Post on 15-Feb-2019
Università degli Studi “G. d‟Annunzio”
CHIETI-PESCARA
FACOLTÀ DI PSICOLOGIA
Corso di Laurea Specialistica in Psicologia
Dipartimento di Scienze Psicologiche, Umanistiche e del Territorio
IL GRUPPO COME STRUMENTO
DI INTERVENTO
Una visione integrata
tra neurobiologia e terapia
Candidato:
Giorgio Conti
Matricola 3089670
Relatore:
Chiar.mo Prof.
Mario Fulcheri
Correlatore:
Chiar.ma Prof.ssa
Angela D‟Addario
A. A. 2013/2014
“L’esperienza è il tipo di insegnante più difficile, prima ti fa l’esame e poi ti spiega la lezione”
(Oscar Wilde)
INDICE
I
IL GRUPPO COME STRUMENTO DI INTERVENTO
UNA VISIONE INTEGRATA
TRA NEUROBIOLOGIA E TERAPIA
ABSTRACT III
INTRODUZIONE 1
Capitolo I
LA PSICOTERPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
Introduzione 7
1. Gruppo e terapia di gruppo 8
1.1 Il gruppo come campo semantico 8
1.2 La psicoterapia 10
1.3 Il gruppo 11
1.4 Approcci alla psicoterapia di gruppo 12
1.5 Obiettivi della terapia 14
1.6 Efficacia della terapia di gruppo 16
2. Evoluzione della psicoterapia di gruppo 17
2.1 Gli albori del setting gruppale 18
2.2 Dai precursori dell‟intervento di gruppo alla prima espansione 21
2.3 Il contributo di Lewin, Bion e Foulkes 21
2.4 La fase di innovazione 28
2.5 Esempi di intervento in setting gruppale 30
2.6 Evoluzione dei paradigmi e cambiamenti sociali e gruppi 36
Capitolo II
FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
Introduzione 41
3. La ricerca sul processo e i fattori terapeutici 41
3.1 Meccanismi di cambiamento: i fattori terapeutici di gruppo 43
3.2 Coesione 45
3.3 Apprendimento interpersonale 46
3.4 Fattori terapeutici secondari: informazione e infusione di speranza 48
3.5 Universalità e riepilogo correttivo del gruppo primario familiare 49
3.6 Altri fattori terapeutici secondari 49
3.7 Verso un approccio client-based 50
4. Fasi evolutive del gruppo 52
4.1 Dinamica di gruppo e fasi evolutive di gruppo 52
4.2 Difese, episodi e fenomeni di gruppo 53
4.3 Compiti di sviluppo secondo Yalom 56
4.4 Stadi secondo Rogers 61
INDICE
II
Capitolo III
CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
Introduzione 66
5. Criteri di applicazione del setting gruppale 66
5.1 Definizione di setting e ricerca scientifica 66
5.2 Scelta delle modalità di trattamento 69
5.3 Contratto e altri aspetti procedurali 70
5.4 Atteggiamento terapeutico e autenticità 73
5.5 Il paziente e la terapia 77
6. Classificazione dei setting gruppali 79
6.1 Classificazioni formali 79
6.2 Dimensioni 79
6.3 Il continuum verbale-non verbale 82
6.4 Verso il processo: attività e scopi 83
6.5 Il continuum terapia-addestramento 85
6.6 Altre variabili nel lavoro con i gruppi 86
Capitolo IV
BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
Introduzione 89
7. Neurobiologia e processi terapeutici 90
7.1 Neuroplasticità 90
7.2 Memoria 92
7.3 Eventi traumatici 94
7.4 Sistema Nervoso Centrale e Periferico 95
7.5 Integrazione 96
8. Neuroscienze: il „cervello sociale‟ 98
8.1 I neuroni specchio 99
8.2 Sistema limbico 101
8.3 Mirror system e mappa spaziale peripersonale 102
8.4 Risonanza e imitazione interna 103
8.5 Linguaggio ed empatia 105
9. Funzionamento del gruppo come insieme 107
9.1 Gruppo come spazio sicuro 108
9.2 Gruppo come „cervello sociale‟ 109
9.3 Il gruppo come scambio 110
9.4 Ruolo dell‟informazione 111
9.5 Una visione integrata sul gruppo 112
CONCLUSIONI 117
RINGRAZIAMENTI 122
BIBLIOGRAFIA 123
ABSTRACT
III
ABSTRACT
In questa trattazione si propone un’integrazione delle teorie e della tecnica alla base
dell’intervento gruppale prendendo in considerazione, in prospettiva bio-psico-sociale,
alcune delle più importanti ricerche dell’ultimo decennio nel campo della
neurobiologia interpersonale (Siegel, 2013).
Dopo una introduzione definitoria alla terapia di gruppo che comprende la
comparazione dell’efficacia tra i due setting, individuale e di gruppo, e una
contestualizzazione storica, vengono illustrati alcuni paradigmi che hanno esercitato
influenza sulle concettualizzazioni sul gruppo, come la teoria del campo (Lewin, 1951),
la matrice di gruppo (Foulkes, 1948), gli assunti di base (Bion, 1959). Una esposizione
in chiave applicativa illustra i meccanismi di cambiamento attivi nel gruppo, i fattori
terapeutici (Yalom, 1970), e una visione stadiale proposta da Rogers (1970).
Il contributo delle neuroscienze viene introdotto da argomenti trasversali, come la
neuroplasticità, le memorie, il funzionamento del sistema nervoso periferico e una
definizione generale di trauma, che trovano riscontro e applicazione nella pratica
clinica. Più in dettaglio si parlerà dei neuroni specchio (Iacoboni, 2008) come di
componenti essenziali del ‘social brain’ (Cozolino, 2006), capaci di stabilire profondi e
reciproci collegamenti tra il cervello e l’ambiente sociale, tra sé e altro come entità co-
costruite; e della risonanza (Siegel, 2013), come processo interpersonale attraverso cui
gli individui riflettono e apprendono reciprocamente. Da queste premesse sarà
possibile parlare di ‘gruppo come insieme’ e delle sue funzioni regolatrici.
A partire dai lavori di Schermer (2010) e Gantt e Badenoch (2013) e da un vertice di
mente come processo creato all’interno di meccanismi neurofisiologici ed esperienze
relazionali, viene proposta una contestualizzazione delle prospettive teoriche di Lewin e
Foulkes e una chiara e incoraggiante lettura della tecnica a supporto della terapia di
gruppo.
INTRODUZIONE
1
INTRODUZIONE
Considerazioni iniziali. Quali meccanismi intervengono all‟interno di un gruppo
terapeutico? Che tipo di processi permettono all‟individuo la traslazione da una
prospettiva personale ad una interpersonale e gruppale? È presente nell‟uomo una
dimensione sociale intrinseca? E, se esistesse, in che modo potrebbe influire sulla
persona e sul processo terapeutico? Attraverso le parole di Freud (1921) contenute in
„Psicologia delle masse e analisi dell‟Io‟, in cui afferma che la psicologia individuale è
al tempo stesso fin dall‟inizio psicologia sociale, è possibile supporre che domande
simili abbiano accompagnato le scienze psicologiche fin dal loro primo sviluppo. Per
consentire una riflessione scientifica su questi argomenti sono stati definiti settori
disciplinari dedicati all‟essere in gruppo, come ad esempio la psicologia sociale o la
psicologia dei gruppi. In modo analogo, all‟interno di specifici paradigmi, come ad
esempio quello psicoanalitico, si sono venute a creare delle specializzazioni, come
possono essere l‟analisi di gruppo (Bion, 1961) e la gruppoanalisi (Foulkes, 1948). La
stessa psicoterapia, che nasce all‟interno del più classico setting duale, ben presto si
apre a modelli e tecniche che permettono un trattamento in setting di gruppo. Tuttavia la
storia della psicologia riporta anche casi di prassi che, per motivi contingenti, si
rivolgono al gruppo mancando di una specifica teorizzazione a monte. Queste
esperienze, come possono essere quella di Pratt e di Bion, si riveleranno poi di estremo
interesse, tanto per i loro risvolti metodologici che teorici. Nel panorama clinico
l‟argomento dell‟intervento sul gruppo, svolto per volontà o per necessità, come
modalità elettiva o come forma di terapia fruibile su più ampia scala, si è avvicendato
spesso alla prospettiva di intervento sul singolo individuo. In alcuni momenti storici,
come durante le guerre o nel corso della rivoluzione socioculturale degli anni ‟60, il
setting gruppale sembra aver trovato una grande diffusione assumendo popolarità e
riscuotendo interesse. In realtà nella storia del pensiero psicologico il setting gruppale è
andato incontro anche a critiche sia da parte del mondo accademico, è il caso di Burrow
che subisce un‟emarginazione per essersi occupato del lavoro con i gruppi (Di Maria e
INTRODUZIONE
2
Lo Verso, 1995), sia da parte dell‟opinione pubblica, considerando la terapia di gruppo
una soluzione di ripiego: meno efficace e più economica rispetto alla terapia individuale
(Yalom, 1970). Per certi aspetti il passaggio dalla relazione terapeutica „a due‟ – la
coppia terapeuta-paziente – alle relazioni plurali – caratteristiche del piccolo gruppo –
ha rappresentato uno degli eventi più rivoluzionari nella storia della psicologia (Di
Maria e Lo Verso, 1995). In questo passaggio una tradizione fondata su una lettura
individualistica dei rapporti interumani, visti sostanzialmente come relazioni tra mondi
autoreferenziali, viene messa in discussione avviando una „rivoluzione copernicana‟
(ibidem). Seguendo una traiettoria di pensiero induttiva, procedendo quindi dal
particolare al generale, è possibile considerare che indizi di questa transizione verso una
concezione essenzialmente relazionale e interazionista dell‟uomo, che ha trovato
precoce espressione nell‟istituzione del setting gruppale, possano essere rintracciati nel
pensiero di autori come Vygotskij e Bowlby, che hanno influito sui paradigmi della
psicologia dello sviluppo e sulle stesse teorie evolutive. In questa progressiva apertura
alla realtà intersoggettiva, se oggi si è potuta affermare la neurobiologia interpersonale –
argomento portante della presente trattazione – e si può parlare di una „mente
relazionale‟ (Siegel, 1999; 2013) è forse anche grazie al ruolo svolto da questi
precursori, attivi interpreti o forse inconsapevoli attori di un importante e più grande
cambiamento.
Accanto a una nuova attenzione per l‟intersoggettività lo sviluppo tecnologico odierno,
con tecniche di indagine strumentale e tecnologie di neuroimmagine, come la
tomografia ad emissione di positroni (PET) (Positron Emission Tomography) e la
risonanza magnetica funzionale (fMRI) (Functional Magnetic Resonance Imaging),
consente di focalizzare l‟interesse dei ricercatori sugli aspetti neurocognitivi e
neurobiologici del funzionamento cerebrale. Tecnologie e studiosi portano la scena
moderna a poter beneficiare di informazioni che nei decenni precedenti sarebbe stato
impossibile ottenere. Grazie a queste informazioni sono disponibili pubblicazioni dove,
ad esempio, si cerca di assimilare una visione topica dell‟apparato psichico con
argomenti di pertinenza sia neuropsicologica che clinica, come il trauma (cfr. Schore,
2010) e la memoria (cfr. Schore, 2011). La moderna attenzione all‟integrazione, unita
ad una sempre maggiore sensibilità della ricerca neuroscientifica verso la dimensione
relazionale-interpersonale, sembra aver interessato soltanto di recente e in modo
INTRODUZIONE
3
sporadico la psicoterapia di gruppo cercando di dare riscontro ai modelli interpretativi e
alla teoria della tecnica. In questo senso l‟augurio del redattore è che il presente lavoro
possa diventare presto superato dalla presenza di nuove informazioni sui meccanismi
neuropsicologici presenti nella terapia di gruppo.
Argomento. Questa tesi affronta il tema dell‟integrazione della terapia di gruppo, negli
aspetti legati alla teoria e alla prassi, con i contributi che vengono dalle neuroscienze.
Prendendo in esame differenti settori scientifici e modelli teorici, nonché abbracciando
una visione bio-psico-sociale, adotta una prospettiva interdisciplinare. Il lavoro
compilativo si avvale di una rassegna dei principali argomenti offerti dalla
neurobiologia interpersonale su temi collegati all‟intervento psicoterapeutico e, in
particolare, su alcuni assunti sull‟intervento in setting gruppale. A tal riguardo cerca di
riportare l‟attuale stato dell‟arte integrando le opere di differenti autori.
Obiettivi. Obiettivo del presente lavoro è illustrare le basi concettuali da cui ricercatori
hanno affrontato una lettura delle teorie e della prassi sulla terapia di gruppo e, insieme,
illustrare i meccanismi neurobiologici implicati nella gruppalità. Nel perseguire queste
finalità si fa particolare riferimento al modello della neurobiologia interpersonale.
Seguendo un itinerario ideale che parte da una ricerca storiografica, attraversa i
meccanismi di cambiamento di gruppo e una breve rassegna sulle variabili presenti nel
setting gruppale, approdando infine nelle indicazioni sulla tecnica fornite nell‟ultimo
capitolo, in seconda istanza il lettore potrà sviluppare un pensiero personale
sull‟evoluzione del setting gruppale, dai primordi ai nostri giorni, e una visione del
gruppo come strumento di intervento ricca di implicazioni di ordine pratico ed
epistemologico. Tuttavia tale riflessione, che pure anima il presente lavoro, non viene
posta come centrale, tantomeno vuole giungere a delle particolari conclusioni. Più in
generale lo scopo della tesi è guadagnare un vertice di osservazione sul gruppo che
possa essere il più possibile integrato, „laico‟ e moderno, superando le inevitabili
distanze presenti tra paradigmi empirico-esplicativi, più affini alla ricerca, e teorico-
applicativi, più vicini alla clinica. In questo modo, probabilmente in linea con le
intenzioni degli autori presi in esame, si intende promuovere la validità e sostenere le
peculiarità dell‟intervento in setting gruppale e, in particolar modo, della psicoterapia di
gruppo.
INTRODUZIONE
4
Letteratura. Il termine „integrazione‟ ritorna anche rispetto alla letteratura presa in
esame, letteratura in cui vari autori come Iacoboni (2008), da un vertice
neuroscientifico, e Siegel (1999; 2006; 2007; 2013), Schore (2003; 2010), Porges
(2007), da una prospettiva neurobiologica, hanno contribuito alla conoscenza e alla
divulgazione di argomenti trasversali cari alla psicoterapia, argomenti raccolti e
applicati alla terapia di gruppo essenzialmente da Schermer (2010) e Badenoch e Cox
(2010), nonché nel più recente lavoro „The Interpersonal Neurobiology of Group
Psychotherapy and group Process‟ di Gantt e Badenoch (2013), che riunisce in un‟unica
pubblicazione i principali articoli presenti sull‟argomento. Allo stesso tempo sono state
consultate e citate opere che rappresentano delle pietre miliari nella storia della
psicoterapia di gruppo, come quelle di Lewin (1947; 1948; 1951), Foulkes (1945; 1948;
1964), Bion (1961), Berne (1966), Rogers (1970), Yalom (1970). In considerazione
dell‟obiettivo centrale di questa tesi la letteratura più attuale presentata non sembra
sufficiente a sollecitare dibattiti o particolari divergenze: assunti, terminologia e
argomenti all‟interno dell‟approccio neurobiologico sembrano piuttosto trovare una
sostanziale convergenza. Volendo leggere nel presente lavoro una riflessione più ampia
sull‟evoluzione del setting gruppale, le opere e gli autori classici incarnano invece un
vivo confronto tra differenti approcci al gruppo, confronto che si può rinvenire tanto in
seno alla terminologia quanto nelle differenti concettualizzazioni e orientamenti alla
pratica. In particolare Rogers e Yalom, attraverso gli argomenti con cui si confrontano,
sollevano importanti questioni di carattere epistemologico riassunte nelle domande
„come si contestualizza il cambiamento personale all‟interno della dinamica del
gruppo?‟, quindi „cosa conferisce al gruppo lo status di strumento terapeutico?‟, e
inaugurano un possibile dibattito che, ad oggi, resta probabilmente aperto e che, forse,
una contestualizzazione neurobiologica potrà riuscire a moderare.
Metodo. Questo lavoro procede mettendo a confronto opere e articoli di vari autori in
chiave sia storiografica che descrittiva, segue quindi una elaborazione di tipo teorico
assimilabile al „review article‟. L‟argomentazione nel complesso mira a illustrare la
possibilità di intervento attraverso il gruppo come modalità che gode di una propria
autonomia teorica, epistemologica, pratica, facendone uno strumento applicativo
scientifico, versatile, efficace, sostenibile.
INTRODUZIONE
5
Struttura. La tesi si sviluppa in quattro capitoli. Nel primo si cercano di fornire i
riferimenti necessari per definire in modo generale il campo di indagine. Per rispondere
alla domanda „cos‟è la terapia di gruppo‟ si affronta un‟introduzione semantica, una
definizione di psicoterapia e di gruppo, definendone alcune caratteristiche. Vengono
illustrati alcuni modi in cui il gruppo può essere utilizzato – come raggruppamento di
singoli individui, come entità in cui individuo e gruppo coesistono alla pari, come
insieme in cui la dimensione collettiva prevale sulla componente individuale –, modi
che ne definiscono implicitamente i risultati attesi (Yalom, 1970), ovvero un certo grado
di cambiamento personale. Tale cambiamento può far leva su differenti meccanismi.
Parlando di risultati si introduce il concetto di efficacia e la presenza di fattori
trasversali che interessano variabili relazionali piuttosto che specifiche tecniche. Una
contestualizzazione storica permette di dare spessore alle definizioni precedentemente
fornite, prospetta inoltre uno scenario dinamico di crescente complessità necessario alla
trattazione successiva.
Il secondo capitolo ruota intorno gli aspetti processuali del gruppo, prendendo in esame
i meccanismi che sollecitano un cambiamento nei singoli membri e, alimentando un
confronto tra diversi autori e prospettive, i meccanismi che definiscono lo sviluppo e la
vita del gruppo come organismo complessivo.
Il terzo capitolo sembra tornare a un approccio definitorio illustrando le condizioni che
permettono di operare attraverso l‟impiego del gruppo; in realtà qui si passa da una
prospettiva processuale a una procedurale. Ogni setting necessita di punti fermi che
devono necessariamente essere definiti a monte e resi operativi nella pratica: in questo il
più generico setting gruppale è simile ad ogni altro possibile e più specifico setting
terapeutico. Qui si parla anche dell‟atteggiamento terapeutico come precoce
disposizione del conduttore intorno a cui può strutturarsi e può concretamente prendere
forma il gruppo. Degli esempi di classificazione del lavoro con il gruppo esprimono la
centralità del ruolo del conduttore e degli obiettivi che si pone attraverso l‟intervento.
Nel quarto capitolo, dopo una sufficiente introduzione rappresentata dai capitoli
precedenti, è possibile affrontare l‟argomento della terapia, che in ottica neurobiologica
è terapia del singolo inserito in un ambiente interpersonale realizzato e regolato ad hoc.
Da una prospettiva neurobiologica si illustra il concetto di trauma e non integrazione
come equivalenti del concetto di „disturbo‟ e quello di neuroplasticità e integrazione
INTRODUZIONE
6
come equivalenti di „cura‟. Una illustrazione dei processi che intervengono tra trauma e
neuroplasticità, tra disregolazione e integrazione, permette di delineare le qualità
auspicabili dell‟ambiente sociale in cui si svolge la terapia, luogo interpersonale
mediato da un corpo dotato di un‟esperienza – memorie – e di una fisiologia – sistema
nervoso periferico . Da un vertice neuropsicologico è possibile analizzare i processi che
collegano gli individui rendendo possibile di influenzarsi reciprocamente e gli effetti
che questa influenza può sortire – integrazione. È a questo punto che il gruppo
terapeutico può diventare una dimensione sovraordinata capace di contenere
normalizzare e rispondere ai comportamenti e agli stati non integrati dell‟individuo.
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
7
Capitolo I
LA PSICOTERPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
Introduzione
«Negli ultimi anni sono diventato sempre più consapevole del fatto che in questo
campo [la ricerca e la clinica nella psicoterapia di gruppo] vi è urgente bisogno di
un duplice fondamento umanistico-scientifico se si vogliono affrontare
efficacemente le crescenti tensioni umane create da una tecnologia scientifica
orientata verso le macchine». (Yalom, 1970; 12)
Questo pensiero di Yalom (1970) che compare nella prefazione di „Teoria e pratica
della psicoterapia di gruppo‟ risale al 1969 e appare ancora oggi avanguardista e, al
contempo, attuale. Da allora molti e differenti sono stati gli sforzi e le innovazioni nel
campo della psicologia, in direzione di una maggiore scientificità, del raggiungimento
di una maggiore efficacia clinica e di un più solido statuto epistemologico, del
perseguimento di un pieno valore e riconoscimento sociale degli interventi. Tuttavia ciò
a cui si è assistito negli ultimi 40 anni è stato un proliferare di modelli, metodi,
discipline. Tale proliferazione e parcellizzazione del sapere ha portato allo sviluppo di
settori che sono andati affermandosi, come le scienze cognitive, le neuroscienze, ma
anche la psicometria e le tecniche di analisi dei dati, i cui notevoli progressi – è
indubbio – hanno creato un effetto a cascata restituendo nuovo vigore anche alle
teorizzazioni precedenti, potendo offrire una visione dell‟uomo più ricca e, lungi
dall‟essere esaustiva, più completa. Ciò che ad oggi sembra mancare – o forse ciò che
sta accadendo proprio in questo momento storico dello sviluppo scientifico – è la sintesi
all‟interno di nuove categorie: un processo di semplificazione e di integrazione,
conseguente ad una fase di sviluppo e di crescente complessità. Tale osservazione che
legittima la storia recente e attuale della psicologia può assumere un pieno valore nella
consapevolezza che sviluppare più metodi non sempre coincide con l‟evoluzione del
metodo.
Da questa considerazione, che vuole essere una soggettiva e possibile
constatazione, nonché, a conclusione di un percorso formativo, dal desiderio di tentare
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
8
di riportare lo stato dell‟arte nelle scienze psicologiche rispetto un argomento di
personale interesse, nasce e sviluppa la presente trattazione sul valore del gruppo come
strumento di intervento.
Aspetto importante e imprescindibile è il metodo che viene applicato alla ricerca
scientifica in psicologia. Citando ancora Yalom (1970) si vuole mettere in evidenza che
il metodo e la riflessione teorica non costituiscono un momento distinto e separato
dall‟intervento psicologico: metodo e intervento sono piuttosto aspetti contingenti ove
l‟uno definisce mutualmente l‟altro. Inoltre Yalom ribadendo l‟importanza di prove
documentali a supporto delle ipotesi, ammonisce dal rischio di adottare una posizione
squisitamente centrata sul dato numerico restituendo alla ricerca una dimensione
complessa, capace di abbinare all‟apertura concettuale e all‟integrazione disciplinare dei
criteri di efficacia. Ma l‟aspetto trasversale che permea le parole di Yalom è la centralità
che assumono le figure del paziente, del gruppo e del terapeuta, che nel loro incontro
fondano e portano in divenire l‟unico momento terapeutico realmente possibile – forse
l‟unico „vero‟ in quanto condiviso.
«In assenza del perfezionamento metodologico […] di fronte a pazienti sofferenti
evidentemente i terapeuti non sono riusciti ad aspettare l‟evoluzione della scienza.
Sono stati elaborati dei complessi sistemi di terapia che cambieranno lentamente e
solo davanti a prove veramente inconfutabili. Al di là di questo vi è ancora un‟altra
considerazione: a differenza delle scienze fisiche molti aspetti della psicoterapia
sfuggono alla quantificazione. La psicoterapia è arte e scienza nello stesso tempo.
Le scoperte della ricerca guideranno in ultima analisi i principali movimenti della
terapia, ma l‟incontro umano sarà sempre un‟esperienza profondamente personale,
non misurabile». (Yalom, 1970; 13)
1. Gruppo e terapia di gruppo
1.1 Il gruppo come campo semantico
L‟origine del termine gruppo viene fatta risalire al ceppo delle lingue
germaniche, in particolare al gotico kruppa, espressione che sottende il significato di
nodo, matassa arrotondata (Roccioletti, 2002; Giusti e Nardini, 2004), si riferisce ad un
insieme di unità. Più tardivo è l‟antico provenzale grop (Perrini, 2002), da cui derivano i
termini groupe e croupe, nei significati di crocchio, accerchiamento di persone, e di
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
9
groppa. Queste parole rimandano chiaramente all‟immagine di una linea tondeggiante,
ad un cerchio. Nell‟italiano arcaico il termine è sovrapponibile a groppo1, nel
significato di nodo, grumo; più raramente rimanda al significato di sacchetto di monete
o rotolo di banconote, passando da concetti di blocco, ostruzione in forma tangibile, a
quelli di matassa, spola, cilindro. È nel XVIII secolo che il termine compare nel
vocabolario nell‟accezione in cui viene oggi utilizzato. Il termine e il concetto di gruppo
sono quindi relativamente recenti, in particolare nella lingua italiana, nella quale assume
dei significati più articolati.
La più classica letteratura psicologica inerente la riflessione linguistica sul
gruppo parte dal francese e parla delle figure di „nodo‟ e „tondo‟ (Anzieu e Martin,
1968). Nodo come avvolgimento variamente intrecciato di uno o più elementi flessibili,
fatto per stringere, legare, fermare; come punto d‟incontro di più linee di collegamento;
punto cruciale, determinante di una situazione. Tondo come a forma di cerchio, di sfera,
o che si avvicina più o meno a essa; rotondo; o riferito a membra o tratti anatomici, di
forme piene, ben tornite; come numero o cifra intera, senza decimali. Analogamente,
dalla presente trattazione, nell‟etimo italiano del termine si evincono due direttrici
semantiche distinte, forse complementari: una rimanda ad una convergenza verso un
vincolo e una condizione, uno stato di confine e una barriera – grumo come coagulo,
transizione da uno stato fluido ad uno solido; nodo come interruzione di una soluzione
di continuità lineare –, un‟altra porta nella direzione di un collegamento, un legame, una
omogeneità, una condizione di regolarità – sacchetto come involucro e contenitore;
rotolo come rocchetto, insieme di spire, filo arrotolato .
Una forma ricorrente e capace di sintetizzare alcune di queste descrizioni, in
particolare i significati della lingua italiana, è il cerchio, area delimitata da una
circonferenza. In geometria una circonferenza è il «luogo dei punti equidistanti da un
punto fisso, detto centro. […] Le circonferenze sono curve chiuse che dividono il piano
in una superficie interna ed una esterna infinita»2. Proprietà della circonferenza è che
tutte le circonferenze sono simili – può variare solo la lunghezza del raggio –,
scegliendo due punti a piacere sulla circonferenza il segmento che li unisce è interno
alla circonferenza, il cerchio è la figura geometrica con il minor rapporto
area/perimetro. Si rinvengono alcuni elementi caratterizzanti il cerchio e alcune
1 Fonte: http://www.treccani.it/vocabolario/gruppo/, consultata il 26/10/2014.
2 Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Circonferenza, consultata il 26/10/2014.
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
10
significative analogie con il gruppo, rispettivamente: l‟equipotenzialità dei punti della
circonferenza rispetto il centro garantisce una condizione di uguaglianza, il fatto che
tutti i punti di una circonferenza possono „guardarsi‟ tra loro favorisce una situazione di
reciproco controllo e condivisione, avere la massima stabilità interna offrendo il minor
contatto con l‟esterno garantisce il miglior requisito di protezione. Questi aspetti
preliminari possono illustrare in modo semplice e intuitivo la realtà del gruppo.
1.2 La psicoterapia
La psicoterapia è una relazione basata su modelli teorici scientificamente
riconosciuti (Formica, 2012) il cui obiettivo, contrattualmente definito, è modificare in
senso adattivo dei comportamenti. Ne sono state sviluppate differenti forme e
rappresenta il più comune degli interventi in psicologia. Come sostiene Bowlby (1988),
la psicoterapia deve servire al paziente come „base sicura‟ per esplorare i diversi aspetti
della propria vita. Più tecnicamente con il termine psicoterapia si intende l‟insieme dei
processi utilizzati nel trattamento di un paziente (Compas e Gotlib, 2002). Gli obiettivi
che persegue sono spesso distinti dai processi o dai meccanismi usati per realizzare un
cambiamento. Molti interventi sono progettati per modificare un livello del
funzionamento umano come strategia per svilupparne un secondo. La ricerca sui
processi responsabili dell‟efficacia terapeutica supporta un modello di determinazione
reciproca (Bandura, 1986; 1997): vari ambiti del funzionamento umano – cognizione,
emozione, comportamento, biologia – e l‟ambiente, si influenzano a vicenda ed un
cambiamento in uno di questi si riflette sugli altri (Lazarus, 1991). L‟intervento avvia
una serie di complessi processi in cui pensieri, comportamenti, emozioni e biologia,
come del resto l‟ambiente, si influenzano in un‟attivazione reciproca (Compas e Gotlib,
2002). Una delle principali difficoltà in cui ci si imbatte parlando di psicoterapia è il
dover rispettare contemporaneamente la complessità clinica e il rigore metodologico (Di
Blasio e Lo Verso, 2012), nel momento progettuale, operativo e valutativo.
La psicoterapia è un processo in cui un terapeuta si prende cura della mente del
paziente. Secondo un‟ottica neurobiologica la mente emerge da un‟integrazione tra
interpersonale e neurale (Siegel, 2013): è in questo campo che, facilitando lo sviluppo di
stati di risonanza e di attivazione cooperativa, si svolge la relazione terapeutica e può
avere luogo il lavoro integrativo di stati del Sé diversi.
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
11
1.3 Il gruppo
Il gruppo è una struttura che nasce e si definisce nel mondo sociale, in cui appare
assolvere delle specifiche funzioni. Il risultato dell‟attività del gruppo permette
all‟individuo benefici e garanzie di cui diversamente non potrebbe disporre. In
psicologia sociale, disciplina votata al loro studio, i gruppi sono contraddistinti dai
seguenti aspetti:
1. coesione: un gruppo è coeso quanto più i componenti si identificano nelle sue
caratteristiche e nei suoi ideali distintivi (Brown, 2000). La coesione scaturisce
dall‟attrazione „sociale‟ nei confronti degli altri membri in quanto tali (Hogg,
1992). Non è necessario che due membri si conoscano o nutrano stima reciproca
affinché possa manifestarsi coesione. La riflessione sulla coesione porta ad
osservare il gruppo da una prospettiva funzionalista: l‟attaccamento al gruppo
dipende dalla sua capacità di saturare bisogni profondi di identificazione, di
affiliazione (Brown, 2000) o, per dirla con le parole della psicologia umanistica,
di sicurezza, appartenenza e di stima (Maslow, 1954);
2. interdipendenza: le esperienze, le azioni e i risultati di un individuo sono legati
alle esperienze, alle azioni e ai risultati degli altri individui presenti nel gruppo: i
membri sono in qualche modo interdipendenti (Brown, 2000). Secondo Lewin
(1948) i membri possono sentirsi connessi tra loro per due motivi:
interdipendenza del destino: i gruppi nascono in senso psicologico
perché degli individui si rendono conto che il loro destino dipende, o è
in qualche modo legato, al destino dell‟insieme cui fanno parte. Quando
le persone iniziano a percepire di „essere sulla stessa barca‟ riescono a
considerarsi come un gruppo anche in mancanza di ogni altro requisito;
interdipendenza del compito: molti gruppi si fondano sulla presenza di
un obiettivo comune che esemplifica gli scopi dei membri. Nel compito
i risultati di ognuno assumono implicazioni, positive o negative, per gli
esiti del lavoro di gruppo, quindi per i compagni. In caso di
interdipendenza negativa si genera competizione: il successo di un
individuo rappresenta l‟insuccesso per un altro. Nell‟interdipendenza
positiva il compito è posto in modo da motivare alla cooperazione. In
presenza di maggiore cooperazione avvengono più scambi comunicativi
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
12
– aumenta il grado di coesione –, si ottiene una migliore prestazione
(Deutsch, 1949) rispetto una condizione neutra o di interdipendenza
negativa;
3. norme: le norme rappresentano una scala di valori (Sherif e Sherif, 1969) che
organizza gli atteggiamenti e comportamenti all‟intero del gruppo. A differenti
livelli di esplicitazione e di dettaglio le norme indicano il modo in cui dei
membri possono comportarsi, rappresentando la base delle aspettative sul
comportamento reciproco (Brown, 2000). Come le norme sono in grado di
regolare il comportamento dei membri, viceversa, le persone scelgono di
appartenere ad un gruppo anche perché questo garantisce alcuni requisiti minimi
di sicurezza nei rapporti interpersonali, soddisfacendo dei bisogni personali
(Maslow, 1954). Per l‟individuo norme e valori fungono da strutture di
riferimento attraverso cui interpretare il mondo, portando ordine e prevedibilità
nelle relazioni sociali (Brown, 2000).
In abito psicologico il gruppo assume tipicamente una dimensione massima di
15-20 membri prendendo il nome di „piccolo gruppo‟.
1.4 Approcci alla psicoterapia di gruppo
Nell‟intervento psicologico con setting di gruppo si possono delineare due
principali filoni storici:
uno derivato dai metodi della psicologia sociale che risente di vari influssi, da
Moreno, a Lewin e a Yalom, che abbraccia un‟ampia possibilità di applicazioni
tra cui è inclusa la psicoterapia. Nel presente lavoro verrà sviluppato soprattutto
questo indirizzo;
uno di matrice analitica applicato in ambito medico, storicamente più radicato
che, pur essendosi declinato in varie forme, si rivolge essenzialmente alla
psicoterapia e viene illustrato a seguire per poi essere ripreso nel contributo di
alcuni singoli autori.
In ambito analitico il corrispettivo della generica espressione „psicoterapia di
gruppo‟ fa riferimento a una precisa tradizione, definita „psicoterapia analitica di
gruppo‟ o gruppoanalisi. Intorno agli anni ‟30 del XX secolo diversi psicoanalisti
iniziano a utilizzare il gruppo nel trattamento di pazienti psichiatrici venendo a
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
13
delineare tre principali orientamenti: l‟analisi in gruppo, l‟analisi di gruppo e l‟analisi
mediante il gruppo. Prenderli in esame permette di evidenziare differenti possibilità di
agire nel contesto gruppale (Profita e Venza, 1995):
analisi in gruppo: si pone in continuità teorica e tecnica con la psicoanalisi
negando specificità psicologica al gruppo, che diventa luogo altro in cui
praticare la psicanalisi su singoli individui. Il gruppo, riproposizione del nucleo
familiare, permette la maggior visibilità di atteggiamenti transferali detti
„transfert multilaterali‟ (ibidem). La maggior sistematizzazione teorico-
metodologica avviene ad opera di Wolf che introduce concetti come teorici l‟„Io
collettivo‟ e metodologici come la „seduta alternata‟ (Wolf, 1949);
analisi di gruppo: è Burrow, figura isolata nella storia della psicoterapia di
gruppo, che nel 1925 conia l‟espressione (Profita e Venza, 1995). La prassi
viene viluppata da Bion a partire dagli assunti della „teoria delle relazioni
oggettuali‟, ovvero la scuola britannica fondata sulle elaborazioni della Klein
(Gabbard, 1995). Il gruppo, che assume una specifica dimensione psicologica,
viene concepito come oggetto di analisi mentre l‟atteggiamento del terapeuta
resta psicoanalitico. In seno a questa tendneza originano la teoria sociale del
conflitto nevrotico (Burrow, 1949) e il conflitto focale di gruppo (Whitaker e
Lieberman, 1965). A questa modalità viene riconosciuto un valore didattico-
formativo oltre che terapeutico;
analisi mediante il gruppo: detta anche gruppoanalisi, si discosta dalla
psicoanalisi sul piano teorico e tecnico guadagnando una prospettiva sistemica e
integrando i principi della psicologia della Gestalt (Profita e Venza, 1995).
Sviluppata da Foulkes, la concezione gruppale viene inserita nella teoria e nello
sviluppo della sintomatologia come luogo di immagini collettive e proiezioni
archetipiche. Il gruppo-matrice (Foulkes, 1964), insieme di reti di relazioni su
più livelli appartenenti ad ogni individuo, viene visto come insieme attivo nel
„qui ed ora‟. Lo scompenso nevrotico viene considerato il punto di rottura di una
serie di processi relazionali in cui sono coinvolte persone del presente e del
passato (ibidem). L‟attività terapeutica è marginale e interessa l‟analisi della
matrice di uno specifico gruppo.
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
14
Ulteriori sviluppi dell‟approccio analitico rappresentano modelli che pur
conservando un buon grado di autonomia teorica e metodologica, e a volte
discostandosi notevolmente da un ideale analitico, sono stati considerati come metodi
isolati o di secondario interesse, non sempre inerenti il campo delle psicoterapia. Alcuni
di questi sviluppi sono (Profita e Venza, 1995) lo psicodramma di Moreno, la
psicoterapia della Gestalt, la terapia familiare psiconalitico-gruppale di scuola francese,
i cui esponenti sono stati degli psicoanalisti.
Per quanto concerne gli approcci di matrice non analitica alla psicoterapia di
gruppo avremo modo di trovarli nella seguente trattazione. Il panorama di approcci e
tipologie di applicazioni ricco ed eterogeneo rende difficoltosa una categorizzazione
univoca dei principali orientamenti. Cercheremo tuttavia di considerare alcuni parametri
all‟interno dei quali contestualizzare differenti modalità di lavoro psicologico in setting
gruppale.
1.5 Obiettivi della terapia
Teorie e metodi vengono utilizzati per poter circostanziare alcuni aspetti
dell‟intervento, quindi per poterlo guidare e, successivamente, valutare. Questo
processo risponde ad un criterio di scientificità necessario in psicologia tanto più in
psicoterapia. Ogni paradigma psicologico assume una particolare visione funzionale
dell‟oggetto di indagine, ovvero una teoria, che nel momento operativo corrisponde ad
un insieme di prassi, che rappresentano la tecnica. Un primo punto di incontro tra la
teoria e la tecnica può essere rappresentato dagli obiettivi che si prefigge un dato
paradigma, quindi che guidano la terapia.
Gli obiettivi, a differente livello di dettaglio, vengono definiti a monte o nelle
fasi precoci dell‟intervento. Vanno a definire un focus terapeutico in base al quale viene
instaurata una specifica relazione: questa relazione rappresenta un trattamento
pianificato sulla richiesta del paziente (Giusti, Montanari, Iannazzo, 2004). Gli obiettivi
hanno quindi una doppia implicazione: 1. contrattuale ed esplicita, nel definire un
accordo condiviso e avviare un rapporto lavorativo su domanda del paziente; 2.
operativa e implicita, nel definire strategie e metodi di intervento (ibidem), ovvero
processo e tecnica che il paziente vede applicati. Questi due momenti convergono nella
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
15
relazione terapeutica che si ingaggia con la singola persona e con il gruppo come
insieme.
Gli obiettivi di un percorso terapeutico ne prefigurano il miglior risultato atteso:
costituiscono il traguardo cui paziente e terapeuta stanno mirando, per cui è importante
che siano condivisi e chiaramente definiti (Berne, 1966). Esempi possono essere:
riduzione di comportamenti disfunzionali, socializzazione più soddisfacente, maggior
controllo delle emozioni o del comportamento, il superamento di modi di relazionarsi
stereotipati: termini come condivisione, maturità, integrazione, crescita… potrebbero
essere meglio definiti (ibidem). Secondo alcuni autori è importante che un obiettivo sia
circostanziato, specifico e realistico essendo il centro del contratto terapeutico (Giusti,
Montanari, Iannazzo, 2004). Obiettivo generale e precoce del terapeuta deve essere
mettere l‟altro in condizione di imparare a crearsi delle situazioni per soddisfare i suoi
bisogni (ibidem).
Considerando il lavoro di gruppo dalla prospettiva del processo, ovvero dei
meccanismi secondo i quali avviene il cambiamento nei membri, anche detti „fattori
terapeutici di gruppo‟ il panorama delle tipologie di intervento si riduce ad un numero
limitato di finalità, quindi di obiettivi (Yalom, 1970). Da questo assunto lavori di
gruppo che possono sembrare esteriormente molto diversi possono far riferimento a
meccanismi di cambiamento identici, per cui gruppi con obiettivi simili plausibilmente
fanno leva su analoghi fattori curativi. Le finalità di una terapia gruppale centrata sul
ruolo del leader e sul tipo di composizione del gruppo possono andare dall‟appoggio, al
sostegno e l‟ispirazione nel superare comportamenti disadattavi, alla reintegrazione di
vecchie o la costruzione di nuove difese, fino alla restrutturazione caratteriologica
(ibidem). In questo ultimo caso obiettivi del lavoro di gruppo, a prescindere dal modello
adottato dal terapeuta, possono essere creare coesione e stimolare l‟apprendimento
interpersonale, aspetto cruciale tale da poter definire la terapia di gruppo come “terapia
d‟interazione di gruppo” (ibidem).
Una volta definiti, gli obiettivi vanno mantenuti e perseguiti: digressioni limitate
sono ammesse pur di sapere a che punto del processo ci si trova e, quando è conclusa
una fase, come passare alla successiva (Berne, 1966). In base alla durata del percorso
può essere utile differenziare obiettivi a medio e a lungo termine (Giusti, Montanari,
Iannazzo, 2004).
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
16
1.6 Efficacia della terapia di gruppo
Dall‟introduzione delle comunità terapeutiche negli anni ‟40, i trattamenti di
gruppo sono diventati parte integrante dei sistemi di cura nella pratica clinica (Main,
1946; Baker et al., 1953; Bion, 1961) fino ad essere considerati, alla stregua del setting
individuale, un possibile strumento di intervento (Brenner, 1994; Granholm et al.,
2012). Dalle ricerche che mirano a valutare l‟esito terapeutico, ovvero l‟efficacia
(Dazzi, 2006), non sono emerse differenze tra la psicoterapia individuale e la terapia di
gruppo (Fuhriman e Burlingame, 1994). La terapia di gruppo, pur essendo molto diversa
da quella individuale, ha dimostrato di essere altrettanto efficace (Burlingame,
Mackenzie, Strauss, 2004). In entrambe l‟obiettivo è la trasformazione del mondo
interno del paziente, tuttavia la processualità del lavoro terapeutico discosta
notevolmente tra i due metodi: nel gruppo i pazienti sperimentano nuove modalità
relazionali e lavorano maggiormente sulle relazioni interpersonali; nella terapia
individuale l‟elaborazione è più centrata sul mondo intrapsichico del paziente. Pur
essendo entrambi efficaci è possibile considerare che la terapia di gruppo, in quanto
dispositivo in grado di attivare più velocemente processi trasformativi, possa rivelarsi
più adatta per alcune tipologie di pazienti e maggiormente efficiente in merito al
rapporto costi/benefici (Di Blasi e Lo Verso, 2012).
Nel tempo si è affermata l‟idea che esperienze di gruppo possono rappresentare
all‟interno dei vari approcci metodologici un agente di cambiamento importante e
valido (Brenner, 1994; Granholm et al., 2012). Partecipare a sessioni cliniche in cui è
possibile trovare relazioni terapeutiche multiple produce fattori terapeutici specifici
rispetto al contesto duale e caratterizzanti la situazione di gruppo (AGPA, 2007). Ad
esempio è possibile trovare l‟apprendimento vicario e interpersonale, lo scambio di
ruolo, l‟altruismo, l‟universalità: dinamiche estranee alla terapia individuale. Questa
ricchezza di fenomeni interpersonali trova riscontro negli studi: pazienti riferiscono di
aver trovato nella terapia di gruppo rapporti profondi, un ambiente sociale nutriente ed
altri aspetti peculiari non riscontrati nei trattamenti individuali (Holmes e Kivlighan,
2000).
Sebbene molte ricerche sull‟efficacia convergano sulla conclusione che il
modello teorico sia secondario al successo terapeutico (Lambert e Ogles, 2004) – il
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
17
cosiddetto „paradosso dell‟equivalenza‟3 (Stiles, Shapiro, Elliot, 1986) –, sembra che
l‟„aspetto esteriore‟ di una terapia, ovvero lo specifico paradigma e le relative tecniche,
quando integrato con cura nella persona del terapeuta – aspetto definito allegiance del
terapeuta, cioè la sua fedeltà o osservanza per un orientamento (Messer e Wampold,
2002) –, nelle fasi precoci del percorso sortisca un effetto positivo alimentando nel
partecipante fiducia, aspettative positive, valore e aderenza al lavoro di gruppo (Yalom,
1970).
2. Evoluzione della psicoterapia di gruppo
Gregory Zilboorg (1941) nella sua opera „storia della psichiatria‟ parla di come
ogni cosa prima di diventare componente del passato faccia parte del nostro presente.
Porta un esempio in cui, sorpassato un momento di diffidenza, si passa ad accettare o
perfino ammirare qualcosa di nuovo. Esaurita la fase di „novità‟ si inizia a considerare
come lentamente emergano aspetti buffi, strani, addirittura ridicoli legati a ciò che era
apparso nuovo e al passo con i tempi. Ma è solo dopo una fase di transizione che si può
tornare a considerare il passato come qualcosa di possibile e lecito. Scevri da moti di
difesa verso quanto rappresenta un‟antichità, la si può valutare in modo positivo, con
simpatia e forse letizia. Non è più necessario dover prenderne le distanze ma diventa
possibile conservare un elemento capace di farci rivivere un‟esperienza del nostro
passato, che va a collocarsi in quella che collettivamente designiamo con il nome di
storia. Storia non come sterile “catalogo di eventi” o “dati cronologici” a giustificare, a
“esaltare” il presente, piuttosto storia come processo per arrivare a conoscere, a capire,
questo presente. Così la storia assume il valore di un “sincero ripensamento critico”
assolvendo alla necessità e all‟ambizione di “continuare a migliorare” in direzione del
futuro. La storia della psicoterapia di gruppo inizia nel momento in cui allo stare in
gruppo viene annessa una precisa finalità terapeutica (Di Maria e Lo Verso, 1995).
3 Paradosso dell‟equivalenza: risultato sugli studi comparativi riguardo l‟efficacia delle psicoterapie
secondo il quale la psicoterapia produce i medesimi effetti, indipendentemente dai modelli teorico-clinici
e dalle tecniche usate.
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
18
2.1 Gli albori del setting gruppale
La nascita della psicologia scientifica viene fatta risalire alla seconda metà del
XIX secolo con i contributi di Donders sulla psicofisiologia e i tempi di reazione, di
Fechner sulla percettologia e il rapporto tra stimoli fisici e variazioni nella percezione
(Morabito, 2007). Nel 1879 Wundt fonda il primo laboratorio di psicofisica a Lipsia e
nel 1885 Ebbinghaus pubblica un trattato in cui descrive alcune leggi che
rappresenteranno una pietra miliare nella psicologia della memoria (ibidem). Tuttavia è
ragionevole ipotizzare che la storia delle applicazioni psicologiche del gruppo, ma delle
esperienze in gruppo che hanno rappresentato dei precedenti per lo sviluppo della teoria
e della tecnica, abbiano avuto inizio molto prima. Per giungere al gruppo psicologico si
rende necessario un itinerario che attraversa la psicopatologia, la psichiatria, la
medicina, il pensiero dell‟uomo e la cultura, il progresso tecnico e scientifico.
Fin da tempi antichi la psicopatologia viene collocata su una linea di confine tra
il mondo naturale e spirituale. Già Platone nell‟„Apologia di Socrate‟ risalente circa al
390 a.c. parla di due tipi di pazzia, una indicata come condizione abnorme e terrena, una
considerata dono degli dei (Zilboorg, 1941). Questa posizione, che rappresenta una
perdita rispetto il precedente pensiero ippocratico basato su una visione dell‟uomo della
società e del mondo critica, ispirata, laica, prevarrà fino agli inizi del XIX secolo
(ibidem). Lo stesso setting di gruppo sembra collegato alle tecniche di guarigione
primitiva come l‟incubazione nell‟antica Grecia, ai riti collettivi ispirati al culto delle
divinità o guidati dallo sciamano (Roccioletti, 2002).
L‟uomo primitivo riunito in clan, comunità o pòlis affronta l‟ignoto, la crisi,
malattia e sofferenza, la morte fisica e la rinascita simbolica con il rito che, attraverso la
partecipazione collettiva, diviene patrimonio condiviso (ibidem). L‟aspetto cerimoniale
non costituisce un momento secondario al processo di transizione ma è esso stesso
principale agente simbolico e terapeutico (Lapassade, 2008). Lo sciamano, così come
l‟officiante, spesso deve sottoporsi ad una malattia di iniziazione (Roccioletti, 2002) per
poter assolvere al suo ruolo.
Nel V secolo avanti cristo in Grecia esistono delle feste dionisiache che hanno
luogo ogni due anni e si svolgono in una contagiosa danza notturna iniziata dalla
Menadi, o Baccanti, sulla montagna, che trova il suo acme nell‟estasi collettiva
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
19
(ibidem). Dionisio, il dio che era causa della pazzia e capace di liberare dal essa,
attraverso queste celebrazioni aveva il potere di infondere la follia e di guarirla (ibidem).
Differente è il discorso per gli asclepiei, templi dedicati al dio della medicina
Esculapio, in cui i malati si recano per trovare ristoro dai loro tormenti. In questi luoghi
diffusi tra il V e IV secolo avanti cristo, in apposite celle e dopo un periodo di
purificazione, si trascorrono alcune notti in attesa del „sonno incubatorio‟, ovvero di
fare un sogno rivelatore. I sacerdoti allora interpretano il racconto cercando di definire
una diagnosi e una cura. Anche questo tipo di pratica avviene in una dimensione
pubblica (Roccioletti, 2002) e in un tipo di contesto che oggi potremmo definire
residenziale: una primordiale comunità terapeutica.
Fenomeni collettivi legati alla trance che ci arrivano da varie fonti attraverso il
tempo nascono spesso all‟interno di minoranze oppresse rappresentando una forma di
terapia collettiva, e di emancipazione sociale, permettendo di uscire dagli schemi sociali
precostituiti (Lapassade, 2008). Lo stesso principio sembra percorrere tutto il medioevo
con la stregoneria – espressione di rivolta nei confronti dell‟oppressione religiosa e
della repressione della fisicità – i fenomeni mistici, i rituali di esorcismo-guarigione
come il tarantismo, per giungere fino ai giorni nostri con le sottoculture giovanili
(ibidem). Tali forme di espressione „agita‟ (Roccioletti, 2002) assumono da una
prospettiva psicologica forse una valenza catartica piuttosto che integrativa, oltre che
una più diretta valenza sociale. Il gruppo in questo senso, anche se spesso non guidato
né strutturato, sembra assumere le fattezze di un corpo collettivo capace di autoregolarsi
trovando il modo di rappresentare e simbolizzare, al suo interno come verso l‟esterno, le
dinamiche che lo investono. Tuttavia oltre queste considerazioni generali i lunghi secoli
del medioevo non sembrano riportare casi rilevanti di trattamenti in gruppo che non si
riferiscano all‟inquisizione o a sanatori, ma più spesso prigioni, in cui coloro che
appaiono diversi vengono lasciati al loro destino (Zilboorg, 1941). È solo con l‟avvento
dell‟illuminismo, quindi intorno al 1700, che un ritrovato interesse per la natura umana
e la ragione stimola un approccio maggiormente critico e scientifico.
Verso la fine del XVIII secolo in una Francia alle soglie di un importante
riassetto sociale viene ad affermarsi forse il primo trattamento di gruppo documentato
dell‟età moderna. Nel 1779 Mesmer elabora la „teoria del fluido‟ che vede gli esseri
viventi percorsi da una forza cosmica e di natura magnetica che circola liberamente nei
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
20
corpi delle persone. Blocchi a questa libera circolazione rappresenterebbero la causa dei
disturbi psicologici (ibidem). Una delle possibilità di intervento è il „magnetismo
collettivo‟ che consiste nel riunirsi intorno ad una vasca al suono di una piccola
orchestra. Il Mesmer passando tra i pazienti scatena crisi al solo tocco di una bacchetta.
L‟esito naturale delle crisi avviene in un‟apposita stanza imbottita (Roccioletti, 2002).
Tale pratica che riscuote grande seguito provoca sdegno negli ambiti accademici: lo
stesso Mesmer non sa darsi una spiegazione di quanto accade né ritiene la pratica
capace di una intrinseca valenza curativa. Anche al „setting‟, in realtà molto curato, non
attribuisce alcun valore intrinseco. Tuttavia l‟aspetto più importante che viene ad
emergere – che anche lo stesso Mesmer nota, attribuendogli però una connotazione
squisitamente fisica – è il primato del rapporto tra magnetizzatore e magnetizzato
(ibidem). Secondo Mesmer è una facoltà che nel 1799 chiama „istinto‟ a permettere di
entrare in risonanza con il paziente.
Negli stessi anni carichi di fermento viene a svilupparsi un‟altra tipologia di
trattamento collettivo ad opera del marchese Poységur. Egli nel 1784 ha scoperto il
„sonnambulismo artificiale‟, capace di ridurre i pazienti in uno stato di docilità
lasciando intatto l‟uso della parola (Zilboorg, 1941). Al risveglio i pazienti non possono
ricordare nulla di quanto è accaduto. Il trattamento collettivo avviene in una piazza di
un piccolo paese rurale. Intorno un grande olmo i pazienti vengono legati alla pianta e
fatti disporre in cerchio, in modo da potersi toccarsi per i pollici (ibidem). Rispetto le
teorie di Mesmer questa pratica rappresenta un‟evoluzione in quanto permette delle
interpretazioni nuove del funzionamento umano, svincolate dalle classiche letture in
termini spiritualistici o somatici: mezzo e focus del processo passa dal corpo e dal
contatto fisico alla parola e al linguaggio (Roccioletti, 2002). Inoltre nella sua pratica
Poységur prende distanza dai pazienti stabilendo come tramite della cura un luogo e un
albero (ibidem) come primaria istituzione di un setting.
Il sonnambulismo artificiale acquisisce il metodo proprio dell‟ipnosi ad opera di
Liebeault che nel 1864 a Nancy istituisce delle sedute pubbliche di terapia in cui al
mattino riunisce all‟interno di una stanza da 25 a 40 pazienti. Quando i pazienti sono
ipnotizzati li assicura che tutti i loro sintomi sono scomparsi (Ellenberger, 1976). Sul
piano epistemologico Liebeault nella sua pratica di medico sembra differenziare
definitivamente la componente psicologica da quella somatica asserendo che è pronto a
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
21
trattare gratuitamente attraverso l‟ipnosi pubblica piuttosto che a pagamento con la
medicina tradizionale (Roccioletti, 2002). Il valore attribuito alla terapia di gruppo
sembra quindi scaturire da una sensibilità sociale – quasi nell‟ottica di un moderno
servizio territoriale di terzo settore . Storicamente infatti al contrario della malattia
organica, considerata un fatto personale e privato, la malattia della mente per il suo
rivolgersi all‟esterno dell‟individuo investe una dimensione pubblica e sociale (ibidem),
nell‟esordio come nel trattamento.
Le esperienze di Mesmer e Poységur dominano la scena per un secolo fino ad
arrivare a Charcot, che nel 1878 intraprende degli studi sull‟ipnotismo alla Salpetrière,
quindi a Freud, che lo raggiunge a Parigi nel 1885 (ibidem). È possibile supporre che i
primi setting di gruppo moderni abbiano assunto un ruolo nell‟agevolare le crisi
catartiche, quindi un valore nell‟economia del trattamento, tuttavia questi aspetti non
vengono considerati e, anche quando Freud getta le basi di una psicologia come scienza
del funzionamento della mente umana, non riconosce particolare importanza alla
possibilità di una terapia di gruppo. Sembra piuttosto attribuire un senso e una funzione
negative al gruppo, come luogo in cui l‟inconscio e il suo potenziale disregolativo sono
particolarmente facilitati ad emerge e allo stesso tempo difficili da gestire e contenere
(Freud, 1921).
A discapito di questi presupposti e in controtendenza rispetto la cultura
dominante del periodo, nei primi anni del XX secolo si può assistere alla nascita dei
primi veri setting gruppali intesi nell‟odierna accezione psicologica. Si tratta di attività
perlopiù isolate ad opera di precursori con formazione psichiatrica, precedenti
comunque capaci di stimolare l‟interesse e la ricerca per quello che rappresenta un
settore scientifico nascente e una nuova frontiera dell‟intervento psicologico.
2.2 Dai precursori dell‟intervento di gruppo alla prima espansione
Il primo utilizzo del setting gruppale risale al 1905, avviene in campo medico ad
opera di un internista della East Coast americana, Joseph H. Pratt. Egli utilizza il gruppo
per finalità informative con dei pazienti tubercolotici adottando delle modalità di tipo
essenzialmente educativo (Pratt, 1907). Notando il rapporto tra benessere psicologico e
decorso della sintomatologia inizia a curare la persona piuttosto che la malattia (Yalom,
1970). Applicando gli stessi principi ad altre tipologie di pazienti con problemi di
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
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pertinenza medica sviluppa l‟approccio e, intorno agli anni ‟30, arriva ad utilizzarlo con
pazienti psichiatrici perseguendo delle finalità meramente psicoterapeutiche. Il suo
interesse per i gruppi lo porta ad affrontare in modo sempre più diretto gli aspetti
emotivi dei partecipanti e l‟effetto delle emozioni sulla sintomatologia (Pratt, 1945).
In Europa negli stessi anni è lo psichiatra Jacob L. Moreno a fare da pioniere
nell‟applicazione del setting gruppale e dei principi della psicologia umanistica. Già dal
1905 a Vienna inizia a sperimentare tecniche teatrali e organizzando inoltre quello che
può essere considerato il primo gruppo di auto-mutuo-aiuto4 (Moreno, 2011). Durante la
Prima Guerra Mondiale ha modo di avviare la sua carriera di medico in un campo di
rifugiati, nel 1921 fonda il „teatro della spontaneità‟ e nel 1930 crea lo psicodramma
(ibidem), tecnica espressiva e rielaborativa di gruppo che porta all‟interno delle cliniche
psichiatriche. In contrasto con Freud, che ha modo di incontrare, dedica il suo interesse
alla musica, al teatro, ma alla ricerca sulle interazioni sociali nei gruppi e alla psicologia
di gruppo.
In un‟attività analoga a quella di Pratt, Lazell lavora in una clinica di Washinton
D.C. con dei veterani della Prima Guerra con disturbi mentali. Chiama questa pratica
„group analysis‟ (Lazell, 1921) che, a dispetto del nome, non ha implicazioni con la più
tardiva gruppoanalisi. Il 1921 rappresenta quindi un anno importante per il
riconoscimento sociale dato alle esperienze in gruppo in quanto vede avvicendarsi vari
eventi: la „group analysis‟ in America, in Europa gruppi di consultazione ad opera di
Adler e Dreikurs, l‟affermazione del „teatro della spontaneità‟ di Moreno, la
pubblicazione di „Psicologia delle masse e analisi dell‟Io‟ di Freud (1921).
Successivamente il panorama dell‟utilizzo di programmi di gruppo si infittisce e
diventa più difficile rintracciare singoli contributi ma vengono a delinearsi nuovi settori
applicativi. Negli anni ‟30 in Europa Adler, sostenendo la causa sociale dei problemi
dell‟uomo e nell‟intenzione di offrire i benefici di un supporto psicoterapeutico ad una
popolazione più ampia, impiega metodi di gruppo (Rosenbaum e Berger, 1963). Pochi
anni dopo, tornando in America, Marsh utilizza gruppi per una gamma di problemi
clinici, sia di pertinenza psicologica che medica. Applica una varietà di tecniche:
didattica, homeworks, esercizi che promuovono l‟interazione, come discutere di
argomenti personali comuni ai partecipanti, role playing, come prendersi cura l‟un
4 Fonte: A Historical Chronology of Group Psychotherapy and Psychodrama, di Adam Blatner, M.D.,
aggiornato al 23/07/2007; http://www.blatner.com/adam/pdntbk/hxgrprx.htm, consultato il 20/10/2014.
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
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l‟altro (Marsh, 1935). Nel campo della psicologia evolutiva è Slavson (1940) ad
esercitare considerevole influenza nel panorama accademico e clinico lavorando con
gruppi di bambini ed adolescenti con disturbi del comportamento. È Moreno il primo a
parlare di „psicoterapia di gruppo‟ in una conferenza della American Psychiatric
Association nel 1933 (Moreno, 2011).
In psicoanalisi il primo ad applicare tecniche analitiche in gruppo tra gli anni ‟20
e ‟30 è Burrow (1949), più tardi Wolf (1949). Nasce inoltre in questo periodo la
psicologia sociale dei gruppi con le prime ricerche sulle dinamiche che regolano la vita
del gruppo ad opera di Lewin (1947) e sulla funzione delle norme, indagate da Sherif
(1936). Negli anni ‟40 il nascente interesse per il gruppo già diffuso in vari ambiti
scientifici assume un proprio statuto epistemologico e una piena autonomia accademica
e operativa.
I contributi teorici, i motivi di ricerca e gli utilizzi sperimentali subiscono un
grande impulso durante e dopo la II Guerra Mondiale, quando la necessità di un
confronto con un gran numero di persone accomunate da una mansione o una
condizione rende necessario l‟uso di sistemi di gestione e terapeutici efficaci ed
economici (Yalom, 1970). Ad esempio sia Berne (1966) che Bion (1961) avviano la
loro esperienza con i gruppi in cliniche militari. Intorno agli anni ‟50 la diffusione di
riviste specializzate e associazioni per la ricerca fornisce una condizione ideale per la
diffusione e la proliferazione scientifica.
2.3 Il contributo di Lewin, Bion e Foulkes
Il contributo di alcuni degli autori che più hanno influenzato il pensiero e il
lavoro con i gruppi sono sintetizzati a seguire seguendo un ordine cronologico.
Lewin. Il lavoro di Lewin, animato da interessi sociali e da un atteggiamento
pragmatista, consiste nell‟estendere i principi della teoria della Gestalt dai processi
congitivi alla motivazione, alla personalità, ai processi nei gruppi (Profita e Venza,
1995). La convinzione che la psicologia del tempo fosse rallentata da un‟epistemologia
sostanzalimente aristotelica lo porta a studiare gli eventi psicologici nelle relazioni con
il contesto, piuttosto che nelle loro caratteristiche intrinseche, superando un approccio
classificatorio (ibidem) e a vantaggio di una visione funzionale. In una prospettiva
complessa che mal si presta a un principio di causalità lineare, oggetto d‟indagine è la
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
24
totalita degli eventi, compresenti e in interdipendenza dinamica. Da qui si iniziano a
delineare alcuni temi che caratterizzano il pensiero di Lewin (ibidem):
totalità, o „field theory‟: il costrutto di campo come sistema, attribuendo una
specificità alla dimensione sociale, permette di oservare lo spazio relazionale
nella sua globalità come insieme dotato di una struttura, di particolari
collegamenti interni, in cui si verificano specifici movimenti. Il
comportamento sarà quindi influenzato, attraverso la presenza di forze
intermedie, dalle persone così come dal contesto. Alla luce di tali
considerazioni diventa possibile fondare una ricerca sui sistemi di relazioni
che caratterizzano il gruppo, quindi di strutturarne un modello interpretativo
capace di superare una visione riduzionistica e categoriale. Questa
concezione sarà dominante nello sviluppo della psicologia sociale;
„hic et nunch‟, o principio della contemporaneità: le caratteristiche di un
evento dipendono dalla configurazione dei rapporti in quel campo, in quel
momento. Questo assunto risulta centrale nella metodologia del training-
group;
action-research: una visione dinamica e onnicomprensiva, capace di
integrare l‟oggetto di indagine con l‟ambiente, permette di superare lo studio
della dinamica di gruppo avviando un‟analisi del cambiamento sociale in cui
la ricerca diventa al contempo strumento di trasformazione, quindi di
intervento. Sono proprio il cambiamento e l‟apprendimento obiettivi da
perseguire nei T-group.
Il gruppo lewininano rappresenta un laboratorio sociale che attraverso la
sperimentazione dei rapporti interpersonali integra finalità di osservazione interattiva e
consapevolezza esperienziale trovando la sua naturale trasposizione nello sviluppo
organizzativo (Ruvolo, Di Blasi, Neri, 1995).
Bion. Bion riconosce una specifica dimensione psichica al gruppo e lo
concepisce come oggetto dell‟analisi: l‟atteggiamento del terapeuta resta psicoanalitico
e il gruppo è trattato come fosse un individuo (Di Maria e Lo Verso, 1995). Ampliando
l‟idea freudiana che «la psicologia individuale è al tempo stesso fin dall‟inizio
psicologia sociale» (Freud, 1921; p.), per Bion (1961) ci sono delle caratteristiche
dell‟individuo di cui non si può comprendere il significato se non ci si rende conto che
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
25
fanno parte del suo patrimonio di „animale sociale‟ e la cui attività non può essere
rilevata se non si cerca di osservarla nel terreno del gruppo: la gruppalità dell‟individuo
è intrinseca al suo psichismo e prescinde dalla reale presenza del gruppo (Profita e
Venza, 1995).
Nei suoi lavori presso la Tavistock Clinic con piccoli gruppi di psicoterapia,
Bion sviluppa, avvalendosi degli strumenti concettuali della psicoanalisi kleiniana, una
teoria secondo la quale l‟individuo, nel partecipare ad un gruppo, regredisce ad un
livello molto primitivo di funzionamento mentale, che comporta la perdita parziale della
propria individualità e la tendenza spontanea ed inconscia (valenza) a combinarsi con
gli altri partecipanti condividendo lo stato emotivo prevalente (assunto di base) (Profita
e Venza, 1995). La vita mentale di un gruppo, infatti, include situazioni emotive molto
potenti e primitive, che non necessariamente favoriscono il raggiungimento degli
obiettivi stabiliti, ma che testimoniano l‟esistenza di un sistema protomentale fatto di
stati emotivi profondi, e di assunti di base comuni al gruppo nel suo insieme. Una parte
della vita mentale del gruppo resta comunque ancorata alla realtà, al processo
secondario ed agli obiettivi coscienti per cui il gruppo si riunisce: Bion (1961) definisce
questo aspetto gruppo di lavoro. Le due mentalità di gruppo, assunto di base e gruppo di
lavoro, rappresentano due modalità di pensiero coesistenti e contrapposte come lo
possono essere emozioni ed intelletto (Profita e Venza, 1995), non vanno cioè intese
come fasi o momenti di una sequenza. Piuttosto esse costituiscono un conflitto
irriducibile tanto per il gruppo nel suo insieme, quanto per l‟individuo che, se partecipa
al gruppo di lavoro, si sente deprivato di calore e forza; se aderisce al gruppo in assunto
di base, avverte di venire messo nell‟impossibilità di perseguire i propri fini come
individuo che pensa e riflette (Neri, 1995).
Il gruppo per Bion (1961; 108) è un «insieme di persone che si trovano tutte allo
stesso grado di regressione» per effetto delle restrizioni derivanti dal contatto con la
dimensione affettiva gruppale (Profita e Venza, 1995) che sollecita nell‟individuo delle
reazioni di difesa. Gli assunti di base sono (Bion, 1961):
dipendenza, quando il gruppo si orienta emotivamente a cercare una figura di
leader idealizzato da cui dipendere integralmente per tutte le decisioni
necessarie, per il soddisfacimento dei propri bisogni emotivi, quindi di un
capo da cui essere „nutrito‟;
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
26
attacco-fuga, quando il gruppo è orientato a individuare un nemico esterno e
a cercare un leader capace di mobilitare le forze del gruppo per attaccare o
per evitare il nemico;
accoppiamento, quando il gruppo si dispone in attesa della „venuta di un
messia‟, ovvero di un evento risolutore, di un‟idea nuova o di un oggetto
idealizzato che giunga a salvare il gruppo. Tale evento in realtà non dovrà
mai realizzari pena la scomparsa della speranza e dell‟attesa.
Secondo una prospettiva evoluzionista questi assunti sarebbero collegati a
imperativi biologici presenti nei gruppi umani, rispettivamente (Schermer, 1992):
allevamento ed educazione della prole, protezione da paricoli interni ed esterni,
riproduzione della specie.
Gli assunti di base afferirebbero ad un sistema protomentale, «in cui il fisico e lo
psicologico o mentale si trovano in uno stato indifferenziato [...]. È da questa matrice
che hanno origine gli stati emotivi propri di un assunto di base che rafforzano,
pervadono e, in alcune occasioni, dominano la vita mentale del gruppo» (Bion, 1961;
109).
È proprio l‟applicazione del metodo analitico ad un gruppo piuttosto che ad un
individuo che fa dubitare Bion della validità del suo operato. Viene così portato ad
interromperlo e a rivedere il suo lavoro sui gruppi condotto in senso individualistico-
kleinniano (Di Maria e Lo Verso, 1995).
Foulkes. Psichiatra e psicoanalista inglese di adozione, padre della
gruppoanalisi, Foulkes riporta nelle sue esperienze con il gruppo la concezione
matriciale delle reti neurologiche di Goldstein, la teoria della Gestalt e le influenze degli
scritti di Burrow, distinguendo sia su un piano teorico che tecnico l‟analisi mediante il
gruppo, o psicoterapia analitica di gruppo, dalla psicoanalisi (ibidem). La considera una
forma di psicoterapia praticata dal gruppo nei confronti del gruppo, incluso il suo
conduttore (Foulkes, 1964).
Principi su cui basa il metodo riguardano (Profita e Venza, 1995):
il leader: rappresenta la variabile più importante e deve utilizzare la propria
abilità nei migliori interessi del gruppo, deve seguirlo e guidarlo verso la sua
meta legittima, aiutarlo a far fronte aglie elementi distruttivi e autodistruttivi
rendendoli non necessari. Per svolgere bene la sua funzione è necessario che
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
27
riconosca e rispetti i confini dinamici della situazione, che sappia e accetti
ciò che può o meno fare e dire. Principali compiti del conduttore sono
(Foulkes, 1948): 1. svezzare il gruppo dall‟essere guidato; 2. astenersi dagli
argomenti preordinati, dai programmi o dalla discussione sistematica; 3.
rimanere, come persona, distaccato sullo sfondo;
la situazione totale: concetto si set/setting che denuncia l‟orientamento
olistico dell‟autore, comprende tutte le circostanze oggettive della realtà e le
regole, esplicite o implicite, considerata come schema di riferimento per le
operazioni e la comprensione degli eventi osservabili, sottende il concetto
che nella pratica è essenziale che le relazioni nascoste vengano portate alla
luce;
il setting: le persone coinvolte vanno riunite regolarmente per una
discussione franca e un interscambio di punti di vista, integrando ciò con
discussioni libere in gruppi più piccoli; obiettivo è la massima
consapevolezza e comunicazione reciproche.
Foulkes divide i gruppi in „operativi‟ o vitali: in cui insorgono realmente
conflitti, in cui si instaurano processi terapeutici e che possono essere oggi definiti di
intervento psicosociale; gruppi formati a fini speciali: composti da individui non
collegati, in cui si instaurano processi di apprendimento (Profita e Venza, 1995).
Per l‟autore l‟individuo singolo non può rendere conto di nessuna condizione
psicopatologica ma lo considera come anello di una lunga catena, punto nodale di una
rete di interazione, vera sede questa dei processi che portano tanto alla malattia che alla
guarigione (Foulkes, 1964). Psicopatologia, identità psichica ed esistenza umana hanno
luogo e acquistano senso solo in riferimento a reti dinamicamente interattive di
relazioni, a processi transpersonali; tali processi hanno una dimensione attuale, o
orizzontale, sfondo in cui ha luogo l‟interazione fra chi condivide una rete e dei
significati; una dimensione transgenerazionale, o verticale, una sorta di eredità culturale
che sostanzia le quote affettive inconsce (Profita e Venza, 1995). La mente stessa
sarebbe una struttura matriciale, detta matrice personale, la rete di comunicazione
inconscia che ha luogo nei gruppi e da senso condivisibile ai fenomeni e agli eventi
osservabili è detta matrice dinamica (ibidem). Secondo questa idea tutti i membri,
terapeuta compreso, parteciperebbero a un movimento terapeutico.
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
28
Negli sviluppi teorici di questi tre autori eterogenei per interessi ed esperienze
denominatore comune sembrano: 1. l‟imprescindibilità nella dimensione individuale di
una componente sovraordinata che emerge chiaramente nelle situazioni di gruppo; 2.
una concettualizzazione del gruppo come insieme che diventa vertice strutturante: sono
i concetti di campo come sistema dinamico, di valenza come tendenza auto-
organizzatrice, di matrice come rete interattiva di relazione.
2.4 La fase di innovazione
Nel tempo vengono a crearsi dei punti di particolare interesse per la ricerca sui
gruppi, esempi antipodici sono la Tavistock Clinic di Londra e l‟Esalen Institute in
California. In luoghi come questi vengono proposti degli utilizzi sperimentali del
gruppo che al contempo permettono di esprimere le conoscenze già note e di
svilupparne di nuove. Il consolidamento scientifico viene a sovrapporsi con la fase di
rinnovamento sociale del dopoguerra creando un ambiente che risulta particolarmente
favorevole allo sviluppo dei setting gruppali. È in questo periodo che, coadiuvata dal
pensiero di Maslow che parla di gerarchia dei bisogni, di autorealizzazione come piena
autenticità e accettazione di sé, di creatività come rapporto aperto con la realtà e
l‟esperienza (Maslow, 1954), si sviluppa la psicologia umanistica. Questa si basa sui
principi di centralità della persona e del significato soggettivo dell‟esperienza (Guistie
Rosa, 2006), su una visione dell‟uomo come agente attivo e responsabile del proprio
sviluppo, dotato di risorse e di un potenziale da valorizzare (Rogers, 1951). A differenza
dei primi setting applicati nella clinica, eminentemente duali, in questo momento storico
i maggiori rappresentati delle nuove tendenze fanno ampio ricorso al setting di gruppo,
anche sperimentandone differenti forme. Il gruppo come peculiare organismo sembra
diventare il catalizzatore di un ritrovato interesse sociale, psicologico e culturale.
La nuova concezione positiva nella pratica si sostanzia anche nel linguaggio
chiamando il paziente „cliente‟ e il terapeuta „facilitatore‟ o „agevolatore‟. È Carl
Rogers (1959) che conferendo rilievo al cliente piuttosto che sul modello teorico parla
di „terapia centrata sul cliente‟ e „gruppi di incontro‟. Definisce inoltre l‟importanza
clinica di un rapporto empatico basato sulle caratteristiche del terapeuta (Rogers, 1957):
congruenza, come superamento dell‟adesione ad un ruolo ideale; genuinità, come
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
29
prerequisito per un clima di reciproco riconoscimento umano e di fiducia; accettazione
incondizionata, come rinuncia a voler indurre un cambiamento esprimendo giudizi,
accettazione che trova espressione in un atteggiamento non direttivo; empatia, come
comprensione interiore che si manifesta in un incontro tra individui distinti e separati. In
questo modo al cliente vengono riconosciute volontà, capacità di scelta, intenzionalità:
condizioni capaci di realizzare un autentico „incontro terapeutico‟ (May et al., 1958).
Particolarmente attivo nell‟Esalen Institute è Franz Perls, psicoanalista che fonda la
terapia della Gestalt: un modello basato sul contatto organismico con i bisogni e sul
ripristino, attraverso l‟esperienza nel „qui ed ora‟, del processo ciclico attraverso cui è
possibile soddisfare un bisogno, fisiologico o psicologico (Perls, 1969). Lo stesso luogo
vede molto attivo Will Schutz che combina con il processo tipico dei gruppi di incontro
di Rogers una varietà di metodi come lo psicodramma di Moreno, l‟analisi
bioenergetica, la consapevolezza corporea, tecniche immaginative e le tecniche
cosiddette „attive‟ (Schutz, 1973).
A livello metodologico nei primi anni ‟60 si assiste alla comparsa oltre che dei
gruppi di incontro (Rogers, 1970), di gruppi „maratona‟ (marathon group), ovvero stage
intensivi che vedono un gruppo riunito ininterrottamente per diverse ore o giorni,
utilizzati principalmente per finalità di crescita personale (Rogers, 1970; Yalom, 1970);
gruppi di sensibilizzazione e consapevolezza (sensitivity training), anche detti gruppi di
addestramento o „laboratori di Bethel‟, un‟estensione dei più classici T-group di Lewin,
organizzati e supportati istituzionalmente all‟interno di un progetto denominato
National Training Laboratories, organizzati in una fase condotta come un gruppo di
incontro, una seconda di retroazione tra conduttore e osservatori in cui possono essere
presenti e intervenire anche i membri (ibidem); gruppi „Synanon game‟, una delle prime
forme di comunità terapeutiche strutturate per il trattamento dell‟abuso da sostanze in
cui sono previste riunioni in gruppo denominate „game‟ (Rogers, 1970); gruppi Gestalt,
gruppi terapeutici non strutturati in cui l‟attività verbale viene integrata con l‟esperienza
corporea (ibidem). I gruppi di auto mutuo aiuto, che hanno visto i loro antecedenti nella
pratica di Adler già negli anni ‟20, l‟istituzione della Alcoholics Anonymous e i gruppi
dei dodici passi (Twelve-Step) nel 1937, registrano una notevole diffusione
abbracciando una varietà di forme che includono nuove dipendenze, come dal sesso, dal
gioco o dal cibo, particolari condizioni mediche, come ad esempio pazienti affetti da
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
30
cancro o poliomelite; in altri casi assumono rilevanza sociale come nei gruppi di
genitori con figli oggetto di discriminazione, come disabili o gay/lesbiche (Rosenbaum
e Berger, 1963). Altra innovazione sono le prime forme di terapia familiare e, forse
meno metodologicamente rilevanti ma di grande diffusione, i gruppi espressivi e di arte
terapia, anche detti seminari di creatività (Rogers, 1970).
A dispetto delle profonde innovazioni che caratterizzano gli anni ‟60 i decenni
successivi non registrano un progressivo avanzamento del lavoro con i gruppi, piuttosto
vedono uno stagnamento delle prassi e, probabilmente, lo spostamento dell‟interesse
scientifico su altri settori di ricerca e applicativi. Il ricorso al setting gruppale dopo aver
incontrato l‟interesse di istituzioni ed enti privati dedicati alla ricerca sembra spostarsi
lentamente verso la pratica nella libera professione. I centri che erano stati il fulcro della
diffusione e dell‟innovazione continuano la loro attività di centri specializzati.
2.5 Esempi di intervento in setting gruppale
Per illustrare le possibilità di impiego e le caratteristiche dell‟intervento in
setting gruppale vengono presentati degli esempi di modelli che hanno contribuito alla
diffusione del lavoro clinico e formativo. In questa breve rassegna, suddivisa in modelli
di matrice psicoanalitica e non psicoanalitica, per ognuno vengono forniti i tratti storici
e teorici essenziali.
Gli orientamenti di matrice psicoanalitica che seguono, la gruppoanalisi, i gruppi
operativi, i gruppi Balint e i gruppi interattivi, sono accomunati da formulazioni
teoriche in cui è presente una concezione gruappale dell‟individuo, superando una
posizione individualistica squisitamente psicoanalitica (Profita e Venza, 1995), ma
condividono teorie e tecniche di intervento ispirate alle elaborazioni psicoanalitiche.
Gruppoanalisi. Come già detto questo modello si sviluppa a partire dal lavoro
di Foulkes intorno gli anni ‟40. Il gruppo viene concepito come il luogo di
comunicazioni inconsce in cui i fenomeni emergenti costituiscono „figure‟ che
prendono forma sul „campo-sfondo‟ del gruppo (Foulkes e Anthony, 1959). Ciascun
partecipante, conduttore incluso, prende parte a un movimento complessivo (matrice
dinamica) fatto di comunicazioni, interpretazioni o fraintendimenti che, a seconda della
propria risonanza particolare verso un altro partecipante o la „situazione totale‟,
assumono una forma significativa (ibidem). La „situazione gruppoanalitica‟ prevede che
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
31
un gruppo di persone, in genere otto, si incontrino periodicamente alla presenza di un
conduttore al fine di produrre ed analizzare i prorpi sintomi e modi di interagire al fine
di giungere ad una risoluzione dei conflitti verso forme di esistenza più adeguate
soddisfacenti (Profita e Venza, 1995). Condizioni prestabilite sono: nemero di
partecipanti, durata e frequenza delle sedute, luogo di svolgimento; principi di condotta
richiesti sono regolarità e puntualità nella frequenza, astinenza come astensione dal
contatto fisico e da rapporti privati (ibidem). Attraverso una partecipazione collettiva
compito del conduttore è di mettere a disposizione come persona la propria conoscenza,
esperienza e istruzione per consentire e rendere visibile l‟espressione dell‟interazione
intrapsichica, in modo che i membri possano diventare consapevoli delle dinamiche in
atto mediante similarità o contrasto (Foulkes e Anthony, 1959). Quindi il conduttore
interviene nei momenti di necessità per rimuovere gli ostacoli o attirare l‟attenzione
verso una „discussione liberamente fluttuante‟, equivalente della libera associazione con
valore interpretativo, in cui sviluppare una „cultura interpretativa‟ alla quale i pazienti
partecipano consciamente (Profita e Venza, 1995). Attraverso l‟analisi del transfert in
azione è il gruppo il focus e il fattore terapeutico principale (ibidem).
Lo sviluppo del modello si è esteso nei paesi dell‟Europa, dell‟America del Sud
e del Nord, l‟Australia e il Giappone (ibidem), trovando applicazione anche in setting
diversi come gruppi mediani e allargati (De Maré, 1990) e settori come quello
organizzativo, in particolare le istituzioni sanitarie, e la terapia familiare (Profita e
Venza, 1995).
Gruppi operativi. Si sviluppano a partire dagli anni ‟50 ad opera di Pichon-
Rivière proponendo un‟integrazione della psicologia lewiniana e gestaltista con la
psicoanalisi da orientamento kleiniano. Al lavoro di gruppo partecipano un conduttore,
un osservatore e circa nove partecipanti e la finalità è di mobilitare, elaborare e
rimuovere le strutture stereotipate di pensiero che originano dall‟ansia determinata dal
nuovo legame e dall‟insicurezza che ne deriva (ibidem). Secondo questo modello nel
gruppo nascente si crea una diffusa insicurezza e instabilità: l‟ansia intesa come
incapacità di sopportare ed elaborare una quantità di sofferenza, che si manifesta nella
dinamica tra singolo e gruppo in una serie di alterazioni che tendono a scaricarsi sul
singolo, conduce il gruppo nel suo insieme ad assumere un modello di pensiero e di
azione a carattere difensivo (Pichon-Rivière, 1977). Nel gruppo operativo la
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
32
comunicazione, l‟apprendimento e la risoluzione dei compiti coincidono con la terapia
creando un nuovo sistema di riferimento (ibidem). Obiettivo di questo gruppo centrato
sul compito è la trasformazione del gruppo stereotipato in un gruppo di lavoro centrato
sul chiarimento, trasformazione che attraversa quattro fasi processuali e che permettono
l‟assunzione di ruoli funzionali (Profita e Venza, 1995).
Gruppi Balint. Nati negli anni ‟50 dalle esperienze di Balint, psicoanalista
ungherese, alla Tavistok Clinic si rivolgono essenzialmente a medici ed operatori
sanitari e rappresentano una prima modalità di diffondere una formazione psicologica al
di fuori delle società psicoanalitiche (Agresta, 2007). Basati sulla discussione di singoli
casi presentati da un relatore sotto l‟osservazione di uno psicoteraputa, si prefiggono il
superamento di problemi emozionali e relazionali incontrati nella prassi ambulatoriale
dei medici. Questi gruppi insistono su un addestramento alle competenze relazionali che
prende in esame gli aspetti emotivi e non verbali della comunicazione nella
consultazione medica (ibidem). Obiettivo del lavoro in una visione globale della
persona è usare se stessi per capire l‟altro (ibidem) in modo che la comprensione che si
realizza nel gruppo Balint tra i partecipanti e il relatore possa trasferirsi al di fuori dal
setting di gruppo tra il medico e il paziente permettendo di trovare risposte adeguate.
Pur assomigliando nell‟impostazione ad un lavoro di supervisione e pur facendo leva su
dinamiche controtransferali i gruppi Balint possono essere considerati gruppi di
formazione.
Gruppi interattivi. Di istituzione più recente questi gruppi pungono l‟accento
sugli aspetti comunicativi tra i partecipanti, dando importanza alla funzione che ricopre
l‟individuo e alle comunicazioni che mobilita. Assunto è che gli invidiui tendono a
ignorare la funzione comunicativa del proprio comportamento affermandone quella
esecutiva, per questo il gruppo interattivo valorizza tutto ciò che accade nel gruppo
sotto forma di atti, gesti, parole, ponendo quendi particolare attenzione nel presente.
Questo ne fa degli strumenti con valenza sia psicoterapeutica, sia formativa che
didattica (Profita e Venza, 1995).
Vengono illustrati anche degli orientamenti di matrice non psicoanalitica: lo
psicodramma, i T-group, i gruppi gestalt e i gruppi di incontro.
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
33
Psicodramma. Fondato da Moreno, psichiatra e sociologo che sostiene la
valenza terapeutica della libera espressività, il modello evolve nei primi decenni del
secolo scorso dalle esperienze viennesi con il Teatro della spontaneità (ibidem) e
rappresenta una delle prime forme di intervento in setting gruppale (Montesarchio e
Margherita, 1995). Alla base vi è un concetto di sofferenza psichica come effetto della
coartazione culturale della spontaneità e della creatività, che possono invece esprimersi
attraverso la catarsi, cioè inscenando e agendo le costrizioni e i condizionamenti che
impediscono di rapportarsi pienamente con se stessi e di vivere relazioni autentiche,
quindi liberando le energie represse (Profita e Venza, 1995). Il ruolo del gruppo è
centrale come spazio psichico di condivisione, interazione ed elaborazione dei ruoli –
sociali, professionali, familiari – che nel loro coesiste all‟interno dell‟individuo possono
creare conflittualità interiore (Montesarchio e Margherita, 1995). Il gruppo diventa
inoltre un luogo in cui è possibile una sperimentazione senza rischi. Attraverso la
manifestazione drammatizzata di bisogni e sentimenti, diventa possibile riconoscere
punti critici del modo di rapportarsi alle costruzioni sociali consentendo la
mobilitazione di energie affettive e aprendo la strada ad un cambiamento (Profita e
Venza, 1995). Le sessioni non hanno un tema prestabilito, che emerge
progressivamente, i partecipanti possono assumere reversibilmente il ruolo di spettatore
e attore, il lavoro è organizzato in fasi e il terapeuta, detto direttore, assume la funzione
di regista (Montesarchio e Margherita, 1995). Le fasi del lavoro sono (ibidem):
preparazione: in cui il gruppo si focalizza su un tema comune e sceglie un
protagonista/soggetto, ovvero la persona che inscena il tema. Il direttore
potendo contare sulla collaborazione di altri membri, detti io-ausiliari,
coadiuva un riscaldamento affinché, prima di andare sul palcoscenico, tutte
le parti entrino nella situazione da rappresentare;
azione: il protagonista è libero di esprimersi spontaneamente facendo come
se illusione e realtà fossero la medesima cosa; il direttore può intervenire
nella rappresentazione tramite gli io-ausiliari al fine di favorire l‟emergere di
emozioni e provocare la catarsi: attraverso la rottura delle resistenze è per
Moreno la riuscita e la fine della terapia;
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
34
condivisione: il rientro nel gruppo, in cui tutti posono esprimersi e in cui il
protagonista può beneficiare delle esperienze e delle opinioni altrui,
rappresenta la catarsi di gruppo.
Pur essendo una tecnica centrata sull‟individuo lo psicodramma attraverso l‟eco
del gruppo, che funge da cassa di risonanza solo nella fase finale, aggiunge e restituisce
una dimensione collettiva all‟esperienza individuale (ibidem).
Questo modello attribuisce un ruolo ugualmente importante all‟azione, alla
rappresentazione tramite la messa in atto, come alla parola, veicolo privilegiato di
confronto, riflessione e consapevolezza, e ha quindi finalità sia espressive che
trasformative (Profita e Venza, 1995). Moreno sostenendo che l‟attore rappresentando il
dramma se ne libera non lascia una vera teoria sullo psicodramma, piuttosto lascia una
tecnica che viene ripresa da altri autori di scuola francese, come Anzieu, che ne sviluppa
una versione chiamata psicodramma analitico, in cui il terapeuta può interagire più
attivamente sulla rappresentazione (Montesarchio e Margherita, 1995).
T-group. La loro applicazione è centrata su finalità di apprendimento e
cambiamento personale, il metodo è portato a battesimo dagli allievi di Lewin negli
anni ‟40, dopo la constatazione che i partecipanti ai corsi di dinamica di gruppo
riportavano un sensibile incremento delle consapevolezze sulle personali modalità di
interagire (Profita e Venza, 1995). Il training-group è un piccolo gruppo composto da
persone che non si conoscono che, per alcuni giorni, si riunisce in più sessioni da un‟ora
e mezza cadauna, possibilmente in una località che permetta una distanza dalle abitudini
quotidiane, sotto la guida di un esperto di dinamica di gruppo: si tratta di un gruppo
autocentrato il cui compito è osservare se stesso nel presente (ibidem). Il conduttore, che
non partecipa alle interazioni, ha il compito di mantenere l‟attenzione del gruppo sulle
interazioni nel „qui ed ora‟, di favorire un clima cooperativo capace di valorizzare
differenze e risorse, di proporre al gruppo una lettura dei processi emergenti (ibidem).
Possono essere presenti anche degli osservatori il cui ruolo è dare un feedback al
conduttore in privato o in una sessione allargata alla presenza del gruppo; la presenza di
osservatori è anche in base agli specifici obiettivi che si pone l‟esperienza, che può
essere centrata ad esempio sulla comunicazione, le relazioni interpersonali, la
leadership, la dinamica di gruppo, i climi organizzativi: in questi ultimi casi il t-group si
può svolgere con sessioni congiunte di più gruppi richiedendo la presenza di uno staff
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
35
più ampio (Ruvolo, Di Blasi, Neri, 1995). Concettualizzati come laboratori in vivo sulla
fenomenologia dei rapporti interpersonali la loro evoluzione li vuole come strumenti del
cambiamento sociale vedono all‟individuo come ultimo e unico veicolo di trasferimento
degli apprendimenti nel contesto quotidiano, quindi come „agente di cambiamento‟
(ibidem). I t-group trovano ampia applicazione in ambito organizzativo.
Gruppi Gestalt. Il modello trova pieno sviluppo negli anni ‟60 ad opera di
Perls, psicoanalista, che nelle sue teorizzazioni attribuisce scarsa rilevanza al concetto di
inconscio propronendo al suo posto il concetto di „forma‟ (Profita e Venza, 1995). Il
paziente in terapia può teatralizzare i suoi conflitti personali e renderli visibili attraverso
l‟aiuto del terapeuta e all‟interno del gruppo, in modo da promuovere un flusso di
consapevolezza all‟interno di una dinamica conscio-inconscio, che nel modello diventa
un‟articolazione dialettica figura-sfondo. Analogamente più che analizzare sentimenti e
contenuti diventa utile attualizzarli e renderli vividi – anche impersonificandoli,
proiettandoli intenzionalmente su un „oggetto‟ esterno, come ad esempio una sedia
vuota –, agevolando cioè un rapporto di immediatezza (ibidem). L‟attività viene
condotta su ogni singolo paziente che diventa figura sullo sfondo del gruppo; ciò non
toglie la possibilità di coinvolgerlo in vario modo nel lavoro del singolo come strumento
di confronto o di amplificazione (ibidem). La terapia è incentrata sul „come‟ e „ora‟,
sull‟espressione in prima persona, sulla consapevolezza corporea, sull‟entrare e restare
in contatto con i vissuti, sul ricorso a tecniche ed esercizi per sollecitare l‟esperienza nel
„qui ed ora‟. In questo modello che adotta un approccio piuttosto direttivo manca quindi
una concettualizzazione che attribuisce al gruppo un valore psicologico, diventa
piuttosto un contesto con cui è possibile interagire.
Gruppi di incontro. Il modello fa riferimento ad una base filosofica
fenomenologico-esistenziale che a cavallo degli anni ‟60 e ‟70 assume fisionomia di un
movimento sociale (ibidem) centrato sui valori dell‟autenticità, dell‟incontro umano e
della responsabilità persoanle. Nel setting gruppale il conduttore ha il compito di creare
e mantenere un contesto relazionale positivo e di reciproca accettazione, in cui ognuno
possa sentirsi progressivamente libero di esprimersi e sperimentare modalità relazionali
(ibidem). Il gruppo di incontro è un‟esperienza tipicamente intensiva che assume le
caratteristiche di un ambiente sociale che accetta e promuove, finendo per diventare una
dimensione intemamente terapeutica capace di contribuire al processo di crescita
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
36
personale: l‟incontro è uno spazio relazionale in cui sviluppare le possibilità di
autorealizzazione (ibidem). L‟agevolatore si pone in termini non valutativi rispetto alla
persona adottando un metodo non direttivo, nella relazione con il paziente piuttosto che
come terapeuta è quindi presente come persona: il corrispettivo diatico del gruppo di
incontro viene definito infatti „terapia centrata sul cliente‟ (ibidem). Particolarità di
questo metodo centrato sulla valorizzazione delle potenzialità individuali sembra essere
creare le condizioni interpersonali affinché la persona possa agire spontaneamente in
direzione della propria realizzazione. Dopo un perido di grande diffusione i gruppi di
incontro sono stati soggetti a critiche metodologiche – il ruolo e la formazione
dell‟agevolatore – ed epistemologiche – gli assunti teorici, le finalità operative, i settori
di applicazione – non essendo chiaramente definibile la loro finalità, che potrebbe
essere ugualmente terapeutica, di crescita personale o di formazione (ibidem).
Principale differenza che sembra emergere da un confronto tra i gruppi di
matrice psicoanalitica e non psicoanalitica potrebbe essere che i primi – a eccezione dei
gruppi Balint – vedono alla dimensione gruppale con una funzione catalizzatrice,
sollecitando nell‟individuo delle reazioni, i secondi sembrano enfatizzare una funzione
facilitatrice, che agevola nell‟individuo delle consapevolezze delle possibilità di azione.
Punto comune sembrerebbe la mancanza di una chiara distinzione tra una valenza
terapeutica e pedagogico-formativa.
2.6 Evoluzione dei paradigmi e cambiamenti sociali
Abbiamo visto come da un ricorso „naturale‟ al gruppo, intriso di superstizione e
perplessità durata fino ai primi decenni del XX secolo, si è giunti ad un approccio più
laico e scientifico. I primi interventi di gruppo hanno una finalità meramente applicativa
– si vedano Pratt e Lazell – e figure centrali sono medici, psichiatri e psicoanalisti.
In una fase di prima espansione il gruppo ha iniziato a ruotare intorno a degli
psicologi che, con le loro ricerche, hanno conferito unitarietà e metodo ad una disciplina
ancora giovane. L‟interesse per i gruppi assume un carattere psico-sociale – prima con
Moreno, poi con Lewin – e un approccio piuttosto sperimentale. Intorno gli anni ‟60
queste voci sembrano iniziare a raggiungere, a prescindere dalle inevitabili differenze
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
37
nel linguaggio scientifico, un certo grado di accordo, allo stesso tempo i settori
applicativi e le tipologie di setting si moltiplicano.
Oggi le neuroscienze, come in una nuova età dei lumi, hanno riportato al centro
l‟uomo, permettendo di rileggere il passato e di comprendere quale fosse il senso di
quella primordiale „natura‟ che ha spinto l‟uomo a riunirsi in cerchio per parlare, per
raccontare di sé e della sua storia, e così creare nuove possibilità di senso nel suo
presente.
A livello metodologico è possibile condurre un‟analisi storica differente ma
parallela a quella già tracciata, prendendo a riferimento alcuni parametri come, ad
esempio, il setting, il significato attribuito al gruppo.
Come abbiamo potuto vedere le prime applicazioni documentate dei setting
gruppali, risalenti al 1800, ne fanno un utilizzo ingenuo, in pressoché totale assenza di
una teorizzazione capace di prefigurare i processi di cambiamento implicati e gli esiti
dell‟applicazione.
Nei primi anni del XX secolo la nascente psicologia si contraddistingue per
l‟emersione di un modello forte, centrato forse più sullo sviluppo di una teoria del
funzionamento umano che sull‟efficacia della prassi. La nascita della „psicologia del
profondo‟, la psicoanalisi, rappresenta allo stesso tempo un limite e, sul lungo termine,
un incentivo, allo sviluppo della terapia in setting gruppale. L‟applicazione di questa
nuova disciplina sembra tradursi operativamente nel ricorso ad un setting piuttosto
rigido e una relazione terapeutica asimmetrica.
Tuttavia in questo contesto spiccano alcune figure che assumono un ruolo
avanguardista nella considerazione della terapia di gruppo, come spiccano all‟interno
della prima generazione di analisti.
Nel periodo a cavallo delle due Guerre continuano ad emergere importanti
applicazioni di interventi in gruppo che non sempre si pongono in continuità con le
precedenti esperienze e sembrano restare dei contributi isolati. L‟interesse sui gruppi
sembra di tipo piuttosto sociale, vedendoli come edizioni su piccola scala di più ampi
gruppi sociali. La visione del gruppo assume una forma pragmatica e ruota intorno gli
aspetti normativi e legati al compito. L‟interesse arriva ad includere il versante
organizzativo.
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
38
In questo panorama se la Prima Guerra fornisce materiale umano per avviare
delle prime forme di lavoro in gruppo, la Seconda Guerra influisce in modo più
importante e diretto con l‟esigenza di trattare ampie popolazioni in modo efficace e in
tempi contenuti. Negli anni successivi l‟applicazione e lo studio dei gruppi subisce
un‟impennata portando questa modalità di intervento all‟attenzione del panorama
culturale, oltre che accademico. Al modello analitico inizia ad affiancarsi l‟approccio
comportamentale. In ambito clinico in questo periodo di espansione si verificano
applicazioni in vari campi e si affermano importanti teorizzazioni sulla gruppalità. Nella
prassi diventano importanti i risultati e le evidenze.
Il periodo successivo va dall‟immediato dopoguerra alla fine degli anni ‟60. Il
panorama applicativo è abbastanza ampio e quello disciplinare sufficientemente
eterogeneo da permettere le prime strutturazioni transteoriche degli sviluppi già
realizzati e, allo stesso tempo, di tentare delle forme di innovazione. Al modello
analitico e comportamentale viene ad accompagnarsi la „terza forza‟, ovvero il modello
umanistico-esistenziale. Questo cerca di affermare la responsabilità del terapeuta
superando un‟applicazione rigida del modello nel setting e nell‟atteggiamento
terapeutico, oltrepassando una visione frammentaria e riduzionistica dell‟uomo, figlia
del comportamentismo, in una visone della clinica centrata sull‟incontro umano. In
questo incontro terapeutico il clinico, assumendo piena responsabilità del suo essere,
può sollevare il paziente dalle forzature dovute alla teoria e al metodo consentendogli
una maggior libertà di sperimentare il proprio modo di essere. Ciò si traduce anche in
una gestione più sostenibile delle regole di setting che possono essere concepite come
esito di un processo negoziale senza perdere il loro valore di garanti del processo
terapeutico. L‟interesse sociale per i gruppi assume una connotazione culturale, nella
prospettiva degli utenti, e scientifica, da parte degli operatori, che applicano i principi
della ricerca-intervento di Lewin in chiave sociometrica utilizzando il gruppo come un
laboratorio in vivo. Tale interesse, soprattutto in America, coinvolge e si riflette anche
sul settore formativo e organizzativo.
Compaiono nuove e specifiche forme di psicoterapia di gruppo insieme ai primi
manuali e vademecum dedicati all‟intervento di gruppo in cui sono sintetizzati le recenti
acquisizaioni scientifiche. In un orizzonte eterogeneo si affermano modelli di intervento
con bassa strutturazione e un setting essenziale, capace di riportare al centro del
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
39
processo la relazione terapeutica – esempio sono i gruppi di incontro ovvero la „terapia
centrata sul clinete‟ di Rogers . Profondi cambiamenti culturali da un lato incentivano
l‟interesse, lo sviluppo e le possibilità di ricerca, allo stesso tempo lasciano sorgere una
varietà di attività in gruppo di estrazione non psicologica che rendono più ampio e meno
chiaro il confine tra approcci scientifici e non scientifici.
Già negli anni ‟90 del secolo scorso negli Stati Uniti la crescente mobilità della
società e lo sviluppo di grandi agglomerati urbani hanno comportato un dissolvimento
delle normali reti di rapporti umani in direzione di un crescente senso di isolamento,
solitudine e una relativa mancanza di comunicazione: in questo scenario è andato
crescendo l‟interesse nei confronti della terapia di gruppo (Rosenbaum, 1990). Occorre
tuttavia precisare che il normale desiderio delle persone di stare insieme per
confrontarsi in attività socializzanti e un gruppo di natura psicologica, caratterizzato
dalla volontà individuale di modificare il comportamento, sono situazioni differenti che
il terapeuta deve tenere in considerazione e di cui deve informare il potenziale
partecipante al fine di evitare vissuti di rifiuto, delusione, rassegnazione, che non
giovano alla motivazione per una proficua applicazione (ibidem).
D‟altronde effetto facilitante per la partecipazione a tale tipologia di attività
scaturito dall‟urbanizzazione si è rivelato l‟anonimato: è nei piccoli centri e nelle aree
rurali che viene riscontrata una maggiore resistenza verso i setting per lavori psicologici
in gruppo (ibidem). Allo stesso tempo:
«Nell‟opulenta società americana moderna la scala delle necessità si è spostata dai
bisogni della sopravvivenza a quelli emotivi. L‟uomo moderno, che nuota
nell‟abbondanza, rivolge ora la sua attenzione al problema „Con chi posso parlare
dei miei problemi personali?‟ […] l‟affiatamento che si sviluppa in un gruppo si
può considerare una forza contraria in una cultura “che sembra decisa a
disumanizzare l‟individuo e a disumanizzare i nostri rapporti umani5”». (Yalom,
1970; 70)
È questo lo scenario presentato da Rogers già nel 1967 che vede l‟uomo
progressivamente privato della normale possibilità di relazionarsi pienamente con se
5 Rogers, C., (1967), The process of the basic encounter group, California, manoscritto non pubblicato
citato da Yalom.
I - LA PSICOTERAPIA E IL GRUPPO: DEFINIZIONI E STORIA
40
stesso attraverso la presenza dei propri simili. La terapia di gruppo, fin dai primordi,
tenta di dare risposta a questa esigenza relazionale. Nel capitolo successivo cercheremo
di tratteggiare in che modo le relazioni plurali del gruppo terapeutico possono
raggiungere una piena efficacia.
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
41
Capitolo II
FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
Introduzione
Il gruppo sembra rappresentare una specifica dimensione di intervento e in anni
recenti sono state differenti le ricerche tese a indagarne le peculiarità cliniche. Tali
indagini hanno intercettato questioni come l‟efficacia della terapia fino a poter
distinguere ciò che i terapeuti cercano di perseguire avvalendosi delle proprie
concettualizzazioni da ciò che sperimentano i pazienti attraverso la propria esperienza.
In questo modo è stato possibile individuare differenti vertici di osservazione sui
molteplici processi attivi all‟interno del gruppo a prescindere dalle particolari
condizioni di applicazione.
Tuttavia in un momento applicativo diventa importante poter definire e
contestualizzare un intervento come in un esperimento è necessario isolare variabili
dipendenti dalle variabili indipendenti. A questa funzione assolve il setting, che viene
illustrato insieme ad alcune variabili alla luce delle possibilità di impiego con un
gruppo. Ad una prospettiva di ordine più teorico viene quindi associata una visione più
pragmatica e procedurale che termina con un‟analisi dell‟atteggiamento del leader come
è stato considerato da alcuni importanti autori classici della psicologia umanistica.
3. La ricerca sul processo e i fattori terapeutici
Differenti ricerche e meta-analisi sembrano convergere sul fatto che l‟efficacia
della psicoterapia non dipenda tanto da fattori specifici legati alla teoria di riferimento
(Luborsky et al., 2002) come l‟analisi del transfert o la ristrutturazione cognitiva, quanto
da fattori trasversali alla tecnica di intervento e comuni ai vari approcci, definiti
aspecifici o comuni (Messer e Wampold, 2002). In questo passaggio dal risultato finale
alla considerazione di cosa accade durante il trattamento, si passa dalla ricerca sull‟esito
alla ricerca sul processo terapeutico (Dazzi, 2006): questi ambiti intendono rispondere
rispettivamente alle domande „la psicoterapia funziona?‟ e „in che modo funziona la
psicoterapia?‟. Da qui un acceso dibattito sembra aver spostato l‟attenzione da una
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
42
visione globale del processo terapeutico verso gli aspetti metodologici adottati nelle
ricerche stesse, piuttosto che nella terapia. Ciò ha portato a risultati controversi e forse
ha allontanato dalle intenzioni originali di definire un panorama generale come punto di
partenza per ricerche mirate a intercettare degli specifici meccanismi di funzionamento.
Quindi la risposta alla domanda „in che modo la terapia di gruppo aiuta le persone?‟
risulta ancora aperta. Tale importante risposta costituisce la „chiave di volta‟ di un
trattamento di gruppo: può risultare preziosa per disporre di un principio organizzativo
capace di orientare un modello di intervento e definire una strategia operativa. Un
tentativo ponderato di risposta è stato avanzato da Yalom (1970), autore molto attivo
nella valutazione del processo terapeutico.
Le principali ricerche per la loro identificazione e definizione (ibidem) sono state
effettuate durante gli anni „50 e „60 del secolo scorso combinando, anche su ispirazione
di Lewin, modelli di ricerca mutuati alla sociometria, indagini statistiche dirette su
gruppi sperimentali, indagini e meta-analisi condotte su lavori già disponibili. Il limite
metodologico è rappresentato dalla soggettività delle risposte date dai soggetti ai
questionari e nei colloqui, dalla difficoltà di operazionalizzare e poi sintetizzare delle
variabili complesse (Lambert e Ogles, 2004), dall‟autoreferenzialità dei paradigmi
(Migone, 2011).
Dopo la prima definizione dei fattori terapeutici, gli sforzi sulla scia del
contributo di Yalom per cercare di definire gli aspetti del processo terapeutico sono stati
numerosi: sono state sviluppate una quantità di scale per valutare (Hasting-Vertino et
al., 1996; Lese, MacNair-Semands, 2000) ed esplorare (Bloch e Crouch, 1985;
Vlastelica et al., 2001; Burlingame, McClendon, Alonso 2011) le qualità peculiari del
trattamento di gruppo. Ad esempio Bloch e Crouch (1985) hanno formulato un modello
che indica l‟autosvelamento (self-disclosure) e la comprensione del sé (self-
understanding) come validi predittori del cambiamento. Più recentemente Dierick e
Lietaer (2008) hanno realizzato un questionario con 28 scale da cui, attraverso l‟utilizzo
di tecniche di analisi fattoriale multivariata, hanno cercato di definire il legame tra i
fattori terapeutici e il loro reciproco grado di interconnessione. Per spiegare il ruolo dei
fattori terapeutici sono state intercettate due dimensioni interpretate come: clima
relazionale (Relational Climate) e attività psicologica (Psychological Work). Un
tentativo promettente di identificare il ruolo dei fattori relazionali all‟interno del
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
43
processo terapeutico proviene da Burlingame, McClendon e Alonso (2011) che hanno
elaborato un questionario fondato su una teoria unificata della relazione gruppale che
individua un modello a tre fattori: legame positivo, capacità di lavoro positiva e
relazione negativa. Questi fattoti vengono incrociati con informazioni specifiche su
quanto le relazioni in gruppo siano significative, analizzandole nei livelli membro-
leader, membro-membro e membro-gruppo. Tale tentativo sembra rappresentare
rispetto al modello di Yalom un momento integrativo e forse di evoluzione.
Questi lavori derivano dall‟applicazione di reattivi psicologici impegnativi per i
pazienti e sviluppati per campioni non strettamente clinici. A integrazione sono stati
sviluppati strumenti più snelli ed efficaci che, pur mantenendo un‟impostazione clinica,
possono essere applicati in una varietà di situazioni, anche nel corso del trattamento
(Caruso et al., 2013). Le dimensioni salienti dell‟esperienza di gruppo emerse sono
sintetizzate in sottoscale (ibidem) poi assimilate ai fattori individuati da Yalom (1970):
1. condivisione di emozioni ed esperienze: raggruppa i fattori universalità, sviluppo di
tecniche di socializzazione, comportamento imitativo; 2. miglioramento del
funzionamento cognitivo: comprende il fattore informazione; 3. apprendimento di
gruppo: sottende la capacità di cogliere ruoli relazionali e regole esemplificando il
fattore apprendimento interpersonale; 4. difficoltà nella libera espressione: implicando
l‟abilità dei terapeuti di creare un ambiente relazionale sicuro e non giudicante libero
dalle costrizioni culturali e sociali consente di individuare le difficoltà che emergono nel
trattamento e di modificare il programma terapeutico per incontrare le esigenze dei
partecipanti; 5. relazioni interpersonali: raggruppa fattori come altruismo, infusione di
speranza, sviluppo di tecniche di socializzazione, catarsi e riepilogo correttivo del
gruppo familiare.
3.1 Meccanismi di cambiamento: i fattori terapeutici di gruppo
Oltre gli sviluppi il contributo di Yalom sembra essere stato „sufficientemente
buono‟ che l‟American Group Psychotherapy Association (AGPA, 2007) 37 anni dopo
la loro definizione ritiene i fattori terapeutici “validi per tutti i gruppi” indicandone la
conoscenza come “fondamentale” per tutti gli operatori del settore.
Come già accennato i „fattori terapeutici di gruppo‟, o fattori curativi, sono i
meccanismi secondo i quali avviene il cambiamento nei membri (Yalom, 1970) e
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
44
interessano, in modo più o meno diretto, tutte le possibili tipologie di attività svolte in
gruppo. Un fattore terapeutico di gruppo può essere considerato come un elemento della
terapia di gruppo che contribuisce al miglioramento di una condizione del paziente: è
funzione delle azioni del terapeuta, degli altri membri del gruppo e del paziente stesso
(Bloch e Crouch, 1985). Differenti approcci al lavoro di gruppo favoriscono l‟azione di
diversi raggruppamenti di fattori. Per esempio (Yalom, 1970):
nel polo informativo/supportivo come i gruppi di auto-mutuo-aiuto (AMA), gli
Alcolisti Anonimi, i fattori sollecitati sono essenzialmente infusione di speranza,
informazione, universalità, altruismo, alcuni aspetti della coesione;
nel polo educazionale/formativo come gruppi di preparazione alla dimissione –
realtà tipicamente americana inserita negli ospedali psichiatrici – fanno ampio
uso dell‟informazione e dello sviluppo di tecniche di socializzazione;
nel polo elaborativo/integrazionale come nei gruppi di terapia classici o a
mediazione corporea – gruppi Gestalt, psicodramma – sono centrali
apprendimento interpersonale e coesione.
I fattori terapeutici vengono anche attivati in differenti fasi del processo terapeutico. Nei
primi stadi di vita il gruppo si preoccupa principalmente della sua sopravvivenza, di
stabilire confini esterni e mantenere la partecipazione (ibidem): emergono nettamente
universalità e infusione di speranza. La prima è inevitabile in quanto i partecipanti
iniziano a confrontarsi e ri-conoscersi, la seconda risponde ad un principio
autoconservativo. Fattori come l‟altruismo e la coesione agiscono trasversalmente per
tutta l‟esistenza del gruppo. La coesione lavora prima come catalizzatore che favorisce
accettazione e partecipazione, successivamente come dispositivo per l‟autostima e
l‟apprendimento interpersonale (ibidem).
I meccanismi che sembrano creare cambiamento nei membri, quindi innescare
un processo opportuno a decretare l‟efficacia di un lavoro gruppale, andando da un
ideale polo che comprende finalità prettamente terapeutiche verso l‟estremo
espressivo/formativo, sono riassunti a seguire. Separati per chiarezza di esposizione
questi fattori agiscono in modo interdipendente, alcuni in modo diretto, altri come
condizioni necessarie per poter innescare il cambiamento. Rappresentando aspetti
diversi del processo di cambiamento i fattori primari sono generali e più complessi:
assumono una maggiore importanza, in termini assoluti e rispetto alla presenza di quelli
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
45
secondari. I fattori primari in realtà non sono precoci nel processo di sviluppo del
gruppo e tendono a presentarsi dopo episodi di relativa conflittualità (ibidem).
3.2 Coesione
Stabilendo un‟equazione tra la terapia di gruppo e individuale la coesione
corrisponde all‟alleanza terapeutica (Yalom, 1970; Burlingame et al., 2002): il clima di
fiducia e accettazione alimentato da sentimenti positivi che viene ad instaurarsi nella
relazione tra paziente e terapeuta che, strettamente connesso con la reciproca
motivazione ad affrontare il trattamento, permette al paziente di mobilitare le sue
risorse. Il rapporto terapeutico su cui fonda l‟alleanza, a prescindere dal paradigma
adottato, è tra i fattori che dimostrano la maggiore efficacia terapeutica (Castonguay et
al., 2006; Norcross, 2002). Il corrispondente nella terapia di gruppo è un concetto più
ampio che comprende il rapporto del partecipante con: 1. il terapeuta di gruppo, 2. gli
altri membri, 3. il gruppo come insieme (Yalom, 1970). Effetto della reciproca
accettazione tra i membri, la coesione è una proprietà fondamentale dei gruppi e indica
l‟attrattiva di un gruppo sui suoi componenti: un senso di appartenenza mantiene il
gruppo unito favorendo la solidarietà e la capacità di difenderlo da minacce interne ed
esterne (ibidem).
In un gruppo coeso si può vedere una frequenza assidua, partecipazione, aiuto
reciproco: questo può aiutare a guardare alla coesione non come un vero fattore
terapeutico, piuttosto come una condizione necessaria e facilitante verso l‟instaurarsi di
rapporti interpersonali leali, significativi, empatici. Sentirsi accettati – come all‟interno
della famiglia o del gruppo dei pari –, quindi uniti, rappresenta un‟esperienza affettiva
importante e nutriente, rara per molti pazienti psichiatrici a causa delle loro particolari
modalità d‟interazione che possono far aumentare l‟isolamento e le convinzioni
disfunzionali su di sé in un circolo vizioso. Appartenenza, accettazione e approvazione
sono della massima importanza per lo sviluppo, oltre che del gruppo sociale,
dell‟individuo (ibidem; Rogers, 1970). La coesione è essenziale per la sopravvivenza
del gruppo e per lo sviluppo degli altri fattori terapeutici (Leszcz e Kobos, 2008).
Yalom (1970) indica che grazie a questa precondizione operativa a livello individuale il
membro (Rogers, 1959):
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
46
è sempre più libero nell‟esprimere i suoi sentimenti, opera maggiori
discriminazioni tra sentimenti e percezioni provenienti dall‟ambiente, da sé,
dagli altri e dalle esperienze, comincia a fare esame di realtà;
consapevolizza l‟incoerenza tra le sue esperienze e il suo concetto dell‟Io
insieme ai sentimenti che precedentemente aveva negato o deformato;
riesce a ricevere senza sentirsi minacciato la considerazione incondizionata e
positiva del terapeuta e provare un‟analoga considerazione di sé;
si trova a sperimentare se stesso come punto di convergenza della natura e del
valore dell‟esperienza;
la sua reazione all‟esperienza è sempre meno coartata e più libera
nell‟intensificare, rendere più efficace e sviluppare l‟esperienza stessa.
I membri possono validare il proprio sistema di valori, consolidare e mantenere a
lungo termine dei comportamenti in risposta alla percezione positiva degli altri e del
gruppo come esperienza complessiva: acquistando una grande importanza l‟uno per
l‟altro i membri possono interiorizzare il gruppo (Yalom, 1970; Rogers, 1970):
l‟accettazione da parte degli altri e l‟accettazione di sé sono interdipendenti e reciproche
(Fromm, 1956) e costituiscono la base per sviluppare autostima (Yalom, 1970).
Attraverso la coesione è come se il gruppo come insieme ricompensasse i singoli
membri che vi aderiscono.
3.3 Apprendimento interpersonale
Questo meccanismo di cambiamento costituito da processi caratteristici della
situazione di gruppo può rappresentare l‟equivalente dell‟insight, l‟elaborazione del
transfert e l‟esperienza emotiva correttiva del setting duale (ibidem): nel capitolo 4
vedremo meglio cosa significhi questa affermazione. Per ora basti dire che l‟attitudine
interpersonale è una qualità intrinseca e distintiva dell‟uomo e che la personalità,
secondo alcune teorie, è quasi interamente il prodotto dell‟interazione con altre persone
significative (Sullivan, 1953): il concetto di sé che un individuo sviluppa è basato sulle
valutazioni che percepisce fatte da chi gli è più vicino.
L‟apprendimento interpersonale permette di confutare, attraverso una
validazione consensuale in un clima di fiducia, le distorsioni paratassiche (ibidem), cioè
la propensione in un contesto interpersonale a relazionarsi con l‟altro sulla base di una
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
47
percezione deformata preesistente piuttosto che sulla base di reali attributi. Rappresenta
un concetto di transfert di più ampia portata che tende a perpetuarsi e a portare a
„profezie che si autoavverano‟. Si acquista invece benessere psicologico nella misura in
cui si diventa consapevoli dei propri rapporti interpersonali (Sullivan, 1940).
Secondo Alexander (Alexander et al., 1946) essenza del trattamento è di esporre
il paziente, in condizioni più favorevoli, a situazioni emotive che in passato non era
riuscito ad affrontare: per essere aiutato deve avere un‟esperienza emotiva correttiva
capace di rimediare la precedente esperienza traumatica. Quando la persona si rende
conto che le sue reazioni non sono adeguate alla situazione terapeutica può riportare tale
consapevolezza anche nel suo quotidiano (ibidem). Il gruppo moltiplica la possibilità di
questo tipo esperienze rispetto il setting individuale e le agevola lasciando emergere
appoggio, prima e dopo l‟espressione emotiva, stimolazione degli affetti, durante, ed
esame di realtà, in una fase di contatto pieno, in un crescendo di tensione che nasce
dall‟espressione di un sentimento negativo, o positivo, raramente verbalizzato e che
tende poi a risolversi naturalmente ripristinando le normali libere interazioni percepite
sotto una nuova luce (Yalom, 1970). In questo caso il gruppo agisce da microcosmo
sociale in cui trovano espressione modalità relazionali coartate che, sottoposte a
riscontro da parte del gruppo, vengono in qualche modo disattese lasciando spazio a
nuove forme di apprendimento e di comportamento: si mette in moto una „spirale
adattiva‟ che nasce nel gruppo e, con il diminuire della preoccupazione e il crescere
dell‟autostima, si sviluppa al suo esterno (ibidem). L‟evidenza del comportamento e dei
suoi effetti è spesso data dal gruppo mentre la consapevolezza di quanto accade
concretamente e delle emozioni, motivazioni e delle relazioni attuali è lasciata al
singolo; il ruolo del leader in questi casi può essere quello di aiutarlo a capire com‟è
arrivato a comportarsi in un certo modo (ibidem).
Sembra che dopo alcuni mesi di gruppo, sfumati gli obiettivi iniziali, i membri
siano più propensi a trovare nuove motivazioni di natura interpersonale alla
partecipazione (ibidem) ed è questo il momento più propizio per l‟apprendimento
interpersonale.
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
48
3.4 Fattori terapeutici secondari: informazione e infusione di speranza
L‟azione di questi fattori è in relazione ai fattori primari, di cui ne coadiuvano lo
sviluppo, e sono spesso reciprocamente collegati tra loro.
Informazione. È quanto di educativo avviene nel gruppo ad opera del leader o
dei membri più esperti. Racchiude semplici informazioni „tecniche‟ sulle modalità di
sviluppo, di azione e sulle implicazioni di determinate modalità relazionali e
comportamentali, spiegazioni sul funzionamento psichico, suggerimenti per la gestione
di particolari momenti dell‟esistenza, insiemi organizzati di nozioni che tipicamente
vengono forniti in modo implicito (ibidem). Esistono anche casi di lavoro con il gruppo
in cui l‟aspetto didattico diventa centrale, nel modello (Marsh, 1935), per la finalità
dell‟intervento, come nei gruppi omogenei di sensibilizzazione, quindi su un versante
preventivo. Nei gruppi AMA, ad esempio, un‟informazione precisa assume un peso
caratteristico.
Spiegazioni, chiarificazioni, confronti su questioni che assumono rilievo per le
persone è di per sé terapeutico riducendo l‟incertezza, accrescendo la consapevolezza e
rappresentando il primo passo verso il controllo di un fenomeno (Yalom, 1970).
Attraverso l‟informazione le persone possono diventare più responsabili e proattive.
Negli scambi tra i membri nelle fasi avanzate della vita del gruppo dare o chiedere
consiglio assume il valore di un reciproco prendersi cura e fornisce indizi utili a
prescindere dall‟aspetto di mero contenuto. Questo stesso processo orizzontale può
sollecitare delle dinamiche relazionali che il gruppo, rispondendo, può rendere palesi.
Infusione di speranza. Indica la fiducia per un sistema di cura che si sviluppa
ascoltando le esperienze simili alle proprie e constatando il miglioramento o le modalità
efficaci che gli altri membri hanno messo in campo per affrontare un problema
(ibidem). Lungi dal voler essere un motivo di eccessivo ottimismo la speranza è utile al
partecipante affinché possa darsi tempo e modo di beneficiare degli altri fattori
terapeutici, inoltre può ben collegarsi con le aspettative di aiuto connesse con l‟adesione
ad un gruppo psicologico. Può essere importante avere una composizione assortita per
grado di maturità e richiamare periodicamente l‟attenzione del gruppo sui progressi fatti
dai singoli e raccogliere le testimonianze (ibidem). In questo modo il gruppo diventa
uno stimolo concreto per i membri.
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
49
3.5 Universalità e riepilogo correttivo del gruppo primario familiare
Universalità. Caratteristica dei disturbi di personalità (DDP) è un quadro
pervasivo di pensieri e percezioni che spesso si traducono in mancanza di relazioni
sincere o in isolamento sociale: situazioni in cui non si può disporre di una franca
verifica del proprio modo di essere. Ciò può acuire la percezione di pensieri, impulsi,
fantasie spaventose o inaccettabili, rinforzandoli. L‟universalità consiste nella smentita
del senso di unicità percepito come distonico potendo ascoltare altre persone che
rivelano pensieri o preoccupazioni simili alle proprie (ibidem). La dimostrazione del
carattere universale di alcuni problemi, ma anche dell‟empatia e della capacità di
comprensione da parte degli altri può lenire la profonda convinzione che molti nutrono
rispetto la propria inadeguatezza, la percezione di alienazione interpersonale e di
incapacità di prendersi cura di sé o degli altri, una serie di segreti e fantasie inerenti la
sfera sessuale: la preoccupazione del proprio valore personale e interpersonale (ibidem).
L‟universalità si collega allo sviluppo della coesione.
Riepilogo correttivo del gruppo primario familiare. Le esperienze fatte nel
primo e più importante gruppo, la famiglia, influiscono sulla storia personale e sulle
esperienze successive. Il gruppo terapeutico, con la presenza di un leader cui si
attribuiscono una conoscenza e un potere superiori, con la possibile competizione tra i
membri e il loro percorso di crescita che li porterà ad abbandonare l gruppo per
guadagnare il mondo assomiglia molto ad una famiglia. Per questo non è raro che riesca
a far riemergere ricordi antichi e porti alla chiusura in chiave rielaborativa delle
esperienze passate. Il riepilogo può essere correttivo nella misura in cui si esprimono
forti sentimenti, non si lascia che i rapporti coartati possano perpetuarsi incoraggiando
l‟esame di realtà nel presente e la sperimentazione di nuovi comportamenti (ibidem).
3.6 Altri fattori terapeutici secondari
Altruismo. Per tutto il corso della terapia i partecipanti si aiutano l‟un l‟altro.
All‟interno di un gruppo terapeutico è possibile condividere appoggio, rassicurazioni,
intuizioni, problematiche e l‟esperienza di poter avere qualcosa da offrire agli altri
membri, scoprire di poter essere importanti per gli altri alimenta una percezione di sé
positiva sviluppando l‟autostima: la gente ha bisogno di sentirsi utile (ibidem).
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
50
Sviluppo di tecniche di socializzazione. Lo sviluppo e l‟apprendimento della
socialità è insito nei gruppi di ogni tipo benché in modo più o meno esplicito. Nei
gruppi in cui si utilizza il feedback i membri possono ottenere numerose informazioni
sui limiti e sui punti di forza del loro comportamento sociale, come comportamenti che
mettono in atto o come impressioni che suscitano negli altri (ibidem). Le abitudini
sociali disfunzionali possono perpetuarsi meglio quando restano sconosciute a chi le
attua. Il gruppo rappresenta per molti pazienti la prima opportunità di mettersi di fronte
ad uno specchio. Lo sviluppo delle tecniche di socializzazione ha il suo acme
terapeutico nell‟apprendimento interpersonale.
Comportamento imitativo. Come ha evidenziato Bandura (Bandura et al.,
1963) l‟apprendimento per imitazione è un fenomeno ubiquitario e contingente al vivere
sociale. Il comportamento imitativo non consiste nel semplice copiare persone più
capaci, assume piuttosto un valore terapeutico nell‟innescare un processo di collaudo di
nuovi comportamenti, in questo processo si può scoprire „ciò che si è‟ per progressiva
differenza da ciò che si imita (Yalom, 1970). Il comportamento imitativo rappresenta
una base per l‟apprendimento di nuovi e più funzionali adattamenti.
Catarsi. Questo fattore sembra giocare un ruolo all‟interno di ogni forma di
intervento psicologico e, dagli stessi resoconti dei pazienti, la forte espressione di
affetto è considerata parte indispensabile del processo terapeutico, tuttavia la catarsi di
per sé non rappresenta un obiettivo: non produce modificazioni del comportamento
(ibidem). Il suo ruolo diventa importante all‟interno di un concomitante processo
interpersonale. L‟espressione e l‟elaborazioni reciproca di forti sentimenti assume una
funzione nello sviluppo della coesione. L‟espressione di un forte sentimento è inoltre
collegata all‟esperienza emotiva correttiva, ovvero l‟importanza dell‟apprendimento
interpersonale è proporzionale alla forza che assume per l‟individuo l‟affetto espresso
(ibidem).
3.7 Verso un approccio client-based
In un lavoro comparativo effettuato da Yalom (ibidem) sembra che:
a) la descrizione tecnica dei fattori curativi per ordine di importanza: 1. coesione, 2.
apprendimento interpersone, 3. informazione, 4. infusione di speranza, 5.
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
51
universalità, 6. altruismo, 7. riepilogo correttivo del gruppo familiare, 8.
sviluppo di tecniche di socializzazione, 9. comportamento imitativo, 10. catarsi;
b) li ponga in un ordine diverso da quello considerato saliente dai terapeuti: 1.
coesione, 2. universalità, 3. apprendimento interpersonale, 4. riepilogo correttivo
del gruppo familiare, 5. altruismo, 6. comportamento imitativo, 7. informazione,
8. catarsi;
c) a sua volta differente da quello riferito in un gruppo sperimentale: 1.
apprendimento interpersonale, 2. catarsi, 3. coesione, 4. universalità, 5. infusione
di speranza, 6. altruismo, 7. riepilogo correttivo del gruppo familiare.
Le prospettive di terapeuti e pazienti su quanto avviene all‟interno del processo
terapeutico sembrano piuttosto differenti. Riassumendo, parlando di fattori decisivi
all‟esito positivo i terapeuti a livello teorico danno molta importanza all‟emersione di
consapevolezza dei comportamenti e alla correlazione con esperienze infantili e sintomi
manifesti, mentre i pazienti nella loro percezione dell‟esperienza di gruppo pongono
l‟accento sugli elementi personali del rapporto, sull‟incontro con un nuovo tipo di figura
di autorità, sulla mutata immagine di sé e degli altri, ignorando gli argomenti cari ai
terapeuti (ibidem). Colpisce che pazienti e terapeuti si riferiscono alla stessa esperienza
traendone due speculazioni differenti, forse complementari.
Da simili considerazioni nascono due approcci alla terapia (APA, 2005). Uno
centrato sull‟evidenza clinica (evidence-based) che enfatizza l‟applicazione di modelli
teoricamente validati, adotta scelte sul trattamento a partire dagli indici di efficacia
ricavati da campioni randomizzati e da particolari trattamenti usati per particolari
condizioni cliniche: un modello basato sul disturbo. Un approccio alternativo è centrato
sul paziente (client-based) che integra i dati scientifici con la capacità clinica applicata
ad una particolare popolazione di pazienti, un atteggiamento capace di considerare le
caratteristiche, cultura e abitudini del paziente. La tendenza più attuale sembra assumere
direzione centrata sul paziente (ibidem).
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
52
4. Fasi evolutive del gruppo
4.1 Dinamica di gruppo e fasi evolutive di gruppo
L‟espressione dinamica di gruppo viene utilizzata per indicare i processi che
interessano un gruppo influenzandone lo sviluppo e la condotta (Lewin, 1951), in
particolare si riferisce al contrasto di forze che agiscono al suo interno fino al
raggiungimento di un livello di equilibrio. Nel gruppo si stabiliscono legami e tensioni
che derivano dall‟interferenza fra condizioni individuali, caratteristiche di ciascun
partecipante, e gruppali, dovute alle interazioni sociali e con l‟ambiente esterno (Spaltro
e De Vito Piscicelli, 2002). Obiettivo finale della dinamica di gruppo come metodo di
analisi e al contempo di intervento viene espresso nel raggiungimento di tre differenti
finalità (Lewin, 1951):
portare i membri a una maggiore consapevolezza e padronanza di possibilità
e responsabilità personali;
sollecitare una maggiore efficacia e maturità sociale in modo da attuare i
processi necessari allo sviluppo del gruppo;
assumere tale processo indirizzandolo anche nell‟ambito di organizzazioni
complesse, quindi ad un livello sovraordinato.
La dinamica di gruppo si propone quindi, evidenziando i caratteri comuni che
sono rintracciabili all‟interno di ogni gruppo, di analizzare l‟andamento delle relazioni
all‟interno del gruppo, definendone la sua struttura e la sua evoluzione (Mucchielli,
1968). Il lavoro di Lewin (1951) viene a svilupparsi da un vertice psicologico e
sociologico, capace cioè di affrontare il problema sia dal punto di vista soggettivo che
interpersonale. Successivamente i contributi offerti dai diversi autori rendono più
complesso il paradigma di analisi introducendo principi interpretativi anche molto
distanti fra loro, come ad esempio la sociometria (Moreno, 1964), il paradigma
organizzativo (Mayo, 1946) e il modello gruppoanalitico (Foulkes, 1948), in cui
vengono elaborati il concetto di matrice (ibidem) e di assunti di base (Bion, 1961).
Per poter operare al meglio all‟interno di un gruppo è necessario conoscere la
sequenza evolutiva del gruppo, ovvero la successione dei compiti evolutivi che un
insieme di persone possono incontrare nell‟interagire e nel cooperare verso un obiettivo
che li accomuna (Yalom, 1970). Il terapeuta dovrebbe avere quindi un‟idea chiara di
qual è lo sviluppo naturale e ottimale di un gruppo terapeutico. In questo modo,
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
53
conoscendo lo sviluppo positivo, quello viziato e i blocchi che possono subentrare,
diventa possibile aiutare il gruppo nell‟affrontare ogni fase e nel contrastare gli ostacoli
che si oppongono al loro superamento (ibidem). Inoltre la conoscenza di fasi generali,
come una mappa di un territorio ignoto, può dare al conduttore una sensazione di
padronanza utile a prevenire sentimenti di confusione e frustrazione, fisiologici negli
stadi iniziali del lavoro di gruppo, che facilmente potrebbero trasmettersi ai membri
(ibidem).
Sebbene ogni gruppo terapeutico con la sua particolare composizione attraversi
uno sviluppo assolutamente particolare, individualizzato e in ultima analisi
imprevedibile, esistono delle forze complessive che operano in tutti i gruppi e che
influenzano il corso del loro sviluppo (ibidem). In riferimento a queste forze è possibile
definire uno schema sommario ma utile delle fasi di sviluppo. Non esiste una sequenza
netta secondo cui le fasi si succedono e i confini tra una e l‟altra possono apparire
sfumati, tuttavia certe configurazioni tendono a precedere, altre a seguire secondo un
ordine approssimativo (Rogers, 1970).
Prima di parlare delle fasi evolutive viene fatto un breve accenno alla dinamica
di gruppo (Lewin, 1951) e a un modello di estrazione gruppoanalitica mutuato dalla
psicologia organizzativa (Spaltro e De Vito Piscicelli, 2002).
4.2 Difese, episodi e fenomeni di gruppo
La scuola psicoanalitica considera il gruppo come dotato di un unico apparato
mentale costituito dalle singole menti, definito “mente gruppale” (Spaltro e De Vito
Piscicelli, 2002). Secondo questa concettualizzazione un gruppo nell‟elaborare una sua
identità sviluppa nei singoli un pensiero di tipo prevalentemente primordiale, ponendo
in essere delle caratteristiche configurazioni complessive. Infatti il gruppo viene
considerato da Bion (1961) come un serbatoio comune in cui affluiscono i contributi dei
membri: in questo contenitore è possibile gratificare gli impulsi e i desideri che i singoli
contributi veicolano. Questo passaggio verso una realtà a vertice sociale „chiama‟ a
un‟esternalizzazione delle dinamiche interiori del singolo che mette in atto particolari
comportamenti: i meccanismi di difesa di gruppo rappresentano l‟effetto regressivo
provocato dal gruppo sugli individui (Spaltro e De Vito Piscicelli, 2002).
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
54
L‟assetto gruppale oltre a rappresentare uno spazio di gratificazione, allo stesso
tempo rappresenta per l‟individuo l‟ostacolo maggiore per raggiungere gli obiettivi che
si è posto con la partecipazione (Bion, 1961). Il gruppo viene allora visto dall‟individuo
come luogo della rinuncia dei propri istinti e pulsioni (ibidem) a favore di una
collaborazione e cooperazione con gli altri membri. A partire dalle specifiche
caratteristiche dei singoli e del modo in cui interagiscono si innesca una dinamica che
inizia a strutturare l‟insieme. Il processo evolutivo di gruppo implica il passaggio
attraverso degli assetti contraddistinti da caratteristici comportamenti che i membri
assumono e, in una visione psicodinamica derivata nel settore organizzativo, vengono
considerati tre passaggi. In questo percorso di trasformazione si parla di difese di
gruppo, episodi di gruppo e fenomeni di gruppo (Spaltro e De Vito Piscicelli, 2002).
Difese di gruppo. In una fase iniziale i soggetti sono dominati dall‟incertezza
verso il gruppo e presentano comportamenti che li pongono in una posizione
individulistica o all‟interno di relazioni duali. C‟è la tendenza a rinviare un contatto
interpersonale autentico assumendo posizioni conformistiche e ad affrontare la
situazione nel „qui ed ora‟. Esempi di difese di gruppo sono (ibidem): 1. appaiamento:
interazione fra gli individui a due a due con la complicità del gruppo; 2. fuga nel
passato: ci si concentra su elementi e argomenti legati al passato; 3. fuga all‟esterno:
discussione di argomenti che non sono inerenti al gruppo stesso; 4. fuga in avanti:
presenza di fantasie proiettate nel futuro; 5. provocazione protettiva: continua richiesta
di aiuto per focalizzare l‟attenzione e bloccare lo sviluppo del gruppo; 6. spostamento
del conflitto: deviazione del problema su un piano diverso di disimpegno; 7. confusione
di ruolo: non perfetta percezione del proprio ruolo nel gruppo, evitamento delle
responsabilità, tendenza ad assumere la conduzione del gruppo senza esplicita richiesta;
8. fuga nella virtù: dichiarazione continua di fedeltà al gruppo, elogio dei
comportamenti ritenuti accettati e condivisi; 9. lamento: continua critica della situazione
per evitare di essere coinvolto o per evitare l‟aiuto; 10. assistenza del conduttore:
affiancarsi al leader smarcandosi dal gruppo; 11. attacco e fuga: provocare tensione
rivolta verso l‟interno o l‟esterno; 12. formazione di sottogruppi: variante
dell‟appaiamento con conflitto tra sottogruppi differenti; 13. teorizzazione: eccessiva
verbalizzazione e intellettualismo; 14. personalizzazione dei conflitti: decisione di
trattare i conflitti personali separatamente dal gruppo.
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
55
Episodi di gruppo. In una fase successiva l‟individuo inizia a presentare dei
comportamenti che, anche attraverso l‟indifferenza o l‟attesa, iniziano a porre in essere
l‟esistenza del gruppo come insieme. Iniziano ad emergere sentimenti contestualizzati
nel „qui ed ora‟ che mettono gli individui in reciproca relazione e che evidenziano
l‟esigenza di disporre di una maggiore strutturazione. Esempi di episodi di gruppo sono
(ibidem): 1. silenzi: lunghi minuti passati senza nessuna parola, capacità di tollerare il
silenzio; 2. condensazioni: improvvisi sblocchi di confidenze e di materiale personale,
spontaneità; 3. dipendenza: sottomissione dell‟individuo al gruppo o del gruppo al
leader; 4. risonanza: progressivamente, uno dopo l‟altro, gli individui esprimono il
proprio punto di vista su un problema, condivisione inter-gruppale dei problemi di un
singolo; 5. regressione: ritorno a fasi precedenti del funzionamento del gruppo o ad uno
stadio precedente; 6. transfert: trasferimento sulla situazione di gruppo di precedenti
esperienze del singolo; 7. leadership fissa: necessità del gruppo di avere sempre uno
stesso capo.
Fenomeni di gruppo. In una fase tardiva gli individui sono animati dalla
curiosità e dall‟interesse reciproco, l‟accettazione del gruppo come realtà attuale facilita
l‟espressione, lo scambio e il superamento di una posizione individualistica. Esempi di
fenomeni di gruppo sono (ibidem): 1. socializzazione del linguaggio: il gruppo si
esprime con prevalenza dell‟utilizzo del „noi‟ sull‟„io‟; 2. sala degli specchi: i membri
costituiscono lo schema di riferimento con cui comparare il proprio comportamento e
fungono da reciproco controllo; 3. catene di associazioni: gli individui espongono e
reagiscono alle associazioni mentali del gruppo formando delle libere associazioni; 4.
interdipendenza: centralità del contenuto proposto su lo chi propone, vissuti del singolo
si ripercuotono sul gruppo; 5. feedback: all‟azione di un componente corrisponde la
risposta di un altro o di tutto il gruppo; 6. equilibri: una situazione raggiunta viene
considerata una conquista da mantenere e preservare; 7. capri espiatori: fissazione
dell‟aggressività del gruppo verso il soggetto pochi individui più idonei a riceverla
senza il rischio di venire puniti; 8. circolazione della leadership: condivisione della
conduzione e della scelta degli obiettivi, passaggio da un individuo all‟altro delle
funzioni di comando; 9. accettazione delle differenze: le differenze e devianze vengono
riconosciute e accettate; la diversità viene utilizzata in modo costruttivo, esiste poca
pressione conformistica, in casi estremi il gruppo rischia di disgregarsi.
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
56
4.3 Compiti di sviluppo secondo Yalom
I contributi di Yalom (1970) nascono da indagini sistematiche condotte su
gruppi sperimentali cui è affidato un compito, sull‟osservazione di gruppi di
sensibilizzazione e consapevolezza (sensitivity training) e gruppi terapeutici
psicodinamicamente orientati da cui sono state estratte indicazioni generali. Dalle
ricerche condotte in ambiti come la psicologia sociale, la prevenzione psicologica e la
clinica, che mettono a confronto modalità di gestione differenti di setting gruppali,
emerge che al variare del linguaggio utilizzato per descrivere i processi in atto le fasi
fondamentali in gioco manifestano una sostanziale concordanza (ibidem).
L‟analisi di Yalom vuole fare riferimento particolare all‟applicazione terapeutica
e ai primi stadi dello sviluppo, ponendo enfasi minore sui momenti conclusivi del
processo. Ciò potrebbe essere motivato da due ordini di motivi:
metodologici: i gruppi terapeutici tipicamente sono continuativi e aperti ad
un progressivo ricambio dei membri, per cui la possibilità di una limitazione
temporale che ne decreti la conclusione è episodica;
processuali: nei gruppi terapeutici accade raramente che si superi
definitivamente una fase in modo che il gruppo possa tornare più volte sui
compiti di sviluppo fondamentali (ibidem).
A tal proposito descrivere lo sviluppo del gruppo viene assimilato allo “stringere
i bulloni di una ruota” (Schutz, 1966), dove dopo averli stretti uno dopo l‟altro
l‟operazione viene ripetuta fino al completo serraggio. Analogamente nella vita di un
gruppo ogni fase emerge, diventa predominante e declina perché il gruppo possa
tornarvi affrontando gli stessi problemi in modo più approfondito. Date queste
considerazioni potrebbe essere più preciso parlare di compiti di sviluppo piuttosto che
di fasi o sequenza di sviluppo (Yalom, 1970).
L‟ingresso nel gruppo o il suo avvio sono spesso accompagnati da un timore
ingiustificato poi dissipato dall‟esperienza reale. Un breve discorso introduttivo sullo
scopo e sul metodo può essere opportuno specie quando i membri non sono stati
preparati in precedenza. In ogni caso può essere utile ribadire poche regole
fondamentali, come la sincerità e la riservatezza. Il terapeuta può suggerire delle
presentazioni prima che qualche membro più proattivo proporrà altrettanto. Alle
presentazioni può seguire un silenzio apparentemente interminabile per i membri. I
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
57
primi a prendere spontaneamente parola sono i membri destinati a dominare le prime
fasi del gruppo. I primi interventi riguardano tipicamente i motivi che hanno spinto alla
partecipazione e sollecitano negli altri descrizioni simili. Analogamente può emergere e
diffondersi il tema del disagio provato o della paura dei gruppi. Superato l‟avvio i
compiti di sviluppo che illustra Yalom (1970) sono: orientamento, conflitto, coesione,
compito.
A. Orientamento. In uno stadio iniziale il gruppo è caratterizzato dalla ricerca
di una struttura e degli obiettivi. La preoccupazione verso i confini del gruppo vira
verso una dipendenza nei confronti del leader. Tema dominante è l‟essere „dentro o
fuori‟ (Schutz, 1966).
Ciascun membro inizia a manifestarsi sul piano interpersonale e a ricreare un
proprio microcosmo sociale (Yalom, 1970). Il contenuto e lo stile delle interazioni può
essere relativamente stereotipato nella direzione di un atteggiamento „socialmente
conveniente‟. I problemi sono affrontati razionalmente e in modo superficiale.
Contenuti tipici sono la descrizione dei sintomi, le precedenti esperienze terapeutiche e
argomenti inerenti l‟argomento psicologico, attraverso cui è possibile testare reciproci
comportamenti e reazioni.
Qui i membri devono affrontare due compiti (ibidem): 1. stabilire come
realizzare il compito fondamentale, ovvero lo scopo per cui si sono uniti al gruppo; 2.
occuparsi dei rapporti sociali nel gruppo in modo che non ostacolino il compito
fondamentale ma possano validare l‟appartenenza. Solitamente nei gruppi non
terapeutici come squadre sportive, classi, gruppi di lavoro, compito fondamentale e
sociale sono ben differenziati e facilmente distinguibili; nel gruppo terapeutico i due
compiti convergono rendendo l‟esperienza gravosa, soprattutto per degli individui non
pienamente efficienti sul piano sociale. Una fondamentale preoccupazione può
riflettersi sulle motivazioni e sul significato della terapia chiedendosi, e chiedendo al
leader, in che modo l‟esperienza di gruppo potrà aiutarli nel risolvere i loro problemi.
Nello stesso tempo i membri si valutano a vicenda e valutano anche il gruppo
riflettendo su di esso i dubbi rispetto la loro accettazione sociale. Questa motivazione
sociale è abbastanza forte da investire in essa la maggior parte dell‟energia nella forma
di ricerca di approvazione e consenso. Atteggiamenti difensivi e svalutativi verso il
gruppo, o razionalizzanti come considerare il gruppo uno scenario „artificiale‟, possono
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
58
essere espressione di profonda preoccupazione verso l‟accettazione da parte degli altri.
Il dubbio riflette la reale incertezza su cosa comporti l‟appartenenza al gruppo. In modo
più o meno cosciente è attiva una ricerca dei comportamenti che il gruppo può aspettarsi
e approvare. Con le prime esplorazioni interpersonali ogni membro può scoprire affinità
– cui viene attribuita grande importanza e che giocherà un ruolo nello sviluppo della
coesione – e divergenze: definendo i singoli caratteri può iniziare a delineare il ruolo
che potrà ricoprire nel gruppo.
L‟esitanza, l‟incertezza di tentativi di interazione sono la manifestazione di
dipendenza, che catalizza nei confronti del leader. Ogni membro in modo più o meno
diretto guarda al leader per una guida e probabilmente compete per raggiungere il suo
apprezzamento in virtù del suo ruolo. Ogni commento del leader è attentamente
considerato per poterne ricavare informazioni sul comportamento auspicabile e per
inferire le sue aspettative su cosa i membri debbano fare. Anche gli aspetti legati al
setting possono rafforzare l‟idea che il terapeuta è predisposto a prendersi
personalmente cura dei membri. È allora essenziale che il leader non colluda con le
fantasie di onnipotenza dei membri offrendo risposte o soluzioni, promesse di aiuto non
realizzabili, guidando il gruppo nel modo in cui il gruppo si attende ma indirizzando il
gruppo verso l‟esplorazione delle proprie risorse.
B. Conflitto. Il gruppo affronta problemi di predominio interpersonale.
L‟attenzione verso il potere e un processo di „liberazione‟ alimenta conflitti tra i membri
e verso il leader. Tema dominante sono la fiducia e l‟autorità: l‟essere „in cima o in
fondo‟ (Schutz, 1966).
Ogni membro cerca di stabilire la quantità d‟iniziativa per lui sostenibile
definendo progressivamente una gerarchia di potere, un ordine sociale interno. Come se
fosse in atto una competizione per raggiungere una posizione nel gruppo, critica,
commenti normativi e negativi, espressione di giudizi diventano frequenti (Yalom,
1970) in un progressivo allontanamento dalle convenzioni sociali.
L‟esigenza di mantenere il compito fondamentale e i rapporti sociali confluisce
in una tensione che affiora in modo piuttosto diretto nelle interazioni. Nuovo compito
che ne scaturisce è giungere ad una soluzione che attraverso l‟espressione di irritazione
e disillusione permetta di guadagnare un maggior contatto con la realtà. Il leader, come
nella terapia individuale, funge da catalizzatore per la traslazione del paziente e, in
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
59
questo caso, del gruppo. In questa prospettiva devono poter essere letti sia il punto di
vista psicodinamico individuale che quello della dinamica di gruppo.
Secondo un comportamento non chiaramente cosciente l‟iniziale desiderio di
dipendenza può essere considerato come il tentativo di creare una figura di autorità, o
un rapporto privilegiato e idealizzato, che è poi possibile distruggere superando la
conseguente disillusione e delusione. Questo comportamento può essere visto come
dimostrazione di forza e prova di integrità, quindi tentativo di affermazione personale.
Inibire il gruppo sopprimendo sentimenti ambivalenti equivale a mantenere delle
proscrizioni, quindi delle norme proibitive, in contrasto con la regola della sincerità e
libertà di espressione. Esistono diversi modi in cui il gruppo può evitare il confronto con
il terapeuta (ibidem): 1. razionalizzando e spostando l‟attacco su temi o figure esterni al
gruppo; 2. spostando l‟attacco su un membro che funge da capro espiatorio; 3. negando
l‟attacco e nominando implicitamente un leader sostitutivo tra i membri.
Quando il leader asseconda l‟espressione dell‟autorità può accadere che mentre
alcuni membri attaccano il terapeuta altri ne prendono le difese: l‟emergere di queste
tendenze può essere prezioso per il lavoro futuro. I primi a manifestare comportamenti
apertamente aggressivi possono porsi come leader sostitutivi: è possibile espressione di
intensi sentimenti di dipendenza vissuti in modo conflittuale, ovvero controdipendente,
che mettono in luce un desiderio di dipendenza non elaborato, quindi una difficoltà nel
provare fiducia. Assumere le difese del leader può rispecchiare un atteggiamento
ripartivo verso una figura di autorità percepita come inattendibile e debole, può
ugualmente sottendere il desiderio di una alleanza contro i membri percepiti come più
potenti. Un gruppo che non esprime ostilità verso il terapeuta è destinato a stagnare
nella prima fase di sviluppo.
La presenza di temi aggressivi e di rivalità può anche essere considerata come
una risposta alla presa di consapevolezza di ogni membro di non essere il preferito dal
leader ed essere espressione di un vissuto di inganno o tradimento. In tale competizione
è centrale il ruolo del leader, che può essere oggetto di comportamenti ostili per quanto
nella fase precedente può essere stato irrealisticamente idealizzato. Indipendentemente
dalle sue capacità la maggior parte dei membri potrà trovarsi deluso del leader e
riconoscere i suoi limiti. È importante che il leader non fomenti risposte negative
adottando atteggiamenti ambigui, deliberatamente enigmatici, facendo promesse. La
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
60
capacità di non prestarsi a giochi collusivi ora mostra pieno significato non avendo
offerto gratuitamente al membro motivi di plausibile svalutazione. Ugualmente il leader
deve essere attento a non mostrare segni di difficoltà verso i membri che ne assumono le
difese. Compito del leader è di fare in modo che il gruppo si senta libero di misurarsi
con il ruolo che riveste permettendo e incoraggiando il confronto. Resistere ad un
attacco senza essere distrutto né distruttivo – ovvero autoritario – ma rispondere
cercando di appurare ed elaborare le motivazioni offre al gruppo un importante modello.
In uno scenario ideale il membro arriva ad accorgersi che il terapeuta frustrerà i piani
segreti preparati per lui, il leader si comporta con il membro in modo da non alimentare
risentimento né colpa ma dimostrando sostenibile disponibilità e cooperazione. Il
gruppo maturo impara a valutare l‟operato del terapeuta per il valore intrinseco che
assume piuttosto che accettarlo per l‟autorità che egli rappresenta.
C. Coesione. In seguito il gruppo si interessa sempre più dell‟armonia e della
sintonia tra i membri: le differenze individuali vengono accantonate in nome della
coesione del gruppo. Temi dominanti sono la familiarità e il contatto: l‟essere „vicino o
lontano‟ (Schutz, 1966).
Dopo aver sperimentato la maggiore diversificazione e distanza interpersonale i
membri tendono a tornare in una unità compatta. Il morale migliora, aumenta la
disponibilità ad aprirsi, si può instaurare una sincera fiducia reciproca (Yalom, 1970). In
questa fase è possibile che alcuni membri esprimano la vera motivazione che li ha
condotti nel gruppo e, più in generale, possono riaffiorare ricordi personali, compare
attenzione per i membri assenti, aumenta la motivazione alla partecipazione. Ogni
membro inizia ad analizzare il proprio stile interpersonale e possono emergere dubbi
rispetto alla propria desiderabilità sociale, la capacità di essere vicini agli altri – anche
persone esterne –, la possibilità di essere troppo in confidenza. Il gruppo come unità può
manifestare autonomia nell‟organizzare riunioni e prendere un caffè.
Questa fase può apparire al membro come il raggiungimento di una „terra
promessa‟, in particolare dopo il superamento del conflitto, tuttavia il compito che il
gruppo ora deve affrontare è l‟espressione e l‟elaborazione di tutti gli affetti latenti. Se
ciò non avviene le riunioni possono arrivare ad apparire rituali e futili.
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
61
Se il gruppo diventa un ambiente sicuro e confortevole di espressione e di
scambio raggiunge il pieno status di gruppo di lavoro, che perdurerà per tutta la vita del
gruppo.
D. Compito. Dopo un periodo piuttosto prolungato il gruppo come insieme – è
in questo memento che il gruppo è pienamente sviluppato – emerge ed è capace di
operare per il raggiungimento dell‟obiettivo. È caratterizzato da alto grado di coesione,
notevole capacità di indagine interpersonale e intrapersonale, dalla capacità di impegno
totale nel compito fondamentale (ibidem).
Il membro può sperimentare un nuovo comportamento.
4.4 Stadi secondo Rogers
L‟analisi di Rogers (1970) origina da una ricerca condotta da Betty Meador6 su
un gruppo d‟incontro con otto partecipanti esaminati attraverso la Rogers‟ Process
Scale7, uno strumento che valuta la fluidità e la spontaneità della comunicazione in
riferimento ai sentimenti espressi. Il gruppo ha una durata complessiva di 16 ore divise
in cinque sedute. Per ogni partecipante vengono estratti 10 segmenti filmati della durata
di due minuti, due per ogni seduta. Una commissione di 13 valutatori esterni e
addestrati visiona i segmenti, presentati in ordine casuale, e classifica le interazioni su
una scala a sette punti. L‟analisi dimostra una sufficiente attendibilità nei valori
attribuiti a ogni segmento. Da questa elaborazione il processo di gruppo sembra
convogliare nella successione di sei stadi che descrivono l‟esperienza dalla prospettiva
del singolo membro.
Un ulteriore modello proposto da Rogers deriva dall‟esperienza con gruppi di
incontro, che possono assumere varie dimensioni e durata. Si tratta quindi di
applicazioni con una gestione del setting piuttosto differente da un gruppo terapeutico a
conduzione psicodinamicamente orientata, come adottata da Yalom, tuttavia aspetto
comune può essere l‟assenza di una strutturazione, ovvero di un compito esplicitamente
assegnato – condizione che sembra caratteristica delle applicazioni non squisitamente
terapeutiche . Dall‟osservazione naturalistica di queste esperienze deriva una
6 Meador, B., (1969), An analysis of process movement in a Basic Encounter Group, U. S. International
University, Tesi di laurea inedita.
7 Rogers‟ Process Scale: Rogrs, C.R., Rablen, R.A. (1958), A scale of Process in Psychotherapy,
University of Wisconsin, manoscritto inedito.
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
62
descrizione che consta di 15 fenomeni che avvengono nella prospettiva più ampia
dell‟intero gruppo. A seguire, al solo fine di rendere l‟esposizione più omogenea, viene
operata una sovrapposizione di questi fenomeni nei sei stadi individuati attraverso la
ricerca strutturata.
Primo stadio. La comunicazione riguarda aspetti esteriori: sentimenti e pensieri
personali non vengono espressi, se espressi non vengono riconosciuti come tali. Le
costruzioni mentali sono rigide e i rapporti intimi considerati pericolosi.
F1. Girare a vuoto: nel gruppo, informato che ha piena libertà, tendono a
manifestarsi confusione, silenzio, interazioni superficiali, frustrazione, mancanza di
continuità causate dall‟essere faccia a faccia in assenza di una strutturazione esterna,
dall‟evidenza di non conoscersi e dover rimanere insieme per un tempo notevole.
Secondo stadio. I sentimenti se descritti appaiono esterni al Sé e rappresentano
oggetti passati: sono lontani dall‟esperienza soggettiva. Possono essere presenti
affermazioni contraddittorie, problemi e conflitti vengono percepiti come esterni al Sé.
L‟espressione su argomenti non personali avviene piuttosto liberamente.
F2. Resistenza all‟espressione o all‟indagine personale: la manifestazione di
atteggiamenti personali nel girare a vuoto tende a provocare reazioni ambivalenti degli
altri membri. Essi mostrano reciprocamente il proprio Sé pubblico; gradualmente, con
timore e in modo ambivalente, iniziano a rivelare qualcosa del Sé privato.
F3. Descrizione di sentimenti passati: nonostante l‟ambivalenza e il rischio di
esporsi, la discussione comincia a essere dedicata all‟espressione dei sentimenti,
tipicamente riferiti ad un tempo ed un luogo esterni al gruppo.
Terzo stadio. Le descrizioni di sentimenti e pensieri personali aumentano
quantitativamente, il loro contenuto è negativo o non accettato. L‟esperienza presente
viene mediata dal riferimento ad esperienze passate, distanti; anche aspetti del Sé
vengono espressi attraverso il riferimento a parole di altri. La validità di costruzioni
mentali rigide può occasionalmente essere messa in discussione. Ad una maggiore
fluidità di espressione corrisponde la possibilità di attribuzione interna di problematicità
personali.
F4. Espressione di sentimenti negativi: le prime espressioni autentiche e
significative di un sentimento provato „qui e ora‟ tende a estrinsecarsi in atteggiamenti
negativi verso gli altri membri o il leader come modo migliore per saggiare la libertà e
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
63
l‟affidamento del gruppo. È possibile supporre che esprimere sentimenti positivi possa
essere più socialmente rischioso.
F5. Espressione e investigazione del materiale personalmente significativo: le
conseguenze “non catastrofiche” alle espressioni autentiche permettono al singolo di
riconoscere il gruppo come proprio e la possibilità di sperimentare libertà, sebbene
comporti dei rischi. Un nascente clima di fiducia agevola l‟espressione della propria
personalità, tuttavia ciò non coinvolgere l‟intero gruppo.
Quarto stadio. Sentimenti e pensieri, eccetto i più intensi, sono descritti come
attuali e appartenenti al Sé. Appare alla consapevolezza un collegamento, percepito
come confuso, tra affetti disconosciuti e comportamento presente. Il significato
dell‟esperienza passata appare come attribuito: non intrinseco né assoluto; l‟esperienza
presente inizia ad assumere connotati affettivi, emerge preoccupazione. Si avverte una
qualche responsabilità personale per i problemi, le costruzioni mentali si allentano. È
possibile assumere il rischio di mettersi in rapporto con gli altri sulla base di un
sentimento.
F6. L‟espressione di sentimenti interpersonali immediati nel gruppo: l‟esplicita e
diretta dichiarazione dei sentimenti attuali, positivi o negativi, che un membro prova nei
confronti di un altro sollecita un loro esame da parte del gruppo in un clima di maggior
fiducia.
F7. Lo sviluppo di capacità curativa nell‟ambito del gruppo: alcuni membri
dimostrano una capacità naturale e spontanea di essere comprensivi e accoglienti, di
trattare il dolore e le sofferenze altrui, in forma benefica, agevolante e terapeutica. La
libertà e il clima dell‟esperienza di gruppo agevola l‟emergere delle capacità curative
presenti nelle persone.
F8. L‟accettazione di se stessi e l‟inizio del cambiamento: il prendere coscienza
di sé, accostarsi di più ai propri sentimenti e sentirsi autentici porta l‟individuo ad essere
se stesso, ponendo le basi per l‟inizio del cambiamento: l‟accettazione di se stessi ne
rappresenta il necessario presupposto. I sentimenti non sono più organizzati
rigidamente.
Quinto stadio. I sentimenti esperiti come attuali sono ammessi ed accettati:
vengono espressi liberamente. All‟esperienza presente viene attribuito un valore
positivo. Le contraddizioni vengono attribuite a vari aspetti della propria interiorità, i
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
64
sentimenti negati diventano sentimenti possibili. Il valore delle costruzioni mentali
viene posto in dubbio e surclassato da quello dell‟esperienza presente. All‟autenticità
corrisponde la presenza di senso di responsabilità.
F9. La rottura delle facciate: l‟espressione del Sé di alcuni rende chiaro che è
possibile un incontro profondo: il gruppo punta intuitivamente a quest‟obiettivo in una
progressiva insofferenza per le difese. Con gentilezza o impeto, supera gli atteggiamenti
stereotipati ed esige che i membri, senza nascondere i sentimenti dietro la maschera dei
normali rapporti sociali, siano se stessi.
F10. L‟individuo riceve un feedback: nell‟interazione liberamente espressiva
l‟individuo acquisisce rapidamente una quantità di dati su come appare agli altri. Nel
contesto di sollecitudine che si va sviluppando, a rischio che risultino irritanti, i
feedback diventano costruttivi elementi di informazione che avviano una nuova e
significativa esperienza personale e di gruppo.
F11. Il confronto: oltre ai feedback vengono ingaggiate interazioni personali in
cui un individuo ne affronta un altro, livellandosi direttamente su di lui. Possono
avvenire confronti positivi o scontri, funzionali purché arrivino a risolversi entro la fine
della seduta.
F12. L‟utilità del rapporto fuori dalle sedute di gruppo: uno degli aspetti
stimolanti del gruppo è la maniera in cui i membri si rendono disponibili ad aiutare chi
sta affrontando dei momenti di difficoltà. Ciò può avvenire nel gruppo come fuori dal
gruppo.
Sesto stadio. Sentimenti negati possono essere accettati e sperimentati nel
presente provocando una sensazione liberatrice ed emozionante. Le costrizioni mentali
appaiono come interpretazioni deliberate create all‟interno del Sé, l‟esperienza
emozionale appare come riferimento chiaro ed utilizzabile per la costruzione di nuovi
significati, il Sé viene esperito non più come oggetto ma come un processo in divenire.
L‟individuo assume il rischio di poter essere accettato come essere in divenire.
F13. L‟incontro fondamentale: i membri pervengono ad un contatto reciproco
più intimo e diretto di quello che esperiscono normalmente nella quotidianità.
Nell‟esperienza di gruppo è uno degli aspetti più intensi: l‟espressione autentica dei
sentimenti, negativi o positivi, provati verso l‟interlocutore alimenta accettazione
dell‟altro ed è funzionale al cambiamento.
II - FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO E FASI EVOLUTIVE DEL GRUPPO
65
F14. L‟espressione dei sentimenti positivi e l‟intimità: con il procedere delle
sedute cresce un senso di calore, di spirito di gruppo, di fiducia, derivante da una realtà
che comprende tanto il sentimento positivo quanto quello negativo. La schiettezza nei
rapporti reciproci conferisce alle persone l‟abilità di guarire con un affetto pieno di
comprensione.
F15. Cambiamenti di comportamento nel gruppo: nel gruppo cambiano i gesti, il
tono di voce, la sollecitudine e la premura che i membri adottano uno verso l‟altro.
Tuttavia più importanti sono i cambiamenti che avvengono in seguito all‟esperienza di
gruppo, quando la persona cerca di adottare gli stessi comportamenti nella vita reale.
Qui possiamo vedere come il processo di gruppo, anche se descritto in modi
differenti, esemplifichi una successione stadiale ciclica piuttosto che lineare. I contributi
presi in esame, coerentemente con gli studi provenienti da altri campi come la
psicologia dei gruppi e organizzativa (cfr. Tuckman, 1965), sembrano concordare sulla
presenza di alcune „fasi‟ caratterizzate dalla presenza di:
incertezza e progressiva strutturazione, con la prevalenza di una dimensione
temporale diacronica (primo stadio di Rogers);
esplorazione relazionale e sviluppo di comportamenti funzionali, con
l‟emersione di temi conflittuali (secondo e terzo stadio di Rogers);
fiducia e raggiungimento di armonia, contraddistinta da una crescente
accettazione (quarto stadio di Rogers);
collaborazione e impegno nel perseguire gli scopi del gruppo, in cui
predominano il „qui ed ora‟ di una dimensione temporale sincronica e il tema
della responsabilità (quinto e sesto stadio di Rogers).
Considerare il gruppo come un organismo funzionalmente omogeneo, a
prescindere dalle possibili configurazioni esteriori che può assumere, può aiutare a
contestualizzare gli aspetti procedurali e legati al setting esposti nel capitolo successivo.
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
66
Capitolo III
CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
Introduzione
Il terzo capitolo sembra tornare a un approccio definitorio illustrando le
condizioni che permettono di operare attraverso l‟impiego del gruppo; in realtà qui si
passa da una prospettiva processuale a una procedurale. Ogni setting necessita di punti
fermi che devono necessariamente essere definti a monte e resi operativi nella pratica:
in questo il più generico setting gruppale è simile ad ogni altro possibile e più specifico
setting terapeutico. Qui si parla anche dell‟atteggiamento terapeutico come precoce
disposizione del conduttore intorno a cui può strutturarsi e può concretamente prendere
forma il gruppo. Degli esempi di classificazione del lavoro con il gruppo esprimono la
centralità del ruolo del conduttore e degli obiettivi che si pone attraverso l‟intervento.
5. Criteri di applicazione del setting gruppale
5.1 Definizione di setting e ricerca scientifica
Il setting è il luogo e il tempo – e la loro regolazione contrattuale – in cui si
dispiega la relazione terapeutica (Giusti, Montanari, Iannazzo, 2004). Riassume le
condizioni materiali, un aspetto concreto e logistico, e l‟atteggiamento terapeutico, sotto
forma di informazioni, condizioni e obiettivi: è lo scenario, la cornice complessiva entro
cui può svilupparsi l‟incontro. Al centro del concetto di setting c‟è la salvaguardia della
relazione stessa come presupposto per ogni intervento (ibidem). In questa ottica
rappresenta una sorta di „confine‟ tra la quotidianità dell‟individuo e la possibilità di
sviluppare un nuovo tipo di relazione. Una opportuna definizione del setting fornisce
alla persona un precoce senso di contenimento e ne favorisce la possibilità di mettersi a
proprio agio (ibidem). Esistono differenti modalità di trattamento, quindi di setting:
individuale, di coppia, familiare, di gruppo (ibidem).
Se le parti coinvolte in una relazione terapeutica trovano nel reciproco incontro
una adeguata collocazione e un mutuo collegamento interpersonale, la distanza che
separa il setting duale da quello di gruppo non è molto grande. In entrambe le
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
67
condizioni – con particolare riferimento all‟applicazione terapeutica – il terapeuta lascia
spazio a ciò che sta emergendo piuttosto che a quanto è già stato formulato, privilegia le
ideazioni, le fantasie, le emozioni e gli affetti, rinuncia ad indirizzare in senso
predeterminato lo svolgimento degli eventi (Neri, 1995). Dalla prospettiva del terapeuta
quindi la condizione di gruppo rispetto al setting individuale offre spazio per la
manifestazione di un più vasto repertorio comportamentale, permettendo al terapeuta di
ottenere informazioni di „prima mano‟ circa le inclinazioni del paziente (Berne, 1966).
Il discorso diviene più complesso considerando i riferimenti ai modelli teorici e
le relative implicazioni nella prassi. A prescindere dagli specifici paradigmi, nel setting
individuale e di gruppo sono attivi fenomeni differenti che comportano l‟applicazione di
tecniche e strategie diverse. Differente è il ruolo del terapeuta, che da interlocutore
esclusivo, in un rapporto privato e in cui assume una posizione asimmetrica, diventa
figura di sfondo in un contesto di rapporti alla pari tra membri (Neri, 1995). Cambia
inoltre il processo comunicativo: al dialogo bilaterale viene a sostituirsi la circolarità del
discorso tra più parti, in cui i significati attraversano necessariamente uno „spazio
comune‟ (ibidem) attivando una nicchia ecologica o micro-cultura (Tommasello, 1999).
Un buon setting risponde a criteri di: dimensione, comodità fisica; riservatezza,
intimità (Yalom, 1970; Berne, 1966); isolamento acustico, riparo da possibili fonti di
disturbo esterne (ibidem; ibidem). La disposizione classica utilizza delle sedie disposte a
cerchio senza mobili all‟interno della circonferenza, le sedie sono poste alla distanza
appena inferiore a un braccio – zona personale di Hall (1966) – così da non creare
isolamento né esporre i pazienti ad una situazione di eccessiva intimità (Berne, 1966). Il
terapeuta siede nella posizione che garantisce miglior visibilità rispetto le sorgenti di
luce, non vengono consumate bevande, cibo, né sigarette. Possibili brevi interruzioni e/o
brevi assenze da parte del terapeuta, nella misura di 2-3 minuti per massimo 2 volte
all‟ora, possono rappresentare un interessante stimolo clinico e occasione di ravvivare
l‟attenzione del terapeuta (ibidem).
Differentemente da quanto avviene in settori psicologici devoluti alla ricerca,
nella clinica il momento di indagine scientifica dovrebbe rimanere chiaramente distinto
da quello terapeutico (ibidem). Nei gruppi con finalità eminentemente scientifiche in cui
si applicano tecniche di statistica inferenziale (cfr. Ercolani et al., 2002) il cambiamento
personologico dovrebbe rappresentare una questione esplicitamente secondaria e
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
68
accessoria alla ricerca. Se la raccolta dati avviene il terapeuta deve occuparsi delle
fantasie che questa può suscitare nel gruppo (Yalom, 1970; Berne, 1966). Allo stesso
modo nel gruppo dichiaratamente terapeutico è auspicabile non inserire momenti di
indagine o valutazione invasivi, strutturati, metodici, tanto più occulti – come specchi
unidirezionali, registrazioni audio/video ignote al paziente . In ogni caso una
commistione può alimentare confusione o perplessità nei membri, condizionare o
ostacolare l‟attività del terapeuta introducendo nella relazione un momento di „slealtà‟
(Berne, 1966). In un trattamento di gruppo non è permessa alcuna unilateralità – nelle
finalità come nei comportamenti manifesti – che non sia esplicitamente condivisa nel
contratto e accolta dalle parti (ibidem). Differente può essere la questione per
valutazioni statistiche descrittive (cfr. Ercolani et al., 2002) svolte a posteriori.
Gli osservatori, figure che assumono un ruolo centrale e attivo nei momenti di
retroazione successivi alle attività aperte ai membri, non partecipano alle interazioni del
gruppo. In caso sia utile la presenza di osservatori è bene che il gruppo venga
preventivamente informato della loro presenza e che siedano fuori dal circolo del
gruppo piuttosto che seguano le sedute attraverso un specchio monodirezionale (Yalom,
1970).
I coterapeuti, ovvero la presenza di due terapeuti, è importante che abbiano pari
status formativo e accademico altrimenti si rischiano tensione e incertezza nel ruolo
della leadership, sia per i terapeuti che per i pazienti (Yalom, 1960; Berne, 1966). Può
essere utile una esplicita suddivisione dei ruoli (Yalom, 1970). Una coppia di terapeuti
uomo e donna permettono invece particolari vantaggi, come vantaggiosa può essere una
co-conduzione per terapeuti alle prime armi (ibidem; Berne, 1966).
Si parla di vice-terapeuta quando vi sono differenze formative e accademiche
che giustificano una differenza di ruoli e funzioni che vanno condivise con il gruppo
(Berne, 1966). In questo caso il terapeuta può essere sollevato da compiti di routine e
dedicarsi maggiormente al gruppo senza che si creino confusioni rispetto la leadership;
allo stesso tempo il vice-terapeuta può usufruire di un‟utile esperienza.
Nel caso di una presenza doppia nella forma di coterapeuti, vice-terapeuta o
osservatori è utile riservare uno spazio dopo la chiusura per discutere i reciproci rapporti
(Yalom, 1970).
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
69
5.2 Scelta delle modalità di trattamento
Alla luce di queste implicazioni di ordine 1. tecnico, 2. interpersonale e 3.
relazionale la scelta del setting più adatto ad un cliente potrebbe considerare (Giusti,
Montanari, Iannazzo, 2004):
complessità del problema: se investe i sistemi: familiare, di coppia,
extrafamiliare, ricorrendo all‟opportunità di adottare i rispettivi tipi di setting;
stadio della vita: prima e seconda infanzia, adolescenza, età adulta e connesso
stato civile;
sintomatologia: per tipologia, se inerente la sfera fisica o comportamentale, e
intensità, se acuta o lieve;
rapporto costi/benefici: perseguire la maggiore efficacia anche considerando
possibili esperienze precedenti.
Secondo Seligman (1990) una terapia in gruppo è consigliata per:
- clienti ansiosi o con problemi verso l‟autorità;
- clienti dipendenti, dopo o in contemporanea ad un trattamento
individuale;
- problemi di natura interpersonale;
- clienti che tendono a dare eccessivo potere al terapeuta;
- clienti che hanno bisogno di test di realtà e di feedback dal gruppo.
Tutti i pazienti possono essere inseriti in un trattamento di gruppo dopo
un‟adeguata preparazione di alcune sedute individuali preliminari; la questione è
piuttosto in quale tipo di gruppo inserirli nei migliori interessi del paziente: un terapeuta
con esperienza dovrebbe essere pronto ad accettare in qualsiasi gruppo qualsiasi
paziente (Berne, 1966). Sottolineando il vantaggio di avere una certa eterogeneità tra i
membri Berne (1966) indica che nuovi ingressi sono sempre possibili. Possono
considerarsi eccezioni i casi che oggettivamente rappresentano degli assortimenti capaci
di generare lavoro extra non necessario, sia all‟interno che fuori dal gruppo: persone
con disfunzioni sostanzialmente irreversibili, persone che hanno questioni legali in
sospeso, parenti e amici del terapeuta (ibidem).
In un‟ottica analistico-transizionale in caso di invii e di pazienti che giungono
con una cartella a seguito, venire a conoscenza di particolari non strettamente richiesti e
non inerenti il trattamento rappresenta una forzatura al fisiologico rapporto paziente-
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
70
terapeuta (ibidem): il paziente deve essere libero di presentarsi come ritiene più adatto
come il terapeuta deve essere libero di farsi una propria idea del paziente.
Il trattamento in gruppo può essere abbinato a uno individuale e, su richiesta del
partecipante che segua solo una terapia di gruppo, o su suggerimento del terapeuta
stesso, è possibile sostenere un colloquio individuale, anche a cadenze regolari ogni 8-
10 sedute di gruppo (ibidem). È importante chiarire reciprocamente i motivi per
l‟impiego del trattamento di gruppo, che sia al posto o in aggiunta alla terapia
individuale (ibidem). In questo secondo caso si parla di terapie combinate.
In un paradigma transazionale, in caso di invii da parte di altro terapeuta che
abbia in corso un rapporto con il paziente, la consultazione tra i terapeuti presenta
vantaggi e svantaggi. Questa possibilità discussa con il paziente è, in ultima istanza, da
lui autorizzata – salvo implicazioni di natura etico-deontologica . Il quadro più
complesso diventa meritevole di cautela e attenzione particolari, verso il collega e verso
il paziente. Potrebbe essere opportuno mantenere dei colloqui dedicati mantenendo
chiarezza contrattuale su questo riguardo (ibidem). Una soluzione preventiva può essere
dire al paziente pronto per il percorso di gruppo di assumere un periodo di prova per
vedere come va e, se va in modo soddisfacente, dire che potranno continuare (ibidem).
È occasionalmente possibile prevedere una riunioni extra o alternate nelle quali
il gruppo si riunisce senza terapeuta (Wolf, 1949; Berne, 1966; Yalom, 1970) in modo
da offrire al gruppo la possibilità di responsabilizzarsi come insieme e di sviluppare
autonomia come singoli individui integrando l‟esperienza con e senza il terapeuta.
Questa possibilità diventa fruttuosa dopo che il gruppo ha sviluppato coesione e norme
(Yalom 1970).
5.3 Contratto e altri aspetti procedurali
Motivo d‟essere del contratto è di portare chiarezza e responsabilità sui questioni
che potrebbero pregiudicare l‟andamento del rapporto (Berne, 1966). Tutela quindi il
ruolo e la capacità tecnico-operativa del terapeuta, in questo persegue gli interessi stessi
del paziente. Esso pone sinteticamente evidenza su alcuni semplici aspetti procedurali.
È preferibile evitare ogni ulteriore regola esplicita precoce: facilmente andrebbero a
costituire aree in cui il paziente può scegliere di manifestare delle trasgressioni (ibidem).
Sono tre gli aspetti che devono essere chiariti (ibidem):
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
71
1. orari: di inizio e chiusura delle sedute. Ad un motivo organizzativo per il
paziente si unisce la possibilità di mettere a fuoco precocemente le tendenze e il
rapporto verso la puntualità;
2. onorari: comprese modalità di pagamento, per lo stesso rodine di motivi, pratici
per il paziente, tecnici per il terapeuta;
3. libertà di espressione: il paziente può dire „qualsiasi cosa senza eccezioni‟,
aprendo la strada alle interpretazioni che ne fa il paziente, quindi al lavoro del
terapeuta.
Inserimento. Nel caso di trattamenti in gruppi aperti, continuativi o „sedentari‟
(ibidem), un certo ricambio nei partecipanti può essere funzionale (Yalom, 1970; Berne,
1966): è possibile che all‟uscita di membri – per qualsiasi ordine di motivi – possano
corrispondere nuovi accessi. Sia nel caso di invii che di autocandidature da parte di
possibili pazienti è importante effettuare almeno un singolo colloquio per poter innanzi
tutto valutare la persona, l‟opportunità dell‟inserimento e i vantaggi che plausibilmente
può trarne. Nel corso del primo colloquio, preferibilmente evitando domande
sistematiche, il terapeuta deve essere sicuro di ottenere tutte le informazioni di cui
necessita (Berne, 1966) e di verificare che il candidato paziente non consideri la terapia
di gruppo come un ripiego rispetto un percorso individuale (Yalom, 1970): scarse
motivazioni e aspettative correlano con il drop-out e gli esiti negativi. Consapevolezza
rispetto l‟inserimento è che l‟esperienza del gruppo non è mai esattamente come il
paziente s‟aspetta. Chiedere al paziente quali siano le sue fantasie o aspettative circa ciò
che accadrà nel gruppo può risultare utile per ottenere (Yalom, 1970; Berne, 1966):
informazioni di carattere motivazionale e relazionale spendibili al momento opportuno;
indicazioni importanti sul modo in cui avvicinare il nuovo paziente al gruppo.
Qualora basti un colloquio, alla fine di questo deve essere riservato del tempo ad
una fase informativa, e in particolare (Berne, 1966):
alle legittime domande del paziente – cui il terapeuta è tenuto a rispondere
opportunamente sia su un piano relazionale che di contenuto fornendo le
informazioni necessarie;
a delineare il contratto.
Prima di poter essere inserito il paziente, per svolgere un lavoro proficuo in
gruppo, dovrebbe dimostrare una certa stabilità nel rapporto con il terapeuta (ibidem). Il
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
72
momento migliore per inserire un nuovo membro in un gruppo è durante le fasi di
stabilità e ristagno (Yalom, 1970).
Supervisione. Un buon supervisore deve dimostrare competenza ed avere
esperienza clinica, nella terapia individuale e di gruppo, in dinamica di gruppo (Berne,
1966). Idealmente la supervisione inizia prima che il gruppo si formi (ibidem): quando
il terapeuta presenta il progetto il supervisore illustra quali aspetti è opportuno
affrontare prima di attivare il gruppo. Vengono posti sotto esame aspetti come (ibidem):
motivazioni: cosa porta all‟idea di creare un gruppo. Le fantasie sullo sviluppo
del progetto implicano:
- aspetti razionali e intellettuali: interessi scientifici espliciti;
- atteggiamenti nella conduzione: componente biografica del
comportamento;
- artifici procedurali: legati all‟influenza dell‟ambiente formativo di
provenienza;
- fantasie sul progetto: origini e finalità personali;
obiettivi terapeutici: in cosa consiste esattamente il programma terapeutico;
organizzazione: come terapeuta, possibili pazienti, colleghi, vedrebbero il
progetto;
collocazione amministrativa: possibili aspettative dell‟ambiente professionale
criteri di selezione dei pazienti;
mirando a consapevolizzare dinamiche interiori e interpersonali del terapeuta al fine di
rendere più efficace e sostenibile il processo di implementazione. Da qui è possibile
passare a come si intende raccogliere il materiale da portare nella supervisione della
conduzione: registrazioni, appunti, a memoria. Questi supporti, che hanno parimenti
intrinseci pregi e limitazioni, piuttosto che per un valore meramente documentale
assumono rilievo come catalizzatori delle dinamiche del terapeuta. Berne (1966)
raccomanda una supervisione privata a cadenza regolare per almeno un anno. In caso di
co-conduzione i conduttori dovrebbero partecipare insieme alla supervisione (Yalom,
1970).
Presentazioni e saluti. È importante che le persone possano conoscersi e
riconoscersi. Nei gruppi di psicoterapia, specie con conduttori di formazione
psicodinamica particolarmente attenti a non condizionare gli eventi, inserire rituali di
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
73
presentazione e saluto viene considerata una forzatura e una deliberata rinuncia a utili
informazioni (Berne, 1966). Allo stesso tempo nell‟arco della seduta può essere portata
l‟attenzione sull‟argomento „presentazioni‟ qualora non siano emerse spontaneamente o
qualche membro sia rimasto anonimo (ibidem). Sempre in ottica psicodinamica se le
presentazioni servono a lenire l‟ansia, i saluti alleviano l‟angoscia: è sempre utile
osservare chi realmente mette in campo un comportamento (ibidem). Posto che i
partecipanti sanno riconoscere se un terapeuta è interessato ai suoi pazienti, il terapeuta
può prediligere di rivolgersi al gruppo piuttosto che ai singoli componenti.
Chiusura delle sedute. La chiusura della seduta va fatta con fermezza al
momento opportuno (ibidem). Al paziente che in chiusura – o dopo – abbia qualcosa di
importante da dire, va rimandato con garbo e decisione che le questioni personali
possono essere portate in seduta o, volendo mantenere maggiore riservatezza, in seduta
individuale (ibidem). Al paziente recidivo può essere anticipato in tempo utile se ha
qualcosa da dire. L‟atteggiamento con cui il terapeuta potrebbe chiudere una seduta
corrisponde all‟affermazione „vediamo cosa succede la prossima volta‟.
Conclusione. Un percorso giunge a conclusione quando paziente e terapeuta –
ma speso anche l‟intero gruppo – concordano che gli obiettivi sono stati raggiunti; in
ogni caso il membro uscente dovrebbe informare gli altri sulla sua scelta (ibidem): è
raccomandabile che il gruppo sia informato di quello che succede. Altre cause naturali
sono di ordine concreto, come trasferimenti, cambiamenti negli orari della vita del
paziente, altri impedimenti.
5.4 Atteggiamento terapeutico e autenticità
Se il setting è la cornice complessiva, il confine entro cui si svolge la relazione e
può esprimersi il mondo interno del pazinete, può eserne concettualizzata anche una
parte mentale o interna al terapeuta. Il setting interno comprende atteggiamento, valori,
aspettative e motivazioni: il modo di essere del terapeuta (Lo Verso, 1994).
Per Berne (1966) il terapeuta dovrebbe essere pronto a prendere posto all‟interno
di un gruppo, un nuovo gruppo come ogni nuovo incontro, con mente rinnovata. In
questo scarto differenziale si possono sostanziare i progressi umani, personali e
professionali che lo portano ad essere qualcosa in più di un tecnico. L‟atteggiamento è
quello di una persona attenta, oltre a raggiungere e mantenere i presupposti fisiologici,
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
74
psicologici e sociali collegati alla cura di sé, della propria salute e del proprio benessere
emotivo, a perseguire un costante sviluppo.
Per arrivare nel modo migliore alla seduta raccomanda di superare tutto ciò che
ha incontrato in fase di preparazione, i problemi personali, tutto ciò che già sa riguardo
ai pazienti, tutto ciò che ha imparato sulla psicoterapia, come se dovesse idealmente
entrare in un mondo che non ha mai conosciuto. Considera inoltre l‟utilità di tre slogan
terapeutici (ibidem):
1. primum non nocere: „per prima cosa non nuocere‟. Con questo intende che una
certa dose di male necessario, come per il chirurgo che per svolgere il suo lavoro
deve aprire una ferita, deve essere riconosciuta e valutata con consapevolezza
sapendo cosa si sta facendo, in che direzione e con quali implicazioni per la
persona del paziente, con la sicurezza di poter portare a termine l‟intervento
avviato. Obiettivo è in primo luogo scongiurare la possibilità di aggravare il
paziente e, soprattutto, pregiudicare la sua possibilità di rivolgersi ai servizi di
altri psicoterapeuti, quindi non condurre il paziente più in la di dove può essere
preparato ad affrontare ciò che a lungo ha evitato, non squalificare con
„affermazioni sprezzanti‟ gli aspetti della vita del paziente che per lui assumono
importanza;
2. vis medicatix naturae: „la forza risanatrice della natura‟. In un‟accezione positiva
e salutogenetica il compito del terapeuta è individuare le aree sane nella
personalità del paziente in modo da sostenere e rafforzare il loro potenziale.
Obiettivo dell‟attività terapeutica è «portare il paziente ad essere pronto a che la
guarigione avvenga oggi» (ibidem; 89);
3. je le pensay, Dieu le guarit: „noi li curiamo, è Dio che li guarisce‟. Il terapeuta
non guarisce: in modo più realistico e sostenibile cura la sua abilità di operare
aspettando che la natura faccia il suo corso verso la guarigione. Tenacia, pro
attività, coscienza, acutezza devono restare distinte da forme di ardore e „furor
sanandi‟.
Al fine di agevolare la propria consapevolezza ci sono delle domande
fondamentali che il terapeuta può porsi riguardo (ibidem):
sé e la propria crescita: „perché sono seduto in questa stanza?‟, „in che modo
quello che sto facendo contribuirà alla mia realizzazione?‟;
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
75
i pazienti e la loro motivazione: „perché stanno qui?‟, „perché hanno scelto la
psicoterapia?‟, in che modo quest‟ora contribuirà alla loro realizzazione?‟;
i propri doveri verso i pazienti e le aspettative realistiche che essi assumono:
„perché i pazienti hanno scelto di venire da me invece che da un‟altra persona?‟,
„cosa li fa pensare che io possa fare ciò che altri non hanno saputo o potrebbero
fare?‟, „a che mi servono qui le ore dedicate a studiare?‟.
Tra le qualità di un buon terapeuta Berne (1966) cita capacità di osservazione,
equanimità, iniziativa. Nella pratica clinica sono utili: 1. senso estetico, manifestato
nella volontà di porsi come persona cortese, sveglia, interessata, come in un aspetto
curato e opportuno nell‟abbigliamento e nel modo di esprimersi; 2. senso di
responsabilità, nel trasmettere implicitamente quindi sapere in qualsiasi momento verso
chi è responsabile, e che avverte la stessa responsabilità verso se stesso; 3. impegno,
essere esempio per i pazienti di una persona che ha un lavoro da svolgere e che non
permetterà che nulla interferisca troppo a lungo con il suo compito.
Secondo una più recente ottica neurobiologica la relazione terapeutica richiede
da parte del terapeuta un profondo impegno a comprendere e condividere le esperienze
del paziente: il terapeuta non deve mai dimenticare che le esperienze interpersonali
plasmano le strutture e le funzioni del cervello e, da qui, la mente (Siegel, 2013). Questo
difficile compito richiede di mantenere una visione obiettiva dei bisogni emozionali
della persona e, allo stesso tempo, di permettere alla propria mente di entrare in sintonia
con quella dell‟altro (ibidem). Comprendere e accettare gli altri per ciò che sono
sviluppa processi auto-organizzaztivi e narrativi.
Sembra che Ferenczi – psicoanalista di prima generazione che, pur evitando di
entrare accademicamente in conflitto diretto con Freud, mette in discussione l‟approccio
distaccato e onnisciente dell‟analista – negli ultimi anni della sua pratica non avesse
problemi ad ammettere errori o mancanze di fronte ai pazienti. In risposta alla critica di
un paziente si sente libero di dire:
«Credo che forse hai toccato un campo in cui io stesso non sono completamente
libero. Forse puoi aiutarmi a vedere cosa c‟è in me che non va». (Green, 1964; p.)
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
76
Mentre Foulkes mette in luce la modestia del terapeuta di gruppo esperto capace di dire
davanti al gruppo:
«Eccoci insieme a fronteggiare la realtà ed i problemi fondamentali dell‟esistenza
umana. Io sono uno di voi, né più ne meno». (Foulkes, 1945; 149)
Questi esempi evidenziano un approccio schietto e umanistico alla terapia, che
esemplifica una effettiva alleanza, una collaborazione, tra paziente e terapeuta. La
terapia riflette un maggior rispetto per le capacità del paziente che, reso edotto, può far
maggiore affidamento sulla consapevolezza di sé (Yalom, 1970) ed assumere un ruolo
maggiormente attivo e responsabile nel processo di cura. Implicazione è lo spostamento
della relazione terapeutica da un originario vertice autoritario in direzione di una
maggiore paritarietà pariteuticità.
Una relativa flessibilità sul ruolo diventa aspetto importante e tangibile nella terapia di
gruppo in cui il terapeuta può assumere una posizione decentrata, in particolare nelle
fasi avanzate del processo, al fine di agevolare lo sviluppo dell‟autonomia dei membri e
del gruppo (ibidem). Allo stesso tempo perdere una quota di metodico anonimato e
impassibilità – cari ad una tradizione analitica – guadagnando maggiore autenticità,
potrebbe non rappresentare una minaccia per l‟assunzione del ruolo, elemento
transteorico e fondante il contratto. Il terapeuta di gruppo, potendosi servire con
discernimento della propria persona, può assumere con maggiore elasticità il ruolo a
beneficio dello sviluppo di fattori terapeutici – la coesione come l‟identificazione – e
senza timore di danneggiare il ruolo stesso (ibidem). Autenticità del resto non significa
svelarsi completamente esprimendo i propri sentimenti, in merito ad una situazione di
gruppo o a un membro, tantomeno riversare nel gruppo la propria vita privata e i propri
problemi personali (ibidem). La quantità e il tipo di autosvelamento, quindi il tipo di
leadership, non sono da considerarsi come definiti e immutabili. Oltre che con la
tipologia di lavoro che si intraprende, sono in relazione e si modificano naturalmente
man mano che il gruppo si sviluppa; così si rendono necessarie differenti forme di
leadership (Goleman et al., 2002).
Secondo Yalom (1970) il terapeuta sincero è quello che cerca di offrire ciò che il
paziente può “assimilare, verificare, utilizzare” compatibilmente con l‟economia
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
77
dell‟intervento. Anche per Ferenczi il problema dell‟autenticità è un problema di scelta
del momento opportuno, per cui nelle prime fasi di un processo terapeutico il paziente
sente la necessità di sentirsi rassicurato dal ruolo del terapeuta (Green, 1964).
Analogamente una definizione del ruolo del conduttore di gruppo basata sulla sua
autenticità può facilmente far perdere di vista l‟individualità dei bisogni dei membri
(Yalom, 1970).
Berne (1966) esemplifica il concetto di autenticità dicendo che un terapeuta che
ricorra a qualsiasi tecnica per dimostrare che è un buon terapeuta non è autentico, lo è
piuttosto quando utilizza delle tecniche per agevolare i pazienti nel loro percorso verso
la miglior realizzazione. Discriminante per l‟autenticità terapeutica è agire a beneficio
dei pazienti, non di se stessi e di propri interessi. Per il paziente invece autenticità è
potersi sbarazzare della confusione che emerge nel tentativo di sfruttare comportamenti
propri o altrui per ricavarne dei benefici ulteriori. Compito del terapeuta è frustrare
questi tentativi mantenendo contemporaneamente un pieno rispetto per la persona
autentica che i pazienti intendono nascondere o proteggere, quindi separando il
comportamento dall‟individuo. Per Berne l‟autenticità è l‟unico lascito durevole che un
terapeuta può tramandare ai suoi pazienti.
5.5 Il paziente e la terapia
Yalom (1970) vede al paziente come una persona che possiede molte risorse che
possono essergli state utili nel passato e presenta alcune lacune che gli precludono una
fisiologica socializzazione. Tale mancanza spesso finisce per rinforzare percezioni,
pensieri, affetti e comportamenti disadattavi in un circolo vizioso.
La terapia può agire anche senza che ci siano manifestazioni all‟interno del
setting: qualche particolare episodio vissuto può essere sufficiente ad aiutare il paziente
ad affrontare le cose in maniera adattiva. Successivamente può innescarsi un processo
per cui da una modificazione intrapersonale ne scaturisce una nell‟ambente
interpersonale che produce ulteriori modifiche personali (ibidem). Al termine di una
terapia spesso si riscontrano cambiamenti e ampliamenti nella rete sociale, meno spesso
cambiamenti di ambiente, di vita o professionali. Non è sempre facile stabilire se questi
siano causali o consequenziali sull‟esito terapeutico, certo è che l‟ex paziente ha
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
78
sviluppato la capacità di beneficiare di opportunità e risorse dell‟ambiente che erano già
disponibili (ibidem).
Per Berne (1966) ogni essere umano – a meno di conclamati deficit – è
considerato possedere un apparato neurologico completo e necessario al funzionamento
psicologico. L‟Io del paziente può essere „debolmente investito di carica‟ e non lo si
considera come se vi fossero difetti intrinseci alla sua struttura: il paziente deve essere
solo attivato (ibidem). Crescendo l‟individuo impara a sue spese che non può avere tutto
ciò che vuole, deve controllare il suo corpo e far fronte alle esigenze degli altri: scopre
un mondo competitivo. A questo punto assume decisioni consapevoli e posizioni che
giustificano tali decisioni. Parallelamente vengono eliminate le influenze che
minacciano queste posizioni, la persona comincia a istituire dei compromessi che
influenzano il suo rapporto con gli altri e determinano il corso della sua vita. Le
decisioni quando vengono assunte rappresentano una buona soluzione relativamente alle
circostanze. In realtà, dice Berne, i bambini fanno più o meno ciò che i loro genitori
vogliono che facciano.
La terapia ha la finalità di investire di carica l‟apparato psichico in modo che
possa assumere un ruolo normale nell‟organizzazione psichica: se un paziente è trattato
come avesse un „Io debole‟ reagirà di conseguenza, se viene attivato l‟Io diverrà sempre
più attivo, capace di obiettività e razionalità nei confronti del mondo esterno e di se
stesso (ibidem). In altre parole le decisioni assunte possono essere annullate ed essere
riprese in considerazione facendo in modo di poter trovare altre soluzioni più costruttive
(ibidem). Obiettivo del trattamento è combattere il passato nel presente per guadagnare
il futuro. Nella situazione di gruppo sono presenti quattro forze: 1. la naturale spinta
dell‟organismo verso la salute; 2. il riconoscimento positivo da parte di altre persone,
anche detto „carezze‟; 3. esperienze sociali correttive, incontri, confronti; 4. le
operazioni del terapeuta. La terapia ha due obiettivi: ottenere miglioramenti o
„progressi‟, esperienza gratificante quanto deludente che porterà al desiderio di guarire;
guarire, ovvero „riorganizzazione del carattere‟, disinnescare i meccanismi disfunzionali
e riprendere il percorso lì dove era stato interrotto. Il terapeuta ha il compito di dare al
paziente il permesso di riguadagnare la propria “appartenenza alla specie umana”
(ibidem). Aspetto essenziale del percorso è mantenere il paziente informato di cosa gli
sta progressivamente avvenendo.
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
79
Riassumendo secondo Berne “il paziente possiede una pulsione innata verso la
salute, sia in senso mentale che fisico”. La crescita mentale e lo sviluppo emotivo hanno
incontrato degli ostacoli. Il ruolo del terapeuta si esplica nel rimuove tali ostacoli
affinché il paziente prosegua naturalmente e liberamente la sua vita nella direzione che
gli è propria. Lo stesso principio vene sostenuto da Rogers (1959) che parla di „tendenza
attualizzate‟ come spinta vitale che porta il paziente alla progressiva realizzazione di se
stesso come individuo, spinta che può essere ripristinata fornendo una relazione
empatica e autentica, capace di garantire holding.
6. Classificazione dei setting gruppali
6.1 Classificazioni formali
Il fatto che il gruppo costituisca un‟entità viva e in trasformazione, la cui stessa
evoluzione realizza la sua identità, rende difficoltosa una classificazione rigorosa
(Fabbri, 2006). Quella che segue vuole essere una classificazione schematica e non
pretende di essere esaustiva, piuttosto sufficiente a tratteggiare quegli aspetti che
definiscono la forma complessiva di un gruppo. La distinzione tra varie tipologie di
gruppi può essere operata per differenti finalità e in vari modi. Anche se spesso può
scaturire dall‟applicazione di un criterio meramente descrittivo ogni classificazione
comporta delle implicazioni di ordine teorico e metodologico. Finalità di questo stesso
tentativo di organizzazione è, più che tassonomica, di mettere in evidenza nei diversi
setting gruppali gli „aspetti esteriori‟, come li definisce Yalom (1970), quindi il
processo sotteso.
Quando si parla di gruppo terapeutico solitamente ci si riferisce implicitamente
ad un „piccolo gruppo‟, ovvero a un insieme quantitativamente definito di persone,
indicativamente tra le 3 e le 11 (De Maré, 1990). Questo parametro numerico come
vedremo può avere delle implicazioni. Una prima e semplice modalità per classificare
un gruppo è quindi in base alla sua numerosità ovvero alle dimensioni.
6.2 Dimensioni
L‟ampiezza di un gruppo è un parametro molto importante, tanto che Lewin
(1951) nella sua definizione di gruppo psicologico indica che il grado di
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
80
interdipendenza delle frazioni del gruppo varia da una massa indefinita a un‟unità
compatta e dipende, tra gli altri fattori, dall'ampiezza, dall‟organizzazione e della
coesione.
In base a questo parametro i gruppi si dividono in tre tipologie: piccolo gruppo,
gruppo medio o mediano, grande gruppo. La discriminante numerica per operare tale
suddivisione cambia nei diversi autori e in base alle differenti discipline prese in esame.
Anche se la differenziazione in tutti i casi rappresenta una soglia limite di membri
raggiunta la quale vengono a modificarsi le percezioni dei singoli componenti, la
tipologia di relazioni interne, conseguentemente le possibilità di azione, il valore di
questa soglia può essere molto variabile in base al modello, operativo o di analisi,
utilizzato. I dati che seguono, ad esempio, piuttosto che come incongruenti possono
essere considerati misure di una stessa dimensione operate con unità di misura
differenti. Doel e Sawdon (2003) nel lavoro in ambito sociale parlano di 3-6 membri,
poi 7-16 e oltre i 16. De Maré (1990) in ambito gruppoanalitico parla di piccolo gruppo
con 3-7 membri, gruppi intermedio con 12 -30 e grande gruppo oltre i 30. Nello
psicodramma le numerosità sono di 2-3, 4-6 e 6-8 nel grande gruppo (Boria Migliorini,
2006). Per applicazioni di danzamovimentoterapia il numero di partecipanti è di 4-9,
10-20 e oltre i 20 (Bellia, 2001).
La dimensione del gruppo diventa una variabile importante nella pratica: in un
gruppo ristretto l‟influenza reciproca dei membri e la coesione sono intense ma tendono
a diminuire man mano che il gruppo si allarga (Fabbri, 2006). Anche il tipo di relazioni
cambia passando da relazioni orizzontali nel piccolo gruppo a verticali nel grande, in
cui l‟adesione al comportamento non è più data dalla coesione interna, vero e proprio
collante emotivo del gruppo, ma si struttura intorno all‟appartenenza, che differenzia i
membri dalla realtà sociale esterna (Yalom, 1970; Fabbri, 2006). Le identificazioni
cambiano, trasformando la “sala degli specchi” di Foulkes (1964), situazione di piccolo
gruppo in cui ogni membro riesce a percepire l‟esperienza dell‟altro, potendosi
identificare con più membri, in uno spazio non più esperito empaticamente quanto
appartenente ad un piano cognitivo e prototipico socialmente definito (Fabbri, 2006).
Nel piccolo gruppo emerge una dimensione prettamente affettiva e interpersonale, è una
realtà „calda‟.
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
81
In base a tali premesse, la classificazione che segue si riferisce ad un generico
lavoro psicologico di gruppo non necessariamente psicoterapeutico, in riferimento alle
essenziali dinamiche interne al gruppo e alle più elementari modalità operative. Il
gruppo minimo viene considerato di 3 persone (ibidem) in quanto al di sotto è più adatto
parlare di coppia. Nella numerosità indicata a seguire è esclusa la conduzione che
rappresenta un elemento costante e può variare per numero di componenti in base alle
specifiche esigenze operativo-progettuali.
Piccolo gruppo. Da 3 a 16 membri. Caratteristica è che permette abbondanti
interazioni. La tipica disposizione in cerchio rafforza le dinamiche affettive e la
percezione sociale di un ingroup, quindi la differenziazione dall‟outgroup. In particolare
sono possibili discussioni faccia a faccia: uno dei modelli di interazione sociale
fondamentali. Il basso numero di componenti permette di far emergere le singole
personalità e, nel tempo, si assiste alla spontanea emersione di ruoli (Yalom, 1970). Un
gruppo di 4 componenti o meno spesso cessa di operare come gruppo e il processo
diventa più affine a una terapia individuale condotta in gruppo (ibidem). L‟eterogeneità
dei partecipanti deve essere presa in considerazione come elemento che può
condizionare la dinamica di gruppo (ibidem). Un esempio che esemplifica questo tipo di
gruppo può essere l‟equipe.
Gruppo medio. Da 12 a 30 membri. Sviluppa la sua valenza pratica e metodologica
nella possibilità di operare sul confine tra dinamiche individuali e sociali dando ancora
ai membri la possibilità di percepire chiaramente la dimensione di gruppo e il reciproco
legame (ibidem). Gli scambi e le relazioni personali diventano meno incisivi e, in caso
di prolungata interazione può tendere a segmentarsi in sottogruppi. La possibilità di
adottare ancora una disposizione in cerchio permette di monitorare e agire sul gruppo
nel suo insieme e su singoli membri. Un esempio possono essere i gruppi di incontro.
Grande gruppo. Oltre i 30. La diposizione in cerchio inizia a diventare difficoltosa
optando per una disposizione di tipo frontale, in cui la leadership è spazialmente
distinta. Il grande gruppo è sorretto da fenomeni di natura prevalentemente cognitiva e
sociale (ibidem), che lo rendono „freddo‟. Applicazioni in gruppi più ampi sono
possibili. In seminari nazionali e internazionali si può arrivare a sessioni di gruppo che
contano svariate decine di persone fino a oltrepassare il centinaio. Diventa più difficile
ricorrere alle proprietà del gruppo.
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
82
In conclusione la dimensione ottimale di un gruppo è determinata da alcuni
fattori (Fabbri, 2006):
obiettivi: grado di complessità individuale dello scopo del lavoro;
intimità: livello di intimità ed esplorazione che si vuole raggiungere;
apprendimento: qualità dei vissuti che si vogliono scambiare;
modalità: opportunità di dover lavorare in sottogruppi;
efficienza: ottimizzazione delle risorse, perfezionamento dei risultati.
6.3 Il continuum verbale-non verbale
Una prima semplice differenziazione riguarda gli aspetti formali e strutturali
come composizione, modello teorico, finalità, variabili di setting, illustrati nel paragrafo
successivo. Questa differenziazione formale-strutturale riguarda essenzialmente aspetti
oggettivi e operativi facilmente riscontrabili. Ad esempio si possono distinguere le
psicoterapie di gruppo che adottano tecniche verbali e altre che ricorrono a tecniche
extraverbali (Bensi, 2011), anche dette terapie di gruppo attive (Berne, 1966). Tale
distinzione nasce in seno al modello analitico in cui i principi di astinenza e di rispetto
del setting centrano la prassi su un livello verbale, funzionale ad un‟integrazione
consapevole dei vissuti. Questo modello quindi considera gli „agiti‟ come momenti di
scarica delle tensioni, non funzionali al processo, se non delle vere e proprie resistenze
al trattamento (Yalom, 1970). Altri approcci invece prediligono una maggiore
partecipazione corporea che può essere oggetto di successive integrazioni verbali. In
altre attività come l‟analisi bioenergetica è invece l‟uso della parola che può essere
sconsigliato durante alcune attivazioni fisiche.
Fonte: adattato da Bensi, 2001.
Fig. 1: Classificazione per ricorso a tecniche verbali/non verbali
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
83
Volendo analizzare le caratteristiche funzionali e processuali la scena diventa
più articolata: il confine tra applicazioni terapeutiche e non terapeutiche può diventare
sfumato. La differenza più evidente tra grupi terapeutici e con altre finalità riguarda più
che le modalità tecniche utilizzate, la domanda che viene esplicitamente formulata (Di
Maria e Lo Verso, 1995).
6.4 Verso il processo: attività e scopi
Un tentativo di classificazione che prenda in esame aspetti funzionali e
processuali, anche se proposto in ambito psichiatrico, comprende al suo interno una
varietà di applicazioni dei setting gruppali. La classificazione riguarda i metodi adottati
nella conduzione del gruppo a seconda del grado di attività del leader e degli scopi
terapeutici che si propone (Pines e Schlapobersky, 2000). Il livello di attività riguarda la
quantità di interazione del conduttore con il membro o con il gruppo. Ogni scambio può
essere visto come un micro-intervento volto a raggiungere un determinato micro-
obiettivo. I contenuti dell‟interazione possono essere predefiniti, come nel comunicare
una consegna al gruppo assumendo un ruolo direttivo, o contingenti, come fornendo una
risposta empatica ad un partecipante o verbalizzando degli aspetti processuali
emergenti. Il tipo di attività del leader e il modo in cui la espleta sono guidati dal
modello teorico che adotta, come anche gli scopi terapeutici da perseguire. Questi ultimi
possono essere definiti a monte della sessione e sono in stretta connessione con il tipo di
lavoro che il conduttore intende svolgere. In linea di massima più l‟attività sarà di tipo
strutturato e l‟obiettivo del lavoro di gruppo sarà riconosciuto come comune dai
membri, maggiormente specifici saranno gli scopi terapeutici. Scopi terapeutici specifici
si rivolgono per lo più a gruppi omogenei per composizione (ibidem). Incrociando
queste due variabili, grado di attività e specificità degli scopi terapeutici del leader,
vengono a definirsi quattro casistiche (Fig. 2):
1. alto livello di attività – scopi specifici: polo occupazionale/gruppo di lavoro. Si
tratta di setting gruppali tipicamente inseriti in programmi terapeutici strutturati,
in cui i componenti richiedono un certo grado di attenzione e, talvolta,
comprendono lo svolgimento di determinati compiti;
2. basso livello di attività – scopi specifici: polo formazione/educazione. Sono
gruppi strutturati la cui conduzione può essere piuttosto standardizzata e
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
84
l‟attività del gruppo programmata. Possono essere presenti dei compiti che il
gruppo deve svolgere e che rappresentano il motivo su cui il gruppo fonda;
3. basso livello di attività – scopi non specifici: polo supportivo/espressivo. Si
trovano i gruppi la cui attività e contenuti sono proposti dai membri e
perseguono caratteristiche finalità di aiuto e di sviluppo personale. I membri
hanno ampio spazio di espressione;
4. alto livello di attività – scopi non specifici: polo integrativo/trasformativo. A un
buon grado di eterogeneità e complessità dei contenuti che possono liberamente
emergere può corrispondere un tempo di lavoro ridotto. Ruolo del leader è di
mediare tra le parti.
Riassumendo possiamo dire che scopi specifici corrispondono ad una leadreship
piuttosto direttiva, attività più strutturate ed un modello „frontale‟; scopi non specifici
prevedono maggiori capacità di holding e di insight da parte del leader, maggiore
reciprocità che spesso si sostanzia in una disposizione dei membri tipicamente a
cerchio. Ad un alto livello di attività del leader seguono un‟assunzione più forte del
ruolo, maggiori dinamismo e capacità dialettica; ad un basso livello di attività il leader
può delegare al gruppo aspetti legati al compito/obiettivo assumendo una posizione
democratica e inclusiva: la sua azione è circoscritta a momenti di particolare necessità.
Fonte: adattata da Pines e Schlapobersky, 2000.
Fig. 2: Classificazione per livello di attività del conduttore-scopi del gruppo
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
85
6.5 Il continuum terapia-addestramento
Secondo Yalom (1970) l‟intervento in setting di gruppo si svolge su un
continuum che va dall‟addestramento per la maturazione personale alla terapia intesa
come cambiamento caratteriologico. Su questa direttiva, che può essere concepita come
lineare per agevolare una lettura teorica esemplificativa, volendo citare alcuni esempi, si
possono identificare dei punti procedendo dal versante della terapia a quello
dell‟addestramento: gruppi psicoanalitici, gruppi di Gestalt, psicodramma, gruppi di
incontro, gruppi di auto-mutuo-aiuto, gruppi di supervisione/formazione, gruppi di
addestramento. A questi, oltrepassando l‟aspetto dell‟apprendimento interpersonale che
assume un ruolo centrale nei gruppi terapeutici (Yalom, 1970), si potrebbero aggiungere
gruppi di attività centrati sul compito, fino ad arrivare a gruppi creativo/espressivi, le
cui componenti e finalità di sviluppo personale sono meno dirette assumendo un valore
contingente.
Riferendosi alle pratiche in uso fino agli anni ‟60 Yalom (1970) fa una
distinzione tra gruppi meramente terapeutici, come ideale estensione applicativa dei
setting duali, ispirati a teorie psicologiche e con bassa strutturazione delle attività, e di
addestramento, derivati da una tradizione didattica e di ricerca, focalizzati sul
perseguimento di un compito/obiettivo, quindi strutturati. In realtà questa distinzione
sembra assumere un valore piuttosto teorico: lo stesso autore riconosce ad entrambe le
tipologie la possibilità di ottenere un certo grado di insight e di cambiamento
personologico. Tale posizione nel discriminare il carattere di terapeuticità, basato più
che sulle modalità tecniche utilizzate, sulle finalità dichiarate e sulla domanda
esplicitamente formulata (Profita e Venza, 1995), appare restare piuttosto condivisa.
Sembra che quando il compito/obiettivo interessi questioni di pertinenza psicologica –
come nei classici T-Group di Lewin – l‟effetto „terapeutico‟ sia contingente e notevole,
a prescindere dalla finalità esplicitamente non terapeutica del lavoro(Yalom, 1970;
Rogers, 1970). Questa evidenza porterà Yalom a definire i cosiddetti „fattori terapeutici
di gruppo‟ che, interagendo in varia misura tra loro, finiscono per conferire una valenza
più o meno terapeutica al lavoro di gruppo.
È possibile che su un piano pratico l‟importanza nella distinzione di intervento
terapeutico-non terapeutico interessi questioni epistemologiche: la formazione, le
modalità di progettazione e di conduzione del leader; questioni contrattuali: assumendo
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
86
un valore pubblico e giuridico interagiscono con le motivazioni dei possibili membri e
ne influenzano la partecipazione. L‟implicazione di questo tipo di classificazione
rimanda direttamente all‟assunzione di professionalità, responsabilità e metodo da parte
dei leader, risultando preziosa e scongiurando diatribe e reciproche rivendicazioni tra
ordini professionali.
Altri utilizzi ingenui del gruppo di addestramento, come l‟applicazione isolata di
principi psicologici – dall‟interpretazione del non verbale alle tecniche di ricalco,
all‟utilizzo di teorie di psicologia sociale nella vendita – o basati su meccanismi di
ipergeneralizzazione (Yalom, 1970) – assumere che qualcosa di positivo, come i
rapporti umani o lo svelamento, lo sia sempre, per tutti, e vada ricercato in modo
massivo –, in voga negli anni ‟60 come oggi, risultano eccessivi, „offensivi‟, rischiosi
per i partecipanti, i conduttori e, influenzando l‟opinione pubblica, possono risultare
dannosi per molte categorie professionali.
6.6 Altre variabili nel lavoro con i gruppi
Oltre a quelli già visti – dimensioni, tecnica verbale-non verbale, terappia-
addestramento, attività-scopi della leadership – esistono una serie di aspetti
organizativo-strutturali che possono interessare i gruppi e differenziarli in modo
sostanziale. Questi, in base alle specifiche che si prefissa il conduttore, possono essere
(Berne, 1966):
selezione/composizione: questi aspetti mirano ad assolvere un criterio di
omogeneità o eterogeneità nella composizione del gruppo, che è dettata dalle
specifiche organizzative o dalle finalità che si prefigge il terapeuta. Gruppi
eterogenei senza criteri di selezione sono detti „gruppi generali‟, quelli omogenei
possono essere considerati „gruppi speciali‟, quelli con composizioni differenti e
inconsuete – un anziano con deterioramento senile in un gruppo di giovani – „gruppi
sperimentali‟;
obiettivi/metodo: gli obiettivi devono essere esplicitati in fase di ideazione e
chiariti a ciascun paziente al momento dell‟inserimento. Il metodo costituisce il
modo in cui vengono perseguiti gli obiettivi: discostamenti dal metodo pianificato
devono essere motivati da ragioni valide senza che interferiscano con il piano
terapeutico prescelto;
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
87
conduzione: questo aspetto può variare andando da un singolo terapeuta, a due
coterapeuti a un terapeuta a cui si uniscono degli osservatori. In ogni caso si va
incontro a specifiche responsabilità per cui una co-conduzione non è meno
impegnativa di una individuale. Questa variabile è illustrata nei paragrafi successivi;
pratica privata/servizio pubblico: risponde alla possibilità di realizzare un
percorso su libera iniziativa o sotto delega di un‟amministrazione. In questo caso è
importante comprendere gli scopi del progetto e le esigenze dell‟organizzazione,
raggiungere un accordo sul significato della terminologia tecnica in modo che la
realizzazione non crei disappunti al servizio come ai pazienti ma possano essere
soddisfatte le aspettative di tutte le parti chiamate in causa. È inoltre opportuno
conoscere quali uffici sono implicati con l‟implementazione e con quale ruolo al
fine di comprendere relative responsabilità e competenze.
Secondo Yalom (1970) l‟espressione „terapia di gruppo‟ rappresenta una
semplificazione eccessiva, per cui sarebbe più opportuno parlare di „terapie di gruppo‟
riferendosi ad una serie di applicazioni di setting gruppali che possono variare per
(Yalom, 1970):
composizione: partecipanti accomunati da una condizione clinica piuttosto che
persone che attraversano momenti o condizioni di vita particolari – per esempio
gestanti, genitori, studenti;
modello teorico: dai paradigmi più ortodossi ai più recenti ed eclettici, fino a
sfociare in modelli di confine tra la promozione del benessere e l‟attività espressivo-
creativa;
finalità: che possono consistere in una modifica più o meno diretta del
comportamento, come anche la maturazione personale, la consapevolezza,
l‟addestramento, l‟aiuto e il supporto;
variabili di setting: anche „aspetto esteriorie‟, la forma e le tecniche propri di
ogni modello, fanno riferimento anche al luogo, alle tempistiche e al tipo di
attività/compito su cui il gruppo si orienta.
Nell‟intenzione di semplificare un panorama complesso, perché ampio, eterogeneo e in
continuo cambiamento, l‟autore preferisce bypassare il mero „aspetto esteriore‟ per
guardare al nocciolo delle varie „terapie di gruppo‟. L‟accezione del significato di
„terapeutico‟ per Yalom – che pure nella sua opera da prova di un atteggiamento
III - CRITERI DI APPLICAZIONE E CLASSIFICAZIONI DEI SETTING GRUPPALI
88
ortodosso e scientifico – è quindi ampio e non strettamente clinico, ricalcando una
prospettiva moderna e pragmatica di ciò che può essere definito intervento psicologico:
intervento non solo correttivo, ma anche preventivo e di promozione del benessere.
Nel capitolo successivo vedremo secondo quali meccanismi l‟intervento in setting
gruppale può incarnare quel quid di terapeutico e come la lettura neurobiologica – forse
ricalcando l‟atteggiamento di Yalom – possa esprimere una visione del paziente e della
terapia in una chiave salutogenetica centrata sul processo piuttosto che centrata sul
sintomo e su una visione nosografico-classificatoria.
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
89
Capitolo IV
BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
Introduzione
In questo capitolo il tema della gruppalità verrà affrontato dalla prospettiva delle
neuroscienze. Recenti contributi dei ricercatori da un lato potranno tracciare nuove
prospettive sull‟organizzazione interpersonale del sistema nervoso umano, dall‟altro
potranno ampliare una comprensione degli argomenti precedentemente trattati. Le
teorizzazioni esposte offriranno significative implicazioni sul funzionamento dell‟uomo
come essere sociale, sulla psicoterapia e sul funzionamento del gruppo.
Le ricerche effettuate nel campo delle neuroscienze, con particolare riferimento
ai contributi di Iacoboni (2008) e Siegel (1999; 2013), a partire dagli anni ottanta del
secolo scorso permettono di comprendere meglio importanti teorie della psicologia sotto
una nuova luce. Non solo: le scoperte interessano anche i meccanismi che reggono o
sottostanno al funzionamento interpersonale del sistema nervoso.
La neurobiologia interpersonale è un‟area multidisciplinare attigua alle
neuroscienze che studia le correlazioni fra cervello, mente e interazioni con gli altri; il
suo focus include i meccanismi molecolari delle funzioni cerebrali considerando tanto le
connessioni sinaptiche come le connessioni relazionali tra individui (Siegel, 2013).
Questo approccio, enfatizzando il collegamento tra realtà sociale e sinaptica, di basa su
tre assunti fondamentali (ibidem):
la mente è un processo incarnato e relazionale che regola flussi di energia e
informazioni, all‟interno del cervello e tra cervelli diversi;
la mente si crea all‟interno di processi neurofisiologici ed esperienze
relazionali come proprietà emergente;
lo sviluppo di strutture e funzioni cerebrali dipende dalle modalità con cui le
esperienze influenzano i programmi di maturazione geneticamente
determinati.
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
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7. Neurobiologia e processi terapeutici
Gli aspetti che seguono trovano applicazione e mantengono validità tanto in un
setting individuale che gruppale, tuttavia è nel gruppo che le variabili interpersonali
trovano una moltiplicazione quantitativa e qualitativa, offrendo un più ampio e ricco
panorama di applicazioni.
Attraverso degli argomenti che riguardano la neuropsicologia vengono qui
illustrati dei principi trasversali implicati nella relazione terapeutica: la neuroplasticità
come corrispettivo neurale del cambiamento, le memorie come oggetto dell‟intervento,
il trauma nelle sue implicazioni funzionali, anche connesse alla memoria, e il sistema
nervoso periferico come apparato implicato con lo stato di arausal.
La mente può essere in parte descritta come l‟esito dell‟attività delle cellule del
sistema nervoso, in cui giocano un ruolo importante le relazioni interpersonali e le
connessioni comunicative con gli altri (ibidem). Alcuni dei seguenti argomenti che
riguardano anatomia e funzioni del cervello saranno utili per capire degli aspetti del
funzionamento umano, facilitando una comprensione dei processi terapeutici di gruppo
(Badenoch e Cox, 2010) e potendo indirizzare intenzionalmente il movimento verso la
salute (Siegel, 2013). La loro operativizzazione può inoltre agevolare le capacità di
holding del conduttore e una lucida consapevolezza nei membri (Badenoch e Cox,
2010).
7.1 Neuroplasticità
Per neuroplasticità si intende la proprietà delle strutture neurali di interagire tra
loro e con l‟ambiente esterno (Làdavas e Berti, 2002). Il processo è volto a raggiungere
nuovi equilibri funzionali attraverso modificazioni e riorganizzazioni interne. Una
concezione classica della neurobiologia voleva che modifiche sostanziali nella
microstruttura del cervello fossero possibili solo in fasi precoci dello sviluppo, durante
il cosiddetto periodo critico (Fox, 1992). I dati attualmente disponibili suggeriscono che
il cervelo adulto, anche in presenza di danni neurologici, è molto più plastico di quanto
si pensasse (Doidge, 2007). L‟assunto di „periodo critico‟ è andato a ridimensionarsi,
fino a riconoscere che anche il cervello adulto è capace di operare profondi mutamenti
sia funzionali che strutturali, infatti (Siegel, 2013): le esperienze, modificando l‟attività
e la struttura delle connessioni sinaptiche che collegano le cellule nervose, plasmano i
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circuiti responsabili di processi come memoria, emozioni e autoconsapevolezza. Le
esperienze possono avere un forte impatto sullo sviluppo cerebrale inducendo anche
cambiamenti in molecole che regolano l‟espressione genica, fenomeno chiamato
epigenesi (Meaney, 2010).
La forza delle connessioni sinaptiche può essere geneticamente determinata,
come se il cervello per motivi associati a vantaggi evolutivi fosse programmato per
processare in modo preferenziale alcuni tipi di input. Nonostante ciò la forza delle
connessioni sinaptiche può essere anche determinata dalle esperienze attraverso processi
neuroplastici che sono alla base delle nostre capacità di apprendimento (Siegel, 2013).
Durante un‟esperienza emotivamente significativa, quindi intensa, vengono attivati
circuiti cerebrali che influenzano direttamente l‟attenzione e lo stato di arousal
innalzando i loro livelli. L‟attivazione di complessi meccanismi chimici accrescono
l‟attivazione e l‟espressione genica (Doidge, 2007). Secondo questa prospettiva
l‟attivazione emotiva è un processo che contribuisce a creare le condizioni
neurochimiche che facilitano cambiamenti neuroplastici (Siegel, 2013). In ambito
terapeutico i processi neuroplastici sono facilitati da un ambiente interpersonale che
fornisce (Badenoch e Cox, 2010):
un‟opportuna attivazione emotiva (Cozolino, 2002);
relazioni interpersonali armoniche e sintonizzate (Siegel, 2006);
supporto nel prendere contatto e consapevolezza esperienziale con memorie
implicite (Badenoch, 2008);
esperienze che disconfermano apprendimenti impliciti precoci (Toomey e Ecker,
2009).
L‟elemento bio-psico-sociale è quindi determinante e contribuisce a influenzare
l‟espressione del patrimonio genetico (Schore, 2003). Sembra infatti esistere accordo
sul fatto che così come le relazioni precoci finiscono per forgiare la struttura del nostro
cervello, le successive continuano a modificare circuiti neuronali nell‟arco di vita
(Siegel, 1999; Schore, 2003; Doidge, 2007): le esperienze sociali possono plasmare la
nostra architettura neurale (Siegel, 2013). La relazione terapeutica è infatti l‟ingrediente
comune utilizzato da tutte le forme di psicoterapia e, nelle terapie di gruppo, l‟alleanza
nella relazione terapeutica vira in direzione della coesione (Yalom, 1970; Burlingame et
al., 2002). All‟interno di questo frame teorico che vede il comportamento umano
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suscettibile di continue e importanti modificazioni sviluppate all‟interno di relazioni
salienti è possibile considerare come si contestualizzano altri contributi delle
neuroscienze.
7.2 Memoria
Studi sulle relazioni tra memoria ed emozioni indicano che le esperienze
emotivamente ricche vengono normalmente ricordate con maggiore facilità (Schmidt e
Saari, 2007). Regioni cerebrali che attribuiscono un valore alle esperienze
probabilmente le „etichettano‟ come significative, importanti, degne di essere ricordate
(Sergerie et al., 2006). Tali esperienze hanno una maggiore probabilità di entrare a far
parte della memoria a lungo termine (Siegel, 2013) e plausibilmente, tramite questi
meccanismi cerebrali, le nostre vite diventano un insieme di temi emotivamente
rilevanti attorno ai quali si organizzano i ricordi dei singoli eventi (Thomsen e Berntsen,
2008). Da queste premesse sembrerebbe che in condizioni normali la mancanza di
coinvolgimento emotivo si possa riflettere negativamente sulla capacità di recupero dei
ricordi e, in ultima analisi, che le emozioni giochino un ruolo nello sviluppo delle
memorie esplicite.
Un analogo legame tra memoria ed emozione può ritrovarsi nel fatto che le
interazioni precoci con il caregiver danno forma alle prime connessioni tra il sistema
limbico – che comprende sia l‟ippocampo, centro delle funzioni mnestiche, che
l‟amigdala, sede dell‟elaborazione degli stimoli emotigeni – e le aree corticali
codificando nella memoria schemi che restano sotto il livello di coscienza (Siegel,
2013). Queste informazioni riguardano il valore che ci si attribuisce come persone e
regolano le aspettative relazionali (Badenoch e Cox, 2010). Come aveva intuito Freud –
ma in un‟accezione differente – la risoluzione di un conflitto psicologico è strettamente
collegata alla possibilità di rendere consapevole, e di poter manipolare attraverso la
ragione, contenuti inconsci. Tali contenuti oggi possono essere meglio definiti come
memorie implicite. In una cornice neurobiologica la parte „curativa‟ del processo
terapeutico non risiede tanto nel far riaffiorare dei ricordi quanto nell‟integrarli nella
propria esperienza di vita. Sono tre i sistemi di memoria implicati nel lavoro terapeutico
(ibidem).
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Memorie implicite: create nei primi 12-18 mesi, originano da percezioni
corporee, eccessi emotivi, sensazioni di sicurezza o pericolo (Badenoch, 2008;
Siegel, 1999), da esperienze ripetitive con i caregiver (Siegel, 2013), generando
aspettative quindi schemi o modelli mentali di attaccamento. Rappresentano
connessioni limbiche – particolarmente dell‟emisfero destro – che si strutturano
attraverso l‟esperienza. Per la natura della loro codifica sono accessibili quando
una certa esperienza viene ripetuta; si manifestano nella forma di modalità di
percezione pervasive che investono le aspettative sul mondo fisico e relazionale
(Schore, 2003). Non potendo essere esperite alla stregua di un ricordo
contestualizzato assumono carattere di immanenza, come se il ricordo si stesse
vivendo nel presente. Per questi motivi memorie implicite dissociate possono
avere implicazioni e strascichi importanti nella vita adulta creando circoli viziosi
in cui vengono confermate dai comportamenti attuati automaticamente in
particolari circostanze (Badenoch e Cox, 2010). Le memorie implicite, per la
loro caratteristica di esperienze non integrate, si collegano ad un recupero che
può interrompere il normale flusso della coscienza (Badenoch, 2008). Gli
schemi di attivazione delle memorie implicite che dominano le relazioni
interpersonali possono essere modificati in due modi:
- sotto il livello di consapevolezza, attraverso episodi di sintonizzazione
empatica capaci di modificare le connessioni limbiche (Schore, 2003);
- a livello consapevole, con un lavoro espressivo e rielaborativo
(Badenoch, 2008).
In questo secondo modo le memorie implicite possono trasformarsi in esplicite
ed essere esperite nel presente disconfermando gli apprendimenti precoci e
potendo essere incorporate all‟interno di una narrazione autobiografica coerente
(ibidem).
Memorie esplicite: sebbene tutte le memorie siano collegate ad un livello
implicito, intorno ai 2 anni l‟ippocampo inizia a codificare le esperienze secondo
specifiche spaziali e temporali (Badenoch e Cox, 2010). Questo nuovo tipo di
codifica permette di riconoscere un ricordo come evento appartenente al passato
e di collocarlo, oltre che di recuperarlo, con un margine di consapevolezza e di
intenzionalità.
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Memoria autobiografica: dopo i 2 anni il sistema limbico inizia a creare
collegamenti con aree associative della corteccia prefrontale, prima
nell‟emisfero destro, dove il senso del Sé può assumere una strutturazione
prospettica, poi nel sinistro, in cui il Sé può iniziare ad essere codificato
attraverso il linguaggio (ibidem). Questo tipo di memoria inizia ad agire in modo
più consistente ed efficiente non prima dei 4-5 anni (Siegel, 1999). Come
sostengono le teorie evolutive socioculturali ed interazioniste lo sviluppo della
memoria autobiografica sembra il risultato della costruzione collaborativa di
narrazioni personali del passato che coinvolge il bambino e adulti significativi
(Wang, 2006). Ciò suggerisce la possibilità che anche processi tipicamente
privati, come anche il pensiero e l‟autoriflessione, abbiano origine come forme
di comunicazione interpersonale (Siegel, 2013).
7.3 Eventi traumatici
Possono essere definiti traumatici quegli eventi che eludono i meccanismi
attraverso cui normalmente interpretiamo le nostre reazioni, ordiniamo le nostre
percezioni del comportamento altrui e ci creiamo schemi di interazione con la realtà
(Van der Kolk et al., 2005). Gli autori distinguono tre differenti categorie di eventi
traumatici: con durata limitata nel tempo caratterizzati dall‟imprevisto e dall‟intensità
dell‟evento; riferiti a situazioni sequenziali con possibile effetto cumulativo;
un‟esposizione prolungata a condizioni di stress, situazioni che possono provocare
incertezza e sentimenti di impotenza, pregiudicando i legami di attaccamento e
generando un fondamentale senso di insicurezza.
Di fronte ad una attivazione emozionale eccessiva il cervello risponde attivando
il sistema nervoso autonomo mettendo in circolo ormoni che inducono un arousal
persistente che può durare diversi minuti fino ad ore (Siegel, 2013). Inoltre esperienze
traumatiche possono portare ad un blocco dei meccanismi della memoria esplicita con
una inibizione delle funzioni dell‟ippocampo (Siegel, 2013; Van der Kolk et al., 2005).
In tal modo si può verificare una compromissione della memoria autobiografica: il
ricordo implicito è invece integro e può comprendere comportamenti come fuga o
evitamento, reazioni irrazionali, sensazioni corporee e immagini correlate agli eventi
(Siegel, 2013).
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In un‟ottica neurobiologica il trauma è strettamente connesso con le memorie
implicite, causa di disregolazioni comportamentali. Possono rappresentare fonte di
memorie con un potenziale disregolativo difetti nel maternage, eventi biografici
traumatici, periodi di stress prolungato (Badenoch e Cox, 2010).
Eventi particolari e l‟azione dello stress possono interferire in ogni momento
della vita con l‟integrazione tra memorie implicite ed esplicite o autobiografiche
facendo riaffiorare il loro potenziale disregolativo (Schore, 2003). A livello
fenomenologico in caso di rievocazione di memorie implicite si può assistere a vissuti
di perdita di libertà di agire e di scelta consapevole, con conseguente senso di
confusione e scoraggiamento (Badenoch e Cox, 2010).
Il vantaggio dell‟elaborazione in gruppo di un trauma consiste nella valenza
autoregolativa che si realizza tanto per il membro che riceve sostegno che per chi offre
supporto (Schore, 2003).
7.4 Sistema Nervoso Centrale e Periferico
Solo quando una persona si sente al sicuro o ha una „neurocezione di sicurezza‟
(Porges, 2007) diventa capace di entrare in contatto profondo con gli altri attraverso il
„cervello sociale‟ e di beneficiare dei meccanismi di co-regolazione interpersonale
(Badenoch e Cox, 2010). Le ricerche di Porges (2007) hanno identificato degli assetti
del sistema nervoso autonomo che agiscono in modo gerarchico.
Percezione di pericolo: il complesso vegale dorsale del sistema parasimpatico
attiva una risposta di congelamento, blocco e dissociazione. I centri superiori di
elaborazione subiscono un arresto escludendo il confronto sociale, riducendo i
livelli di consapevolezza e di risposta al dolore. In caso di stress elevato la
risposta ormonale limita i collegamenti tra amigdala e ippocampo producendo
memorie implicite non integrate (Badenoch e Cox, 2010). Questo arousal
parasimpatico è una strategia adattiva per mantenere l‟omeostasi in uno stato di
attivazione del sistema simpatico (Schore, 2010).
Percezione di minaccia: si attiva il circuito simpatico che riduce l‟attività dei
sistemi di modulazione sociale e prepara l‟organismo a difendersi attraverso una
risposta di attacco o fuga (Badenoch e Cox, 2010).
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Neurocezione di sicurezza: le innervazioni ventrali del sistema parasimpatico
creano uno stato di quiete favorevole a instaurare relazioni personali accoglienti.
L‟attivazione di questo sistema permette di inviare e leggere segnali sociali –
comprendenti ad esempio espressioni facciali, contatto visivo, postura e
prossemica, movimento e prosodia – che stimolano la reciprocità portando a una
condizione di mutua regolazione e relazione empatica.
7.5 Integrazione
La neurobiologia interpersonale all‟interno di ogni individuo distingue tre aspetti
funzionali (Fig. 3) che interessano flussi di energia e informazioni (Siegel, 2013):
cervello: è il meccanismo neurale che plasma tali flussi;
relazioni: sono la loro condivisione;
mente: è il processo incarnato nel sistema nervoso e ancorato nelle relazioni
interpersonali che regola i flussi.
Cervello relazioni e mente non sono elementi separati ma facce della stessa medaglia. In
quest‟ottica la mente è una proprietà emergente di un sistema nella forma di processo
auto-organizzante, che regola cioè in modo ricorsivo le fonti da cui ha origine: cervello
e relazioni plasmano la mente, la mente plasma relazioni e cervello (ibidem). Mente
cervello e relazioni posono essere diretti intenzionalmente verso la salute e il benessere
integrando energia e informazioni all‟interno del sistema nervoso e delle interazioni con
gli altri: l‟integrazione è il principio organizzativo che regola i modi in cui i flussi di
energia e informazioni vengono plasmati nel cervello, condivisi nelle relazioni e
regolati dalla mente (ibidem).
Fonte: Siegel, 2013.
Fig. 3: I tre aspetti dei flussi di energia e informazioni
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
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Più precisamente per integrazione si intende il processo di collegamento in un
insieme funzionale di parti differenziate, è quindi un principio unificante che risulta
centrale per la salute della mente e da cui emergono vitalità ed armonia; quando si
verifica nel cervello per mezzo di fibre assonali si parla di integrazione neurale
(ibidem). Componenti essenziali dell‟integrazione sono la differenziazione e il
collegamento; la differenziazione implica il modo in cui parti di un sistema possono
specializzarsi diventando uniche e definite, il collegamento è la connessione di aree
separate che comporta la condivisione di flussi di energia e informazioni (ibidem).
Anche se tutti gli elementi del sistema contribuiscono al suo funzionamento
alcune regioni hanno un ruolo integrativo maggiore (ibidem): aree limbiche, in special
modo l‟ippocampo; aree prefrontali; corpo calloso: che collega fra loro i due emisferi
cerebrali; cervelletto: che partecipa la collegamento tra movimenti corporei, stati
mentali e processi cognitivi. Il modo in cui il cervello regola i suoi processi viene detto
autoregoalazione, meccanismo che sembra dipendere dall‟integrazione neurale (ibidem).
L‟autoregolazione è essenziale per la capacità del cervello di creare un senso del Sé
(ibidem). Come già accennato nel paragrafo sulla neuroplasticità, relazioni
interpersonali positive, come le comunicazioni integrative, possono stimolare la crescita
di fibre nervose integrative (ibidem), viceversa esperienze di trascuratezza e di abuso
nella prima infanzia inibiscono selettivamente i meccanismi di integrazione neurale
(Teicher, 2010). Allo stesso modo negli stati emozionali positivi l‟individuo è più
integrato, sia internamente che interpersonalmente, potendo disporre di prospettive più
ampie, emozioni negative corrispondono ad una diminuzione di integrazione (Siegel,
2013); un simile meccanismo diventa visibile nel lavoro di gruppo in cui un clima
collaborativo riduce le distanze tra i singoli punti di vista e amplifica i punti di forza
producendo un‟intelligenza di gruppo che è maggiore rispetto alle possibilità del singolo
individuo lì dove un gruppo non collaborativo ha una prestazione massima che non
eccede la miglior prestazione del singolo (Woolley et al., 2010). Oltre a incrementare
l‟intelligenza, l‟integrazione creae coerenza ed equilibrio all‟interno del sistema: rende
più flessibili, creativi, adattivi; agevolando la presenza di emozioni positive rende più
piacevole la vita (Siegel, 2013).
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
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In una visione olistica che vede parimenti implicati biologia, processi psichici e
sociali come aspetti sinergici di un sistema complesso, si possono distinguere vari tipi di
integrazione neurale:
integrazione verticale (Tucker, 2007): riguarda le funzioni „inferiori‟
localizzate nel tronco encefalico e nelle regioni limbiche, come ad esempio
la memoria e le emozioni, e le funzioni „superiori‟ situate nella corteccia,
come ad esempio funzioni cognitive, linguistiche e motorie;
integrazione dorsoventrale (ibidem): riguarda i possibili collegamenti
all‟interno del singolo emisfero cerebrale tra le cortecce che sovrintendono
processi motivazionali e simbolici;
integrazione laterale (ibidem): ancora all‟interno del singolo emisfero
riguarda i collegamenti che interessano processi percettivi che permettono di
mettere a fuoco l‟esperienza nella sua pienezza, a livello funzionale risponde
a caratteristiche di lateralizzazione emisferica;
integrazione bilaterale o interemisferica (Siegel, 2013): riguarda i processi
attivi tra i due emisferi che interessano strutture di collegamento come il
corpo calloso e la commissura anteriore.
Tuttavia movimenti integrativi possono coinvolgere la singola mente sia le
interazioni con le altre menti, reclutando tanto processi interni che interpersonali: in
un‟apertura alla dimensione sociale l‟integrazione interpersonale comporta meccanismi
di co-regolazione reciproca all‟interno del fenomeno chiamato risonanza (ibidem), che
verrà illustrato più avanti. Attraverso una progressiva strutturazione del Sé che avviene
anche attraverso processi autoregolatori e meccanismi di co-regolazione, l‟integrazione
crea l‟esperienza del Sé che cambia nel tempo (ibidem).
8. Neuroscienze: il „cervello sociale‟
In questa parte vengono illustrate delle ipotesi a sostegno della profonda natura
sociale dell‟uomo attraverso l‟importanza che gli stimoli interpersonali e sociali
assumono nell‟organizzazione cerebrale. Obiettivo è mettere in evidenza da una
prospettiva neurobiologica il primato delle relazioni nella strutturazione dell‟individuo,
quindi nella regolazione del suo comportamento.
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8.1 I neuroni specchio
All‟interno dell‟area F5 – situata nel lobo frontale, Area 6 di Broadman, nella
corteccia premotoria inferiore che sovrintende processi di pianificazione, selezione e di
esecuzione di azioni, quindi anatomicamente in una zona di congiunzione tra il lobo
frontale, responsabile della regolazione del comportamento, e il lobo temporale, sede
della memoria e delle elaborazioni mediate dalle emozioni, corrispondente all‟area di
Broca nell‟emisfero cerebrale sinistro – si trovano i neuroni specchio. Rispondendo alla
produzione di gesti e all‟osservazione di altri che compiono gesti, identici o che
perseguono uno scopo simile a quelli codificati in una determinata area cerebrale,
nonché ai rumori connessi a particolari azioni (Keysers et al., 2003), vari autori li
ritengono implicati in processi come: apprendimento per imitazione (Iacoboni, 2008),
intenzionalità (Iacoboni et al., 2005), intersoggettività (Gallese e Goldman, 1998;
Iacoboni, 2008), sviluppo del linguaggio (Arbib, 2005), comprensione degli stati
mentali degli altri (Gallese e Goldman, 1998). In particolare rispondono anche a stimoli
di natura sociale, come le espressioni facciali, la gestualità comunicativa, l‟inflessione
vocale, la postura – tutti correlati corporei di stati emotivi – e sembra sempre più
accreditato il loro ruolo nello sviluppo dell‟empatia (Iacoboni, 2008). L‟attività dei
neuroni specchio è associata con i sistemi cerebrali che monitorano e regolano affetti,
cognizioni e memoria (Badenoch e Cox, 2010), inoltre gioca un ruolo nel
riconoscimento degli stai interni altrui e nello stabilire rapporti (ibidem).
L‟attività di questo tipi di neuroni multimodali sembra mettere in discussione
due assunti: 1. la separazione tra percezione e azione, creando una „zona franca‟ in cui
la percezione della realtà esterna diventa in qualche modo equivalente all‟elaborazione
di intenzioni e al comportamento (Iacoboni, 2008); 2. la distinzione sé-altro,
sviluppando una „rappresentazione incarnata‟ e precognitiva (Siegel, 2013) che
trascende e unifica la dialettica soggetto-oggetto. Si può dire che nell‟area F5 le persone
riescano a „sintonizzarsi‟ e a rappresentare se stessi reciprocamente (Badenoch e Cox,
2010) diventando intimamente collegati e capaci di entrare in risonanza con l‟ambiente
sociale (Cozolino, 2006). Ciò conferisce ai neuroni specchio una dimensione
essenzialmente relazionale tanto da poterli considerare il centro del „cervello sociale‟
(Adolphs, 2009). L‟attività dei neuroni specchio, cellule cerebrali che colmano la
distanza tra sé e l‟altro, risulta particolarmente intensa quando le azioni che si osservano
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
100
avvengono durante le relazioni sociali (Iacoboni, 2008). Come due facce della stessa
medaglia, in una relazione la comprensione dell‟altro è essenziale per comprendere noi
stessi, tuttavia la natura premotoria dei neuroni specchio può fornire solo una
comprensione intuitiva, implicita e preriflessiva (ibidem).
Neuroni specchio „logicamente correlati‟. La teoria della mente è stato un
paradigma dominante nella psicologia dell‟età evolutiva e, fin da quando si è andata
sviluppando – già prima che venissero scoperti i neuroni specchio –, compete con la
teoria della simulazione. Quest‟ultima, che sostiene che è possibile comprendere gli
stati mentali degli altri facendo letteralmente finta di essere nei loro panni, assume due
varianti che ricalcano una posizione (ibidem):
moderata: implica il ricorso a un processo cognitivo deliberato e intenzionale;
radicale: ritiene che la simulazione avviene automaticamente, in modo pervasivo
e precognitivo. Questa posizione trova supporto nelle ricerche sui neuroni
specchio (Gallese e Goldman, 1998; Goldman, 2006) e la loro capacità di
codificare precocemente l‟intenzione del gesto-comportamento altrui (Iacoboni
et al., 2005).
I neuroni specchio „logicamente correlati‟ (Di Pellegrino et al., 1992), un
particolare sottotipo di cellule, si attivano non solo nel veder compiere delle azioni ma
anche, in una catena associativa, per le azioni logicamente correlate ad esse (Iacoboni,
2008). È quindi possibile che questi neuroni codifichino lo scopo connesso ad un‟azione
isolata ma espressa in un contesto e, in qualche modo, forniscano informazioni
precognitive sulle intenzioni altrui. È come se il cervello simulasse l‟intenzione degli
altri o “come se l‟intenzione dell‟altro abitasse il mio corpo, e la mia il suo” (Gallese,
2006).
Formazione dei neuroni specchio. Già alla nascita possediamo una dotazione
di neuroni specchio, tuttavia sembra che il funzionamento del mirror system, di cui si
parlerà più avanti, possa essere modellato dall‟esperienza. Un esempio sono
l‟autoriconoscimento e l‟imitazione, capacità che si perfezionano nei primi mesi di vita
(Asendorpf e Baudonniere, 1993). Un‟ipotesi sullo sviluppo dei neuroni specchio
necessari a queste abilità vuole che avvenga una sorta di condizionamento all‟interno
della intensa relazione diatica madre-bambino, anche definita „intersoggettività
primaria‟ (Trevarthen, 1979) caratterizzata da reciprocità e sincronia nell‟interazione tra
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sé e altro. La risposta imitativa del caregiver assocerebbe alla vista del sorriso il piano
motorio per effettuarlo (Iacoboni, 2008). Così i neuroni apprenderebbero a riconoscere
le espressioni attivando contestualmente una simulazione del relativo piano motorio,
essenziale per poter provare empatia. Il fatto che autoriconoscimento e capacità di
imitazione maturino parallelamente (Asendorpf e Baudonniere, 1993) sembra suffragare
questa ipotesi. Inoltre le aree impegnate nell‟autoriconoscimento nell‟emisfero destro
sono le stesse in cui sono presenti i neuroni specchio (Uddin et al., 2006). Nel corso
dello sviluppo un contesto più ricco di stimoli interpersonali, quindi una maggiore
attitudine e competenza sociale, rende i neuroni specchio più attivi e responsivi (Pfeifer
et al., 2008).
8.2 Sistema limbico
Il sistema limbico comprende le parti profonde del telencefalo, in particolare
strutture come l‟ippocampo, sede delle memorie, l‟amigdala, centro delle emozioni, e la
corteccia del cingolo. Questo sistema sovraintende la valutazione e le risposte –
autonomiche, espressive, comportamentali, sia automatiche che apprese – a stimoli
emotigeni. Quando il sistema limbico – in particolare l‟amigdala che codifica
l‟emozione della paura (LeDoux, 2003) – è sovraeccitato l‟amigdala attiva la via
talamica, filogeneticamente più antica. La risposta da stress coinvolge la componente
simpatica del sistema nervoso autonomo e innesca dei comportamenti automatici, non
mediati dalla consapevolezza. Il collegamento dell‟amigdala con le aree corticali è
infatti più complesso e lento (ibidem) e assume un ruolo di controllo sulle elaborazioni e
le risposte operate attraverso la via talamica. La percezione di uno stimolo minaccioso –
reale o potenzialmente tale, discriminazione operata anche in base all‟esperienza
personale –, analogamente ad un interruttore che scatta, può sospendere i normali
processi di sintonizzazione e di collegamento interpersonale facendo perdere la capacità
di utilizzare l‟altro come sorgente di regolazione (Porges, 2007).
Il lavoro di integrazione delle aree limbiche stimola il senso di calma riducendo
la reattività, migliora le capacità di holding, alimenta un senso di sicurezza nei contesti
interpersonali e di gruppo (Badenoch, 2008). La possibilità di osservare in modo
consapevole la propria mente o la mente degli altri attiva processi integrativi – tra le
aree mediali della corteccia prefrontale e le regioni limbiche – capaci di creare una
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102
prospettiva più ampia sugli eventi e un senso di fiducia e stabilità (Badenoch e Cox,
2010), seguito spesso da un aumento del senso di compassione (Siegel, 2007).
8.3 Mirror system e mappa spaziale peripersonale
I neuroni specchio con altre aree del cervello che giocano un ruolo
nell‟imitazione, nell‟empatia e nell‟identificazione, e con altre che sovraintendono le
emozioni, la cognizione e la memoria, fanno parte di un sistema più generale chiamato
mirror system (Schermer, 2010). Questo sistema, proiettando all‟interno del cervello la
presenza degli alti (Iacoboni, 2008), è responsabile dell‟intelligenza emotiva (Goleman,
1996) e dell‟intelligenza sociale collegando individui ad un livello profondo che
precede il linguaggio e il ragionamento logico (Schermer, 2010). Le capacità di
reciproco riconoscimento e di identificazione sarebbero quindi meccanismi precoci e
precedenti lo sviluppo della coscienza, dell‟autoconsapevolezza e della cultura.
Rappresentano una dotazione che conferisce agli esseri umani la capacità di interagire e
di rispondere agli altri istaurando interazioni nei contesti interpersonali a prescindere da
un livello razionale e linguistico (ibidem). Il precoce riconoscimento precognitivo
dell‟altro come simile, operato all‟interno del mirror system, può spiegare la capacità
tipicamente umana di ingeggiare in breve tempo relazioni e formare gruppi di vario
tipo.
Mappa spaziale peripersonale. Dalle ricerche sui neuroni specchio emerge che
particolari neuroni, detti „canonici‟, „scaricano‟ quando si afferra un oggetto, come alla
semplice vista dell‟oggetto afferrabile (Iacoboni, 2008). In F4 – una zona della corteccia
adiacente quella in cui sono situati i neuroni specchio – si trovano cellule che
rispondono ai movimenti della parte superiore del corpo, alla sua stimolazione
sensoriale nonché a oggetti reali manipolabili posti a una distanza che permette di
afferrarli (ibidem). La parte dello spazio in cui stimoli visivi – costituiti da oggetti –
innescano i neuroni canonici viene chiamata campo recettivo visivo (Rizzolatti et al.,
1981a). La parte del corpo che, toccata, attiva le stesse cellule, viene chiamata campo
recettivo tattile (Rizzolatti et al., 1981b). Questi due campi sono correlati e si ritiene che
la loro combinazione crei una mappa dello spazio prossimale detta mappa spaziale
peripersonale (Iacoboni, 2008). Come accade nella corteccia motoria, in quella
somatosensoriale e nelle restanti cortecce implicate nella percezione sensoriale, in cui il
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
103
corpo o delle caratteristiche degli stimoli sono codificate in modo discreto, le ricerche
lasciano supporre che in F4 sia rappresentata una mappa spaziale di azioni potenziali
eseguibili dal corpo in cui percezione e azione rappresentano un processo unitario
(ibidem).
Le ricerche di Rizzolatti e collaboratori sembrano in linea con la disposizione
che si assume in un setting in cui si utilizzano terapie di gruppo di tipo verbale, dove i
pazienti vengono posti tra loro ad una distanza che supera la „zona personale‟ di Hall
(1966), ovvero la distanza di un braccio (Berne, 1966).
8.4 Risonanza e imitazione interna
Sviluppata all‟interno del mirror system, sistema poi ampliato da Siegel (2013)
in „circuiti della risonanza‟, consiste nella sintonizzazione con gli altri e
nell‟allineamento dello stato interno con quello delle altre persone. La risonanza è il
risultato dell‟attività di differenti apparati anatomici (Fig. 4) (ibidem): 1. neuroni
specchio, che consentono di percepire lo stato interiore di un altro individuo, di imitarne
il comportamento e simularne lo stato interno; 2. insula, coinvolta nella valutazione
degli stati fisiologici interni e nella consapevolezza del Sé corporeo, detta „introcezione‟
(Craig, 2010); 3. ippocampo, organizzatore cognitivo attraverso l‟attività mnestica.
Fenomenologicamente è possibile supporre che fino a questo livello del processo di
elaborazione degli stimoli sociali possono emergere delle sensazioni sia propriocettive
attivate dalla risonanza con gli stati interni dell‟altro, sia sensazioni attivate dalle
proprie memorie implicite, quindi dei particolari pattern autonominici collegati con le
risposte emotive elicitate dall‟ambiente sociale come dalle pregresse esperienze
personali. Le informazioni elaborate all‟interno di questo processo possono incontrare
ulteriori stadi di organizzazione ed essere trasferite alla memoria esplicita e, ancora
oltre, afferire alla 4. corteccia orbitofrontale (Rolls e Grabenhorst, 2008), che coordina
livello di arousal, processi di valutazione ed elaborazioni più complesse del „pensiero
superiore‟; e alle 5. aree prefrontali mediali, che integrano informazioni sociali,
coscienza autobiografica, valutazione dei significati e coordinamento delle risposte
motorie. È a questo livello di integrazione che, probabilmente, può subentrare la
sensazione di piena consapevolezza e la possibilità di comportamento intenzionale.
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
104
Ogni intervento terapeutico dovrebbe puntare al conseguimento di questo processo di
elaborazione cognitiva, quindi di integrazione neuronale.
Fonte: Siegel, 2013.
Fig. 4: Alcune componenti del „social brain‟
La risonanza implica processi psicologici e interpersonali attraverso cui gli
individui si modellano, riflettono e apprendono reciprocamente gli uni gli altri
(Schermer, 2010). Il fenomeno mette in risalto alcune considerazioni (Siegel, 2013):
permettendo di sintonizzarsi con gli altri consente di sintonizzarsi con il proprio
stato interno;
la mente ha una matrice interna dovuta ai processi cerebrali e una esterna che
scaturisce dalle relazioni sociali;
la mente è un processo creato all‟interno di processi neurofisiologici – „processo
incarnato‟ – ed esperienze relazionali – „processo relazionale‟ – capace di
regolare flussi di informazioni.
Imitazione interna o simulazione. La teoria della simulazione di Goldman
asserisce che se si vuole comprendere ciò che un‟altra persona prova in un determinato
stato o circostanza si deve immaginare di trovarsi in quello stato o circostanza. I neuroni
specchio sono il correlato neuronale dei processi di simulazione necessari alla
comprensione della mente altrui (Gallese e Goldman, 1998; Goldman, 2006). Tuttavia il
termine simulazione in ambito neurobiologico assume un significato specifico.
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
105
L‟imitazione nella nostra specie assume un‟importanza fondamentale per la
capacità di apprendimento e di trasmissione culturale (Heidegger, 1927; Tomasello,
1999; Iacoboni, 2008), oltre che per lo sviluppo del linguaggio e della capacità di
leggere la mente altrui (Hurley e Chater, 2005). Più in particolare per imitazione interna
o simulazione si intende il processo neuronale attraverso il quale è possibile
rappresentare l‟altro, in maniera precognitiva, a partire dai suoi comportamenti
(Iacoboni, 2008) sia motori che espressivi. La simulazione consente una forma di
interazione e interdipendenza immanente tra il sé e l‟altro conducendo ad una profonda
connessione reciproca. Tale processo automatico permette di discriminare le intenzioni
altrui (Iacoboni et al., 2005) e di modellare le interazioni sociali in un incontro
condiviso che assume un senso concreto, pragmatico, esistenziale (Iacoboni, 2008) oltre
che fenomenologico. Con la simulazione, condividendo emozioni e intenzioni,
possiamo capire gli altri e, successivamente, accedere cognitivamente e in modo
intenzionale ai loro stati mentali interagendo in modo profondo con l‟altro; si tratta
quindi di un meccanismo neurobiologico radicato nella realtà sociale.
8.5 Linguaggio ed empatia
Da studi di psicologia dell‟età evolutiva emerge che capacità linguistiche e
motorie, in particolare manuali, si sviluppano di pari passo e in un impiego di strutture
gerarchicamente sempre più complesse (ibidem). Sembra inoltre che osservare azioni
manipolative dotate di struttura gerarchica implica una maggiore attività dei neuroni
specchio (Molnar-Szakacs et al., 2006). L‟area F5 in cui sono contenuti i neuroni
specchio è collocata nell‟Area di Broca: questa sovrapposizione tra aree motorie e
implicate nel linguaggio trova riscontro negli studi che hanno rilevato che all‟interno di
una conversazione si tende a imitare reciprocamente parimenti il ritmo gestuale e le
strutture sintattiche (Iacoboni, 2008). Il collegamento tra processi linguistici e motori è
confermato da deficit temporanei nell‟Area di Broca indotti con la TMS che producono
incapacità di imitazione (Heiser et al., 2003).
La „semantica incorporata‟ (emboided semantics), un recente approccio alla
linguistica, sostiene che concetti linguistici siano costruiti dal basso secondo processi
„bottom-up‟ utilizzando rappresentazioni senso-motorie a supporto (Iacoboni, 2008). I
concetti sembrano essere strettamente legati alle interazioni tra movimenti del corpo e
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
106
materiale linguistico, quindi connessi a proprietà biomeccaniche del corpo (Glenberg,
Kaschak, 2002). Ascoltare o leggere frasi che descrivono azioni o vedere le stesse
azioni in video – manipolazioni e azioni che interessano la bocca – attiva selettivamente
corrispondenti aree motorie (Aziz-Zadeh et al., 2006). La stessa attivazione sulla
corteccia motoria avviene nel produrre o ascoltare delle sillabe (Wilson et al., 2004),
come inibire le aree motorie del parlato riduce la capacità di discriminare suoni
linguistici (Meister et al., 2007). Anche le vocalizzazioni con connotazione emotiva
attivano simulazioni motorie (Warren et al., 2006).
Nel corso del dialogo sia le parole che le azioni tendono a costituire un‟attività
coordinata e congiunta, una danza sociale, (Goodwin e Heritage, 1990) verso un
obiettivo comune. Questa reciprocità di turni, movimenti e costruzioni sintattiche alla
base delle interazioni sociali sembra facilitata dai neuroni specchio (Iacoboni, 2008). È
come se una simulazione interna, un rispecchiamento neuronale o una profonda
immedesimazione precognitiva, aiutasse a capire quello che si ascolta, che accade e,
allo stesso tempo, un meccanismo simile sembra essenziale nello stabilire legami
coesivi all‟interno di gruppi sociali (ibidem). Il ruolo dei neuroni specchio nel
linguaggio potrebbe essere di trasformare le azioni del corpo da un‟esperienza privata a
un‟esperienza sociale, condivisibile attraverso un „linguaggio incorporato‟ (ibidem).
Nella prospettiva di un linguaggio visto come comportamento sociale il
rispecchiamento di strutture sintattiche e ritmo gestuale adottato durante un‟interazione
potrebbe essere indice ed effetto di una sintonizzazione precognitiva con l‟altro e del
corso di una regolazione interpersonale.
Empatia. L‟empatia svolge un ruolo fondamentale nel condividere emozioni,
esperienze, bisogni ed obiettivi, quindi nella regolazione della vita sociale (ibidem). Il
semplice guardare volti che esprimono emozioni incrementa l‟attività dei corrispondenti
muscoli facciali in chi osserva (Dimberg, 1982). Questa imitazione motoria latente
sembra avere implicazioni anche in processi di ordine superiore ripercuotendosi sulla
capacità di percepire le emozioni altrui: ad esempio nell‟osservazione di espressioni
emozionali discriminare cambiamenti risulta più difficile avendo una matita in mezzo ai
denti (Niedenthal et al., 2005). Il collegamento tra aspetti motori e stati interni è
confermato dalla scoperta che produrre configurazioni facciali a valenza emotiva
provoca un corrispondente cambiamento fisiologico (Ekman, 1983).
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
107
La capacità di imitare le espressioni facciali degli altri oltre ad essere una forma
di comunicazione non verbale aiuta a percepire espressioni ed emozioni altrui. L‟ipotesi
confermata dalle indagini è che dai neuroni specchio l‟attività motoria stabilisca
collegamenti con altre parti del cervello propriocettivo – insula – ed emotivo – lobo
limbico –: una simulazione interna permetterebbe di comprendere le emozioni dell‟altro
come fossero proprie in una attivazione empatica (Carr et al., 2003). Con uno sforzo
intenzionale l‟elaborazione emotiva da precoce e automatica può diventare anche
esplicita ed intenzionale. Per i circuiti responsabili della percezione del dolore sembra
accadere qualcosa di analogo: osservare una mano che si avvicina ad un ago fino ad
essere punta basta a inibire l‟attività dei muscoli implicati nel movimento osservato,
l‟inibizione è inoltre proporzionale alla stima del dolore attribuito (Avenanti et al.,
2005). Il cervello, in una simulazione totale, considera le emozioni manifestate e il
dolore alla stregua di un‟esperienza condivisa.
Anche l‟imitazione dei movimenti, posture e atteggiamenti (Chartrand e Bargh,
1999), quindi un semplice rispecchiamento fisico, sembra avere effetti sul gradimento
che si prova interagendo con l‟altro secondo una correlazione positiva. È come se una
certa similitudine esteriore e funzionale – anche probabile riflesso di stati interni –
portasse a considerare l‟altro come meno distante dal sé, quindi a sviluppare
un‟equazione „io-altro‟ in direzione di una crescente empatia. È quindi possibile
supporre che il rilievo che il cervello attribuisce alla considerazione dell‟altro abbia
implicazioni significative per il sé, come fossero „due facce della stessa medaglia‟
(Iacoboni, 2008). L‟altro e il sé sono entità co-costrite (ibidem) che si definiscono
mutualmente: in mancanza di un sé non sussistono possibilità di definire l‟altro, in
mancanza di altro non ha molto senso definire un sé. Questa interdipendenza che
permette di incontrare nell‟interazione sia l‟altro che noi stessi trova ancoraggio nei
neuroni specchio.
9. Funzionamento del gruppo come insieme
Se l‟esistenzialismo ci invita a cogliere il senso in questo mondo, nel mondo
della nostra esperienza, piuttosto che su piani metafisici e all‟infuori di noi stessi
(Heidegger, 1927; Sartre, 1943), questo senso e questa esperienza della condizione
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
108
umana sono strettamente connessi con la realtà interpersonale e con la neurobiologia del
mirror system (Iacoboni, 2008). I neuroni specchio sembrano essere specializzati nel
comprendere la nostra condizione esistenziale e il nostro essere in relazione con gli altri
(ibidem). Come abbiamo visto facendo leva sul funzionamento del mirror system è
possibile estrarre dei principi in grado di leggere e guidare il processo gruppale. A
prescindere dalle caratteristiche peculiari del „social brain‟ (Cozolino, 2006), in questa
parte vedremo come alcuni apporti delle neuroscienze possano far luce sul
funzionamento del gruppo come insieme.
Il ricco ambiente interpersonale in cui si svolge la psicoterapia di gruppo offre ai
pazienti importanti opportunità di confronto, di interpretare reciproci ruoli di sostegno,
di scambio di emozioni e vissuti all‟interno di un ambiente sicuro e accogliente creato e
mantenuto dal terapeuta (Badenoch e Cox, 2010). In questo senso, come sostengono
anche autori come Yalom (1970) e Rogers (1970), nel gruppo la maggior parte
dell‟attività che sortisce effetti terapeutici verrebbe svolta tra i membri in un rapporto
„alla pari‟ piuttosto che direttamente dal conduttore. Lo stesso essere parte di un gruppo
– esperienza alla quale si può scegliere di contribuire più o meno attivamente ma che,
come abbiamo potuto vedere, difficilmente può lasciare impassibili – può attivare
meccanismi di per sé funzionali all‟elaborazione di un comportamento più equilibrato.
Infatti in un gruppo sono presenti differenti parti, o sistemi, che possono reciprocamente
entrare in relazione e sono: il conduttore, il singolo membro, sottogruppi, il gruppo
come insieme (Badenoch e Cox, 2010). Si parla in questo paragrafo del gruppo come
insieme.
9.1 Gruppo come spazio sicuro
Nelle fasi precoci della vita del gruppo, specie in gruppi omogenei per
composizione i cui partecipanti vengono da esperienze simili, esiste un‟alta probabilità
che l‟accesso di un membro a memorie implicite traumatiche comporti negli altri
un‟attivazione analoga (ibidem). Un modo in cui affrontare questa eventualità nei
migliori interessi del membro e del gruppo è agevolando un contatto emotivo con
l‟esperienza in corso unitamente alla presenza di un‟esperienza capace di disconfermare
quanto appreso nel passato (Alberini, 2005). Questa manovra può beneficiare di un
gruppo che abbia già sviluppato coesione (Yalom, 1970) e, allo stesso tempo, può
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
109
rappresentare un incentivo allo sviluppo della coesione favorendo l‟identificazione dei
membri verso il gruppo (Brown, 2000). Un gruppo omogeneo in cui l‟attivazione di
particolari circuiti neurali – fenomeni di risonanza – si presenta facilmente tra i membri,
a prescindere dalla connotazione emotiva negativa o positiva, può rappresentare una
condizione vantaggiosa piuttosto che sfavorevole per il lavoro terapeutico (Badenoch e
Cox, 2010). Aspetto importante è far maturare nei membri la consapevolezza del ruolo
di spazio sicuro che può assumere il gruppo come insieme, capace di diventare per ogni
membro una potente risorsa regolativa (ibidem).
A seguito di episodi di risonanza all‟interno del gruppo possono verificarsi
fenomeni di „rimbalzo‟ fisiologico ed emotivo per cui all‟intensa attivazione viscerale di
un membro gli altri possono rispondere con una corrispondente attivazione in direzione
opposta sollecitando naturalmente risposte empatiche, calma e lo sviluppo di un
ambiente sociale accogliente (ibidem). Questo tipo di episodi fornisce un‟esperienza
ricca che combina contenimento a una profonda comprensione empatica causata dalla
similarità delle precedenti esperienze di vita (ibidem). Gli effetti a medio e lungo
termine riportati dai membri consistono nella sensazione di conservare il supporto
trovato nel gruppo anche nei momenti della vita quotidiana (ibidem; Yalom, 1970),
supporto capace di rappresentare una stabile risorsa interiore.
9.2 Gruppo come „cervello sociale‟
Come abbiamo visto dalle ricerche effettuate emergono profondi e reciproci
collegamenti tra il cervello e l‟ambiente sociale (Siegel, 2013). L‟interesse verso la
neurobiologia dei legami di attaccamento negli ultimi decenni – anche grazie alle
scoperte collegate ai neuroni specchio – sembra essersi ampliato a voler abbracciare
l‟intero arco di vita svincolandosi da una posizione predittiva del comportamento adulto
(Iacoboni, 2008). I contributi di molti autori hanno messo in evidenza da differenti
vertici di osservazione come l‟esperienza dell‟individuo sia indissolubilmente connessa
alla relazione con l‟altro. Ad un maggiore livello di astrazione rispetto le precedenti
trattazioni in questa parte si cerca di portare a compimento quanto già detto e di operare
un parallelismo tra cervello e gruppo.
Una visione della mente come processo incarnato e relazionale (Siegel, 2013)
permette di stabilire un‟equazione tra il funzionamento del „cervello sociale‟ e del
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
110
gruppo. Il cervello come sistema complesso è un organo auto-organizzato deputato alla
continua integrazione di esperienze che, a livello neuronale, si sostanzia nel
collegamento tra differenti circuiti cerebrali (Badenoch e Cox, 2010). Il progressivo
esito di questo processo elaborativo socialmente mediato produce un‟unità armonica e
coerente che muove dalla semplicità alla complessità; all‟intero di tale sistema si
verificano incertezze quando sopraggiungono vincoli che ostacolano questo normale
flusso integrativo (Siegel, 1999). Il gruppo permette di amplificare e dialettizzare
quanto avviene nel singolo individuo rendendolo esplicito e, allo stesso tempo, consente
di normalizzare le reazioni attraverso il ruolo che gioca ogni membro.
Come nel cervello esistono neurotrasmettitori che veicolano le informazioni nel
gruppo opera il linguaggio. Per stimolare una comunicazione capace di migliorare la
flessibilità, l‟adattabilità, la coerenza, l‟energia e la stabilità di pensieri, sentimenti,
comportamenti e percezioni attraverso un flusso integrativo che possa alimentare il
cervello Siegel (2006) ha sviluppato un linguaggio basato sugli indicatori sintetizzati
nell‟acronimo FACES da riferire a pensieri, sentimenti e comportamenti, separando
quindi la persona dal processo che la vede coinvolta. I feedback basati su questo
principio – ad esempio „i tuoi pensieri sono diventati più flessibili‟ – oltre a promuovere
una maggior consapevolezza (Badenoch e Cox, 2010) separano la persona dal
comportamento rendendo il messaggio più chiaro sollevandolo da interpretazioni e
implicazioni personali.
9.3 Il gruppo come scambio
Le evidenze neurobiologiche enfatizzano che nel gruppo è presente un concetto
di scambio (Siegel, 2013) che va la di la dell‟idea di essere generosi o altruisti. Più
precisamente sussiste l‟idea di dare senza perdere quello che si è dato o del ricevere
senza portare via (Zinkin, 1996). Ciò sembra richiedere una visione peculiare di
proprietà, non come possesso personale ed esclusivo piuttosto come risorsa libera e
accessibile a tutti. In questo senso con-dividere non significa dividere ma moltiplicare.
Infatti nelle esperienze di gruppo che ogni membro può trarre maggior beneficio se tutti
i partecipanti sono aiutati ad aprirsi e a rendere pubblico ciò che appartiene ad una sfera
privata (ibidem). Se il gruppo viene ben supportato può riconoscere che non si perde
nulla nell‟esternare le esperienze interiori in quanto ciò che viene svelato rimane
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
111
proprietà privata entrando nella storia del gruppo piuttosto che del singolo individuo.
Un simile principio di reciprocità attivo all‟interno delle dinamiche gruppali sembra
suffragato dalle ricerche sulla sintonizzazione, capace di attivare processi neuroplastici
riparativi nei circuiti della regolazione emotiva sia in chi riceve aiuto come in chi lo
offre (Schore, 2003).
9.4 Ruolo dell‟informazione
Quando un paziente apprende che il suo funzionamento disregolativo ha
motivazioni di ordine fisiologico piuttosto che caratteriale – aspetto che potrebbe
rappresentare meglio un epifenomeno dei processi neurobiologici – può considerare in
modo differente la propria persona e il proprio comportamento mostrando una maggiore
apertura alle dinamiche interne al gruppo e al cambiamento (Badenoch e Cox, 2010).
L‟instillazione di speranza come fattore terapeutico di gruppo (Yalom, 1970), oltre che
dall‟esperienza e dai progressi che si rinvengono tra i membri ad un livello relazionale
„orizzontale‟, può essere così ragionevolmente alimentata dal terapeuta stesso. Una
maggiore indulgenza e accettazione verso se stessi (self-compassion) rappresenta inoltre
un potente fattore neuroplastico (Lutz et al., 2004). Alcuni processi funzionali su cui è
possibile informare il gruppo sono (Badenoch e Cox, 2010): 1. neuroplasticità; 2.
memorie implicite; 3. risonanza dell‟attivazione autonomica; 4. rispecchiamento. Gli
effetti che possono scaturire sulla persona sono un maggiore senso di integrità, stabilità,
spontaneità e resilienza, che possono espandersi su un livello interpersonale facilitando
l‟emergere di empatia, sintonia, recettività e comprensione (compassion) (Badenoch,
2008; Siegel, 2006). Queste conoscenze, oltre a rappresentare un bagaglio di
informazioni spendibili nella vita quotidiana dei pazienti, possono operare
sincronicamente all‟interno del gruppo stesso agevolando lo sviluppo di un clima
accogliente e coesivo, quindi facilitando le singole interazioni e una processualità di
gruppo più funzionale (Badenoch e Cox, 2010). Ad esempio l‟informazione sulle
risposte autonomiche e le implicazioni che assumono sul comportamento sociale,
l‟autoregolazione e il funzionamento personale, spesso produce una maggiore
collaborazione tra i membri nel cercare di preservare il gruppo come spazio protetto
(ibidem). Questa tendenza implica di discernere uno stato di attivazione fisiologica e di
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
112
modulare il comportamento personale, ovvero offre la possibilità di espletare
intenzionalmente un processo di autoregolazione.
9.5 Una visione integrata sul gruppo
Una visione integrata tra neurobiologia e teoria. I collegamenti tra la
neurobiologia del cervello e il comportamento sociale possono fornire una base per
illustrare alcune prospettive teoriche sul gruppo. Ad esempio le conoscenze sui neuroni
specchio possono offrire una potenziale base neurologica per le concezioni riguardanti il
gruppo come insieme, fornendo delle parziali spiegazioni (Schermer, 2010).
Nella pratica del lavoro in setting gruppale il gruppo inizia a formarsi quando un
individuo entra in contatto con un altro: è come se il gruppo stesse aspettando in
membro per „incorporarlo‟ (ibidem). La formazione del gruppo si verifica precocemente
rispetto alla possibilità di una cognizione riflessiva, cioè nella stessa modalità con cui
operano i neuroni specchio (ibidem). Lo stesso concetto di „sé di gruppo‟ (Karterud,
Stone, 2003) può essere considerato come il prodotto globale dell‟attività dei neuroni
specchio che struttura e sostanzia un‟entità emergente dal gruppo e che manifesta il
risultato dei sé individuali (Schermer, 2010).
Come sostiene Schermer (2010), se gli individui fossero creature autonome e
isolate parlare di teoria del campo (Lewin, 1951), matrice di gruppo (Foulkes, 1964) e
assunti di base (Bion, 1961), concetti che si riferiscono a sistemi umani e che
trascendono i singoli individui che li compongono, risulterebbe una forzatura. Tuttavia
gli esseri umani sono biologicamente equipaggiati a rispondere alle reciproche
similarità rendendo più facile concepirli come capaci di organizzarsi in sistemi sociali
complessi che li investono nella loro globalità. La capacità di entrare mutualmente in
sintonia attraverso la percezione e l‟azione, supportata dai neuroni specchio, predispone
gli individui a diventare elementi di unità sociali, come la diade, la famiglia, il gruppo.
Analogamente il mirror system e i relativi circuiti neuronali fungono da substrato
biologico per le interrelazioni presenti nel funzionamento del gruppo come sistema
d‟insieme. Alcune importanti concettualizzazioni sul gruppo come dimensione
sovraordinata sembrano collegarsi con la neurobiologia cerebrale. Vediamo alcuni
esempi.
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
113
La teoria del campo di Lewin (1951) si riferisce alla tendenza di organizzazione
e di risposta in virtù di fattori che complessivamente prevalgono in un gruppo. Il
concetto di campo può essere considerato in due modi differenti, mutuati
rispettivamente all‟elaborazione percettiva e all‟elettomagnetismo: come una
configurazione globale emergente, esito finale dei processi di risonanza mediati dai
neuroni specchio; come mappa neuropsicologica che, al pari di un circutio neurale che
può coinvolgere diverse tipologie di neuroni e sistemi, riverbera nel gruppo attraverso
l‟attivazione dei neuroni specchio nei singoli individuo. A partire da collegamenti
profondi e precognitivi tra le singole menti può emergere una configurazione globale
d‟insieme che rappresenta un prodotto qualitativamente differente dalla somma delle
singole parti (Schermer, 2010). Un esempio di tale configurazione complessiva
emergente potrebbe essere la coesione (Yalom, 1970), ovvero il „collante emotivo‟ che
si sviluppa all‟interno di un gruppo e lo mantiene unito. Un‟idea che presenta delle
affinità con quella di campo può essere trovata nel pensiero di Foulkes, che la sviluppa
in una visione che offre implicazioni dinamiche e interattive.
Il concetto di matrice di Foulkes (1948) si riferisce a reti di comunicazione –
conscia e inconscia – che si instaurano tra i membri all‟interno di un gruppo,
enfatizzando la natura sociale del sé. I neuroni specchio forniscono un possibile
collegamento tra individui intesi come „punti nodali‟ di relazioni. La natura stessa dei
neuroni specchio evidenzia che il sé che costituisce la nostra individualità, come
concepito da Foulkes, abbia una natura sociale: è attraverso l‟identificazione con gli
altri che è possibile definire un senso del sé strutturato. Sono i neuroni specchio che
sovrintendono la possibilità di identificarsi con i propri simili fornendo le basi per
un‟individualità socialmente definita (Schermer, 2010) – nonché la possibilità di
conferire un senso immanente e condiviso agli eventi interpersonali, qualità che Foulkes
attribuisce alla matrice dinamica presente nei gruppi. Analoghi collegamenti emotivi e
inconsci operanti nel setting gruppale sono considerati da Bion, che intuisce e descrive
con un linguaggio quanto mai moderno, in una prospettiva forse esplicativa piuttosto
che funzionale.
Gli assunti di base di Bion (1961) rappresentano delle formazioni inconsce del
gruppo derivanti da un reciproco e precognitivo adattamento alla condizione gruppale.
Come sostiene Iacoboni (2008) i neuroni specchio permettono una rappresentazione
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
114
intuitiva, implicita e precognitiva dell‟altro. Lo stesso concetto di sistema protomentale,
da cui hanno origine «gli stati emotivi […] che rafforzano, pervadono e, in alcune
occasioni, dominano la vita mentale del gruppo» (Bion, 1961; 108), rappresenta
«qualcosa in cui il fisico e lo psicologico […] si trovano in uno stato indifferenziato»
(ibidem; 109). Questa affermazione sembra affine alla descrizione che fa Siegel (2013)
dei neuroni specchio come neuroni multimodali capaci di sviluppare una
„rappresentazione incarnata‟ dell‟altro, cellule in cui arrivano a sovrapporsi azione e
percezione (Iacoboni, 2008).
Una visione integrata tra neurobiologia e terapia. Quando sono presenti
difetti nel maternage, eventi biografici traumatici, periodi di stress prolungato, anche il
più lieve stimolo può portare l‟individuo da una condizione di autoregolazione ad
un‟attivazione del sistema nervoso simpatico, quindi ad una condizione di
disregolazione: è su questa soglia che si svolge la terapia di gruppo, rappresentando una
risorsa capace di modificare collegamenti neuronali (Badenoch e Cox, 2010). Tale
modifica è infatti facilitata dalla presenza di un ambiente interpesonale che fornisce
supporto nel prendere contatto e consapevolezza esperienziale con memorie implicite
(Badenoch, 2008) e di relazioni interpersonali armoniche e sintonizzate (Siegel, 2006),
capaci cioè di disconfermare gli apprendimenti impliciti precoci (Toomey e Ecker,
2009). Inoltre il gruppo offre la possibilità di osservare in modo consapevole la propria
mente o la mente altrui, situazione che attiva processi integrativi capaci di creare una
prospettiva più ampia sugli eventi e un senso di maggior fiducia e stabilità (Badenoch e
Cox, 2010).
Le ricerche riguardanti la neurobiologia interpersonale (Siegel, 1999), il mirror
system (Schermer, 2010) e i circuiti della risonanza (Siegel, 2013) permettono di
comprendere come (cfr. Gantt e Badenoch, 2013):
la relazione interpersonale e gli scambi sociali siano contestualizzati nel
presente e coinvolgano gli interlocutori nella globalità del loro
funzionamento nel „qui ed ora‟;
lo stato neurofisiologico e mentale altrui vengano internalizzati a partire dai
correlati neuronali espressi attraverso il corpo e il comportamento;
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
115
attraverso la ripetizione nel tempo di esperienze interpersonali – vissute in
prima o seconda persona – queste possano creare una rappresentazione
permanente e stabile dell‟altro.
Questi aspetti che avvengono all‟interno di ogni forma di psicoterapia sono stati
sviluppati da vari autori (cfr. Badenoch, 2008; Badenoch e Cox, 2010; Gantt e
Badenoch, 2013; Siegel, 2013) con particolare riferimento alle terapie di gruppo.
Holding e memorie implicite. All‟interno di un gruppo conduttori e membri
rievocano le loro memorie implicite, particolarmente attive nei contesti relazionali, che
possono riaffiorare in ogni interazione e nell‟esperienza di gruppo nel suo complesso
(Badenoch e Cox, 2010). Comprendere le implicazioni delle memorie implicite
consente al terapeuta di osservare il comportamento dei membri con maggiore chiarezza
riuscendo a cogliere, anche attraverso l‟espressione corporea ed emozionale, le
percezioni che sembrano scollegate dal contesto nel „qui ed ora‟ della relazione
(ibidem). Cercando una risposta centrata sull‟empatia e sulla capacità di holding il
terapeuta come il gruppo possono trasmettere al membro comprensione ed accettazione
fornendo un‟esperienza disconfermante gli apprendimenti impliciti ed emotivamente
nutriente (ibidem). Infatti l‟esperienza di „riemergere‟ da una memoria dissociata e
sentirsi presenti e partecipi in uno spazio relazionale accogliente rende le memorie
implicite suscettibili di trasformazione (Ecker e Toomey, 2008). Un punto di forza del
setting gruppale è la potenzialità di far emergere e poter elaborare memorie precoci tra i
membri accrescendo le possibilità riparative (Badenoch e Cox, 2010) e, grazie
all‟azione del gruppo, poter incorporare le memorie implicite all‟interno di una
narrazione autobiografica coerente (Badenoch, 2008). Il gruppo può allora costituire un
ambiente relazionale sicuro capace di offrire una varietà di stimoli emotivi e, allo stesso
tempo, di garantire contenimento e supporto.
Il gruppo come spazio sicuro. Dalle ricerche sui neuroni specchio (Carr et al.,
2003) emerge che l‟attivazione emotiva è facilmente trasmissibile tra le persone. Per
questo motivo è importante, per il terapeuta quanto per i membri, conoscere i
meccanismi connessi con la percezione di minaccia e pericolo. Come abbiamo già visto
il sistema implicato in queste situazioni è lo stesso che regola la paura (LeDoux, 2003) e
consta di due vie, una per le risposte automatiche, una più lenta per le riesposte
intenzionali. La comprensione del funzionamento del sistema nervoso autonomo può
IV - BASI NEUROBIOLOGICHE DELLA GRUPPALITÀ
116
aiutare il terapeuta a ottenere una maggiore collaborazione e a rendere il gruppo un
rifugio sicuro per i membri: sapendo in che modo l‟attivazione del sistema nervoso
periferico influisce sulla percezione, sulla memoria e sul comportamento essi possono
progressivamente sperimentare e beneficiare degli effetti regolativi del gruppo
(Badenoch e Cox, 2010).
Le ricerche sui neuroni specchio ed i circuiti della risonanza permettono di
comprendere meglio il processo terapeutico connesso al gruppo come spazio sicuro e
fonte di regolazione: una simulazione interna dell‟altro (Siegel, 2007) che comprende
fisicità, emozioni e intenzioni (Iacoboni et al., 2005; Gallese, 2006; Goldman, 2006)
viene esperita nel „qui ed ora‟ dall‟individuo e dal gruppo. Attraverso la ripetizione è
possibile creare una rappresentazione permanente dell‟altro (Badenoch, 2008) e,
secondo alcuni autori, è possibile interiorizzare il gruppo nel suo insieme come stabile
fonte autoregolativa (Yalom, 1970; Rogers, 1970; Badenoch e Cox, 2010).
CONCLUSIONI
117
CONCLUSIONI
L‟assunto della centralità della relazione nelle applicazioni terapeutiche (Rogers,
1957; Yalom, 1970) che Rogers sostiene affermando che non è possibile un
cambiamento nella personalità all‟infuori di una relazione, ma che prudentemente
considera un‟ipotesi passibile di smentite, trova invece assoluta conferma nelle ricerche
che hanno definito in campo neurobiologico il primato della relazione positiva sul
cambiamento personale (cfr. Gantt e Badenoch, 2013; Siegel, 2013) come catalizzatore
di fenomeni neuroplastici. Questi processi infatti sono facilitati da un ambiente
interpersonale che fornisce (Badenoch e Cox, 2010): 1. un‟opportuna attivazione
emotiva (Cozolino, 2002); 2. relazioni interpersonali armoniche e sintonizzate (Siegel,
2006); 3. supporto nel prendere contatto e consapevolezza esperienziale con memorie
implicite (Badenoch, 2008); 4. esperienze che disconfermano apprendimenti impliciti
precoci (Toomey e Ecker, 2009). Queste condizioni capaci di integrare memorie
implicite disregolative sono disponibili e quantitativamente rilevanti in un setting
terapeutico gruppale. Inoltre vantaggio strategico del setting gruppale consiste in un
effetto moltiplicativo dell‟esperienza terapeutica che, attraverso la sintonizzazione, si
realizza nel membro che riceve sostegno come in chi offre supporto (Schore, 2003).
In questo lavoro si è cercata di sviluppare l‟apertura alla dimensione
interpersonale avviata nel panorama psicologico dall‟avvento del setting di gruppo (Di
Maria e Lo Verso, 1995), apertura che oggi trova riscontro nelle ricerche condotte nel
campo delle neuroscienze. Viene fatto particolare riferimento agli studi intrapresi nel
campo della neurobiologia interpersonale sul mirror system (Schermer, 2010), il
fenomeno della risonanza (Siegel, 2013) e la neuroplasticità (Schore, 2003; Doidge,
2007; Siegel, 2013). Lo stesso modello della neurobiologia interpersonale (Siegel,
1999), che ha assunto un ruolo centrale nello sviluppo della tesi, guarda al cervello, alla
mente e alle relazioni interpersonali come tre poli di un unico sistema, sintetizzando una
sostanziale continuità e reciprocità tra fenomeni biochimico-cellulari e fenomeni
interpersonali, mediati dalla mente come anello di collegamento. In tal senso questo
CONCLUSIONI
118
lavoro, grazie agli studi condotti da Badenoch (2008; Badenoch e Cox, 2010; Gantt e
Badenoch, 2013) e Siegel (2013) tenta di proporre una chiusura, ovvero una
integrazione, del divario tra sé e altro, tra setting diatico e gruppale.
Un atteggiamento basato su una lettura individualistica dei rapporti interumani,
visti sostanzialmente come relazioni tra mondi autoreferenziali (Di Maria e Lo Verso,
1995), sembra appartenere ad una scienza della mente di tradizione aristotelica, in cui
soggetto e oggetto sono entità distinte e separate, poste tra loro in una successione di
causalità lineare: uno scenario legato alle scienze positive e a una logica cartesiana in
cui il „cogito ergo sum‟ rappresenta la soluzione ultima di ogni dubbio metodico; in
realtà il gruppo appartiene ad una categoria di strumenti che non possono essere pensati
come esistenti indipendentemente dal loro uso (Profita e Venza, 1995). Nel gruppo e
nella psicoterapia di gruppo i primi autori a superare una simile posizione adottando una
visione essenzialmente relazionale e complessa sono stati (Schermer, 2010):
Lewin (1951) con la teoria del campo, in cui ogni fenomeno interferisce con
l‟ambiente secondo una logica di mutua reciprocità, con il concetto di
interdipendenza del destino e del compito che contraddistingue i gruppi
(Lewin, 1948), con il metodo dell‟action-research (Lewin, 1951) che
estende la ricorsività tra cause ed effetti nella prassi applicativa;
Foulkes (1948) con il concetto di matrice di gruppo, come rete di relazioni
tra individui, e di situazione totale, come approccio olistico alla
comprensione del setting;
Bion (1961) che, riconoscendo una specifica dimensione psicologica al
gruppo lo elegge sede di attivazione del sistema protomentale, ovvero spazio
«in cui il fisico e lo psicologico o mentale si trovano in uno stato
indifferenziato» (ibidem; 109).
Attraverso il lavoro di Schermer (2010) abbiamo visto come queste posizioni
teoriche di Lewin, Foulkes e Bion abbiano trovato riscontro nella natura dei neuroni
specchio, cellule multimodali con funzioni sia percettive che premotorie, capaci di
connettere tra loro persone ad un livello intuitivo, implicito e precognitivo, come se
l‟intenzione dell‟altro abitasse il proprio corpo, e la propria il corpo dell‟altro (Gallese,
2006), e capaci di colmare la distanza tra sé e l‟altro come fossero due facce della stessa
medaglia (Iacoboni, 2008). Le informazioni sul funzionamento del nostro sistema
CONCLUSIONI
119
nervoso ci pongono di fronte all‟evidenza di dover superare un atteggiamento lineare
basato su una logica causa-effetto, operando un‟integrazione tra scienze nomotetiche e
scienze ideografiche. In questo senso, come i neuroni specchio aprono l‟individuo alla
realtà dell‟altro, la neurobiologia interpersonale apre gli indirizzi psicologici (Fulcheri,
2008) basati sul soggettivismo – gli approcci psicodinamico, fenomenologico e
funzionalista – e sull‟oggettivismo – gli approcci comportamentista ed evoluzionista –
all‟adozione di un paradigma concettuale basato sulla complessità.
In una visione olistica del gruppo terapeutico Badenoch e Cox (2010) hanno
sottolineato più volte il ruolo dell‟informazione, rendendo edotti i membri sul
funzionamento del sistema nervoso centrale e periferico. Una funzione informativa,
analogamente ad un vero e proprio consenso informato, assume importanza conferendo
ai singoli individui la possibilità di poter accedere integralmente, e non solo attraverso
una „rappresentazione incarnata‟ e precognitiva dell‟altro (Siegel, 2013), nel setting
gruppale, spazio elettivo dei processi integrativi (ibidem) che coinvolgono anche la
consapevolezza. Grazie all‟attività del mirror system (ibidem) queste semplici attività
preventive rappresentano una leva operativa essenziale facilitando nel singolo membro
il superamento di una posizione individualistica a vantaggio dell‟adozione di una
prospettiva gruppale regolata dalla mutua reciprocità. Dai meccanismi attivati dal mirror
system e dall‟azione informativa del terapeuta (Gantt e Badenoch, 2013) è possibile per
i membri sperimentare il gruppo come „luogo sicuro‟ e accogliente, capace di elicitare
uno stato di „neurocezione di sicurezza‟ (Porges, 2007) che facilita i processi di co-
regolazione interpersonale (Badenoch e Cox, 2010).
Per poter meglio comprendere come la ricerca sul gruppo terapeutico sia potuta
arrivare „fisiologicamente‟ allo stato attuale è stata intrapresa una ampia rassegna
storica a partire – se è possibile, perché ai tempi certo non poteva essere presente il
concetto di terapia di gruppo – dalla Grecia del V secolo avanti cristo (Roccioletti,
2002). Dopo i primi interventi in gruppo documentati risalenti alla Francia della fine del
XVIII secolo (Zilboorg, 1941) si è potuto arrivare alle applicazioni che inaugurano la
storia moderna della psicologia. Qui sono emerse anche esperienze che inizialmente
sono mancate di una specifica teorizzazione sul gruppo, ma che hanno fatto ricorso ad
esso per motivi contingenti. Può essere il caso di Pratt, internista che utilizza il gruppo
per finalità informative con dei pazienti tubercolotici adottando delle modalità di tipo
CONCLUSIONI
120
essenzialmente educativo, ma scoprendo subito come il benessere psicologico riesca ad
influenzare il decorso della sintomatologia. Anche Bion, che viene incaricato di lavorare
nella Tavitsok Clinic su un gruppo di reduci di guerra, non dispone di una pregressa
conoscenza con questo tipo di setting. Questi casi tuttavia si rivelano di estremo
interesse tanto per le questioni metodologiche che teoriche che sono stati capaci di
sollevare.
In tempi più recenti, omettendo una parte notevole di sviluppi teorici e pratici
perché non strettamente collegati con i temi centrali di questa conclusione, la scena
della terapia di gruppo vede come principali protagonisti Yalom e Rogers. Per questi
autori, che appartengono al periodo della psicologia umanistica, nel gruppo la maggior
parte dell‟attività che sortisce effetti terapeutici viene svolta tra i membri in un rapporto
„alla pari‟ piuttosto che dall‟azione diretta del conduttore (Yalom, 1970; Rogers, 1970).
La letteratura in campo neurobiologico sembra in linea con questa tesi affermando che il
gruppo rappresenta un luogo in cui i membri possono offrirsi reciprocamente supporto
(Badenoch e Cox, 2010). Tuttavia queste parole non intendono relegare in una
posizione di secondo piano la persona del terapeuta, piuttosto vogliono enfatizzare la
concezione inclusiva foulkesiana che vede al leader come membro che partecipa ad un
movimento complessivo del gruppo, emergendo dallo „sfondo‟ e conducendolo solo in
caso di necessità (Profita e Venza, 1995).
Yalom (1970) in particolare prendendo in esame i fattori terapeutici di gruppo,
ovvero i meccanismi capaci di innescare un cambiamento, esplicita una sostanziale
continuità tra applicazioni terapeutiche e di „addestramento‟ possibili nel setting
gruppale. È la sua posizione a fare da spartiacque tra un periodo in cui si è fatta una
netta distinzione tra terapia e sviluppo personale, e il periodo successivo, in cui questa
distinzione è apparsa meno legata ad aspetti procedurali quanto contrattuali (Profita e
Venza, 1995). Il suo contributo permette di vedere al setting gruppale come una forma
di intervento che può avere valenza tanto terapeutica che preventiva che di promozione
del benessere. Rogers (1957) incarna sostanzialmente una posizione analoga parlando
dell‟importanza di un rapporto empatico basato sulle qualità del terapeuta,
soffermandosi in particolare sulla congruenza, la genuinità e l‟accettazione
incondizionata, aspetti fondanti dell‟approccio „non direttivo‟ e della „terapia centrata
sul cliente‟ (Rogers, 1951) che applica nei gruppi di incontro. In un contesto
CONCLUSIONI
121
terapeutico, contraddistinto dalla domanda esplicitamente formulata piuttosto che da
modalità e tecniche utilizzate (Profita e Venza, 1995), le ricerche di Yalom sui fattori
terapeutici di gruppo permettono di focalizzare l‟attenzione su obiettivi propri della
terapia come creare coesione e stimolare l‟apprendimento interpersonale (Yalom, 1970).
Differenti dalle ricerche sul processo, che interessano i fattori terapeutici già
esposti, sono le ricerche sull‟esito, ovvero sugli effetti del trattamento. Le ricerche
sull‟efficacia della psicoterapia convergono sulla conclusione che il modello teorico sia
secondario al successo terapeutico (Lambert e Ogles, 2004) e l‟efficacia non dipenda
tanto da fattori specifici legati al modello di riferimento (Luborsky et al., 2002), quanto
da fattori trasversali alla tecnica di intervento e comuni ai vari approcci, definiti
aspecifici o comuni (Messer e Wampold, 2002). Dierick e Lietaer (2008) hanno
evidenziato l‟importanza del fattore chiamato „clima relazionale‟ (Relational Climate).
Il rapporto terapeutico, a prescindere dallo specifico paradigma, sembra essere tra le
variabili che dimostrano la maggiore efficacia terapeutica (Castonguay et al., 2006;
Norcross, 2002). Queste ricerche sembrano confermare l‟importanza del rapporto
terapeutico come ipotizzato da Rogers (1957) e dello sviluppo di un clima accogliente e
coesivo che facilita le singole interazioni e una processualità di gruppo più funzionale
(Badenoch e Cox, 2010). Come abbiamo potuto vedere relazioni interpersonali
armoniche e sintonizzate (Siegel, 2006) assumono un ruolo centrale nei fenomeni
neuropatici (Schore, 2003; Doidge, 2007; Siegel, 2013) alla base dell‟integrazione
(Siegel, 2013).
Grazie ai contributi offerti da una prospettiva neurobiologica capace di fornire
una lettura dei processi e dei fenomeni interpersonali chiara ed incoraggiante, la
considerazione del gruppo visto come luogo in cui i pazienti sperimentano nuove
modalità relazionali e relazioni interpersonali complesse permette di guardare a questo
setting come dispositivo in grado di attivare naturalmente processi che possono avere
effetti trasformativi.
L‟interessante frontiera costituita dalla neurobiologia interpersonale ha fornito
una importante chiave di lettura dei fenomeni presenti nel gruppo terapeutico tuttavia il
campo di indagine, costituito in anni recenti, resta aperto a nuovi sviluppi.
RINGRAZIAMENTI
122
RINGRAZIAMENTI
Confrontarmi con un lavoro compilativo mi ha permesso di constatare in modo
nuovo quale sia la distanza tra la teoria e la pratica. Personalmente trovo che poter
guadagnare una posizione di maggior contatto con la realtà, con impegno e affrontando
una certa dose di apprensione, costituisca un valore aggiunto dell‟esperienza e un
privilegio di cui posso far tesoro. Credo che affrontare i miei dubbi e le mie incertezze
sia una fonte di ricchezza; un processo importante tanto più nella scelta di un percorso
di studi e, dio volendo, di vita, in cui la realtà mentale diventa metafora, chiave di
lettura, e strumento fondante l‟esperienza del reale. Nell‟ultima pagina di questo lavoro
c‟è il senso di una finitudine, di una fine, che posso esprimere solo attraverso la
gratitudine al Prof. Mario Fulcheri, che ha accolto la mia richiesta di tesi come chi è
capace di ascoltare il silenzio per creare uno spazio utile alle parole dell‟altro, alla
Prof.ssa Angela D‟Addario, che nello svolgere il suo lavoro con intrinseca cura e grande
disponibilità mi ha permesso di incontrare i miei limiti, ma offrendo sempre una mano
per superarli. Il rapporto con loro ha assunto un valore che nessuna dissertazione può
essere in grado di contenere. Ringrazio i Docenti che ho avuto modo di conoscere negli
ultimi esami, che sono stati capaci di rivolgersi alla persona che hanno avuto di fronte,
prima ancora che ad uno studente. La loro umanità mi è stata e rimarrà di esempio.
Ringrazio il personale dei Servizi Didattici, della Segreteria Unificata, delle Biblioteche,
per il puntuale supporto e la gentilezza, personale che forse con delle semplici risposte è
stato per me un grande aiuto, oltre che un sicuro riferimento. Ringrazio gli autori che ho
conosciuto negli studi e attraverso questa tesi, perché il loro lavoro mi ha permesso di
incontrare il loro pensiero e, così, di ampliare il mio. Ringrazio la mia famiglia – Lindo,
Maria, Lucia – che mi ha agevolato e stimolato nel potermi concedere questa
esperienza.
A tutte queste persone – che non lascio alle spalle ma che, per poter guardare al
futuro, accolgo nella mia esperienza – va il mio pensiero e la mia gratitudine.
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