SCULTURA E AMBIENTE - lorenzelli.org · della forma passaggi al traumatico o fra Rinascimento e...

Post on 15-Feb-2019

212 views 0 download

Transcript of SCULTURA E AMBIENTE - lorenzelli.org · della forma passaggi al traumatico o fra Rinascimento e...

S C U L T U R A E A M B I E N T E

Nell 'isolamento capace di esaltare i l ritaglio del volu­me nello spazio che la soluzione romanica dell'iconostasi comporta come nell'inserimento della scultura a parete, accentuando in questo modo i l vincolo del punto di vista frontale e un più adeguato rapporto con la muratura con­tenente, l'opera scultorea entra omogeneamente i n rap­porto con l'ambiente per cui è stata concepita. E ancora Hegel a precisare questo rapporto: «l'immagine scultorea rimane tuttavia in rapporto essenziale con i l suo ambien­te. Una statua o un gruppo, e, ancor più, un rilievo, non possono essere fatti senza tener conto del luogo i n cui l'opera d'arte deve essere posta. N o n si può prima fare un'opera di scultura e vedere dopo dove collocarla, ma già nella sua concezione vi deve essere la connessione con un determinato mondo esterno e la forma e dislocazione spaziale. A questo riguardo la scultura mantiene un riferi­mento permanente particolarmente a spazi architettonici.

Infatti i l diretto scopo delle statue è di essere simulacri religiosi e di essere collocate nell ' interno della cella, così come nelle chiese cristiane la pittura fornisce da parte sua le pale degli altari, e anche l'architettura gotica presenta la stessa connessione fra le opere di scultura e i l luogo in cui sono collocate» (cit. p. 786).

La relazione che Hegel instaura fra le due arti legate al volume, all'occupazione dello spazio reale sia pure con funzioni e esiti assolutamente diversi, è luogo caro alla trattatistica sull'arte degli esordi del secolo X X : nel suo «Concetti fondamentali della storia dell'arte» Heinrich Wòlfflin, pur applicando le sue cinque coppie oppositive della forma al passaggio traumatico fra Rinascimento e Barocco nella differenziazione fra una «linea» mediterra­nea, italiana, e una «linea» tedesca, nordica, ritrova i l pas­saggio dal «lineare» al «pittorico», dalla «superfìcie» alla «profondità», dal «tettonico» all'«a-tettonico» anche in epoche precedenti la soglia dell'arte che chiama «moder­na»: «Il gotico ha infatti un carattere nettamente lineare. La sua bellezza è una bellezza di valori di superficie ed è tettonica in quanto essa pure - come l'arte classica - rap­presenta un legame a una legge. L'insieme si risolve i n parti autonome; per quanto l'ideale gotico sia ben lungi dal coincidere con l'ideale del Rinascimento, si tratta pur sempre di parti che hanno un'immagine compiuta i n sé e,

sempre, entro questi due mondi si ha di mira un'«assoluta chiarezza» (p. 455). I l problema che eventualmente si pre­senta agli occhi dello studioso è quello della ricorrenza, del r i torno di dinamiche, evidentemente non identiche, che si affermano conflittualmente fra Cinquecento e Sei­cento, fra Italia e Germania. Alla linearità e alla classicità del pr imo tempo si contrappone infatti i l «tardo gotico» che «cerca degli effetti pi t tor ic i della forma che vibra. N o n nel senso moderno, ma in confronto alla rigorosa l i ­nearità del pieno gotico la forma si scosta dal t ipo plasti­co-rigido e tende verso immagini di movimento. Lo stile sviluppa m o t i v i di profondità, m o t i v i d'intersecazione tanto nell 'ornamento, come nello spazio; giuoca con l'ap­parente indisciplina delle forme e, a volte, si attenua in forme fluide» (cit . p. 454-455).

Accettata quindi l'ipotesi che qualsiasi segmento della storia dell'arte occidentale conosca i l suo momento «clas­sico» e i l suo momento «barocco», l'affermazione di una regola e la sua successiva violazione, i l suo superamento per una nuova espressività, Wòlfflin ribadisce i l vincolo fra scultura e architettura: «Non vi è figura a tu t to tondo che non abbia le sue radici nell'architettura. 11 piedistallo, i l riferimento a una parete, l 'orientamento nell'ambiente costituiscono tanti fattori architettonici. Ora anche qui si manifesta un fenomeno simile a quello che abbiamo os­servato già nel rapporto tra i l contenuto e la cornice di un quadro: dopo un periodo di reciproco rispetto, g l i ele­menti cominciano a estraniarsi l 'uno dall'altro. La statua si svincola dalla nicchia, non vuol più riconoscere la pare­te di fondo come una potenza che la leghi e, quanto meno appaiono gl i assi tettonici nella figura, tanto più si allenta­no i vincoli d i affinità con qualunque specie di sostegno architettonico» (p . 295).

E un medesimo ragionamento evolutivo può essere r i ­scontrato nel passaggio da una scultura «lineare», in cui a un «punto di vista» principale possono corrispondere al­tre vedute «secondarie», comunque subordinate alla pr i ­ma, alla perdita del «contorno», alla continuità delle for­me nello spazio caratteristica del mondo barocco, o del tardo gotico. L'aspetto comunque che sembra più perti­nente in questa fase è la stretta relazione che viene posta fra i l modo di concepire i l volume architettonico e quello

44

\ - Interno del Monastero di Las Huelgas, Spagna.

brio dei rapporti fra contenitore e contenuto al confl i t to fra i due ordini , a un nuovo equilibrio superiore, in cui ar­chitettura e scultura seguono l'instabilità illusionistica, «pittorica» per usare una sua espressione pregnante, i n en­trambi gl i ordini espressivi.

Con accenti analoghi Henr i Focillon, nel suo «Arte degli scultori romanici» e nel recentemente tradotto «Vita delle torme", distingue una fase del rapporto architettura/ scultura nell'ambito carolingio come «decorazione orna­mentale» rispetto a una successiva, realizzata appunto dall'immaginario romanico, «decorazione propriamente monumentale». Ecco allora in confl i t to un'idea dell'archi­tettura concepita come «spazio-limite» e come «spazio-ambiente»: «Nel pr imo caso, lo spazio pesa in qualche modo sulla torma, ne limita rigorosamente l'espansione: la torma aderisce ad esso come farebbe una mano aperta sopra una tavola o contro una lastra di vetro. Nel secondo

caso, lo spazio è liberamente dischiuso dall'espansione dei v o l u m i ch'esso non costringe; i volumi vi si installa­no, vi si dispiegano come le forme della vita» (pp. 39-40). Ciò che in ogni caso è determinante, al di là di una omo­geneità o un confl i t to fra i l micro-volume della statua e i l macro-volume dell'architettura, è proprio questa affinità nell'immaginare le due masse, in una lettura delle presen­ze «pittoriche» che la massa muraria può comportare ana­logamente all'effetto illusionistico che la massa scolpita può comportare, che i l ragionamento di Focillon trova i suoi accenti più suggestivi. Che poi corrispondenze e so­miglianza non debbano necessariamente coincidere per­fettamente, che in altri termini un ridisegno della scultura all'architettura e viceversa possano seguire tempi e so­prattutto font i di riferimento diversi, questo è fenomeno variamente definibile e giustificabile. Lo stesso Focillon, all'esordio del suo volume, parla di un'epoca storica co­me di un periodo assolutamente non omogeneo, caratte­rizzato da tendenze anche conflittuali fra loro, fra innova­zione e tradizione: i l risultato è quello di una oggettiva d i ­stanza fra realtà e «ricostruzione», interpretazione di un fenomeno. «L'arte romanica, dominata dalle necessità dell'architettura, dà alla forma scolpita i l valore d'una for­ma murale. Ma quest'interpretazione dello spazio non ri­guarda solo le figure che decorano i m u r i e che si trovano con questi in un rapporto determinato: la troviamo appli­cata allo stesso modo anche al tut totondo, sul quale essa tende da ogni parte l'epidermide delle masse, cui assicura la pienezza e la densità. Al lora la statua sembra rivestita da una luce uguale e tranquilla, che si muove appena alle sobrie inflessioni della forma. Inversamente, e nello stes­so ordine di idee, lo spazio interpretato come ambiente non definisce soltanto una certa statuaria, ma esercita an­che la sua azione sugli alti e i bassorilievi, che si sforzano d'esprimere con ogni specie d'artifìcio la verosimiglianza d'uno spazio dove la forma si muove liberamente» (cit. p. 40). La solidarietà che Focillon intravvede fra architettura e statuaria supera allora l'eventuale collocazione, o l'e­ventuale realizzazione del rilievo inserito organicamente nella struttura muraria o lasciato indipendente da essa: una medesima sensibilità disegna l'andamento architettu­rale e la forma plastica della scultura, suggerendo la solidi­tà e l'omogeneità della massa in un caso, i l conflitto dram­matico, i l ritaglio, nell'altra interpretazione. E ancora una volta alle categorie interpretative dello studioso possono essere adeguati quei documenti scultorei che caratterizza­no gl i universi contrapposti, ma omogenei, della inter­pretazione romanica e gotica della statuaria: la solidarietà che viene riaffermata fra lo spazio architettonico e quello scultoreo è comunque elemento di fertile intuizione pro­prio quando vengono presi in considerazione documenti avulsi dal contesto che l i hanno visti nascere, strappati an­che, come nei documenti «a parete» che costituiscono una non irrilevante sezione della statuaria medioevale e che in questa occasione vengono successivamente discussi; un ragionamento sul vincolo ambientale può prenderein

esame questi esempi, ma più in generale anche i l tutto tondo, apparentemente autonomo dal contesto, trova una sua lettura più congruente in relazione con lo spazio ambientale per cui è stato concepito o nella cui atmosfera è nato.

Se l'astrazione della tridimensione dal contesto che la significa per assonante lettura della massa e della luce può essere facilmente superato facendo mentale riferimento a una possibile collocazione e all'interpretazione che dello spazio ambientale un determinato immaginario può offr i ­re, la documentazione del frammento vincolato funzio­nalmente con l'architettura presenta problemi più gravi, oltretutto complicati da un pregiudizio che Oleg Zastrow ricorda lucidamente all'esordio del suo censimento della scultura in pietra carolingia e romanica nel territorio di Como del 1978. «L'equivoco, in merito a una distorta va­lutazione della plastica medioevale, trova d'altronde le sue radici in una vecchia, e purtroppo non ancora del tut­to superata, concezione «classicistica» della scultura, co­me elemento chiuso e compiuto nella sua stessa invalica­bile perfetta forma. I n sostanza, ancora si tende a «vedere» un rilievo, più o meno plasticamente pronunciato, come elemento a sé stante, e cioè secondo una visione, anche creativa, che dal tardo gotico in poi non ha quasi più ces­sato di riproporsi costantemente, fino al tramonto dell'impressionismo e all'affermarsi dell'espressionismo moderno» (p . 9). I l confl i t to evidenziato è quello fra una concezione isolata della statuaria, capace di determinare per la propria espressività lo spazio circostante, d i modi f i ­carlo grazie alla propria completa autonomia, e all 'oppo­sto un inserimento «necessario» del documento sculto­reo, determinato nella sua fisionomia dal contesto am­bientale. I l problema, si badi, non è quello della differen­za fra la scultura a tut to tondo e i l bassorilievo «incastra­to» nella parete, ma quello della relazione e della autono­mia che i diversi documenti possono assumere. Ma l'emancipazione della scultura dall'architettura, si è visto, è percorso stilisticamente individuabile, con un anda­mento ripetit ivo che ne caratterizza i l carattere ciclico, non rettilineo.

L'osservazione di Zastrow comunque, più che a un progresso stilistico, fa riferimento all'estensione acritica di un «pregiudizio» interpretativo che ha dilatato tempo­ralmente una maniera «classicista» di leggere la statuaria, incapace pertanto di giudicare sia l ' immaginario da cui d i ­pende, sia evidentemente un'espressione diversa da quel­la. «Per assurdo, ad esempio, se una scultura rinascimen­tale «fa museo», in quanto ai nostri occhi fotografa un at­t imo non immaginativo, chiuso quindi i n una sua inte­riormente distaccata non conclusiva realtà, al contrario un rilievo altomedioevale, privato del suo supporto mo­numentale (e si sarebbe tentati d i dire della sua motiva­zione profondamente socializzata) non potrebbe mai, sotto un certo aspetto, «fare museo», se non venisse me­diato dalla nostra affinità spirituale e originale contesto, poiché tale lacerto fa sempre parte di una astrazione i m ­

maginativa, in cui i l tempo (all 'opposto) si è dilatato nei confini massimi dell'eternità» (p. 9).

I due atteggiamenti sono evidentemente fra loro in­conciliabili: l 'attribuzione polare di una fisionomia in quanto tale, disinteressata all'ambiente nella statuaria r i ­nascimentale e di un necessario completamento ambien­tale radicalizza per la statuaria medioevale una differenza di funzionalità indubbiamente evidente, ma in questo pa­ralizza una ipotesi di continuità, pur nelle differenze for­mali che sembra essere atteggiamento critico più produt­t ivo . La necessaria relazione fra architettura e scultura dell ' immaginario medioevale tende a confondere i due d o m i n i , in una unità che non permette lo sviluppo libero dell'espressione plastica. «Solo a partire dal cosiddetto pe­riodo gotico, con lo svilupparsi della scultura a tut to ton­do e delle inevitabili conseguenze paratattiche che tale formula comporta, si tenderà sempre più a distinguere, e giustamente, fra architettura e scultura: già in una catte­drale gotica, la singola statua, con l ' implic i to invi to a sof­fermare lo sguardo nel contemplarla come cosa a sé stan­te, la trasformazione in «massa» di quel corporeo connu­bio medioevale è già compiuta» (p . 10). La relazione che Zastrow richiama fra attività plastica e attività architetto­nica, riporta i l ragionamento a quella relazione iniziale fra la tridimensione della statua e l'architettura in cui viene concepita e collocata e a cui è opportuno fare riferimento non solo per l'affinità già ricordata nel modo di concepire i l volume, ma anche per l ' intervento significativo della presenza umana, che risulta i l riferimento essenziale della costruzione e del suo décor.

46