. A ridosso della Pasqua, una morte per cancro da parte di una giovane delle sua parrocchia, e magari neanche con tutto il conforto della fede, non per mancanza dei preti … E come si va incontro a una Pasqua, ad una Settimana Santa, quando da giovani si sperimenta questo? Perché ancora ancora noi potremmo essere consolati da una morte illuminata dalla fede, ma quando è accompagnata dalla ribellione? Ma quando è acuita dalla giovane età? E tutto questo che cosa fa esplodere nel cuore di un prete? Nel cuore di ognuno? … Ma adesso guardo questa cosa col cuore di Pierangelo che ho guardato, ho portato con me in questa Pasqua, adesso glielo dico per la prima volta pubblicamente, non ho avuto né modo né tempo per dirglielo personalmente.Vedete, i preti, come i medici, come tutti quelli che svolgono un ruolo … non dico un lavoro, non lo è per noi ma immagino non lo sia neanche per i medici, neanche per le insegnanti, neanche per uno psicoterapeuta, chi sta a contatto con il fattore umano, ancora di più è dentro questa storia … che è una storia di perdita continua, che è una storia di fallimento, che è una storia in cui devi segnare il passo.Come la mettiamo? O ci ribelliamo, e anche questa possibilità è stata percorsa, ma con quali effetti? Ci dimettiamo dalla vita? Diventiamo scettici? Cinici? C’è una via di umanizzazione del dolore, c’è una via di compagnia, c’è una via di presenza, e i preti sanno quanto sia difficile essere presenti. È più facile far finta di non sapere che c’è questo dramma, che c’è questa famiglia, che c’è questa coppia in crisi, che c’è questa situazione, ed è più facile: “mi faccio i fatti miei”, dicono alcuni. Ma quando sto dentro, quando sono interpellato, quando per la stessa mia vocazione mi devo rendere presente, cosa dico? Cosa faccio? Cosa porto? E come questa ministerialità (lo dico per preti e laici) mi cambi. Ci sono alcuni e alcune tra voi che, senza essere preti, vivono una sorta di accompagnamento spirituale, perché la propria casa diventa una sorta di quartier generale, perché arrivano le crisi, perché si ha conoscenza, perché puoi dire una parola, perché cerchi di far da paciere, perché … Oggettivamente, umanamente è una dimensione sfibrante! Ma poi perché ti nasce dentro una gioia (che adesso detta così sembra una bestemmia, ma è vera!)? Ovviamente tu non risolvi il problema dell’altro, la sua depressione, la sua sofferenza fisica, il dolore, la ribellione per un’assenza, la ribellione davanti alla morte tu non la risolvi! Semplicemente, come il Risorto, ti fai accanto … e parlann parlann … Felice ci sta riportando le note, e parlann parlann ogni cosa … Quasi che la

parola (ed è così fragile la parola, lo dice uno che vive di questo, vive della comunicazione verbale), è una parola anche la semplice presenza, finisce con l’essere lenitiva in una visione minimale, lenitiva … io direi: risolutiva del dramma. Per cui forse nessuno come un medico, nessuno come un prete, nessuno come uno psicoterapeuta, nessuno come chi abbia le mani in pasto può essere in grado di considerare che in questa fragilità, in questa estrema finitudine possa esserci l’aspetto più bello della nostra vita.Il bicchiere di cristallo di Boemia è fragile, è bello forse nella sua fragilità. Il fiore (il Salmista dice che al mattino fiorisce e alla sera è avvizzito e dissecca) mi porta una parola, mi porta un colore, mi porta un calore brevissimo, quanto è la vita di un fiore, ma qui nel parco ci sono le forsythie per esempio, queste macchie gialle … quanto durano? Quanto dura una mimosa in fiore? Quanto durerà la fioritura (speriamo di vedere almeno qualche grappolo) dell’Albero di Giuda? Qualche giorno! Ma che forse la preziosità di queste cose non risieda appunto nella brevità! Quanto vive una farfalla? Potrei continuare a lungo negli esempi … quanto vive una farfalla? Quanto è fragile? Da bambini abbiamo cercato di catturarle, e avrete fatto anche voi questa esperienza, che vi rimanga il colore nelle mani con una estrema delusione, perché forse la farfalla non vola più e i colori sulle dita non sono gli stessi colori che la farfalla manifestava nella sua epifania di gioia, di vita!Mi chiedo … la campana ci chiama … [Don Francesco di Nucci dice che in questa casa la campana non suona neanche per mezzogiorno, suona solo per andare a pranzo … è una sua malignità! Ce l’ha un po’ con questa casa perché qui a un corso di Esercizi un commerciante di turno, di passaggio, passò per la sua stanza e gli rubò il computer, per cui ha una sorta di astio, e allora legge tutto in una maniera un po’ negativa.È possibile innamorarsi di questa fragilità? E vuoi vedere che Dio si sia innamorato della brevità dei nostri giorni, Lui che è l’Eterno? Le parole che sto dicendo vi appariranno vaneggiamenti, o semplici suggestioni, ma sono comunque dei percorsi che possiamo compiere. E allora scopro che questa vita è bella proprio perché si muore, è bella proprio perché è breve, è bella perché questo giorno per molti di noi ormai cede alla sera … e se fosse senza fine ci annoieremmo tremendamente. Invece stiamo a lottare, e a guardare i tramonti, e a guardare le farfalle, e a sentire il profumo dei fiori, e a ricordare la nostra giovinezza, e a piangere sulle nostre perdite a partire da questa acquisizione scoperta che “ciò che è più fragile è più bello”. Come dicevo qualche istante fa, ma poi ci ritorneremo su: ed entrò per rimanere con loro, forse Dio, che è l’Eterno, ha voluto ubriacarsi di questo vino buono e breve, che sono i nostri giorni. Certo, si è incarnato per la salvezza, si è incarnato per aprirci un varco nella morte, ma alcuni contemplano l’Incarnazione, cioè questo camminare con l’uomo, come una sorta di invidia del ricco per il tozzo di pane che il povero mangia con tanta passione. Vedete, è questa la disparità delle misure: il ricco che ha una mensa imbandita, che può mangiare di ogni ben di Dio, guarda questo povero che sta mangiando con passione il suo tozzo di pane, che è l’unica cosa che abbia, e lo invidia, perché lui, con tutta la sua mensa imbandita, forse non ha appetito, e questo povero pezzente, che mastica come se stesse mangiando caviale ma è solo un tozzo di pane. Sono una manciata di giorni la nostra vita, carissimi … non devo dirvelo io: la nostra vita suona a morto, per dirla con la campana che adesso ci ha invitati a pranzo, ma chi sa, ci apparirà più buono oggi quello che ci sarà servito, perché è imbandita la vita, è imbandita oggi, non sappiamo se domani potremo sederci a mensa ancora una volta.Da questo punto di vista, e concludo, ho l’impressione che l’uomo veramente spirituale sia un uomo fondamentalmente e radicalmente carnale. Che l’uomo spirituale, più del gaudente, riesca ad assaporare, sentire il sapore del pane, del tozzo di pane, perché sa più di altri che è il pane di oggi. Gesù nel Padre Nostro ci fa chiedere il pane per l’oggi, perché il pane per domani potrebbe non servire, potremmo non esserci, finirebbe con l’indurirsi nella madia. Allora mangiamolo questo pane buono, breve, fragile, bello, che è la mia vita. Vorrei che non ne fossi defraudato, vorrei viverla nella sua brevità, con la passione di chi sa che questa brevità è una ricchezza. Non so, magari vi sembra un contentino: per me non è così, non so neanche se io sia riuscito a dirvi quanto questo dolore mio personale, unito al dolore del mondo, mi porti alla scoperta

di questa estrema radicale fragilità che è l’origine della bellezza di essere uomini e donne oggi … domani nessuno lo sa, nessuno ce l’assicura.Concludiamo con il canto con cui abbiamo iniziato.

Canto

Meditazione

Canto

Lettura del Vangelo (Discepoli di Emmaus)

Continuiamo questo cammino dalla amarezza alla riconoscenza. I preti sanno bene che probabilmente uno degli orditi di questo racconto è una catechesi sull’Eucaristia, nel senso che la Chiesa antica, quella di Luca nel caso specifico, abbia voluto lasciarci una traccia di ciò che aveva compreso dell’Eucaristia come momento di cammino, come raccogliersi della comunità - dove sono due o tre riuniti nel Mio Nome -, dove è previsto un momento di richiesta di perdono, Kyrie Eleison, atto penitenziale, dove presentiamo al Signore le nostre cadute di tono, i nostri cocci, dove (momento importante, decisivo) si ascolta la Parola e ci si confronta con la Parola per passare poi, ma questo lo diremo in seguito, alla parte propriamente eucaristica con l’Offertorio e la grande Preghiera Eucaristica.L’esperienza di Emmaus è anche un’esperienza di Eucaristia, di quell’Eucaristia che dovremmo riscoprire nella nostra vita, nella vita delle nostre comunità, e che fa tanta fatica a prendere volo e tono.Vorrei concludere questo percorso, poi mi sono accorto, mentre andava nascendo, che è un percorso che potrebbe da solo costituire oggetto di un corso di Esercizi, questo sulle perdite, sulle assenze, sulle ferite. Vorrei concluderlo con un’indicazione, magari lascerà il tempo che trova, ma altrove all’estero sono quasi codificati … mi riferisco ai rituali di addio. Molti di voi sono qui palesemente feriti, lo siamo tutti, ma alcuni in una maniera più forte, vuoi sul piano del lutto, vuoi anche sul piano di una relazione significativa che è venuta meno, quella coniugale per esempio. E allora come ci si riedita all’indomani di un fallimento? La nostra riflessione, intendo italiana, è piuttosto in fase iniziale, ma dagli Stati Uniti che sono, pur con le loro pecche ovviamente, più avanti anche sul piano psicologico ci vengono indicazioni di una “ritualizzazione del lasciarsi”. Non è un invito, beninteso, a farlo, è una riflessione a posteriori, cioè che all’atto di una morte … ma questo per le morti lo facciamo, perché il vegliare il cadavere, ricevere gli amici e i parenti, ricordare ciò che il defunto faceva, prendere una sorta di saga familiare è in qualche maniera un rituale di congedo. La celebrazione liturgica stessa, al di là del valore che già ha in sé, porta anche questa dimensione umana antropologica, cioè del congedarsi, chiudere la bara, andare in chiesa, ascoltare la Parola, poi l’omelia, poi i saluti, poi si va al cimitero, poi si cala la tomba nella fossa, … una serie di gesti, di parole che si dicono, che aiuta la persona a distaccarsi. Se ci pensate, da un po’ di anni (credo una decina, forse di più perché ero ancora parroco) io ho messo su questo rituale della fine degli Esercizi, che null’altro è che un rituale di congedo. Quando vi invito “metti la valigia in pullman, poi torna indietro, vai in cappella, vai nella tua stanza, vai nella sala delle meditazioni …” è in fondo un rituale, piccolo quanto volete, per congedarsi da un’esperienza e anche da un luogo, che aiuta, che mette serenità, che fa celebrare un addio. Tornando all’esperienza nordamericana, ovviamente poi ripresa anche sul piano europeo, sono stati fatti dei convegni, dei congressi internazionali sul tema del congedarsi, per esempio, da un coniuge. Chi fra voi, per motivi scolastici o per motivi anche pastorali è a contatto con coppie in fase di separazione, conosce molto bene tutte le problematiche e anche il livore che si mette in campo, che diventa aggressività, che demolisce anche tutto quel bene che in qualche maniera si è costruito, perché uno non sta insieme a un marito, a una moglie per vent’anni, per dieci anni così, come in una stanza d’albergo … c’è tanta condivisione. Ovviamente in sede di separazione (non vi sto invitando a questo, mi conoscete fin troppo bene, ma richiamo questo concetto) è come se tutto il bene scomparisse, e rimane l’ultima esperienza, quella della rottura, quella in cui ci siamo fatti male.

Questi rituali – adesso che ve li dico vi faranno sorridere, come hanno fatto sorridere me quando li ho letti in passato – pare che siano efficaci da un punto di vista, tipo che la coppia che si riunisce, ovviamente dopo tempo debito, quando già gli avvocati hanno fatto il loro mestiere, non sempre limpido (non è un’offesa ovviamente per il nostro avvocato presente, non fai questo tipo di consulenza!). Riunirsi – questa è tutta americana, però ha un suo valore – raccontarsi qualcosa di buono del tempo trascorso insieme … ho ricevuto da te questo dono, anziché rinfacciarsi “sine die”, come d’altra parte vediamo anche in storie dolorose che sono qui presenti, farsi un dono addirittura (non è la bomboniera dell’addio!), augurarsi “buona strada” per dirla con gli Scout! Pensate che questa cosa poi, trasposta nel nostro ambito più presbiterale, sempre da quella matrice, è il modo con cui congedarsi da una comunità religiosa, da un presbiterio … Genny sa molto bene che nel nostro presbiterio, nel presbiterio di cui io faccio parte, sia pure spiritualmente adesso, sono scomparsi dei preti dall’oggi al domani, di cui era vietato anche semplicemente proferire il nome. Noi ci incontrammo, ovviamente sapevamo ma era una sorta di scelta forse dovuta alla paura … preti che scomparivano, nel senso che, dopo una crisi, dolorosamente (io ne ho portato e ne porto ancora le stigmate) decidono di abbandonare il ministero, un bel giorno di punto in bianco scomparivano dalle nostre riunioni e mai che il vescovo XY abbia detto: cari confratelli, don Y d’oggi in poi farà parte spiritualmente (io direi così) del nostro presbiterio, pur non svolgendo il ministero appieno, lo accompagniamo con la nostra preghiera, mi raccomando, fatevi vivi, non lo abbandonate a se stesso, perché non è una scelta a cuor leggero. Adesso ho detto in una maniera molto banale ciò che io mi sarei aspettato che ci dicessero. Dico Genny perché fa parte del presbiterio della Diocesi di Sorrento – Castellammare.“Damnatio memoriae”: questo ovviamente non ci aiutava, perché non si può dire questo nome? Che ne è? Che è successo a don Vincenzo, a don Pasquale, a don Ferdinando … ? Come se non fosse mai esistito, una cosa terribile! Sarebbe bastata una parola, una parola! Non che bisogna invitare l’interessato, fargli un applauso, beh capite bene, ma sarebbe bastata una parola per stemperare la tensione in noi, adesso parlo dal lato dei presbiteri. Invece questo silenzio, quindi l’assenza di ogni ritualità generava ferite nelle ferite. Come vedete, questo concetto - e chiudo subito, perché poi non è proprio l’oggetto del nostro discorrere, del nostro stare qui - l’assenza di un rituale di saluto faceva sanguinare le ferite in una maniera ancora più profonda. Questa è l’importanza dei rituali. Qualcuno dice per esempio che i genitori non sono più attenti a ritualizzare la sera per i bambini, il risveglio per i bambini, troppo presi dalle loro cose non sanno capire che mettere il pigiamino (per dirla con un immagine che ci fa tenerezza) è un rituale, che lavarsi i dentini (come diceva la canzone dello Zecchino d’Oro) è un rituale, che dare il bacio della buonanotte è un rituale, che rimboccare le coperte è un rituale, che spegnere la luce è un rituale … e credo che voi, come me, abbiate i vostri rituali serali che ci aiutano ovviamente, perché dicono, adesso (quindi non è una cosa di cui hanno bisogno solo i bambini, tutti ne abbiamo bisogno!) per capire, per celebrare (per utilizzare un verbo alto) il momento che stiamo vivendo. C’è un rituale di crisi, c’è un rituale di malattia, c’è un rituale di ritorno, di partenza, di “mancherò una settimana” sempre in don Francesco di cui ho parlato, volendo colpevolizzarmi per essere venuto qui ha detto: Eccellenza, ma non soffrite del fatto che ci abbandonate tre giorni e ci lasciate qui da soli? Magari, detto così, era una battuta, forse sotto (spero) esprimeva anche un disagio: “non c’è il Vescovo, tutto chiuso, ci sentiamo un po’ orfani”, per dire: uscire, entrare, il Signore ti benedica quando esci e quando entri da ora e per sempre, dall’Antico Testamento, è una forma di ritualità. I preti conoscono bene quanto sia importante la ritualità: se è Quaresima è Quaresima, se è Pasqua è Pasqua, e l’altare non è lo stesso, la coreografia non è la stessa. Se io entro in una chiesa (non è il caso dei preti presenti) e sia che sia Natale, sia che sia Pasqua, sia che sia Quaresima, sia che sia Pentecoste, trovo sempre la stessa tovaglia, le stesse cose, come se non fosse cambiato niente … questo è un appiattire il tempo, oltre che un mettere tra parentesi un’antichissima pedagogia della Chiesa che si chiama Liturgia. In fondo il rituale umano è una liturgia.

Chiudo dicendovi: fate attenzione a celebrare rituali, e per chi abbia responsabilità nei confronti di adolescenti, di giovani, di bambini in particolare: riscopriamo il rito come veicolo di un messaggio ma (è questo poi l’aspetto psicologico) abbassamento dell’ansia, della quota d’ansia che sempre c’è. Ovviamente se noi celebriamo e diciamo: adesso siamo riuniti tutti insieme. Perchè siamo riuniti tutti insieme, perché abbiamo imbandito questa mensa? Perché Fausto si sposa. Pensate che questi due genitori hanno accompagnato il loro figlio all’aeroporto e sono venuti di sana pianta qui. Ovviamente benché contenti che Fausto si sposasse, perché era ora, perché ecc., anzi contentissimi, però che volete … mio figlio si sposa: c’è anche un dolore. Salutarsi è ritualizzare. Quando tua figlia uscirà di casa il giorno del matrimonio, fai un rito! Falle un segno di croce sulla fronte! Dico per il matrimonio come per una partenza, cioè: esprimi con un gesto quel momento, aiuta te, aiuta lei o lui a vivere quel momento in una maniera più umana e con un’ansia contenuta. Questo momento in margine ha: rituali di abbandono, perché (torniamo ai nostri di Emmaus) i due si sono sentiti abbandonati, si sono sentiti traditi. Avevano riposto la loro fiducia, non dobbiamo metterci nei panni di questi due protagonisti per capire: ma perché erano tristi, perché stavano scappando, perché hanno dentro tutto questo dolore? Perché piangono? Perché hanno investito degli anni della loro vita in un Maestro che aveva promesso delle cose e non le ha mantenute, almeno così pare. Allora Gesù li conduce per mano, e torniamo al nostro testo, a rivisitare. In fondo il rituale aiuta a questo, a rivisitare quello che si è vissuto, quello che si sta vivendo. Ma che senti, ma raccontami un po’, quali sono le tue sensazioni, come ti collochi in questo momento della tua vita? Quali emozioni ti segnano, cosa ti attraversa in questa esperienza? Vedete, il racconto. I due si sentono finalmente presi in considerazione, perché poi finché parlavano tra di loro era un circolo chiuso, non facevano altro che rimestare un dolore che essi conoscevano, ma adesso che c’è un terzo che li interroga e che può essere messo a parte, che può fare da specchio (si dice in terapia), che non è indifferente a ciò che hanno vissuto, ecco che è come se i due assumessero un’altra tonalità, prendessero una foga nel raccontare … forse parlano anche contemporaneamente, anche se ovviamente Luca, a distanza di anni, ci riporta un discorso lineare. Guardiamolo un attimo questo discorso.Domandò:«Che cosa?»Gli risposero:«Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu Profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo, come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso».Quindi una storia articolata!«Noi speravamo – qui entrano i sentimenti, fin qui c’era il racconto, fin qui poteva essere anche espresso da un semplice spettatore, ma con il “noi speravamo” entra tutta l’umanità, entrano i sentimenti, entra la delusione – che fosse Lui a liberare Israele». E qui il senso non è solo della liberazione politica, che pure si aspettava. Il Messia sarebbe venuto, novello Davide, della sua stirpe, a riportare Gerusalemme ai tempi d’oro, quelli di Davide e di Salomone. «Con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute (come a dire, sembra un po’ tagliato il discorso) e non è successo niente!”, ci aspettavamo a momenti che succedesse qualcosa, che la morte non fosse l’ultima parola, ma sono passati tre giorni da questi eventi e pare che non sia successo nulla. Sì, è vero, «alcune donne delle nostre ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto una visione di angeli i quali affermano che Egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro, hanno trovato come avevano detto le donne, ma Lui non l’hanno visto». Ecco il quadro completo. Attenti, che qui c’è tutta la fede … ma non c’è fede, paradossalmente! I termini sono giusti, ma è come se non fosse scattata la scintilla della fede, come quando noi la domenica recitiamo il Credo durante la messa, entriamo in un ritmo, in una tiritera, neanche pensiamo a quello che diciamo, magari per alcuni di quegli articoli i Padri Conciliari di Costantinopoli si sono tirate le barbe e si sono lanciati degli oggetti contundenti (per dire che la cosa era calda!), ma noi facciamo come se la cosa non ci riguardasse, come se non fosse cosa nostra, come se non incidesse nella nostra vita. Vedete, questa è la condizione anche di tanti credenti, che sanno ma non vivono.

Mi verrebbe da dire ai preti, ma l’uditorio è al 70-80% di laici: il nostro impianto catechistico è così, ma nessuno tira le conseguenze! Nessuno dice: “Gesù è il Signore della mia vita”. E noi, carissimi, siamo qui agli Esercizi per questo motivo, cioè per dire che questo racconto ci fa vibrare, che questo racconto ci interessa, che per questa storia noi ci giochiamo la vita! Stiamo impiegando le nostre energie, alcuni di voi quelle giovanili, che sono le più preziose!Ecco. I ragazzi vengono al catechismo, gli adolescenti vengono all’ACR, arrivano, noi pensiamo d’aver messo su un impianto catechistico ineccepibile (e da un punto di vista contenutistico lo è), non c’è mai stato nella Chiesa, lo sanno bene i presbiteri presenti, un impianto catechistico così articolato … ma forse non c’è mai stato un tempo senza fede come il nostro. Non voglio scardinare quello che a partire dal grande documento sul rinnovamento della catechesi si è prodotto in Italia — parlo dell’Italia perché di questa ho un’esperienza cinquantennale — ma poi se guardiamo la Francia … c’è solo da mettere in vendita le chiese, sono di gran lunga in una situazione peggiore della nostra, avendo rinunciato anche alle parrocchie - ma ci rendiamo conto che questi hanno detto tutto precisamente, un professore di Teologia li promuoverebbe con 30 e lode! Sono stati articolati nella risposta, sono preparati ma, ahimè!, non sono credenti! C’è anche raccontata la Risurrezione, sia pure “alcune donne”, e ovviamente le donne allora non avevano nessuna credibilità, è importante che Gesù risorto abbia affidato alle donne il messaggio della Risurrezione. Alcune donne sono andate, hanno visto, poi sono andati anche alcuni dei nostri … sì, effettivamente il sepolcro era vuoto.Faccio un piccolo passaggio che sembra non attinente, ma è un’attualizzazione: io ho l’impressione che sia così anche per la nostra vita, e cioè che se io dovessi dire della mia vita, direi in questa maniera piuttosto con tonalità calante … mi spiego. Tu che dici della tua vita? È andata bene? E allora diciamo per noi che abbiamo vissuto già tre quarti, e quindi ci dobbiamo preparare, mettere le mani sul petto, la corona tra le mani ecc., già sistemarci per fare un po’ di allenamento (lo dico per scherzare!). Che ti pare, la tua vita com’è andata? Se noi dovessimo fare un’analisi, come i due di Emmaus, diremmo: sì, mi sono sposato, però poteva andar meglio, i figli non ne parliamo, i nipoti manco a dirlo, mio marito adesso è arteriosclerotico, mia moglie è esaurita, sul piano professionale … Tiriamo fuori delle cose vere e piuttosto tendenti al fallimentare, almeno io lo penso di me! Quando però questi termini vengono affidati a un altro credente (sottolineerei, poi passiamo al messaggio centrale che è il rapporto con la Parola), ecco che queste cose, questi segmenti (dicevo già ieri un po’ frammentari) cominciano ad articolarsi, ad armonizzarsi in una vita che non ci sembra essere stata la nostra, diciamo “questa è una vita bella”. Guarda che è la tua vita, che tu hai vissuto così, che queste cose le hai fatte tu o il Signore attraverso di te! Allora è consolante pensare che quello che dalla nostra angolazione soggettiva sembra un fallimento, sia da un’altra angolazione guardata come una cosa bella. Vi dico l’ultima, o penultima: l’altro giorno ho chiamato Fabio, fratello di Rito. Faceva trentun anni, a Milano da alcuni mesi nell’organico, forse per un dottorato, di un ospedale. Fabio mi racconta che (vi sembrerà una sciocchezza, ma per me è stato importante) per il compleanno ha portato la sua giovane moglie a Bormio, non so se voi conoscete Bormio, io sì, e poi m’aggiunge: da ieri (erano andati il giorno prima) io non ho smesso di parlarle, di raccontarle quello che abbiamo vissuto con te nelle due salite al Quinto Alpini, che era un tragitto (da anni dico ad Arnaldo dobbiamo andare al Quinto Alpini, e prima o poi col permesso di Giovanna ovviamente ci andremo!) di sette ore di cammino per un sentiero, s’arriva quasi a tremila metri con veduta su un ghiacciaio; e poi aggiunse … (perché non mi ha dato solo la notizia, ma mi ha anche dato un grande conforto, non che io fossi scoraggiato quella sera quando l’ho chiamato, ma poi quando ho pensato a questa telefonata ho detto: ma guarda un po’ sto ragazzo … beh trentun anni non si è più ragazzi) mi ha detto: «Grazie, perché senza di te non avremmo avuto dei ricordi». Ma lo sapete che questa frase ha avuto una potenza nella percezione, io non so neanche se lui si sia reso conto di quello che ha detto, ha detto una cosa bellissima, non mi poteva fare un complimento migliore, mi ha detto: grazie, perché senza di te non avremmo dei ricordi! Cioè, Fabio mi rimanda una sintesi, se volete, dei miei anni (ventisette) in parrocchia, che mi fa dire: ma allora non è proprio tutto perso! E io

immagino (perché vi dico questa cosa?) che questa sensazione ce l’abbiate anche voi, che quando fate i conti, quando tiriamo le somme, quando diciamo: eh sì, però avrei potuto, avrei dovuto, lì non sono stato all’altezza … concludiamo dicendo: ah, mamma mia! Che fallimento! Che vita … sarei potuto essere, avrei potuto e invece … È bello che un altro dall’esterno ti dia una lettura della tua vita, riconsegnandoti i termini che tu conosci ma che non riesci a mettere in ordine, per dire: ma è bella questa vita! È stata bella, non è stata vana! Questa fu la mia conclusione quella sera, e forse vi scandalizzerò facendo questa confessione, ma intanto la faccio in quanto ritengo che possa essere salutare per voi, che pure vivete questa tentazione! A dire: sì, sono successe queste cose, abbiamo fatto questo, è accaduto, sono stata abbandonata, mio marito ecc, e poi ho tirato avanti alla meno peggio. Noi speravamo, … E questa stessa vita, con la regia di Gesù, vista con i Suoi occhi, ti appare d’una bellezza inaspettata.Ed Egli disse loro… Attenti, finora non ha parlato, finora ha ascoltato, perché ascoltare è la grande nostra mansione.Ora che si è creato un attimo di silenzio, ora che hanno detto tutto, ora che hanno esternato, verbalizzato le loro esperienze e i risvolti emotivi di quello che hanno vissuto con Gesù, adesso il Pellegrino apre bocca e può parlare con autorità, rimproverandoli, sia pur dolcemente … La nostra nuova traduzione dice: sciocchi, come dire “sciocchini”, sembra un po’ riduttiva, un po’ più forte quella precedente. L’importante è “tardi di cuore”, cioè “lenti a capire”, “stolti” diceva la traduzione precedente, stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti, non bisognava? Su questo verbo torneremo a Vespro, quello che adesso mi interessa è che questa stessa storia viene riletta alla luce di tutte le Scritture a cominciare dai Profeti, «e cominciando da Mosè e da tutti i Profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a Lui». Quanto è durata questa predica, questa concordanza biblica? Probabilmente delle ore! E man mano che Gesù parla – leggi Liturgia della Parola nella falsariga che vi ho dato all’inizio – ecco che i tasselli cominciano a mettersi insieme, si richiamano come in un puzzle, prima disordinato, ora a incastro, facendo intravvedere che è tutto perfetto, è tutto a posto! Non aveva scritto così il profeta Isaia nei canti del Servo (che allora non si chiamavano ancora così)? Non aveva Mosè innalzato il serpente nel deserto, non aveva Mosè (ve l’ho ricordato io stamattina) lanciato il suo bastone nell’acqua amara della fonte Mara? È una rilettura dell’Antico Testamento alla luce di quello che è accaduto a Gesù. Cari miei, questa è la Liturgia della Parola, questo è il confronto della vita con la Parola, a questo serve, a questo è finalizzata ogni meditazione, ogni lettura, ogni ascolto della Parola di Dio che viene a formarci. Questa è la cosa bella, già solo delle parole umane di cui oggi purtroppo siamo molto scoraggiati. Uno parla, anch’io mi lascio andare a fiumi di parole, ma ci sono delle parole che non si limitano “afflatus vocis”, di più! Non si limitano a informare! Ci sono delle parole formative, performative, da cui “performance”. Anche semplicemente da un punto di vista umano, ci sono delle parole che ci risuscitano, come quella dell’altra sera a telefono, non ero morto ma mi ha dato una botta di vita, mi ha rimesso in uno stato di ottimismo! Le parole non sono indifferenti! Oggi particolarmente, dove le parole sono tante, i mezzi di comunicazione, internet, i messaggi, sembra che siamo attraversati da tante parole, al punto che chi lavora con la parola (penso a Patrizia, Marilù che insegnano al liceo, altri …) e noi stessi sembriamo ormai una categoria in disuso, da rottamare: “… che vuoi fare tu con le parole?, adesso c’è bisogno di un mega-schermo con effetti speciali!”. Scusate, ma: “Ti voglio bene” è una parola? Sì, è una frase. E che effetto vi fa, ancora oggi, anche se i nostri figli l’hanno ridotta a “TVB”, che sembra una malattia? Quando eravamo piccoli c’era la TBC … in TVB è messa un po’ di malattia! “Ti voglio bene”, scritto o detto, non ci lascia indifferenti, come il negativo “ti odio”, “mi sei antipatico”, “non ti posso sopportare” non ci è indifferente, non ci passa addosso senza lasciarci una sensazione, un’emozione. Quindi vedete che, nonostante tutta l’effervescenza di comunicazioni non verbali, la parola ha ancora il suo futuro, ha ancora da giocarsi qualcosa, ha ancora effetto. Questo già la parola umana … immaginarsi la Parola di Dio, che è Parola di Dio dentro le parole umane! Se è formativa e performativa la parola dell’uomo, ma allora la Parola di Dio com’è? Mi cambia! Ci cambia!

Il nostro aver dimorato per tre giorni in questo testo ce lo farà apparire per tutto il prosieguo della nostra vita, e anche nell’eternità, benché non avremo bisogno di parola, come un testo caro e luminoso! Quindi stiamo tessendo una tela, stiamo facendo un ricamo, stiamo disegnando un’opera d’arte, ovviamente non per nostra bravura, perché questa è Parola di Dio, è stata scritta 2000 anni fa, ha commosso tante persone, ha convertito, ha fatto ardere il cuore non solo dei due, Cleopa e il compagno, ma di generazioni e generazioni di credenti! Pensate che la traduzione letterale (vado verso la conclusione, state tranquilli) del testo di Genesi “e Dio disse: sia la luce” è: “E Dio disse la luce”. Poi noi, col nostro apparato linguistico, abbiamo bisogno di dire che Dio ha detto: la luce deve essere, deve esistere la luce. Dio disse la luce, e s’accende, come adesso negli impianti con i sensori vocali: “LUCE!” e s’accende! “Finestra!”, “persiana” … come quando vedo i miei giovani sul navigatore dire: “Ariccia, via dei Laghi”, e dico: ma questo con chi sta parlando? Col navigatore, perché il navigatore sente e organizza il viaggio. E Dio disse la luce, vi ho citato questo esempio perché non vale solo per il testo di Genesi, cioè Dio dice e le cose sono fatte. La Parola di Dio ha questo potere, di trasformare la realtà, e questo è bellissimo! E noi questa Parola la dobbiamo amare di più, questa Parola ci deve entrare nel cuore, questa Parola dobbiamo conoscerla, amarla, perché questa Parola, che ci accompagna nelle stagioni della vita, ci dà la possibilità di rileggerci in una maniera diversa da come gli altri ci dicono, da come la vita sembra affermare. Questa Parola mi dice: “tu sei il figlio prediletto”, e io devo crederci! Anche se mi sembra d’essere scalognato, sono il figlio prediletto! Non è un giro di parole, è la Parola di Dio, e se io la ascolto con la dovuta attenzione ed amore, immediatamente io cambio d’umore! E cambia la mia vita! Ovviamente adesso noi stiamo meditando i discepoli di Emmaus, ma vale per ogni parola, per ogni iota, per ogni virgola, per ogni accento, da Genesi ad Apocalisse!Gli Esercizi sono un’occasione unica, da questo punto di vista, di esposizione alla Parola senza filtri. Questa Parola tra l’altro, mentre la stiamo dicendo, si sta facendo adesso! La Parola smette d’essere lettera morta e rivive, all’atto in cui la si legge.Il principio ermeneutico, cioè di interpretazione dei testi, anche non scritturistici, non biblici, dice che la Parola cresce con il lettore.Marilù mi ha consegnato una poesia di Pessoa, in margine a quello che vi avevo detto prima di pranzo. Adesso partiamo dal Portogallo, andiamo a vedere questo folle che utilizzava tanti pseudonimi tranne che il suo vero nome, che quindi ha vissuto cento vite tranne che la sua, la sua disperazione e forse anche la sua patologia, attraversiamo questi anni, arriviamo a Marilù, che avrà utilizzato forse a scuola questo testo, c’è il lago di cui parla la poesia, c’è questa vicinanza di stanza, c’è la luna che si riflette nel lago, c’è una concordanza tra quello che stiamo dicendo e il testo di Pessoa, e si realizza una congiunzione astrale per cui quel testo rivive in una maniera nuova, inedita. Questo un testo letterario, quanto più la Parola di Dio, letta in una comunità, letta una domenica, letta il giorno di Pasqua, letta in un ritiro, letta e commentata in una catechesi, nelle nostre parrocchie …Ci fermiamo per farci raccontare dalla Parola. Vuoi vedere che quello che è successo al vescovo può succedere anche a me, e cioè che stava per “suicidarsi” e la telefonata di Fabio gli ha rimandato una visione diversa del suo ministero, dicendo “Grazie, perché senza di te non avremmo avuto dei ricordi, e io non avrei avuto niente da dire a mia moglie in tutta questa giornata, e invece l’ho assillata” … Magari Marina mi avrà odiato, per questa ingerenza nella sua vita matrimoniale! Vuoi vedere che la parola mi legge? Non sono io che leggo la Parola, è la Parola che legge me! Non so se siete ancora lucidi per raccogliere queste provocazioni, è la Parola che mi legge: mi legge, mi dice chi sono, cosa devo fare, qual è il valore della mia vita, mi dice “tu sei salvato”, mi dice “no problem, non ti preoccupare, abbassa l’ansia, ti stai facendo male inutilmente!”.Sono le cinque, cantiamo “Beati quelli che ascoltano la Parola di Dio”, che utilizzeremo poi nella ripresa.

Canto

Vi lascio con questa immagine, che poi ritroveremo tra un’ora, alle sei.Oltre a ripensare a questi passaggi, che sono stati diversi, chiedetevi quale Parola nella vostra vita risuona in modo tutto particolare. Tutta la Parola per noi è importante, ma poi ci sono delle parole, poche … un brano, un’espressione, un’invocazione, il versetto di un salmo, che tornano ciclicamente nella nostra vita, e sono come il nostro “Breviario della Parola”. La parola “breviario” (piccola nota) nacque dal fatto che i monaci recitavano in un’intera giornata 150 Salmi; ovviamente questo era impossibile per chi, presbitero, parroco, era alle prese con mille problemi e incombenze pastorali, per cui si creò un “breviarium”, cioè una versione breve di questo impegno, e si “spalmò”, prima in una settimana, poi in quattro settimane, i 150 Salmi. Questo vale anche per la Parola di Dio, e cioè: tu devi avere il tuo breviario della Parola di Dio, una frase, una parola, una pagina che torna, perché è stata quella risolutiva, quella decisiva, quella che t’ha fatto cambiare strada, quella che ti ha illuminato in un certo momento della tua vita, e quella parola ti appartiene, e te la devi portare come un tesoro, e ripetertela, e devi conoscerla a memoria!Quindi interrogatevi, fino alle 18.15 (intanto mi sono preso altri 5 minuti): quale parola ha risuonato e ancora oggi risuona nella mia vita.Ore 18:15, prendetevi un caffè, lavatevi il volto, fate quattro flessioni, in modo tale da riprendervi.

Vespri

Vivremo alcuni minuti dove vi sarà data possibilità di dire una parola, non vostra ma un versetto, un testo breve, a memoria, della Bibbia.Quello che abbiamo meditato in questa ora, spero vi siano venute in mente diverse parole, sceglietene una del vostro “breviario”. Adesso non è importante, magari i sacerdoti citeranno perfettamente il testo, potete anche dirlo a senso, l’importante è condividere questa Parola, una Parola che dà senso alla nostra vita, che mette insieme ciò che umanamente noi non siamo in grado di fare. Guardando questa immagine di un testo antico ma che rivive, su cui si consumano gli occhi dell’orante. Il Salmo 1, che è il “portale del Salterio” dice: beato l’uomo che non segue, non indugia, non cammina, ecc, nel verso centrale dice: ma la Tua legge medita giorno e notte. Ci sono dei testi su cui dobbiamo “perdere gli occhi”, su cui addormentarci, su cui svegliarci, come testi importanti, decisivi, fondamentali, fondanti, fontali per la nostra vita.Basterà premere (lì c’è un microfono acceso che bisogna spegnere) il vostro pulsantino rosso, s’accende il vostro microfono e voi dite anche semplicemente una parola, un versetto, così condividiamo questa ricchezza. Sarà la lettura del nostro Vespro, anche semplicemente ascoltare la Parola già fa bene.Possiamo cominciare adagio adagio.

[condivisione delle parole]

Una comunità cristiana dovrebbe fare questo continuamente. Dice l’Apostolo: la Parola di Cristo dimori tra voi con abbondanza, ammonitevi e istruitevi gli uni gli altri, cantando a Dio di cuore canti, inni, cantici spirituali.Ci sono due parole che sigillano questa nostra comunicazione in un aspetto del nostro breviario, ed è una tolta da un nostro testo: non bisognava che il Cristo sopportasse tutte queste cose per entrare nella Sua gloria? E nel Cantico, che abbiamo pregato, dell’Apocalisse, c’è questa espressione: Tu sei degno, o Signore, di prendere il libro e di aprirne i sigilli. È una scena molto forte, con una grossa tensione nel testo dell’Apocalisse, dove a un certo punto compare sulla scena questo piccolo libro, come quello che vediamo nella foto, dice l’autore che è scritto dall’una e dall’altra parte, a dire completezza. Ma questo libro è chiuso, è sigillato, e l’autore percepisce che in quel libro c’è il segreto del mondo, ci sono i destini della storia, e quindi anche la sua storia personale, quella della sua comunità, la comunità di Giovanni, autore dell’Apocalisse. Il libro è lì a portata di mano, ma non c’è nessuno che lo possa leggere. Allora, ed è una scena dolcissima e anche drammatica, Giovanni scoppia in un gran pianto, perché dice: “Qui c’è la soluzione, ma questa soluzione è in codice, è scritta in una lingua strana, nessuno sa leggerla questa lingua, non c’è un traduttore”, quindi si crea una tensione fortissima nel lettore. E poi un angelo si avvicina a Giovanni che è in lacrime, perché ha la percezione che i destini del mondo siano ormai sigillati, nel senso che resteranno incomprensibili, e quindi si continuerà a sbagliare e a collezionare errori su errori, e dice: coraggio, ha vinto il Leone di Giuda (che è ovviamente un’immagine di Gesù), Lui può prendere il libro e aprirne i sigilli. Così nasce questo canto dell’Apocalisse che abbiamo pregato:

Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria,l’onore e la potenza,perché tu hai creato tutte le cose,per la tua volontà furono create,per il tuo volere sussistono.

Tu sei degno, o Signore, di prendere il libroe di aprirne i sigilli.

È l’Agnello, immagine di Gesù risorto, Agnello sgozzato ma in piedi, morto e risorto, che è la matrice e anche il criterio ermeneutico di lettura di questo libro, e dunque dei destini della storia.Vedete, la stessa cosa avviene nel testo di Luca che stiamo meditando, e non a caso lo faccio qui in penombra, perché arrivati a questo punto dobbiamo capire che l’unico esegeta della Parola è Gesù stesso. Questa cosa sembra non dirci granché, non destare un’emozione, a dire: ma che significa che l’unico esegeta, cioè l’unico che può spiegare la Parola è la Parola stessa, Parola fatta carne? Significa che Gesù deve leggerci la Parola e ce la deve spiegare, come nella sinagoga di Nazareth, come nella parabola del seminatore, della zizzania, dove raccoglie i Dodici e dice: adesso vi spiego cosa voglio dire. Voi pensate che la mia vita sia stata un fallimento, voi pensate che la Croce sia il grande fallimento, ecco Io adesso vi dico che era necessario, oportebat.Quante volte questo verbo ve l’ho riportato, ma forse a partire da stasera assumerà un senso nuovo. Oportebat significa: doveva andare così, e non solo per Lui ma anche per noi, perché già ci è difficile capirlo per Lui, cioè che era necessario il fallimento, era necessario il tradimento di Giuda, era necessario il rinnegamento di Pietro, erano necessari gli schiaffi, i flagelli, i chiodi, la croce, ecc. … oportebat. Non era necessario? Non doveva capitare così? L’aveva scritto anche Isaia! Ma quando dall’esegesi della vita di Gesù passiamo all’esegesi della nostra vita - perché anche noi facciamo esegesi di noi, del nostro vissuto – ci risulta molto, ma molto più difficile pensare che certe cose che sono accadute erano necessarie.Non posso dimenticare che al capezzale di Domenico agonizzante, e prima ancora in chemio, ammalato di cancro, (don Domenico) c’era il crocifisso che aveva dipinto Damiana, sotto il quale Domenico aveva voluto (in tempi non sospetti) che si scrivesse questo verbo: oportebat, che ovviamente, e non lo dico per vanto (semplicemente io svolgevo il mio ministero), aveva appreso da me, che era necessario. Ovviamente all’atto in cui ha commissionato quella croce, don Domenico non pensava che sotto quella croce sarebbe morto nei suoi trentatre anni, ma se oportebat, se era necessario per Gesù, era necessario anche per lui, era necessario anche per la sua comunità, era necessario anche per noi che lo abbiamo amato. Di questa necessità ovviamente noi non comprendiamo il senso, ma nella fede ciascuno di noi per i lutti, per le perdite piante, di cui portiamo le cicatrici, ma anche per i fallimenti, anche per quelli morali, in qualche maniera Gesù dice: Non era necessaria la tua depressione? Non era necessario il tuo male? Non era necessaria questa solitudine? Non era necessario questo fallimento?Ve l’ho detto mille volte, e ve lo ripeto stasera, credo che noi ci presenteremo davanti a Dio con la percezione chiarissima che abbiamo sbagliato tutto, e saremo stupiti dal vedere che Lui ci presenta, ci racconta la nostra vita dal Suo versante, con la Sua esegesi, dicendoci: bravo, bravo, ci sei riuscito. Qualche volta vi sarà capitato, quando eravamo a scuola, e non so se ancora oggi gli alunni abbiano timore dei compiti in classe. Avrete sperimentato qualche volta credo anche voi, nel vostro percorso scolastico, d’aver fallito un tema, un problema, un compito, una versione … Temendo il giorno in cui l’insegnante arrivava con il pacco (si chiama così: il pacco) di versioni, o con il pacco di temi, e voi a dire: ecco, adesso che vado a ritirarlo vicino alla cattedra, sono sicuro d’un pessimo voto, sarò rimproverato … e lo stupore di vedere che quel tema, quella versione a cui tu t’aspettavi 4, t’arriva un 7! Un 8! E dici: ma non è possibile! Io così immagino la conclusione delle nostre vite, della mia almeno, cioè di chi pensa d’aver fatto una serie di strafalcioni, di errori, e quindi dice: mah, chissà se non mi manderà all’inferno, perché lo merito! E invece scoprire che era tutto scritto, che era tutto necessario, anche quello che in questo momento ti fa soffrire! Anche il fallimento, anche la tensione, anche il lutto che ti attanaglia, che ti stringe il cuore … Gesù Esegeta, Gesù in cammino sulla via di Emmaus, mettendo insieme antico e nuovo, leggendo, rileggendo la tua vita alla luce della Parola, dice: Ma sai che era un passaggio obbligato? Adesso vi chiedo un atto di fede, perché a quello che sto dicendo voi dovreste ribellarvi tutti, dire: Basta! Ne abbiamo le tasche piene delle tue favole! … No! Lo so che vi sto dicendo una cosa difficilissima, ma anche bellissima! Perché è come se anticipatamente, almeno nel mistero, io

riscattassi la vostra vita, e la mia, rendendola un’opera d’arte, e non perché noi l’abbiamo fatta tale, ma perché l’Esegeta, anche dal mio verso pedante, tira fuori una poesia e un commento meraviglioso che mi fa vincere il premio Nobel e so che è merito Suo, non è merito mio, io ho solo collezionato errori, la mia vita è stata solo una sequenza di morti, di lutti, di separazioni, di perdite … oportebat, era necessario.Ci fermiamo qualche istante in silenzio, prima di chiudere il nostro Vespro. Questa cosa portatevela a cena, portatevela nella sera che viene. Allora era necessario? Allora non sono perduto? Allora c’è ancora speranza? Allora tu hai scritto dritto nelle righe storte della mia vita, nei miei errori? E Gesù dice: sì.Alla fine di tutto questo percorso, di questo andirivieni, di questa collezione di cose strane o addirittura sbagliate, veramente tutto è grazia.

Fine dei Vespri

Alle 19:30 c’è la cena. Fate questo esercizio durante la cena e prima della messa, di una litania con “oportebat”, cioè: era necessario. Fate un elenco, una litania di disgrazie, di incomprensioni … e anziché “ora pro nobis” mettete “oportebat”. È un modo per sanare anche certe cose che ancora ci pesano come ingiustizie.

Celebrazione Eucaristica

Saluto iniziale

Nell’economia degli Esercizi, ve lo ripeto ancora una volta, l’Eucaristia ha un posto centrale, perché a nulla varrebbe capire se poi non abbiamo la grazia per attuare, che non è frutto di volontà ma è dono di Dio, e dunque tutto converge, sentimenti, paure, consolazioni, beatitudine, scoperte, … tutto converge nell’Eucaristia, cuore di questa nostra esperienza. Abbiamo cantato “Quella Chiesa nata dal fianco aperto del Signore”. Il centurione, come un ostetrico, apre il Costato perché nasca la Chiesa. Noi facciamo nuovamente e perennemente in questa celebrazione l’esperienza del Crocifisso che feconda la Chiesa raccolta ai piedi della Croce, che genera nuovi figli. Ci genera e ci rigenera anche in questo momento in cui confessiamo i nostri peccati.

Omelia

Guardandovi, dopo la cena, guardare, mirare, contemplare il lago, sembra che sia un rimando, una sorta di ritardo nei colori del tramonto che sono riflessi nelle acque del lago, ho ripensato a questa poesia di Diego Valeri, un poeta fine ‘800, prima parte del ‘900, che si intitola “Una rosa”:

S’aprono ancora sere come laghi,pallidi sopra i tetti d’oro,lieve tremando nella ferma lucela sparsa ansia degli alberi,e più non c’è memoria o pianto,solo un batter d’occhi del cuorche si desta dal suo sonno di pietrae Te rivede, chiaro lume di vita,meraviglia rivelata e segretadella vita che vive,e il cielo è cielo,e una rosa è fiorita in qualche luogo del mondoinebriando tutta l’aria della sera che dilaga sul mondo.

Ovviamente non avendo il testo dinnanzi, vi è difficile gustarne la dovizia delle immagini. Me l’ha richiamata innanzitutto il lago, perché il primo verso è: “S’aprono ancora sere come laghi”, e l’ultimo è: “Della sera che dilaga sul mondo”. S’aprono ancora sere come laghi, è bella anche questa immagine degli alberi tra i cui rami trema una sparsa ansia. Possono essere ansiosi anche gli alberi, ovviamente il buio che incede, che incombe, fa paura, e quindi più che un’ansia degli alberi sarà un’ansia del cuore, per la sera che s’avanza.In questa sera c’è un ridestarsi d’anima del poeta, e più non c’è memoria o pianto, solo un batter d’occhi del cuor che si desta dal suo sonno di pietra. È come un’anima che sia reduce da un lungo inverno, da un lungo letargo, questo sonno di pietra. Una di voi, con molto candore, mi faceva una domanda grossa, di passaggio: ma come si fa a incontrare Dio, a trovare Dio? E io, così, di rimando, velocemente, telegraficamente ho risposto: stai tranquilla, che è Dio che ti trova!Magari anche qualcuno di voi si ritroverà in questa immagine di un’anima che si desta dopo un sonno di pietra, cioè dopo una lunga stagione invernale di silenzio, di una fede sopita che addirittura poteva ritenersi morta … “e Te rivede”. Non si dice esplicitamente, ma è rivolto a Dio: e Te rivede, questo batter d’occhi, gli occhi del cuore, rivedono Dio! Chiaro lume di vita, meraviglia rivelata e

segreta della vita che vive, meraviglia rivelata e segreta, perché Dio si svela velandosi, si svela nel Creato ma al tempo stesso si nasconde, e anche nell’Eucaristia Dio si fa pane ma al tempo stesso il pane diventa un velo. “Sotto il velo che il grano compose”, diceva il vecchio canto “Inni e canti” sciogliamo fedeli, e il cielo è cielo, cioè finalmente s’è fatto chiaro, finalmente ho ritrovato il cielo. Poi la dolcezza di questa sera è inebriata da una rosa fiorita non si sa dove, che con il suo profumo inebria tutta l’aria di questa sera che dilaga sul mondo. È possibile che una rosa possa cambiare la natura di una sera? Che una rosa sola, fiorita da qualche parte, in qualche giardino dietro una siepe, possa dilagare sul mondo intero il suo profumo rendendo inebriante questa sera? Tra l’altro sul tema della sera noi ci rincontreremo domani nella prima meditazione, quella dopo colazione con l’invocazione del “Resta con noi Signore la sera”. Pensate che sono appena 24 ore che noi siamo qui, e già ci sembra d’essere venuti chissà quanto tempo fa, e non perché pesi (spero sia così) ma perché la densità del cammino dà una diversa percezione del tempo. Perché vi ho letto questa poesia in margine alla continuazione di questo dialogo notturno (Anche il Cardinale Martini ha edito una sorta di dialogo notturno a Gerusalemme)? Perché si tratta ancora di una nascita, devi rinascere, devi rinascere dall’alto, ma com’è possibile? È possibile per opera dello Spirito e a questo punto interviene un palpito di vento, il vento fa fremere i battenti o la tenda dove Gesù sta realizzando questo incontro, si sente il vento tra i rami di un albero e questo dà a Gesù la possibilità di offrire a Nicodemo e a noi un esempio di questa azione fecondatrice. Lo senti il vento, Nicodemo? Ogni predicatore (lo sanno bene i preti) deve utilizzare tutti gli elementi, anche gli incidenti che avvengono in chiesa mentre si sta predicando, non si può fare finta che la signora non sia svenuta, … in qualche maniera, far rientrare anche la distrazione nel tessuto dell’omelia. E così fa Gesù, da bravo comunicatore, da bravo omileta: questo vento che passa gli dà l’ispirazione. Lo senti il vento, Nicodemo? Questo vento d’Oriente, questo vento in questa sera calda e profumata … Da dove viene? Dove va? Il vento è un mistero, ancora oggi, come nasca e come muoia, cosa crei il vento. Questo l’orientale lo sente ancora di più, avvertendolo come un mistero, un sacramento del mistero. Tra l’altro questo vento porta la sabbia, a volte porta anche da noi la sabbia del deserto, ma porta anche i semi, porta anche gli uccelli, è dunque un vento che feconda. Conosciamo l’azione del vento nell’impollinazione. È il vento il vettore dei semi, e Gesù adesso lo richiama come un elemento di fecondità, e al tempo stesso come un elemento di libertà. Innanzitutto come un elemento di fecondità, cioè lo Spirito feconda, anche se tu hai messo uno schermo, anche se tu ti difendi, entra, penetra il vento e ti porta il seme, e ti ingravida. Il vento dello Spirito continuamente ingravida la Chiesa, genera scompiglio tra i giovani, crea cose nuove, e quindi innanzitutto questa dimensione fecondante o di vettore del seme, che è il vento, ma poi anche come elemento di libertà.Così è di chi è nato dallo Spirito, cioè è un uomo libero, è un uomo leggero, è un uomo che va e che viene, non ha paura, si lascia trasportare dal vento! Pensate - lo dico ai preti - quanta difficoltà facciamo a pensare per esempio a un trasferimento, ma anche voi: delegazioni dal vescovo, cartelli, proteste … Mentre chi è nato dallo Spirito ha questa libertà d’essere qui e domani altrove! Andiamo altrove! Tutti ti cercano, dice Simon Pietro a Gesù quando lo hanno scovato in preghiera di mattina presto, a dire: guarda che ci sono delle folle che ti aspettano, la chiesa è piena. E Lui dice: no, andiamo altrove, per altri villaggi! Questo è il senso della libertà, che non significa “non-radice”, “non-radicamento”, ma significa essere figli dello Spirito. I figli dello Spirito vivono questa libertà di andare e di tornare, di partire senza quel peso che a volte vediamo nelle nostre vite, che non ci permette neanche di fare un chilometro o un metro …È possibile rinascere? Sì, affidati al vento. Sta soffiando del vento, viene vento dal lago in questi giorni, attenzione, potreste tornare gravidi a casa! È il vento dello Spirito che ti fa rinascere, che ti rimette dentro una voglia di giovinezza, una voglia di figli, di fecondità, di futuro! E al tempo

stesso, questo vento che senti stasera, che dilaga anche portando il profumo della rosa che è nata da qualche parte è un invito alla libertà.Chiediamo in questa Eucaristia che possiamo avvertire questa fecondità, fecondità significa che devono avvenire delle cose nelle nostre famiglie, nelle nostre parrocchie, non possiamo fare sempre le stesse cose alla stessa maniera, significa “evoluzione”, significa che alcuni chiedono, bussano ai monasteri, ai seminari, che altri si sposano … Un movimento da cantiere, da laboratorio. Invochiamo sulle nostre chiese (siamo di diverse Diocesi) questo Spirito che venga a svecchiare, che venga a ringiovanire, che venga come Zefiro, il vento di primavera, a portare nuovi profumi. Diceva Battisti ne “I giardini di marzo” che i giardini di marzo vestono di nuovi colori, e le giovani donne vivono nuovi amori. Al di là di quello che l’autore voleva dire, entrano in una nuova dimensione, entrano in una nuova comprensione, di sé, degli altri e del mondo.Ecco, speriamo che questa sera si apra. Bello questo fatto che le sere si aprono come si apre uno scrigno, come si apre una porta. Una sera non è una chiusura, ma è una schiusura.Una rosa.

S’aprono ancora sere come laghi,pallidi sopra i tetti d’oro,lieve tremando nella ferma lucela sparsa ansia degli alberi,e più non c’è memoria o pianto,solo un batter d’occhi del cuorche si desta dal suo sonno di pietrae Te rivede, chiaro lume di vita,meraviglia rivelata e segretadella vita che vive,e il cielo è cielo,e una rosa è fiorita in qualche luogo del mondoinebriando tutta l’aria della sera che dilaga sul mondo.

Saluto finale

Pensate ai vostri mariti, ai vostri figli, ai vostri alunni, ai vostri parrocchiani, che da questo nostro essere qui ricevono una grazia «senza causa», direbbe Sant’Ignazio, cioè sono consolati, affrontano la giornata con maggiore levità, con maggiore leggerezza, e questo grazie a te che sei qui. Noi siamo sul monte e preghiamo come Mosè mentre il popolo è impegnato in una dura battaglia, ma c’è un collegamento tra chi è sul monte e chi è rimasto sul campo, tra chi è qui e chi è a casa. D’altra parte questa lontananza ci aiuta anche a voler bene di più … a volte da lontano si vede meglio.Gli appuntamenti domattina sono come stamattina, cioè alle 7:30 per chi voglia celebrare l’Ufficio delle Letture, e per tutti qui alle 8.

Mercoledì

Lodi Mattutine

(commento al Vangelo dei discepoli di Emmaus)

Iniziamo innanzitutto con questa immagine che trovate all’inizio delle lodi. Una foto scattata appena sabato mattina, quando sono andato a celebrare la messa con i miei seminaristi in un ciliegeto, il ciliegeto di Massimiliano. Ho detto: “andiamo a celebrare la messa in un posto pasquale”, e non c’è nulla di più bello di un ciliegeto, in questi giorni, nella nostra terra.Ci sono tanti messaggi che ci raggiungono, ci sono tanti segni della presenza di Dio, tanti indicatori per non perderci, eppure noi rischiamo d’essere disorientati.Mi colpiva stamattina nell’Ufficio delle Letture, nel messaggio alle Chiese: quello che hai, mantienilo fino al mio ritorno. Ho pensato che alcuni di voi, che sono sposati da tanti anni, possono essere in crisi, o possono entrare in crisi. Noi a volte pensiamo: sono prete da tanti anni, sono sposato da tanti anni, ormai sono solido, questi sono problemi dei giovani, delle giovani coppie. Invece siamo veramente tutti in pericolo, e tutti ogni giorno a ricominciare il nostro cammino con impegno, perché aver vissuto tanti anni in uno stato ed essere stati fedeli non è una certezza per il futuro. Questo è anche un motivo per cui si fanno gli Esercizi, per rinsaldarsi (è il caso credo della stragrande maggioranza di noi) nella vocazione ricevuta, per tornare a casa più uomini, più donne, più sposati, più preti, perché quello che abbiamo ricevuto può andare disperso nonostante tutti gli aiuti, tutte le indicazioni, tutti i cartelli stradali, tutti i messaggi che continuamente ci vengono recapitati e che noi possiamo ignorare, addirittura non aprire, come si dice: questo messaggio non è stato neppure aperto.Stamattina mi fermo un attimo su questo rimprovero dolce - certamente dolce, Gesù non è mai stato aggressivo – rivolto ai due: sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti. E poi c’è “oportebat” che ci ha tormentati o speriamo anche consolati ieri. Non bisognava? Perché non avete capito? E questa non comprensione è espressa con un duplice rimprovero, che fa riferimento ad una antropologia biblica: stolti e tardi di cuore, “stolti” e “sciocchi” può riguardare la mente, cioè: non hai letto, non hai decodificato. Paolo nella Lettera ai Romani dice che sono inescusabili – e si riferisce ai pagani, non ai cristiani – coloro che a partire dalle cose visibili, dalla percezione delle cose visibili non sanno giungere alla percezione di quelle invisibili. Anche in questi giorni, e a questo serve il silenzio, se fossimo stati qui nel chiasso, come in un campo-scuola, il lago neppure l’avremmo visto! Questa “violenza” che io uso nei vostri confronti (la chiamo così, ovviamente a buon fine), questa violenza di tenervi in silenzio è presupposto di ascoltare tante voci. Il lago non sarebbe così affascinante se noi stessimo a parlare del più e del meno, a scambiarci le ricette di cucina o l’ultimo cosmetico d’ultima generazione che fa prodigi sulle rughe. Dunque gli uccelli che cantavano stamattina, Rocca di papa che si specchiava, il primo raggio di sole, un uccello che volava alto, un aereo che partiva da Fiumicino, … tutto in qualche maniera ci parlava, e noi dobbiamo avere questa sapienza, perché normalmente noi siamo presi dal particolare, siamo presi dall’impegno immediato e dimentichiamo il motivo per cui siamo qui, in questo mondo: siamo qui per rispondere ad un amore. Ogni giorno questo deve accadere, e anche questa giornata ci è offerta perché non viviamo nella stoltezza, ma nella sapienza. L’uomo sapiente, l’uomo che vede Dio dovunque, che coglie i Suoi messaggi, e la stoltezza (e oggi ce n’è tanta in giro) è quella dell’uomo che vive imbambolato come un adolescente preso dalle sue voglie e non riesce a vedere, a guardare oltre il suo naso.Il primo rimprovero riguarda la mente, e attenti che la nostra mente oggi più di ieri è intasata. Bisogna fare un po’ di ecologia mentale, altrimenti questa parola non trova spazio tra tante parole, tra tante malvagità, tra tanto fango. Io continuo a vivere ovviamente, so che mentre dico questo, ed è quello che vivo, mi pongo in una dimensione forse non giusta. Continuo a vivere questo silenzio

dei giornali che non leggo, che ovviamente non è proponibile, mentre me lo dico so che non potete fare allo stesso modo, però è un tentativo da parte mia di conservare una sorta di verginità della mente, altrimenti questa parola dove va a collocarsi tra tanto materiale, tra tanto liquame che viene riversato nella mente ogni giorno?Stolti! Stolti …Ieri vi citavo il Salmo 1 che parla dell’uomo saggio, beato l’uomo, ma poi mette in evidenza anche lo stolto che segue, che indugia, che siede in compagnia degli stolti, e dunque diventa stolto egli stesso, Salmo numero 1. Quindi non dovremmo tanto guardare, ascoltare, non dovremmo indugiare (pensate anche a certi indugi su questo o quel sito, che mi mette a disposizione una serie di materiale che certamente non mi fa bene in questo momento magari di tentazione), “e non siede” è una progressione. Poi mi ha un po’ intrigato questo “tardi di cuore”. Stolti, sciocchi e tardi di cuore.Ho cercato inutilmente, magari voi sarete più bravi, nell’identificare un termine positivo che dica il contrario di tardo di cuore: noi potremmo dire “appassionato” … magari chiedo aiuto ai presbiteri presenti se riescono a individuare, come esperti della Parola, un corrispettivo nella Bibbia - perché poi la Bibbia bisogna commentarla con la Bibbia – dove si esprima un concetto contrario a “tardo di cuore”. Me n’è venuto uno che ovviamente non appartiene alla Bibbia ma alla nostra Letteratura italiana, e anche piuttosto vicino a noi, ed è Quasimodo in “Lettera alla madre”: Mater dulcissima, ora scendono le nebbie (è un’associazione che ho fatto ieri sera), dove in questa lettera immaginaria, che il poeta scrive alla madre da Milano, dove scendono le nebbie, dove le acque urtano il naviglio, ecc., e il poeta immagina che la madre, ricevendo questa lettera, dica: ah, finalmente s’è ricordato di sua madre, l’ho visto partire che era un ragazzo, con il mantello corto e alcuni versi in tasca, povero e così pronto di cuore. Certamente l’uccideranno.Questa madre che ha visto partire il figlio, sguarnito rispetto alla vita, e dovendo parlare del suo cuore dice proprio l’esatto contrario (non so se si può commentare la Bibbia con Quasimodo, ma cerchiamo di avere uno sguardo ampio), povero e pronto di cuore, così pronto di cuore … certamente l’uccideranno. Perché lo uccideranno? Perché questa madre ha preoccupazione che il figlio, così pronto di cuore, possa essere ucciso? Perché un giovane pronto di cuore s’appassiona, magari per un ideale, per un partito, per un’idea rivoluzionaria, quindi direi così: “facilmente infiammabile”! Per cui tardo di cuore (torniamo al nostro testo) esprime quella comprensione che non passa solo attraverso la mente, ma tocca anche il cuore, cioè una comprensione interiore delle cose, del mondo, delle persone, del Signore, che riguarda il cuore e che deve trovare un cuore ardente. Fac ut ardeat - dice Jacopone nella Sequenza (forse sua) dello Stabat Mater -, un cuore ardente. Saranno i discepoli stessi alla fine a confessare: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto?» di questo vangelo? Tardi di cuore, cioè persone che non si lasciano intrigare. Se dovessi trovare un aggettivo moderno per indicare questo cuore freddo, direi: frigido, persone frigide! Tu magari leggi un verso, prepari una mensa, addobbi un luogo di riunione, fai vedere un quadro, spargi un incenso al profumo di nardo, ecc. (per dire cose che colpiscono i sensi), e le persone stanno lì impettite, ingessate, non si lasciano chiamare, non si lasciano implicare. La Bibbia non si legge solo con la mente, non è un fatto da intellettuali, ma è anche una storia d’amore che chiede una corrispondenza d’amore. E così mi aiuta questo “così pronto di cuore”, che ovviamente il poeta dice di sé ma che mette sulla bocca della madre, a indicare un giovane che è facilmente implicabile, che si lascia trascinare, e invece i due … ma nei due c’è la Chiesa, sono i rappresentanti della Chiesa, quella di Luca, perché Luca sta parlando alla sua comunità; ricordatevi sempre che il Vangelo racconta di Gesù ma racconta anche di una comunità, di una Chiesa, di una parrocchia, di una Diocesi, di un gruppo, e questa Chiesa è lenta, si implica al 10%. Quando viene in chiesa lascia il cuore a casa, ha il cuore in cassaforte, non canta a squarciagola, non si lascia prendere da iniziative, da percorsi. Immagino che anche i più freddi fra noi stiano facendo una esperienza bella, dove questo cuore è pronto: il mio cuore è pronto per Te, per Te mio Dio, dice l’antifona al Salmo “Saldo è il mio cuore”. Svegliatevi arpa e cetra, voglio svegliare l’aurora. Il mio cuore è pronto per Te, per Te mio

Dio. E questo l’abbiamo sentito bene in certi momenti della nostra vita, magari non lo è più oggi dopo tanti anni, dopo tanti graffi, dopo tanti dolori, dopo tante perdite, dicevamo ieri, e invece dobbiamo tornare con il cuore ardente!Allora chiedo al Signore per me e per voi che questa seconda giornata piena, diciamo terza avendo iniziato nel pomeriggio di lunedì, possa trovare il Signore in noi una mente aperta, quindi non chiusa, sciocchi, persone grette che si fermano alla scorza delle cose, degli eventi, delle parole, che possa trovare cuori pronti, “così pronto di cuore”.Credo che uno che si sposi, uno che si faccia ordinare prete, uno che cominci un cammino è come il giovane Quasimodo: povero e così pronto di cuore … Che siano così i nostri figli, i nostri nipoti, quelli che abbiamo generato.

Saluto finale

Ci incontriamo alle 9:45 in sala. Buona giornata, buona colazione. Andiamo in pace.

Meditazione

Lettura del Vangelo

C’è un momento molto delicato all’interno di questo brano, che è il vero elemento decisivo, ed è il versetto “quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, Egli fece come se dovesse andare più lontano”. Perché questo è il momento decisivo del vangelo di Emmaus? Perché nella nostra vita le persone si dividono in due grandi categorie. Noi realizziamo tanti incontri, incontriamo tante persone, alcune anche interessanti, affascinanti, alcune hanno anche una temporanea influenza nella nostra vita, e diciamo che questa parte (incontri casuali, incontri più profondi, incontri di lavoro, incontri dove condividiamo qualche esperienza significativa), questa categoria è di gran lunga maggiore da un punto di vista numerico dell’altra. Questa seconda, più ristretta, per pochi intimi, questo gruppo di persone si distingue dal resto perché a un certo punto della nostra vita noi diciamo: vieni a casa.Guardo con preoccupazione il fatto che questa espressione, che aveva una valenza nelle storie d’amore di un tempo, abbia perduto o rischi di perdere qualsiasi connotazione simbolica: “vieni a casa”.Ci sono sempre più storie, anche profonde, anche affettivo-sessuali, nei nostri figli, nei nostri nipoti, dove non ci si decide mai per un approccio “casalingo”. Io faccio a volte di queste incursioni fuori del testo per farvi comprendere anche come il Vangelo sia umano, e quindi rischiamo sempre più (credo, lo vedrete voi più giovani) di avere amori senza casa, mai accasati, storie magari che durano anche decenni senza impegno, senza vera condivisione. Adesso uscendo fuori dallo specifico di una dinamica affettiva da parte delle nuove generazioni, tornando al testo dobbiamo (benché da noi adesso sia mattina) metterci nell’atteggiamento serale; questo giorno cede al tramonto, “già volge al tramonto”, dice il testo. “Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti”, attenti, non ci facciamo fuorviare dalle rappresentazioni, dalla iconografia che ci ha stravolto il senso del vangelo perché ha sempre rappresentato la locanda di Emmaus, che è diverso da casa! “Andiamo a ristorante” è diverso da “vieni a cena da me”; se Emmaus era il luogo dove i due erano diretti, allora Emmaus è la loro patria, lì c’è una famiglia da cui sono partiti, e dunque c’è una mensa, c’è un luogo affettivo. Credo che cambi molto (non so per voi, ma per me è così) se Emmaus è una locanda o è una casa, perché al ristorante noi invitiamo anche persone con le quali non vogliamo minimamente implicarci. Magari pagheremo anche il conto ma ognuno poi resta libero. Svolgeremo anche il ruolo di anfitrioni, saremo ospitali, accoglienti, ma è diverso quando invece non si tratta del tavolo anonimo di un ristorante, di un albergo, rispetto alla tavola che è in cucina a casa mia.Qui dobbiamo rivisitare anche i luoghi e i simboli antropologici della casa che sono fondamentalmente due e tutti in orizzontale: la tavola e il letto, e sono entrambi luoghi di intimità, luoghi dove ci si lascia andare, dove ci si abbandona al sonno, dove si svestono i ruoli e si resta persone. In questo senso l’accentuazione della casa rispetto alla locanda credo che abbia il suo valore, e cambi un tantino la prospettiva di questo invito, che è il vero cardine su cui gira tutto il brano, su cui ruota questo episodio con la teologia che contiene. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti. Qui date la stura alla vostra fantasia nella maniera più vivida e spigliata. Cosa è Emmaus? Emmaus è un gruppetto di case, è una manciata di case, distante da Gerusalemme, dunque senza la folla, senza il chiasso, senza l’ufficialità, ma in questo piccolo paese c’è una casa che è la mia casa, e questo desiderio della casa (poi torneremo su questo concetto anche nella seconda parte della mattinata con “ed Egli entrò per rimanere con loro”), questa casa adesso ha un richiamo ulteriore perché siamo al tramonto, cioè si sta facendo sera. Tra l’altro, per chi fra voi sia stato in Terra Santa, c’è questo calare della sera in una maniera più repentina di quanto non sia da noi, veramente in un attimo si fa notte, e bisogna rientrare in albergo (dico per i pellegrini).

L’esserci fermati così a lungo ieri davanti ai colori del tramonto stemperati e in qualche maniera rallentati dal riflesso dell’acqua, ci aiuta stamattina a meditare (e questa più che una meditazione vuole essere una preghiera, la distinzione è molto labile) In questo momento in cui l’orizzonte s’arrossa, in cui s’incendiano le nubi, in cui il rosso, l’oro, le lamine intorno al sole dicono “torna a casa”, in questo momento avviene questo parto all’interno della coscienza dei due che non hanno ancora riconosciuto Gesù, che si sono da maestri fatti alunni; prima sono stati loro a parlare, a dire “ma tu non sai, ma tu dove vivi?”, poi si sono fatti allievi, discepoli. È Lui che ha spiegato, è Lui che ha tirato fuori i testi dell’Antico Testamento, le figure, le immagini, perché Gesù è il centro della Rivelazione. Tutto nella Bibbia parla di Lui, nell’Antico e nel Nuovo Testamento.In questo istante in cui si biforcano le strade, dove c’è una stradina che porta a Emmaus, insignificante località, che porta però a casa mia dove c’è la mia famiglia, i miei ricordi, dove c’è un tavolo e un letto, da dove io sono partito e dove vorrei tornare, dove vorrei morire, dove vorrei vivere le cose importanti della vita. In questo momento in cui Lui fa come se dovesse andare più lontano - non si sono ancora detti dove vai, dove sei diretto, cosa è scritto sul tuo biglietto, qual è la tua destinazione, a quale stazione devi scendere …, - hanno colloquiato ma adesso che le strade stanno per disgiungersi, ora che stiamo a un bivio … ma questo non è solo un bivio stradale, questo è un bivio di fede, cioè continuare (e alcuni di voi sono qui) a ritenere Gesù una persona importante quanto volete, affascinante quanto volete, saggia, anche che mi abbia salvato, dal ritenerLo “uno di casa” … non te ne puoi andare proprio adesso! Adesso che è sera, adesso che le ombre si distendono (come abbiamo cantato ieri sera a conclusione dell’Eucaristia), adesso che ho freddo, adesso che vengono i pericoli della notte, adesso che girano gli elfi e i nani, adesso che posso essere preda di un incubo … non te ne andare! Non andare oltre! Questo non andare oltre dovrebbe ricordarvi una scena di Genesi, dove Abramo, che vede i tre messaggeri, i tre angeli, dice: fermatevi dal vostro servo; non andare oltre, cioè: domiciliati qui. “Ma essi insistettero” … evidentemente Gesù volutamente dice che ha altro da fare, che ha altro a cui pensare, che ha altre persone da raggiungere. Magari facendo nascere (perché no) in loro e in noi un senso di gelosia. “Ma essi insistettero”, cioè non è un invito “favorite!”, per dirla con il nostro vocabolario, che si dice anche a un estraneo, guai se dicesse: “grazie, mi siedo”, “favorite, buon appetito” sono quelle frasi rituali dove ci aspettiamo già che l’altro declini l’invito, dica: “grazie, sarà per un’altra volta” … magari passano cinquant’anni. No! Insistettero! C’è una disperazione nel cuore di questi due, c’era prima, si era come stemperata, ma adesso che Gesù sta per andarsene, che questo Pellegrino che parla così adagio, in una maniera così dolce, che penetra con la dolcezza della risacca sulla spiaggia, allora la disperazione dell’abbandono viene fuori con tutta la sua drammaticità in ciascuno dei due e nei due che costituiscono una famiglia e una Chiesa. Nasce qui la preghiera, a mio parere, in assoluto più bella di tutta la Bibbia: resta con noi, Signore, perché si fa sera e il giorno già volge al declino. Su questo vorrei imbastire brevemente una preghiera con voi, utilizzando un’antifona a cui sono molto legato perché nacque, come alcuni di voi già sapranno, nella Pasqua del 2006; dopo Pasqua ad Alberi predicai gli Esercizi ai sette che sarebbero stati ordinati presbiteri in maggio, ai primi di maggio, e c’era anche don Domenico, c’era Marino e gli altri. Di uno abbiamo perso l’indirizzo … per dire che le cose continuano, continua questa damnatio memoriae (ma questo è un messaggio in codice!), e quindi mi dedicai a questa predicazione, pensai: siamo a Pasqua, utilizziamo i brani di Risurrezione. Ho molto chiaro che questa riflessione fatta in un pomeriggio a questi giovani ordinandi (magnifici sette!), poco prima di scendere tentai sulla chitarra un’antifona che aiutasse la preghiera su “resta con noi”. Ci sono centinaia di canti che ricalcano queste parole, rievocano questo momento, e allora nacque questa antifona semplicissima:“Resta con noi, Signore, resta con noi. Resta con noi, Signore, perché è già sera”.

Resta con noi, Signore, resta con noi.Resta con noi, Signore, perché è già sera.

Continuiamo. Vi do delle immagini. Dedichiamo questa preghiera a Peppe Sciacquariello che oggi compie cinquant’anni. Non so mai se gli arriverà, ma certamente spiritualmente gli arriva l’eco di questa preghiera. È una generazione che ho avuto bambina e che adesso ha già cinquant’anni. Peppe quando lo chiamo, magari due volte all’anno, sente la voce e dice:«Boss!», non perché io sia un boss della mafia, ma perché era il modo in cui mi chiamava quando era un giovanissimo acierrino. Perché la dedichiamo a lui? Perché il tempo passa, perché il tempo lascia delle tracce, perché il tempo dice un’urgenza, perché quando consideriamo il tempo, non c’è più tempo. Abbiamo la percezione che il tempo sia così fragile, che la polvere, che la sabbia nella clessidra per lo più sia già andata giù, e che ci rimanga ben poco! Io sono attraversato, come sapete, da questa percezione da una vita, e per questo poi in certe inflessioni, anche musicali, preferisco il minore al maggiore, la tonalità.Immaginate questi tetti di Emmaus, inondati, “tetti d’oro” diceva la poesia di Diego Valeri ieri sera, indorati dall’ultima luce calda … le tonalità si fanno calde al tramonto, vedo qualche comignolo fumigante che dice una famiglia riunita, che dice focolare, che dice caldo, che dice affetto, che dice mensa, che dice riposo. Guardo questo villaggio, che è il mio villaggio, che è il tuo villaggio, che è la casa dove sei nato, che è la casa dove vivi, che è la casa del tuo amore, che è la tua parrocchia per i preti, il campanile della mia chiesa … Anche se a quel tempo non c’erano, immaginate che ci sia anche un campanile ad Emmaus, con un parroco per questi pochi parrocchiani, tutto dedito a questo piccolo gregge. La mia parrocchia è come tutte le parrocchie - dice il curato di Bernanos nell’introduzione al suo diario - e l’ho guardata seduto su un tronco e mi sono sentito stringere il cuore tanto è piccola e può scomparire in un attimo nel fango … È questa percezione della brevità del tempo, di questo giorno, di questa stagione, di questo momento, di questa mia vita.

Resta con noi, Signore, resta con noi.Resta con noi, Signore, perché è già sera.

Virgilio, nella sua composizione pastorale, dove c’è questo Melibeo (chi abbia fatto fra voi gli studi classici lo conosce, e poi l’Arcadia ha cercato di fare riedizione di questi poeti–pastori o di questi pastori-poeti), questo pastore che guarda il gregge ma che suona il flauto e compone poesie, con cui si svolge un dialogo, un dio – dice – ha fatto quest’ozio per noi, e potrei dirlo anche di noi: un Dio ha voluto per noi quest’ozio di questi tre giorni, cioè ci ha regalato questo lago, ci ha regalato questo orizzonte bellissimo. Un dio ha fatto questo, ovviamente questo è scritto da Virgilio che non è un credente. I Padri della Chiesa antica lo avrebbero poi chiamato “naturaliter cristianus”, cioè “naturalmente cristiano” … sono quegli autori, quei poeti che hanno preparato poi l’avvento del cristianesimo. Ebbene, in uno di questi canti a un certo punto Melibeo dice che si è fatto tardi, bisogna tornare a casa perché “maioresque cadunt de montibus umbrae”, adesso non so neanche più se questo verso sia giusto, ve lo porto pari pari da una lezione credo in seconda liceo, maioresque cadunt de montibus umbrae: le ombre cadono più forti dai monti. Che significa? Significa che è tardi, che bisogna rincasare. Sei stato troppo tempo fuori, hai vagato, come il figliol prodigo, c’è bisogno di riprendere la via di casa. In fondo è quello che sentono i discepoli, tra poco scopriranno che quello che per loro è casa non è più casa, ma in questo momento resettiamo come andranno a finire le cose, e catapultiamoci, tuffiamoci in questo istante decisivo. Si sta facendo notte, e non te ne puoi andare! Attenti, che non è un semplice riferimento d’ospitalità, gli ebrei sono maestri, l’ospite è Dio, e dunque bisogna ammazzare il vitello grasso, bisogna preparargli una mensa, magari io dormo a terra ma tu dormi sul mio giaciglio, … c’è molto di più. C’è che questa sera, se tu non sei con me, è insopportabile. D’altra parte (e qui anche la letteratura ne è piena) il momento in cui l’assenza dell’altro si fa più dura è la sera. “Era già l’ora che volge al desio, e ai naviganti intenerisce il core”. Mi ha commosso che qualcuno di voi ieri, citando “Resta con noi, Signore” ha fatto una scivolata in Dante … mi è piaciuto! È uscito un “desio” che non c’è nel testo, ma c’è nell’anima, c’è nel nostro background culturale. I naviganti – e qui c’è Lello che sulle navi da crociera svolge il suo lavoro e sa che il ricordo di casa

sua, della sua parrocchia, del suo paese, della penisola, si fa più forte al tramonto. Di giorno siamo occupati in tante cose, presi dai nostri ruoli, ma quando si fa sera “vengono tutti i mali”, dicevano le nostre mamme. A sera si danno convegno tutti i problemi, e non è un caso che negli ospedali il momento più terribile sia la sera, la notte. Di giorno ancora i malati parlano tra loro, tra una flebo e l’altra, tra un’infermiera e un medico scorbutico, il tempo passa … Ma quando s’abbuia, quando si va abbuiando (questo è un verbo di Barsacchi) allora le cose diventano più dure, non si può stare lontani. La sera è il momento in cui si intenerisce anche il core dei naviganti, che per definizione sono gli uomini liberi, come cantava De Crescenzo: dove c’è mare c’è libertà, ognuno coi suoi pensieri; parte un battello e con lui parte una parte di te. Anche questi uomini duri, divorati dalla salsedine, dalla lontananza, vivono questa esperienza della nostalgia. Resta con noi, perché si fa sera.

Resta con noi, Signore, resta con noi.Resta con noi, Signore, perché è già sera.

Ho già descritto alcune sere, quelle del tramonto di una giornata, ma poi c’è la sera della solitudine, dell’abbandono, la sera della separazione. Il figlio è partito, il marito è lontano, mio marito mi ha abbandonato … La mia adolescenza credo che sia stata formata anche dalle preghiere di Michael Quoist, di cui vi ho parlato altre volte, e in quel testo, Preghiere, c’è una preghiera: “Preghiera del sacerdote la domenica sera”, che è struggente, almeno mi ha formato quando ancora non ero prete a prepararmi alle sere, alle domeniche sera del prete. Perché la domenica sera? Perché sabato sera c’è una tensione (speriamo che in voi ci sia!), domani la mia comunità si riunisce, cosa dirò? … tutto un laboratorio, tutto un fare, preparo, metto i fiori in questa maniera … Fantasia che prende tutti i preti amanti! Poi c’è la celebrazione, l’andirivieni delle persone, i problemi, le cose, ecc., a un certo punto viene la sera. Com’è la domenica sera di un prete, quando tutti se ne vanno? Ho incontrato il nostro don Fabrizio nella mia puntatina palermitana di poche ore, di passaggio da un aereo all’altro, e mi ha stretto il cuore nel vederlo anche così solo in una canonica così grande, in una chiesa così grande, in un quartiere così popoloso. Ma dico lui per dire qualsiasi prete che viva questa solitudine, cui ci siamo dolcemente condannati, che si chiama celibato, e che in certi momenti diventa più forte: la sera di Natale, la sera di Pasqua, la sera in cui tutti vanno perché c’è il cenone, perché c’è la famiglia che si raccoglie, … le mura nude della tua canonica, fredde ... C’è una sera anche per i preti, una sera per loro e per noi, per voi, in cui il cuore si stringe, abbiamo bisogno di un porto - che siano le braccia del Signore che ci ha chiamati, e che pure in certi momenti sentiamo lontano, e che invochiamo, che venga, che resti, che sia Lui padre e madre, moglie, figli. Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? dice Gesù. Mio fratello, sorella e madre è colui che fa la volontà. E poi quando Pietro gli dice: ma noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, cosa ne avremo? In verità vi dico: chi avrà lasciato casa, fratello, padre, madre, campi … avrà cento volte tanto, insieme a persecuzioni, e la vita eterna.Su queste sere invochiamo la presenza di Gesù, ci sono anche preti in crisi, preti che hanno il cuore tardo, come abbiamo riflettuto a lodi, e che non riescono più a entusiasmarsi e non preparano più l’altare come il letto nuziale, che non cambiano più le tovaglie, che utilizzano lo stesso purificatoio per quindici giorni di seguito, che non fanno più attenzione ai particolari, proprio degli amanti.

Resta con noi, Signore, resta con noi.Resta con noi, Signore, perché è già sera.

Torniamo ai nostri due, che sono stati defraudati, hanno perso, sono soli, e adesso in questo pellegrino hanno ritrovato qualcosa del Maestro, come una memoria … Il salmo che abbiamo pregato stamattina diceva: un canto nella notte mi ritorna nel cuore, rifletto e il mio spirito si va interrogando. Il canto nella notte è questa nostalgia, questo ricordo. Ma una volta, ma quando ho fatto la Prima Comunione, ma quando sono stato ordinato, ma quando mi sono sposata, ma quando

mi nacque il primo figlio, ma quando i miei figli erano bambini, ma quando la nostra comunità era riunita, ma quando … È come se fossero cagnolini abbandonati, che ti vengono dietro e che elemosinano una carezza. Gesù lo sa, legge nel loro cuore, “Egli sapeva che cosa c’era nel loro cuore” dicono gli Evangelisti, nel cuore di ciascuno … quindi sa anche che il cuore di Cleopa e il cuore di Luca (forse, se si chiama così l’altro) è desideroso di incontrare il Maestro, devono ancora cadere delle squame, come per i ciechi.Torniamo a questo binomio tavola – letto, che mi appassiona.Vieni, resta con noi, significa: entra nella nostra intimità, qui c’è casa nostra. Forse troveremo un po’ di polvere, perché l’abbiamo abbandonata da tempo per andare dietro al Maestro, ma possiamo accendere il camino, ma possiamo imbandire una mensa in fretta e in furia. D’altra parte non è importante quello che mangiamo, l’importante è con chi siamo, con chi condividiamo. I menu più raffinati non hanno sapore rispetto a un desco povero ... “torna alla sua parca mensa fischiando il zappatore”, dice con una licenza poetica il Poeta. Il testo della Sapienza, più antico, dice che “è meglio un pane con l’amore che un bue grasso con l’odio”; l’importante non è quello che mangi, l’importante è con chi tu fai mensa. Fai mensa con me, siediti con me. La mensa non è il luogo dove assumiamo delle proteine, delle vitamine, ma è il luogo del racconto, il luogo degli sguardi, il luogo in cui diciamo: è bello stare insieme, ce la faremo. Se ci fate caso, la stessa valenza contiene anche il letto, cioè: dormiamo insieme, ci riscalderemo. “Se due dormono insieme, insieme essi si riscaldano” dice il Qoélet. Non pensate direttamente all’elemento sessuale, quanto al fatto di dover essere insieme. Fino a un certo punto sono stato contrario a che alcuni di voi coniugi chiedessero di stare nella stanza a due, ma poi ho capito col passare degli anni che dopo cinquant’anni di vita insieme uno non riesce a dormire se sa che il marito sta in un’altra stanza … è un fatto così vitale, come se uno non potesse addormentarsi più da solo, e quindi poi ho lasciato – credo quattro o cinque di voi che da un po’ di anni chiedono di dormire anche agli Esercizi nella stessa stanza, l’avete avuto concesso -. So che è un fatto proprio vitale: il giorno e la notte, in particolare la notte, se tu non ci sei io non riesco a dormire. Pensate per un attimo a quelli che vivono la separazione, ma ancor più la vedovanza, quanto deve essere duro stendere la mano e perdersi nell’altro posto vuoto.“Resta con noi” significa: se Tu sei con noi questa notte, questa notte non è più notte, come dice il Salmo 138 “nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno”.

Resta con noi, Signore, resta con noi.Resta con noi, Signore, perché è già sera.

Vado verso la conclusione, due ultime notazioni, una rispetto alla malattia e agli anni che passano, perché la vecchiaia è di per se stessa una malattia.La malattia ci pone in una dimensione di debolezza, che ovviamente i giovani non conoscono ma che gli adulti, gli anziani conoscono benissimo, che è come una sorta di avviso di garanzia. Vediamo da dove bussa, vediamo da che parte tenta d’entrare il nemico, da dove m’assale, in quale punto della cinta delle mura del mio corpo il nemico cancro tenterà l’assalto. Conosciamo questa pedagogia e questa medicina che è tenere la mano del malato, perché le parole non servono, perché è importante la presenza, è importante che tu sappia che io sono qui e noi ce la faremo insieme. In qualche maniera, vedete, questa che già all’inizio vi indicavo come una terapia è un tenerci per mano temporaneamente per questi tre giorni, dicendo: ma sì, ce la faremo! Riusciremo a superare ogni notte! Per ogni notte buia che il cielo oscurerà, amici miei, poi ci sarà un’alba chiara in più, dice il testo credo ottocentesco di Amazing Grace, meravigliosa grazia. Man mano che passano gli anni, man mano che abbiamo timore di dire quanti anni abbiamo (io ne ho sessanta e lo grido!), man mano che aumentano i sintomi, man mano che diventiamo più facilmente inclini alla stanchezza, man mano che abbiamo bisogno di farmaci e il nostro comodino diventa una farmacia, la presenza di Gesù non come consolazione deve diventare familiarità.Se Tu sei con me, andiamo insieme. Già vi ho confessato questa cosa, che quello che mi ha confortato nove anni fa, nel passaggio da Piano a Teano, quando io non conoscevo ancora i miei

attuali diocesani, né loro mi conoscevano (per fortuna), quello che mi confortò molto – perché avevo bisogno io stesso di motivarmi per quella morte, che poi sarebbe stata una rinascita – era: Gesù mi aspetta là. Questa fu una certezza che mi attraversò e mi sostenne: quando anche dovesse mancare tutto, c’è Gesù e quindi Lui saprà come sostenermi. Questo utilizzatelo anche per voi quando andate in un posto, quando avvengono dei cambiamenti a volte anche radicali, dolorosi nella vostra vita, sentite che possono togliervi tutto ma non Gesù. In “Processo a Gesù” di Diego Fabri, la donna delle pulizie - quando stanno per condannare Gesù su questo palco dove si mette in scena continuamente ogni giorno il processo a Gesù da parte di questi ebrei - insorge entrando in scena in una maniera accorata dice: «Per carità, non toglietemi Gesù! Non toglietemi il mio Gesù», e poi confessa che il figlio l’ha abbandonata, che è sola e che Gesù è il sostegno della sua vita. Leggetevi quel testo che torna, nonostante gli anni, a essere un meraviglioso grido di fede, “Processo a Gesù”.

Resta con noi, Signore, resta con noi.Resta con noi, Signore, perché è già sera.

Forse perché della fatal quiete tu sei l’imago, a me sì cara vieni, o sera.Questo lo desumo dal mio ginnasio, e credo che corrisponda per voi al sonetto “A sera”, che anche se viene da un poeta non credente, pure ha segnato la nostra formazione. La sera sacramento della sera, la sera che incute paura perché dice morte, la sera che cade repentinamente … “ed è subito sera”, dice Quasimodo: è la sera della vita. Verrà un tempo per ciascuno di noi, ed è bene che questo tempo in qualche maniera sia anticipato, e tematizzato, e pregato, e pianto (perché no!) agli Esercizi, in cui avremo la percezione che è veramente finita, che non ci sono più tempi supplementari.Un pensiero alla morte aiuta sempre a vivere, ed è un canto alla vita, perché se questo giorno volge alla sera vorrò viverlo nella maniera più intensa, più vera, più bella, guardando, annusando, comunicando, lodando, dicendo “è stato bellissimo che Tu mi abbia invitato a questa mensa, benché così breve”. Nel testo di Quasimodo, secondo alcuni il verso più bello del ‘900 (secondo certe stime che alcuni si piccano di fare), abbiamo l’uomo solo e l’uomo non è mai così solo come davanti alla sua sera. Ma ora verranno le stelle (qui è Pascoli). “Il cielo fu pieno di lampi, ma ora verranno le stelle”, ed è un senso di pace. Ovviamente questo non può viverlo solo un credente. Ho scritto credo tanti anni fa sulla tomba del parroco don Alfredo, l’ultimo verso di questa poesia: “La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa nell’ultima sera” … quando guarderemo dal di là della sera, le altre sere, gli altri giorni, ci accorgeremo come sia stata bella la vita e come per questa opportunità abbiamo modo di dire grazie per tutta l’eternità, pur con tutte le pene, le prove, le pressioni, i dolori, le tentazioni, le cadute che hanno contraddistinto la nostra vita.Pensate che bello avere Gesù accanto nell’ultima sera, Lui certamente ci sarà. Sempre sogniamo “chi vorrei che ci fosse accanto al mio letto quel giorno” … voi sposati “i miei figli tutti raccolti” e voi come un patriarca, una matriarca: «Adesso vi benedico!», magari! Però non sarà così, perché vi porteranno in ospedale, vi intuberanno, sala di rianimazione, ecc., tutto quel rituale piuttosto macabro (e forse anche inumano, direi dal mio punto di vista), ma non è importante: non scegliamo noi la nostra morte, né l’ora della nostra morte, per la quale pure preghiamo in ogni Ave Maria: «Adesso e nell’ora della nostra morte», ma ci verrà incontro con una sua pienezza. Dio sa il giorno della mia morte, ed io so che in quel giorno, in quell’ora, in quella sera, in quel momento Lui ci sarà. Perché sono affezionato a questa antifona? Non perché l’abbia composta io, ma perché mentre la cantavo - e c’era anche Domenico - poi mi sono chiesto nella storia degli effetti se l’aver trasmesso, aver fatto quella meditazione sui discepoli di Emmaus in quel pomeriggio di aprile del 2006, quando non c’erano assolutamente i termini del cancro che si sarebbe manifestato nel prosieguo (ci si preparava in fondo a un grande giorno di festa, a un grande trionfo) mi sono chiesto se questo motivo non gli sia entrato nell’anima, perché poi questo figlio so per esperienza essere

stato (per quanto così diverso caratterialmente, così estroverso rispetto a me, così ribelle), per certi aspetti, anche molto vicino, non fosse altro che per l’amore alla chitarra, agli Esercizi, e mille altre cose. Per cui cerco di guardare – ovviamente non ci riesco perché in quel momento non ne avevo coscienza – Domenico quel pomeriggio, mentre io cantavo e suonavo questa antifona per la prima volta, appena nata, a volte così è agli Esercizi, le cose nascono trenta secondi prima, lo sa anche don Vitaliano e chi fa gli Esercizi: ti prepari cinquecento cose e poi esce cinquecentouno trenta secondi prima di cominciare; mi chiedo quanto questa preghiera, con queste note (la preghiera è quella dei discepoli) sia entrata nel cuore di questo figlio e l’abbia accompagnato nella sua sera. E fu quella notte, una notte di travaglio, una notte di passaggio, 17 ottobre.Io vi lascio questo lago di sensazioni, e qualcuno dirà “di suggestioni”, per continuare adesso a modo vostro. Pensate ad alcune sere anche, questo è l’esercizio. Quale sera ti è pesata di più fino a oggi? In quale sera ti sei sentito particolarmente solo? In quale sera hai avvertito la vicinanza di Dio?Meditando, ripetetevi il ritornello: Resta con noi, perché si fa sera. Anche Paolo, nel suo lungo pellegrinaggio, difficile, provato, a un certo punto (ed Ermes Ronchi glielo fa dire nel monologo che ha scritto per lui), dice, quando è prigioniero, quando sa che i suoi giorni sono contati, dice: resta con me, perché si fa sera. Vi affido, per un’ora, a questa preghiera, anche se adesso usciamo fuori e saremo catapultati nel mattino, nei colori. Ma dopo questa meditazione fatta ad alta voce potrete gustare di più il lago: com’è bello, com’è dolce! Voglio imprimerlo nelle mie pupille in modo tale da non perderlo più! Com’è bella la vita! Quindi scambiatevi degli sguardi, potete stringervi una mano (senza parlare, mi raccomando!), per dire: è bello! È bello che siamo stati invitati insieme (questo lo dico per quelli tra voi che sono sposati) a questa duplice tavola della casa, la tavola – la mensa e la tavola – il talamo.

Resta con noi, Signore, resta con noi.Resta con noi, Signore, perché è già sera.

Non so se in questo indugio sulla sera, dal punto di vista musicale, dove c’è un accordo diminuito e poi un la con il ritardo (si dice in termini profani, la undicesima ecc.), io non abbia voluto tardarla! C’è un indugio, e quelli fra voi che mi stanno psicanalizzando, diranno: ecco, è la sua anima attraversata da tristezza, ecc. Invece leggo in questo indugio “perché è già sera” una voglia di vita! Ritardiamola questa sera, questo indugio sulla sera in fondo non è un modo per crogiolarsi nel dolore, ma è un desiderio che questa sera, come i colori sul lago, possa durare, avere un’eco più profonda, un’eco prolungata.

Resta con noi, Signore, resta con noi.Resta con noi, Signore, perché è già sera.

Se i preti presenti lo vogliono, alle 11:30 (ma non siete obbligati) potremmo vederci nella Cappella dell’Adorazione, solo così per 25 minuti che stiamo insieme noi, invece con tutti ci vediamo a mezzogiorno qui.

Meditazione

Resta con noi, Signore, resta con noi.Resta con noi, Signore, perché è già sera.

Forse fra tutte le riflessioni di questi giorni questa è quella che dovete prendere più con le pinze, nel senso che è dubbia … lo dico per difendervi. Dubbia non tanto nell’ortodossia quanto nell’intuizione. Forse l’unica intuizione per certi aspetti un po’ nuova che mi è venuta è che tra le righe è già uscita forse ieri, e vuole essere (quindi potrete anche cancellarla e resettarla) un commento a (dopo la preghiera “Resta con noi perché si fa sera, e il giorno già volge al declino”) “ed Egli entrò per rimanere con loro”. Intanto, sulla quarta di copertina voi trovate il grande orologio da me architettato per la facciata della curia. Prendo spunto per ringraziare Angelo, l’architetto della curia, che è quello che, credo in assoluto, mi sopporti di più perché ovviamente io sono “debordante”, e lui fa fatica (giustamente) a venire dietro alle follie architettoniche del vescovo. Qualche volta scherzando mi dice: Eccellenza, avete sbagliato mestiere! E qui è importante questo orologio perché quando pensai anni fa (il cipresso è ancora molto piccolo, tra l’altro adesso ha superato l’intero palazzo) cosa scrivere su questo orologio, cosa si può scrivere su un orologio, mi venne chiaro che dovevo scrivere “Resta con noi, Signore” … “mane nobiscum, Domine, quia advesperascit”, perché si fa sera.Questo piccolo percorso, tra l’altro breve, per quanto abbia chiesto dieci minuti di tregua alle cuoche che sono alle prese col risotto (magari questo potrebbe interessare i succhi gastrici!), è come se io immaginassi Gesù all’atto (e vorrei che Lo immaginaste con me, sia pure in questa riflessione estemporanea) in cui sta per varcare la soglia della casa dei due, e dico:«Fermo, fermo Gesù! Ma sei sicuro di voler entrare in questa casa?» … Finora abbiamo visto le cose dal lato nostro, è chiaro che se Lui resta con noi la sera non è sera, la morte non è morte, il dolore non è dolore. Ma a Lui conviene? Vedete, questa frase che è bellissima “ed Egli entrò per rimanere con loro”, sempre più andando avanti negli anni mi dice che è la sintesi della Rivelazione cristiana, perché dice Incarnazione e Redenzione, perché dice Natale e dice Pasqua, perché dice Eucaristia. Lui entra ma non di passaggio, non per un caffè, non per un giorno … per rimanere! Ma che cosa ha significato questo per Dio? Che significa? Noi ovviamente, né io voglio sciogliere questo interrogativo, persone molto più intelligenti di me in passato hanno cercato di dare una risposta, cioè che cosa muova Dio a bussare a questa capanna dove vive l’uomo, a questa grotta dove c’è una scimmia, lasciando una reggia, lasciando un blasone, lasciando un’aristocrazia (appunto, la divinità!) per entrare e per stare con noi! Non è venuto e se n’è andato, è venuto ed è restato! E benché nessuno di noi vada nelle nostre chiese, e qualche volta che noi preti stufi passiamo davanti alla custodia del Santissimo piuttosto disamorati, Lui sta lì, Lui rimane! Ce ne possiamo andare noi, possiamo dimetterci noi, non solo dallo stato clericale ma anche dall’umanità, ma Lui entrò per rimanere! Vedete che questa frase non è la frase soltanto di questo Vangelo, ma è il Vangelo! Il Vangelo è che Dio ha risposto a questa invocazione:«Se Tu squarciassi i cieli e scendessi!», che adesso qui per noi, in una maniera più accorata e più bella, è:«Resta con noi perché si fa sera», Lui è entrato e si è sistemato, si è domiciliato, si è naturalizzato uomo.Fermando un attimo questo fotogramma di Gesù, che sta per poggiare il piede oltre la soglia della casa di Cleopa, è come se io facessi “l’avvocato del diavolo” e dicessi a Gesù: Gesù, ma sei veramente convinto di entrare in questa casa per rimanervi?, e questa casa non è solo la loro casa, è la mia casa, è il mondo, è la storia, è questa nostra umanità che con tutto il progresso è ancora così razionale! Ma dove vai?Vi faccio fare velocemente un percorso, che non è biblico ma è letterario, che nasce dal V libro dell’Odissea – per questo dico che è molto discutibile quello che sto per dirvi -. Il V libro dell’Odissea è il racconto di Ulisse che è prigioniero di un abbraccio della ninfa Calypso. Intanto io più vado avanti negli anni, non so voi, più sono entusiasta delle nostre radici greche. Magari al papa Francesco queste cose mancheranno, come a tutto il nuovo mondo, cioè: ma voi mettete che

significa la filosofia greca, che significa la Magna Grecia, che significa per noi l’Eneide e l’Odissea! Vi sembrerà una bestemmia, ma per noi sono Vangelo, intendo per le nostre radici culturali, per noi dell’Occidente. Perché dobbiamo essere così ammiratori degli altri e non cantare le nostre storie, e non decantare le nostre radici? Le nostre radici affondano nella Grecia e in ciò che la Grecia ha prodotto, e tra le cose che ha prodotto e che sono nell’inconscio collettivo ci sono i poemi omerici. Che sia stato uno, che sia stato un gruppo … la questione omerica adesso in questo momento non ci tocca!, però quello che è raccontato sia nei gesti bellici dell’Odissea, sia nella difficoltà del ritorno di Ulisse a Itaca c’è in fondo una visione dell’uomo profondissima!Non sto qui a dirvi cose in cui magari siete già convinti da voi.Che si racconta nel V libro dell’Odissea? Si racconta che gli dei fanno una riunione - ovviamente è assente (perché certe riunioni bisogna farle in una maniera tattica) la dea nemica di Ulisse, che altrimenti avrebbe votato “no”, sta in giro per altre questioni – e quindi Atena, che è la grande protettrice di Ulisse, organizza questa riunione con Giove, con tutti gli altri dei, a dire: ma insomma, questo povero Ulisse che è ancora prigioniero, ve lo ricordate? Prendete la cartella, prendete il file … è ancora prigioniero della ninfa. Lo vogliamo far tornare a casa o no? Ovviamente visto che l’avversaria non c’è votano tutti sì, e Ermes è mandato da Calypso, la dea bellissima, biondissima, che abita l’isola folta di vegetazione, per portarle questa ferale notizia: è finito il tempo della prigionia di Ulisse. Attenti, prigionia per Ulisse ma per Calypso è l’amore! Lui se ne deve andare, Lui, che la ninfa ha raccolto moribondo dalle acque del mare, poi di quest’uomo si è innamorata e con quest’uomo ha avuto una storia, e per lei questa storia è importante, è definitiva! L’augusta ninfa, del saturnio udita la severa ambasciata, il prode Ulisse per cercar s’avviò. Trovollo assiso nel mare in su la sponda, ove le guance di lacrime rigava e consumava col pensier del ritorno i suoi dolci anni.Questa è l’immagine di Ulisse, che sta bene di notte (ovviamente chi non starebbe bene con Calypso, perché è bellissima!), però poi di giorno va sulla spiaggia e piange, e piange perché vuole tornare a casa, piange per Itaca, piange per il figlio che ha lasciato bambino, piange per la moglie, che forse l’attende, che a sua volta sarà presa da nostalgia. Ma perché devo stare qui prigioniero di un amore, bellissimo quanto volete, ma prigioniero? Allora c’è questa vicenda, ovviamente il termine “Calypso” significa “nasconditrice”, ecco come vedete anche dal testo di Pascoli che adesso vi leggo, che è molto dopo ovviamente. Questa dea che nasconde, quindi dà l’idea del bosco, una ninfa, la ninfa è la dea dei boschi, dove c’è l’ombra, dove si possono nascondere le cose, dove si possono tenere prigionieri dei malviventi, ecc. … è costretta a far partire Ulisse, ma un’ultima carta se la gioca, e dice: okay, gli dei hanno decretato così, puoi costruirti la zattera, puoi tagliare gli alberi, puoi partire, però ricordati che se tu resti qui io ti dono l’immortalità! Questa cosa è importantissima che la comprendiate, intendo dalla mia angolazione, e cioè che Ulisse si trova al bivio tra il ritornare a casa dalla moglie ingrassata, con la cellulite, con le rughe, ecc., non sa neanche se è stata fedele, ha veramente tessuto questa tela …, e comunque (cosa più importante!) andare incontro alla morte, dall’altra ci sono non solo le braccia dolcissime di Calypso, ma c’è l’immortalità, cioè tu se resti qui io farò una pratica speciale per farti diventare immortale, e quindi non mangerai più i cibi dei mortali ma l’ambrosia ecc. Capite che è un bivio di una drammaticità?! Accettare il frammento per il tutto! Accettare di tornare e morire anziché restare e non morire mai! Ma Ulisse sceglie Itaca … sceglie Penelope, sceglie Telemaco, sceglie il limite e parte. Lasciamo stare il resto dell’Odissea, ovviamente la nemica si accorge che è in mare e gli crea un’altra tempesta, ma come sappiamo nella grande intuizione di Omero, Ulisse approda alla pietrosa Itaca (con tutte le difficoltà del caso!).Dante – e il passaggio è importante per capire poi Pascoli, perché poi di mezzo ci si mette Dante con la sua versione – dice: sì, è tornato ma poi è stato preso dalla smania del mare (come sono i naviganti, lo sa Lello!). I naviganti dicono: questo è l’ultimo imbarco ecc. (la penisola ne è piena!) però dopo un po’ gli viene il mal di mare, gli viene la nostalgia del mare! Alcuni pensionati che potrebbero starsene a casa tranquilli … il mare!

Qui è Dante che ricama anche lui da par suo, e dice che invece non dall’amore della moglie, ma dal senso d’avventura, dalla voglia di conoscere è mosso Ulisse, al punto che si rimette in mare. Si rimette in mare per attraversare le Colonne d’Ercole, oltre le quali non bisogna andare perché c’è l’abisso, perché gli dei non vogliono! Ma il prode Ulisse – versione dantesca – nella famosa frase, per incitare il suo equipaggio: fatti non foste a vivere come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza! Il sapere è importante! Bisogna scorgere, sperimentare, toccare! Andiamo verso il nuovo mondo! … Ma ecco che, in vista della montagna, viene risucchiato in un gorgo e muore. E fin qui è Dante.Adesso interviene Pascoli – facciamo un salto letterario, non indifferente, di secoli – e questo ve la leggo, perché è il ritorno … nella mente ovviamente malata (forse come la mia!) del Pascoli, c’è nei Poemetti conviviali questo ritorno di Ulisse, ovviamente cadavere. Il mare misericordioso porta questo cadavere di onda in onda fino a farlo approdare sulla spiaggia dell’isola di Calypso, e qui siamo nell’800.

E il mare azzurro che l’amò, più oltrespinse Odisseo, per nove giorni e notti,e lo sospinse all’isola lontana,alla spelonca, cui fioriva all’orlocarica d’uve la pampinea vite.E fosca intorno le crescea la selvad’ontani e d’odoriferi cipressi;e falchi e gufi e garrule cornacchiev’aveano il nido. E non dei vivi alcuno,né dio né uomo, vi poneva il piede.Or tra le foglie della selva i falchibattean le rumorose ale, e dai buchisoffiavano, dei vecchi alberi, i gufi,e dai rami le garrule cornacchiegarrian di cosa che avvenia nel mare.Ed ella che tessea dentro cantando, presso la vampa d’olezzante cedro,stupì, frastuono udendo nella selva,e in cuore disse: Ahimè, ch’io udii la vocedelle cornacchie e il rifiatar dei gufi!E tra le dense foglie aliano i falchi.Non forse hanno veduto a fior dell’ondaun qualche dio, che come un grande smergoviene sui gorghi sterili del mare?O muove già senz’orma come il vento,sui prati molli di viola e d’appio?Ma mi sia lungi dall’orecchio il detto!In odio hanno gli dei la solitariaNasconditrice (cioè nessuno più è venuto qui da quel giorno in cui venne Ermes a dirmi: devi lasciare libero Odisseo). E ben lo so, da quandol’uomo che amavo, rimandai sul mareal suo dolore (che è quello della morte, è quello della finitudine). O che vedete, o gufidagli occhi tondi, e garrule cornacchie?Ed ecco usciva con la spola in mano,d’oro, e guardò. Giaceva in terra, fuoridel mare, al piè della spelonca, un uomo,sommosso ancor dall’ultima onda: e il bianco

capo accennava di saper quell’antro,tremando un poco; e sopra l’uomo un tralciopendea con lunghi grappoli dell’uve.Era Odisseo: lo riportava il marealla sua dea: lo riportava mortoalla Nasconditrice solitaria,all’isola deserta che frondeggianell’ombelico dell’eterno mare.Nudo tornava chi rigò di piantole vesti eterne che la dea gli dava;bianco e tremante nella morte ancora,chi l’immortale gioventù non volle.Ed ella avvolse l’uomo nella nubedei suoi capelli; ed ululò sul fluttosterile, dove non l’udia nessuno:- Non esser mai! non esser mai! più nulla,ma meno morte, che non esser più! –

Ovviamente se vi dico questi versi, come ho detto altre volte, lo devo a don Onorio che mi decantava queste cose quando io ero ragazzo … poco spirituali, mi sarei potuto innamorare di questa ninfa biondissima.Qui la malattia di Pascoli sta nel riportare il cadavere nudo di Odisseo, incanutito, imbiancato dalla vecchiaia, proprio all’antro della ninfa da cui egli aveva rifiutato l’immortalità, cioè torna morto chi aveva detto “no” all’eternità, all’eternizzazione, per cui la donna ha questo pianto funebre, terribile, tristissimo, perché lo avvolge nella nube dei suoi capelli ed ha questo canto, che forse è uno dei versi più tristi del Pascoli (che pure di tristezza era esperto!). Cosa grida, cosa urla? Ed ululò sul flutto sterile, ove non l’udia nessuno. Cosa urla Calypso? Urla: non esser mai! non esser mai! più nulla, ma meno morte, che non esser più! Un verso molto contorto, molto denso. La traduzione più semplice è: sarebbe meglio non esser mai stati che non essere più stati. Ovviamente noi non condividiamo questa visione, però entriamo nella sensibilità del poeta, ed entriamo anche nel personaggio di Calypso che dice: sarebbe stato meglio non esser mai esistito, anziché adesso tu m’arrivi morto, tu, proprio tu, che avevi rifiutato l’immortalità! E perché ve ne parlo? Perché siamo rimasti col piede di Gesù che sta per poggiarsi sulla soglia della casa di Cleopa, a dire: Gesù, ma Ti rendi conto cosa significhi per Te entrare in questa casa? E prima, questo è accaduto prima, è accaduto all’atto dell’Incarnazione. Ti rendi conto cosa significhi per Te vestire la nostra carne, mangiare i nostri cibi, sentire i nostri odori, piangere le nostre lacrime? Tu che (per dirla con il linguaggio di Omero) tra gli dei bevi e mangi l’ambrosia, Tu che sei immortale, perché vieni qui nel nostro antro, perché Ti incarni? Morirai anche Tu! Non entrare!Quando ieri, utilizzando un’immagine presa a volo, nel discorso vi ho detto: ma perché un ricco può innamorarsi del tozzo di pane di un mendicante e spogliarsi delle sue vesti regali e andare a giocare - come diceva il re Ferdinando di Borbone (ma quello era un lazzarone!) - con i pescivendoli, perché Tu disdegni la Tua reggia per venire ad abitare con me? Finora t’ho detto: resta con me, ma adesso mi verrebbe di dirti: non entrare, perché noi siamo mortali! Se Tu entri per rimanere con noi, Tu morirai come noi! Questo è il senso. Poi resettatela, perché è una meditazione un po’ strana, forse più letteraria che teologica, ma nella mia intuizione c’è molto di teologico e non so se riesco a mediarvelo. Di questo amore per l’umanità, di questo amore per la storia, che fa rinunciare - come Odisseo – al dono dell’immortalità per una pietrosa Itaca, per una donna che forse non mi sarà fedele, per un figlio che forse è già diventato ribelle, per una mensa che finirà, per una sera che interverrà, per una notte che scenderà, e Tu sei nella luce, e non venire qui! Quando don Milani era un ragazzo scontroso, alla scuola di Firenze, appartenente a una famiglia fiorentina molto altolocata, andò a farsi una

passeggiata in un quartiere povero, ma sbocconcellava un pane bianco, da una finestra una mamma gridò: non si viene a mangiare il pane dei ricchi nelle strade dei poveri! Questo grido ebbe un’eco nella vita di questo ragazzo, al punto da fargli indossare la tonaca, lui che era un non credente inizialmente. Non si viene a mangiare il pane dei ricchi nelle strade dei poveri, cioè: mangialo a casa tua, mangialo nella tua reggia, ma non venire a offenderci, a mangiarti il pane dei ricchi davanti agli occhi affamati dei nostri figli. Ecco, qui è successo l’esatto contrario, cioè non è un ricco che è venuto a mangiare il pane bianco nelle strade dei poveri, ma è un ricco – il Ricco per eccellenza – che è venuto a mangiare il pane dei poveri alla mensa dei poveri, che è venuto a morire di morte, a piangere di lacrime, a soffrire di dolore, a vivere tradimenti, rinnegamenti. Mi chiedo (e chiudo) se non ci sia un dramma in questo “ed Egli entrò per rimanere con loro”, Lui che ha rifiutato l’immortalità, Lui che ha smesso, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Questa è la Lettera agli Efesini, cap. II. Non vi innamora questo fatto? Non vi commuove che Dio immortale sia venuto a morire, che Dio ricco sia venuto a farsi pezzente con me? Che Dio santo sia venuto a farsi peccatore con i peccatori? Ecco perché ho voluto farvi fare questo percorso un po’ zigzagato, dove il pianto di Calypso è anche (se volete) il pianto del credente, se vogliamo “battezzare” questi versi, perché:

Non esser mai! non esser mai! più nulla,ma meno morte, che non esser più!

Adesso non pensate alla resurrezione, non ci pensate ancora, ma guardate il Crocifisso che è morto, come noi, che è morto d’asfissia, come noi, che si è sentito venir meno l’aria, come accade ai moribondi, che ha rantolato. Allora forse questi versi di Pascoli possono essere detti davanti alla Croce. Non è il pianto della donna amata che si vede tornare l’amante, che ha rifiutato l’immortalità, morto … ma è Dio che ha accettato di non esser più, Lui che poteva esser sempre.

E il mare azzurro che l’amò, più oltrespinse Odisseo, per nove giorni e notti,e lo sospinse all’isola lontana,alla spelonca, cui fioriva all’orlocarica d’uve la pampinea vite.E fosca intorno le crescea la selvad’ontani e d’odoriferi cipressi;e falchi e gufi e garrule cornacchiev’aveano il nido. E non dei vivi alcuno,né dio né uomo, vi poneva il piede.Or tra le foglie della selva i falchibattean le rumorose ale, e dai buchisoffiavano, dei vecchi alberi, i gufi,e dai rami le garrule cornacchiegarrian di cosa che avvenia nel mare.Ed ella che tessea dentro cantando, presso la vampa d’olezzante cedro,stupì, frastuono udendo nella selva,e in cuore disse: Ahimè, ch’io udii la vocedelle cornacchie e il rifiatar dei gufi!E tra le dense foglie aliano i falchi.Non forse hanno veduto a fior dell’ondaun qualche dio, che come un grande smergoviene sui gorghi sterili del mare?

O muove già senz’orma come il vento,sui prati molli di viola e d’appio?Ma mi sia lungi dall’orecchio il detto!In odio hanno gli dei la solitariaNasconditrice. E ben lo so, da quandol’uomo che amavo, rimandai sul mareal suo dolore. O che vedete, o gufidagli occhi tondi, e garrule cornacchie?Ed ecco usciva con la spola in mano,d’oro, e guardò. Giaceva in terra, fuoridel mare, al piè della spelonca, un uomo,sommosso ancor dall’ultima onda: e il biancocapo accennava di saper quell’antro,tremando un poco; e sopra l’uomo un tralciopendea con lunghi grappoli dell’uve.Era Odisseo: lo riportava il marealla sua dea: lo riportava mortoalla Nasconditrice solitaria,all’isola deserta che frondeggianell’ombelico dell’eterno mare.Nudo tornava chi rigò di piantole vesti eterne che la dea gli dava;bianco e tremante nella morte ancora,chi l’immortale gioventù non volle.Ed ella avvolse l’uomo nella nubedei suoi capelli; ed ululò sul fluttosterile, dove non l’udia nessuno:- Non esser mai! non esser mai! più nulla,ma meno morte, che non esser più! –

Meditazione

Canto

Lettura del Vangelo (i discepoli di Emmaus)

Riconosciamo, carissimi, questa Parola non un semplice racconto, uno “stilema” - come si dice –, ma riconosciamo una Persona; per questo ogni volta diciamo: “Lode a Te, o Cristo”, che sei in questa Parola, che sei questa Parola. E questa Parola ci ha accompagnato, ci ha come portati per mano. Ed ecco che dopo esserci fermati sulla soglia, siamo pronti in qualche maniera per accogliere l’annuncio della Pasqua. Forse quello che vi ho detto, o vi ho fatto soffrire – una sorta di “psicodramma letterario” – prima di pranzo, v’è parso eccessivo. Per quanto possa essere una fictio, pertanto almeno per me è un aiuto a capire quello che poi Gesù dirà a Nicodemo nel Vangelo di oggi: Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio Unigenito. Sono parole che rischiano, a causa dell’usura, del fatto che le sentiamo da quando eravamo bambini, di perdere il loro potenziale esplosivo. Non è stato un gioco, “non ti ho amato per gioco”, dice Gesù alla mistica di Foligno. Non è stata una passeggiata la Redenzione, e quindi questa riflessione - che spero vi possa rimanere impressa in qualche maniera nella memoria del cuore e anche nella memoria della fede - fatta prima di pranzo, di aver fermato il fotogramma all’atto in cui Gesù sta per poggiare la pianta del piede sulla soglia della casa di Cleopa, è guardare … forse me lo diceva Salvatore prima all’atto in cui ci siamo salutati, noi guardiamo sempre queste storie dal nostro canto, dal nostro versante, a dire: certo, noi vogliamo essere salvati, si sta facendo notte, rimani con noi, incarnati, salvaci, paga per noi, noi siamo perduti …, però non guardiamo mai dal lato di Dio, cioè che cosa, quello che Gesù ha fatto (e ovviamente in Gesù l’intera Trinità), sia costato a Dio. Quindi cosa significhi realmente «Incarnazione», e mi veniva quest’altra immagine: Padre Damiano che approda all’isola di Molokai, che è un’isola di soli lebbrosi, dove vengono mandati tutti i malati di lebbra per evitare il contagio, questo missionario che vi approda (da sano, beninteso), perché dice “beh, ma anche i lebbrosi hanno bisogno d’essere accompagnati ed evangelizzati”, e quindi si stabilisce a Molokai. E volete che Padre Damiano stabilito a Molokai a un certo punto non contragga la lebbra, dal momento che tutti gli altri sono lebbrosi? Noi diciamo: è un eroe, è un santo. L’importante è capire che questi gesti eroici hanno senso solo in margine, a ridosso, come nota a pie’ pagina, dell’«eroismo per eccellenza» che è quello di Dio all’atto dell’Incarnazione e della Redenzione, che è un unico Mistero: all’atto del Natale, all’atto della Pasqua. È venuto, viene a casa mia, ma io sono malato di lebbra, come Simone il lebbroso, e dunque deve sorbirsi - ben che gli vada - questo odore acre che viene dalla mia malattia sulla pelle, quindi non lo invito in una sala profumata, lo invito in una casa che è come una tomba, perché c’è un uomo in decomposizione. Nel Vangelo di Marco, che ha la scena iniziale del racconto della Passione, il profumo della donna è anche in contrapposizione con l’odore acre della decomposizione della carne di Simone il lebbroso che certo è un altolocato ecc., ma che volete? con tutti gli spray (che ancora non c’erano!) e con tutti i profumi, uno che è in decomposizione certamente non emana effluvi decenti!- Lui è venuto per rimanere - e questa frase diventa emblematica della Redenzione, non solo di questo brano, non solo di questo incontro dei due con il Risorto, ma del Vangelo! Ed Egli entrò per rimanere con loro, perché se io non rimango con voi sono un visitatore, sono ancora uno spettatore, cioè non entro nel vostro dolore. È bello (per esempio) per i sacerdoti presenti pensare al loro rapporto con le comunità parrocchiali: entrò per rimanere con loro. Pietravairano è Pietravairano, Riardo è Riardo, l’Addolorata di Pignataro è l’Addolorata, la parrocchia di Salerno è quella, Palermo è Palermo … Nella misura in cui la gente percepisce che il prete si è stabilito lì, non fa il turista, va e viene, si fa vedere negli

orari di lavoro, capite che è un’altra cosa da chi invece vive dentro la comunità, partecipe degli eventi spesso dolorosi della parrocchia stessa? Quindi come vedete questa espressione “ed Egli entrò per rimanere con loro” riguarda l’Eucaristia, Sacramento della presenza reale fino alla fine dei tempi, riguarda la presenza del Risorto che adesso è al centro della Sua Chiesa, come dicono le visioni dell’Apocalisse, ma riguarda anche l’intera storia della Redenzione, e riguarda il nostro modo di essere accanto agli altri, nella vita degli altri.Adesso torniamo al nostro versante, dopo questa escursione molto pericolosa. Temevo che magari anche la messa da Requiem di don Angelo, dopo la riflessione, potesse mettere qualcuno di voi in stato depressivo, ma non era assolutamente questo il mio obiettivo. A volte per capire la Risurrezione dobbiamo capire la morte. Non c’è Pasqua, anche nella comprensione, se non c’è contemplazione del Crocifisso.Adesso torniamo al nostro versante, e quindi noi che diciamo a Gesù: vieni. Finché Gesù non entra nella tua vita affettiva, nella tua vita familiare, nella tua vita reale, è ancora un personaggio coreografico. Pensate anche a quello che alcuni di voi pensavano e sentivano prima di sposarsi. Perché vi siete sposati? Vi siete sposati (oggi questo farebbe sorridere un adolescente!) perché a un certo punto avete sentito che non potevate più separarvi: sì, è l’ora, bisogna andare a casa; è l’ora, ci dobbiamo salutare … No, non ci sta più bene! E quindi ci siamo sposati per abitare insieme, per stare insieme sempre, perché non ci vogliamo separare! Poi magari la vita non è andata proprio così, ma le attese erano queste, e credo che questa dimensione nuziale sia presente anche in questa richiesta fatta al Maestro, al Rabbi trovato per caso per strada e che è diventato guida turistica, benché questo itinerario di casa lo conoscevamo a menadito. Quando fu a tavola con loro: eccoci qui dentro, e siamo passati dalla Liturgia della Parola … «Resta con noi, Signore, perché si fa sera» è il passaggio dalla Liturgia della Parola alla Liturgia Eucaristica, quindi adesso la mensa è imbandita, sono stati portati i doni, il pane e il vino (a volte all’Offertorio portano di tutto tranne che il pane e il vino, succede ai vescovi che vanno in giro per le parrocchie!). Adesso che vengono portati i doni possiamo passare alla parte eucaristica: quando fu a tavola con loro. Attenti che è questo il momento in cui ai due si aprono gli occhi, cioè è il momento in cui l’ospite diventa anfitrione, colui che è ospitato diventa colui che ospita. Questi stanno a casa loro, ma non è uno dei due, ammesso che siano fratelli, o il loro papà, come accadeva nella mensa ebraica, a compiere il gesto dell’inizio delle danze, questo spezzare il pane nella liturgia della mensa ebraica, ma è Gesù che compie questo gesto, a dire: fino ad adesso voi mi avete portato (per così dire) dove avete voluto, adesso sono io a prendere l’iniziativa e ad assumere il mio ruolo tra voi, non siete voi che avete scelto me, ma Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga, per dirla ancora con il Vangelo. Quando fu a tavola, quindi qualcuno avrà preparato, forse le donne, forse qualche parente, ci si è lavati i piedi, si sono fatte le abluzioni di rito, intanto ormai è scesa la sera, non ci sono più neanche le striature di fuoco all’orizzonte, c’è il camino acceso, c’è questa tavola imbandita, e qui all’inizio della mensa c’è questo gesto che vedete riprodotto alle mie spalle, che diventerà il gesto distintivo di Gesù e dei cristiani. Se voi andate in un monastero benedettino maschile, state bene attenti perché tutti i monaci si siedono però nessuno si muove finché l’Abate non ha suonato un campanellino, o semplicemente preso il tovagliolo, che è un gesto per dire: cominciamo! Nessuno si muove! Questo succede ancora oggi, e allora era questo gesto, cioè il capotavola prendeva un pane, lo spezzava e lo dava in particolare e in primo luogo agli ospiti, e questo significava: Deo Gratias. Questo non significa più niente per i giovani, ma per noi significava “potete parlare”. Ancora in certi monasteri c’è questa consuetudine, se l’Abbadessa o l’Abate non dà il Deo Gratias non si parla, se dà il Deo Gratias si comincia a parlare.Attenti, questi sono i verbi della moltiplicazione dei pani! Quindi prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò, lo diede. Su ciascuno di questi verbi potremmo fare una meditazione - che vi risparmio! -, ma nella vostra preghiera personale guardateli uno a uno. Gesù prende un pane: da dove lo prende? Lo prende da una cesta dove ci sono molti pani, ma è questo il pane nuovo, è questo il pane inaugurale della mensa, e anche noi che siamo qui siamo stati presi in vario modo,

con varie vocazioni, e tutti insieme presi per far parte di questa mensa che era Ariccia 2015, 13-16 aprile. Tu sei stato preso, cioè sei stato scelto! Siamo consapevoli di questo? Siamo consapevoli di essere destinatari di una grazia speciale, unica e irripetibile? Se sei stato preso, sei compreso di questa grazia? Perché l’essere preso è un fatto fuori di te, l’essere compreso è un’adesione interiore. Quando diciamo: quella persona è tutta compresa (Salvatore quando era ministrante da ragazzino adolescente nella mia parrocchia, tutti lo guardavano e dicevano: quel ragazzino è tutto compreso! Ieri come oggi quando canta il Vangelo anche in assemblee di tutto rispetto), vediamo le persone che fanno le cose tanto per farle, perché adesso bisogna leggere il Vangelo, bisogna dire questa cosa, bisogna fare … e chi invece è compreso, è compreso del ruolo. Quindi tu sei stato preso, ma sei compreso? La comprensione, che non è un fatto intellettivo così come sto utilizzando il verbo, è l’essere compresi, cioè stare dentro a ciò che si sta facendo, fare bene ciò che si sta facendo: age quod agis. Poi questo pane è benedetto, perché c’era una benedizione, c’era e c’è nel rituale ebraico, per il dono del pane che è vita! Attenti, che questa è la nostra cultura mediterranea, dove il Vangelo si innerva! Il pane è il pane, il pane è il lavoro, il pane è il futuro, il pane è la casa, è quelli più vicini, il pane è un elemento essenziale e dunque dire la benedizione sul pane è dire la benedizione sulla vita che è benedetta! Attenti, è benedetta (questa cosa il papa Francesco sta cercando di dircela ma noi facciamo fatica a capirla) oltre ogni tua personale maledizione, è benedetta oltre ogni tua debolezza! Non sei benedetto perché sei bravo, ma sei bravo perché sei benedetto, perché Dio dice bene di te, e se Dio è il tuo avvocato non ci sarà Lello che potrà contrastare, perché il mio avvocato è Dio, cioè è dalla mia parte e quindi possiamo anche prendere uno stuolo d’avvocati, come una volta tanti anni fa fece la mamma di Genny, ma è Dio che ti difende! Vedete, questo fatto è importante, che io sono benedetto, che è un gesto eucaristico che riguarda il pane, che riguarda questo pane, che riguarderà l’ostia, che spezzeremo prima di cena, consacrata, ma che riguarda la mia vita. In questa riflessione io vorrei farvi passare continuamente dal racconto al Risorto (che non è il Risorto del giorno della resurrezione, ma è il Risorto con quello che ha fatto prima, adesso anche Risorto!) alla nostra vita di cristiani che celebrano l’Eucaristia e che entrano in chiesa con la terribile percezione d’essere maledetti, perseguitati … La gente è così presa da paure irrazionali, ci portiamo dentro questa percezione di maledizione, che siamo sbagliati prima d’aver sbagliato, cioè che siamo fatti male. Allora chiediamo le benedizioni, non ci sono acque che bastino! L’Eucaristia ti fa passare da questa percezione di maledizione ad una di benedizione, quindi tu sei preso (dunque scelto, e spero compreso!) e benedetto, come è benedetto il pane, e questa benedizione del pane nell’Eucaristia è consacrazione che ne cambia la natura. Ma questa benedizione nelle mani di Gesù ti porta a una rottura, ed è “lo spezzò”. Cari miei, e adesso lo guardiamo da un altro versante: le nostre sono vite spezzate! Voi direte: ci risiamo? Non dobbiamo parlare della Risurrezione? Sì, ma adesso ne parliamo da un altro versante: non è più l’essere spezzato doloroso e senza senso, ma è l’essere spezzato per Lui, l’essere spezzato per diventare manducabile dagli altri, e io sono troppo presuntuoso, allora vengo spezzato, vengo sminuzzato, vengo sbriciolato … perché i figli possano mangiarmi! E lo diede loro: chi è spezzato, finisce con l’essere dato, diventare pane. Voi ve ne siete accorti, spero, ma in questi giorni, nella tensione (altissima!), nel mio cuore io mi sono sbriciolato. Voi dite: ma per così poco? E lo sanno bene i preti cosa significhi predicare, e cosa significhi predicare a lungo! Qui la possibilità d’essere dato è legata al verbo precedente, cioè chi è spezzato può essere dato, perché il pane intero non riesco a mangiarlo! Bisogna che Gesù me ne dia un boccone, e allora anche la tua vita è spezzata, adesso in una maniera pasquale, non più solo dolorosa ma in vista di questo cammino eucaristico, che parte da Lui, Capo, e raggiunge te, che fai parte del Corpo della Chiesa.Fatte queste spiegazioni, apparentemente fredde, entriamo nel momento incandescente in cui i due finalmente vedono Gesù, ma è un attimo … e questo è un mistero! Intanto diciamo che lo vedono. Lo vedono perché o erano presenti o gli altri (i Dodici) hanno raccontato loro quello che Gesù ha fatto qualche giorno fa: giovedì scorso – siamo appena a domenica, non sono passati degli anni – siamo stati con Lui, eravamo un tantino ubriachi (forse avete visto quello spot che è girato dove i discepoli stanno tutti a guardare il computer e non sono attenti a quello che Gesù fa e a un certo

punto Lui dice: basta, spegnete i telefonini! È il nostro modo napoletano di fare ironia anche nelle cose più sacre!) … Avranno raccontato che Gesù, nella notte in cui veniva tradito, aveva fatto quei gesti e aveva pronunziato quelle parole, per cui questa cosa si era già depositata nella loro memoria, per cui questo diventa il “sintomo”, diventa la prova, già si è seduto al posto del capotavola, permettiamoglielo per non essere sgarbati, doveva essere mio, doveva essere di mio padre e invece si è seduto Lui come se fosse il Signore … Forse non conosce le nostre consuetudini, perdoniamogli questo. Ma adesso che spezza il pane, dopo aver pronunciato la benedizione, e uno a destra, uno a sinistra, lo porge, capite che subito la memoria per richiamo va a quello che è accaduto giovedì scorso. È per questo che se dovessimo trovare un audio (che non c’è qui!) dovremmo andare a Giovanni 21: «È il Signore!», cioè: non ce ne siamo accorti! Poi dopo faranno la rilettura, come diremo stasera o domani: non ci ardeva forse il cuore nel petto? Ma finora si sono lasciati condurre per mano come dei bambini, ignari che questo pellegrino ne sapeva più di loro, ignari che poteva essere il risorto, ignari che sono nella loro tristezza, fatti oggetto di una visita speciale. Proprio voi due che stavate scappando! Attenti, che non hanno meriti se non il merito d’essere in fuga, quindi hanno dei demeriti! È come se Gesù andasse ad acciuffare l’uno e l’altro prete, l’uno e l’altro componente della famiglia nell’atto stesso in cui stanno tradendo! La Pasqua ci scoppia in mano in questa maniera, e tra l’altro in una maniera molto feriale, perché la benedizione del pane, lo spezzare il pane e il darlo appartiene alla ritualità della tavola. Dopo sono arrivati i candelieri, le tovaglie, i canti, ecc., ma qui tutto avviene come nelle prime comunità cristiane, così come ci racconta Paolo nelle sue lettere, cioè tutto avveniva in una maniera non superficiale, non fraintendetemi, ma certamente senza abiti particolari. È il Signore, è il Signore risorto, è il Signore che è tornato! “Vederti Risorto, vederti Signore, il cuore sta per impazzire”, lo canteremo tra poco a conclusione di questa meditazione con il canto “Resurrezione”, che è in assoluto quello che mi manca di più della Pasqua da parroco. In questo stesso istante in cui loro entrano, Lui esce. Qui ci sono tante possibili tracce, io vi do quelle più accreditate e anche più semplici, per certi aspetti.La prima: perché scompare? Scompare perché in tutte le apparizioni del Risorto, questa presenza diventa concreta solo per confermare la fede, tant’è che a un certo punto finisce il tempo delle apparizioni del Risorto! E allora scompare perché alla Maddalena ha detto: non mi trattenere! Scompare perché i due stanno per saltargli addosso dalla gioia! Ma non si può possedere il Risorto, che è libero come il vento di cui parlava ieri il Vangelo di Nicodemo.Seconda: scompare perché non ha più motivo di svolgere questa azione, dal momento in cui loro varcano la soglia della fede, perché questa soglia di Emmaus è anche la soglia della fede, della fede pasquale. Lui scompare all’atto in cui loro varcano la soglia della fede, che poi è la casa dove noi abitiamo da duemila anni, dove crediamo che Lui sia risorto senza vederlo. Beati piuttosto coloro che crederanno senza aver visto, si conclude così, a sipario chiuso, il Vangelo di Giovanni dell’apparizione a Tommaso, per dire: “loro hanno visto, e noi?”, dicono tutte le generazioni che sono venute dopo. No, voi siete ancora più beati, perché voi credete senza aver visto, voi credete per aver visto con gli occhi di quelli che hanno visto! E quindi è la soglia della fede: la fede non è vedere, la fede è intravedere, la fede è vedere col cuore, perché “l’essenziale è invisibile agli occhi”, la fede è “credo che tu sia con me e che tu sarai con me nella mia sera”, come abbiamo pregato stamattina.Terza: scompare perché adesso è nel pane. L’attenzione è all’Eucaristia, Sacramento che accompagnerà la Chiesa per tutti i secoli del suo pellegrinare. Adesso se vuoi incontrarLo vai in chiesa, se vuoi incontrarLo celebra l’Eucaristia, se vuoi vederLo leggi la Parola, fa’ un’ora d’adorazione. Scompare dalla vista, ma ce l’hanno in mano! Quindi è Gesù nelle mani della Chiesa, nel segno ovviamente del pane, che rimane con loro. “Entrò per rimanere con loro”, ed è stato fedele a questa parola. È rimasto! Penso a certe Eucaristie celebrate nei campi di concentramento, penso a certe Eucaristie di martiri ancora viventi che nelle carceri dei vari regimi dicevano messa con una goccia di vino, con una briciola di pane, e Gesù stava lì, era con loro! Quarta: non lo vedono più, è in loro, è dentro di loro, e questa è una dinamica d’amore. L’altro prima è davanti a

me, poi lo abbraccio, poi lo bacio, ma quando siamo nel clou dell’amore non lo vedo più! Perché se voglio vedere devo mettermi gli occhiali! No, non ti vedo e non c’è bisogno che io ti veda, perché tu mi sei dentro!Questo cammino, potrebbe essere riassunto così tutto il Vangelo di Emmaus, che poi è una grande sinfonia: il Dio-con-noi, Gesù si mise in cammino con loro, spiega le Scritture, chiede “perché siete tristi?”, si occupa dei loro affari, dei loro umori, ecc.; Dio-per-noi, ed è Colui che accetta l’invito, che dopo fa finta di voler andare oltre, “per noi uomini e per la nostra salvezza”, diciamo nel Credo. Quindi è il Dio-per-noi che entra nella storia, che compie dei gesti, che accetta d’essere tradito, accetta d’essere rinnegato, accetta d’essere rinnegato, accetta d’essere crocifisso, accetta la morte. A questo punto entra il Dio-in-noi, e il Dio-in-noi non può essere visibile, perché io ho fatto la comunione e adesso è dentro di me, e quindi non c’è bisogno che io Lo veda! Non è richiesto, e questa intimità è più forte di ogni possibile verifica. Allora si aprirono i loro occhi e Lo riconobbero.Carissimi, noi siamo stati e siamo qui ancora per queste ore per riconoscere il Signore. Forse Lo conosciamo, ma non lo riconosciamo! Il passaggio dalla conoscenza alla riconoscenza è il passaggio dalla teoria all’amore, è il passaggio da Facebook a “incontro questa ragazza e me la sposo”. Allora c’è la ri-conoscenza, che è una conoscenza reiterata, che è una conoscenza con numero in fase esponenziale, che è una conoscenza centuplicata: non basta la conoscenza, c’è bisogno della ri-conoscenza … la riconoscenza è propria dell’amore. “Lo riconobbero”, non dice “lo conobbero”! Voi dite: non potevano dirlo perché lo avevano già conosciuto prima! Ecco, è questo conoscere più a fondo che fa dire: grazie! Ma Lui sparì dalla loro vista …Concludo dicendo che questo Gesù che adesso è in me o nelle mie mani, perché ho ancora il pane caldo del Suo corpo, dà la possibilità ai due di ri-conoscersi tra loro, perché forse erano accanto ma non erano insieme, come tanti coniugi e tante famiglie. Viviamo sotto lo stesso tetto ma non siamo un corpo, non siamo insieme! Non basta la contiguità fisica per dire appartenenza, ma questo nessuna terapia di gruppo, nessun “vogliamoci bene”, nessuna legge, nessuna organizzazione potrà realizzarlo, lo realizza la comunione, che poi è il termine che utilizziamo per accostarci a Gesù Eucaristia. “Hai fatto la comunione?”, “da quanto tempo non fai la comunione?”, che è comunione con Lui morto e risorto. Morto e risorto è legato a pane e vino: il pane è vita, il vino, sangue, è morte. Ma questa comunione diventa anche comunione con gli altri, tu non puoi fare comunione con tuo marito – lo dico in una maniera molto provocatoria – se insieme non avete fatto comunione nell’Eucaristia! La comunione eucaristica aiuta, cementa la comunione coniugale, la comunione dei padri con i figli, dei fratelli con i fratelli. È come se questi due fossero ognuno chiuso nel suo dolore ma non comunicavano, discutevano forse anche in una maniera violenta, cercando di prevaricare l’uno sull’altro finché non è comparso Gesù che li ha accompagnati, stemperati, ha aperto il senso del loro dolore, che era un dolore ottuso, e invece adesso diventa un dolore aperto. Volete che adesso che Gesù è scomparso ma che hanno il pane nelle mani o lo hanno già portato alla bocca, Gesù non diventi elemento di comunione tra loro?Questo è il mistero della Chiesa, che è un mistero di comunione con Lui ma anche tra noi. Noi in questi giorni (sperando che voi siate stati ligi alle mie indicazioni) non abbiamo fatto grandi discorsi, non abbiamo parlato ma abbiamo fatto comunione. Com’è? Com’è che ci conosciamo e ci apparteniamo? Com’è che adesso voi ve ne andate a Palermo ma ci saranno ancora persone che pregavano già due anni fa per voi e continuano a pregare? Com’è? Come si spiega? Si spiega con la comunione! È Lui che ci fa incontrare! La comunione con Lui diventa anche comunione tra noi, per cui questi due si sentono veramente fratelli, veramente amici, e com’è bello per quelli fra voi che ancora hanno questa consolazione (perché è una consolazione!) la domenica mettervi a pranzo e dire, e pensare: mio figlio stava sull’altare e faceva il ministrante, mio marito era lì accanto a me, mia figlia ecc., eravamo lì e adesso siamo qui, ed è questo che ci fa incontrare! Altrimenti ci azzanneremmo gli uni gli altri! Questo poi si estende anche oltre la geografia, per cui se hai un figlio lontano e sai che è andato a Messa e avete ascoltato la stessa parola e avete comunicato allo

stesso corpo, avete fatto comunione, e quando la sera vi chiamate tu senti che siete in sintonia. Di più: questa comunione va anche oltre il tempo! Se io faccio la comunione stasera, faccio la comunione con tutti quelli che fanno comunione, ma non fanno comunione solo i vivi, fanno ancor più comunione i morti! E allora i miei genitori defunti, e allora tuo fratello, tuo marito … stanno lì! Loro, vivi in Lui il Vivente, si comunicano a te, per cui l’Eucaristia da questo punto di vista ha un respiro planetario, ha un respiro ampio, ha un respiro che va oltre le distanze, ha un respiro che va oltre i tempi! Nessun luogo è lontano, nessun tempo è lontano! Noi faremo comunione con le nostre Chiese anche da morti: quando non ci saremo, ci saremo ancora! Non solo per l’immortalità dell’anima, ma ci saremo ancora perché saziati dell’Unico Pane e dell’Unico Calice, e quando diciamo: ricordati dei nostri defunti, sì possiamo dire anche due o tre nomi, o cinquanta come qualcuno fa, facendo una sfilza immensa in una pluri-intenzionalità, ma ci siamo tutti! Ci sono anche quelli che il prete non dice! Se tu sei lì presente e hai i tuoi defunti nel cuore, e hai le tue assenze, senti che in quel momento quelle assenze sono meno crudeli, addirittura dolci! Questo è un mistero dell’Eucaristia, ma questo mistero è possibile rispetto a ciò che Gesù ha fatto nella notte in cui fu tradito. Ve lo dicevo anche gli altri anni a proposito della Passione, in un momento così drammatico Gesù-Uomo ha potuto fare “epochè” della Sua angoscia, della Sua preoccupazione, dell’ansia che pure umanamente l’ha preso, e lanciarsi in questa avventura del Pane che è l’Eucaristia, in una storia infinita, anticipando sulla mensa dell’ultima Cena quello che sarebbe accaduto sulla Croce, e lanciandolo fino all’ultimo giorno della storia. Tra cinquemila anni, centomila anni (non so quant’altro ci sarà storia sulla terra) ci sarà Pane, ci sarà Eucaristia, ci sarà Gesù perché è entrato per rimanere con loro, e tutto questo è stato pensato quella sera - nella notte in cui fu tradito - perché anche Lui veniva preso, spezzato, e dato.Ci fermiamo qui, e ce n’è abbastanza per rimanere in adorazione. Ho visto che alcuni di voi vanno in giro anche per le altre centomila cappelle di questa casa. Fate bene, tanto siamo noi soli, per dire: sto un po’ con Lui, mi fermo davanti a Lui, dico “grazie”. Una vita così, una vita eucaristica è una vita bella, è una vita da risorti: anche se ci aspettano altri centomila problemi, centomila dolori, so che è un fatto meramente strumentale, perché nell’Eucaristia c’è già tutto e io anticipo anche la mia dimensione di risorto. Annunciamo la Tua morte, Signore, proclamiamo la Tua risurrezione nell’attesa della Tua venuta. Per questo scompare: perché tornerà! Questa attesa era molto forte nelle prime comunità cristiane, poi è andata un po’ affievolendosi. Oggi credo nella percezione dei nostri fedeli sia piuttosto scomparsa - e deve ricomparire -, ma questa tensione per il Suo ritorno faceva saltare a pie’ pari tante difficoltà ai nostri fratelli di fede della prima generazione, della seconda generazione: verrà, e allora non fa niente, questo problema è temporaneo, tanto Lui torna, Lui viene … adesso è scomparso ma poi Lo vedremo faccia a faccia. Adesso vediamo – dice Paolo nell’inno alla carità, nella 1Cor 13 –, adesso vediamo in maniera confusa, come in uno specchio antico, ma allora vedremo faccia a faccia. Trascorreremo questa ora e un quarto in questo atteggiamento di ringraziamento, già un po’ di sintesi: Dio-con-noi, Dio-per-noi, Dio-in-noi. Il cammino, la Parola, resta con noi, entra per rimanere, spezza il pane, Lo riconoscono, scompare. Chiedo di vivere così l’Eucaristia.Concludiamo col canto “Resurrezione” sperando di riuscire a farlo bene.

Buona Pasqua. Ore 18.15 nella Cappella grande.

Vespri e Celebrazione Eucaristica

Omelia

Attraverso queste finestre feritoie ci giunge la luce del tramonto. È l’ora dell’Eucaristia, è l’ora dei discepoli che dicono a Gesù:«Resta con noi, perché si fa sera».La Parola di oggi ci conforta, rafforza la nostra fede, salda la nostra speranza. È una Parola libera, che non può essere imprigionata, non può essere inscatolata. Quello che ieri Gesù diceva a Nicodemo, e cioè che i nati dallo Spirito sono liberi come il vento, oggi lo sperimentiamo, nella prima lettura, nella vita dei discepoli, dal Vangelo di Gesù si passa al Vangelo della prima generazione. C’è un vangelo che si va scrivendo anche oggi nella storia della Chiesa.In questo secondo Vangelo, in questo Vangelo della seconda generazione, troviamo i discepoli incatenati che vengono liberati nella notte, perché la Parola di Dio non è incatenata, perché attraverso questa liberazione noi sperimentiamo quella liberazione piena che aspettiamo di vivere nella nostra vita, nelle nostre relazioni, nel nostro cuore, nel nostro corpo, nella morte.Gesù affida a Nicodemo, dunque un discepolo segreto, un ebreo, il cuore della rivelazione, ed è in questa espressione: Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Suo Figlio Unigenito. Questa frase dovrebbe metterci di buon umore anche se siamo depressi: Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio Unigenito. E poi: Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui. È stata immessa nella storia, nelle vene della storia, una energia d’eternità che è il Sangue stesso del Figlio di Dio incarnato, e questa energia non può che condurre al bene la storia. È difficile per noi e per chi fra voi sia in questo momento assillato da un problema, attanagliato da una malattia, da una tensione sul piano relazionale, ma alla luce di questo vangelo-sintesi, cioè Dio che ha impiegato non un esercito, non una forza “a latere”, ma ha mandato il Figlio, come dice Gesù stesso nella parabola dei vignaioli omicidi. Questo annuncio ci fa dire che le cose finiranno bene: non sarà l’Isis, non sarà questo o quel problema, non sarà questo o quel problema di salute, non sarà questa relazione in bilico, non sarà la depressione, non sarà la morte a frenare questa onda d’urto, questa onda lunga della Pasqua che stiamo contemplando (e ormai siamo alle ultime battute) nel vangelo di Emmaus.È questo l’annuncio che la Parola ci dà e che io vi affido questa sera, molto semplice perché è il cuore stesso della Rivelazione. È il vangelo della Misericordia che il papa Francesco sta sottolineando, è il vangelo della Misericordia che ci porterà a vivere il Giubileo della Misericordia durante questo anno, a partire dall’8 dicembre, perché più facilmente nella Chiesa – soprattutto negli ultimi tempi – è emersa questa dimensione di giudizio, è emersa una sorta di casellario nel quale ci si doveva inserire più o meno liberamente. Invece il mondo è amato da Dio, e anche se qui si parla di scontro tra tenebre e luce - ripetendo il tema che era già nella sinfonia del Prologo e che poi tornerà, nel Vangelo di Giovanni, nella guarigione del cieco nato - questa guerra noi sappiamo essere già vinta, anche se nella nostra retrovia di Teano, di Sparanise, di Piano di Sorrento, di Salerno, di Napoli, di Palermo, nelle nostre retrovie sembra che la guerra sia ancora in corso, non solo, ma qualche volta accusiamo delle perdite, accusiamo delle battaglie perse. La guerra è vinta! Questa cosa se riusciamo a interiorizzarla ci mette dentro una grinta di vita enorme, e questa è la Pasqua! Benché attraverso segni labili, deboli, come il pane, lo spezzare il pane, come l’apparizione del Risorto ma che non si fa prendere, questo annuncio pasquale che abbiamo appena celebrato la settimana scorsa per un’intera ottava, questo annuncio ormai è un cammino senza ritorno, cioè questa grazia non può trovare opposizione, non può esserci una forza avversa così potente quanto il potenziale esplosivo della Pasqua, quindi andrà avanti con o senza di noi (speriamo con noi, speriamo con la nostra partecipazione, con l’offerta della tua vita, della tua competenza, della tua professionalità, della tua ministerialità, della tua pazienza, della tua santità!), allora è bello voler entrare in questo cono di luce che sembra ancora ristretto ma che va allargandosi, che è il cono di luce della Pasqua: il punto più stretto sappiamo dov’è, è a Gerusalemme nel sepolcro vuoto, e di là

comincia ad allargarsi fino ad abbracciare il mondo, tutta la storia, tutto il cosmo. Quindi già concludevo la meditazione di questo pomeriggio dicendovi “buona Pasqua”, ma ce lo diciamo anche adesso. Magari per alcuni di voi (forse in particolare per i preti che sono stati alle prese con tante cose, con tante celebrazioni … il Triduo è impegnativo a viverlo bene, a prepararlo per bene!), per chi fosse arrivato a questi Esercizi – magari uno o tutti, ottantacinque, ottantasette quanti siamo – un po’ stanco, un po’ demotivato, perché la Pasqua è come se gli si sia sbriciolata nelle mani, adesso oggi, in questo momento è Pasqua per te perché ti viene detto che i tuoi peccati, che i tuoi limiti, che i limiti della tua diocesi, della tua parrocchia, della tua famiglia, della storia, del mondo, non sono così forti da impedire la Pasqua. Questa immissione di Sangue divino nelle vene della storia porterà alla Risurrezione, porterà alla Pasqua di tutti, benché continuiamo a fare esperienza di morte, ma alla prossima morte, alla prossima caduta, al prossimo fallimento, ciascuno di noi deve dire: è un piccolo incidente di percorso, ma Cristo ha vinto e noi vinceremo con Lui. Questo, e chiudo, lo ha espresso molto bene in una maniera sintetica ma anche appassionata, San Paolo, nel capitolo VIII della Lettera ai Romani: Fratelli, se Dio è con noi chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, come non ci donerà ogni cosa insieme al Figlio? Chi accuserà gli eredi di Dio? Dio giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi che è risorto e che siede alla destra del Padre? Ma no, perché è nostro avvocato, e dunque chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada .. e io aggiungo: il peccato? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori, poiché sono convinto che né morte, né vita, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio rivelato in Cristo Gesù. Questo non solo nel capitolo VIII della Lettera ai Romani, non solo nelle storie singole degli uomini, non solo nella storia dell’umanità, ma nel cosmo: la creazione stessa geme e soffre nelle doglie del parto. C’è un magma nel cuore della terra, nel cuore dei vulcani, c’è una trasformazione, c’è qualcosa che bolle al centro della terra che vuole esplodere, anche nelle cose … tanto più nelle persone!Quindi coraggio, qualsiasi sia il problema che in questo momento abbiamo in mente, diciamo: passerà, è già risolto, è già vinto, è già perdonato.Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Suo Figlio unigenito. Ripetiamoci più volte questa espressione nella preghiera entrando in questa sera.

Adorazione Eucaristica e Compieta

Questo tempo che trascorriamo con Lui … in realtà abbiamo trascorso con Lui tutti questi giorni, questo tempo di adorazione possa essere un sigillo; il sigillo serve ad autenticare, a dare il timbro ad un’esperienza.Un motivo del nostro disagio, di consacrati e di laici, il disagio nostro comune, disagio di battezzati, dipende dal poco tempo che trascorriamo con Gesù.“Allora i discepoli si riunirono intorno a Gesù e gli raccontarono tutto quello che avevano fatto, ed Egli disse loro: venite in un luogo in disparte e riposatevi un poco. Poiché tanta era la gente che andava e veniva, che non avevano neanche il tempo di mangiare”. Questo l’Evangelista Marco, prima dell’episodio della moltiplicazione dei pani.Sono tante le cose da fare, risposte da dare, le domande cui fare attenzione, da evadere, che a volte si rischia di non avere tempo di rimettersi in sesto. È questo il senso “non avevano più neanche il tempo di mangiare”, cioè non c’era tempo per ri-mettersi, ri-orientarsi. Questi giorni sono stati per noi questo.Resta con noi, Signore, in questa sera, la certezza della nostra fede illumini la notte che s’avanza, dice un inno monastico.Preghiamo con il Salmo 138, dove si parla di una notte che risplende.Nemmeno le tenebre per te sono oscure,e la notte è chiara come il giorno.

Ripetiamo: questa notte non è più notte, davanti a Te il buio come luce risplende.

Questa notte non è più notte, davanti a Te il buio come luce risplende.

Signore, tu mi scruti e mi conosci,tu sai quando seggo e quando mi alzo.Penetri da lontano i miei pensieri,mi scruti quando cammino e quando riposo.Ti sono note tutte le mie vie;la mia parola non è ancora sulla linguae tu, Signore, già la conosci tutta.Alle spalle e di fronte mi circondie poni su di me la tua mano.Stupenda per me la tua saggezza,troppo alta, e io non la comprendo.

Questa notte non è più notte, davanti a Te il buio come luce risplende.

Dove andare lontano dal tuo spirito,dove fuggire dalla tua presenza?Se salgo in cielo, là tu sei,se scendo negli inferi, eccoti.Se prendo le ali dell’auroraper abitare all’estremità del mare,anche là mi guida la tua manoe mi afferra la tua destra.Se dico:«Almeno l’oscurità mi coprae intorno a me sia la notte»nemmeno le tenebre per te sono oscure,e la notte é chiara come il giorno;

per te le tenebre sono come luce.

Questa notte non è più notte, davanti a Te il buio come luce risplende.

Sei tu che hai creato le mie visceree mi hai tessuto nel seno di mia madre.Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio;sono stupende le tue opere,tu mi conosci fino in fondo.Non ti erano nascoste le mie ossaquando venivo formato nel gremboi miei giorni erano scrittiquando ancora non ne esisteva uno.Scrutami Dio, e conosci il mio cuore,provami e conosci i miei pensieri:vedi se percorro una via di menzognae guidami sulla via della vita.

Questa notte non è più notte, davanti a Te il buio come luce risplende.

Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.Com’era nel principio, ora e sempre,nei secoli dei secoli. Amen.

Questa notte non è più notte davanti a Te, il buio come luce risplende.

È possibile in questo quarto d’ora condividere un piccolo dono di questi giorni, ovviamente in una maniera telegrafica. Possiamo farlo con una frase, possiamo farlo con una preghiera di ringraziamento, così come ritenete più opportuno. Ovviamente dire significa condividere con i fratelli e anche chiedere la loro intercessione, perché ci accompagnino con la preghiera nel realizzare ciò che il Signore ci ha fatto comprendere, con molta semplicità e libertà. Vogliamo con questo canto che ha cinquant’anni, che apparteneva ai primissimi canti editi per la riforma liturgica, per le prime volte della Messa in italiano (almeno nella sua prima parte), purtroppo trasformato nelle edizioni parrocchiali, in particolare trascinato.

Canto “Resta con noi, Signore la sera”

Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre Egli ci parlava? Vi lascio queste ultime parole con cui si sigilla non tanto il brano che ha il suo prosieguo - e lo diremo domattina a messa – nella partenza e nel viaggio notturno verso Gerusalemme dei discepoli, ma si sigilla una comunicazione di esperienza.È molto importante questa frase, perché in effetti oltre la spiegazione, oltre la frazione del pane, ciò che i discepoli si raccontano è l’ardore del cuore, è il cuore surriscaldato, è il cuore che da gelido, frigido, è diventato ardente.Vedete, anche la grazia di questi giorni ci raggiungerà lungo le strade della vita, saremo confermati che qui c’è stato Gesù veramente, quando torneremo a casa, tra un giorno, tra ventiquattr’ore, tra una settimana, tra un mese, … ricordando, diremo come i due: non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre Egli ci parlava? Non c’è quasi mai percezione di Dio all’atto in cui accade, la grazia è sempre racconto della grazia, la grazia è sempre memoria della grazia. Tante cose, tanti eventi, tante luci, nel momento in cui le riceviamo, non ci appaiono nella loro lucentezza. È un modo, da parte di

Dio, di farci accorgere del Suo passaggio quando Egli è già oltre, quando Egli è già passato. Accadde anche a Mosè che chiedeva, come amico di Dio (ne parla così la Sacra Scrittura), di vedere Dio, ed Egli dice: Non mi puoi vedere, mettiti nella grotta e mentre passo io metto una mano (per dire: non potrai vederMi) davanti all’imboccatura della grotta, poi tolgo la mano e mi vedrai di spalle. È un simbolo, di spalle significa: quando sarò già passato.Entrate in questa legge fondamentale della vita spirituale: bisogna stare attenti a ri-leggere, e a ri-leggere a partire dall’ardore. Ti ricordi ad Ariccia? Ti ricordi davanti al lago? Ti ricordi i discepoli di Emmaus? Magari Lino e Marilena che hanno condiviso questa esperienza e che poi nel loro ambulatorio, nella loro casa parlano tra loro e dicono: ma succede anche a te? Sentivi anche tu che quella parola poi ci riportava a questo fatto nella nostra vita, … Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre Egli ci parlava e ci spiegava le Scritture lungo la via?Ecco, andiamo a dormire così, quelli che potranno stare ancora qualche minuto, quelli che resteranno fino alle undici, quando sarà riposta l’Eucaristia nella custodia.Concludiamo con “Ho lottato tanto”, anche se non c’è il testo, che è la preghiera della sera, che è la preghiera del sonno, che è la preghiera dell’abbandonarsi nelle braccia del Signore. La seconda strofa dice: “Sono morti tanti in questo giorno”, abbiamo una persona particolare da ricordare, morta appena qualche giorno fa, e si tratta di Mons. Leonardo, vescovo emerito di Cerreto-Sannita, che era nella Diocesi da noi, nostro condiocesano, e con cui appena un mese fa abbiamo festeggiato cento anni. Adesso voi direte: beh, cento anni, e allora! No, la morte è sempre morte, la sera è sempre sera, anche a cento anni! Lo ricordiamo con tenerezza, affidiamolo a Gesù in questo passaggio da una lunga vita ad una immensa eternità.

Canto

Compieta

Do l’orario per domani mattina, domattina celebreremo la messa alle 07:45, con una predica brevissima (state tranquilli) e poi faremo colazione e andremo via in silenzio.Per chi lo voglia, alle 07:20 diciamo Lodi, ma per gli irriducibili al solito posto per l’Ufficio delle Letture.Chi può restare resti, chi vuole andare a dormire vada a riposare.

Giovedì

Celebrazione Eucaristica

Saluto iniziale

Fa’ che io ricordi dove porta la mia vita, la mia strada: all’incontro con Te.Siamo incamminati per incontrare Gesù in maniera piena, definitiva, e in attesa ci vengono offerte delle dosi, dei segni, dei segnali, dei sacramenti. Lo intravvediamo, poi Lo vedremo.Ringraziamo il Signore in questa Eucaristia, apice del nostro cammino, per tutti i doni ricevuti in questi giorni, per la pace che è tornata come una cascata, come un lago.Chiediamo perdono dei nostri peccati, riprendiamo con più lena il nostro cammino.

Omelia

“Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome?”, chiedono il comandante e le guardie agli apostoli. Insegnare “nel nome”, ma è anche “insegnare il nome”. Il nome è l’oggetto dell’insegnamento, oltre che la tonalità: nel nome, il nome. Ringraziamo il Signore, in questa Eucaristia, perché ancora una volta non si è fatto aspettare, è stato puntuale. Dio è sempre puntuale agli appuntamenti, siamo noi uomini di poca fede, e pensiamo che Egli non sia fedele e non si dia a vedere quando facciamo un viaggio, quando - come dice il Salmo 86 – intraprendiamo il santo viaggio.Ho l’impressione (ma più che un’impressione è una certezza) che la terapia degli Esercizi sia stata efficace, perché la Parola fa ciò che dice, perché la Parola è potente, non ritorna senza aver ottenuto ciò per cui è stata mandata, come la pioggia e la neve che scendono dal cielo.L’impressione è che sia stata efficace questa terapia del lago, che da un po’ di anni ci fa bene. Veniamo a specchiarci, veniamo a rivedere la nostra anima, che adesso ci viene consegnata ringiovanita. Uno di voi mi ha detto ieri sera nel buio: “questi giorni sono serviti più di due anni di vitamine e integratori”, per dire che a volte basta poco per rimettere l’anima in pace. Non sono i peccati, sapete, ma l’incuria, la superficialità, la freddezza, a graffiare le nostre anime, a portarle quasi al limite della sopportazione … e allora basta una carezza, una carezza di lago (o il lago di Carezza … si chiama così un lago del Trentino, che alcuni di voi conoscono!) per rimettere l’anima nella sua dimensione, e cioè rivolta a Dio e luogo da dove converge e da cui promanano tante energie di vita.Emmaus è stata, come esperienza, segnata da questa immagine, che era anche nella sala, e che trovate sul vostro libretto - che io ho messo sui doni consegnati ai preti a fine messa crismale - che è la rappresentazione del Sepolcro. Mi ha colpito questo quadro, questa immagine, per la delicatezza, per la morbidezza di questo panno che è il Sudario. C’è la luce che viene dall’alto, c’è questo muro screpolato che il pittore è riuscito a esprimere in una maniera così reale, così vera, e il tutto è diretto verso questo Sudario così morbido. I pittori riescono a volte a rendere la morbidezza. Se conoscete qualche pittore, dice: no, non è ancora pronto il vostro quadro perché lo devo accarezzare, rendere morbido il colore. Per noi adesso questo panno non è più e non è tanto il Sudario, ma nella trasposizione che vi ho fatto è la tovaglia che è stata velocemente piegata e che rimane qui sul tavolo di Emmaus, magari con la cena non consumata! Perché non è stata consumata questa cena? Perché adesso c’è una fretta. Guardo il testo di Marco che ha letto e lo vedo pieno di sottolineature (così come deve avvenire anche per voi! Bisogna sottolineare le cose, i verbi, le espressioni). “E partirono senza indugio”, dice il testo. No, non è il caso di finire questa cena come se non lo avessimo incontrato, non è il caso di dire: va beh, partiamo domani, adesso riposiamoci! C’è tanta adrenalina, è stata immessa tanta adrenalina nei due che non riuscirebbero a dormire, questa è una notte da non dormire, come diceva la canzone di Johnny Dorelli, “Aggiungi un posto a tavola”: non

possiamo dormire questa notte se ci arde il cuore, finiremmo col girarci e rigirarci nel letto in attesa dell’alba, tirandola coi denti quell’alba! E allora è il caso di partire subito! E quindi i due, benché stanchi, si rimettono in cammino come se fosse mattino, come se avessero riacquistato energie, come se fossero ringiovaniti, ringalluzziti, sono partiti nel pianto ed ecco che tornano nella gioia!

“Nell’andare se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare viene con giubilo portando i suoi covoni”,

Salmo 125, o con l’altro salmo:

“alla sera sopraggiunge il pianto e al mattino ecco la gioia” … che esplode! MA questa gioia è esplosa nella sera, e allora basta, lasciamo tutto qui, lasciamo la porta aperta e scappiamo!Un pittore francese contemporaneo, benché molto anziano, ha dipinto questi personaggi, questi apostoli (e anche Emmaus), presentando un ragazzo che guarda prima di uscire, prima di chiudere l’uscio, e ha nel volto una luce che proviene ancora dal tavolo dove Lui ha spezzato il pane. Così sono i nostri volti, così sono i volti dei due, che erano tristi e che adesso sprizzano gioia. Le gambe che erano pesanti e adesso si fanno leggere per camminare tutta una notte e portare un annuncio, perché una buona notizia non ci fa dormire, (come le cattive!), ci rimette in moto, ci fa sentire il bisogno di dirlo ad altri, e arrivano al Cenacolo, bussano violentemente. Arrivano all’alba, gli Undici dovrebbero essere addormentati ma anche nel Cenacolo c’è un fervore, un fermento, e scoprono che il Risorto, mentre era in cammino con loro, ha incontrato anche gli Undici! Pace a voi, dice Gesù incontrando gli Undici la sera di Pasqua nel Cenacolo. E trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone! E non hanno il tempo, sono superati, gli altri passano il traguardo prima che essi possano parlare … E allora anch’essi raccontano come Lo hanno riconosciuto nello spezzare il pane, e parlano insieme come quando abbiamo qualcosa d’importante da raccontare. Ecco, per questo dobbiamo andar via velocemente anche noi, perché tuo marito, perché i tuoi figli, perché la tua comunità, perché la tua parrocchia aspetta senza saperlo l’annuncio che Lui c’è, che la speranza (noi speravamo) va coniugata sempre al presente. Noi speriamo! Noi speriamo in Te per noi, Signore Gesù.Questa espressione come sapete è di Gabriele Marcel, che agli inizi della seconda guerra mondiale (è un filosofo francese) ha questa espressione così intrisa di fede, riferita a Dio: noi speriamo in Te per noi. Speriamo in Te, perché Tu sei la nostra speranza. E poi conclude questa riflessione filosofico-teologica dicendo: perché disperare di Te sarebbe come disperare di noi. Cioè: chi non spera in Dio dispera dell’uomo, dispera della storia, dispera del proprio futuro. Noi speriamo in Te per noi. È questa la speranza pasquale: leggera (ripeto ancora una volta), lieve, ma potente al tempo stesso. Prima speravamo, adesso speriamo. Speriamo in Te, speriamo nell’uomo: nell’uomo nuovo che tu riedifichi in ciascuno di noi, che tu hai restaurato in noi in questi giorni, e la speranza in Te diventa anche speranza in noi, speranza nella Chiesa, speranza nell’umanità, speranza in un nuovo umanesimo, come recita il titolo del Convegno che la Chiesa italiana si prepara a celebrare nel prossimo novembre a Firenze. È come se si sentisse il bisogno (era un progetto del Papa Benedetto) di stabilire, di disegnare un nuovo umanesimo, e poiché l’umanesimo ha avuto come culla Firenze, la Chiesa italiana decide di tornare a Firenze per disegnare un nuovo umanesimo. Il nuovo umanesimo è quello di duemila anni fa, è quello del Risorto, è quello del Dio fatto uomo che rende Dio un uomo ma rende anche l’uomo dio.

Buon viaggio, torniamo in fretta, senza indugio, non indugiamo! L’amore non conosce indugio, l’amore fa fretta, e abbiamo fretta anche noi. Buon viaggio.

Saluto finale

Terminata la celebrazione, andiamo a fare colazione rigorosamente in silenzio e poi partiamo senza indugio, dando uno sguardo al lago, che speriamo di rivedere, che comunque ci portiamo dentro. Riceverete, non so se è stato preparato come avevo chiesto, una piccola busta molto prosaica, con due fette di porchetta. Potrebbe anche farvi sorridere, ma innanzitutto è una carezza, poi ho pensato che tornando a casa alcuni di voi non avranno tempo per preparare da mangiare. Non è granché, sono appena due fette però possono bastare per fare un panino, ma anche come riferimento alla concretezza, perché poi diffidate di discorsi troppo spirituali, perché poi la spiritualità bisogna calarla nel concreto, e il concreto è anche il corpo, è anche mangiare, ci sono tutti i bisogni. Sembra un po’ spoetizzante che il vescovo alla fine di un corso di Esercizi vi consegni due fette di porchetta, ma questi discepoli, che vanno via senza mangiare perché non riescono a consumare la cena, forse avranno trovato qualche buon samaritano disposto a offrire loro un panino come viatico! Ecco, ci sarà un po’ di sapore di Ariccia anche a mezzogiorno! Ringrazio tutti, in particolare i sacerdoti. È difficile che i preti si mettano in ascolto. Lo dico perché sono stato anch’io (e lo sono ancora) prete, e quindi so quanta difficoltà noi che parliamo abbiamo a metterci in ascolto di un altro che parla. Ringrazio anche Felice, proprio nell’attenzione verso questo tono, a cui vogliamo sempre bene. Se non c’è un supporto musicale adeguato, tante persone non camminano speditamente, quindi grazie anche a lui che si rende disponibile per questa ministerialità. Ci sono tante cose belle, anche se non ci salutiamo ci apparteniamo e ci portiamo nel cuore. Vi do sempre l’indicazione di partire in silenzio, recitate un Rosario, da soli, in macchina, in pullman. Quando termina il Rosario termina il silenzio, non prima.

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.