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27 ROCCA 1 MAGGIO 2014 INSERTO è l’ ora delle religioni? Lidia Maggi pastora della Chiesa Battista Giannino Piana teologo morale Fiorella Farinelli esperta di politiche scolastiche Pietro Greco scrittore e comunicatore della scienza

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INSERTO

è l’oradelle religioni?

Lidia Maggipastora della Chiesa Battista

Giannino Pianateologo morale

Fiorella Farinelliesperta di politiche scolastiche

Pietro Grecoscrittore e comunicatore della scienza

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cuola elementare, incontro tra do-centi e genitori. Le insegnanti illu-strano il programma. Su domandaesplicita di una mamma musulma-na, parlano dell’ora di religione,affidata ad una delle due maestre

titolari. Questa spiega il percorso sottoli-neando che non si farà lezione di catechi-smo e che, dunque, sarebbe opportuno pertutti i bambini partecipare all’attività. Io,come mamma, faccio presente di aver fir-mato, a suo tempo, chiedendo di «non av-valermi» dell’ora di religione cattolica. L’in-segnante commenta che è un mio diritto,ma che questo ridurrà le ore di compre-senza necessarie per alcune attività didat-tiche, oltre al fatto che ritiene diseducati-vo separare i bambini che non fanno reli-gione dal resto della classe. Provo a me-diare e chiedo di poter decidere dopo avervisionato il programma e il libro di testo.O meglio, mi trovo costretta a mediaredopo aver verificato che, nonostante lapresenza nella classe di bambini e bambi-ne appartenenti ad altre esperienze reli-giose, mio figlio è l’unico che non parteci-pa all’ora di religione. Il giorno dopo l’in-segnante mi mostra il libro di religionecommentando: «Dia pure un’occhiata, nonso quanto ne possa capire, ma faccia pure...si metta però una mano sulla coscienzaprima di decidere». Mi stupisce la totalemancanza di curiosità da parte della miainterlocutrice sulle motivazioni che mihanno spinta a scegliere di non avvalermidell’ora di religione.

LidiaMaggi S il disagio dei genitori

Di aneddoti del genere, durante la carrie-ra scolastica dei miei quattro figli, ne hocollezionati tanti.Probabilmente sono stata particolarmen-te sfortunata. E lo penso davvero, perchénel corso della mia esperienza pastoraleho poi incontrato tanti insegnanti di reli-gione attenti alla diversità. Sono stata in-vitata diverse volte, come rappresentantedel mondo protestante, a parlare ai ragaz-zi e alle ragazze della mia fede, di Luteroe della Riforma. Ma la mia esperienza dimadre mi permette di condividere alcunepreoccupazioni, spesso sottovalutate nel-la discussione e che invece intersecano ilvissuto di chi sceglie di non avvalersi. Igenitori di bambini e bambine che appar-tengono a realtà confessionali non catto-liche hanno in genere due atteggiamentirispetto all’ora di religione. Alcuni sonomolto fermi nell’esercitare il diritto di nonavvalersi. Lo fanno convinti che in unascuola laica sia inopportuno privilegiareun insegnamento confessionale. Questigenitori sentono che la diversità non è unhandicap e non temono di comunicare aipropri figli il valore della loro differenza.Un tale genitore, di fronte alla maestra direligione di mio figlio, non avrebbe esita-to a restare fermo nella propria scelta, con-vinto di offrire il meglio al proprio bambi-no, sottraendolo ad un sistema di insegna-mento moralmente discutibile non soloper i contenuti ma soprattutto per le mo-

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se non frequentol’ora di religionedalità con cui viene esercitata la selezionedegli insegnanti. Tali genitori hanno svi-luppato, in genere, un sentimento di ran-core nei confronti dell’insegnamento con-fessionale. Trovano immorale che, in unostato laico, ormai multireligioso e multi-culturale, la Chiesa Cattolica conservi an-cora privilegi concordatari nella scuola aspese dello Stato. Dunque, anche se que-sto comporta possibili disagi come la dif-ficoltà della scuola a istituire un percorsoalternativo, oppure ore vuote passate, almeglio, facendo i compiti, questi genitorinon esitano a sottrarre i propri figli all’in-segnamento religioso.

doppio senso di colpa

Ci sono, invece, alcuni genitori che vivo-no con molta ansia l’idea di vedere i pro-pri figli, a scuola, differenziati dagli altri.Questi, pur non condividendo la fede cat-tolica o le modalità con cui l’ora di reli-gione è strutturata, scelgono di avvalersidell’insegnamento per evitare ai figli pos-sibili discriminazioni. «Non voglio chemio figlio si senta diverso». Vivono undoppio senso di colpa: da una parte sen-tono di tradire le proprie convinzioni, per-mettendo ai figli di partecipare all’ora direligione cattolica; dall’altra, si sentono re-sponsabili di esporre a possibili disagi ipropri figli, se scelgono di non avvalersi.Spesso hanno vissuto con fatica il propriopercorso scolastico sul tema. Una mam-ma mi racconta: «la lezione iniziava con

il segno della croce e un’avemaria. Io ri-manevo in piedi, sull’attenti. Non potevoripetere con gli altri bambini quella pre-ghiera che ormai conoscevo a memoria.Ero esonerata dall’ora di religione e inpagella non c’era il voto di quella materia.Mi sentivo a disagio in classe quando glialtri bambini mi chiedevano perché nonpregavo. Avevo paura di non saperlo spie-gare bene. Avevo però anche paura a pre-gare con la classe per timore che i mieivenissero a saperlo».La situazione oggi è decisamente diversa.L’ora di religione non si presenta come unpercorso di catechismo, non si fanno, inclasse, gesti liturgici, ma il senso di disa-gio che può creare la distinzione tra bam-bini cattolici e non, per alcuni genitori,rimane forte motivo di preoccupazione.E se dal punto di vista dell’ascolto pasto-rale, posso aiutare nel discernimento, cer-cando di cogliere i pro e i contro di unascelta rispetto all’altra, sospendendo il giu-dizio e mettendo a tacere i sensi di colpaper aiutare la famiglia a prendere una de-cisione in un contesto lontano dalla situa-zione ideale, dall’altro vorrei mettere sulpiatto della bilancia il possibile e inutilestress a cui vengono sottoposti genitori chevivono esperienze di fede differenti daquella cattolica. Mi piacerebbe al riguar-do, sentire storie di famiglie musulmaneo di altre appartenenze religiose, spessostranieri che, per potersi integrare nel con-testo italiano, si trovano, di fatto, nella si-tuazione di non potere serenamente sce-

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INSERTOgliere di avvalersi o non avvalersi. Vuoiperché non ricevono le dovute informazio-ni nel momento dell’iscrizione a scuola deifigli (per non avvalersi bisogna esplicita-mente fare una richiesta!), vuoi perché te-mono di apparire come anti-cristiani, sonosempre di più, almeno alle materne e alleelementari, i musulmani che frequentanol’ora di religione.

il vissuto plurale dell’alunno

Quanto esposto sollecita a domandarci: inuna società multiculturale e multietnical’insegnamento della religione cattolicanella scuola pubblica non risulta essereoggi un vero anacronismo storico e cultu-rale che non tiene in seria considerazioneil vissuto plurale dei ragazzi? Quale con-seguenza ha, sul piano educativo, separa-re i ragazzi in base al proprio credo reli-gioso? Il compito della scuola non dovreb-be essere quello di promuovere l’incontro,lo scambio, l’acquisizione di strumenti plu-rali e condivisi per interpretare il mondoe diventare cittadini capaci di riconoscer-si in regole di comportamento condivise?Il problema non è solo quello di un privi-legio confessionale; la questione decisivasi pone sul piano formativo: la scuola in-tende fornire i linguaggi e gli strumenti perinterpretare la realtà. Ed è qui che emergel’esigenza di un altro tipo di insegnamen-to della religione, perché viviamo in uncontesto dove le religioni, sia in positivoche in negativo, sono elementi identitari,proprio come la storia, la filosofia, la let-teratura, le scienze e l’arte. Delegare soloalla formazione confessionale o lasciarefuori dalla scuola questo aspetto, signifi-ca non offrire ai nostri ragazzi alcune chia-vi identitarie per capire la realtà, proprioin un momento storico dove il fattore reli-gioso emerge al centro degli eventi sociali.

la grammatica della pluralità

Cosa può offrire il mondo della Riformanel dibattito sull’insegnamento del feno-meno religioso? Le chiese protestanti han-no imparato dalla loro esperienza storicaa non demonizzare la pluralità delle inter-pretazioni, a tenere in tensione le diversi-tà. Mentre nella mentalità cattolica il va-lore di fondo è l’armonia, avere un unicopensiero (fattore per molti versi positivo),le chiese protestanti sono portatrici di unasapienza che non demonizza la differenzae sa convivere nella pluralità, affrontandoil conflitto. Questa pedagogia della diver-sità, che caratterizza il mondo della Rifor-

ma, può fornire un abecedario per impa-rare la grammatica della pluralità. Unagrammatica che le chiese hanno appresodalle Scritture, anche attraverso l’interpre-tazione plurale della Bibbia. Come all’ini-zio la lettura della Scrittura è stata nellechiese della Riforma lo stimolo per un pro-cesso di alfabetizzazione per persone finoallora analfabete, così ora la lettura dellaBibbia, come degli altri testi sacri, si pre-sta ad essere almeno un anticorpo rispet-to al rischio di un pensiero unico che de-monizzi la diversità.Il Protestantesimo, che ha maturato nellasua storia un pensiero critico sulle media-zioni, rispetto al ripensamento dell’ora direligione pone la domanda: «chi media?».Chi gestisce l’ora di religione? Chi gesti-sce la formazione degli insegnanti dell’oradi religione? Sottolineando il fatto che larivisitazione sulla formazione (scientificae non confessionale) non ha solo a che ve-dere con la tecnica ma anche con l’erme-neutica.

statuto del docente

Nel dialogo ecumenico è di rigore la rego-la dell’autopresentazione (ogni tradizionepresenta se stessa); ma tale criterio è inap-plicabile in un percorso formativo. Tutta-via, chi ha il compito di insegnare dovrànecessariamente maturare la capacità disaper riferire punti di vista differenti daipropri. Rimangono, dunque, aperte tuttele problematiche sulla competenza dell’in-segnante, insieme a quelle legate alla con-sapevolezza ermeneutica.Nel ripensare l’insegnamento religioso vaperciò messo sul piatto non solo lo statu-to dell’ora di religione ma anche la postu-ra del docente. Problema che riguarda an-che altre discipline, ma che diventa prio-ritario, visto il peso identitario dell’espe-rienza religiosa, per affrontare in modocorretto, il più possibile oggettivo e rispet-toso, la presentazione di una fede altra dal-la propria.Questo significa orientarsi verso un inse-gnamento laico e plurale. Il che non vuoldire garantire le quote ad ogni realtà reli-giosa, ma affrontare il fenomeno religiosoascoltando le tanti voci (la pluralità dellaos) per sciogliere stereotipi e pregiudizinei confronti dell’altro, troppo sovente pa-rodizzato da caricature inopportune, frut-to di un analfabetismo religioso che costi-tuisce una presenza inquietante nella no-stra società.

Lidia Maggi

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l dibattito sul ruolo e sulle modalitàdell’insegnamento religioso nellascuola italiana deve fare oggi i contitanto con l’efficacia del regime attual-mente in corso quanto con la capaci-tà che tale regime ha di interpretare

correttamente le istanze della odierna si-tuazione socioculturale.Sul primo versante – quello dell’efficacia– forti perplessità emergono dai risultatidelle varie indagini condotte negli annipiù recenti sulle conoscenze in materiareligiosa degli italiani. Il dato che da esseinfatti affiora, in termini inequivocabili,è la persistenza di uno stato di ignoran-

GianninoPiana I za, che la riforma concordataria non ha

contribuito a sanare. La religione – quel-la cristiana (o meglio ancora cattolicaperché tale è la dizione con cui la reli-gione viene proposta nella scuola) – con-tinua ad essere poco conosciuta nel suoimpianto dottrinale ed è, nella maggiorparte dei casi, considerata come un fe-nomeno culturalmente poco rilevante,che va in quanto tale relegato nell’ambi-to delle narrazioni mitologiche o che siritiene appartenga al genere delle leggen-de.Sul secondo versante poi – quello relati-vo all’interpretazione delle istanze socio-

bisognaavere coraggio

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INSERTOculturali odierne – la situazione è ancorapiù grave. L’insegnamento della religionecattolica (Irc), nella sua versione attuale,risulta incapace di fronteggiare la condi-zione di pluralismo religioso, che carat-terizza la società italiana (e più in gene-rale la società occidentale) come conse-guenza dell’imponente processo migrato-rio che si è verificato negli ultimi decen-ni. Lo scenario culturale ha infatti subìto,nel breve volgere di tempo, profonde (einsospettate) modificazioni, tali da ren-dere del tutto anacronistico il progettoideato in un passato anche piuttosto re-cente e da esigere un suo radicale rinno-vamento.La società multiculturale in cui viviamoimplica l’acquisizione di nuove conoscen-ze, ma comporta anche (e soprattutto) uncambio di mentalità, un’educazione alconfronto e al dialogo con tradizioni cul-turali diverse, che non può che riflettersianche nell’accostamento al fenomeno re-ligioso.

le debolezze del regime attuale

L’inefficacia dell’insegnamento religiosocui si è accennato va anzitutto ascritta –è doveroso ricordarlo – ad alcuni limitilegati in particolare all’ambiguità dellescelte fatte dalla riforma concordataria,cioè ai contenuti che si è preteso venisse-ro offerti, alle garanzie che si è chiestofossero assicurate e allo statuto che si èassegnato a tale insegnamento all’inter-no dell’ordinamento scolastico. L’avereimposto da parte della chiesa l’insegna-mento della religione cattolica e l’averechiesto come garanzia che esso fosse im-partito da insegnanti designati dall’ordi-nario diocesano (che ha peraltro il pote-re di destituirli nel caso non abbiano piùi requisiti di idoneità richiesti), costitui-sce un fattore di equivocità, che non po-teva non pesare anche sulla partecipazio-ne – questo in particolare nell’ambito dellescuole medie superiori – e soprattuttosull’identità dell’insegnamento. È diffici-le sostenere che si tratti di una disciplinacon connotati culturali, quando la si pro-pone in chiave strettamente confessiona-le e chi la insegna è soggetto alla verificadi ortodossia da parte dell’autorità eccle-siastica.Ancora più equivoco è poi lo statuto chetale insegnamento ha ricevuto nell’ordi-namento della scuola. Il fatto che si trattidi materia curriculare (e non strettamen-te opzionale, pur essendo facoltativa lafruizione) impedisce che si possa ipotiz-

zare un’alternativa secca – la ricerca diuna materia diversa non è facile ed è, inogni caso, più comodo non attivarla –,mentre il ruolo non ben definito a livelloistituzionale pone gli insegnanti – moltidi loro non esitano a denunciarlo – in unasituazione di disagio, costringendoli aconquistarsi a partire soltanto dalla pro-pria autorevolezza il consenso degli alun-ni. Questo spiega perché molti insegnan-ti tendano a ripiegare, nel tentativo difavorire il coinvolgimento dei partecipan-ti, su tematiche esistenziali, di caratterepsicologico o etico, che poco hanno a chefare con il discorso religioso, rinuncian-do di fatto all’esercizio del loro vero com-pito.

la necessità di condizioni diverse

La restituzione di credibilità all’insegna-mento religioso è dunque anzitutto lega-ta al ricupero di uno statuto dignitoso al-l’interno della scuola. Questo comportache la cultura religiosa venga a tutti glieffetti considerata – al pari di quanto av-viene in molti altri paesi europei peraltropiù secolarizzati del nostro (si pensi sol-tanto alla Francia) – una disciplina ob-bligatoria come la letteratura, la filoso-fia, la storia, ecc. L’importanza del feno-meno religioso come fatto culturale è fuo-ri discussione; e questo soprattutto in unpaese come il nostro, in cui le diverseespressioni letterarie ed artistiche hannorisentito, in larga misura (e in parte ri-sentono tuttora), dell’influenza determi-nante della religione e dove di conseguen-za la scarsità di nozioni in materia divie-ne un grave handicap per la loro pienacomprensione.La possibilità che si pervenga ad una svol-ta esige, ovviamente, che si abbandoniqualsiasi tentazione confessionale e si ri-nunci a qualsiasi pretesa catechetica; chesi accetti, in altre parole, che l’insegna-mento religioso abbia un carattere stret-tamente culturale, adottando appieno unametodologia scientifica e critica, e soprat-tutto che la sua gestione venga demanda-ta totalmente all’autorità scolastica sen-za alcuna interferenza esterna. Solo aqueste condizioni si può infatti sperarenella percezione della religione come fe-nomeno culturalmente rilevante, e perciònel superamento dell’attuale stato di igno-ranza che fa dell’Italia uno dei paesi piùarretrati nel campo della cultura religio-sa.La paura di perdere il controllo sull’inse-gnamento e su chi direttamente lo impar-

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te, che ha spinto la chiesa in Italia – con-trariamente a quanto è avvenuto in altripaesi – a chiedere la chiusura delle facol-tà teologiche all’interno delle universitàdello stato – posizione peraltro condivisaper opposte ragioni anche dalla cultura lai-cista del tempo – e a imporre, in occasio-ne della stipulazione del nuovo concorda-to, i criteri ricordati non hanno certo con-tribuito a far crescere nelle coscienze laconsapevolezza dell’importanza che il fe-nomeno religioso ha rivestito (e tuttora inqualche misura riveste) come fattore de-stinato ad influenzare i processi culturalie sociali.L’accettazione di un insegnamento liberoda ipoteche confessionali è dunque la sfi-da che la chiesa italiana deve accettare, seintende concorrere a far crescere la con-vinzione, anche in ambito laico, del signi-ficato positivo che l’esperienza religiosariveste.

quali contenuti trasmettere?

Ma, al di là dell’importanza che rive-ste lo statuto istituzionale, non si puòtrascurare, anzi merita un’attenzioneancora più grande, la definizione deicontenuti da attribuire all’insegnamen-to religioso oggi. Non vi è dubbio cheil processo di globalizzazione in corsoe l’avanzare impetuoso del fenomenodelle migrazioni dal Sud del mondoabbia trasformato anche l’Italia in unpaese multiculturale e multireligioso,e che si debba perciò tener conto di unasituazione che negli ultimi trenta anni– tanti sono gli anni che ci separanodalla firma del concordato – è profon-damente cambiata. L’esigenza di unaapertura al mondo delle religioni nelsuo complesso è fuori discussione.Questa esigenza deve essere tuttaviaconiugata con l’esigenza (altrettantoimportante) di non rinunciare a custo-dire (arricchendola anche mediante ilconfronto con le altre religioni) l’iden-tità religiosa legata alla propria appar-tenenza territoriale.La possibilità che si rispetti l’istanza cul-turale sopra ricordata e che si integrinole due esigenze cui si è accennato com-porta anzitutto – è questo il primo indi-rizzo da perseguire – che si affronti il fe-nomeno religioso in generale (questo valesoprattutto ma non esclusivamente per lescuole medie superiori) attraverso unapproccio interdisciplinare volto ad evi-denziarne le dinamiche sottese, lo stret-to rapporto cioè con una serie di istanze

che affondano le loro radici ai vari livellidella personalità. Su questo piano decisi-vo è il contributo delle scienze umane –dalla sociologia alla psicologia all’antro-pologia culturale – ma anche quello dellafilosofia (si pensi in particolare alla filo-sofia della religione). L’orizzonte antro-pologico consente di identificare le strut-ture fondamentali che stanno alla base delcomportamento religioso, andando oltrele differenze esistenti tra le varie tradi-zioni religiose e cogliendo gli elementicomuni che godono di una buona dose diuniversalità.Il passaggio successivo ai veri e propricontenuti dottrinali – sta qui il secondoindirizzo – comporta che ci si accosti allediverse religioni storiche attraverso unpercorso graduale, che deve iniziare dallereligioni che hanno in Abramo il loro ca-postipite per dilatarsi fino a comprende-re le grandi tradizioni religiose del-l’Oriente. Fondamentale è, a tale riguar-do, la conoscenza dei testi: dalla Bibbia,uno dei grandi codici della cultura occi-dentale da cui traggono origine tanto latradizione ebraica che quella cristiana,al Corano, alla letteratura buddista e in-duista, ecc. Tutto questo in un crescen-do, che fa correttamente i conti con ladiversa rilevanza delle varie tradizioni –ebraismo e cristianesimo non possonoche occupare in proposito un posto diprimo piano – e che tende ad inserire ildiscorso religioso nel contesto di unasocietà come l’attuale, caratterizzata daun accentuato pluralismo culturale edetico.

per un quadro globale

Le due linee delineate vanno poi tra lorovariamente intrecciate a seconda dei livellidell’ordinamento scolastico, tenendo inseria considerazione le ragioni di caratte-re pedagogico e rispettando i criteri di or-dine didattico.L’obiettivo è, in definitiva, quello di of-frire un quadro globale del fenomeno re-ligioso, che sappia metterne a fuoco, daun lato, le basi originarie radicate nelvivo della coscienza e fornire, dall’altro,un bagaglio preciso di cognizioni circai principi ispiratori delle varie tradizio-ni religiose in modo di favorire lo svi-luppo di personalità capaci di aprirsi aun confronto costruttivo con le diverseespressioni della religiosità contempo-ranea.

Giannino Piana

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er te che vieni da un paese stranie-ro» è la lettera con cui gli insegnan-ti di religione di Milano hanno invi-tato gli studenti stranieri non catto-lici a frequentare l’ora di religione.Dove si impara a conoscere una

religione, è questa la tesi, possono incon-trarsi e dialogare tutte le altre. Ma è un’im-presa possibile dove, come in Italia, l’inse-gnamento sia di natura confessionale?Sono in molti a dubitarne, ma la pretesac’è, e il contesto oggi sembra più favore-vole di un tempo.Lo si vede anche sfogliando Yalla, il viva-cissimo blog delle «seconde generazioni»che sul tema ha ospitato di recente un di-battito a più voci. Ad avviarlo, una studen-tessa dal nome arabo che racconta di avercapito troppo tardi che la scelta di «nonavvalersi» dell’Irc le ha fatto perdere un’oc-casione di crescita culturale. Perché «percapire il mondo servono le religioni delmondo». Sintesi felicissima, che però nonconvince del tutto. Se dai tanti commentidi italiani e stranieri non emergono dubbisostanziali sulla portata culturale delle re-ligioni (semmai sul fatto che sarebbe dif-ficile, in un programma scolastico, non in-ciampare nelle tante correnti o addirittu-ra fazioni l’una contro l’altra armata chene caratterizzano alcune), è l’ora di reli-gione così com’è fatta che a molti non sem-bra lo spazio adatto. Anche se non sonopochi – ma con quali motivazioni? – glistudenti non cattolici che la frequentano.

È un fatto, comunque, che la crescente pre-senza di studenti di altre nazionalità – or-mai più di 800.000, quasi 200.000 nellascuola superiore, tanti i cristiani ortodos-si, tantissimi i musulmani e anche di reli-gioni non monoteiste – butta nuova benzi-na sul fuoco mai spento della discussionesull’insegnamento «concordatario». Unabenzina più interessante, e più densa di im-plicazioni, delle discussioni sulla liceità delcrocefisso in aula e dell’allestimento deipresepi nelle scuole dell’infanzia.Oggi gli «altri» non sono più solo le «mino-ranze» valdesi, evangeliche, ebraiche (equella, quanto grande? dei non credenti edegli agnostici), e neppure solo i sostenito-ri irriducibili della scuola pubblica comeluogo assolutamente laico. A direzionare gliabbaglianti sulle contraddizioni dell’Irc èla trasformazione in senso multiculturaledella società italiana e, più in generale, lanecessità nel mondo di oggi e di domani diun’educazione più aperta alla mondialità.Anche se il musulmano non è tuo compa-gno di banco, anche se un confuciano nonl’hai ancora incontrato.Se le religioni sono sistemi di valori e codicicomportamentali che influiscono potente-mente sul passato e sul presente dei popoli,non sarà arrivato finalmente il momento didisseppellire le proposte antiche – e sempresconfitte – di un insegnamento di «storiadelle religioni»? O anche di un insegnamen-to di tipo antropologico sulla religiosità?Al rilancio della discussione contribuisco-

FiorellaFarinelli P

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le contraddizionidell’Irc

no altri ingredienti. Meno intriganti sul pia-no politico, ma assai urticanti su altri, spe-sa pubblica compresa.

ignoranza religiosa diffusa

Decenni di insegnamento scolastico con-fessionale pagato dallo Stato non sembra-no aver prodotto risultati apprezzabili nep-pure in termini di conoscenza dei tratti es-senziali del pensiero e della storia del cat-tolicesimo. Da diverse fonti si sa che in Ita-lia l’«analfabetismo religioso» c’è, ed è dimassa. Che cosa si fa e non si fa nell’ora direligione lo sanno anche gli insegnanti difilosofia, storia, letteratura, arte che nonpossono mai dare per scontate nozioni chedovrebbero essere moneta corrente dell’Irc.Né a proposito di Dante e Manzoni, Coper-nico o Galileo; né per i rapporti tra france-scanesimo ed empirismo scientista; e nep-pure per le guerre di religione in Europa,la breccia di Porta Pia a Roma o il Non expe-dit di Pio IX nel primo Stato unitario.Quanto al patrimonio artistico, le sue chiesee la sua pittura sacra, anche lì c’è il proble-ma. Cosa potranno mai capire delle Ma-donne e della Sistina – sbuffa il filosofoagnostico Massimo Cacciari – i ragazzi con-dotti in visita d’istruzione? Va già bene sesanno qualcosa del Bambin Gesù, insiste,ma è certo che non sanno niente della «pa-rola». Che non hanno mai letto, e se lettocapito, i Vangeli e la Bibbia. Massimo Cac-ciari però di «storia delle religioni» non

vuole sentir parlare. Teme il pressapochi-smo del tutto e del niente di un ambito cosìvasto e variegato, sa che su questi temi nonci sono insegnanti preparati e che occorre-rebbe molto tempo per formarli. Quello cheoccorre è invece «un insegnamento obbli-gatorio della nostra tradizione religiosa», edocenti formati ad hoc e selezionati attra-verso pubblici concorsi. Tutt’altra cosa, no-toriamente, da quanto previsto nell’insegna-mento «concordatario». Argomenti tran-cianti, nello stile del personaggio, ma daconsiderare attentamente.

che cosa non funziona?

Ma è solo perché l’Irc è di natura confes-sionale (e gli insegnanti formati, seleziona-ti, assunti e licenziati da un’autorità diver-sa da quella pubblica), che gli apprendi-menti sono così scarsi? Oggi sono molti gliinsegnanti di religione con lauree in teolo-gia o studi specialistici. Cos’è, allora, chenon funziona? Non c’è un’interpretazioneunica, ma il fatto che salta all’occhio è chemolti di loro, soprattutto nella secondariasuperiore dove gli studenti che «si avvalgo-no» diminuiscono progressivamente dallaprima all’ultima classe, impostano la didat-tica più su temi di natura etica o comporta-mentale di interesse diretto dei ragazzi (tracui sessualità e droghe) che sui contenuti deiprogrammi. O, comunque, accettano, pur dinon avere classi semivuote, che l’ora di reli-gione sia più di tregua che di studio.

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Come altro fare, del resto, senza il deter-rente delle interrogazioni, dei voti, degliesami? Non tutti, ancorché colti ed impe-gnati, sono capaci di appassionare ad unostudio i cui risultati non incidono sulle va-lutazioni finali. Il disagio professionale ditanti insegnanti di religione è fin troppoevidente, lo dicono anche i numeri dellecause discusse in tribunale per arrivare adottenere un ruolo più incisivo nella vitadella scuola e nella valutazioni degli stu-denti. Ma, appunto, è il profilo stesso del-l’Irc che ha impedito finora ogni evoluzio-ne: perché è ovvio che non si può dare unvoto, magari determinante in sede di scruti-nio finale, su qualcosa di così complesso edi valutabilità così problematica come i con-tenuti «confessionali» di una religione, il suocatechismo. Conoscenze o competenze?

esperienze di ora alternativa

E però qualcosa si è già mosso, in scuolepubbliche e paritarie. Se non dentro, fuoridell’ora di religione, nell’ora «alternativa»,o nel campo dell’opzionalità aggiuntiva per«avvalentisi e non». Si tratta di sperimen-tazioni – a Varese, Torino, Milano – che ten-tano di contrastare l’analfabetismo religio-so con corsi di «storia delle religioni». Soloin un caso circoscritti alle sole religionimonoteiste, negli altri allargandosi a quel-le maggiormente diffuse, dall’Islam alle re-ligioni del mondo orientale; e affrontandoproblemi di grande interesse come il rap-porto, per le diverse religioni, tra organiz-zazione statuale e appartenenza religiosa,tra uomini e donne, tra uomo e natura.Sono piste di cui analizzare i risultati.Ma anche le contraddizioni che hanno fat-to esplodere, per esempio quando il succes-so dei corsi di nuovo conio ha svuotato l’oradi religione. Il che dice almeno due cose,cioè che la domanda – dei genitori e deglistudenti – c’è, e che varrebbe la pena di darlerisposte appropriate. E però anche che laquestione dell’insegnamento concordatarionon è facilmente aggirabile. Perché un in-segnamento, collegato alla storia o alla fi-losofia, di «storia delle religioni», dovreb-be essere non opzionale ma «ordinamen-tale» e connotato da regole identiche (valu-tazione inclusa) a quelle delle altre disci-pline. E inoltre affidato a docenti con le stes-se funzioni e condizioni dell’intero corpoprofessionale. Pretendere di farlo dall’inter-no di ciò che già esiste – quindi senza unarevisione del Concordato – o è una genero-sa illusione o, viceversa, una strana e in-quietante pretesa di autosufficienza.

Fiorella Farinelli

cambiare no’ora di religione – o meglio, l’Irc(insegnamento della religione cat-tolica) nella scuola pubblica ita-liana – ha trent’anni. E li dimo-stra tutti. Per almeno tre motivi.Il primo è di principio: perché in-

troduce un’asimmetria tra la religione cat-tolica e tutte le altre religioni o credi o at-titudini spirituali. Il secondo è pratico:perché concede agli insegnanti della reli-gione cattolica un percorso di ingressonella scuola pubblica diverso rispetto atutti gli altri docenti. Il terzo è di opportu-nità: l’Irc, è già stato detto, conferisce allareligione cattolica un’aura di privilegio chepuò esserle più di danno che di vantaggio.Il secondo e il terzo dei motivi che rendo-no obsoleto l’insegnamento della religio-ne cattolica nella scuola pubblica italianadiscendono dal primo. E possono esserefacilmente risolti una volta che viene af-frontato e risolto il problema di principio.In questi trent’anni che ci separano dallafirma del nuovo concordato da parte del-l’allora Presidente del Consiglio italiano,Bettino Craxi, e dell’allora Segretario di

PietroGreco L

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ome contenuti finalitàStato vaticano, cardinale Agostino Casa-roli, il 18 febbraio 1984, molte cose sonocambiate (anche questo è stato già detto)nel nostro paese e fuori dal nostro paese.E quasi tutti i cambiamenti più significa-tivi rendono l’asimmetria che privilegial’insegnamento della religione cattolicanella scuola pubblica più difficile da giu-stificare, se mai lo è stato in passato.

una crescente diversità spirituale

Il principale cambiamento riguarda la cre-scente «diversità spirituale» che caratte-rizza la società italiana, in seguito sia aun’evoluzione interna (la cosiddetta desa-cralizzazione della società) sia a fattoriesterni (l’immigrazione). Cosicché oggioltre ai cattolici, troviamo nel nostro pae-se e nelle nostre scuole protestanti, ebrei,musulmani, seguaci di altre religiosi,agnostici, atei. E anche, semplicemente,indifferenti. Siamo passati da un preva-lente carattere di «omogeneità spirituale»a una marcata disomogeneità.Questa marcata «diversità spirituale», che

caratterizza ormai l’Italia come l’intero oc-cidente, ha profondi correlati etici. Tantoda spingere il bioeticista (cattolico) HugoTristram Engelhardt junior a sostenere cheviviamo in una società di «stranieri mora-li». Tutti portatori di analoghi diritti legitti-mi. Compreso il diritto all’insegnamento (oal non insegnamento) della propria religio-ne o credo o attitudine spirituale.Se accettiamo (e come potremmo rifiutar-lo?) questo banale principio di democra-zia, le opzioni teoricamente possibili peruna scuola pubblica di uno Stato demo-cratico sono solo tre.

tre opzioni

La prima è quella che potremmo definire:«a ciascuno il suo credo». Ovvero fornireagli studenti l’insegnamento relativo allapropria specifica religione o attitudinespirituale. Dunque un’ora (o più) diversi-ficata per i cattolici, per i protestanti, pergli ebrei, per i musulmani per gli agnosti-ci, per gli atei e anche (perché no?) per gliindifferenti. A parte ogni considerazione

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INSERTO

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di opportunità – i recinti diventerebberoghetti, rischiando di trasformarsi in for-tezze l’un contro l’altra armate – questaparcellizzazione si scontra con un’impos-sibilità pratica. Semplicemente non si puòfare. E dunque non discutiamola oltre.Una seconda opzione è quella utilizzata inpaesi come la Francia: «niente a tutti». Ov-vero nessun insegnamento religioso. Que-sta soluzione ha il pregio della democrati-cità. Ma lascia aperta una domanda: può lascuola ignorare una dimensione così im-portante nella vita sociale come la spiritua-lità, religiosa o meno, che coinvolge, siapure in maniera diversificata, tutti i citta-dini ed è alla base degli orientamenti etici?

laboratorio di diversità

A questa domanda rispondono, almeno inparte, gli ordinamenti scolastici di moltialtri paesi, in Europa e non, dove l’ora o leore di religione sono interpretate vuoi comeinsegnamento della storia delle religionivuoi come insegnamento dei principi dietica. Potremmo definirlo un «laboratorioper la valorizzazione della diversità». Nonabbiamo le conoscenze necessarie per in-dicare i punti di forza e di debolezza diquesto tipo di approccio nei singoli paesi.Non sappiamo se l’educazione spirituale oetica in questi paesi dia o meno luogo a unautentico «laboratorio per la valorizzazio-ne della diversità». Possiamo però dire che,in generale, la presa in carico da parte del-la scuola della dimensione religiosa e/o spi-rituale e/o etica presenta dei vantaggi se ri-sponde ad alcuni requisiti di base.Può essere utile se aiuta a discutere intor-no a temi di fondo, come il senso della vitao il perché alcuni (ma non tutti) credononell’esistenza di Dio. Se aiuta a conoscerela storia delle religioni. Se aiuta a rispet-tare il punto di vista di tutti e di ciascuno,a patto che quel punto di vista non ambi-sca a prevaricare sugli altri. Potremmocontinuare con altre analoghe dichiarazio-ni di principio.

un interessante documentodella Gran Bretagna

Ma forse è più utile conoscere – anche soloper discutere – quali sono gli obiettivi del-l’insegnamento interculturale e interreli-gioso che indica il rapporto Religious edu-cation preparato, dieci anni fa, da un grup-po di esperti per conto del ministero del-l’educazione di un paese che ha una fortetradizione di tolleranza e democrazia, laGran Bretagna.

Secondo gli esperti – di diverse religioni eculture – che hanno redatto il documento,l’educazione religiosa deve fondarsi sui va-lori generali di verità, giustizia e rispetto.E nello specifico deve aiutare gli studenti avalutare se stessi e gli altri. E se stessi inrapporti agli altri, ovvero nella loro dimen-sione sociale. Deve, inoltre, aiutare gli stu-denti a valutare il ruolo che hanno la fami-glia e la comunità di appartenenza nel de-terminare la fede religiosa (o lo scettici-smo). Deve, infine, aiutare a considerare ilvalore della diversità religiosa o etica e acomprendere le similarità o le differenzetra le diverse fedi e/o attitudini spirituali.L’educazione religiosa deve, sottolinea si-gnificativamente il documento, aiutare glistudenti a riconoscere la necessità dellosviluppo sostenibile del pianeta. Che è tale,aggiungiamo noi, solo se è socialmente edecologicamente sostenibile. Ma l’educazio-ne religiosa deve anche aiutare a capire lanatura evolutiva delle società umane. Deveinsegnare a capire e a valorizzare il cam-biamento. Ivi incluso il cambiamento nel-le credenze e nelle pratiche religiose.

due obiettivi primari

Sulla base di tutto questo l’educazione reli-giosa – ma forse sarebbe meglio dire l’edu-cazione spirituale ed etica – deve persegui-re due obiettivi primari. Il primo è di tipocognitivo: aumentare la conoscenza, l’abi-lità e la comprensione relative al fenome-no religioso e più in generale spirituale,anche mediante un approccio di tipo scien-tifico. Affinando lo spirito critico, oltre chela coerenza e la solidità dell’argomentare.Il secondo obiettivo (non sembri un para-dosso) è di tipo sociale e riguarda la laici-tà. Ovvero la capacità degli studenti dicoltivare la tolleranza. Di più: la compren-sione del valore positivo intrinseco delladiversità culturale, etica e religiosa se tesaalla ricerca cooperativa del bene comune.La società italiana – a trent’anni dal nuovoConcordato – ha di fronte a sé una sfidaniente affatto banale. Deve evitare che la«diversità spirituale» porti alla frantuma-zione sociale e alla creazione di steccati tra«stranieri morali». C’è bisogno – c’è urgen-za – di luoghi di integrazione. Di laboratoridi tolleranza. Nulla vieta che tra questi luo-ghi e tra questi laboratori ci sia anche «l’oradi religione». L’Irc, l’insegnamento dellareligione cattolica, trent’anni dopo, dovreb-be cambiare radicalmente contenuti e fi-nalità. E, naturalmente, anche nome.

Pietro Greco

Sull’argomentoRocca haavviato il dibat-tito con gliinterventi diMarco Gallizio-li, Diario scola-stico: L’ora direligione(n. 5/2014)Brunetto Salva-rani, Religioni ascuola: Nelmosaico dellereligioni(n. 6/2014)Flavio Pajer,Religioni ascuola: Neltempo delpluralismo(n. 8/2014)