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Questioni interpretative Controlli a distanza: la disciplina prima e dopo la riforma Luca DAndrea e Engles Moriconi Le recenti e costanti innovazioni tecnologiche hanno portato con sé innumerevoli vantaggi e possibilità nel contesto lavorativo; vantaggi de- clinabili sia per il lavoratore, sia per la contropar- te datoriale. In realtà molte e molto incidenti so- no state anche le problematiche indotte da certe tipologie di apparecchiature e sistemi informatici. Si fa riferimento in concreto a strumenti quali computer, cellulari, smartphone, badge, tecnolo- gie biometriche, Rfid, Nfc, tecnologie satellitari, Gps, droni e molto altro ancora. Tra le tante questioni, una di quelle che maggior- mente risente del continuo progresso tecnologico è sicuramente quella attinente il tema dei control- li a distanzaattivabili attraverso impianti au- diovisivi e di monitoraggio informatico, vietati dallart. 4 dello Statuto dei lavoratori nella previ- gente formulazione, e ammessi, a certe condizio- ni dalla stessa norma recentemente riscritta ad opera dellart. 23 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, nellalveo del più complesso progetto di riforma del Jobs Act. Scopo principale di questo approfondimento vuo- le essere quello di ricostruire la fattispecie nor- mativa in questione prima e dopo la predetta mo- difica, cercando di individuare, col suffragio giu- risprudenziale, una serie di possibilità concrete che il datore può legittimamente predisporre ver- so i suoi dipendenti. Ciò perché la summenzionata possibilità ha dato luogo ad un contenzioso vastissimo in ragione dei confliggenti interessi che si scontrano in una fattispecie di tal fatta: da una parte infatti linte- resse dellimprenditore alla libera iniziativa eco- nomica, con tutto quello che ne consegue in tema di interesse allesatto adempimento della presta- zione e alla salvaguardia del patrimonio azienda- le, dallaltra linteresse del lavoratore al rispetto della riservatezza e della dignità anche sul posto di lavoro, il tutto inequivocabilmente sancito ai commi 1 e 2 dellart. 41 della Carta costituziona- le. Proprio questo incontro-scontro tra potere del da- tore e diritti del lavoratore individua il metodo di soluzione dei contenziosi a riguardo, configuran- do, mediante la tecnica del bilanciamento degli interessi in gioco, caso per caso, un ruolo risolu- tivo e creativo da parte della giurisprudenza. Il precedente impianto normativo In questa prima fase è indispensabile perciò rico- struire limpianto normativo del vecchio articolo in esame, ergendolo poi a base portante per qual- siasi riflessione casistica fino al 2015. Quest ultimo, cioè l art. 4, legge n. 300/1970 nella stesura originaria, in linea di principio im- poneva un vero e proprio divieto assoluto di usa- re gli strumenti per il controllo a distanza. «È vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distan- za dell'attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali , oppure, in mancanza di queste, con la commissione inter- na. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro, dettan- do, ove occorra, le modalità per l'uso di tali im- pianti.(Omissis). Contro i provvedimenti dell'Ispettorato del lavo- ro, di cui ai precedenti secondo e terzo comma, Jobs Act Diritto & Pratica del Lavoro 9/2016 567 luca dandrea - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.

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Questioni interpretative

Controlli a distanza:la disciplinaprima e dopo la riformaLuca D’Andrea e Engles Moriconi

Le recenti e costanti innovazioni tecnologichehanno portato con sé innumerevoli vantaggi epossibilità nel contesto lavorativo; vantaggi de-clinabili sia per il lavoratore, sia per la contropar-te datoriale. In realtà molte e molto incidenti so-no state anche le problematiche indotte da certetipologie di apparecchiature e sistemi informatici.Si fa riferimento in concreto a strumenti qualicomputer, cellulari, smartphone, badge, tecnolo-gie biometriche, Rfid, Nfc, tecnologie satellitari,Gps, droni e molto altro ancora.Tra le tante questioni, una di quelle che maggior-mente risente del continuo progresso tecnologicoè sicuramente quella attinente il tema dei control-li “a distanza” attivabili attraverso impianti au-diovisivi e di monitoraggio informatico, vietatidall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori nella previ-gente formulazione, e ammessi, a certe condizio-ni dalla stessa norma recentemente riscritta adopera dell’art. 23 del D.Lgs. 14 settembre 2015,n. 151, nell’alveo del più complesso progetto diriforma del Jobs Act.Scopo principale di questo approfondimento vuo-le essere quello di ricostruire la fattispecie nor-mativa in questione prima e dopo la predetta mo-difica, cercando di individuare, col suffragio giu-risprudenziale, una serie di possibilità concreteche il datore può legittimamente predisporre ver-so i suoi dipendenti.Ciò perché la summenzionata possibilità ha datoluogo ad un contenzioso vastissimo in ragionedei confliggenti interessi che si scontrano in unafattispecie di tal fatta: da una parte infatti l’inte-resse dell’imprenditore alla libera iniziativa eco-nomica, con tutto quello che ne consegue in temadi interesse all’esatto adempimento della presta-zione e alla salvaguardia del patrimonio azienda-le, dall’altra l’interesse del lavoratore al rispetto

della riservatezza e della dignità anche sul postodi lavoro, il tutto inequivocabilmente sancito aicommi 1 e 2 dell’art. 41 della Carta costituziona-le.Proprio questo incontro-scontro tra potere del da-tore e diritti del lavoratore individua il metodo disoluzione dei contenziosi a riguardo, configuran-do, mediante la tecnica del bilanciamento degliinteressi in gioco, caso per caso, un ruolo risolu-tivo e creativo da parte della giurisprudenza.

Il precedente impianto normativo

In questa prima fase è indispensabile perciò rico-struire l’impianto normativo del vecchio articoloin esame, ergendolo poi a base portante per qual-siasi riflessione casistica fino al 2015.Quest’ultimo, cioè l’art. 4, legge n. 300/1970nella stesura originaria, in linea di principio im-poneva un vero e proprio divieto assoluto di usa-re gli strumenti per il controllo a distanza.«È vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altreapparecchiature per finalità di controllo a distan-za dell'attività dei lavoratori.Gli impianti e le apparecchiature di controlloche siano richiesti da esigenze organizzative eproduttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, madai quali derivi anche la possibilità di controlloa distanza dell'attività dei lavoratori, possonoessere installati soltanto previo accordo con lerappresentanze sindacali aziendali, oppure, inmancanza di queste, con la commissione inter-na. In difetto di accordo, su istanza del datore dilavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro, dettan-do, ove occorra, le modalità per l'uso di tali im-pianti. (Omissis).Contro i provvedimenti dell'Ispettorato del lavo-ro, di cui ai precedenti secondo e terzo comma,

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il datore di lavoro, le rappresentanze sindacaliaziendali o, in mancanza di queste, la commis-sione interna, oppure i sindacati dei lavoratori dicui al successivo art. 19 possono ricorrere, entro30 giorni dalla comunicazione del provvedimen-to, al Ministro per il lavoro e la previdenza so-ciale».Come si vede, a fronte del divieto assoluto postoal primo comma, al secondo, la norma flessibiliz-za questa disposizione attraverso una forma dicodeterminazione preventiva tra datore e rappre-sentanze sindacali (ovvero, in mancanza, attra-verso l’autorizzazione amministrativa dell’Ispet-torato del lavoro) al ricorrere, nel caso di specie,di esigenze organizzative e produttive, ovvero disicurezza del lavoro. In mancanza della procedu-ra autorizzativa, anche di natura sindacale (even-tualmente con l’intervento della commissione in-terna, qualora le rappresentanze aziendali doves-sero mancare) o amministrativa, i dati e le proveraccolte per il tramite di tali apparecchi sarannoinutilizzabili sia a fini civili, anche disciplinari,sia a fini penali, posta l’illegittimità della sorve-glianza, come affermato pacificamente dalla dot-trina e dalla giurisprudenza civile.Va aggiunto, da un punto di vista di introduzionesistematica, che la disciplina dei controlli a di-stanza e della vigilanza dei lavoratori, si arricchi-sce delle norme di cui all’art. 3 (previsione, mo-dalità e limiti della funzione di vigilanza perso-nale all’interno dell’ambiente di lavoro) e del-l’art. 8 (divieto di indagini sulle opinioni perso-nali del lavoratore e su ciò che non rileva ai finidella sua attitudine professionale) dello Statutolavoratori, nonché, in uno spettro più ampio, delcorpus normativo del Codice della privacy(D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196) che, nel TitoloVIII e cioè nella parte settoriale riservata al lavo-ro e alla previdenza sociale, recepisce e richiamaformalmente gli articoli 4 e 8 dello Statuto, lacui violazione viene significativamente sanziona-ta penalmente dall’art. 171 dello stesso Codiceprivacy, sempre per recepimento delle pene stabi-lite dall’art. 38 dello Statuto dei lavoratori.Tale discutibile tecnica legislativa del “doppio ri-chiamo” è comunque chiaro segno della netta in-terdipendenza ed osmosi tra la disciplina lavori-

stica e quella della tutela della riservatezza conriguardo ai controlli a distanza e dell’attribuzionedelle competenze di controllo, vigilanza e sanzio-natorie anche all’apparato amministrativo e “giu-diziario” istituito e disciplinato dal Codice priva-cy (Autorità garante, Nucleo speciale privacydella Guardia di Finanza, ecc., …).Entrando ora nel merito della problematica, lequestioni interpretative si originano proprio daipresupposti del divieto, già di per sé poco con-creti.Come ci suggerisce la giurisprudenza (1) primopresupposto logico-ontologico ai fini dell’opera-tività del divieto in esame, consiste nella c.d. per-tinenza diretta o indiretta con “l’attività dei lavo-ratori”.L’appena richiamata espressione ingloba non so-lo le mansioni deducibili dal rapporto di lavoro,bensì l’intero comportamento sul luogo dellostesso, dilatando così tempi e luoghi del divietoin capo al datore (pause pranzo, sale relax po-trebbero talvolta esservi ricompresi).A questo proposito, a titolo esemplificativo, ilTribunale di Torino con sentenza del 9 gennaio2004 (in Giur. piem., 2004, 131), ha statuito cheil controllo automatico delle telefonate da termi-nale aziendale con annessa registrazione del nu-mero e della durata non esclude la predetta perti-nenza, pertanto in concreto è consentito, in quan-to il controllo stesso non attinge all’«attività la-vorativa» tutelata dal divieto di cui all’art. 4, maalla condotta illecita del lavoratore, che esuladall’applicazione di detta norma, e che è configu-rabile nel caso di telefonata ingiustificata da par-te del lavoratore (si è trattato di un caso di “con-trollo difensivo” di cui si tratterà più avanti).E ancora, ulteriore presupposto poco chiaro è ri-scontrabile nell’oggetto legato alla vasta accezio-ne di apparecchiatura nel campo tecnologico (ap-parecchiatura di qualsiasi tipo). Anche in questocaso si intravedono, nella dimensione pratica,una serie di difficoltà applicative della norma;solo per fare un esempio sono inquadrabili comeapparecchiature sia le tecnologie hardware, com-ponenti fisicamente individuate o comunque in-dividuabili, sia quelle software, le quali al con-trario non si estrinsecano in un supporto fisico,

(1) Cass. civ., sez. lav., 3 aprile 2002, n. 4746; Cass. civ., 3marzo 2002; Trib. Milano, 5 luglio 2006; Cass. pen., sez. III, 15dicembre 2006, n. 8042.

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bensì rappresentano programmi di controllo emonitoraggio di natura informatica (Blues, SuperScout, Ubidesktop, Gary T Marx solo per fare al-cuni tra centinaia di esempi).A questo riguardo, come è facilmente riscontra-bile dall’esame della generalità dei contenziosi,anche in relazione alle linee guida tracciate nel2007 (2) dall’Autorità garante dei dati personali,anche i software rientrano nella nozione di «ap-parecchiature» disciplinate dall’art. 4.D’altro canto la fraintendibile accezione, almenoinizialmente, aveva creato una certa difficoltà in-terpretativa, ora, come visto, risolta.Muovendo adesso alla ragione del divieto pre-scritto, questa è chiara: il presupposto della nor-ma, che si inserisce nel solco tracciato dal legi-slatore e ripreso dalla giurisprudenza e dalla dot-trina (3), è quello di non spingere l’attività di vi-gilanza, ancorché necessaria nell’organizzazioneproduttiva, oltre limiti tali da escludere qualsiasispazio di autonomia e di riservatezza per il lavo-ratore (c.d. dimensione umana della vigilanza).Si tratterebbe, così, di contenere in vario modole manifestazioni del potere direttivo e organiz-zativo del datore di lavoro, che, per le modalitàdi attuazione incidenti nella sfera della persona,si ritengono lesive della dignità e riservatezza dellavoratore (così Cass. n. 8250/00 cit.).Pertanto l’attenzione si sofferma sulla modalità esullo strumento tecnologico utilizzato per il con-trollo, che non deve determinare un monitoraggiocontinuativo, rigido, anelastico, esasperato easfissiante.La stessa ratio è affermata nell’interessante do-cumento di lavoro riguardante la vigilanza sullecomunicazioni elettroniche sul posto di lavoroadottato dal Gruppo dei garanti europei il 29maggio 2002 (WP 55) «… se è vero che le nuo-ve tecnologie costituiscono un’evoluzione positi-va per quanto riguarda le risorse a disposizionedei datori di lavoro, gli strumenti di vigilanzaelettronica si prestano ad essere utilizzati in modiche ledono i diritti e le libertà fondamentali deidipendenti. Non va dimenticato che con l’arrivodelle tecnologie dell’informazione è di vitale im-portanza che i lavoratori godano tutti degli stessi

diritti, indipendentemente dal fatto che lavorinoin linea oppure no. … La dignità umana del la-voratore va anteposta a qualsiasi altra conside-razione. Nell’esaminare questo problema è im-portante non dimenticarsi di questo fatto e deglieffetti negativi che le attività di vigilanza posso-no produrre sulla qualità della relazione profes-sionale tra i dipendenti e il datore di lavoro non-ché del lavoro stesso».Ancora una volta l’attività della giurispruden-za (4) traccia nuove formule e meccanismi inter-pretativi, atti a dirimere controversie in tema diillegittimi licenziamenti e illegittimi esercizi delpotere disciplinare in genere sulla base dei datiraccolti tramite detti controlli: i magistrati parla-no di «modalità non eccessivamente invasive»,ad esempio in relazione alla continuità tempora-le del monitoraggio, alla personalità dello stes-so, alludendo ad un giudizio di proporzione e ra-gionevolezza tra i contrapposti interessi in gioco,da applicarsi caso per caso riferendosi alle circo-stanze di fatto e di diritto che si manifestano.Nella sostanza quindi, sembra potersi dire che ilimiti che vengono posti al divieto di cui al pri-mo comma, trovano giustificazione ed esplicita-zione nella previa codeterminazione sindacale,dal momento che consente l’ingresso nella fatti-specie di ulteriori ed antitetici interessi in gioco:quelli di natura produttiva e organizzativa ovverodi sicurezza del lavoro. Tale flessibilizzazionepuò avere luogo solo perché legittimata in con-creto e in via preventiva da organismi che si fan-no promotori proprio di quegli altri interessi che,come visto, fondano il divieto d’uso di determi-nati impianti.In realtà la massiccia casistica contenziosa, ponedegli interrogativi e delle questioni ulteriori, lequali, a determinate condizioni, legittimano il ri-corso alle apparecchiature in esame, indipenden-temente dal previo accordo, sia esso sindacale,sia esso amministrativo: si faccia riferimento aquello che, a detta di molti, è il più grande di-lemma in tema di controlli “a distanza”, cioèquello dei c.d. “controlli difensivi” prima accen-nati.

(2) Garante privacy, Del. n. 13 del 1° marzo 2007 in G.U. n.58 del 10 marzo 2007.

(3) Relazione ministeriale all’art. 4, legge n. 300/1970; Cass.17 giugno 2000, n. 8250; Cass. 17 luglio 2007, n. 15892; Cass.23 febbraio 2012, n. 2722; in dottrina, C. Zoli, Il controllo a di-

stanza del datore di lavoro: l’art. 4, Stat. Lav. tra attualità e esi-genze di riforma, in Riv. it. dir. lav., 2009, I, 485 ss.; A. Minervi-ni, I controlli sul lavoratore e la tutela dell’azienda in Il lavoro nel-la giurisprudenza, n. 4/2014, pag. 314.

(4) Per es. Cass. civ., sez. lav., 27 maggio 2015, n. 10955.

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Come avremo modo di constatare, trattasi di unaderoga, introdotta per via giurisprudenziale, allalogica di divieto appena esposta, e alla logicadella codeterminazione pattizia delle esigenzeche avrebbero reso flessibile tale divieto, laddoverisorgano ulteriori e diverse esigenze nella fatti-specie concreta, atte a legittimare i controlli a di-stanza e le loro risultanze anche, senza il rispettodella procedura tassativamente individuata al se-condo comma del vecchio art. 4.Tale categoria, così definita poiché tesa a verifi-care eventuali condotte illecite del lavoratore, simanifesta nella prassi attraverso sistemi di con-trollo per aree riservate o mediante apparecchi dirilevazione telefonate, financo attraverso sistemidi tracciamento Gps. Questi monitoraggi, cosìcome chiarito a più riprese dalla giurispruden-za (5), esulano dall’ambito di operatività ex art.4, Stat. lav. se non diretti all’esclusivo accerta-mento dell’esatto adempimento della prestazionelavorativa (può esserlo solo “sussidiariamente”),bensì mirino a preservare il patrimonio azienda-le.Il principio di tendenziale ammissibilità di talicontrolli così recita: «il datore di lavoro può le-gittimamente esercitare i c.d. controlli difensivi,ossia quei controlli diretti ad accertare comporta-menti illeciti dei lavoratori, quando tali compor-tamenti non riguardino l’esatto adempimento del-le obbligazioni discendenti dal rapporto, bensì latutela di beni estranei al rapporto stesso (6)».Tale statuizione è comunque da integrarsi, si ri-tiene, con i predetti principi di non eccessiva in-vasività, non continuità e anelasticità, oltre al-l’implementazione portata da un altro presuppo-sto fattuale: il dipendente così controllato deveaver già commesso o quantomeno deve sussistereun fondato sospetto di compimento di una datacondotta illecita, la quale mini appunto il patri-monio aziendale; a questo proposito non basteràche tali illeciti siano meramente “supposti o ipo-tizzati”, bensì occorrerà un indizio di una certarilevanza (7).La questione si sposta quindi, oltre che sul con-trollo in sé, anche sull’utilizzabilità, per qualsiasifine, dei dati così raccolti.

In particolare, ai fini della classificazione o menodel controllo come difensivo, la valutazione nonpotrà che essere ex post, relativamente alle circo-stanze che lo stesso accerta ed estrinseca; se conil medesimo dovesse venir accertata la condottaillecita, eccolo allora rientrare nella fattispecie inanalisi, non operando di conseguenza l’art. 4; di-versamente, nella circostanza per la quale il mo-nitoraggio non dovesse dare alcun riscontro in talsenso, lo stesso sarebbe stato in sostanza posto inessere solo per verificare l’adempimento dellaprestazione di lavoro, decadendo a quel puntodalla sua posizione di deroga legittima e tornan-do ad operare il divieto ex art. 4, e quindi, così,la sua violazione.In definitiva ci troviamo di fronte ad un ipotesidi sanabilità ex post del mezzo, qualora questoabbia dato esiti positivi relativi all’eventuale con-dotta illecita.Ovvero, in alternativa, si ritiene che siano am-missibili anche i controlli difensivi c.d. preventi-vi, quando si tratti di reprimere e far cessare con-dotte illecite già prodottesi e non sottoposte a vi-gilanza, con la finalità di impedire ed evitare ilcompimento di ulteriori future condotte di tal ge-nere, pur sempre lesive del patrimonio o dell’im-magine aziendale. L’evidente finalità di deterren-za li direziona verso soggetti generici e a titolodi prevenzione appunto.Diversi, quantomeno concettualmente, sono queicontrolli difensivi che invece vengono posti inessere dal datore in presenza di sospetti qualifi-cati, ossia gravi (importanza e serietà dell’indi-zio), precisi (verso soggetto/i determinati) e con-cordanti (implica una pluralità di indizi tutti gra-vi e precisi confluenti in un'unica direzione pro-batoria): c.d. controlli difensivi successivi. Inquesto caso la finalità è repressiva ed in quantotale diretta contro soggetti determinati.Anche questi casi sono svincolati dalla applica-zione delle procedure di cui al vecchio articolo 4secondo la univoca giurisprudenza.Ora è bene riportare una ulteriore species deicontrolli difensivi: quelli c.d. “occulti”, così defi-niti poiché predisposti all’insaputa dei lavoratori,sia mediante l’installazione di determinate appa-recchiature, sia anche ad opera di personale inter-

(5) Cass. civ., sez. lav., 27 maggio 2015, n. 10955; Cass.civ., sez. lav., 23 febbraio 2012, n. 2722 e Cass. civ., sez. lav.,1° ottobre 2012, n. 16622.

(6) Cass. civ., sez. lav., 23 febbraio 2012, n. 2722.(7) Si veda la massima contenuta in App. Bologna 20 set-

tembre 2012 (non pubblicata).

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no o addirittura estraneo all’organizzazioneaziendale (es. mediante ricorso ad agenzie inve-stigative private).Anche quest’ultima categoria viene ormai “ten-denzialmente ammessa” sulla base delle stesseargomentazioni prima espresse che legittimano ilgenus “controllo difensivo”; in particolare la re-centissima giurisprudenza di Cassazione n.10955/2015, la quale si aggiunge ad un nutritofilone che corre lungo la stessa direzione (8), liammette «in quanto diretti all’accertamento dicomportamenti illeciti diversi dal mero inadem-pimento della prestazione lavorativa restando co-munque necessario che le attività di accertamen-to si esplichino con modalità che contemperinol’interesse del datore al controllo e alla difesadell’organizzazione con il rispetto delle garanziedi libertà e dignità dei dipendenti, ed in ogni ca-so rispettino i canoni generali della correttezza ebuona fede contrattuale».In un contesto di tal fatta è stata quindi ritenuta«legittima l’attività di controllo posta in esseredal responsabile del personale, autorizzato daivertici aziendali, alla creazione di un falso profi-lo facebook di donna al fine di verificare la pre-senza su tale piattaforma del dipendente durantel’orario di lavoro, in quanto avente ad oggettonon l’attività lavorativa più propriamente dettaed il suo esatto adempimento, bensì l’eventualeperpetrazione di comportamenti illeciti, già ma-nifestati (9) da parte del dipendente».Nel caso in esame la creazione del falso profilonon viola di per sé né la buona fede né la corret-tezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro, poi-ché «non invasiva e nemmeno induttiva all’infra-zione»; afferendo a comportamenti illeciti già ve-rificatisi (10) o al fondato sospetto circa il loroverificarsi (11), ed essendo questi potenzialmentelesivi del patrimonio aziendale, il controllo inesame conduce quindi all’esclusione dell’operati-vità dell’art. 4 con conseguente sua ammissibilità“occulto” o meno che esso sia.Come d’altro canto ritenuto da autorevole dottri-na, «… in realtà però deve considerarsi che è pur

sempre l’attività lavorativa, quale oggetto delcontrollo “a distanza”, a segnare il discrimine tracontrolli assoggettati alla disciplina posta dalladisciplina ivi in commento e controlli che invecene fuoriescono. Se è l’attività lavorativa (ossiasvolta nell’orario di lavoro) che, in quanto esple-tata in violazione di norma di legge o di contrat-to, si atteggia a condotta illecita, trova comunqueapplicazione l’art. 4; se si tratta invece di un’atti-vità illecita, ma che di per sé non sia significati-va quanto alla valutazione della prestazione lavo-rativa svolta (nel senso di valutazione del suo di-ligente adempimento, n.d.a), allora tale articolonon trova applicazione (12)», con conseguente li-ceità del controllo a distanza, anche in difetto dicontratto collettivo o autorizzazione amministra-tiva.Tale impostazione è da ritenersi applicabile pertutte le specificazioni descritte di controllo “di-fensivo”.Quindi, come nel caso del profilo facebook, ciòche ha condotto la Cassazione a considerare leci-to il controllo a distanza, per giunta occulto, esenza il preventivo accordo sindacale, è dato dal-la circostanza che con esso si è giunti (ex post)ad accertare non solo e non tanto un inadempi-mento del lavoratore ai propri obblighi professio-nali, ovverosia un semplice e mero illecito disci-plinare, ma quanto, un illecito disciplinare “qua-lificato” o “ rafforzato nel senso che esso hacausato anche un danno al patrimonio azienda-le» (13), (la pressa bloccata da una lamiera inca-strata in quanto lasciata incustodita), ovvero, co-me in altri casi affrontati, un danno al patrimo-nio altrui o di terzi (es. il denaro di colleghi cu-stodito negli armadietti effratti e aperti dal lavo-ratore, nella vertenza decisa da Corte di AppelloRoma 23 maggio 2015, in La.Gi. 2015, Fasc.8/9, pag. 855), ovvero ancora un danno all’im-magine aziendale o l’immagine altrui (come nelcaso del capo-netturbino, sorpreso dal proprioGps veicolare ad intrattenersi presso bar o localidi tavola calda ben oltre il limite contrattuale del-la pausa lavorativa, deciso dalla recentissima

(8) Cass. 9 giugno 1990, n. 5599; Cass. 2 marzo 2002, n.3039; Cass. 10 luglio 2009, n. 16196.

(9) Utile richiamarsi alla precedente nota 7.(10) Cass. 9 luglio 2008, n. 18821; Cass. 14 febbraio 2011,

n. 3590; Cass. 2 marzo 2002, n. 3039.(11) Cass. 14 febbraio 2011, n. 3590; Cass. 29 aprile 2001,

n. 9576; Cass. 4 marzo 2014, n. 4984.(12) G. Amoroso e al., Diritto del lavoro. Lo Statuto dei lavo-

ratori e la disciplina dei licenziamenti, vol. II, 2009, pag. 46.(13) Di questo avviso anche Vittoria Amato, Legittimità del

controllo difensivo occulto attraverso i social networks in Lavoroe giurisprudenza, n. 10/2015, pag. 900; nel commento alla sen-tenza della Cassazione 27 maggio 2015, n. 10955, si parla di“incidenza” degli illeciti posti in essere, facendo presumere siala portata concreta lesiva degli stessi rispetto al patrimonioaziendale.

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Cass. 12 ottobre 2015, n. 20440, o come nel casodi messaggi di posta elettronica intercettati dalsistema di sorveglianza, con i quali il lavoratorebancario forniva a soggetti terzi informazioni ri-servate acquisite in ragione del servizio, avvan-taggiandosene, mediante il compimento di opera-zioni finanziarie, così Cass. 23 febbraio 2012, n.2722).Quindi, nel concreto bilanciamento dei contrap-posti interessi di cui sopra si è parlato, la tuteladell’interesse all’integrità del patrimonio e del-l’immagine (aziendale o altrui) prevale sempresull’interesse alla dignità e alla riservatezza dellavoratore, che quindi non sono incomprimibili.Nella realtà, alla luce di tutta la giurisprudenza(e la dottrina) esaminata, si può trarre un comunedenominatore posto a fondamento della ritenutaliceità del controllo difensivo non concordato, af-fatto diverso dall’invocata tutela del patrimonioo dell’immagine aziendale o altrui, che sono, aben vedere, utilizzati come emblemi meramenteformali o appigli strumentalmente invocati.La realtà riscontrata nei fatti è la seguente: se lostrumento di controllo difensivo, anche occulto,in concreto, accerta degli illeciti disciplinari gra-vi e sanzionabili con il licenziamento, ancor me-glio se riprovevoli sotto il profilo del c.d. mini-mo etico richiedibile al lavoratore, lo strumentoutilizzato viene considerato lecito e attingibilecome prova.Differentemente, se il fatto accertato dal control-lo a distanza, non è così grave da costituire giu-sta causa di licenziamento, anche se attinto da(meno grave illiceità, anche sotto il profilo dellariprovazione morale), esso travolge il sistema dicontrollo e la sua validità/utilizzabilità.A conferma di tale assunto, valga l’esame diCass. 1° dicembre 2012, n. 16622, la quale ha di-chiarato illecito il controllo di telefonate effettua-to con il sistema Blues 2000 e l’inutilizzabilitàdei relativi tabulati (con conseguente illegittimitàdel licenziamento) dai quali si è accertato che illavoratore telefonista addetto ad un servizio disoccorso stradale e automobilistico, aveva in so-stanza riattaccato il telefono in faccia all’utenteper 460 volte in tre mesi di lavoro, e aveva in-trattenuto n. 136 telefonate personali: è evidenteche in questo caso, a parità di invasività e di oc-

cultezza del controllo, l’elemento differenziale èdato dal fatto che, tutto sommato, che un telefo-nista faccia qualche telefonata personale e non ri-sponda alle richieste di soccorso per cui è paga-to, evidentemente, tutto sommato non configuraquell’illecito così moralmente disprezzabile, co-me quello del lavoratore che si attarda al bar o achattare con una misteriosa dama, senza peraltroconsiderare e far menzione di come si possa es-sere gravemente appannata l’immagine aziendale(e di conseguenza prodotto il danno da mancataacquisizione dell’ordine di soccorso) nei con-fronti di quei 360 potenziali clienti che si sonovisti riattaccare il telefono senza aver potuto nep-pure formulare la richiesta di soccorso.Il tutto, come si è dimostrato, solo all’esito diuna valutazione effettuata ex post.Allora, in sintesi, per la liceità (con ragionevolegrado di incontestabilità) del controllo “difensi-vo” non autorizzato, anche occulto, occorre cheesso tenda a confermare gravi fatti illeciti, giàemersi o denunciati, che configurino giusta cau-sa di licenziamento in relazione alla violazionedi norme che compongono il c.d. “minimo etico”che si pretende in un certo ambiente lavorativo,meglio se producenti un danno patrimoniale al-l’azienda.Per una volta, nei limiti appena esposti, la lineasembra essere quella del favor al datore di lavo-ro, ribaltando la radicata tendenza opposta nellabranca giuslavoristica.Qui, come in altri casi esaminati e che si esami-neranno, l’elasticità pro datore, si manifesta at-traverso il varco della tutela dell’integrità patri-moniale-aziendale o dei lavoratori (14).Allora, d’altro canto, con uno sforzo classificato-rio, potrebbe ricondursi questa “apertura” neiconfronti dei controlli “difensivi” ad ipotesi di“cause di esclusione” ovvero di “scriminanti” delreato (quale pur sempre è la violazione dell’art.4), quali l’esercizio del diritto - la tutela dellaproprietà o dell’immagine aziendale - o la legitti-ma difesa - dell’integrità patrimoniale o della si-curezza dei lavoratori - ex art. 51 e 52, c.p.Proseguendo quindi nell’analisi delle pronuncegiurisprudenziali che si sono occupate della ma-teria, occorre riportare il ruolo assunto dalla sen-tenza della Cassazione n. 5599/1990, la quale,

(14) Dello stesso avviso la Cass. pen., sez. II, 16 gennaio2015, n. 2890.

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operando in ambito estraneo agli apparati audio-visivi o tecnologici, pur confermando il divietodi principio di cui all’art. 4, legittima i controlli“occulti” anche se svoltisi “di notte” e “clande-stinamente” purché siano svolti dal datore, o daun suo preposto, in quanto “ben noti” al lavora-tore, andando così a fortificare quell’orientamen-to che, ai fini dell’ammissibilità di un dato con-trollo datoriale, anche per il tramite di tecnologiee apparecchiature informatiche, presuppone unonere di garanzia a carico dell’imprenditore stes-so che si esprime nella previa ed adeguata infor-mativa ai propri dipendenti circa le modalità e letempistiche di monitoraggio “a distanza”.A fronte di tale possibilità concessa al datore dilavoro resta fermo in ogni caso il divieto di ri-costruire l’attività e la prestazione del prestatoreanche tramite apparecchiature software quali let-tura e registrazione sistematica della messaggi-stica e-mail, riproduzione ed eventuale memo-rizzazione delle pagine web visitate ad esempiousando cache dei proxy, lettura e registrazionedei caratteri inseriti tramite tastiera o analogodispositivo, analisi occulta di pc portatili affidatiin uso e molte altre ancora di cui mi occuperòpiù avanti; in tal senso ad intervenire è stato ilGarante per la protezione dei dati personali nel

2007 attraverso la già citata Delibera n. 13 del1° marzo 2007.Certo, tale divieto si arresta di fronte ad un inter-vento di controllo sulla messaggistica elettronicadel lavoratore, con il quale si accerti che lo stes-so si serva di tale strumento per diffondere noti-zie riservate e svolgere operazioni con suo illeci-to profitto (v. Cass. n. 2722/12 cit.,), a confermadella reale portata dell’indirizzo giurisprudenzia-le, sul quale si è detto sopra.

Il nuovo art. 4, Stat. lav. modificatodall’art. 23, D.Lgs. n. 151/2015

Occupandoci adesso del riscritto articolo in ana-lisi ad opera dell’art. 23 del D.Lgs. n. 151/2015,nell’ambito di un disegno volto alla semplifica-zione delle disposizioni in materia di rapporto dilavoro, si menzionerà, al di là della formale no-vella, cosa cambia in sostanza a livello normati-vo, provando ad ipotizzare ed anticipare nuovipossibili scenari giurisprudenziali, tenendo pre-sente che allo stato non si rinvengono pronuncegiurisprudenziali che hanno statuito e applicatola norma in questione.La norma, recata dall’art. 23, D.Lgs. n. 151/2015che al primo comma dispone la sostituzione del-l’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, recita così:

Il nuovo art. 4, Stat. lav.

Art. 4 (Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo)1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori pos-sono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonioaziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rap-presentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa re-gione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sulpiano nazionale.In mancanza di accordo gli impianti e gli strumenti di cui al periodo precedente possono essere installati previa autorizzazione dellaDirezione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di piùDirezioni territoriali del lavoro, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e aglistrumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data allavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto dispostodal Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

L’articolo 23 del D.Lgs. n. 151/2015 al secondocomma, ha modificato anche la sanzione penaledella violazione dell’art. 4, Stat. lav., contemplatadall’art. 171 del Codice privacy:«II comma. L'articolo 171 del Decreto legislati-vo 30 giugno 2003, n. 196, è sostituito dal se-guente: Art. 171 (Altre fattispecie). - 1. La viola-zione delle disposizioni di cui all'articolo 113 e

all'articolo 4, primo e secondo comma, della leg-ge 20 maggio 1970, n. 300, è punita con le san-zioni di cui all 'articolo 38 della legge n.300/1970».La prima notazione che balza all’occhio è di ca-rattere lessicale: la norma sostituisce infatti lanozione di «apparecchiatura» con quella di «stru-mento». Si potrebbe anche affermare che, a que-

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sto riguardo, nulla cambia, stante in ambo i casila genericità del termine, in realtà, a nostro avvi-so, la scelta può giustificare una ancor maggioreapertura interpretativa, dal momento che la no-zione di strumento meglio si adatta, anche in fu-turo, con ogni possibile ed eventuale deriva tec-nologica (15). Non sembra essere un caso che legiurisprudenze più recenti ma non ancora formal-mente applicative della novella (16), parlino distrumenti, con riferimento agli illeciti contestatidal datore, preferendo il nuovo termine poichépiù vicino ai diversificati riscontri tecnologiciconcreti.Seconda considerazione, ben più rilevante, consi-ste nell’eliminazione del divieto assoluto di uti-lizzo di strumenti di controllo a distanza, impostodal vecchio primo comma dell’art. 4, rendendoregola positiva, non più eccezione, la legittimapossibilità dello stesso in virtù di esigenze orga-nizzative e produttive, di sicurezza del lavoro edora anche espressamente di tutela del patrimonioaziendale, andando a prendere spunto da unorientamento ormai fortemente consolidato e pri-ma sviscerato, anche se tale inclusione sembre-rebbe giungere, al netto di quanto osserveremoin seguito, a risultati opposti a quelli cui era per-venuta la giurisprudenza, esaminata.Infatti, mentre con riferimento alla pregressa giu-risprudenza (17), la formula «tutela del patrimo-nio aziendale» veniva sfruttata quale causa di de-roga all’art. 4 (per i controlli “difensivi”), ciò im-plicando la non necessità di stipulare un previoaccordo sindacale, ora, in relazione alla codifica-zione della medesima formula nel riscritto artico-lo, questa sembrerebbe imporsi quale presuppo-sto di attivazione, ed eventualmente conclusione,della procedura di codeterminazione sindaca-le/amministrativa, salvo quanto appresso si osser-verà.Tale nuova formulazione rivela quindi una rinno-vata ratio, contenente una disciplina positiva del-le ipotesi e delle modalità in cui l’utilizzo di dettistrumenti è lecito e non più un espresso divietoseppur flessibilizzato.

Non ci sentiamo peraltro di dedurre, da tale for-mulazione “in positivo”, la scomparsa della com-pressione assoluta del potere di controllo sull’at-tività dei lavoratori, caposaldo del vecchio art. 4a tutela della riservatezza e della dignità di cia-scun dipendente, come sembra ritenere una certadottrina: «affermare che una certa attività è vieta-ta e disciplinare poi i casi in cui a tale divieto èconsentito derogare non è lo stesso che limitarsia disciplinare (regolandoli) i casi in cui tale atti-vità è consentita. (Omissis). Non è una differenzadi poco conto, quantomeno ove si voglia privile-giare una valutazione sistematica della mate-ria» (18).In realtà, poiché l’art. 4 contempla pur sempreun’ipotesi di reato, i principi di legalità, tassativi-tà e precisione che condizionano sia il legislatoreche l’interprete, non ci consentono di escludereche di divieto comunque si tratti, beninteso neilimiti in cui non operino le “scriminanti” codifi-cate delle esigenze organizzative o produttive,della sicurezza del lavoro o della tutela dell’inte-grità del patrimonio aziendale.Nel frattempo possiamo allora paventare l’ipotesiche tale resa “normativa” all’integrità patrimo-niale possa aprire la strada verso un controllo adistanza come forma d’efficientamento azienda-le, in quanto prosecuzione logico-ontologica delpotere direttivo?Certamente no, in primo luogo per la permanen-za del divieto sul controllo della prestazione co-me sopra evidenziato, in secondo luogo perchéanche i riscontri giurisprudenziali sono di segnofortemente contrario (19), e per esempio la Cortedi cassazione del 17 luglio 2007, n. 15892 parladi «insopprimibile esigenza di evitare condotteillecite, la quale non può giustificare un sostan-ziale annullamento di ogni forma di garanzia didignità e riservatezza» (ovviamente intesa nel-l’ambito dello svolgimento della prestazione la-vorativa).Pare evidente che l’attività legislativa sia stataguidata da quella creatrice della giurisprudenza,seppur approdando a soluzioni diverse, in un ter-

(15) Almeno ad oggi comunque è evidente lo scarso rilievodella questione.

(16) Cass. civ., sez. lav., 12 ottobre 2015, n. 20440.(17) Cass. pen., sez. V, 18 marzo 2010, n. 20722; Cass.

pen., sez. II, 16 gennaio 2015, n. 2890; Cass., 9 luglio 2008, n.18821; Cass., 12 giugno 2002, n. 8388; Cass., 14 febbraio2011, n. 3590; queste ultime tre fra l’altro espressamente cita-

te dalla recente Cass. civ., sez. lav., 27 maggio 2015, n. 10955.(18) L.A. Cosattini, Le modifiche all’art. 4, Stat. lav. sui con-

trolli a distanza, tanto rumore; per nulla? In Il lavoro nella giuri-sprudenza, n. 11/2015, pag. 986.

(19) Si veda l’abbondante giurisprudenza riportata in prece-denza relativa alla pertinenza diretta-indiretta.

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reno che, alla luce dell’imprevedibilità e repenti-nità del progresso di stampo tecnologico, abbiso-gna costantemente di ritocchi che necessariamen-te passino per il test del caso concreto.Altra significativa novità consiste nella scissionedel concetto di «installazione» dal concetto di«impiego», laddove invece il vecchio articolo diriferimento li poneva, quantomeno a livello inter-pretativo, sullo stesso piano.La vecchia formulazione infatti al primo comma,ossia nel momento di configurazione del divietocome assoluto, parlava genericamente di divieto«d’uso», mentre al secondo, nel momento di po-tenziale flessibilizzazione dello stesso per le soleesigenze organizzative e produttive ovvero di si-curezza del lavoro, in un primo momento parlavadi «installazione» con riferimento all’accordo dinatura sindacale per poi parlare di «modalità d’u-so» in relazione all’autorizzazione eventuale del-l’Ispettorato del lavoro.È evidente perciò che la preventiva proceduraautorizzativa, in ambedue le sue possibili manife-stazioni, dovesse avere per oggetto sia l’installa-zione sia l’impiego, non essendo logico prevede-re che la fase utilizzativa (modalità di impiego)necessitasse di autorizzazione solo nel caso di in-tervento dell’Ispettorato del lavoro (ipotesi sup-pletiva) e non già nel caso di intervento del sin-dacato (ipotesi principale).Tale argomento veniva avvalorato dalla conside-razione che la fattispecie in questione, configu-rando pacificamente un reato c.d. di pericolo, siperfezionava già al momento stesso dell’istalla-zione, quale fase astrattamente idonea a minac-ciare il bene protetto (dignità/riservatezza del la-voratore), mentre restava del tutto irrilevante laconcreta lesione del bene per effetto del concretoimpiego dello strumento.Scelta radicalmente diversa invece riguarda il ri-scritto art. 4 dal momento che non solo la scis-sione tra «impiego» e «installazione» è espressalessicalmente, ma è anche rimarcata disgiuntiva-mente a livello sintattico («… gli strumenti dacui derivi la ... possibilità di un controllo a di-stanza dell’attività dei lavoratori possono essereimpiegati esclusivamente per esigenze organizza-

tive e produttive … e possono essere installatiprevio accordo collettivo stipulato».A questo punto, in assenza di riscontri giurispru-denziali, si prospettano due linee interpretativedella norma, del tutto diverse, che sottoponiamo.Secondo la prima impostazione, si potrebbe af-fermare che la disposizione è chiara e precisa nelsubordinare al previo accordo sindacale la solainstallazione, laddove, viceversa, l’impiego nonsolo è espressamente distinto e legato all’esclusi-va sussistenza di esigenze organizzative e pro-duttive, di sicurezza del lavoro e anche di tuteladel patrimonio aziendale, ma dal legislatore an-che anteposto nella costruzione del periodo, no-nostante la sua logica consequenzialità all’instal-lazione (prima si installa e poi si impiega), fa-cendo presumere così la non operatività dell’ac-cordo con i sindacati previsto sintatticamentedalla coordinata, parafrasando così il broccardolatino ubi lex distinguit, nos distinguere debe-mus.Questa linea interpretativa implica anche una ri-discussione del reato dedotto alla violazione del-la norma in questione, il quale se fino alla pre-sente novella veniva classificato come reato dipericolo, e quindi già l’installazione consuma ilreato, poiché già di per sé potenzialmente lesivadel bene giuridico di riservatezza implicante unatutela a priori (20), oggi, alla luce della summen-zionata scissione lessicale, la violazione del mo-mento d’installazione resta inquadrabile comereato di pericolo, mentre invece una eventualeviolazione in concreto delle causali previste ai fi-ni dell’impiego configurerebbe piuttosto un reatodi danno, solo in concreto dannoso appunto, ridi-mensionando, in coerenza con la rinnovata rationormativa, i rischi e le responsabilità in capo aldatore di lavoro.E ancora, sempre quanto alla struttura del reato,mentre nel caso dell’istallazione, il preventivoaccordo sindacale configurerebbe un presuppostodi fatto del reato, nel caso dell’impiego, la sussi-stenza - che potrebbe darsi solo “in concreto” al-l’atto dell’utilizzo - delle condizioni legittimanti(esigenze organizzative/produttive, sicurezza dellavoro, tutela del patrimonio), rileverebbe, anco-

(20) A. Minervini, I controlli sul lavoratore e la tutela dell’a-zienda, in Il Lavoro nella giurisprudenza, n. 4/2014, pag. 765. Aquesto riguardo si vedano poi Pret. Milano, 5 dicembre 1984,

in Orient. giur. lav., 1986, pag. 20 e Cass. pen., sez. III, 6 otto-bre 2010, n. 37171, in Dir. prat. lav., 2010, 45, 2633.

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ra, ai fini della ricorrenza di quelle cause diesclusione del reato di cui si parlava prima.Tale argomento è inoltre avvalorato dalla consi-derazione che, in ossequio ai principi di legalitàe tassatività della norma incriminatrice e delleconseguenze che se ne determinano in ordine allasua interpretazione, è arduo - stanti la chiara let-tera e sintassi della norma, nonché la mutata in-tenzione del legislatore in senso più indulgenteverso i controlli - ricomprendere la fase di impie-go e la ricorrenza concreta delle condizioni scri-minanti, nell’obbligo del preventivo accordo sin-dacale, senza incorrere nel divieto dell’analogiain malam partem in ambito penale, nel senso chein tal modo si configurerebbe il reato nel fatto dichi impiega lo strumento di controllo, pur ricor-rendo le condizioni legittimanti, senza il previoaccordo sindacale, in difetto di una norma che lopreveda espressamente come reato.D’altro canto, l’accordo sindacale, ben difficil-mente può disporre sull’impiego concreto di stru-menti di controllo in funzione, ad esempio, pro-tettiva del patrimonio, in tempi celeri e idonei aconsentire di non frustrare la tutela stessa, in si-tuazioni in cui l’immediatezza e la necessità del-l’accertamento dell’illecito, alla cui prova è fina-lizzato il controllo, sono incompatibili con i tem-pi dello svolgimento di un’intesa sindacale.Certo ci rendiamo contro che siffatta interpreta-zione della norma, sostanzialmente escluderebbeil sindacato da ogni possibile valutazione sulle fi-nalità concrete dell’impiego dello strumento dicontrollo, essendo l’accordo richiesto per la mera“installazione” che sarebbe a questo punto “acau-sale”, con conseguente sollevazione da parte del-le Organizzazioni.Allora è forse più corretto - ed è questa la secon-da linea interpretativa della norma - ricondurrela distinzione nell’ambito di una interpretazione“estensiva” del termine «impiegare», che, intesonell’ampio senso di “adoperare per una certa fi-nalità”, e quindi, enfatizzato e sottolineato il mo-mento teleologico, può ricomprendere nel suoperimetro semantico anche la fase di installazio-ne che comunque presuppone l’individuazionedel fine per cui essa è realizzata, oltre che, ovvia-

mente, dell’operatività e del funzionamento con-creti dello strumento.A questo punto l’accordo sull’installazione pre-supporrebbe anche l’individuazione di massimadel fine che la giustifica ed entra nel contenutodell’accordo sindacale preventivo (finalità astrat-ta: es. esigenze di sicurezza in relazione a casi diaccessi non autorizzati, manomissioni di stru-menti o prodotti, ecc. …).Poi, effettuata l’installazione, magari per una cer-ta finalità su cui le parti si sono confrontate, lanorma non impedisce che l’impiego, cioè l’utiliz-zo, dello strumento, con una determinata modali-tà, sia deciso e realizzato unilateralmente dal da-tore di lavoro, per una specifica finalità “concre-ta” anche ulteriore e accidentale (es. repressionedi illeciti impattanti sul patrimonio aziendale),magari in forma “occulta”, allorquando l’urgenzadi assicurare elementi di accertamento dell’illeci-to, renda necessaria una messa in funzione “im-mediata” dello strumento, incompatibile conl’avvio della procedura di accordo sindacale dicui all’articolo 4, come sopra accennato.Quanto appena esplicato, letto in combinato di-sposto con l’approccio giurisprudenziale relativoai controlli “difensivi” ante riforma, ci permettedi chiarire in quali casi e entro quali modalità, al-la luce della novella, siano o meno oggi legittimii controlli difensivi “preterintenzionali” - cioèquelli che tendono a soddisfare esigenze magariinizialmente non codificate nell’accordo sindaca-le, che si presentano in corso d’opera, valutabiliquindi dal solo datore di lavoro in vista del loroutilizzo, come ad esempio quelli che accertano il-leciti pregiudizievoli su beni aziendali -, anche“occulti”, nonostante la codificazione della tuteladel patrimonio aziendale quale presupposto diaccordo, al nuovo art. 4 (21).Più specificamente i controlli difensivi e il relati-vo filone giurisprudenziale è possibile possa ri-manere operativo per quanto riguarda il momen-to dell’«impiego» (finalità concreta) e quindi del-le modalità concrete attinenti il monitoraggio,estendendo ora quella possibilità oltre la mera tu-tela del patrimonio aziendale anche alla sicurezzadel lavoro e alle esigenze organizzative e produt-

(21) L.A. Cosattini, Le modifiche all’art. 4, Stat. Lav. sui con-trolli a distanza, tanto rumore; per nulla? In Il Lavoro nella giuri-sprudenza, n. 11/2015, pag. 988.

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tive, posta oggi la loro equiparazione sul pianonormativo.D’altro canto invece per quanto riguarda l’instal-lazione, il campo di applicazione dei suddetticontrolli tesi all’accertamento dell’illecito sem-bra possa venir ristretto, in ragione dell’espressae quindi inequivocabile previsione normativa.In definitiva però non possiamo non ribadirenuovamente la rinnovata ratio sottesa alla norma,la quale, come visto, allenta (ma non esclude) lacompressione del potere di controllo sull’attivitàdei lavoratori, fungendo da logica di interpreta-zione generale per ogni fattispecie a riguardo, an-che per quelle dei controlli difensivi, così comeper quelle afferenti ad esigenze organizzativo/-produttive o di sicurezza del lavoro.Concludendo in merito alla questione della ne-cessità del preventivo accordo/autorizzazione,stanti i canoni ermeneutici della norma appenaesaminati, è possibile affermare che l’accordodovrà essere sicuramente concluso per disciplina-re l’installazione di strumenti audiovisivi o altri-menti di controllo, prevedendo in primo luogo inesso, l’espressa esclusione che la finalità perse-guita sia quella del controllo sull’adempimentodella prestazione lavorativa, e che ricorra, inastratto, almeno una delle esigenze di cui al com-ma 1, dell’art. 4, inoltre, individuando e descri-vendo le tipologie e le caratteristiche tecnichedegli strumenti, la loro ubicazione all’interno deilocali, pure descritti e individuati nella loro fisicaconsistenza, contemplando inoltre l’impegno deldatore di lavoro ad impiegarli solo nella ricorren-za concreta di quelle esigenze di cui abbiamotrattato, la cui valutazione nel caso concreto è, aquesto punto, ad esclusivo appannaggio del dato-re di lavoro.Certo, dato l’espresso richiamo ad opera delquarto comma del nuovo art. 4 alla normativaPrivacy, il datore di lavoro, se è vero che relati-vamente all’impiego concreto può scavalcare leparti sindacali, dovrà quantomeno predisporreadeguata informativa ex art. 13 del D.Lgs. n.196/2003 circa i controlli, già al momento del-l’installazione degli impianti, riservandosi poi li-beramente la possibilità di “impiegarli” al sorge-re delle esigenze codificate di sicurezza del lavo-ro, produttive ed organizzative nonché di tuteladel patrimonio aziendale.

Il secondo comma dell’art. 4Sicuramente una “liberalizzazione” di sostanzac’è però con riferimento al secondo comma del-l’art. 4, il quale dispone che il divieto di cui alprimo comma «non si applica agli strumenti uti-lizzati dal lavoratore per rendere la prestazionelavorativa» (tra cui pc, smartphone e tablet) eagli «strumenti di registrazione degli accessi edelle presenze». Qui la novella pone una sostan-ziale novità, dal momento che per accessi si de-vono intendere non solo quelli fisici (tramitebadge), ma anche telematico-informatici (accessia siti internet, dati, informazioni, ecc.), per i qua-li ora non sarà più necessario il previo accordosindacale (esempio classico è quello di telecame-re installate nella, o nei pressi della, macchinache legge i badge all’ingresso di un ufficio, ne-cessaria per evitare comportamenti abusivi), salvii casi nei quali i meccanismi non originari dellostrumento raccolgano informazioni ulteriori ri-spetto al mero accesso (trattasi comunque dimiopia normativa dal momento che oggi la mag-gior parte degli strumenti informatici è già di persé dotata di sistemi di geolocalizzazione Gps odi tracciamento in genere, motivo per il qualenon abbisognano di alcuna modifica dell’impian-to originario).Tale interpretazione è quella ufficialmente fornitaanche dal Ministero del lavoro e delle politichesociali, il quale con nota del 18 giugno 2015 cosìchiarisce e allo stesso tempo mitiga la portata in-novativa letterale a riguardo: «l'espressione «perrendere la prestazione lavorativa» comporta chel'accordo o l'autorizzazione non servono se, enella misura in cui, lo strumento viene considera-to quale mezzo che “serve” al lavoratore peradempiere la prestazione: ciò significa che, nelmomento in cui tale strumento viene modificato(ad esempio, con l'aggiunta di appositi softwaredi localizzazione o filtraggio) per controllare illavoratore, si fuoriesce dall'ambito della disposi-zione: in tal caso, infatti, da strumento che "ser-ve" al lavoratore per rendere la prestazione il pc,il tablet o il cellulare divengono strumenti cheservono al datore per controllarne la prestazione.Con la conseguenza che queste "modifiche" pos-sono avvenire solo alle condizioni ricordate so-pra: la ricorrenza di particolari esigenze, l'ac-cordo sindacale o l'autorizzazione.La portata di tale disposizione è infatti per certiaspetti ancora più estesa e impattante di quel che

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si possa pensare, poiché per «strumenti utilizzatiper rendere la prestazione» non vi rientrano soloquelli di natura informatica (sostanzialmentequelli per cui si è optato per tale liberalizzazio-ne), ma anche tutti gli strumenti fisici di lavoroquali presse autovetture, macchinari, ecc.Questo si traduce oggi nella possibilità datorialedi sottoporli a controllo anche in assenza di unprevio accordo sindacale, potendo quindi avva-lersi di un sistema software in grado di tracciarei tempi di lavoro di determinati macchinari senzache ciò configuri monitoraggio della prestazione,in quanto tale di principio illegittimo, e per dipiù senza che a tal fine sia necessaria la previacodeterminazione.In particolare si prospetta una diversificazione aseconda che i controlli riguardino gli impianti,ossia finalizzati alla vigilanza sulle prestazioni dilavoro, i quali resterebbero vietati, salvo il casoin cui, con un’autorizzazione sindacale o ammi-nistrativa, le telecamere servano per garantire peresempio la sicurezza, piuttosto che i controlli ab-biano ad oggetto appunto gli “strumenti” azien-dali, i quali pertanto sembrerebbero liberalizzati,posto il non più necessario accordo sindacale ola notifica alla DTL, con conseguente snellimen-to delle procedure a carico del datore (in questaseconda categoria rientrano anche smartphone,tablet, ecc.).

Il terzo comma dell’art. 4

Anche la precisazione di cui al nuovo terzo com-ma circa l’utilizzabilità dei dati raccolti segue inparte la giurisprudenza, condizionandola, nelsenso di prevedere ora, oltre al generico richiamoalla normativa in materia di privacy (22), ancheun vero e proprio obbligo informativo ai dipen-denti (23) ai fini della fruizione per qualsiasi fi-ne (24) dei dati conseguiti dal controllo, e nonpiù meramente un onere. In dettaglio, per poterutilizzare per qualsiasi fine, anche disciplinare, idati raccolti dai sistemi di controllo, il datore do-vrà aver adempiuto l’obbligo informativo di cuiall’art. 13 del D.Lgs. n. 196/2003, nonché quanto

disposto dall’Autorità Garante con riferimentoalla protezione dei dati personali; profili questisu cui seguirà un successivo apposito approfon-dimento nel presente elaborato.Qui basterà anticipare che sarà sufficiente in so-stanza rendere noto al lavoratore le modalità diattuazione del controllo ai fini della sua legittimi-tà e utilizzabilità, anche per finalità disciplinari,dei risultati da esso tratti, ciò attraverso la conse-gna di un documento informativo per la legitti-mazione e autorizzazione del controllo. Come so-stenuto da molti e riportato dalla dottrina, trattasidi una deregolamentazione dei controlli a vantag-gio dell’impresa (25)?No poiché sulla base di quanto appena riportatoil quadro normativo rafforza la posizione del la-voratore, adesso a conoscenza di quali controllivengono svolti e con quali modalità.A ben vedere, questo aspetto della disposizioneaccresce le garanzie per il lavoratore e, allo stes-so tempo, tutela con certezza giuridica il compor-tamento a cui è tenuto il datore, così come prece-dentemente esplicato.D’altro canto sicuramente depotenzia la “scher-matura” del dato acquisito e quindi la “forza”probatoria del prestatore nella misura in cui oggi,diversamente da ieri, i dati così ottenuti potrannovenir utilizzati pacificamente anche per finalitàdisciplinari, non più meramente civili e penali.Altra implementazione normativa si riferisce alleimprese con unità produttive separate in diverseprovince, città, regioni, predisponendo la possibi-lità di siglare l’accordo (26) per l’installazionedegli impianti direttamente con le organizzazionisindacali nazionali; la disposizione colma un par-ziale vuoto che caratterizzava la precedente di-sciplina, favorendo la procedura di codetermina-zione sindacale da parte di imprese con più sedisul territorio Italiano, direttamente con le orga-nizzazioni sindacali nazionali. La norma è evi-dentemente tesa ad evitare la frammentazione diaccordi differenti per ciascuna sede di riferimen-to di una singola azienda, nonché a consentireanche ai sindacati nazionali di esprimere il loro

(22) A proposito di integrazione della normativa ex art. 4 sucui verterà successivamente un paragrafo ad hoc.

(23) Con mezzo “adeguato”.(24) Ora anche per finalità disciplinari.(25) V. Amato, Legittimità del controllo difensivo occulto at-

traverso i social networks, in Il Lavoro nella giurisprudenza, n.10/2015, pag. 903.

(26) Si chiarisca che, così come espressamente risposto al-l’Interpello n. 2975/2005 dal Ministero del lavoro e delle politi-che sociali, è sufficiente che tale accordo sia raggiunto con lasola maggioranza delle Rsa, purché siano chiamate ad espri-mersi le rappresentanze delle diverse unità produttive ove puòessere attivato il controllo “a distanza”.

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parere, posta l’incidenza della questione, circa isistemi di videosorveglianza e controllo a distan-za installati da imprese con più sedi sul territorioitaliano. È bene precisare che, qualora la viola-zione del riscritto art. 4 dovesse riguardare l’ac-cordo con i sindacati e la relativa procedura auto-rizzativa, ciò esporrebbe il datore anche alle san-zioni previste per la repressione della condottaantisindacale ex art. 28 dello Stat. lav., oltre allepreviste sanzioni penali ex art. 38, Stat. lav.E ancora, in caso di mancato accordo, la novellaprevede la possibilità di conseguire l’installazio-ne previa autorizzazione alternativa della Dire-zione territoriale del lavoro o del Ministero dellavoro e delle politiche sociali.L’istanza dovrà essere presentata su iniziativadatoriale e dovrà far menzione dei contenuti tec-nici e strumentali degli impianti di controllo adistanza, mentre d’altro canto l’eventuale auto-rizzazione, richiesta al momento dell’istallazio-ne, difficilmente potrà indicare particolari mo-dalità d’uso in concreto degli stessi, essendostata cancellata la previgente previsione in talsenso, e non essendo oggi previsto il potere del-l’Ufficio amministrativo di valutare le esigenzeorganizzative/produttive ecc., necessarie perl’impiego (27).Infine la nuova formulazione abroga la possibili-tà di intentare un contenzioso amministrativo ri-guardante la decisione assunta dalla Dtl da partedel datore o delle rappresentanze sindacali? Sicu-ramente la possibilità prima era prevista espres-samente nel termine per impugnare di 30 giornidalla comunicazione del provvedimento, diretta-mente al Ministro per il lavoro e la previdenzasociale, ma l’assenza esplicita di questa ipotesinon sembra poter escludere anche la normale im-pugnazione dell’atto al pari di qualsiasi altro attoamministrativo.Inoltre il meccanismo integrativo vagliato con ri-ferimento alla fattispecie pre-novella, si arricchi-sce della Raccomandazione del Garante privacyn. 5 del 1° aprile 2015 in tema di utilizzo dei datipersonali negli ambiti lavorativi, la quale miraanche a tutelare il datore contro il progresso tec-

nologico. In questa prospettiva essa prevede delle“cautele aggiuntive” per l’imprenditore così rias-sumibili: l’obbligo di informare preventivamentei lavoratori prima di introdurre sistemi e tecnolo-gie informatiche volte al monitoraggio della loroattività lavorativa, l’adozione di misure interneadeguate sul trattamento dei dati, anch’esse dacomunicarsi previamente, la consultazione deirappresentanti dei lavoratori prima di introdurrequalsiasi sistema di monitoraggio o di modificadi quelli esistenti ed infine l’obbligo di consulta-zione dei Garanti nazionali in materia di privacy.Allo stesso tempo la Raccomandazione prevedeil divieto d’utilizzo di strumenti tecnologici all’e-sclusivo scopo di controllare attività e comporta-menti dei dipendenti, oppure, qualora sia ritenutonecessario, il datore potrà anche installare sistemidi sorveglianza audio-video, purché mai posizio-nati in zone normalmente non adibite ad attivitàlavorative (es. spogliatoi, mense, sale relax, ecc.:ciò costituisce un limite rispetto al previgente re-gime, nel quale le telecamere negli spogliatoi so-no state consentite per scoprire un furto di dena-ro dagli armadietti da Corte App. Roma 23 mag-gio 2015 cit. supra); prevede inoltre il divieto dimonitorare le comunicazioni private (28) e moltoaltro.

Interferenze della fattispeciecon la normativa del Codice privacy,con particolare riguardoalla videosorveglianza

Come si è potuto intuire, la fattispecie normativadei controlli “a distanza”, data la complessità e ilrilievo degli interessi in gioco, presuppone inter-ferenze e interpretazioni in combinato dispostocon altre disposizioni.Tra queste, specialmente in ragione dell’espressorichiamo - già esaminato - della novella al terzocomma dell’art. 4 relativamente all’utilizzabilitàdelle informazioni raccolte, spicca il massicciocorpus normativo privacy, costituito in primoluogo dal D.Lgs. n. 196/2003 (c.d. Codice priva-cy) e successive modifiche, e in seconda battutada una vastissima produzione normativa dell’Au-

(27)Contra P. Rausei, La nuova disciplina dei controlli a di-stanza fra luci e ombre, in Dir. prat. lav., n. 38/2015, pag. 2156,che però non sembra aver valorizzato il differente dettato nor-mativo della novella sullo specifico punto.

(28) Il richiamo è all’art. 8, Cedu circa la «vita privata», in-clusiva anche dell’attività lavorativa. Francamente questa ulti-

ma interpretazione mi sembra fin troppo garantista ed ingiusti-ficatamente tale verso il lavoratore, quantomeno come statui-zione di principio, posto che l’attività lavorativa si inserisce nelcomplesso aziendale ed in quanto tale è sicuramente vantag-gio, ma anche costo e responsabilità per l’imprenditore.

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torità Garante ad hoc (29), sia con riferimento adinnumerevoli linee guida su specifici ambiti deltrattamento del dato personale, sia con riferimen-to ad interventi e provvedimenti riferibili a solu-zioni di contestazioni concrete avviate dai lavo-ratori sulla base dell’art. 17, comma 2 del Codi-ce appena menzionato: «Le misure e gli accorgi-menti di cui al comma 1 sono prescritti dal Ga-rante in applicazione dei princìpi sanciti dal pre-sente codice, nell'àmbito di una verifica prelimi-

nare all'inizio del trattamento, effettuata anchein relazione a determinate categorie di titolari odi trattamenti, anche a seguito di un interpellodel titolare».La disposizione che più si lega operativamentecon la fattispecie dei controlli “a distanza”, poi-ché riferibile ai predetti sistematici oneri infor-mativi preventivi del datore di lavoro, è sicura-mente l’art. 13 Codice privacy il quale così reci-ta:

Art. 13 (Informativa) - Codice privacy

1. L'interessato o la persona presso la quale sono raccolti i dati personali sono previamente informati oralmente o per iscritto circa:a) le finalità e le modalità del trattamento cui sono destinati i dati;b) la natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati;c) le conseguenze di un eventuale rifiuto di rispondere;d) i soggetti o le categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualitàdi responsabili o incaricati, e l'ambito di diffusione dei dati medesimi;e) i diritti di cui all'articolo 7;f) gli estremi identificativi del titolare e, se designati, del rappresentante nel territorio dello Stato ai sensi dell'articolo 5 e del responsabi-le. Quando il titolare ha designato più responsabili è indicato almeno uno di essi, indicando il sito della rete di comunicazione o le mo-dalità attraverso le quali è conoscibile in modo agevole l'elenco aggiornato dei responsabili. Quando è stato designato un responsabileper il riscontro all'interessato in caso di esercizio dei diritti di cui all'articolo 7, è indicato tale responsabile.2. L'informativa di cui al comma 1 contiene anche gli elementi previsti da specifiche disposizioni del presente codice e può non com-prendere gli elementi già noti alla persona che fornisce i dati o la cui conoscenza può ostacolare in concreto l'espletamento, da parte diun soggetto pubblico, di funzioni ispettive o di controllo svolte per finalità di difesa o sicurezza dello Stato oppure di prevenzione, accer-tamento o repressione di reati.3. Il Garante può individuare con proprio provvedimento modalità semplificate per l'informativa fornita in particolare da servizi telefonicidi assistenza e informazione al pubblico.4. Se i dati personali non sono raccolti presso l'interessato, l'informativa di cui al comma 1, comprensiva delle categorie di dati trattati,è data al medesimo interessato all'atto della registrazione dei dati o, quando è prevista la loro comunicazione, non oltre la prima comu-nicazione.5. La disposizione di cui al comma 4 non si applica quando: a) i dati sono trattati in base ad un obbligo previsto dalla legge, da un rego-lamento o dalla normativa comunitaria; b) i dati sono trattati ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 di-cembre 2000, n. 397, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusiva-mente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento; c) l'informativa all'interessato comporta un impie-go di mezzi che il Garante, prescrivendo eventuali misure appropriate, dichiari manifestamente sproporzionati rispetto al diritto tutelato,ovvero si riveli, a giudizio del Garante, impossibile.5-bis. L’informativa di cui al comma 1 non è dovuta in caso di ricezione di curricula spontaneamente trasmessi dagli interessati ai finidell’eventuale instaurazione di un rapporto di lavoro. Al momento del primo contatto successivo all’invio del curriculum, il titolare è te-nuto a fornire all’interessato, anche oralmente, una informativa breve contenente almeno gli elementi di cui al comma 1, lettere a), d)ed f).

Così come compete tale specifica informativa aldatore di lavoro, spetta parimenti a quest’ultimo,sulla base delle citate linee guida per posta elet-tronica ed internet (Del. 1° marzo 2007 cit.), pro-babilmente il settore più foriero di contrapposi-zioni tra le parti, soprattutto dopo l’avvento delle“tecnologie smart”, assicurare le funzionalità e ilcorretto impiego di tali mezzi, definendone mo-dalità d’uso nell’organizzazione dell’attività la-vorativa, così come spetta sempre a lui adottaremisure idonee di sicurezza per assicurare la di-sponibilità e l’integrità dei sistemi informativi e

di dati, anche nella prospettiva di prevenirne unutilizzo indebito.Tutto ciò poi è corroborato dall’elencazione ditre principi a cui i trattamenti sono assoggettatise vogliono essere ritenuti a norma, oltre alleprescrizioni di cui all’art. 4: principio di necessi-tà, principio di correttezza e la subordinazionedel controllo a finalità determinate, esplicite elegittime.Tali menzionati principi implicano altrettantioneri al datore, per cui secondo il primo di que-sti, i sistemi informatici devono ridurre al mini-mo la raccolta di dati e, a sua volta, tale raccolta

(29) Linee guida in materia di trattamento di dati personalidi lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro alledipendenze di datori di lavoro privati n. 53 del 23 novembre2006; Linee guida del garante per posta elettronica e internet

n. 58 del 10 marzo 2007; Provvedimento generale prescrittivoin tema di biometria del 12 novembre 2014 e molti altri anco-ra.

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deve rispettare il principio di pertinenza e noneccedenza da valutarsi in concreto, oltre al gene-rico principio di proporzionalità; a titolo esem-plificativo si riporta il provvedimento dell’Auto-rità Garante del 4 ottobre 2011 in materia di si-stemi di localizzazione dei veicoli nell’ambitodel rapporto di lavoro, nel quale tali principi ven-gono applicati anche richiamando per esempiol’artt. 3 e 11, comma 1, lettera e) del Codice pri-vacy, a testimonianza ancora una volta dell’inti-ma sinergia tra art. 4 e normativa privacy.Con riferimento all’utilizzo e-mail, occorrerebbeconfigurare l’impostazione per cui non rimanga-no salvati i destinatari e mai restino memorizza-te le password di accesso, a meno che, e ciò èbene che venga specificato dal datore, ciò nonsia funzionale all’esatto adempimento della pre-stazione o alla tutela del patrimonio aziendale oancora alla sicurezza del lavoro.Relativamente agli altri due principi, la correttez-za esplica senz’altro l’onere di rendere noti icontrolli ai lavoratori tramite la suddetta infor-mativa privacy ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n.196/2003, ben potendo poi configurarsi modalitàdi controllo anche “occulto” per scongiurare inconcreto danni per esempio al patrimonio azien-dale ; sembra contraddittorio, in realtà sarà pre-mura del datore adempiere preventivamente al-l’informativa ad hoc, a quel punto, al ricorreredei presupposti di legittimità dei controlli difen-sivi, anche “occulti”, potrà episodicamente ser-virsene senza doverne dar conto ai dipendenti(l’informativa preliminare riguarderà l’istallazio-ne dell’impianto di controllo e le sue caratteristi-che, le finalità ed eventualmente le modalità ope-rative: ovviamente l’effettivo utilizzo, ove ne ri-corrano i presupposti, non sarà preannunciato).Relativamente alle finalità determinate ed espli-cite ci si riferisce sempre alla predisposizione, adopera dell’imprenditore, di un regolamento daportare a conoscenza dei dipendenti, nel quale,per esempio, specificare chiaramente se possibileo meno scaricare musica, video o altro, se possi-bile tenere una propria cartella file, se soggetta acontrolli, differenziando tra apparecchi concessiin uso personale, aziendale o condiviso.Tutto ciò poi andrà ulteriormente implementatocon l’art. 3 Codice privacy, il quale così recita:«I sistemi informativi e i programmi informaticisono configurati riducendo al minimo l'utilizza-zione di dati personali e di dati identificativi, in

modo da escluderne il trattamento quando le fi-nalità perseguite nei singoli casi possono essererealizzate mediante, rispettivamente, dati anoni-mi od opportune modalità che permettano diidentificare l'interessato solo in caso di necessi-tà», statuisce il principio di necessità del tratta-mento dei dati.In definitiva si viene ad instaurare un regime ditrasparenza rafforzato, ispirato ad una tutela del-la “privacy by design” (ossia fino dalla fase diprogettazione dei controlli e delle apparecchiatu-re ad essi predisposte), utile, e talvolta risolutivo,non soltanto al lavoratore per il rispetto di dirittia rilievo costituzionale, ma anche per la parte da-toriale, la quale avendo tali premure, si premuni-sce da eventuali contestazioni o evita che deter-minati dati raccolti a lei necessari, siano altri-menti inutilizzabili.Si potrebbe perfino osare un vero e proprio nessodi consequenzialità tra pubblicità-trasparenza elegittimità del controllo, quantomeno del mezzoin sé considerato.A suffragio di una lettura di tal fatta sembra at-tingibile la sentenza della Cassazione civile, sez.I, 1° agosto 2013, n. 18443, la quale dichiaraviolato l’art. 4 poiché il datore avrebbe trattato idati senza alcun consenso e senza aver informatopreviamente né le Rsa, né l’interessato circa talioperazioni di monitoraggio.Nella stessa direzione inoltre la Cassazione pena-le, sez. V, 11 dicembre 2007, n. 47096, la qualeritiene che non sussista violazione del segreto dicorrispondenza elettronica se il datore legge le e-mail aziendali dei dipendenti in presenza di unregolamento d’impresa che imponga la comuni-cazione della password del terminale e dell’ac-cesso di posta al superiore gerarchico; a quelpunto il segreto opererebbe solo per la corrispon-denza chiusa a lui non diretta.Oltre all’interferenza con il Codice privacy inrealtà l’art. 4 si interseca più o meno direttamen-te, in virtù del principio sistematico, con le di-sposizioni ad esso tangenti nello stesso Statutodei lavoratori: si faccia riferimento agli artt. 3 e8, Stat. lav.Per quanto riguarda l’art. 3, Stat. lav., dettandoesso il principio generale della riconoscibilità delcontrollo. Si crea evidentemente un problema inordine alla pacifica ammissibilità dei controlli di-fensivi “occulti”, stante l’obbligo di informare ilavoratori interessati circa i nominativi e le man-

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sioni specifiche del personale addetto alla vigi-lanza dell’attività lavorativa. Riteniamo che talecategoria, per tutte le ragioni espresse nella rela-tiva sede, resti comunque legittima al ricorreredelle predette condizioni.Con riferimento all’art. 8, Stat. lav., il quale cosìprescrive: «È fatto divieto al datore di lavoro, aifini dell'assunzione, come nel corso dello svolgi-mento del rapporto di lavoro, di effettuare inda-gini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politi-che, religiose o sindacali del lavoratore, nonchésu fatti non rilevanti ai fini della valutazione del-l'attitudine professionale del lavoratore», sorgeun altro tipo di osservazione.La disposizione sancisce il divieto di indaginisulle opinioni ad opera del datore, del quale èutile, ai fini del nostro percorso, riportare una se-rie di riferimenti giurisprudenziali: nello specifi-co non costituiscono violazioni la conoscenza“occasionata” da un sistema di controllo infor-matico aziendale qualora manchi la “volontà di-retta” all’acquisizione (Trib. Milano 31-03-2004); allo stesso modo il datore può annotarequotidianamente, per ogni telefono aziendale,chiamate, numero e durata, se tale operazionemira al contenimento dei costi (Trib. Torino 9gennaio 2004); infine un sistema elettronico dirilevamento presenze ai fini degli adempimentiretributivi-contributivi è da ritenersi legittimo(Pret. Milano 12 luglio 1988).Tutti questi riferimenti concreti non solo raffor-zano l’orientamento “pro datore” che valorizza leesigenze aziendali, quindi spendibile a livello ar-gomentativo anche per l’art. 4, ma inoltre contri-buiscono ad avallare le tecnologie qui dedotteanche in relazione agli stessi controlli “a distan-za”.Perlomeno in sede processuale ciò potrebbe rap-presentare un elemento probatorio in più, di sup-porto per altri raccolti dal datore (c.d. prova indi-ziaria).A tal proposito la seconda giurisprudenza appenariportata ascrivibile al Tribunale di Torino, po-trebbe per esempio giocare a favore, in sensocontrario al prevalente orientamento, dell’ammis-sibilità per il software di documentazione ed ela-borazione dei costi telefonici aziendali “Blues”

qualora, in aggiunta, ne sia stata data previamen-te informativa ai dipendenti e se filtrato per nonvessare “personalmente” gli stessi.Trattasi di una mera ipotesi probatoria, non dicerto una strada battuta, la quale in sostanza pro-pone l’utilizzabilità del mezzo, per così dire le-gittimato per altra via, anche in relazione alla fat-tispecie ex art. 4.

Videosorveglianza

Ora ci si occuperà del settore specifico della vi-deosorveglianza quale possibile strumento dicontrollo “a distanza”, di per sé fattispecie mas-simamente sensibile, non solo in contesti lavora-tivi, alla normativa privacy.Tale ulteriore approfondimento sarà utile per ri-spondere ad alcuni interrogativi di carattere tec-nico-pratico di fronte ai quali un qualsiasi im-prenditore può trovarsi rispetto all’installazione ealla fruizione di tali dispositivi.Come e in che misura è legittima la videosorve-glianza in azienda? Dove in concreto possono es-sere posizionate le telecamere? Quale deve esse-re il loro orientamento? Cosa possono inquadraree secondo quali modalità? Quali sono i tempi diconservazione delle immagini e dei dati così pro-dotti? Che utilizzo si può fare di dette immagini?Assumendo come punto di partenza il dato nor-mativo così come appena modificato ad operadel D.Lgs. n. 151/2015, la videosorveglianza èlegittima se l’utilizzo è subordinato alla sussi-stenza di ragioni organizzative e produttive, di si-curezza del lavoro o di tutela del patrimonioaziendale, e se l’istallazione è subordinata al pre-vio accordo sindacale o sostituti; in ogni caso oc-corre una previa adeguata informativa ai dipen-denti, così come inequivocabilmente certifica ilprovvedimento del Garante in materia di video-sorveglianza dell’8 aprile 2010, inserendo l’in-formativa tra gli adempimenti applicabili sia asoggetti pubblici sia privati.Sempre da un punto di vista normativo, resta fer-mo comunque il rispetto di altre disposizioni or-dinamentali quali le vigenti norme civili e penaliin materia di interferenze illecite nella vita priva-ta quale l’art. 615-bis del codice penale (30).

(30) Lo ribadisce l’Autorità garante nel provvedimentodell’8 aprile 2010 in materia di videosorveglianza appunto. Lanorma così recita: «Chiunque, mediante l'uso di strumenti di ri-presa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o im-

magini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicatinell'articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quat-tro anni».

Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più

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È comunque evidente che, ancora una volta, il ri-chiamo meramente normativo non sia affatto ri-solutivo per fornire delle direttrici chiare e preci-se al datore di lavoro. Ecco allora nuovamentenecessaria l’integrazione della fattispecie per viagiurisprudenziale, sia quella tradizionale/ordina-ria, sia quella riconducibile all’attivazione preli-minare dell’Autorità Garante ex art. 17, comma 2del Codice della privacy evidenziata all’iniziodel paragrafo.È infatti lo stesso Garante a tracciare dei principispecifici di liceità del trattamento mediante vi-deosorveglianza proprio nel provvedimentodell’8 aprile 2014.In particolare si faccia riferimento al principio diliceità, previsto sia per i soggetti pubblici (svol-gimenti di funzioni istituzionali), sia per i sog-getti privati (adempimento obbligo di legge) cherisulta soddisfatto con l’osservanza delle proce-dure e delle condizioni di cui all’art. 4, Stat. lav.,quello di necessità, già operante come visto altrattamento dati in generale, il quale implical’obbligo di configurare un sistema che riduca alminimo l’utilizzazione dei dati registrati, quellodi proporzionalità che si riflette direttamentenelle concrete «modalità di ripresa e dislocazio-ne», nonché nelle «fasi del trattamento», il qualeancora una volta richiamerà ai principi di non ec-cedenza e pertinenza rispetto alle finalità perse-guite.Finalità appunto, anch’esse attenzionate nel me-desimo provvedimento e riconducibili alla prote-zione e incolumità degli individui, protezionedella proprietà, rilevazione, prevenzione e con-trollo delle infrazioni e anche all’acquisizione diprove. Tutti scopi perfettamente in linea con lecausali ex riscritto art. 4.Inoltre, salva quale premessa iniziale, l’eventualeinquadrabilità della sorveglianza video nei «con-trolli difensivi», con tutto quello che ne conseguein termini di legittimità del controllo ed utilizza-bilità dei dati raccolti, la Corte di cassazione del30 gennaio 2014, n. 4331 ha sancito che l’instal-lazione di una telecamera «diretta verso il luogo

di lavoro» o su spazi dove i dipendenti hanno«accesso, seppur sporadico», deve essere previa-mente autorizzata. In realtà, per completezza,seppur cronologicamente anteriore e contro l’o-rientamento dominante, la giurisprudenza avevaammesso l’installazione delle stesse nel luogo dilavoro «laddove, pur in assenza di autorizzazionesindacale, risulti comprovato l’assenso da partedella totalità dei lavoratori in azienda» (31).A questo riguardo, operando ancora una volta incombinato disposto con l’art. 23, comma 3 delCodice della privacy, ci accorgiamo che avremoa che fare con un consenso validamente prestatose «informato, libero, espresso, specifico edavente una forma esteriore».Nel caso di specie si era in presenza di quattrotelecamere, di cui due di queste dirette alle po-stazioni di lavoro; tutto adeguatamente segnalatoanche per mezzo di apposite affissioni. Un impo-stazione di tal fatta sembrerebbe attribuire “di-sponibilità” al diritto di riservatezza, fra l’altrosuffragata dalla stessa disciplina di consenso aifini del trattamento dei dati personali.Volendo però tornare alla giurisprudenza più re-cente, la posizione assunta dalla n. 4331/2014 in-duce inevitabilmente ad una riflessione di princi-pio non trascurabile: la riservatezza si erge qualebene giuridico implicante una tutela a priori, mo-tivo per il quale l’autorizzazione si considera ne-cessaria già per la mera installazione-predisposi-zione delle apparecchiature potenzialmente lesi-ve.In quest’ottica il datore di lavoro non potrà mon-tare la videosorveglianza in assenza di accordosindacale o sostituto amministrativo, lasciandolapoi spenta o inattiva, e non potrà nemmeno in-stallare dispositivi finti, posta l’idoneità degli im-pianti a ledere il bene giuridico anche se non infunzione (a tal proposito si rimanda alla previadistinzione tra “reato di pericolo-installazione” e“reato di danno-impiego”). Nella prassi il proble-ma non è di poco conto, dal momento che po-trebbe vedersi addebitata una contestazione l’im-prenditore che non abbia ancora provveduto, per

grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo diinformazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute neimodi indicati nella prima parte di questo articolo.

I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttaviasi procede d'ufficio e la pena è della reclusione da uno a cin-que anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o daun incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o

con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o dachi esercita anche abusivamente la professione di investigato-re privato».

(31) Cass. pen., sez. III, 11 giugno 2012, n. 22611, forte-mente criticata dalla dottrina, in particolare vedi A. Bellavista,Gli accordi sindacali in materia di controlli a distanza sui lavora-tori, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2014, 8-9, pag. 738.

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esempio, nemmeno ad allacciare elettricamente ilsistema.La riproposizione della questione penalistica cir-ca la scissione installazione-impiego pone unquesito di sistema riferibile al tema delle normepenali “in bianco” con riferimento proprio all’art.4 in ragione del fatto che, nella prassi, sono pro-prio i provvedimenti e le linee guida tracciatedall’Autorità Garante, insieme ad un attività giu-risprudenziale fortemente creatrice sul tema, ariempire di contenuto, quantomeno operativo, ilmedesimo (quanto detto è lampante ripercorren-do proprio quest’ultimo paragrafo).Relativamente a questo interrogativo, e ad altri,quali per esempio l’esistenza o meno di una le-gittimazione attiva anche datoriale per adire pre-liminarmente ex art. 17 del Codice privacy l’Au-torità ad hoc, che riteniamo possano essere rile-vanti in concreto per il tema oggetto d’indagine,ci riserviamo eventualmente un ulteriore e piùpenetrante approfondimento circa il ruolo assun-to da tale Autorità nell’impalcatura del sistemadelle fonti di diritto rispetto agli atti “normativi”da essa costantemente prodotti come introdutti-vamente riportato.Più concretamente stiamo vagliando la praticabi-lità - se di interesse da parte della società - dell’i-potesi di poter adire la medesima Autorità daparte del datore per ottenere una sorta di certifi-cato di conformità ex art. 4, Stat. lav. e art. 113,Codice privacy, e correlati con riferimento allospecifico apparecchio, alle specifiche modalità,agli specifici luoghi dedotti dal caso concreto,grimaldello con il quale l’imprenditore potrebbetutelarsi, in via preventiva, da ogni eventualecontestazione, ciò, talvolta, anche scavalcandol’accordo con i sindacati.In una prospettiva di tal fatta il Garante enunciauna casistica da assoggettarsi a verifica prelimi-nare: sistemi di videosorveglianza abbinata a ri-levamento biometrico, software che consentonoil riconoscimento delle persone, sistemi c.d. in-telligenti (ossia che rilevano comportamenti oeventi anomali, segnalandoli), sistemi integrati divideosorveglianza, nelle ipotesi di allungamentodei tempi di conservazione delle immagini regi-strate oltre 7 giorni.Si è infatti spesso detto, anche in questa indagi-ne, che è molto complesso provare a stabilire

astrattamente la legittimità o meno di un control-lo ex art. 4; a conferma di tale impostazione e, aifini della comprensione dell’importanza che as-sumerebbe la fattibilità dell’ipotesi appena pa-ventata circa la legittimazione attiva datoriale exart. 17, comma 2 del D.Lgs. n. 196/2003, si ten-ga presente che per ottenere l’autorizzazione del-lo strumento in sede di accordo sindacale/DTL,l’istanza del datore di lavoro dovrà contenere inconcreto le planimetrie dei locali e dovrà esserequindi accompagnata da una relazione tecnica diun professionista.Ciò induce a considerare tale autorizzazione spe-cifica in relazione alla finalità dedotta dal datoredi lavoro e alla tipologia strumentale concreta,per cui la stessa si riferirà al numero di telecame-re, al tipo (schede tecniche dell’impianto), alladislocazione e all’angolo visuale delle stesse inrelazione alla specificità degli spazi e delle man-sioni dedotte in essi.È evidente quindi la complessità in senso tecnicodella procedura, da aggiungersi al massiccio nu-mero delle stesse.Tale ragione ha indotto il Ministero del lavoro edelle politiche sociali ad una nota il 16 aprile2012, n. 7162, nella quale si predispone la sem-plificazione del rilascio dell’autorizzazione am-ministrativa mediante la possibilità della Dtl diriferirsi esclusivamente alla documentazione pro-dotta dal datore, evitando di attendere eventualiaccessi ispettivi di verifica; questo snellimento siapplica per quelle attività dove il rischio di furtie rapine è più alto, ricomprendendovi espressa-mente le farmacie, e quindi potendo estendere laderoga anche per le aziende farmaceutiche.Proseguendo su questa strada, in merito al posi-zionamento e all’orientamento della videosorve-glianza, ad eccezione dei locali aperti alla clien-tela, per i quali non sono previste particolari re-strizioni se non l’adeguata segnalazione e conser-vazione, negli ambienti di mero lavoro vige ilprincipio per cui non vanno inquadrate postazio-ni fisse o zone esclusivamente destinate all’atti-vità lavorativa, salvo che il controllo sia affidatoalle Forze dell’ordine, mentre invece per esempiosono ammesse telecamere che sorveglino porte,finestre o zone di passaggio quali i corridoi (32).È facile intuire il perché di tale differenziazionee l’origine normativa della stessa (pertinenza di-

(32) Linee guida Ministero lavoro www.lavoro.gov.it.

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retta-indiretta, finalità di tutela patrimonio azien-dale, ecc.).A tal proposito a livello di principio non sembre-rebbero installabili in zone relax, mense, spoglia-toi, armadietti, bagni a meno che non sussistano,per esempio, pericoli di danno e furti oppure nonricadano nella fattispecie del controllo difensivo.In questa direzione il Tar Lombardia dell’11 lu-glio 2013, n. 1815, il quale dispone la legittimitàdella videosorveglianza anche nei locali adibitiper la mensa in ragione di un effettivo pericolodi furti o danni, purché direzionate sulla cassa enon indistintamente. Sempre nel medesimo casola concertazione sindacale aveva concesso sìl’autorizzazione, ma in presenza di una specificacautela secondo la quale le telecamere dovevanodeviare l’angolo di ripresa se l’acquisizione niti-da dell’immagine non fosse stata indispensabile.La giurisprudenza citata da ultimo è estremamen-te significativa poiché può rappresentare una sor-ta di vademecum in tema di videosorveglianzasul luogo di lavoro, ribadendo pressoché la tota-lità dei principi e delle formule finora descritte:dimensione “umana” della vigilanza sul lavoro,necessità di una tecnica di bilanciamento, con-cetto di distanza da intendersi sia in senso spa-ziale, sia in senso temporale, divieto di controllose all’insaputa del prestatore, legittimità dei con-trolli difensivi, incidentalità e occasionalità dellaripresa delle postazioni di lavoro, discontinuità eoccasionalità del controllo, circoscrizione delleimmagini e molti altri ancora.Sempre con riferimento all’inquadratura della vi-deosorveglianza, questa sarà ammissibile anchein assenza di apposita autorizzazione ex nuovoart. 4 se le stesse dovessero riprendere solo luo-ghi esterni dell’edificio (in quel caso fra l’altrosarebbe anche scontata la ratio di tutela riferibilead un interesse coinvolgente il solo datore di la-voro: tutela del patrimonio aziendale e sicurez-za), salvo dovesse venir svolta anche in queglispazi antistanti, seppur in modo saltuario e occa-sionale, l’attività di lavoro, quale per esempiozone di carico e scarico merci adiacenti ai capan-noni.Un’ulteriore specificazione della normativa civiene suggerita poi dal Consiglio di Stato, sez. V,5 giugno 2015, n. 2773; in particolare si vieta lavideosorveglianza dei lavoratori, ancorché fina-lizzata alla prevenzione e repressione di furti etaccheggi all’interno di un supermarket, qualora

la competenza sia devoluta ad un soggetto titola-re anche del potere di avviare azioni disciplinarinei confronti dei dipendenti medesimi. Il caso inquestione è molto interessante perché mostra co-me avviene in concreto il bilanciamento di inte-ressi, i quali, come vedremo, tutti in astratto me-ritevoli di tutela e previamente suffragati dallagiurisprudenza: la fattispecie prevedeva che asvolgere il controllo sui lavoratori fosse il diret-tore del personale e che l’orientamento dei dispo-sitivi fosse idoneo a riprendere non solo eventua-li taccheggiatori ma anche occasionalmente ilpassaggio e l’attività dei dipendenti (circostanzache, come prima visto, a volte è ammessa). Ciòaveva indotto il Collegio a decretare l’illegittimi-tà del monitoraggio nel caso di specie adducendocome motivazione la «percezione dei dipendentidi muoversi sotto visione continua e costante deldirettore», dimensione vietata poiché troppo in-vasiva.Per ritenere compiuto il tema della videosorve-glianza si passerà ora a specificare l’utilizzabilitàdelle immagini registrate e i relativi tempi diconservazione.Com’è buona abitudine si parte dal dato normati-vo il quale presuppone che i dati così raccolti po-tranno essere utilizzati anche a sostegno di prov-vedimenti disciplinari, a condizione che al dipen-dente sia stata data adeguata e previa informativacirca le modalità di impiego delle apparecchiatu-re e circa le modalità di svolgimento dei control-li, nel rispetto, verso tutti i lavoratori, del Codicedella privacy. Nello specifico ed operativamenteil datore dovrà rendere l’informativa di cui al-l’art. 13 del Codice della privacy, oltre a doveradottare un disciplinare interno o regolamentoaziendale che specifichi il controllo così comeprevisto dall’Autorità Garante il 1 marzo 2007.Tale specificazione è stata qui riportata ma trovaapplicazione per ogni tipologia di controllo “a di-stanza” seguendo la filosofia citata della c.d.“privacy by design”.In relazione alla conservazione delle immagini odei dati così ottenuti, ci si deve invece necessa-riamente richiamare all’art. 11 del Codice priva-cy e annesse pronunce dell’Autorità, chiamatapiù volte a rispondere in concreto anche per pro-rogare dette tempistiche, come accaduto a titoloesemplificativo col provvedimento del 16 aprile2014, laddove accertate esigenze di salvaguardiadel patrimonio aziendale (sottrazione di circa

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45.000 libri per un valore pari a 961.676 euro)avevano indotto l’Autorità ad un allungamento diconservazione fino a 30 giorni.Andando per ordine, il sopracitato art. 11, allalettera e), così recita: «conservati in una formache consenta l'identificazione dell'interessato perun periodo di tempo non superiore a quello ne-cessario agli scopi per i quali essi sono stati rac-colti o successivamente trattati».Tale principio generale di stretta conservazionedelle immagini trova effettivamente conforto inogni provvedimento-pronuncia dell’Autorità inquestione: si pensi al Provvedimento del 26 feb-braio del 2009 con il quale è stato disposto ilblocco di immagini videoriprese in un supermer-cato, posto che non si giustificavano nel caso dispecie «esigenze particolari atte a giustificare laconservazione per un arco temporale di tre gior-ni, ribadendo che occorreva pertanto commisura-re il tempo di conservazione delle immagini alleeffettive necessità di raccolta».Per ovviare a questa formula astratta, il Garantecon Provvedimento generale dell’8 aprile 2010già citato ha previsto specificamente, oltre a det-tagliate indicazioni in tema di videosorveglianza,i tempi di conservazione, limitandoli ad un arcotemporale di 24 ore successive alla rilevazione eche solo in casi particolari possa giustificarsi unadilatazione dello stesso, non superiore comunquealla settimana; inoltre ha statuito la disposizionedella cancellazione automatica al termine del pe-riodo consentito, mediante sovrascrittura delleimmagini stesse. Successivamente, precisamenteil 29 aprile del 2010, il Garante ha disposto unaggiornamento delle direttive sancendo le ragioniper le quali la conservazione delle immagini puòessere protratta oltre le 24 ore: peculiari ragionitecniche o per particolare rischiosità dell’attivitàdedotta (es. banca per l’identificazione degliautori di una rapina oppure per esigenze di lottaal terrorismo).

Sanzioni

L’articolo 23, ultimo comma del D.Lgs. n.151/2015, nel modificare l’art. 171 del D.Lgs. n.196/2003 conferma in linea generale la tutela pe-nale del divieto di operare controlli a distanzacon impianti audiovisivi e altri strumenti di con-trollo non accordati o non autorizzati preventiva-mente, ma, alla luce della scissione precedente-

mente osservata tra «installazione» e «impiego»e della conseguente configurabilità di due diversefattispecie di reato, determina una diversa opera-tività, rispetto al passato, delle sanzioni penaliper questo specifico aspetto.In ogni caso, posto l’interesse sindacale in giococon riferimento alla possibile conclusione di unaccordo di tale natura ai fini della mera installa-zione (quindi non con riferimento, come in pas-sato, all’intero primo comma dell’art. 4), even-tuali violazioni attinenti questo specifico momen-to saranno idonee ad integrare anche l’art. 28,Stat. lav. relativo alla repressione della condottaantisindacale per cui, laddove il datore non do-vesse rispettare gli adempimenti previsti dal De-creto motivato immediatamente esecutivo pro-dotto dal giudice del luogo relativo alla cessazio-ne del comportamento illegittimo e alla rimozio-ne degli effetti dello stesso, ciò implicherebbel’integrazione dell’art. 650, c.p., il quale dispone,salvo che il fatto non costituisca più grave reato,l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a euro206.In primo luogo si osservi la riscrittura ad operadell’art. 23 del D.Lgs. n. 151/2015, la quale im-pone la sostituzione del vecchio art. 171 del Co-dice della privacy con la seguente formulazione:«Art. 171 (Altre fattispecie) - 1. La violazionedelle disposizioni di cui all'articolo 113 e all'ar-ticolo 4, primo e secondo comma, della legge 20maggio 1970, n. 300, è punita con le sanzioni dicui all'articolo 38 della legge n. 300/1970».Il richiamo alla contravvenzione penale stabilitaall’art. 38, Stat. lav. resta e, ferma la sanzionabi-lità penale per violazione dell’art. 113 Codiceprivacy, non opera più con riferimento alle viola-zioni dell’art. 114 del medesimo, prevedendo alsuo posto l’integrazione della fattispecie di reatoper la violazione del riscritto art. 4, espressamen-te operante fino all’intervento dell’art. 179, com-ma II dello stesso Codice privacy, il quale anda-va a sopprimere le parole «4» e «8» dall’art. 38,Stat. lav.In sostanza, esplicitando la cervellotica tecnicadel “doppio richiamo”, con riferimento alla disci-plina dei controlli “a distanza”, ieri (dal momen-to che lo stesso art. 114 del D.Lgs. n. 196/2003,si limita a stabilire che «Resta fermo quanto di-sposto dall'art. 4 della legge 20 maggio 1970, n.300») come oggi, un’eventuale violazione sistruttura come ipotesi di reato punita in combina-

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to disposto con l’art. 38 dello Stat. lav.; ne derivache il datore di lavoro è punito «con la pena al-ternativa da euro 154 a euro 1.549 o arresto da15 giorni ad un anno, salvo che il fatto non co-stituisca più grave reato. Nei casi più gravi lepene dell'arresto e dell'ammenda sono applicatecongiuntamente. Quando per le condizioni eco-nomiche del reo, l'ammenda stabilita nel primocomma può presumersi inefficace anche se appli-cata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumen-tarla fino al quintuplo. Nei casi previsti dal se-condo comma, l'autorità giudiziaria ordina la

pubblicazione della sentenza penale di condannanei modi stabiliti dall'articolo 36 del codice pe-nale».Da ultimo, peraltro, si tenga presente che nonconfigurandosi una ipotesi di reato “proprio”,della quale potrebbe divenire imputabile il solodatore di lavoro, la contravvenzione in argomen-to è idonea a colpire anche il comportamento deisoggetti deputati al controllo a distanza o comun-que addetti all’utilizzo delle apparecchiature edegli impianti, che saranno puniti alla medesimastregua del datore di lavoro.

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